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Gabriel Levi (a cura di) LAVORARE CON GLI AUTISMI Dalla clinica alla terapia ARMANDO EDITORE

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Gabriel Levi

(a cura di)

LAVORARECON GLI AUTISMI

Dalla clinica alla terapia

ARMANDOEDITORE

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Sommario

Premessa: Autismo: 10 cose da fare adessoGabriel Levi 7

PARTE I: IL PROBLEMA 9

Editoriale: Disturbi dello spettro autistico: questioni aperte dopole Linee Guida 2011Gabriel Levi 11

AutismoTratto dal III aggiornamento dell’Enciclopedia medica 18

Disturbi dello Spettro Autistico e Autismo: una nota di epidemiologiaGiovanni Meledandri 28

PARTE II: INDICATORI PROGNOSTICI 39

Indicatori precoci dei disturbi pervasivi dello sviluppo: alcuni contributi alla ricercaPaola Venuti, Gianluca Esposito 41

Lo sviluppo del linguaggio in bambini con disturbo pervasivo dello sviluppo e soggetti con disturbo specif ico del linguaggio: indici predittivi e traiettorie evolutiveLaura D’Odorico, Mirco Fasolo, Veronica Gatta 54

Fenotipi comunicativo-linguistici nelle sindromi autisticheMarina Bellomo, Delena Nocera,Valentina Cuntro, Francesca Aneli,

Maria Grazia Farina, Giuliana La Marca, Giovanna Gambino 65

La comprensione del linguaggio nell ’AutismoGiacomo Vivanti, Sara Congiu 80

PARTE III: DISTURBI ASSOCIATI 95

Movimento f inalizzato e deficit di programmazione motoria nell ’autismo infantileSara Forti, Angela Valli, Paolo Perego, Maria Nobile,

Alessandro Crippa, Massimo Molteni 97

La comorbidità nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo NAS in età prescolareCaterina D’Ardia, Sergio Melogno 109

Solitudine e immaginazione nei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo Non Altrimenti Specif icatiSergio Melogno, Caterina D’Ardia 128

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PARTE IV: FAMIGLIA E SCUOLA 143

La qualità di vita delle famiglie di bambini con Disturbo Pervasivo dello SviluppoMarina Gandione, Elisa Burdino, Marisa Vietti Ramus 145

Caratteristiche di personalità dei genitori di bambini affetti da disturbidello spettro autistico mediante l ’MMPI (Dati preliminari) Andrea De Giacomo, Mariagrazia Carone, Mina Perrone,

Alessia Marconcini, Domenico Martinelli, Lucia Margari 162

Cosa pensano i genitori dei bambini autistici dell ’integrazione scolasticadei loro f igli. E i genitori dei compagni?Selena Ciardi, Fabio Bocci, Anna Maria Favorini 171

Disturbi dello Spettro Autistico e Disturbi di Personalità del Cluster A: la scuola come osservatorio privilegiato Gabriel Levi, Sergio Melogno, Caterina D’Ardia 184

PARTE V: PENSARE GLI INTERVENTI 193

Dal profilo di sviluppo al profilo riabilitativoLucia Diomede 195

Linguaggio ed interazione sociale reciproca: modelli di intervento personalizzatiin bambini con Disturbo Pervasivo dello Sviluppo non altrimenti specif icatoin età prescolareFederica Giovannone, Marta Puzzilli 207

Profilo funzionale e presa in carico: esperienze conquattro bambini con disturbo pervasivo di sviluppoGiuseppe Maurizio Arduino 224

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Premessa

Autismo: 10 cose da fare adessoGABRIEL LEVI

Ci sono molte cose che si dicono sull’Autismo. Sulle ricerche che bisogna an-cora fare. Sugli interventi che si potevano fare e non si sono fatti.

In questo volume presentiamo i lavori sull’argomento che abbiamo pubblicato sulla Rivista Psichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza negli ultimi tre anni. Con l’idea di fare una rifl essione operativa su quello che già si può fare.

Dopo le Linee Guida elaborate dall’Istituto Superiore di Sanità questo obiet-tivo è prioritario. Le Linee guida tracciano una direttiva che bisogna riempire di buone pratiche. Con questo volume vogliamo pensare, e far pensare, ai seguenti punti:

1) Come colmare il divario che esiste tra l’epidemiologia dei casi che potreb-bero arrivare ai Servizi (in base agli studi su popolazione globale) ed i casi che realmente arrivano.

2) Come ridurre il tempo tra i primi sospetti dei genitori, gli accertamenti clinico-diagnostici (spesso ripetuti più volte) e la reale presa in carico.

3) Come utilizzare al massimo, nei profi li diagnostici, le variabili: gravità del nucleo autistico; problemi associati (e loro gravità); caratteristiche indivi-duali del bambino; caratteristiche individuali della traiettorie evolutive.

4) Come progettare al meglio gli interventi, che di fatto sono i più continua-tivi, e cioè quelli che vengono fatti nella scuola, per tanti anni e per tante ore giorno.

5) Come creare dei protocolli di intervento, basati sui fenotipi comporta-mentali e sull ’età di sviluppo del bambino, dell’adolescente e dell’adulto con Autismo.

6) Come utilizzare l’enorme banca dati, che esiste sui diversi sottotipi clinici dell’autismo, per fornire il meglio della terapia ad ogni singolo bambino.

7) Come sostenere le famiglie (e ricevere da loro indicazioni sull’individualità del singolo bambino con Autismo) nel comprendere ed utilizzare il ritmo di sviluppo del loro bambino.

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8) Come comprendere sempre di più che le persone con Disturbi dello Spet-tro Autistico hanno tantissimi problemi, ma che Autismo non signifi ca assenza di sentimenti ma, compressione di sentimenti e pensieri.

9) Come fare una battaglia per far capire, a tutti noi, che l’associazione fra Autismo e Disabilità Intellettiva presuppone un intervento doppio e non un intervento dimezzato.

10) Come lavorare sui casi di Autismo frustro (i cosiddetti DPS NAS) che molto spesso vanno incontro, in età adulta, ad un grave Disturbo di Per-sonalità, che potrebbe essere molto meno grave se preso in tempo.

Ci sembra che ci sono molte cose da fare subito. E praticamente senza spese.

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PARTE I

IL PROBLEMA

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Editoriale

Disturbi dello spettro autistico: questioni apertedopo le Linee Guida 2011GABRIEL LEVI

Premessa

Sono uscite le Linee Guida (LG) sul trattamento dei Disturbi dello Spettro Autistico (DSAut) nei bambini e negli adolescenti, a cura dell’istituto Superiore di Sanità (ISS).

A distanza di sei anni da quelle della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA), che ho avuto il compito di coordinare.

Sono passati sei anni e, comunque, le LG dell’ISS hanno una prospettiva di-versa da quelle di una Società scientifi co-professionale come la SINPIA.

Se vogliamo cogliere un’occasione importante, dobbiamo fare con esattezza il punto della situazione:

A) per comprendere cosa possiamo e cosa dobbiamo fare adesso;B) per essere veramente concreti ed operativi.Sull’Autismo, in Italia come in tutto il mondo, sono quasi 70 anni che si com-

batte con piccoli passi in avanti, faticosi e necessari, e grandi promesse e speranze, qualche volta generose e qualche volta sproporzionate.

È tempo di valutare quello che possiamo già fare e, spesso, non facciamo ed anche quello che dobbiamo acquisire nelle diverse aree della ricerca: ricerca clinica subito e prima di tutto; ricerca di base con le sue scadenze ed incertezze; ricerca, consapevole e documentata, di modelli organizzativi (dove spesso si accumulano i ritardi).

Le Linee Guida della SINPIA, ed ancor più e meglio quelle dell’ISS, hanno avuto ed hanno, per scelta, un obiettivo prioritario ed assoluto: defi nire le migliori pratiche da seguire per la diagnosi e per la presa incarico del singolo caso clinico (dalla diagnosi precoce alla terapia, il più presto possibile tipizzata ed individualiz-zata).

Sulla prevenzione primaria esistono altri tavoli di discussione, che vanno con-siderati ma non confusi con i discorsi sulla presa in carico.

Poiché i DSAut costituiscono una patologia con un ventaglio amplissimo di

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espressività e con una eziopatogenesi multifattoriale, è bene sottolineare i contri-buti tuttora irrinunciabili, che la ricerca clinica può e deve dare alla ricerca di base.

Come tutti i disturbi dello sviluppo i DSAut comprendono un insieme ampio di sindromi cliniche ed un insieme ancora più ampio di tipi e sottotipi neuropsi-cologici e psicopatologici.

L’intersezione evolutiva tra variabili neurobiologiche (dalla vulnerabilità al grado di gravità) e variabili psicologiche (dalla costellazione temperamentale alle strategie di compenso) costituisce un capitolo di studio ancora aperto e forse ine-splorato.

Gli obiettivi prioritari della ricerca clinica rimangono:a) isolare fenotipi comportamentali certi e comprovati;b) ricostruire le variabili prognostiche delle traiettorie evolutive;c) saldare le discrepanze enormi che esistono fra studi di popolazioni generale

e di popolazioni cliniche così come fra fenotipi comportamentali e singoli casi.

Può sembrare banale ma l’esperienza degli ultimi venti anni ci ha fatto subire alcuni vistosi insuccessi dovuti a due scotomizzazioni (facilissime da individuare, diffi cilissime da ponderare):

1) se tutti i bambini sono diversi l’uno dall’altro, i bambini con DSAut non lo sono di meno, ma probabilmente di più;

2) il massimo delle diff erenze individuali sembra essere collegato con i tempi di emergenza dei disturbi nucleari, dei disturbi asociali; delle interferenze di sviluppo (positive e negative).

Non è stato e non è tuttora un compito semplice: costruire etichette diagnosti-che generali utili; precisare tipi e sottotipi comportamentali – evolutivi; utilizzare al massimo le diff erenze individuali. Sono tre prospettive che qualche volta coin-cidono e qualche volta, quando si valuta il singolo caso clinico, sono l’una contro l’altra.

Attese epidemiologiche e fl ussi nei servizi

I dati epidemiologici derivati da studi su popolazione generale divergono net-tamente dai dati epidemiologici derivati da studi su popolazioni cliniche.

Dagli studi su popolazione generale risulterebbe che su 10.000 bambini-ragazzi:– circa 6 presentano Autismo ad alto funzionamento cognitivo o Sindrome di

Asperger;– circa 12 presentano Autismo a basso funzionamento cognitivo;– circa 50 presentano un Disturbo Autistico Non Altrimenti Specifi cato

(NAS: senza problemi cognitivi o con problemi cognitivi di grado lieve). Dagli studi su popolazione clinica risulta che su 100 bambini-ragazzi con Di-

sturbo dello Spettro Autistico:– circa 70-75 presentano Disturbo Autistico a Basso Funzionamento Cogni-

tivo;

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– circa 25-30 presentano o Autismo ad Alto Funzionamento (o Sindrome di Asperger) o Disturbo dello Spettro Autistico tipo Nas).

In altri termini: le attese epidemiologiche farebbero pensare ad un rapporto 1:5 tra ragazzi con Autismo a Basso Funzionamento Cognitivo verso ragazzi ad Alto Funzionamento Cognitivo o con problemi cognitivi lievi.

La realtà clinica ci confronta con un rapporto rovesciato: quasi 3 casi a basso funzionamento cognitivo contro 1 caso senza problemi cognitivi o con problemi cognitivi lievi.

In Italia: 1) i dati su popolazioni scolastiche confermano ampiamente il dato clinico, tanto che per molti anni il termine Disabilità Intellettiva (o Ritardo Men-tale) è stato quasi sovrapposto e confuso con quello di Disturbo Autistico; 2) i dati su popolazione che, in un modo o nell’altro, hanno passato la soglia dei 18-20 anni denunciano paradossalmente una ulteriore sovrapposizione della Diagnosi di Disabilità Intellettiva su quella di Autismo.

Come spiegare questi fl ussi epidemiologici discordanti fra di loro ma coerenti nella loro ripetuta regolarità? Ci troviamo di fronte ad un problema di sensibilità dia-gnostica o di fronte ad un problema di psicopatologia dello sviluppo?

Tempi di arrivo e tempi di presa in carico

Tutte le defi nizioni nosografi che parlano dei Disturbi dello Spettro Autistico come disturbi che insorgono entro i 3 anni di vita. Nella realtà clinica l’età delle diagnosi sono fortemente correlate con i disturbi associati:

1) i bambini con Autismo a Basso Funzionamento Cognitivo vengono in maggioranza assoluta segnalati e diagnosticati entro i 3 anni di vita;

2) tra i 2 e i 5 anni di vita vengono segnalati la maggioranza assoluta dei bambini che presentano un Disturbo Autistico assieme con un ritardo od un’atipia di sviluppo del Linguaggio;

3) tra i 4 e i 7 anni di vita vengono segnalati in assoluta maggioranza i bambi-ni con Disturbo Autistico NAS, in particolare quelli che presentano bizzar-rie comportamentali o disturbi aspecifi ci di apprendimento (con Disabilità Cognitiva Lieve o Border Line Cognitivi);

4) la maggior parte degli Autismi ad alto funzionamento continua ad essere segnalata tardi; in ogni caso dopo i 7 anni di vita;

5) i casi che vengono tuttora diagnosticati dopo i 12 anni di vita rimangono a lungo con un dubbio diagnostico assolutamente ricorrente e tipico: hanno un Disturbo Autistico o hanno un Disturbo di Personalità (in genere fra il DP Border Line ed il DP Schizoide)?

6) Esistono casi (in realtà rari) in cui, dopo una lunghissima incubazione si-lenziosa o mascherata e dopo un periodo di progressivo scompenso sociale, l’esordio clinico evidenziato è tipo una bouff eé psicotica piuttosto atipica.

Come spiegare queste diverse modalità di emergenza clinica dei Disturbi dello Spettro Autistico?

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Di nuovo: ci troviamo di fronte ad un problema di sensibilità diagnostica o ad un problema di psicopatologia dello sviluppo?

Il nodo del problema

Cerchiamo di dare una qualche risposta ragionata alle domande che ci siamo posti due volte sulle discrepanze che esistono fra conoscenze generali sul proble-ma e realtà clinica.

La prima risposta, quasi automatica, sarebbe: esistono dei ritardi nella diagno-si perché chi tra i sanitari vede per primo il bambino non conosce abbastanza il problema-autismo ed i suoi segni precoci. Oppure: anche i genitori dovrebbero sapere di più.

Da qui una serie di importanti ricerche sui segni precoci e precocissimi.Queste prime risposte rivelano una mezza verità, in parte confusa.La realtà clinica indica con chiarezza l’altra mezza verità: i DSAut arrivano

tanto più rapidamente quanto più è riconoscibile il disturbo associato prevalente. I primi che arrivano sono quelli con Disabilità Intellettiva associata. Subito dopo arrivano quelli con importanti atipie nello sviluppo del linguaggio. Quelli intel-ligenti e senza seri ritardi di linguaggio arrivano più tardi. Per ultimi arrivano i DSAut tipo NAS (che noi da 20 anni chiamiamo frustri) e quelli ad alto funzio-namento cognitivo.

Perché? 1) perché nei DSAut tipo NAS (che sarebbero la maggioranza assoluta dei

casi) il disturbo autistico si forma o si rende manifesto come tale lentamen-te, con costellazioni comportamentali dubbie e discutibili;

2) perché i DSAut ad Alto Funzionamento Cognitivo hanno realmente delle buone prestazioni in molti campi, che tendono a far misconoscere il pro-blema autistico nucleare.

Tenendo presente questo discorso e queste ipotesi ci sono due obiettivi di po-litica sanitaria che consideriamo avere la precedenza:

a) lavorare sui fl ussi delle utenze, migliorando le conoscenze sulle diverse storie naturali in modo da creare diverse attese diagnostiche-prognostiche in fun-zione di diverse traiettorie evolutive;

b) lavorare sui progetti terapeutici individuali, considerando la possibilità di do-cumentare al meglio le traiettorie evolutive più tipiche, in modo da fornire indicatori prognostici via via più diff erenziati e precisi.

Se continuiamo a lavorare sull’ipotesi tutto si capisce nei primi 18 mesi di vita, non possiamo riuscire a modifi care i fl ussi ritardati e non riusciamo a creare dei criteri seri su cui validare l’effi cacia terapeutica.

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Modifi care l’aff erenza ai servizi per composizione e per età di arrivo

I soggetti che tendono ad arrivare tardi sono quelli con Autismo ad Alto Fun-zionamento Cognitivo (che in assoluto sono pochi) ed i soggetti con DSAut tipo NAS che sono moltissimi.

I soggetti con DSAut tipo NAS hanno, nella gran parte dei casi, dei disturbi associati (Disturbi di Linguaggio e di Apprendimento; Disturbi Disprassici, e Disturbi della Coordinazione Motoria; Disturbi ADHD e Disturbi del Compor-tamento: Disturbi Ansioso-Depressivo).

In tutte queste situazioni il cocktail nucleo autistico + disturbo associato crea una situazione di forte e doppia atipia, che si manifesta con bizzarrie comporta-mentali caratteristiche e con isolamento autistico presente ma sfumato.

Va segnalato, con grande evidenza, che la traiettoria evolutiva dei DSAut tipo NAS e, diversamente dalle descrizioni storiche, ha un decorso a lenta emergenza (slow onset).

È bene dirlo chiaro: una buona parte della fenomenologia autistica si costru-isce nel tempo.

Si nasce con una vulnerabilità autistica più o meno accentuata e, sul piano genetico, con una maggiore o minore espressività, anche cronogenetica. Tuttavia, nella maggio-ranza di casi, autistici si diventa.

Questa realtà evolutiva ci porta ad una considerazione di tipo operativo.Se vogliamo raggiungere questa popolazione dobbiamo attivare una strategia a

tappe: considerato l’aspetto frustro della sintomatologia è prioritario raggiungere i DSAut NAS quando si ha la massima probabilità di raggiungerli. Attualmente si tratta di abbassare l’età di segnalazione dai 7 ai 3.6-4 anni. Non solo questo pro-getto è possibile, ma ci darebbe un’opportunità per raggiungere in tempi migliori anche la maggior parte dei DSAut ad Alto Funzionamento.

Un altro risultato di questo progetto sarebbe di farci acquisire delle notizie im-portanti sulla patogenesi dello sviluppo autistico in questo stadio. È ragionevole pensare che avremo molte indicazioni migliori per la prognosi e per la terapia.

Prescrivere terapie che possano essere effi caci

È diffi cile valutare l’effi cacia di un intervento terapeutico se non si hanno pri-ma in testa, con chiarezza, due punti chiave: a chi esattamente si sta proponendo questo intervento; quali sono i risultati precisi che ci si attende.

La situazione è questa: la variabilità delle traiettorie evolutive percorse dai singoli bambini con DSAut è enorme.

I progetti terapeutici dovrebbero essere tipizzati rispetto alle seguenti variabili:– severità del disturbo di comunicazione e di relazione– severità dei problemi cognitivi associati– nuclei neuropsicologici interferenti– nuclei psicopatologici interferenti

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– tempi di emergenza dei singoli problemi– profi lo di sviluppo fase per fase– costellazione temperamentale specifi ca – modifi cabilità degli stili interattivi vs diversi interagenti.È evidente che una diagnosi di sviluppo bilanciata rispetto a tutte queste variabili

e verifi cata stadio di sviluppo dopo stadio di sviluppo consente di ricostruire tra-iettorie evolutive per tipo, per sottotipo e per caratteristiche personali.

Conclusioni

In questo momento la gran parte delle scelte terapeutiche (riabilitative, psico-logiche, farmacologiche) viene fatta molto poco rispetto alle traiettorie evolutive, perché manca una banca dati costruita in base a tutte le variabili indicate.

È possibile aprire una nuova stagione di lavoro sui Disturbi dello Spettro Au-tistico. Possiamo e dobbiamo tener conto del lungo e spesso doloroso percorso che ha portato, con il lavoro degli operatori e con le puntuali segnalazioni delle famiglie, prima alle linee guida della SINPIA e, dopo, alle linee guida dell’ISS. È importante comprendere che le linee di lavoro che hanno portato alle due linee guida vanno integrate e portate avanti assieme.

Dobbiamo aver presente tutta la casistica quando lavoriamo con il singolo caso. Dobbiamo aver presente i singoli casi quando prendiamo delle decisioni che riguardano tutta la casistica. In particolare, va tenuto presente che lo strumento più importante per migliorare gli interventi futuri proposti ai bambini ed agli adulti con DSAut rimane la ricostruzione di tutte le storie naturali raccolte. Della loro variabilità. Della loro modifi cabilità. Gli operatori che hanno avuto la fatica ed il privilegio di seguire tanti bambini con DSAut, per 10, 15 e 20 anni hanno una memoria che va conservata ed utilizzata. Con le sue incertezze. Con i suoi errori. Con i suoi lenti, ma sicuri progressi e criteri di valutazione.

Gli obiettivi prioritari sono:a) modifi care il fl usso delle segnalazioni e delle prese in carico rispetto alle

attese epidemiologiche reali. Lo ripetiamo: si tratta di rovesciare la fi losofi a di lavoro fi nora vigente, utilizzando al meglio le notizie che già abbiamo prima di sognare quelle che dobbiamo scoprire;

b) recuperare a pieno il concetto che i DSAut sono Disturbi dello Sviluppo e che si sviluppano nel tempo stadio dopo stadio. Si può modifi care la storia naturale di un disturbo soltanto se la si conosce nella realtà della singola persona. Per i Disturbi di Sviluppo la diagnosi è una continua diagnosi prognostica sui tempi brevi-medi.

È nostra intenzione aprire una discussione ragionata su questo tema.Se rimandiamo di sviluppare le Linee Guida (quelle ISS e quelle SINPIA) con

questa prospettiva di concretezza clinica, perdiamo un’occasione preziosa: con-giungere la politica del singolo caso clinico con la politica sulla casistica comples-siva (fi nalmente diversifi cate per traiettorie evolutive tipo).

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Bibliografi a

Aa.Vv. (2005), Linee Guida per l ’autismo, Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (SINPIA).

Aa.Vv. (2011), Il trattamento dei Disturbi dello Spettro Autistico nei bambini e negli adolescenti, a cura di Sistema Nazionale per le Linee Guida-Istituto Superiore di Sanità.

Bollea G. (1967), “Strutturazione oligofrenia e strutturazione psicotica”, Infan-zia anormale, 52: 601-613.

Levi G. (1993), Psicosi Infantili, Firenze, Enciclopedia Medica USES.Levi G., D’Ardia C. (2007), Disturbi dello Spettro Autistico, Firenze, Enciclope-

dia Medica USES.

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AutismoTratto dal III aggiornamento dell ’Enciclopedia medica

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Disturbi dello Spettro Autistico e Autismo:una nota di epidemiologiaGIOVANNI MELEDANDRI*

Introduzione

L’autismo appartiene all’ampia categoria diagnostica dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) in cui sono inclusi la Sindrome di Asperger, il Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia, la Sindrome di Rett e i Disturbi Pervasivi dello Svi-luppo Non Altrimenti Specifi cati (DPS NAS). I DPS, in particolare l’autismo, sono caratterizzati dalla presenza di defi cit/atipie a carico della comunicazione, dell’interazione sociale e dalla presenza di comportamenti ristretti e stereotipati.

L’autismo può essere defi nito come una sindrome comportamentale con base eziologica biologicamente determinata, con esordio nei primi tre anni di vita, che altera i normali processi evolutivi e di sviluppo cognitivo. Si confi gura, infi ne, come una disabilità “permanente”, ma che è evoluta secondo una successione di stadi e crisi evolutive, che accompagnano il soggetto nel suo ciclo vitale. Molti aspetti sindromici – almeno come sintomi – persistono, dall’infanzia all’età adul-ta, in continuità omotipica. L’autismo è caratterizzato, però, da una grandissima variabilità ed eterogeneità clinica dipendenti, tra le altre cose, dall’età di comparsa dei sintomi, dalla fase dello sviluppo del bambino, dal livello di sviluppo globale e dalla severità nell’espressione del disturbo stesso. Proprio perchè anche le moda-lità e la consistenza di questa espressione, pur con quasi certa base genetica, sono infl uenzate dagli eventi che incidono durante il percorso evolutivo del disturbo, e da altre situazioni in eventuale comorbilità evolutiva, primarie e secondarie.

Sono passati più di 60 anni dalla prima descrizione dell’autismo e numerosi sono stati gli studi, le ipotesi e le teorie che riguardano questa sindrome (Rutter, 1999). La classifi cazione e la diagnosi di autismo è cambiata, nel corso degli anni, in relazione alle nostre conoscenze sulle caratteristiche principali e secondarie di tale disturbo. I diversi studi di revisione clinica e di follow-up hanno circoscritto la sintomatologia necessaria alla diagnosi di autismo e dei DPS, rendendo più severi e rigidi i criteri di inclusione presentati nei principali sistemi nosografi ci.

* Struttura Complessa “Patologie Emergenti” ASL Roma E, Roma.

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Questi studi hanno permesso di comprendere meglio le caratteristiche cli-niche, le modalità di presentazione e la prognosi dei DPS e, come conseguenza, hanno portato alla luce dati interessanti sulla reale, o presunta, prevalenza dei DPS e sul problema della comorbidità. Gli studi epidemiologici sull’autismo e i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS) hanno fornito dati importanti, ma a volte controversi, su questi quadri clinici (a tale proposito si veda la revisione ef-fettuata da Fombonne nel 2005 e da Wing e Potter nel 2002). L’analisi di questi studi non può prescindere da alcune considerazioni preliminari:

• I sistemi nosografi ci sono stati profondamente modifi cati nel corso degli anni. Per questo è molto diffi cile confrontare studi condotti in decadi di-verse e con edizioni diff erenti dei vari sistemi nosografi ci.

• I dati provengono da popolazioni selezionate in modo molto diverso; al-cuni studi hanno utilizzato pazienti provenienti dai database dei Sistemi Sanitari, altri hanno utilizzato le informazioni provenienti dai medici di base e/o dalle scuole, altri ancora hanno eff ettuato analisi su popolazioni già conosciute nei servizi specialistici.

• Non tutti gli studi hanno eff ettuato delle rivalutazioni complete dei casi precedentemente diagnosticati come autismo, tenendo conto dei diversi approcci diagnostici. I lavori in cui tale valutazione è stata svolta conferma-no, nella quasi totalità dei casi, l’utilizzo di strumenti diagnostici diff erenti. In alcuni casi, ad esempio, è stato fatto un lavoro retrospettivo su dati e informazioni presenti in cartella clinica; in altri è stato utilizzata la CARS come strumento diagnostico e, in altri ancora, l’ADI-R e/o l’ADOS. La maggior parte degli studi utilizza “il giudizio clinico” come parametro fon-damentale per la diagnosi fi nale.

• Le misure di prevalenza – infi ne elaborate negli studi – si riferiscono a popolazioni molto diverse: in alcune si è considerato solo l’autismo, in altre l’autismo insieme agli altri DPS.

• Quando presenti, i dati sul funzionamento cognitivo non appaiono sempre sovrapponibili per i diversi cut-off utilizzati per dividere la popolazione in alto funzionamento e basso funzionamento.

Queste considerazioni appaiono d’obbligo per una corretta analisi dei diversi studi epidemiologici, che richiede anche alcuni accorgimenti. I motivi di even-tuale discordanza sono infatti da ricercare primariamente nelle caratteristiche dei singoli studi, nelle modalità di selezione del campione, negli strumenti diagnostici utilizzati e nella ristrettezza dei criteri nosografi ci.

Gli studi epidemiologici sui DPS si ripropongono di stabilire un range di pre-valenza (v. nota 1) per l’autismo e i disturbi correlati.

Come stabilire “quanto” autismo o DPS insistano in una popolazione? Come stabilire un criterio normativo scientifi camente corretto – ripetibile e falsifi cabi-le – che sia valido per misurare l’entità e le dimensioni che assume la condizione indagata, che chiamiamo disturbo e che, con tutta probabilità sintetizza macro-scopicamente l’eff etto di un’aggregazione di variabili molto diverse? Variabili non sempre esplicitamente defi nite, ma oggetto di discussione clinica, nosografi ca ed

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epidemiologica. Variabili discrete o numeriche, qualitative o quantitative, ordina-bili e non, delle quali non sono note né investigate – negli studi – le modalità di distribuzione.

Questo lavoro si soff erma su due aspetti, dei quali il primo sottende la ma-nifesta volontà dei diversi AA. nel fornire una stima quantitativa del disturbo autistico, quanto meno condivisibile come base di discussione. Il secondo, meno esplicito forse, è di contenuto interlocutorio: esiste, è in atto, una qualche ten-denza all’aumento, in un continuum temporale, dell’autismo? Si può parlare di un’epidemia di autismo, così come alcuni autori sembrano suggerire?

Metodi

In questo studio sono stati presi in considerazione diciotto lavori pubblicati tra il 1996 e il 2005, su riviste internazionali, relativi all’epidemiologia dell’autismo e dei DPS (vedi Tab. 1). Gli AA. utilizzati nel presente studio utilizzano misure di computo apparentemente semplice, come la Prevalenza (P) e l’Incidenza (I)1, se pure con diverse accezioni e modalità di distribuzione spaziale e temporale: pe-riodale, puntuale, per ranghi. Nella Tabella 1 sono riassunte in modo schematico alcune misure così come presentate nei diversi lavori. Il criterio di scelta del tipo di misura utilizzata non è stato sempre esplicitato dagli AA., che anzi sembrano darne per scontato l’impiego, forse per ragioni di facile accesso alla intuizione e al calcolo. Preso atto di come i diversi AA. hanno proceduto, sempre nella Tabella 1 sono elencati i dati di consistenza.

Il Numero di soggetti con diagnosi di autismo – e la Prevalenza su 10.000 – sono state considerate come variabili dipendenti nella nostra analisi.

Alla diagnosi di autismo, negli AA. considerati, facevano corteo numerose al-tre variabili, che certo concorrono alla defi nizione del disturbo autistico, renden-dola più largamente condivisibile. Di tali variabili si è tenuto conto, consideran-dole come indipendenti ai fi ni dei casi e della misura di prevalenza (o incidenza) indicate. Elenchiamo di seguito le variabili estratte dai diversi studi: Dimensione della popolazione; età alla diagnosi; tasso percentuale con quoziente intellettivo (QI) nella norma; Prevalenza su 10.000 con coesistente ritardo mentale (RM); Prevalenza su 10.000 senza coesistente ritardo mentale; criteri diagnostici (In-ternational Classifi cation of Disease – ICD; Diagnostic and Statistical Manual – DSM, con numero romano della edizione) di riferimento prescelti dall’autore.

Per aff ermare che un’epidemia ha luogo è necessario che l’incidenza di una malattia superi le attese della medesima, in un periodo di tempo e in uno spazio determinato, o in una popolazione circoscritta e defi nita (Last, 2004). Di qui si può procedere, successivamente, alla fase di formulazione di ipotesi sull’andamen-

1 Prevalenza, ovvero Numero di Casi di una condizione in un Tempo stabilito (che deve es-sere indicato) all’interno di una popolazione nota. Incidenza, ovvero Numero di eventi (anche Casi) che avvengono (quindi sono “nuovi”) in un periodo di Tempo (che deve essere indicato), all’interno di una popolazione nota.

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32

to dell’epidemia stessa. Poichè una siff atta premessa non appare considerata in alcuno degli studi rivisti, anche per una oggettiva impossibilità, in fase di fonda-zione di una metodologia sistematica dell’analisi del fenomeno ‘rischio di autismo’ in una popolazione si deve prendere atto di tale limite.

Nella letteratura prodotta sono eff ettuate numerose analisi le quali, ai fi ni delle elaborazioni, prendono in considerazione variabili diverse: sesso, età, QI, presenza o meno di ritardo mentale, misura del ‘funzionamento’, altre diagnosi concorrenti, dimensioni del campione, numero assoluto di diagnosi formulate. Tutte queste, a loro volta, partecipano alla formazione di altre variabili: i tassi di incidenza e prevalenza.

Esistono consistenti diff erenze tra uno studio e l’altro. Ai fi ni della confron-tabilità, si è evitato ogni intervento sui singoli contributi. La stratifi cazione delle variabili ha tenuto conto della diversità.

Le variabili prese in considerazione interagiscono tra loro. Ciascuna con tutte le altre. L’informazione che ne deriva è molto più articolata e complessa della semplice descrizione che fornirebbero i tassi di incidenza e prevalenza.

Risultati

1a) La Prevalenza media dell’autismo – tutte le condizioni indistintamente – stimata al 4%00 negli anni ’60 (Rutter et al., 1967), è 10 %00 nel 2005. In questo tipo di stime non si tiene conto della comorbilità2. In Levi, Meledandri, Romani, Terrinoni (2007) il risultato della metanalisi restituisce un valore del 9,37 %00 (CI3 0,03; signifi catività P4< 0,05) che tenga in conto le comorbilità di ritardo mentale, disturbo di personalità, ADHD, disturbo di condotta, DPS.

1b) Ove la diagnosi tiene conto di diff erenze nel funzionamento cognitivo, per un funzionamento cognitivo elevato la prevalenza è indicata al 3%00. In questa stima la comorbilità con il ritardo mentale è minima.

1c) Nel funzionamento cognitivo medio e basso la P è pari a circa 7%00 .1d) Le stime dei DPS – tutte le voci – nei diversi autori vanno da 36 a 67 su

10.000, nel corso del periodo ’60 – 2004.I punti 1c) e 1d) inglobano i funzionamenti cognitivi medio bassi e DPS. Sono

bambini cui è stata recapitata la diagnosi di autismo in comorbilità signifi cativa

2 La comorbilità è definita come coesistenza di malattia(e) che si aggiungono alla condi-zione indice di uno studio. La condizione indice è, a sua volta, la malattia oggetto dell’investi-gazione (Last, 2008).

3 “CI”, intervallo di confidenza, è il range di valori assunti da una variabile che ha una pro-babilità definita di contenere il vero valore assunto dalla variabile indagata (Last, 2008). Nel caso in nota 0,03 è il valore da aggiungere o sottrarre al numero restituito: 9,37 (9,37 + 0,03).

4 “P” seguito dall’abbreviazione decimale – ad es. 0,01, 0,05 – è l’indicazione della proba-bilità che quanto osservato sia dovuto al caso. Si conviene che per un valore di P inferiore al 5% (P<0,05) sia un livello di probabilità sufficiente per affermare la “significatività statistica” (Last, 2008).

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con altri focus diagnostici o, addirittura, che fuoriescono da RM con sintomato-logia autistica per così dire associata (15-30 % di casi). Si è di fronte a situazioni di confondimento5 più che di comorbilità.

Si è immaginato – alcuni AA. sembrerebbero suggerirlo – un aumento della prevalenza (se pur su popolazione non precisata), riguardando come indicative le cifre 4,7 negli anni 60-90, verso il 12,7 del 2004 (Rutter et al., 1967). Ma: a) non è stata precisata la frazione attribuibile di rischio6 per le singole cause chiamate, di volta in volta, in causa come fattori eziologici, b) si è dato per scontato, sotto-valutato, o ignorato del tutto, il Rischio Relativo di autismo per popolazioni con diverse caratteristiche, c) non si è mai confrontato l’andamento del dato prevalen-za nel tempo7, in funzione dei fattori di rischio condivisi, in popolazioni simili. A riguardo di quest’ultimo punto i dati di meta analisi non sembrano evidenziare epidemie in atto. Tali dati rinviano il problema ai precedenti punti 1 e 2. In Levi et al. (2007) è riferita una prevalenza in presenza della comorbilità al 9,37 %00 e una prevalenza al netto della comorbilità compresa tra 3,7 e 3,81, con CI 0,03 e livello di signifi catività 95%. Il coeffi ciente di una retta o di un piano di regres-sione ipotizzabile, allo stato, non propenderebbe né verso 1 né -1, allontanando defi nitivamente l’ipotesi di crescita epidemica della condizione.

Un’altra criticità si riscontra in quanto non si dispone di una quantifi cazione oggettiva dei casi attesi di autismo, ovvero del rischio specifi co della condizione.

Si provi a porre la domanda se il N di eventi osservati (diagnosi certe) coincide con il N di eventi attesi?

Se si prende spunto dai dati disponibili in Italia, è possibile immaginare lo scenario che segue.

1) Sia data una popolazione in cui insistano i rischi che inducono la patologia della dimensione di 6 milioni di bambini, nella fascia di età che ci interessa.

2) Si supponga di ritenere valida una stima della Prevalenza pari al 3,8 %00.3) I casi attesi sarebbero, per tanto, 2.286.Poiché sembra sussistere un generale accordo sul fatto che la genesi dell’auti-

smo implichi la preesistenza di fattori causali genetici e di altra natura, non tutti noti, e di cui non è conosciuta la frazione di Rischio Attribuibile (RA), possiamo assumere l’indipendenza degli eventi così che quando essi si verifi cano, si distri-buiscono nella popolazione secondo il modello di Poisson (Meara e Burls, 2004)8. Ragionamento, questo, che appare condiviso da alcuni degli AA.

5 Una situazione è considerata di confondimento quando gli effetti di due o più processi non sono separati. L’effetto che si presume sia conseguente all’esposizione a un rischio è distor-to dall’influenza che altri fattori hanno sul prodursi dell’effetto medesimo (Last, 2008).

6 Ovvero la proporzione che esprime quanto ogni singolo fattore che concorre all’effetto – e il cui insieme rappresenta il rischio attribuibile – incide di per se stesso. E, vice versa, la frazione che esprime quanto si sarebbe ridotto l’effetto misurato se quel singolo fattore non avesse avuto efficacia.

7 Per esempio attraverso l’analisi regressiva logistica o multivariata.8 La distribuzione di Poisson è preferita per la descrizione di eventi con una piccola proba-

bilità di verificarsi, quindi considerati “rari”.

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34

A questo punto, premesso quanto sopra, si può stimare quale sia la frazione di diagnosi certe in cui possiamo attenderci di imbattersi, rispettando in pieno tutti i parametri, secondo la formula:

pr (Obs = obs|Exp = exp) = (expobs e-exp) / obs!

pr è la probabilità;Obs gli eventi osservati;Exp gli eventi attesi;

il segno “!” indica il calcolo della fattoriale del valore.

La probabilità di diagnosticare un caso certo di malattia, ove l’attesa sia di 2.286 casi, è data quindi da

Pr (Obs = 1 |Exp = 2.286)

= (2.286 1 e -2.286)/1!

= 0,2656

Quanto sopra calcolato può essere sintetizzato nella seguente forma (Tab. 2), che ben evidenzia l’andamento del fenomeno nel nostro modello.

Tabella 2. I casi di autismo attesi nel modello teorico sviluppato,

in base alla distribuzione di Poisson.

casi attesi x 1000 Poisson D casi osservati

2,286 0,2656595 607,2975

Una evenienza di casi osservati di poco superiore a un quarto dei casi attesi, per test unidirezionali. Poco meno per il test a due code.

Il ragionamento precedente, applicato alla popolazione generale,consente di eff ettuare delle stime della prevalenza. Queste stime dovrebbero essere possibil-mente eff ettuate in sottopopolazioni con caratteristiche uniformi, particolarmen-te per quanto riguarda il quoziente intellettivo e la coesistenza di altre diagnosi psicopatologiche. Partendo da un modello uniforme di predittività della prevalen-za si potrebbero programmare studi di Incidenza ad hoc.

Nel tempo e nello spazio dei periodi osservati dai diversi studi si delineano aggregazioni tra diff erenti variabili. Ad esempio, non soltanto quanti siano i RM che insistono nella diagnosi di DPS, oppure in quali campioni di popolazione si rilevino i tassi più elevati. Attraverso l’analisi multivariata dei dati emergono le informazioni che, in forma concettuale, sono riassunte di seguito.

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1. Negli studi rivisitati la prevalenza decresce quando le dimensioni del cam-pione analizzato aumentano. Più è grande la popolazione indagata, mino-re è la prevalenza di diagnosi di autismo. Questo fenomeno, coerente con il modello di Poisson di cui abbiamo parlato in precedenza, rispecchia la oggettiva diffi coltà di formulare diagnosi. Inoltre accresce l’importanza di usare grande cautela nella scelta dei campioni, specie se di dimensioni infe-riori a 100.000 unità, per studi di incidenza o prevalenza dei DPS.

2. Il coeffi ciente intellettivo (QI) più elevato, o i ‘funzionamenti’ migliori, si riscontrano nelle diagnosi di autismo eff ettuate in campioni di dimensioni grandi, nella fascia di età compresa tra 5 e 15 anni. Presumibilmente con il trascorrere degli anni le diagnosi sono più precise e risentono meno di comorbilità e fattori di confondimento imputabili a sintomi che l’autismo ha in comune, almeno per qualche tempo, con altri disturbi.

3. La variabile ritardo mentale e il QI più basso sono un frequente riscontro nella fascia di età 3-6 anni. Il RM e l’autismo sono entità diff erenti. Sembra-no distribuirsi con caratteristiche proprie nella popolazione generale. Nella fascia di età più bassa le diagnosi potrebbero essere più frequentemente inesatte. Entrambi le condizioni, tuttavia, che in questo studio trattiamo come variabili composte, dal punto di vista statistico, sembrerebbero condi-videre qualcosa in più della mutua relazione di comorbilità. Il RM sembra essere all’origine di una ‘sotto-popolazione’ nella quale il rischio relativo di autismo è maggiore. Sono necessari studi “ad hoc” per verifi care tale ipotesi, ma è evidente che le diagnosi autistiche, nei dati degli AA. rivisti, sono concentrate nella popolazione con ritardo mentale e con età più bassa.

4. Le prevalenze più elevate si riscontrano in popolazioni con diversa espres-sione del rischio specifi co rispetto a quella generale.

Discussione

La quantifi cazione del rischio di autismo nella popolazione implica intrin-seche insidie, soprattutto per la dinamica evolutiva del disturbo e la varietà di espressione dei sintomi, in particolare se condivisi con il ritardo mentale.

Dall’esperienza degli autori e dalla lettura dei dati epidemiologici si traggono le seguenti indicazioni.

1. Sarebbe opportuno utilizzare stime distinte del rischio relativo in diverse popolazioni o sotto popolazioni, sia storicamente che allo stato.

2. È necessario quantifi care la frazione attribuibile di rischio (RA) per singolo fattore eziologico.

3. Gli eff etti dei fattori eziologici debbono essere stratifi cati PRIMA di eff et-tuare misurazioni.

L’approccio deve avvalersi di un modello matematico (Middleton, 2004) che possa contenere tutti i fattori di rischio, riconoscere i confonditori, e avvalersi nel calcolo una variabile certa di esposizione (i.e. genotipo).

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Permangono anche domande aperte: da un punto di vista epidemiologico l’au-tismo è da riguardarsi come “malattia rara” ? Come una malattia “emergente” (non sembra averne le caratteristiche nella storia genetica ed evoluzionistica)? Come una variante geno-fenotipico? Per ciascuna di queste domande, e molte di più, non si dispone ancora di modelli di analisi adeguati e condivisi. L’autismo è una condizione in cui entrano in gioco più fattori di rischio. Questi esercitano ruoli diversi, e non tutti noti, nei meccanismi che controllano la relazione tra esposizio-ne e manifestazione della condizione. La considerazione simultanea di numerosi fattori di rischio può condurre a conclusioni epidemiologiche dissimili rispetto a quelle che si sarebbero potute trarre considerando ciascun fattore di rischio come a sé stante, e quindi separatamente. Un fattore di rischio intrattiene con la con-dizione che chiamiamo malattia una relazione di tipo peculiare: a) l’esposizione induce sempre la malattia; b) l’esposizione può indurre la malattia, con una proba-bilità maggiore di uno (per convenzione), ovvero della probabilità che la malattia insorga in mancanza del fattore di rischio. La variabile che assume queste caratte-ristiche è denominata exposure variable (ev).

Ciascun fattore di rischio costituisce una variabile.Potrebbe sembrare che alcuni fattori di rischio modifi chino l’eff etto di altri.

Questi, in realtà, modifi cano la relazione tra esposizione e malattia, di cui sopra. Anche questi fattori di rischio, eff ect modifi ers, sono variabili (em). Le evm non dovrebbero essere individuabili nei controlli di studi il cui focus contenga la rela-zione esposizione malattia (Kleinbaum, Sullivan, Barker, 2007).

Queste considerazioni, se pure di carattere generale, ci appaiono come corolla-rio appropriato della discussione. Se, come abbiamo visto, il rischio che si instauri la condizione di autismo si confi gura nella situazione di esposizione a una (o più) variabili esposizione e variabili modifi catori di eff etto, la via maestra per una de-terminazione sperimentale dei dati di incidenza e prevalenza passerebbe per uno studio a coorte, su popolazione generale, che consideri sia ev che em, e stratifi chi queste ultime. Il modello matematico (ad esempio la regressione logistica) di ap-proccio per l’analisi dei dati dovrebbe contenere tutte le variabili considerate, in funzione del prodotto di relazione.

I problemi aperti, rispetto alle linee di sviluppo, sono relativi al discorso su il rischio autistico nelle popolazioni con ritardo mentale; infatti, viene generalmen-te riportata una associazione tra i due quadri in una percentuale elevata di casi (fi no al 70% a seconda degli studi). È possibile ipotizzare un rischio autistico, nei soggetti con ritardo mentale, 10 volte superiore rispetto alla popolazione senza ritardo. D’altro canto non è possibile, allo stato attuale, diff erenziare all’interno delle sindromi da un punto di vista qualitativo e quantitativo ma semplicemente in base al grado di ritardo.

Infi ne, un problema analogo è il valore nosografi co, e indirettamente epide-miologico, da attribuire al gruppo dei DPS nas che sembrano essere a cavallo tra i disturbi dello spettro autistico e i disturbi dello sviluppo.

Nota: Ringrazio il Prof. G. Levi che ha posto il problema epidemiologico dei disturbi dello spettro

autistico (vedi a tale proposito Levi, 1993, Levi et al., 2007).

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