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LEZIONI DI ANALISI INFINITESIMALE Dipartimento di Matematica ed applicazioni Universit` a di Milano-Bicocca Anno accademico 2011–2012

Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

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Lezioni Di Analisi Infinitesimale

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LEZ ION I D I ANAL IS I INF IN I TES IMALE

simone secchi

Dipartimento di Matematica ed applicazioniUniversita di Milano-Bicocca

Anno accademico 2011–2012

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PREFAZ IONE

Le dispense che state leggendo nascono dall’esperienza di insegna-mento del corso di Matematica per gli allievi biotecnologi dell’Universi-ta di Milano-Bicocca. La prima difficolta che ho incontrato nella pre-parazione del corso e stata quella di scegliere un libro di testo. Alcuneesigenze hanno reso molto difficile questo compito: innanzitutto e op-portuno utilizzare materiale in lingua italiana, onde evitare di aggiun-gere la difficolta di apprendimento in una lingua straniera a quellaintrinseca della materia. Inoltre, la presenza di argomenti piuttostoavanzati (introduzione alle equazioni differenziali ordinarie, cenni aimetodi di approssimazione) esclude la maggioranza delle opere attual-mente presenti sul mercato.

Dalle discussioni con alcuni insegnanti di scuola media superiore, eemerso chiaramente l’abbassamento del livello dei programmi scolas-tici rispetto a quelli di vent’anni fa. Basti dire che, nei licei scientifici enei principali istituti tecnici degli anni ’90 del secolo scorso, era consue-tudine insegnare tutti gli argomenti che tratteremo in queste dispense,sebbene con poche dimostrazioni rigorose. Non era raro, poi, studiareil calcolo combinatorico e qualche concetto di probabilita elementare.Esistevano testi universitari molto completi e possenti, che le succes-sive riforme dell’offerta didattica hanno reso inevitabilmente obsoleti.

Questi appunti sono nati come una sorta di “guida” per intrapren-dere lo studio dei principi del calcolo differenziale ed integrale. Neglianni, ho apportato molte correzioni, molti cambiamenti e parecchieaggiunte di materiale. Il materiale costituisce ormai un testo sufficien-temente completo e dettagliato di analisi matematica di base. Ognicapitolo costituisce un argomento o una serie di argomenti affini, checostituiscono l’ossatura del corso di Matematica per la laurea di primolivello in Biotecnologie, Biologia, e piu generalmente in tutti i corsidove non si debba insegnare il calcolo matriciale e vettoriale. Pur con-tro il mio interesse, devo avvertire che queste note non si prestano adessere un libro di testo per matematici e fisici; servirebbe almeno uncapitolo di topologia generale sulla convergenza negli spazi metrici.

In questa versione ho inserito, per completezza, un breve capitolosulle serie numeriche (di numeri reali). Difficilmente c’e il tempoper insegnare anche questo argomento, che in effetti sarebbe utile af-frontare. Il capitolo sulle serie non e comunque indispensabile allacomprensione del resto delle dispense. La speranza e che anche glistudenti dei corsi di Ingegneria possano trovare il materiale trattato alezione.

Gli argomenti trattati sono quelli classici, esposti nell’ordine piu clas-sico:1 brevi richiami di insiemistica e di teoria elementare delle fun-

1 Recentemente, sono apparsi sul mercato testi, non ancora tradotti in italiano, che van-tano una presentazione dell’analisi matematica classica secondo un ordine “naturale”.Occorre dire che il cammino cronologico della matematica non rispecchia fedelmente

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zioni, successioni e loro limiti, limiti di funzioni e funzioni continue,derivazione, integrazione secondo Riemann. I prerequisiti sono quellidi ogni corso di matematica a livello universitario, e comprendonol’algebra delle scuole superiori, i principi della geometria analitica nelpiano, le piu importanti formule della trigonometria e possibilmentela capacita di usare la logica elementare.

Ho evitato, con una scelta che molti potrebbero ritenere azzardatao sbagliata, di appesantire il testo con esercizi, applicazioni ed esempisvolti. Qualche esempio e controesempio e sempre opportuno, ma nonbisogna credere che l’analisi matematica si riduca ad un elenco di es-empi. Per gli esercizi, vale un altro discorso: tipicamente gli studenti siconvincono che gli esercizi del libro di testo siano necessari e sufficientia superare l’esame. Una convizione affatto sbagliata, che non intendoincoraggiare. Inoltre, la teoria dell’analisi matematica di base si prestaad esercizi di vari livelli. Per questo ho lasciato al docente l’onere el’onore di scegliere quali esercizi affiancare al testo.

Nell’ultimo decennio, l’universita italiana ha subito molti cambia-menti. La (presunta) urgenza di aumentare il numero di laureati haspinto il legislatore a ridurre e semplificare il percorso formativo deglistudenti. Se prima avevamo – poniamo – cento laureati provenientida lunghi corsi annuali di otto mesi, ora abbiamo centoventi laureatiche hanno assorbito come spugne gli stessi contenuti esposti pero su-perficialmente. Non e difficile comprendere che i corsi di matematicagenerale per le lauree scientifiche hanno sopportato tagli ed abusi diogni sorta. Allo stato attuale delle cose (ma si sa che al peggio nonc’e mai fine), l’antico corso di matematica che si estendeva da ottobrea giugno e ridotto ad un corso di dodici settimane all inclusive. Peramore o per forza, il programma si e apertamente sbilanciato verso ilcalculus delle universita americane. Studiando su alcuni libri italianipiu recenti, sembra che tutto si riduca a qualche tecnica di calcolo daapprendere alla stregua della ricetta per fare una torta. Questo ap-proccio non sarebbe privo di utilita, purche al primo corso di calculusne seguisse uno di mathematical analysis. Purtroppo (per chi scrive)o per fortuna (per chi deve ancora laurearsi), nei corsi di laurea sci-entifici spesso non c’e spazio per un corso avanzato di matematica.Queste dispense si propongono come un ragionevole compromesso frala praticita del calcolo e il rigore dell’analisi matematica. Ovviamenteil docente ha sempre la responsabilita, talvolta gravosa, di decidere illivello di difficolta del proprio corso.

La teoria elementare delle successioni viene esposta come primoesempio per lo studio dei limiti. Infatti, la definizione di limite peruna successione (di numeri reali) e piu immediata di quella per unafunzione reale di una variabile reale. Sebbene l’esperienza mi abbia

quello dei capitoli delle nostre dispense. La derivabilita e stata studiata euristicamenteprima che si fosse capito il concetto di continuita. Per molti anni ha fatto scuolal’approccio alla Bourbaki, in cui la deduzione logica prevale sulla storia: se tutte le fun-zioni derivabili risultano continue, e meglio allora spiegare innanzitutto che cosa siauna funzione continua. Personalmente penso che per fare matematica si piu convenienteapprenderne le basi secondo la dipendenza logica. Uno storico della matematica haprobabilmente un’opinione diversa in materia.

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dimostrato che le successioni non sono un argomento che eccita glistudenti, continuo a credere che cancellarle completamente dagli argo-menti trattati sarebbe una perdita piu che un guadagno.

Nelle prime pagine ho inserito alcuni cenni, volutamente superficialie pratici, di logica booleana elementare. Di fatto, e emerso che la piugrande difficolta per gli studenti del primo anno e l’abitudine a trarreconclusioni logiche da ipotesi astratte o sperimentali. E importante,in matematica, sapere che se un insieme di oggetti e descritto dalla“sovrapposizione” di due o piu condizioni, gli oggetti che non cadonoin questo insieme sono quelli che non soddisfano almeno una delle sud-dette condizioni. Altrettanto inevitabile e l’uso delle espressioni “perogni” ed “esiste”, che appaiono praticamente in ogni teorema. Hocomunque preferito non usare la simbologia della logica, come ∀ alposto di “per ogni”, ∃ al posto di “esiste”, ⇒ al posto di “implica”.La definizione di continuita per una funzione f : [a,b] → R in x0 sileggerebbe

(∀ε > 0)(∃δ > 0)(∀x ∈ [a,b])(|x− x0| < δ)⇒ (|f(x) − f(x0)| < ε).

Qualunque studente inizia a barcollare di fronte a questa scrittura.Sebbene la notazione “logica” abbia un’eleganza fuori dall’ordinario,ho preferito attenermi a un linguaggio piu discorsivo.

In alcuni casi, ho privilegiato notazioni e convenzioni minoritarienella letteratura italiana. Per fare qualche esempio, ho usato sistemati-camente la notazione operatoriale Df per la derivata di una funzionef. Quasi tutti scrivono f ′, ma per uno studente forse e meno evidenteche la derivazione e un’operazione applicata alle funzioni.

Nel contesto delle successioni, ho usato talvolta l’aggettivo “diver-gente” come negazione di “convergente”. Cio contrasta con la tradizioneitaliana, che distingue le successioni divergenti (all’infinito) da quelleoscillanti fra due valori finiti o infiniti. Per essere espliciti, i testi ital-iani dicono che {n2} e una successione divergente, mentre {(−1)n} eoscillante. Capitera spesso, tuttavia, di scrivere o pronunciare frasicome “la successione pn tende all’infinito”, al posto della piu corretta“la successione pn diverge a infinito”.

Il capitolo sulla teoria della derivazione e piuttosto esaustivo, manon concede molto al calcolo esplicito delle derivate elementari. Sonoabbastanza convinto che in un testo universitario non abbia moltosenso calcolare una dozzina di derivate secondo la definizione; e piut-tosto compito delle esercitazioni e dello studio individuale di ciascunostudente.

In questa versione aggiornata ho introdotto un breve paragrafo sull’in-tegrazione indefinita. La scelta iniziale di trascurare completamentequesto argomento appariva forse arrogante e snob: se un matematico oun fisico possono giudicare perfino noiose le tecniche di calcolo delleprimitive, un biotecnologo ha bisogno anche di imparare a fare qualchecalcolo di routine. Resta tuttavia una sezione in un capitolo, perchesono convinto che la ricerca delle primitive sia un mezzo e non unfine.

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Il capitolo sull’integrazione secondo Riemann fornisce una trattazionepiu ampia di quella presente in molti libri di testo. Difficilmente c’eil tempo per discutere tutti i dettagli in aula, ma la scelta di rias-sumere l’integrazione definita in due o tre pagine di teoremi calatidall’alto non mi convince. Nella presente versione, ho aggiunto unabreve sezione sull’integrale di Riemann visto attraverso le cosiddettefunzioni a scala. Purtroppo i limiti di questo corso impediscono diapprezzare la costruzione delle funzioni integrabili come limite (op-portuno) di funzioni a scala. Alcuni Autori seguono questo approcciofin dall’inizio, ma la mia opinione e che gli allievi di un primo corso dianalisi matematica non siano pronti per i concetti di completamentodi uno spazio metrico, di estensione di un funzionale lineare continuo,di limite monotono per successioni di funzioni. Benche meno elegantee meno confrontabile all’integrale di Lebesgue, la costruzione di Dar-boux conserva ancora oggi il pregio della intuizione geometrica.

Un breve capitolo, intitolato significativamente Le fil rouge2, costi-tuisce un affascinante intermezzo riassuntivo degli argomenti svoltinei capitoli precedenti. Non vengono introdotte idee sostanzialmentenuove, ma viene mostrato come tutte le definizioni di limite possanoessere raccolte sotto un’unica formulazione. I colleghi matematicinon avranno difficolta a riconoscere i rudimenti della convergenza diMoore–Smith (nei fatti un caso particolare di net o di ultrafiltro). Il re-cente volume di Beardon [4] e un’esposizione dell’analisi matematicadi base costruita mediante questo linguaggio astratto di convergenza.Personalmente temo che i vantaggi di un’adesione radicale a questoapproccio siano piuttosto scarsi; d’altronde, stiamo parlando di teoriematematiche cosı classiche che qualunque tentativo di “rivoluzione” esostanzialmente improponibile.

Il capitolo sulle equazioni differenziali potrebbe deludere qualchecollega. La teoria rigorosa delle equazioni differenziali ordinarie nonpuo essere svolta senza avere a disposizione il calcolo differenziale perfunzioni di (almeno) due variabili. Quel poco che si riesce a studiare,cioe in ultima analisi le equazioni a variabili separabili, e stato inserito.Il resto del capitolo ha un sapore computazionale, quasi da manualeper autodidatti. Invece, in questa edizione ho aggiunto alcuni para-grafi sulla costruzione delle cosiddette funzioni elementari: seno, coseno,esponenziale e logaritmo. Questo e un punto che merita qualcheparola di commento. Da una parte, sarebbe impensabile affrontarel’intero corso di calcolo senza poter usare queste funzioni; dall’altra, evero che mancano le stesse definizioni rigorose. Quando conosciamo inumeri reali, conosciamo i polinomi, le funzioni razionali, perfino leradici quadratiche, cubiche, ecc. Ma non tutti saprebbero definire inmodo consequenziale un logaritmo. La strategia per uscire da questafastidiosa impasse e quasi sempre quella di chiedere allo studente unatto di fede: si disegnano i grafici delle funzioni elementari, e si pre-tende che questi costituiscano una definizione. E abominevole, ma perfortuna funziona senza apparenti danni collaterali. Il caso delle fun-zioni goniometriche e probabilmente piu rassicurante: partendo da un

2 Il filo rosso.

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triangolo rettangolo qualunque, si definiscono seno coseno e tangentedi un angolo mediante rapporti di segmenti (o meglio delle rispettivelunghezze). La maggiore raffinatezza della costruzione ci spinge aritenere che tutto sia perfettamente rigoroso. Non lo e veramente, mapochissimi studenti se ne accorgono o se ne lagnano.

L’ultimo capitolo e un assaggio di calcolo numerico e approssimato.Sono fortemente critico sull’opportunita di inserire questi argomentiin un corso di matematica generale. Delle due l’una: o si insegnaun’analisi numerica rigorosa, fatta di teoremi e dimostrazioni, e alloraoccorrono molte ore di lezione; oppure si mostra qualche tecnica senzatroppi dettagli, e allora servirebbe una ausilio informatico che rendainteressanti i contenuti dal punto di vista sperimentale. Poiche risultaimpossibile, per varie ragione, attuare entrambe le alternative, forsesarebbe meglio recuperare delle ore per approfondire argomenti giaintrodotti. Lo stile dell’esposizione e dunque meno rigoroso del solito,e tuttavia mi auguro che qualche collega possa approfittare delle ul-time pagine per dare una infarinatura dei metodi numeri piu semplici.

Concludo con un’osservazione non particolarmente originale. Lamatematica e come uno sport: senza esercizio non si fa molta strada.Si impara la matematica facendola, cioe cimentandosi con gli eserciziproposti nelle esercitazioni, con le prove d’esame degli anni precedenti,e anche sfruttando le ore di ricevimento dei docenti. Con rammaricodevo sconsigliare allo studente lo studio sui libri delle scuole superiori.In effetti, il concetto stesso di “dimostrazione rigorosa” appare moltovago in quei libri, e la validita di un teorema e giustificata soventecon un paio di esempi. Ricordiamo, come scherzoso ammonimento,la storiella dei tre scienziati che viaggiano in treno: un ingegnere, unfisico e un matematico. Passando accanto a un recinto di pecore, ilprimo esclama: “Tutte le pecore sono bianche”. Il fisico lo corregge:“Tutte le pecore di questo prato sono bianche”. Interviene infine ilmatematico: “No, possiamo solo dire che esiste un prato in cui ci sonodelle pecore, e queste pecore hanno almeno un lato bianco”.

Sono certo che molti studenti sono arrivati fin qui nella speranza ditrovare la frase che ogni Autore si sente in obbligo di inserire nell’in-troduzione alla propria opera: mi sono sforzato di rendere la matemat-ica piu interessante. Purtroppo devo deluderli: ho sempre creduto chela matematica possa divertire al pari della buona letteratura, ma c’ebisogno della classica scintilla che accende l’interesse. Un romanzo sipuo leggere per passare il tempo, un quadro si puo osservare superfi-cialmente; un teorema richiede attenzione, tempo e fatica. Potremmoforse dire che la matematica e un’arte che non si puo subire passiva-mente, ma che proprio per questo sa dare grandi soddisfazioni.

Ringraziamenti tecnico–informatici

Queste dispense sono state redatte utilizzando il sistema di scrit-tura LATEX3 su computer dotati del sistema operativo Apple Mac OS

3 Si legge approssimativamente “latek”. L’URL di riferimento e http://www.tug.org

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X. L’autore e profondamente grato a Donald Knuth per aver creato asviluppato il sistema di videoscrittura TEX, senza il quale la stesuradi queste note sarebbe stata molto piu complicata. La variante LATEXe stata costruita da Leslie Lamport, ed e il “dialetto” utilizzato perscrivere queste dispense. Lo stile e “ArsClassica”, di Lorenzo Pantieri.

Le figure sono state prodotte dall’autore mediante i programmi XFig4

e Maple.5 La figura 5.1 e stata creata invece con il software Asymp-tote.6

Cantu e Milano, aprile 2011.

4 http://www.xfig.org5 Maple e un marchio registrato di Maplesoft Inc. http://www.maplesoft.com6 http://asymptote.sourceforge.net

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1 INS IEM I E PROPR IET A DE INUMER I REAL I

1.1 cenni di logica elementareQualunque scienza esatta e fondata sul ragionamento logico–deduttivo.Per noi, questo significa che seguiremo alcune leggi di calcolo con leproposizioni. Non avendo ne l’obiettivo, ne tantomeno il tempo peroccuparci della relativa teoria, ci limiteremo a brevi cenni.

Innanzitutto, gli oggetti delle nostra logica for dummies sono le propo-sizioni, cioe frasi di senso compiuto. Indicheremo le proposizioni conlettere minuscolo, ad esempio p, q, r, ecc. Una proposizione potrebbeessere “se piove, prendo l’ombrello”, oppure “la mia squadra del cuoree l’Inter”.

Esattamente come i numeri sono gli atomi del calcolo numerico, leproposizioni sono i mattoni con cui costruire il linguaggio della matem-atica. Si pensi ad un teorema, che ha la forma “Se e vera p, allora evera q”. Ogni proposizione assume, nella logica classica, due valori:vero (V) o falso (F).1

Esaminiamo rapidamente le principali operazioni con le proposizioni.

Definizione 1.1. Data una proposizione p, la sua negazione e la proposizione∼ p, che risulta vera quando p e falsa, e falsa quando p e vera. Quindi la suatavola di verita e

p ∼ p

V FF V

Ovviamente, la negazione di una proposizione si effettua seguendol’intuizione: la negazione di “oggi piove” e “oggi non piove”. Occorreprestare attenzione alle insidie del linguaggio comune. Infatti, sarebbesbagliato affermare che la negazione di “oggi piove” e “oggi c’e il sole”.In effetti, potrebbe anche nevicare!

Definizione 1.2. Date due proposizioni p e q, la loro congiunzione p∧q (silegge: p e q) e vera se e solo se sia p che q sono vere, e falsa in tutte le altresituazioni. La tavola di verita della congiunzione e pertanto

p q p∧ q

V V VV F FF V FF F F

1 Gli informatici usano 1 per la verita e 0 per la falsita. Segnaliamo che esiste una logica,detta “fuzzy”, in cui una proposizione puo essere qualcosa di diverso da vero o falso.

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In pratica, congiungere due proposizioni significa metterle a sistema:in particolare, p∧ (∼ p) e sempre falsa.

Definizione 1.3. Date due proposizioni p e q, la loro disgiunzione p∨ q (silegge: p o q) e vera quando almeno una fra p e q e vera, e falsa altrimenti. Latavola di verita risulta pertanto

p q p∨ q

V V VV F VF V VF F F

Osservazione 1.4. Lo studente faccia attenzione: l’operazione di dis-giunzione e intesa in senso largo, non in senso esclusivo. Nel linguag-gio comune, si usa “oppure” per escludere l’eventualita che entrambele proposizioni siano vere. In matematica, “oppure” non esclude af-fatto la verita simultanea dei due argomenti. In particolare non e con-traddittorio dire che “2 e un numero pari oppure 3 e dispari”.

Veniamo infine all’operazione su cui si costruiscono i teoremi: l’impli-cazione.

Definizione 1.5. Date due proposizioni p e q, l’implicazione p ⇒ q (silegge: p implica q, oppure “se p allora q”) risponde alla tavola di verita

p q p⇒ q

V V VV F FF V VF F V

Infine, scriveremo brevemente p ⇔ q (da leggere “p se e solo se q”, oppure“p equivale a q”) per indicare la proposizione (p⇒ q)∧ (q⇒ p).

Lo studente legga bene la definizione precedente. Non e proprioin li nea con le aspettative della nostra intuizione, soprattutto nel mo-mento in cui si afferma che “falso implica falso” e vero. In realta, vienesemplicemente sostenuto che da un’ipotesi falsa puo essere tranquilla-mente dedotta una conclusione falsa. Si ricordi che la logica propo-sizionale non giudica il contenuto delle singole proposizioni, ma solole regole con cui si opera su di esse.

Come detto, i teoremi saranno sempre scritti nella forma, o in formea questa rincoducibili, Se p allora q. Lo studente, per esercizio, scrivala tavola di verita di p ⇒ q e di (∼ q) ⇒ (∼ p). Il fatto che coinci-dano non e casuale, ed anzi costituisce la tecnica di dimostrazione perantinomia.

Concludiamo con qualche parola sui quantificatori.

Definizione 1.6. Il quantificatore universale ∀ si legge “per ogni”, mentre ilquantificatore esistenziale ∃ si legge “esiste”.

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I quantificatori permettono di comporre proposizioni articolate. Adesempio

(∀x ∈ R)(∃n ∈N)(n > x)

si legge “per ogni numero reale x esiste un numero naturale n tale chen e maggiore di x”. Inoltre i quantificatori si negano scambiandoli:la negazione di “per ogni” e “esiste”, e viceversa. La negazione dellaprecedente proposizione e dunque

(∃x ∈ R)(∀n ∈N)(n 6 x),

cioe “esiste un numero reale x tale che, per ogni numero naturale n,risulta n e minore o uguale a x”.

Vediamo ora alcuni esempi.

1. Siano p = p(x) = (“x e un numero negativo”) e q = q(x) =

(“x2 > 2”). Allora l’insieme E = {x ∈ R | p(x)∧ q(x)} e l’insiemedei numeri reali negativi, il cui quadrato e piu grande (o uguale)di 2. Dunque stiamo descrivendo l’insieme (−∞,

√2].

2. Usando le rispettive tavole di verita, si verifica in pochi istantiche p ⇒ q e logicamente equivalente a (∼ p) ∨ q. A parole,affermare che p implica q significa affermare che o l’ipotesi p efalsa, oppure che e vera la tesi q. In particolare, l’implicazione⇒ non e un concetto primitivo, alla pari di ∧ e ∨.

3. Descriviamo il complementare dell’insieme

E = {x ∈ Z | x e dispari e ex 6 7}.

Posto p(x) = (“x e dispari”) e q(x) = (“ex 6 7”), osserviamo cheE = {x ∈ Z | p(x)∧ q(x)}. Quindi il suo complementare e, perdefinizione, Z \ E = {x ∈ Z |∼ p(x)∧ q(x)} = {x ∈ Z | (∼ p(x))∨

(∼ q(x))} = {x ∈ Z | x e pari oppure ex > 7}. Poiche log 7 ≈ 1.9,abbiamo una descrizione esplicita del complementare:

Z \ E = {x ∈ Z | x e pari}∪ (Z∩ [2,+∞)).

4. Vogliamo negare la proposizione “Per ogni numero reale ε > 0

esiste un numero reale δ > 0 tale che la proprieta P e vera”.Seguendo le regole di negazione dei quantificatori, possiamo con-cludere che la negazione di questa proposizione e “Esiste un nu-mero reale ε > 0 tale che per ogni numero reale δ > 0 la proprietaP e falsa”. Nel seguito avremo occasione di applicare questo ra-gionamento abbastanza spesso.

Lo studente interessato ad approfondire la logica elementare e il cal-colo proposizionale, puo consultare il primo capitolo del libro [32]. Peruna trattazione estremamente interessante, sebbene altrettanto puntigliosa,rimandiamo a [7].

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1.2 richiami di insiemistica

Un noto proverbio recita: Chi ben comincia ha la meta dell’opera.2 E unmodo gentile per sostenere che la parte piu difficile di ogni impresa el’inizio; il resto verra da se.3 L’apprendimento dela matematica non faeccezione a questa regola, e addirittura si prendono delle scorciatoie.Alle scuole elementari tutti noi abbiamo imparato a fare i conticini, maforse nessuno ha imparato la definizione di numero (intero positivo).

Anche il concetto di insieme e considerato, nella matematica ele-mentare, come un concetto primitivo. Questo significa che non faremoalcuno sforzo per definirlo in termini di altri concetti gia noti. Breve-mente, un insieme sara per noi un raggruppamento4 di oggetti di naturaben specificata. Parleremo pertanto dell’insieme delle automobili dicolore rosso, come pure dell’insieme dei gatti dagli occhi verdi.

Nota linguistica. Nelle principali lingue neolatine il sostantivo perindicare l’insieme matematico ha lo stesso significato doppio che hain italiano. Infatti, si usa conjunto in spagnolo, ensemble in francese,insieme in italiano. Questo si rispecchia nel significato intuitivo cheun insieme e proprio un raggruppamento di oggetti, che sono “messiinsieme”. Il rumeno si discosta leggermente con multime, chiaramenteindicativo di una moltitudine di oggetti. In inglese, invece, si usa ilsostantivo set, e si parla di set theory. Qui si coglie una sfumatura piupragmatica, come a voler sottolineare che un insieme e qualcosa cheviene organizzato, disposto, quasi “pronto all’uso”.

E consuetudine5 denotare gli insiemi con lettere maiuscole dell’alfabetolatino:

A,B,C,X, Y,Z, . . .

Come detto, ogni insieme e formato dai suoi elementi, di qualunquenatura essi siano. In matematica, l’appartenenza di x all’insieme X eindicato dal simbolo

x ∈ X.

Quindi, per ogni insieme X, risulta che6

X = {x | x ∈ X}.

2 Non e un errore di battitura, e italiano arcaico. E senz’altro piu diffusa la versione initaliano moderno: Chi ben comincia, e a meta dell’opera.

3 Cogliamo l’occasione per un interludio di sconfortante pignoleria, tipica dei matematici.Nessun proverbio e una proposizione logicamente vera, ne potrebbe esserlo. Nel nostroesempio, nulla vieta di cominciare bene e, tuttavia, fallire clamorosamente ben primadella meta dell’opera. I proverbi appartengono alla tradizione popolare, si sostengonosu basi puramente “statistiche” e di buon senso, e spesso hanno un fine consolatorio omoralistico.

4 Oppure una collezione.5 In certi settori della matematica, capita di denotare un insieme con una lettera minuscola

o addirittura con lettere di alfabeti non latini.6 la sbarra verticale |, spesso sostituita dai due punti, si legge “tali che”. Quindi la scrittura

seguente si legge “X e l’insieme degli elementi x tali che x appartiene ad X”.

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Il fatto che l’elemento x non appartiene all’insieme X, si esprime scrivendo

x /∈ X.

Allo studente dovrebbero essere familiari le operazioni elementarisugli insiemi, cioe l’unione, l’intersezione, il complementare di insiemi.Ricordiamo che

X∪ Y = {x | x ∈ X oppure x ∈ Y}X∩ Y = {x | x ∈ X e x ∈ Y}Xc = {x | x /∈ X}

X \ Y = {x | x ∈ X e x /∈ Y}.

Ovviamente, per poter parlare dell’insieme X \ Y e necessario che Y ⊂X, cioe che ogni elemento di Y sia anche un elemento di X.

Esempio 1.7. Siano

X = {1, 2, 3, 4}, Y = {3, 4, 5, 6},

pensati entrambi come sottoinsiemi di N. Allora X∪ Y = {1, 2, 3, 4, 5, 6},X ∩ Y = {3, 4}. In generale, osserviamo che {x, x} = {x}, cioe la ripe-tizione di un medesimo oggetto non altera la struttura dell’insieme.Di conseguenza, possiamo elencare lo stesso oggetto piu volte nella de-scrizione di un insieme, senza che questa ripetizione modifichi l’insiemeconsiderato.

La congiunzione “oppure” viene usata dai matematici in senso lato:x ∈ X ∪ Y significa che x appartiene ad almeno uno dei due insiemi Xed Y, ed eventualmente ad entrambi. Nella lingua italiana, l’affermazione“esco oppure resto a casa” e interpretata in maniera esclusiva, essendopiuttosto improbabile che io possa essere contemporaneamente dentroe fuori casa. A volte puo capitare di dover scrivere proprio un’unioneesclusiva, e in matematica si usa la scrittura

X∆Y = {x | x appartiene a X o a Y ma non ad entrambi}

= (X∪ Y) \ (X∩ Y).

Il fatto che gli elementi di un insieme E appartengano anche a un (altro)insieme X si scrive

E ⊂ X oppure X ⊃ E.

Osservazione 1.8. A scanso di equivoci, sottolineiamo che, per noi,scrivere E ⊂ X non esclude affatto che E = X. Alcuni testi usano ilsimbolo ⊂ in senso esclusivo, mentre usano E ⊆ X per dire quello chenoi diciamo con E ⊂ X.7

Probabilmente meno nota e la costruzione del prodotto cartesianodi due insiemi. Nel nostro corso non avremo grandi occasioni di farneuso, ma preferiamo spendere qualche parola visti i legami con il pianocartesiano.

7 In parole povere, su molti libri E ⊂ X significa che ogni elemento di E appartiene anchead X, ma E non coincide con X.

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Definizione 1.9. Dati due insiemi X ed Y, il loro prodotto cartesiano X× Ye l’insieme i cui elementi sono coppie ordinate del tipo (x,y) dove x ∈ X edy ∈ Y.

L’aggettivo “ordinate” si riferisce alla seguente proprieta: due cop-pie (x,y) e (x ′,y ′) sono uguali se e solo se x = x ′, y = y ′.

Osservazione 1.10. Una coppia ordinata non e un concetto davveroprimitivo: la definizione piu maneggevole e (x,y) = {{x}, {x,y}}. Maquesta definizione e poco gradita alla gran parte degli studenti dimatematica, che di solito imparano ad operare con le coppie ordinatesenza problemi.

Chiudiamo qui la nostra breve rassegna di teoria elementare degliinsiemi per principianti. Ovviamente, i matematici si divertono ad ap-profondire, generalizzare, e quasi smembrare i concetti introdotti. Lateoria degli insiemi (Set Theory in inglese) e uno dei rami piu teoricie tecnici della matematica moderna. Lo studente che volesse appro-fondire ulteriormente le problematiche della moderna teoria degli in-siemi, puo riferirsi all’appendice di [29].

1.3 insiemi numericiDurante lo studio del nostro corso, lo studente si imbatterquasi esclusi-vamente con insiemi di numeri. Ci sembra utile richiamare brevementela terminologia dei principali insiemi numerici.

L’insieme dei numeri naturali, i primi numeri che l’uomo ha utiliz-zato nella vita quotidiana, e indicato dal simbolo N. Pertanto,8

N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, . . . }.

Se a questi numeri aggiungiamo anche i numeri negativi, otteniamol’insieme dei numeri interi relativi Z, cioe

Z = {. . . ,−5,−4,−3,−2,−1, 0, 1, 2, 3, 4, 5, . . . }.

La necessita di dividere fra loro dei numeri interi relativi ha spintoa costruire un insieme piu capiente di numeri, detti numeri razionali.Questi numeri sono moralmente le frazioni, cioe i rapporti fra duenumeri interi: il primo e chiamato numeratore, e il secondo denominatore.Richiediamo che il denominatore sia diverso da zero. Precisamente,

Q =

{p

q| p,q ∈ Z, q 6= 0

}.

Daremo per scontati i discorsi sulla possibilita di scrivere lo stesso nu-mero razione in infiniti modi diversi, sulla riduzione delle frazioni ai

8 Alcuni libri di testo preferiscono escludere lo zero 0 da N. E una scelta supportata solodal proprio gusto.

12

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minimi termini, e cosı via.9 L’ultimo insieme numerico che introdu-ciamo, e anche quello piu importante. Purtroppo, la sua costruzionenon e affatto elementare, ne e possibile specificare semplicemente checosa occorra aggiungere a Q per ottenerlo. Si tratta dell’insieme deinumeri reali R. Possiamo pensare a R come all’insieme dei punti diuna retta.10 Nonostante questa difficolta tecnica, i numeri reali sonoormai parte integrante della cultura di qulunque studente delle scuolesuperiori. E un dato di fatto che l’uso dei numeri reali e di facilissimoapprendimento, senza dubbio agevolato dalla diffusione delle calco-latrici tascabili negli ultimi vent’anni. Gli sparuti studenti interessatia capire meglio come nascano rigorosamente i numeri reali, possonoconsultare uno dei testi indicati in bibliografia, ad esempio [5, 10].

Non ci sembra il caso di insistere sul fatto che11

N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R.

Nell’affrontare la teoria dei limiti, ci sara utile la seguente proprieta deinumeri naturali rispetto ai numeri reali. La dimostrazione puo essereletta in [37].

Proposizione 1.11 (Proprieta archimedea dei numeri reali). Per ogniy ∈ R ed ogni x > 0 reale, esiste n ∈N tale che nx > y.

Per i nostri scopi, applicheremo quasi esclusivamente il seguente

Corollario 1.12. Per ogni numero reale x > 0, esiste un numero naturale ntale che n > x.

Proof. Ovviamente e una conseguenza diretta della Proposizione prece-dente. Pero si dimostra12 anche in modo elementare: immaginiamoche x sia scritto nella sua espansione decimale, e “arrotondiamolo” alnumero intero n successivo. Per esempio, se x = 1475.1234567, loarrotondiamo a n = 1476. Questo numero naturale n e quello cercato.

Una proprieta meno nota (fra gli studenti, ovviamente) dei numerireali e la seguente.

9 Algebricamente, Q e il primo insieme numerico, a parte l’ovvieta della costruizione di Z,costruibile in maniera elementare ma non banale. Precisamente, i numeri razionali sonodelle classi di equivalenza di coppie ordinate di numeri interi con segno. Se lo studentenon ha capito nemmeno una parola dell’ultima frase, non e grave. In parole povere, lafrazione 1/2 e la coppia ordinata (1,2), e il fatto che 1/2 = 2/4 = 3/6 = . . . sirispecchia nell’introduzione di una “regola”, la relazione di equivalenza, che considerauguali le coppie (1,2), (2,4), (3,6), ecc.

10 Circa mezzo secolo fa, Walter Rudin osservava nella prefazione del suo libro [37] chela maggior parte degli studenti non sente la necessita di costruire l’insieme dei numerireali, almeno in prima battuta.

11 In realta, non si tratta di vere inclusioni insiemistiche; piuttosto dovremmo parlare diimmersioni.

12 Per un matematico, questa non e affatto una dimostrazione. Il punto e che non possiamodare per scontato che ogni numero reale abbia una ed una sola rappresentazione deci-male. So che, per molti studenti del primo anno, questa problematica sembra risibile,ma non lo e.

13

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Proposizione 1.13. Fra due numeri reali qualsiasi e distinti, cade sempre unnumero razionale.

Non esponiamo la dimostrazione di questo fatto, che il lettore inter-essato potra studiare in [37]. Ci limitiamo ad osservare che da questaproposizione deriva la possibilita di approssimare, con errore scelto apiacere, ogni numero reale con un numero razionale. Infatti, sia x unnumero reale, e sia ε > 0 l’errore con cui vogliamo approssimare xmediante un numero reale. Dalla Proposizione precedente, applicataai due numeri reali distinti x− ε e x+ ε, deduciamo che esiste un nu-mero razionale q tale che x− ε 6 q 6 x+ ε. Pertanto |x− q| 6 ε, comevolevasi dimostrare.

Nota tipografica: simboli altrettanto diffusi per denotare i prece-denti insiemi numerici sono N, Z, Q e R.

Concludiamo questo paragrafo con alcune considerazioni sul valoreassoluto di un numero reale.

Definizione 1.14. Il valore assoluto (spesso detto anche modulo) di un nu-mero reale x e definito come

|x| =

{x, se x > 0−x, se x < 0

Operativamente, la definizione del valore assoluto di un qualsiasinumero reale x e basata sul controllo del segno di x. Se x e positivoo nullo, viene restituito il valore x. Se x e negativo, viene restituito ilvalore −x. Qualche volta si trova scritto che “|x| e il numero x, senzasegno”. Questa affermazione e suggestiva ma priva di senso: tutti inumeri reale hanno un segno!

Lemma 1.15. Per ogni x, y, z ∈ R, vale la disuguaglianza triangolare

|x− y| 6 |x− z|+ |z− y|. (1.1)

Proof. Basta dimostrare che, per ogni a, b ∈ R, vale la disuguaglianza

|a+ b| 6 |a|+ |b|. (1.2)

Infatti, scegliendo a = x− z e b = z− y, da questa segue subito |x−

z+ z− y| = |x− y| 6 |x− z|+ |z− y|, che e la tesi. Siano quindi a e bdue numeri reali qualunque. Distinguiamo vari casi.

1. Se a = 0 oppure b = 0, la tesi e ovvia.

2. Se a > 0 e b > 0, allora a + b > 0. Vogliamo dimostrare chea+ b 6 a+ b, ma questo e ovvio.

3. Se a < 0 e b < 0, allora a+ b < 0. Pertanto vogliamo dimostrareche |a + b| = −a − b 6 −a − b, e ancora una volta questa re-lazione e ovvia.

14

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4. Se i due numeri a e b sono l’uno positivo e l’altro negativo, aprimo membro di (1.2) abbiamo la differenza fra due numeri pos-itivi, e a secondo membro abbiamo la loro somma. Ovviamenteil primo membro e minore del secondo.

Avendo verificato la tesi in tutti i casi possibili, la dimostrazione ecompleta.

Concludiamo con qualche informazione sulle diseguaglianze checoinvolgono i valori assoluti. Lo studente apprezzera queste infor-mazioni leggendo il capitolo sui limiti.

Lemma 1.16. Per ogni ε > 0,

{x ∈ R : |x| 6 ε} = {x ∈ R : −ε 6 x 6 ε}

{x ∈ R : |x| > ε} = {x ∈ R : x 6 −ε}∪ {x ∈ R : x > ε}

Proof. Dimostriamo la prima uguaglianza. Essendo un’uguaglianzafra due insiemi, occorre dimostrare la doppia inclusione. Sia dunquex un numero reale tale che |x| 6 ε. Questo vuol dire che x 6 ε sex > 0, e che −x 6 ε se x < 0. Nel primo caso, 0 6 x 6 ε, nelsecondo −ε 6 x < 0. L’insieme delle “soluzioni” sara l’unione diqueste condizioni, cioe −ε 6 x 6 ε. Abbiamo dimostrato che

{x ∈ R : |x| 6 ε} ⊂ {x ∈ R : −ε 6 x 6 ε}

Viceversa, sia x un numero reale tale che −ε 6 x 6 ε. Allora |x| e unnumero reale, non negativo, non superiore a ε. Quindi

{x ∈ R : |x| 6 ε} ⊃ {x ∈ R : −ε 6 x 6 ε}

e pertanto i due insiemi a primo e a secondo membro coincidono. Las-ciamo allo studente la verifica della seconda uguaglianza, imitando iragionamenti appena visti.

Passando dai simboli alle parole, il Lemma precedente ci dice che larelazione

|x| 6 ε

equivale a

−ε 6 x 6 ε.

Similmente, la relazione

|x| > ε

equivale a

x 6 −ε oppure x > ε.

15

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Osservazione 1.17. Occorre fare attenzione quando si utilizzano quan-tita arbitrarie. Ad esempio, se x e un numero reale tale che |x| < ε

per ogni ε > 0, allora x = 0. Se infatti x fosse diverso da zero, allorapotremmo scegliere ε = |x|/2 e avremmo la contraddizione |x| > ε.A parole, stiamo dicendo che l’unico numero non negativo arbitraria-mente piccolo e lo zero.

1.4 topologia della retta realeIn questa breve sezione, il lettore vedra delle idee e dei simboli certa-mente gia noti fin dalle scuole medie. Eppure, dubitio che i professoridelle scuole medie abbiano mai parlato di topologie. La topologia13

e un ramo della matematica che si occupa di studiare in astratto ilconcetto di “forma”. In che senso possiamo deformare un oggetto digomma, cambiandone l’aspetto esteriore, senza pero dire che si rtattadi un oggetto differente? A questa e ad altre domande tenta di rispon-dere proprio la topologia. Ovviamente, i nostri numeri reali sono uncaso molto particolare di “spazio topologico”, e noi ci accontenteremodi formalizzare alcuni concetti utili nel resto del corso.

Definizione 1.18. Siano a e b due numeri reali. Diciamo che a < b (a eminore di b) se b− a e un numero positivo. Se b− a e un numero negativo,diremo al contrario che a > b. Il simbolo a 6 b indica il fatto che b− a epositivo oppure zero, e analogamente a > b. 14

Definizione 1.19. Sia E ⊂ R un sottoinsieme dei numeri reali. Un numeroM ∈ R e un maggiorante per E se

x 6M per ogni x ∈ E.

Analogamente, un numero m ∈ R e un minorante per E se

x > m per ogni x ∈ E.

Un insieme E di numeri reali e limitato dall’alto se possiede un maggiorante,mentre e limitato dal basso se possiede un minorante.

Per esempio, N e limitato dal basso poiche ogni numero naturale emaggiore o uguale a zero. Tuttavia N non e limitato dall’alto, percheesistono numeri naturali grandi quanto vogliamo.

Definizione 1.20. Sia E un sottoinsieme di R, limitato dall’alto. L’estremosuperiore di E, denotato con

supE,

13 Dal greco topos e logos, dunque “conoscenza della forma”.14 Questa definizione, a pensarci bene, fatica a stare in piedi. Come definire un numero

positivo x, se non chiedendo che x > 0? E un circolo vizioso. Tuttavia, speriamo chelo studente sappia distinguere un numero positivo da uno negativo in maniera quasiinconscia. La costruzione dell’ordinamento dei numeri reali esula dai limiti di questenote.

16

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e definito come il piu piccolo di tutti i maggioranti di E. Analogamente,l’estremo inferiore di E,

infE,

e definito come il piu grande di tutti i minoranti di E.

Osservazione 1.21. In generale, infE e supE non appartengono ad E.Si confronti con la definizione di minimo e massimo nelle prossimepagine.

A differenza dei maggioranti e minoranti, gli estremi inferiore e su-periori di un insieme limitato esistono sempre. Si tratta di una proprietafondamentale di R, che ci limitiamo ad enunciare.

Teorema 1.22. Ogni sottoinsieme limitato di R possiede estremo inferiore esuperiore.

Sara comodo, nel seguito, usare delle notazioni meno rigide per infe sup. Ad esempio, scriveremo

infn∈N

1

n= 0

invece di

inf{1

n| n ∈N

}= 0.

La prima notazione, che sembra interpretare inf come un’operazionesui numeri invece che sugli insiemi, fa il paio con la notazione perle unioni e le intersezioni di insiemi. Infatti, se A1, A2 e A3 sno treinsiemi qualsiasi, si scrive

3⋃i=1

Ai

invece di⋃{A1,A2,A3} =

⋃{Aj | i ∈ {1, 2, 3}

}.

Queste notazioni abbreviate hanno qualche risvolto curioso. Se E e uninsieme di numeri reali, la scrittura

supx∈E

x

coincide in tutto e per tutto con supE, ma questa volta non possi-amo dire che sia preferibile. Ne traiamo una morale: le notazioni conil pedice sono preferibili quando l’insieme su cui agiscono inf e suphanno una descrizione di tipo “funzionale” {f(x) | x ∈ E}. Per un ap-profondimento delle notazioni insiemistiche, consigliamo il libro di P.Halmos [24] e quello di J. Kelley [29]. In quest’ultimo si suggerisceanche la notazione

Ex∈R

(x2 < 1

)per significare l’insieme {x ∈ R | x2 < 1}. Possiamo ritenerci fortunatiche questa notazione non abbia mai preso piede!

17

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Lemma 1.23. M ∈ R e l’estremo superiore di E se e solo se

1. M > x per ogni x ∈ E;

2. per ogni ε > 0 esiste x ∈ E tale che M− ε 6 x.

Una caratterizzazione analoga vale per l’estremo inferiore.

Lemma 1.24. m ∈ R e l’estremo inferiore di E se e solo se

1. m 6 x per ogni x ∈ E;

2. per ogni ε > 0 esiste x ∈ E tale che x 6 m+ ε.

Spendiamo qualche parola sul significato di questi lemmi. Il primo,ad esempio, ci dice che l’estremo superiore di un sottoinsieme E di R

e quel numero M che innanzitutto e un maggiorante. E, in secondoluogo, ci devono essere elementi di E vicini a piacere a M.

Proof. Proponiamo per esteso la dimostrazione nel caso dell’estremoinferiore: lo studente dovrebbe riuscire ad adattare gli argomenti alcaso dell’estremo superiore. Sia dunque m = infE: dobbiamo veri-ficare le proprieta 1 e 2 del Lemma. Poiche m e il piu grande deiminoranti di E, la proprieta 1 e vera. Fissiamo arbitrariamente ε > 0,consideriamo il numero m + ε. Poiche m + ε > m, m + ε non puoessere un minorante di E: altrimenti, sarebbe un minorante piu grandedi infE, e questo e in contraddizione con la definizione di estremoinferiore. Negando la definizione di minorante, deduciamo che deveesistere almeno un elemento x ∈ E tale che x 6 m+ ε. Abbiamo cosıdimostrato anche la proprieta 2. Viceversa, supponiamo che m ia unnumero che gode delle proprieta 1 e 2 del Lemma, e mostriamo chenecessariamente m = infE. Dalla proprieta 1, m e un minorante diE: ci basta far vedere che deve essere il piu grande minorante. Sup-poniamo che non lo sia, cioe che esista un minorante m ′ > m. Quindix > m ′ per ogni x ∈ E. Di conseguenza, posto ε = m ′ −m > 0,nell’intervallo [m,m + ε) non possono cadere elementi di E, in con-traddizione con la proprieta 2. Concludiamo che m deve essere il piugrande fra tutti i minoranti di E, e dunque m = infE.

Definizione 1.25. Sia E un sottoinsieme limitato (dall’alto e dal basso) diR, e poniamo m = infE, M = supE. Diciamo che m e il minimo di E sem ∈ E, e che M e il massimo di E se M ∈ E.

Notiamo che questa definizione non e superflua. Nessuno ci garan-tisce che l’estremo superiore di un insieme sia un elemento di taleinsieme. In generale, e solo un numero reale. Quindi, l’estremo supe-riore diventa il massimo esattamente quando appartiene all’insieme inconsiderazione. Simili considerazioni valgono ovviamente per l’estremoinferiore.

18

Page 20: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 1.26. Siano a < b due numeri reali. Gli insiemi

(a,b) = {x ∈ R | a < x < b}

[a,b] = {x ∈ R | a 6 x 6 b}

[a,b) = {x ∈ R | a 6 x < b}

(a,b] = {x ∈ R | a < x 6 b}.

si chiamano rispettivamente intervallo aperto, chiuso, chiuso a sinistra, chiusoa destra, di estremi a e b.

Osservazione 1.27. Per ricordare queste definizioni, possiamo dire chela parentesi quadra corrisponde ad un estremo compreso, mentre quellatonda corrisponde ad un estremo escluso. Alcuni libri usano la no-tazione ]a,b[ al posto di (a,b), ecc.

Definizione 1.28. Sia x0 ∈ R un numero reale fissato. Si chiama intorno dix0 qualunque intervallo aperto (a,b) tale che x ∈ (a,b).

Quindi ogni numero reale possiede infiniti intorni. Spesso convieneutilizzare intorni simmetrici, della forma (x0 − δ, x0 + δ), dove δ > 0 sichiama raggio dell’intorno.

Esercizio. Invitiamo lo studente a dimostrare che, se E = (a,b), allorainfE = a, supE = b. Inoltre, inf[a,b) = a = min[a,b), e sup[a,b) = b,ma b non e il massimo di [a,b).

1.5 l’infinitoNello studio dell’analisi matematica, lo studente si imbatte in un con-cetto assolutamente nuovo: quello di infinito. Mentre Algebra e Ge-ometria elementari si occupano di quantita finite (numeri, rette, piani,ecc.), l’Analisi vuole formalizzare l’idea vaga di avvicinarsi indefinita-mente a qualcosa. Introduciamo in questa sezione, secondo una logicaassai pratica, il simbolo∞ e il suo significato.

Definizione 1.29. Per i nostri scopi, ∞ e un simbolo privo di significatonumerico.

Invitiamo il lettore a trattenere il sorriso sarcastico che la definizioneprecedente potrebbe generare.15 Chiunque abbia studiato per qualchetempo la filosofia antica e medioevale ricorda certamente gli sforzie le acrobazie messi in atto dai pensatori per motivare il conceto diinfinito: qualcosa senza limiti spaziali o temporali, addirittura un entemetafisico vicino alla divinita.

Nell’economia del nostro corso, non serve definire rigorosamente ilsimbolo∞. A noi interessa piuttosto usare∞ come abbreviazione peresprimere concetti gia noti. Si tratta dunque di stipulare opportune

15 Chi scrive, ricorda una definizione sul proprio libro di Algebra, in cui si diceva “... dovex e un simbolo al quale non attribuiremo alcun significato”.

19

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convenzioni nelle quali ∞ e una mera abbreviazione tipografica, quasiun simbolo stenografico. Per esempio, se un insieme E ⊂ R non elimitato dall’alto, si conviene di scrivere

supE = +∞.

e se E non e limitato dal basso,

infE = −∞.

In particolare, +∞ sembra nascondere l’idea di muoversi indefinita-mente verso destra lungo la retta (orientata) dei numeri reali. Peranalogia, −∞ significa in qualche senso muoversi indefinitamente versosinistra su tale retta. Vogliamo pero mettere in guardia lo studente dalcompiere un errore fra i piu frequenti ed ingenui: +∞ e −∞ non sononumeri reali! In particolare, ad essi non si applicano le consuete oper-azioni algebriche di somma, sottrazione, moltiplicazione e divisione.16

Vogliamo tuttavia ricordare che la Matematica moderna introduceil concetto di infinito anche con significati diversi. In Geometria Proi-ettiva e in Analisi Complessa si parla altrettanto spesso di infinito,sebbene da un punto di vista piu geometrico.

Osservazione 1.30. Molti libri introducono la cosiddetta retta reale es-tesa R = R ∪ {−∞} ∪ {+∞}, ottenuta aggiungendo ai consueti numerireali i due infiniti dotati di segno. Ovviamente, si richiede che, perogni numero reale x,

−∞ < x < +∞.

E possibile una (parziale) aritmetizzazione di R estendendo le quattrooperazioni: per ogni x ∈ R si definisce

x+∞ = +∞, x−∞ = −∞+∞+∞ = +∞, −∞−∞ = −∞

e

x · (+∞) =

{+∞ se x > 0−∞ se x < 0,

x · (−∞) =

{−∞ se x > 0+∞ se x < 0,

(+∞) · (+∞) = +∞, (+∞) · (−∞) = −∞, (−∞) · (−∞) = +∞.

Non si da invece alcun senso alle scritture

+∞−∞, −∞+∞.

Il caso 0 · (±∞) e particolare: esistono settori della matematica incui conviene porre 0 · (±∞) = 0, ad esempio la Teoria della Misura.Nell’Analisi Matematica elementare, e opportuno evitare di definire

16 Sappiamo che qualche studente piu esperto potrebbe dire che, con i limiti, si fanno leoperazioni su ∞. Questo e parzialmente vero, e in certe discipline conviene definire0 ·∞ = 0. L’esistenza delle forme di indecisione ci lascia pero intendere che in questadefinizione il simbolo ∞ ha un significato diverso da quello che gli abbiamo finoraattibuito.

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questo prodotto, poiche creerebbe pericolose confusioni al calcolo deilimiti. Per uno studente di un primo corso di matematica, l’uso dellaretta reale estes a non presenta particolari utilita, e nel resto delle dis-pense non utilizzeremo mai questo ambiente numerico.

Osservazione 1.31. Le potenze “ad esponente infinito” sono piu prob-lematiche da definire. Innanzitutto, elevare un numero negativo aduna potenza infinita appare incoerente, poiche gia in ambito reale nonsi definiscono potenze con base negativa ed esponente reale qualsiasi.In secondo luogo, per rispettare l’intuizione, e necessario distinguerefra basi maggiori di 1 e basi minori di 1. Ad esempio, si puo definire

x+∞ =

0 se 0 < x < 11 se x = 1+∞ se x > 1.

Per analogia,

x−∞ =

+∞ se 0 < x < 11 se x = 10 se x > 1.

Lo studente deve prestare particolare attenzione ai casi 1+∞ e 1−∞.In questa aritmetizzazione, il valore di tali espressioni e 1. Fra pochepagine incontreremo la forma indeterminata [1∞], e ci convinceremoche per l’ordinaria teoria dei limiti questa e davvero una forma in-determinata, poiche tutti i risultati sono possibili. C’e dunque unacontraddizione? No, perche la teoria dei limiti che studieremo e am-bientata in R. Morale della favola: e difficile utilizzare coerentementel’infinito nel calcolo numerico, e quasi sempre si fa meglio a rinunciare.L’infinito non e un numero, e non possiamo aspettarci di costringerlo adesserlo.

1.6 punti di accumulazioneIntroduciamo un concetto che appartiene di diritto alla matematicamoderna e che permette notevoli semplificazioni nei discorsi che faremopiu avanti.

Definizione 1.32. Sia E un sottoinsieme di R. Diremo che il punto x0 ∈ R

e un punto di accumulazione per l’insieme E se, preso un qualsiasi intornoI di x0, si verifica che (I \ {x0}) ∩ E 6= ∅. A parole, ogni intorno I di x0contiene un punto di E, diverso da x0.

Per esempio, il punto x0 = 0 e di accumulazione per

E =

{1,1

2,1

3,1

4, . . . ,

1

n, . . .}

.

Infatti, sia I = (a,b) un intorno di 0; in particolare a < 0. Scegliamon naturale tale che 1/n < b. Percio 1/n ∈ I ∩ E, e poiche 1/n 6= 0

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abbiamo verificato la nostra affermazione. Lo studente potra verificaresenza sforzo che i punti di accumulazione per un intervallo chiusoqualsiasi [a,b] sono tutti e soli i punti di [a,b]. Invece, i punti diaccumulazione di un intervallo aperto (a,b) sono i punti di [a,b] (cisono anche i punti a e b!).

Un esempio di natura opposta e il seguente. L’insieme N ⊂ R nonpossiede punti di accumulazione. Infatti, se scegliamo un qualsiasinumero naturale n ∈ N, l’intorno I = (n− 1/2,n+ 1/2) non contienealcun numero naturale ad eccezione di n stesso. Per mettere ulterior-mente in luce il senso dell’esclusione del punto x0 nella definizionedi punto di accumulazione, consideriamo l’insieme E = {0} ∪ (1, 2). Aparole, E e composto dal singolo punto 0 e dall’intervallo aperto (1, 2).Domanda: quali sono i punti di accumulazione di E?

La risposta e che i punti di accumulazione di E sono esattamente ipunti dell’intervallo [1, 2]. Infatti, il punto “isolato” 0 non puo essere diaccumulazione, visto che ogni suo intorno (−δ, δ) con δ < 1 intersecaE solo nel punto 0 stesso.

Torneremo su questi concetti quando avremo a disposizione il lin-guaggio delle successioni.

Puo essere utile, in certi casi, adattare al simbolo ∞ alcuni concettipropri dei punti al finito. Ad esempio, un intorno di +∞ e un qual-siasi intervallo della forma (a,+∞), e similmente un intorno di −∞ eun qualsiasi intervallo della forma (−∞,b). Lasciamo allo studente ilseguente spunto di riflessione: se E e un sottinsieme di R, quando +∞e un punto di accumulazione per E? E quando lo e −∞? Le rispostesono abbastanza semplici. In particolare, lo studente si convincera che+∞ e un punto di accumulazione per E = N, l’insieme dei numerinaturali.

1.7 appendice: la dimostrazione per in-duzione

Nello studio del calcolo, si incontrano spesso identita e formule checoinvologno i numeri naturali. Cerchiamo di formalizzare un metododi dimostrazione valido in queste situazioni.

Supponiamo che, per ogni valore dell’indice naturale n, P(n) siauna proposizione logica. Supponiamo inoltre di poter dimostrare leseguenti affermazioni:

1. esiste n0 ∈N tale che P(n0) e vera;

2. Se e vera P(n), allora e vera anche P(n+ 1).

Le proprieta dell’insieme N dei numeri naturali permettono di di-mostrare che la proposizione P(n) e allora vera per ogni n > n0.

A parole, per dimostrare la validita di un’affermazione per ogni nnaturale, basta dimostrarla per n = 1, e poi dimostrare che la validita

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di P(n) implica la validita di P(n+ 1). Cerchiamo di chiarire il concettocon un esempio.

Esempio: la disuguaglianza di Bernoulli. Dimostriamo che

(1+ x)n > 1+nx, per ogni x > −1 e per ogni n ∈N.

Procediamo per induzione sul numero naturale n. Per n = 1, dob-biamo dimostrare che 1+ x > 1+ x, il che e palesemente vero. Sup-poniamo che la disuguaglianza sia vera per n, e dimostriamo che deveessere vera anche per n+ 1. Quindi, per ipotesi,

(1+ x)n > 1+nx, per ogni x > −1 e per ogni n ∈N.

Che cosa dobbiamo dimostrare? Scriviamo n+ 1 al posto di n nelladisuguaglianza di Bernoulli, e troviamo

(1+ x)n+1 > 1+ (n+ 1)x.

Questo e il nostro obiettivo. Ma (1 + x)n+1 = (1 + x)n(1 + x) >(1+ nx)(1+ x) = 1+ x+ nx+ nx2 > 1+ x+ nx = 1+ (n+ 1)x. Os-serviamo che abbiamo usato la validita della disuguaglianza per n eabbiamo trascurato il termine nx2 > 0 nell’ultimo passaggio. Il princi-pio di induzione garantisce allora che la disuguaglianza di Bernoulli esempre vera.17

Esempio: somme di quadrati. Vogliamo dimostrare l’identita18

n−1∑k=1

k2 =n(n− 1)(2n− 1)

6. (1.3)

Procediamo per induzione su n. Per n = 2,19 l’identita si riduce a

12 =2 · 1 · 36

= 1.

Supponiamo che l’identita sia vera per n, e dimostriamo che deve es-sere vera anche per n+ 1. Per n+ 1, il primo membro di (1.3) diventa

n∑k=1

k2 =

n−1∑k=1

k2 +n2,

e sfruttando l’ipotesi per n possiamo scrivere

n∑k=1

k2 =

n−1∑k=1

k2 +n2 =n(n− 1)(2n− 1)

6+n2.

17 La condizione x > −1 e stata usata nel passaggio (1+x)n(1+x) > (1+nx)(1+x).Se il termine 1+ x fosse negativo, dovremmo invertire il senso della disuguaglianza, eil ragionamento perderebbe validita.

18 L’estremo superiore n− 1 appare in questa forma perche ci servira in un esempio nelcapitolo sull’integrale di Riemann.

19 Poiche l’estremo n− 1 della somma deve essere almeno pari a quello inferiore, occorrechiedere che n− 1 > 1, cioe n > 2.

23

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Se togliamo le parentesi a secondo membro e mettiamo a denomina-tore comune, troviamo dopo qualche passaggio elementare

n(n− 1)(2n− 1)

6+n2 =

n(n+ 1)(2n+ 1)

6,

espressione che coincide con il secondo membro di (1.3) in cui n erimpiazzato da n+ 1. Questo significa esattamente che la nostra iden-tita continua a valere anche per n+ 1, e dunque il procedimento perinduzione e terminato.20

Esempio 1.33. I coefficienti binomiali sono numeri (razionali) definitidalla formula(

n

k

)=

n!k!(n− k)!

,

dove n e k sono numeri naturali. Ricordiamo che, per convenzione,0! = 1. Quindi(

n

0

)=

(n

n

)= 1.

Dalla definizione e da semplici considerazioni algebriche discende larelazione21(

n+ 1

k

)=

(n

k− 1

)+

(n

k

).

Ragionando per induzione, ed utilizzando questa identita, invitiamo lostudente a verificare la celebre formula del binomio, o teorema del binomio:

(a+ b)n =

n∑k=0

(n

k

)an−kbk (1.4)

per ogni a, b ∈ R e ogni n ∈N.

1.8 appendice: una costruzione dei nu-meri reali

Questa sezione, da ritenersi del tutto facoltativa e riservata agli stu-denti piu coraggiosi, e dedicata alla costruzione del campo dei nu-meri reali. Se, da una parte, e innegabile che poche matricole sentono

20 La prima curiosita di molti studenti e chi abbia “indovinato” l’identita (1.3). Infatti,la dimostrazione per induzione non e costruttiva, e non serve a dedurre quanto valga∑n−1k=1 k

2. Se nessuno ci scrivesse la formula, per induzione non riusciremmo mai aricostruirla. Questo tipo di formule erano il divertimento di matematici del calibro diF. Gauss, che era solito calcolarle da bambino, mentre il maestro spiegava un’aritmeticaevidentemente troppo noiosa. Nel libro di M. Spivak, Calculus, c’e un esercizio del primocapitolo che suggerisce un metodo costruttivo per calcolare somme finite come quellaappena vista.

21 In realta questa relazione equivale alla definizione del coefficiente binomiale(nk

).

24

Page 26: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

l’impellente necessita di definire rigorosamente i numeri reali, dall’altrasembra istruttivo toccare con mano quanto possa essere complicatodare un senso matematicamente consistente ad oggetti che non fac-ciamo fatica a concepire ed utilizzare.

Parlando in modo un po’ vago, esiste un solo campo dei numerireali, ma esistono varie costruzioni di tale campo. In pratica questovuol dire che, qualunque sia la costruzione di R che ci piace di piu,non corriamo il rischio di perdere alcuna proprieta: e un’applicazionematematica del motto “tutte le strade portano a Roma”!

L’approccio che presentiamo e quello delle sezioni di Dedekind (“Dedekindcuts” in inglese), e seguiamo quasi alla lettera la presentazione diRudin [37].

Definizione 1.34. Una sezione di Dedekind e un qualunque insieme α ⊂ Q

che goda delle seguenti proprieta:

(i) α non e vuoto, e α 6= Q;

(ii) se p ∈ α, q ∈ Q e q < p, allora q ∈ α;

(iii) se p ∈ α, allora p < r per qualche r ∈ α.

L’insieme di tutte le sezioni di Dedekind si chiama R.

Le lettere p, q, r . . . denoteranno sempre dei numeri razionali, men-tre le lettere greche α, β, γ . . . denoteranno delle sezioni. La proprieta(III) dice semplicemente che una sezione non ha massimo, mentre la(II) dice che una sezione contiene tutti numeri razionali piu piccoli diun elemento qualunque della sezione stessa. Geometricamente, pos-siamo immaginare che una sezione sia una specie di semiretta com-posta da numeri razionali, estesa indefinitamente verso sinistra (manon verso destra).

Definiamo ora un ordinamento sulle sezioni, dicendo cioe quandouna sezione e minore di un’altra.

Definizione 1.35. Siano α e β due sezioni. Scriviamo che α < β se α e unsottoinsieme proprio di β.

Questa relazione < e un ordinamento totale, nel senso precisatodalla seguente Proposizione.

Proposizione 1.36. Se α e β sono due sezioni, allora vale al piu una desseseguenti relazioni: α < β, α = β, β < α.

Proof. Supponiamo che le prime due relazioni siano false, e dimostri-amo che deve essere necessariamente vera la terza. Quindi α non e unsottoinsieme proprio di β, cioe esiste p ∈ α con p /∈ β. Se q ∈ β, alloraq < p (poiche p /∈ β), e quindi q ∈ α per la (II). Percio β ⊂ α. Poicheβ 6= α, si puo concludere che β < α.

Questa proprieta dell’ordinamento implichera, a tempo debito, chedue numeri reali possono sempre essere confrontati. Sembra ovvio,ma matematicamente non lo e.

25

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Proposizione 1.37. L’insieme ordinato R ha la proprieta dell’estremo supe-riore: ogni sottoinsieme non vuoto e limitato dall’alto di R possiede estermosuperiore.

Proof. Sia A un sottoinsieme di R, non vuoto e limitato dall’alto. Sup-poniamo che β ∈ R sia un maggiorante di A. Sia γ l’uonione di tuttile sezioni α ∈ A. In altre parole, p ∈ γ se e solo se p ∈ α per qualcheα ∈ A. Dimostreremo che γ = supA. Innanzitutto, dimostriamo cheγ ∈ R. Poiche A e non vuoto, esiste almeno una sezione α0 ∈ A.Questa sezione α0 e non vuota. Essendo α0 ⊂ γ, anche γ e nonvuoto.Segue che γ ⊂ β (visto che α ⊂ γ per ogni α ∈ A), e percioγ 6= Q. Quindi γ soddisfa la proprieta (I). Per dimostrare la (II) e la(III), si scelga p ∈ γ; allora p ∈ α1 per qualche α1 ∈ A. Se q < p, alloraq ∈ α1 e quindi q ∈ γ; con questo abbiamo dimostrato la (II). Se sisceglie r ∈ α1 in modo che r > p, si ha che r ∈ γ (visto che α1 ⊂ γ) epercio γ soddisfa anche la (III). Quindi γ ∈ R. E evidente che α 6 γ

per ogni α ∈ A. Supponiamo che δ < γ. Allora esiste s ∈ γ, tale ches /∈ δ. Dal momento che s ∈ γ, s ∈ α per qualche α ∈ A. Percioδ < α e δ non e un maggiorante di A. Siamo cosı arrivati al risultatodesiderato: γ = supA.

Ora che abbiamo messo a posto la relazione d’ordine fra numeri re-ali, dobbiamo ancora definire le quattro operazioni. La somma e relati-vamente facile da definire, mentre il prodotto richiede piu attenzione.Preferiamo quindi separare le definizioni.

Definizione 1.38. Se α ∈ R e β ∈ R, la somma α + β e definita comel’insieme di tutte le somme r+ s, al variare di r ∈ α e di s ∈ β. Definiamoinfine 0∗ come l’insieme di tutti i numeri razionali negativi.

Proposizione 1.39. Sono soddisfatti i seguenti assiomi dell’addizione:

(a1) se α ∈ R e β ∈ R, allora α+β ∈ R;

(a2) se α ∈ R e β ∈ R, allora α+β = β+α (proprieta commutativa);

(a3) se α ∈ R, β ∈ R e γ ∈ R, allora (α+β)+γ = α+(β+γ) (proprietaassociativa;

(a4) 0∗ + α = α + 0∗ = 0∗ per ogni α ∈ R (0∗ e l’elemento neutrodell’addizione);

(a5) ad ogni α ∈ R corrisponde un elemento −α ∈ R tale che α+ (−α) =

0∗ (esistenza dell’opposto).

Proof. (A1) Dobbiamo dimostrare che α+β e una sezione. E ovvio cheα+ β e un sottoinsieme non vuoto di Q. Siano r ′ /∈ α, s ′ /∈ β. Allorar ′ + s ′ > r+ s per ogni scelta di r ∈ α e s ∈ β. Percio r ′ + s ′ /∈ α+ β.Segue che α+β ha la proprieta (I). Si scelga p ∈ α+β. Allora p = r+ s,con r ∈ α e s ∈ β. Se q < p, allora q− s < r e quindi q− s ∈ α eq = (q− s) + s ∈ α+β. Percio vale la (II). Si scelga t ∈ α tale che t > r.Allora p < t+ s e t+ s ∈ α+β. Percio vale la (III).

26

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(A2) α+ β e l’insieme di tutti i numeri della forma r+ s, con r ∈ αe s ∈ β. Per la stessa definzione, β+ α e l’insieme dei numeri dellaforma s+ r. Poiche s+ r = r+ s per ogni r ∈ α ed ogni s ∈ β, risultaα+β = β+α.

(A3) Come sopra, segue dalla proprieta associativa della somma dinumeri razionali.

(A4) Se r ∈ α e s ∈ 0∗ allora r + s < r, da cui r + s ∈ α. Percioα + 0∗ ⊂ α. Per ottenere l’inclusione inversa, si scelgano p ∈ α er ∈ α, con r > p. Allora p− r ∈ 0∗ e p = r+ (p− r) ∈ α+ 0∗. Percioα ⊂ α+ 0∗. Possiamo concludere che α = α+ 0∗.

(A5) Fissiamo α ∈ R Sia β l’insieme di tutti i p razionali con leseguente proprieta: esiste r > 0 tale che −p− r /∈ α. In altre parole,esistono dei numeri razionali piu piccoli di −p che non appartengonoad α. Dimostriamo che β ∈ R e che α+β = 0∗.

Se s /∈ α e p = −s− q, allora p−−1 /∈ α e quindi p ∈ β. Quindiβ non e vuoto. Se q ∈ α, allora −q /∈ β. Percio β 6= Q. Dunque βsoddisfa la (I). Scegliamo p ∈ β e r > 0 in modo che −p− r /∈ α. Seq < p, allora −q− r > −p− r e quindi −q− r /∈ α. Allora q ∈ β e valela (II). Poniamo t = p+ r/2. Allora t > p e −t− r/2 = −p− r /∈ α equindi t ∈ β. Allora β soddisfa la (III). Abbiamo dimostrato che β euna sezione, cioe β ∈ R.

Se r ∈ α e s ∈ β, allora −s /∈ α e, di conseguenza, r < −s, r+ s < 0.Percio α+ β ⊂ 0∗. Viceversa, si scelga v ∈ 0∗ e si ponga w = −v/2.Allora w > 0 ed esiste un intero n tale che nw ∈ α, ma (n+ 1)w /∈ α(visto che Q ha la proprieta archimedea!). Si ponga p = −(n+ 2)w.Allor p ∈ β, visto che −p −w /∈ α e v = nw + p ∈ α + β. Percio0∗ ⊂ α + β. Possiamo concludere che α + β = 0∗. Naturalmente,indicheremo questo β con −α.

Corollario 1.40. Se α, β e γ sono numeri reali tali che β < γ, allora α+β <α+ γ. In particolare, α > 0∗ se e solo se −α < 0∗.

Proof. Per come e stata definita l’addizione in R, e ovvio che α+ β ⊂α+ γ. Se fosse α+β = α+ γ, allora β = γ, contro l’ipotesi che β < γ.Il resto della dimostazione e lasciato per esercizio.

Veniamo adesso alla seconda operazione, quella della moltiplicazione.Come anticipato, dobbiamo rispettare le ben note regole dei segni, equesto ci obbliga a dare definizioni diverse del prodotto, a seconda deisengi dei due fattori.

Definizione 1.41. Poniamo R+ = {α ∈ R | α > 0∗}. Se α ∈ R+ eβ ∈ R+, allora il prodotto αβ e l’insieme di tutti i p tali che p 6 rs per ogniscelta di r ∈ α, s ∈ β, r > 0 ed s > 0. Definiamo poi 1∗ come l’insieme deglielementi q < 1. Estendiamo questa definizione come segue:

αβ =

(−α)(−β) se α < 0∗ e β < 0∗

−[(−α)β] se α < 0∗ e β > 0∗

−[α(−β)] se α > 0∗ e β < 0∗.

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Proposizione 1.42. Valgono i seguenti assiomi della moltiplicazione:

(m1) se α ∈ R e β ∈ R allora αβ ∈ R;

(m2) se α ∈ R e β ∈ R allora αβ = βα (proprieta commutativa dellamoltiplicazione);

(m3) se α ∈ R, β ∈ R e γ ∈ R, allora (αβ)γ = α(βγ) (proprieta associa-tiva della moltiplicazione);

(m4) esiste un elemento 1∗ ∈ R tale che 1∗α = α1∗ = α per ogni α ∈ R;(esistenza dell’elemento neutro per la moltiplicazione);

(m5) se α ∈ R e α 6= 0∗, allora esiste un elemento α−1 ∈ R tale cheαα−1 = α−1α = 1∗ (esistenza dell’inverso per la moltiplicazione);

(d) per ogni α, β, γ ∈ R, vale α(β+γ) = αβ+αγ (proprieta distributiva).

Proof. La dimostrazione e del tutto simile a quella delle proprieta dell’addizione,e omettiamo i lunghi dettagli.

Osservazione 1.43. E consuetudine scrivere 1α invece di α−1.

La costruzione di R e essenzialmente completa. Resta da chiarirecome si possano “leggere” i numeri razionali come numeri reali.

Definizione 1.44. Ad ogni r ∈ Q associamo l’insieme r∗ dei numeri p < r.

Proposizione 1.45. Per ogni r razionale, r∗ e un numero reale (sezione diDedekind). Inoltre valgono le seguenti proprieta: per ogni r, s ∈ Q,

(a) r∗ + s∗ = (r+ s)∗;

(b) r∗s∗ = (rs)∗;

(c) r∗ < s∗ se e solo se r < s.

Proof. Per dimostrare la (a), si scelga p ∈ r∗ + s∗. Si ponga p = u+ v,dove u < r e v < s. Da cio p < r+ s, che e come dire che p ∈ (r+ s)∗.Viceversa, supponiamo p ∈ (r+ s)∗. Allora p < r+ s. Si scelga t inmodo che 2t = r+ s− p e si ponga r ′ = r− t, s ′ = s− t. Allora r ′ ∈ r∗,s ′ ∈ s∗ e p = r ′ + s ′. Di conseguenza p ∈ r∗ + s∗. La dimostrazionedella (b) e simile. Veniamo alla (c). Se r < s, allora r ∈ s∗, ma r /∈ r∗;percio r∗ < s∗. Se r∗ < s∗, allora esiste un p ∈ s∗ tale he p /∈ r∗.Dunque r 6 p < s e di conseguenza r < s.

Osservazione 1.46. La proposizione precedente permette di immerg-ere i numeri razionali in quelli reali. Con strumenti piuttosto diffi-cili, si potrebbe dimostrare che tutti i campi ordinati con la proprietadell’estremo superiore sono “matematicamente identici”. Non pos-siamo spiegare qui questa terminologia,22 ma ci limitiamo ad osser-vare che nei fatti qualunque costruzione di un insieme ordinato, condue operazioni che godono dei rispettivi assiomi, e con la proprietadell’estremo superiore e a tutti gli effeti ancora R!

22 Dovremmo parlare di isomorfismi di struttura.

28

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Osservazione 1.47. Ma alla fine, dopo tutte queste pagine di calcolie definizioni, che cos’e

√2? Nella nostra costruzione dei numeri re-

ali, ogni numero reale e in realta un sottoinsieme dei numeri razionali.Quindi e poco sensato dire che la radice quadrata di 2 e quell’unico nu-mero reale il cui quadrato vale 2. Non vogliamo dire che sia sbagliato,ma dovremmo dimostrare che l’equazione x2 = 2 e risolvibile quandox e una sezione di Dedekind. Di fatto, se ci provassimo, ci accorg-eremmo che, nel dialetto delle sezioni di Dedekind,

√2 = {p ∈ Q | p2 < 2}.

Sebbene del tutto rigoroso, l’approccio ai numeri reali con le sezioninon e il piu intuitivo, ne il piu flessibile. Un approccio alternativo, pre-sentato in tanti testi (ad esempio [39]), consiste nell’uso di successionidi Cauchy formate da numeri razionali. Sorvolando sulle questionitecniche, il risultato e che un numero reale si identifica con una succes-sione di numeri razionali “che lo approssimano” arbitrariamente bene.Non e sbagliato pensare che, con questa costruzione delle successioni,un numero reale sia la successione formata dale sue cifre decimali (fi-nite o infinite che siano). Evidentemente, la definizione di numeroreale mediante le successioni di Cauchy e del tutto equivalente alladefinizione mediante lo sviluppo decimale. In aggiunta, l’idea su cuisi basa questa costruzione alternativa di R ha il grande pregio di essereadattabile a situazioni estremamente generali, che si presentano spon-taneamente nell’Analisi Funzionale, nella Topologia Generale, ecc.

1.9 i numeri complessi

Cosı come l’equazione x2 = 2 non possiede soluzioni x ∈ Q, allo stessomodo l’equazione x2 = −1 non e risolubile nel campo dei numeri realiR. Infatti, se x ∈ R verificasse x2 = −1, dovremmo concludere che0 6 x2 = −1 < 0, il che e palesemente contraddittorio! In un certosenso, la struttura di ordine di R impedisce l’estrazione della radicequadrata dei numeri negativi. Se il nostro scopo e dare un senso asimboli come

√−1, dobbiamo costruire un nuovo ambiente numerico

che contiene R ma che non rispetta l’ordinamento di R stesso.

Definizione 1.48. Un numero complesso z e una coppia ordinata (x,y) dinumeri reali. L’aggettivo “ordinata” significa che (x,y) e considerato diversoda (y, x) se x 6= y. Il numero x si chiama parte reale di z, e il numero y sichiama parte immaginaria di z. In simboli, scriveremo x = <z e y = =z.La collezione di tutti i numeri complessi si indica con il simbolo C.

In particolare, due numeri complessi z e w sono uguali se, e solose, le rispettive parti reali e immaginarie sono uguali. E poi consue-tudine identificare i numeri complessi della forma (x, 0) con x: quindipossiamo identificare R con il sottoinsieme di C formato dai numericomplessi aventi parte immaginaria nulla. Addirittura, scriveremo xal posto di (x, 0) quando x ∈ R.

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Definizione 1.49. Siano z = (x,y) e w = (x ′,y ′) due numeri complessi.sono definite le operazioni di somma e di prodotto secondo le regole seguenti:

• z+w = (x+ x ′,y+ y ′);

• zw = (xx ′ − yy ′, x ′y+ xy ′).

E facile verificare, usando la definizione precedente, che C diventauna struttura algebrica dotata delle usuali proprieta alle quali siamoabituati: ad esempio le proprieta commutativa, associativa, distribu-tiva. Inoltre (0, 0) e l’elemento neutro per la somma, e (1, 0) e l’elementoneutro per il prodotto. Esplicitamente, z+(0, 0) = z e z(1, 0) = (1, 0)z =z per ogni z ∈ C. Torneremo piu avanti sulla definizione del prodotto,apparentemente oscura.

Definizione 1.50. Il modulo di un numero complesso z = (x,y) e il numeroreale non negativo |z| =

√x2 + y2. Il complesso coniugato di z e z = (x,−y).

Per onore di cronaca, segnaliamo che molti Autori utilizzano la no-tazione z∗ per indicare il complesso coniugato di z.

Osservazione 1.51. Il modulo di un numero complesso e stato deno-tato con lo stesso simbolo che indica il valore assoluto di un numeroreale. Questa apparente confusione e giustificata immediatamente: sez ∈ R, nel senso che =z = 0, allora |z| =

√(<z)2 + (=z)2 =

√(<z)2 =

|<z|. In termini formali, possiamo dire che la restrizione del modulocomplesso al campo reale coincide con il gia noto valore assoluto.

Osserviamo che zz = (x,y)(x,−y) = (x2 + y2, 0) = (|z|2, 0) = |z|2.Questo semplice calcolo ci permette di rispondere ad un quesito moltoimportante: come si calcola l’inverso di un numero complesso?

Per essere precisi, dobbiamo evitare di dividere per zero (lo zerocomplesso): quindi fissiamo z 6= 0 in C, e cerchiamo un numero z−1

tale che

zz−1 = z−1z = 1.

Dal calcolo svolto sopra, deduciamo che

z−1 =z

|z|2.

Ovviamente |z| 6= 0, poiche z 6= 0.

Sebbene sia perfettamente rigoroso definire un numero complessocome una coppia ordinata di due numeri reali, e innegabile che questanon e la via piuu intuitiva per maneggiare i numeri complessi. Lasoluzione consiste nel separare piu visivamente la parte reale dallaparte immaginaria.

Definizione 1.52. i = (0, 1).

Questa definizione ci consente di utilizzare una notazione piu leg-gera e agile per lavorare con i numeri complessi. Infatti, un numeroz = (x,y) si puo scrivere z = (x, 0) + (0, 1)y = x+ yi. La definizione

30

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di moltiplicazione diventa ora estremamente intuitiva. Se notiamo chei2 = ii = −1, basta usare la proprieta distributiva:

(x+yi)(x ′+y ′i) = xx ′+xy ′i+x ′yi+yy ′i2 = xx ′−yy ′+(xy ′+x ′y)i.

Raccogliamo nella successiva Proposizione qualche facile proprietadell’operazione di coniugio.

Proposizione 1.53. Se z e w sono numeri complessi, allora

1. z+w = z+ w

2. zw = zw

3. z+ z = 2<z, z− z = 2i=z. In particolare, <z = z+z2 e =z = z−z

2i .

Lasciamo le facili dimostrazioni come esercizio per lo studente. Piucomplessa ed interessante e la dimostrazione delle seguente disug-uaglianza.

Proposizione 1.54 (Disuguaglianza di Cauchy–Schwarz). Se z e w sonodue numeri complessi, vale la disuguaglianza

|zw| 6 |z||w|. (1.5)

Proof. Poniamo A = |z|2, B = |w|2 e C = zw. Se B = 0, la disug-uaglianza si riduce a 0 6 0. Supponiamo che B > 0. Risulta che

0 6 |Bz−Cw|2 = (Bz−Cw)Bz−Cw

= |Bz|2 + |C|2B−BCC−BCC = |Bz|2 + |C|2B = B(BA− |C|2).

Quindi B(BA− |C|2) > 0; siccome B > 0, necessariamente |C|2 6 AB.Estraendo la radice quadrata, otteniamo (1.5).

Proposizione 1.55 (Proprieta del modulo). Siano z, w ∈ C.

(i) |z| = 0 se e solo se z = 0.

(ii) |λz| = |λ||z| per ogni λ ∈ C

(iii) |<z| 6 |z| e |=z| 6 |z|.

(iv) |z+w| 6 |z|+ |w|.

Proof. Per (i), ovviamente |0| = 0. Viceversa, se |z| = 0, allora <z =

=z = 0, e dunque z = 0. Passiamo a (ii). Scriviamo λ = a+ bi. Allora|λz| =

√(ax− by)2 + (ay+ bx)2 =

√(x2 + y2)(a2 + b2) = |λ||z|. La

proprieta (iii) e quasi ovvia: x2 + y2 > x2 implica |z|2 > (<z)2. Deltutto analoga e il calcolo per la parte immaginaria. Infine, (iv) discendedal seguente sviluppo:

|z+w|2 = (z+w)z+w = |z|2 + |w|2 + 2<(zw)

6 |z|2 + |w|2 + 2|z||w| = (|z|+ |w|)2.

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• Forma polare dei numeri complessi

Oltre alla scrittura “cartesiana”, esiste un’ulteriore rappresentazionedei numeri complessi. Immaginiamo di collocare un numero com-plesso z nel piano cartesiano, segnando in ascissa <z e in ordinata=z. Il segmento uscente dall’origine e diretto al punto (<z, =z) formaun angolo θ con il semiasse positivo dell’asse delle ascisse. Misuri-amo quest’angolo in senso antiorario, e selezioniamo la prima deter-minazione, in modo che 0 6 θ < 2π. Se definiamo ρ = |z|, possi-amo concludere che z e univocamente individuato dai numeri ρ > 0

e θ ∈ [0, 2π). Il primo si chiama, appunto, modulo di z, e il secondola sua fase.23 Sempre dall’interpretazione geometrica descritta sopra, echiaro che

<z = ρ cos θ, =z = ρ sin θ.

Dunque z = <z+ (=z)i = ρ (cos θ+ i sin θ).

Definizione 1.56 (Identita di Eulero). eiθ = cos θ+ i sin θ, per ogni θ ∈R.

Osserviamo che ci asteniamo dall’attribuire qualunque significatoalgebrico al primo membro dell’identita di Eulero. Sebbene assomiglipericolosamente ad un elevamento a potenza24, per noi sara solo un’ab-breviazione per denotare la quantita a secondo membro. Alcuni Autoriscrivono cis θ = cos θ+ i sin θ.

La forma polare z = ρ (cos θ+ i sin θ) e particolarmente utile pereseguire le moltiplicazioni. Se z1 = ρ1eiθ1 e z2 = ρ2eiθ2 , allora25

z1z2 = ρ1eiθ1ρ2eiθ2 = ρ1ρ2ei(θ1+θ2).

Inoltre, se z 6= 0,

1

z=

1

ρeiθ =1

ρe−iθ.

E un vero peccato che la forma polare sia totalmente inutilizzabileper effettuare le somme di numeri complessi. Lo studente si rassegni:una notazione agevola le somme, un’altra le moltiplicazioni. Nessunaagevola entrambe le operazioni.

Conseguenza delle osservazioni precedenti e che la notazione polarepermette di elevare i numeri complessi a potenze intere (positive onegative) con molta facilita.

Lemma 1.57. Se z = ρeiθ e n ∈ Z, allora zn = ρnenθi. Ovviamentedobbiamo supporre che z 6= 0 se n < 0.

23 Esiste una certa arbitrarieta nella definizione della fase. Molti Autori preferisconoscegliere θ ∈ [−π,π). Ovviamente qualunque intervallo di ampiezza 2π caratterizzacompletamente la fase.

24 Ed infatti lo e, ma non abbiamo ancora gli strumenti per definire una potenza conesponente complesso.

25 Il fatto che eiθ1eiθ2 = ei(θ1+θ2) non e banale, e lo studente dovrebbe verificarlo par-tendo dall’identita di Eulero ed usando le formule di somma di addizione per seno ecoseno.

32

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Proof. Basta applicare ripetutamente la formula di moltiplicazione informa polare.

A parole, il modulo viene elevato alla potenza data, mentre la faseviene moltiplicata per la potenza. Quindi la fase raddoppia elevandoal quadrato, triplica elevando al cubo, ecc. Ma come si estraggono leradici di un numero complesso?

Definizione 1.58. Siano w ∈ C e n ∈ N. Diciamo che z ∈ C e una radicen–esima di w se zn = w.

Il nostro problema e quello di trovare tutte le radici n–esime di unnumero w assegnato. Scriviamo w nella forma polare: w = reiα. Cer-chiamo z = ρeiθ tale che

ρnenθi = reiα.

Pertanto ρ = r1/n. Non e sufficiente imporre nθ = α, poiche la fase diun numero complesso e individuata solo a meno di multipli interi di2π. Pertanto dobbiamo imporre

nθ = α+ 2kπ, k ∈ Z.

Dividendo per n,

θ =α

n+2kπ

n, k ∈ Z.

Iniziando da k = 0, ci accorgiamo che i primi angoli corrispondenti ak = 0, 1, 2, . . . , n− 1 sono tutti distinti, mentre per k = n otteniamonuovamente α/n+ 2π, la stessa fase fornita da k = 0. Possiamo final-mente rispondere alla domanda iniziale: le radici n–esime di w = reiα

sono i numeri complessi rappresentati in forma polare come ρeiθ, dove

ρ = r1/n

θ =α

n+2kπ

n, k = 0, 1, . . . ,n− 1.

Forse senza esserne del tutto consapevoli, abbiamo dimostrato un notev-ole teorema.

Teorema 1.59. Ogni numero complesso (diverso da zero) possiede esatta-mente n radici n–esime complesse.

Forse qualche studente si stara chiedendo perche esiste un solo nu-mero reale x tale che x3 = 1, mentre ne esistono ben tre complessi ztali che z3 = 1. Questo non e contraddittorio; semplicemente R none abbastanza grande da contenere tutte le radici cubiche del numero(complesso) 1 = 1+ 0i.

Osservazione 1.60 (Radici dell’unita). Per esercizio, ci proponiamo dicalcolare tutte le radici n–esime dell’unita, cioe di trovare tutti e solii numeri z ∈ C tali che zn = 1, dove n ∈ N e un numero intero

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assegnato. Scrivendo al solito z = ρeiθ e 1 = e0i, sappiamo dalla teoriagenerale che ρ = 1 e

θ =2kπ

n, k = 0, 1, . . . ,n− 1.

Quindi le radici n–esime dell’unita sono numeri complessi unimodu-lari, cioe di modulo pari ad uno, le cui fasi sono ottenute dividendol’angolo 2π in n parti uguali. Geometricamente, questo si rappresentasegnando i vertici del poligono regolare con n lati sulla circonferenzaunitaria del piano complesso, avendo cura di collocare il primo ver-tice in (1, 0). Ne segue che le radici quadrate dell’unita sono i ver-tici dell’unico poligono regolare a due lati, che poi sarebbe semplice-mente il segmento dell’asse delle ascisse interno alla circonferenza uni-taria. Le radici cubiche dell’unita sono i vertici del triangolo equilateroinscritto nella solita circonferenza unitaria, con un vertice in (1, 0).Sebbene queste considerazione appaiano spesso affascinanti, non c’enulla di misterioso: e solo la definizione di elevamento a potenza nelcampo complesso.

Osservazione 1.61. Dalle considerazioni geometriche appena svolte,deduciamo un fatto piuttosto notevole: le radici n–esime dell’unita sipresentano a coppie. Se ω e una radice n–esima di 1, allora anche ω euna radice n–esima. Ovviamente qualche caso e poco significativo: adesempio le radici quadrate dell’unita sono {−1, 1}, che banalmente co-incidono con i propri complessi coniugati. In generale, qualunque sian, la radice ω = 1 e reale e quindi non ci “accorgiamo” dell’esistenzadel suo complesso coniugato. Ma tutto cio non e specifico delle radicin–esime. Supponiamo di voler risolvere un’equazione della forma

a0 + a1z+ a2z2 + . . .+ anz

n = 0,

dove i coefficienti delle potenze di z sono numeri reali. Poiche zk = zk

per ogni k ∈N, possiamo dire che

a0+a1z+a2(z)2+ . . .+an(z)

n = a0 + a1z+ a2z2 + . . .+ anzn = 0 = 0,

sicche il complesso coniugato z di ogni soluzione z e un’altra soluzionedella stessa equazione. Questo “teorema” sarebbe falso se i coefficientiak fossero numeri complessi. Volete un esempio? Facile: l’equazioneiz = 1 e risolta solo da z = 1/i = −i. Il numero z = i si guarda benedall’essere una seconda soluzione!

Per concludere, ritorniamo alla ben nota equazione algebrica delsecondo ordine

az2 + bz+ c = 0, (1.6)

dove a, b e c sono, in generale, tre numeri complessi assegnati, e z ∈C e l’incognita. Per evitare ovvieta, supporremo che a 6= 0, sicche

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Page 36: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

l’equazione e effettivamente di secondo grado. Osservando che, postoal solito ∆ = b2 − 4ac,

az2 + bz+ c = a

(z2 +

b

az+

c

a

)= a

((z2 + 2

b

2az+

b2

4a2

)+c

a−b2

4a2

)= a

((z+

b

2a

)2−

4a2

),

possiamo concludere che z risolve (1.6) se e solo se(z+

b

2a

)2=

4a2.

A parole, z + b2a e una radice quadrata di ∆

4a2. Indicando ancora,

con un notevole abuso di notazione, le radici quadrate di ∆4a2

con ilsimbolo

±√

4a2,

ritroviamo la formula per la soluzione generale di (1.6):

z =−b±

√∆

2a.

Questa formula e identica alla formula risolutiva delle equazioni al-gebriche del secondo ordine in campo reale. Ora, pero, possiamosostenere senza possibilita di confusione, che l’equazione (1.6) possiedesempre due soluzioni complesse, eventualmente coincidenti. In ambitoreale, supponendo per coerenze che a, b e c siano numeri reali, l’equazionenon possiede soluzioni reali quando ∆ < 0. Ancora una volta, il campoC costituisce un ampliamento algebrico del campo reale, e la peculiaritae la possibilita di risolvere le equazioni algebriche senza restrizioni.

1.10 appendice: una costruzione dei nu-meri naturali

Per soddisfare la curiosita di qualche studente, proponiamo ora lacostruzione assiamoatica dell’insieme N dei numeri naturali.

Definizione 1.62. L’insieme N e un insieme che soddisfa i seguenti assiomi.

(N1) 1 ∈N.

(N2) Per ogni numero naturale n esiste uno ed un solo numero naturale n ′,che chiameremo successore di n.

(N3) Per ogni n ∈N, risulta n ′ 6= 1.

(N4) Se n ′ = m ′, allora n = m.

(N5) Sia M un insieme di numeri naturali che soddisfa le seguenti proprieta:

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Page 37: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

1. 1 ∈M

2. se n ∈M, allora n ′ ∈M.

Allora M = N.

Osservazione 1.63. L’assioma (N5) e chiamato spesso assioma di in-duzione. In effetti, esso coincide esattamente con il principio di in-duzione introdotto precedentemente.

Vediamo ora alcune conseguenze degli assiomi.

Lemma 1.64. Se n 6= m, allora n ′ 6= m ′.

Proof. Altrimenti n ′ = m ′, e (N2) implicherebbe n = m.

Lemma 1.65. Per ogni n naturale, n ′ 6= n.

Proof. Sia M l’insieme di tutti i numeri naturali che soddisfano il lemma.Per gli assiomi (N1) e (N3), 1 ′ 6= 1, sicche 1 ∈ M. Se n ∈ M, al-lora n ′ 6= n e per il Lemma precedente (n ′) ′ 6= n ′. Quindi n ′ ∈ M.L’assioma (N5) garantisce che M = N.

Lemma 1.66. Se n 6= 1, allora esiste u ∈N tale che n = u ′.

Proof. Sia M l’insieme formato da 1 e da tutti i numeri n per i qualiesiste un tale u. Allora 1 ∈M per definizione. Inoltre, se n ∈M, allora,denotando con u il numero n, abbiamo n ′ = u ′. Quindi n ′ ∈ M.L’assioma (N5) garantisce ancora una volta che M = N.

Mostriamo ora come viene definita l’addizione fra due numeri nat-urali. Avvisiamo lo studente che la costruzione e alquanto pedante emacchinosa, e non e un prerequisito per la comprensione del corso.

Teorema 1.67. Ad ogni coppia n, m di numeri naturali e possibile associareesattamente un numero naturale, denotato con n+m, tale che

1. n+ 1 = n ′

2. n+m ′ = (n+m) ′.

Proof. Innanzitutto, dimostriamo che per ogni n fissato esiste al mas-simo un modo di definire n+m per ogni m in modo tale che

n+ 1 = n ′

e

n+m ′ = (n+m) ′.

Siano am e bm definiti in modo che

a1 = n ′, b1 = n ′,

am ′ = (am) ′, bm ′ = (bm) ′

per ogni m. Sia M l’insieme dei numeri naturali m per i quali am =

bm. Ora, a1 = n ′ = b1, sicche 1 ∈M. Se poi m ∈M, allora am = bm,

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e per l’assiome (N2) (am) ′ = (bm) ′. Quindi am ′ = (am) ′ = (bm) ′ =bm ′ , e questo significa che m ′ ∈ M. Per l’assioma di induzione, M =

N. Esplicitamente, per ogni m ∈N risulta am = bm.Dimostriamo adesso che per ogni numero naturale n e possibile

definire n+m per ognim, in modo tale che n+ 1 = n ′ e n+m ′ = (n+

m) ′. Come al solito, chiamiamo M l’insieme dei numeri naturali chesoddisfano questa richiesta. Per n = 1, il numero n+m = m ′ e quellocercato., dal momento che n+ 1 = 1 ′ = n ′, n+m ′ = (m ′) ′ = (n+m) ′.Dunque 1 ∈ M. Supposto che n ∈ M, esiste n+m per ogni m. Alloran ′ +m = (n+m) ′ e il numero che cerchiamo per n ′. Infatti n ′ + 1 =

(n+ 1) ′ = (n ′) ′ e n ′ +m ′ = (n+m ′) ′ = ((n+m) ′) ′ = (n ′ +m ′) ′.Dunque n ′ ∈M, e dunque M = N.

Con la tecnica dell’induzione, si verificano tutte le usuali proprietadella somma: associativa, commutativa, ecc.

La proprieta di ordinamento dei numeri naturali e definita in modopiuttosto semplice.

Definizione 1.68. Scriviamo n > m se esiste un numero naturale u taleche n = m+ u. Viceversa, n < m se esiste un numero naturale u tale chem = n+ u.

In pratica, un numero n e maggiore di un numero m se e possibileottenere n sommando ad m un altro numero naturale. Giocando congli assiomi e le proprieta della somma possiamo dimostrare il cosid-detto ordinamento totale dei numeri naturali.

Teorema 1.69. Se n e m sono numeri naturali, allora sussiste una ed unasola delle relazioni

n = m, n < m, n > m.

La moltiplicazione e la seconda operazione sempre definita fra duenumeri naturali. Ci limitiamo alla definizione.

Definizione 1.70. Ad ogni coppia di numeri naturali n, m e possibile asso-ciare un numero naturale n ·m, univocamente identificato, tale che

1. n · 1 = n per ogni n

2. n ·m ′ = n ·m+n per ogni n ed ogni m.

Il prodotto n ·m e spesso scritto semplicemente nm.

Ovviamente mancano ancora tante verifiche delle proprieta di cuigode la struttura algebrica N. Preferiamo fermarci ora, prima di appe-santire inutilmente l’esposizione. Lo studente interessato puo con-sultare il classico testo di E. Landau [30].

Quella presentata sopra non e l’unica costruzione possibile dei nu-meri naturali. In effetti, l’insieme dei numeri naturali e determinatodalle proprieta caratterizzanti, e non dalla natura dei suoi oggetti. Neltesto di Godement [20] sono proposte due definizioni equivalenti deinumeri naturali.

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Definizione 1.71 (Zermelo). I numeri naturali sono definiti dalle formule

0 = ∅, 1 = {∅}, 2 = {{∅}}, . . .

Definizione 1.72 (Von Neumann). I numeri naturali sono definiti dalleformule

0 = ∅, 1 = {0}, 2 = {0, 1}, 3 = {0, 1, 2}, . . .

Queste definizioni riducono i numeri agli insiemi, e la comune carat-teristica e quella di annidare insiemi costituiti dall’insieme vuoto ∅. Epiuttosto sorprendente che tutta la matematica sia fondata su un in-sieme primo di elementi!

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2 FUNZ ION I FRA INS IEM I

Ora che abbiamo conquistato una certa familiarita con il linguaggiodegli insiemi, rivediamo rapidamente il linguaggio della teoria dellefunzioni fra insiemi.

Definizione 2.1. Siano X ed Y due insiemi qualsiasi. Una funzione f : X→Y (si legge: f da X in Y) e una legge che ad ogni x ∈ X associa precisamenteuno ed un solo elemento y ∈ Y, denotato anche con f(x). La notazionecompleta e

f : X → Y

x 7→ f(x)

Utilizzeremo sovente la notazione piu compatta f : x ∈ X 7→ f(x) ∈ Y.L’insieme X si chiama dominio (di definizione) di f, mentre Y si chiama codo-minio di f.

Notiamo che la definizione appena data nasconde una certa ambi-guit a. Che cosa sarebbe una legge? In realta, gli studenti del corsodi Matematica imparano fin dall’inizio una definizione piu rigorosa difunzione. Quella che abbiamo proposto ricalca la definizione ingenuadelle scuole superiori, e si affida all’idea innata di legge che permettedi mettere in corrispondenza due elementi di due insiemi noti.

Purtroppo la definizione rigorosa richiederebbe l’introduzione di ul-teriori concetti che non verrebbero piu utilizzati nel nostro corso. Peruna (superficiale) introduzione rigorosa, rimandiamo all’Appendice aquesto capitolo. Ci sembra interessante ed istruttivo il seguente com-mento, tratto da [1].

Possiamo pensare una funzione f : X → Y come una speciedi scatola nera, con un ingresso e un’uscita. Ogni volta chein ingresso entra un elemento del dominio, la scatola nera– la funzione – lo elabora e poi emette dall’uscita un ele-mento del codominio. Non e importante la natura degli ele-menti del dominio e del codominio (possono essere numeri,rette, patate, cavalleggeri prussiani o qualsiasi altra cosa)ne il tipo di processi digestivi che avvengono all’internodella scatola. Siano somme, prodotti, classifiche o formineda sabbia, tutte e ammissibile purche il procedimento usato siasempre lo stesso: ogni volta che in ingresso infiliamo la stessapatata, in uscita dobbiamo ottenere sempre la stessa cipolla– ad ogni elemento del dominio viene associato uno ed unsolo elemento del codominio, appunto.

Avvertenza. Molti studenti, ma anche molti docenti e qualche libro ditesto, hanno l’abitudine di riferirsi “alla funzione f(x)” invece che “alla

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funzione f”. Come abbiamo visto, una funzione e una legge, mentref(x) e semplicemente il valore che f assume in x. Per fare un paragone,sarebbe come confondere la persona Simone Secchi con le dispensescritte da Simone Secchi.1

Quindi non esiste la funzione sin x, ne la funzione x2. Piu corretto,e senz’altro piu accettabile, e parlare della funzione x 7→ x2, indicataanche con (#)2 in alcun i libri. Quest’ultima notazione, o l’equivalente(·)2, e ampiamente tollerata. La scrittura (sin #)/# significherebbe “lafunzione x 7→ (sin x)/x”, e quindi # assumerebbe il valore di carat-tere “jolly” per la variabile indipendente. Questa notazione apparein qualche testo (ad esempio [15]), ma non ha mai fatto breccia nellatradizione dei testi elementari.2

Lo studente, a regola, non capisce perche occorra perdere tempoin queste disquisizioni, che non giovano molto alla sua premura disuperare l’esame finale. Lasciando da parte il doveroso rimprovero achi crede che gli esami universitari siano inutili scocciature da superarebalbettando qualche frase davanti al professore, stiamo parlando di unconcetto veramente profondo. La x non e una divinita, nessun medicoce ne prescrive l’uso, e solo la tradizione invoglia a usare tale letteraper la variabil e indipendente.3 Le due scritture x 7→ ex e ζ 7→ eζ

denotano la stessa funzione: x e ζ, ma potremmo usare α, ρ o anchez, sono soltanto simboli. Una celebre battuta dice che, in matematica,un cappello rosso non e necessariamente un cappello, e anche se lofosse non sarebbe necessariamente rosso. Quello che conta veramentee il significato attribuito ai simboli, nel nostro caso la legge, cioe lafunzione, alla quale tali simboli vengono sottoposti. In alcuni contestiavanzati, la “funzione f(x)” potrebbe anche indicare il nome di unafunzione che agisce come

f(x) : t 7→ f(x)(t).

Sembra un paradosso, ma non lo e, ed anzi tali notazioni sono pres-soche obbligatorie in Geometria Differenziale e in Analisi Funzionale.Domanda provocatoria per lo studente: chi parlerebbe della funzioneg(1/2)? Se x denota un numero, g(1/2) dovrebbe essere tanto legittimoquanto g(x)...

Per amore di verita, molti docenti continuano a ritenere essenzial-mente (o totalmente) corretta un’espressione come “sia f(x) una fun-zione continua”. Seguendo la prassi italica che si fanno le regole e poisi tollerano le trasgressioni,4 i trasgressori non verranno perseguiti insede d’esame.

1 In certi ambienti, questa sovrapposizione e piuttosto comune. Io e i miei colleghi delcorso di laurea in matematica parlavamo sempre “del Rudin”, per indicare in effetti illibro [37] scritto da Rudin.

2 Purtroppo, la tendenza a confondere cio che un soggetto e con cio che quel soggetto fa,e un errore sempre piu diffuso anche nella nostra societa.

3 I fisici preferiscono usare t, come se parlassero di un tempo.4 Ogni riferimento socio–politico e pienamente voluto.

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Esempi. Siano X l’insieme di tutti gli uomini della Terra, e Y l’insiemedi tutti i colori. Se ad ogni uomo di X associamo il colore del suoocchio destro,5 abbiamo costruito una funzione da X in Y.

Se X e l’insieme di tutte le scatolette di tonno di un certo negozio,e Y e l’insieme dei numeri razionali Q, possiamo associare ad ognix ∈ X il suo prezzo y ∈ Q = Y, ottenendo una funzione. La sceltadi Y = Q nasconde la presunzione che nessun negoziante ci fara maipagare π euro per una scatoletta di tonno. Sembra percio ragionevoleche i prezzi delle scatole di tonno siano numeri con una quantita finitadi numeri decimali, e dunque numeri razionali.

Se infine X e l’insieme di tutte le circonferenze del piano cartesiano eY = R, possiamo associare ad ogni circonferenza il suo raggio. Anchequesta e una funzione.

Scegliamo ora X = Y come l’insieme di tutti gli individui viventisulla Terra. Associando ad ogni individuo vivente i suoi genitori, nondefiniamo una funzione: esistono gli orfani, e inotre potremmo asso-ciare a un x ∈ X due elementi di Y, madre e padre.

Nel seguito, useremo quasi esclusivamente insiemi numerici e fun-zioni fra di essi.

Definizione 2.2. Se f : X→ Y e una data funzione, l’insieme

f(X) = {y ∈ Y | esiste x ∈ X tale che y = f(x)} ⊂ Y

si chiama immagine di X rispetto a f. Se invece V ⊂ Y, l’insieme

f−1(V) = {x ∈ X | f(x) ∈ V}

si chiama controimmagine (o preimmagine, o ancora anti-immagine) dell’insiemeV .

Per i nostri scopi, il codominio Y e decisamente meno importante deldominio X. Effettivamente, per specificare una funzione, ci servonoin maniera essenziale il dominio e la legge, mentre il codominio puoessere “allargato” senza influire troppo sulla funzione. Infatti, cio checonta sembra essere f(X): gli elementi di Y che non sono immaginidi elementi di X possono essere sacrificati in prima battuta. Oppure,potremmo aggiungere ulteriori elementi all’immagine, senza alterarela funzione. Invitiamo il lettore a ritornare sull’esempio delle scatolettedi tonno. E vero che i prezzi sono (ragionevolmente) numeri razionali,6

ma se avessimo scelto come codominio l’insieme dei numeri reali nonavremmo compromesso la nostra funzione.

Convenzione didattica. Abbiamo appena detto che una funzione sicompone di tre elementi: un dominio, un codominio, e una legge.Ogni studente sa gia, pero, che in certi esercizi si chiede di “trovare” il

5 Ci sono esseri umani – pochi – con occhi di colori differenti, dunque parlare di “coloredegli occhi” non definirebbe una funzione. Escludiamo implicitamente gli individuiprivi dell’occhio destro.

6 Quasi sempre i prezzi sono espressi da numeri razionali con due cifre dopo il punto(o la virgola) decimale, ma esistono eccezioni: si pensi al prezzo del carburante, che equasi sempre espresso con i millesimi di euro.

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dominio di definizione di una certa funzione, scritta solitamente f(x) =. . . E una richiesta poco chiara, a cui si conviene di attribuire un sensoconvenzionale preciso. Quando si lavora con funzioni reali di una vari-abile reale, il dominio e inteso come il “dominio naturale”, cioe il piugrande sottoinsieme di R in cui tutte le operazioni scritte nella formuladi f hanno senso. Se f(x) =

√x− 1, il dominio e l’insieme delle x tali

che x− 1 > 0. Questo perche si puo estrarre la radice quadrata solo dinumeri maggiori o uguali a zero. Se f(x) = log(3x− 1), il dominio el’insieme delle x tali che 3x− 1 > 0, poiche solo i numeri strettamentepositivi hanno un logaritmo. Chiedere di trovare il dominio di unadata funzione significa chiedere allo studente di ricordare quali sonoi domini di definizioni delle principali funzioni elementari, e di farglirisolvere alcune disequazioni. E vero che f(x) = log x puo essere le-gittimamente definita sul dominio [1,π], ma non si tratta del dominionaturale. Nel linguaggio introdotto in questi appunti, sono semplice-mente due funzioni diverse.

Osservazione 2.3. Una situazione che solitamente risulta insidiosa pergli studenti e il caso delle funzioni contenenti potenze in cui sia labase che l’esponente sono variabili. Ad esempio, qual e il dominio didefinizione di x 7→ xx? O di x 7→ (sin x)logx? La risposta e che perdefinire un’espressione quale

f(x)g(x)

occorre imporre la condizione f(x) > 0.La ragione si capisce solo ricor-dando quella teoria delle potenze che ormai non viene quasi piu in-segnata nelle scuole medie. Si veda anche il successivo angolo dellosmemorato.

L’angolo dello smemorato: le potenze. Ricordiamo che, dato un qual-siasi numero reale (positivo, nullo o negativo) x, si definisce la suapotenza n– esima, per n ∈N mediante la formula

xn = x · x · . . . · x (n fattori).

Indi, si definiscono le potenze con esponente intero relativo, dicendoche

x−n =1

xn.

Naturalmente, occorre richiedere che x 6= 0. I primi dubbi arrivano peresponenti razionali. Infatti, come definire x1/q, dove q ∈N, q 6= 0? Disolito si dice che

x1/q = y se e solo se x = yq.

Pertanto, bisogna distinguere fra q pari e q dispari. Nel primo caso,poiche ogni numero elevato ad una potenza pari diventa non nega-tivo, dovremo imporre x > 0. Nel secondo caso, invece, ogni numerox ∈ R puo essere elevato alla potenza 1/q, q dispari. Si pensi, per ri-cordarlo, alla radice cubica x1/3, definita per ogni x reale. Ad esempio,

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l’espressione x1/8 ha senso solo per x > 0, mentre x1/17 e definita perogni x reale.

Ultimo passaggio, il caso dell’esponente razionale qualunque: xp/q.Ovviamente, possiamo pensare che la frazione p/q sia gia ridotta aiminimi termini. Poniamo allora

xp/q = (xp)1/q

se p > 0, mentre

xp/q =1

x−p/q

se p < 0. Ovviamente, dobbiamo controllare che le potenze scritteabbiano significato: se q e un numero pari, (xp)1/q ha senso solo perxp > 0, cioe per x > 0. Se q e dispari, possiamo scrivere (xp)1/q

per ogni x reale. Per p < 0, dobbiamo inoltre escludere x = 0 dalladefinizione. Per esempio,

x2/3 = (x2)1/3,

definita dunque per ogni x reale (perche il denominatore 3 dell’esponentee dispari), mentre

x5/2 =(x5)1/2

definita solo per x > 0 perche il denominatore 2 dell’esponente e unnumero pari. Infine,

x−4/3 =1

x4/3,

definita per ogni x 6= 0: l’unica condizione e infatti che il denominatorex4/3 sia diverso da zero.

Dopo questa lunga digressione, non e affatto chiaro come definirexα, per un qualunque numero α ∈ R. La risposta e insita nellacostruzione dell’insieme dei numeri reali.7 Ci limitiamo ad un cenno:fissato α, si approssima α con una successione di numeri razionali{pn/qn}n∈N. La tentazione e di definire

xα = limn→+∞ xpn/qn .

Il problema pero e che non possiamo avanzare pretese sui numeri qn:potrebbero essere alternativamente positivi o negativi. Per esempio, sevolessimo definire (−1)

√2, osserveremmo che

√2 ≈ 1.414213562373 . . .

e dunque vorremmo approssimare (−1)√2 con

(−1)14/10, (−1)141/100, (−1)1414/1000, . . .

Ma gia la seconda approssimazione e insensata, perche 141 e dispari,e dovremmo calcolare la radice centesima di −1, che non e definita.

7 Questo e uno dei momenti, non troppo frequenti per fortuna, in cui si rimpiange di nonavere le basi di teoria dei sistemi numerici.

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Allora, per essere certi che xpn/qn abbia senso, l’unica via d’uscita echiedere che x > 0. Morale del discorso: possiamo elevare ad unapotenza reale generica solo le basi positive. L’approccio mediante lesezioni di Dedekind propone di definire xα come il valore di

sup {rα | r ∈ Q, r 6 x} = inf {rα | r ∈ Q, r > x} .

Questa uguaglianza e pero falsa per x < 0. Resta un ultimo, tremendo,dubbio: siccome N ⊂ Z ⊂ Q ⊂ R, come ci comportiamo davantiall’espressione x2/3? Pensiamo 2/3 come un numero razionale oppurecome un numero reale? Gia, perche nel primo caso possiamo sceglierex reale, mentre nel secondo solo x > 0! La risposta e quella piu compli-cata8: quando l’esponente e un numero razionale, lo trattiamo cometale, senza pensarlo come un numero reale.

Osservazione 2.4. Per togliere qualsiasi ambiguita, converrebbe dis-tinguere rigorosamente e senza eccezioni la funzione esponenziale dallafunzione inversa delle potenze. In altri termini, dovremmo consider-are separatamente (per esempio) le due funzioni

f : (0,+∞)→ R, f(x) = x2/3

g : R→ R, g(x) =3√x2.

Si puo seguire senz’altro questa strada, ma i matematici amano am-morbidire le asperita della loro materia con qualche cedimento alleconvenzioni.

Per concludere, c’e una situazione che molti studenti non sannocome affrontare: come si calcola 00? E una domanda insidiosa, che ineffetti ha gia avuto implicitamente la risposta nella discussione prece-dente: l’operazione 00 non e definita. Per x 6= 0, possiamo pensare chex0 = xm−m = xm/xm, dove m e un numero intero (diverso da zero)qualunque. Allora, viene spontaneo dire che x0 = 1 per x 6= 0. Maquesto ragionamento non e convincente per x = 0, poiche x−m e giaprivo di significato. A volte, i matematici convengono di dare un sensoad un’espressione indefinita, e lo fanno con lo scopo di semplificare ounificare argomenti che richiederebbero una trattazione diversa casoper caso. Molti studiosi di analisi matematica usano la convenzione00 = 1, pensando che 00 = limx→0 x0 = limx→0 1 = 1. Altri, invece,preferiscono pensare che 00 = limx→0 0x = limx→0 0 = 0. Questo, daun punto di vista avanzato, si interpreta con il fatto che la funzione didue variabili f(x,y) = xy, definita per x > 0 e y ∈ R, non e prolunga-bile per continuita in (0, 0). Chi scrive, se proprio e obbligato, ha unamaggiore simpatia per la convenzione 00 = 1, ma si tratta di gusti.

Per amor di verita, i matematici che si occupano di Algebra as-tratta si trovano unanimemente concordi nel sostenere che 00 = 1 perdefinizione di elevamento a potenza. La faccenda e ingarbugliata, e cerchi-amo di fornire una spiegazione in poche righe. In Algebra, ogni volta

8 I matematici scelgono spesso la strada piu ricca di bivi, almeno quando questi biviarricchiscano la teoria.

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che sia definita un’operazione di moltiplicazione9 e conveniente porrex0 = 1, qualunque sia l’elemento x. Di conseguenza, un algebrista scrive00 = 1 senza provare il minimo imbarazzo. Chi si occupa di AnalisiMatematica nutre di solito qualche perplessita di fronte a questo tipodi scrittura. Il punto e che un algebrista interpreta l’esponente 0 comeil numero naturale 0 ∈ N. Invece, l’analista lo pensa quasi semprecome 0 ∈ R.

Definizione 2.5. Supponiamo che f : X → Y sia una funzione fra i dueinsiemi X e Y. Se Z e un sottoinsieme di X, la nuova funzione f|Z : Z → Y

definita da f|Z(x) = f(x) per ogni x ∈ Z prende il nome di restrizione di fall’insieme Z.10

Restringere l’azione di una funzione a un dominio di definizionepiu piccolo puo apparire inutile. Il punto e che, per noi, una funzionee individuata in modo univoco dal suo dominio, dal suo codominio,e dalla sua legge. Ad esempio, vedremo piu avanti che la funzionef : R→ R definita dalla legge

f(x) =

−1, se x < 00, se x = 01, se x > 0

e discontinua nel punto x = 0, ma la sua restrizione a qualsiasi inter-vallo che non contiene il punto x = 0 e continua. Questo ci convinceche le restrizioni di una funzione possono godere di proprieta che lafunzione di partenza non possiede.

2.1 operazioni sulle funzioniQuando lavoriamo con funzioni a valori reali, e facile estendere adesse le quattro operazioni dell’aritmetica. Basta infatti operare sulleimmagini, come nella definizione che segue.

Definizione 2.6. Sia X un insieme, e siano f : X → R e g : X → R duefunzioni a valori reali. Definiamo la loro somma, il loro prodotto e il loroquoziente come

1. f+ g : X→ R, x 7→ f(x) + g(x)

2. fg : X→ R, x 7→ f(x)g(x)

3. f/g : X \ {x ∈ X | g(x) = 0}→ R, x 7→ f(x)/g(x),

Anche le funzioni possiedono delle operazioni, senza dubbio menofamiliari di quelle algebriche. A noi ne serviranno due: la compo-sizione e l’inversione.

9 In generale, in ogni gruppo ha senso definire le potenze di un elemento.10 A volte si usa il simbolo f|Z.

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Definizione 2.7. Siano f : X → Y e g : Y → Z due funzioni. La funzioneg ◦ f : X→ Z definita da

g ◦ f : x ∈ X 7→ g(f(x)) ∈ Z

si chiama funzione composta di g ed f.

Osservazione 2.8. La composizione, per usare un’espressione mnemon-ica, si legge da destra a sinistra. Qualche Autore, soprattutto quelliche si occupano di algebra, usano la convenzione della composizionein ordine inverso rispetto al nostro. Per costoro, g ◦ f significa calco-lare prima g e poi f. La “scusa” addotta e che e preferibile rispettareil senso della scrittura occidentale, da sinistra a destra. E chiaro chebasta ribattere che e proprio il senso della scrittura che spinge a scri-vere l’argomento a destra della funzione (cioe f(x) e non (x)f), e dunquel’argomento di g va scritto a destra: g ◦ f.

Nella pratica, comporre due funzioni significa applicarle in succes-sione, facendo attenzione all’ordine di scrittura. Graficamente,

x ∈ X 7→ f(x) ∈ Y 7→ g(f(x)) ∈ Z,

dove la prima freccia indica l’azione di f su x e la seconda freccial’azione di g su f(x). Questa rappresentazione evidenzia l’ipotesi cheil codominio di f coincidesse con il dominio di g.11 In generale, non hasenso scrivere f ◦ g, perche il codominio di g non e il dominio di f. Eanche se questa condizione strutturale e soddisfatta, e facile costruireun esempio in cui f ◦ g e g ◦ f sono due funzioni ben distinte.

Osservazione 2.9. Il concetto di composizione puo essere esteso atre o piu funzioni: l’importante e che domini e codomini siano “deltipo giusto”. Piu precisamente, consideriamo tre funzioni f1 : X → Y,f2 : Y → Z, e f3 : Z→W. Allora possiamo definire h = f3 ◦ f2 ◦ f1 : X→W come segue: per ogni x ∈ X, h(x) = f3(f2(f1(x))). Si potrebbe di-mostrare facilmente che la composizione gode della proprieta associa-tiva: (f3 ◦ f2) ◦ f1 = f3 ◦ (f2 ◦ f1). A parole, possiamo comporre primaf3 con f2, e successivamente comporre il risultato con f1. Oppure fareprima la composizione di f2 e f1, e solo alla fine comporre il risultatocon f3. In entrambi i casi, otteniamo la medesima funzione.

Osservazione 2.10. La composizione di due funzioni puo essere definitain un contesto leggermente piu generale. Consideriamo due funzionif : X→ Y e g : Y → Z. Finora abbiamo imposto che Y = Y, ma capiamosubito che non e del tutto necessario per dare un senso a g ◦ f. Infatti,quello che ci serve veramente e che l’immagine f(X) sia un sottoin-sieme del dominio Y di g: f(X) ⊂ Y. Insomma, per comporre g con f,quello che occorre (e basta) e che l’immagine di f sia un sottoinsiemedel dominio di g.

Piu macchinosa e la definizione di funzione inversa. Premettiamouna definizione fondamentale.

11 In base a quanto detto poco sopra, basterebbe che f(X) fosse un sottoinsieme del do-minio di g.

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Definizione 2.11. Sia f : X → Y una funzione. Diciamo che f e iniettiva sead elementi x1 6= x2 di X sono associate sempre immagini f(x1) 6= f(x2) inY. Diciamo invece che f e suriettiva se f(X) = Y, cioe se per ogni y ∈ Y esisteun x ∈ X tale che f(x) = y. Diciamo infine che f e biunivoca se e iniettiva esuriettiva.

Supponiamo che f : X→ Y sia una funzione biunivoca. Ad ogni y ∈Y si associa un elemento x ∈ X tale che f(x) = y. Ora, tale elemento x eunico: se ce ne fossero due, chiamiamoli x1 e x2, ovviamente x1 6= x2e l’iniettivita di f implicherebbe

y = f(x1) 6= f(x2) = y,

cioe y 6= y. Questo e chiaramente impossibile, dunque esiste uno (perla suriettivita) ed uno solo (per l’iniettivita) x ∈ X tale che f(x) = y.Ma allora abbiamo costruito una funzione da y in X. Questa funzione,che chiameremo f−1, gode della proprieta che

f ◦ f−1 : y ∈ Y 7→ y ∈ Y (2.1)

e

f−1 ◦ f : x ∈ X 7→ x ∈ X. (2.2)

Definizione 2.12. Sia f : X → Y una funzione biunivoca. La funzionef−1 : Y → X costruita sopra si chiama funzione inversa di f, ed e caratter-izzata dalle condizioni (2.1) e (2.2).

Osservazione 2.13. Diversamente da alcuni libri di testo, saremo pi-uttosto rigidi sul concetto di funzione invertibile. Come visto, pernoi una funzione e invertibile quando e biunivoca. Altri chiedonosono l’iniettivita: il dominio della funzione inversa sara l’immaginedella funzione diretta. Questa e una convenzione legittima e addirit-tura comoda in certi contesti elementari. Lo studente si convincerafacilmente di questo: qualsiasi funzione diventa suriettiva, a patto discegliere come codominio l’immagine della funzione. Se ci viene datauna funzione iniettiva f da un dominio X in un codominio Y, la nuovafunzione f : X → f(X) e una funzione biunivoca e percio invertibile.Sebbene f sia una funzione diversa da f, e comodo indulgere in questaconfusione.

Riassumendo, le (2.1) e (2.2) dicono che la funzione inversa e ef-fettivamente quell’operazione che “inverte” una funzione biunivocarispetto alla composizione ◦. Quando allo studente dovra dimostrareche una certa funzione e invertibile, dovra verificare che la funzione einiettiva e suriettiva. Puo far comodo usare la caratterizzazione con-tenuta nella prossima proposizione.

Proposizione 2.14. Sia f : X→ Y.

1. f e iniettiva se e solo se dall’uguaglianza f(x1) = f(x2) discende x1 =

x2.

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2. f e suriettiva se e solo se, per ogni y ∈ Y, l’equazione (nell’incognitax ∈ X) f(x) = y possiede almeno una soluzione.

3. f e biunivoca se e solo se, per ogni y ∈ Y, l’equazione f(x) = y possiedeesattamente una soluzione x ∈ X. In tal caso, x = f−1(y).

Concretamente, tutto si riduce a risolvere equazioni. Purtroppo nontutte le equazioni sono risolvibili in termini espliciti, e i metodi delcalcolo differenziale ci verranno in aiuto.

Osservazione 2.15. Ci sarebbe molto da discutere sull’aggettivo “es-plicito” usato un paio di righe sopra. A volte si sostiene che non esisteuna rappresentazione “esplicita” per l’unica soluzione reale dell’equa-zione cos x = x. Se pero tutti gli scienziati convenissero di denotarequesto numero con il simbolo ♠, potremmo scrivere tranquillamentelog♠, tan♠, ecc. Quello che intendiamo dire e che in matematica nullae intrinsecamente esplicito o implicito. Quante volte lo studente ha us-ato il simbolo π per intendere il famoso 3.14 che la maestra insegnavaalle scuole elementari? Possiamo dire che π e piu esplicito di ♠ soloperche ce l’hanno inculcato da bambini?

2.2 funzioni monotone e funzioni peri-odiche

Spendiamo qualche parola sui rapporti fra le funzioni reali di variabilereale e la relazione d’ordinamento fra numeri reali. Dati due numerireali x1 e x2, esattamente una delle seguenti affermazioni deve esserevera: x1 < x2, oppure x1 = x2, oppure x1 > x2.

Definizione 2.16. Sia X ⊂ R un sottoinsieme, e sia f : X→ R una funzionereale di una variabile reale. Diremo che f e monotona crescente (risp. crescentein senso stretto) se e soddisfatta la condizione seguente: se x1, x2 ∈ X e sex1 < x2, allora f(x1) 6 f(x2) (risp. f(x1) < f(x2)). Diremo che f emonotona decrescente (risp. decrescente in senso stretto) se e soddisfatta lacondizione seguente: se x1, x2 ∈ X e se x1 < x2, allora f(x1) > f(x2) (risp.f(x1) > f(x2)).

A parole, le funzioni monotone crescenti rispettano l’ordinamentodei numeri reali, mentre quelle monotone decrescenti lo invertono.

Osservazione 2.17. Attenzione alla pronuncia dell’aggettivo “mono-tona”: l’accento cade sulla seconda lettera o. Il professore di matem-atica puo essere monotono (accento sulla prima o), mentre le funzionisono monotone (accento sulla seconda o).

Teorema 2.18. Sia [a,b] un intervallo, e sia f : [a,b] → R una funzionestrettamente crescente (oppure strettamente decrescente). Allora f e iniettiva.

Proof. Siano x1 e x2 due elementi distinti di [a,b]. Non e restrittivosupporre che x1 < x2. Siccome f e strettamente crescente (oppure

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decrescente), avremo che f(x1) < f(x2) (oppure f(x1) > f(x2)), e inparticolare f(x1) 6= f(x2). Pertanto f e una funzione iniettiva.

Corollario 2.19. Una funzione strettamente monotona e invertibile sulla suaimmagine, e la funzione inversa e strettamente monotona nello stesso sensodella funzione diretta.

Lasciamo allo studente piu volenteroso la dimostrazione di questocorollario. Una sola avvertenza: la funzione inversa rispetta il sensodella monotonia. Per qualche suggestione psicologica, molti studentisono convinti che l’inversa di una funzione crescente debba essere unafunzione decrescente. Basta pensare all’esempio della funzione espo-nenziale e della funzione logaritmo per non sbagliarsi.

Introduciamo infine un’ulteriore proprieta di alcune funzioni cheincontreremo spesso.

Definizione 2.20. Una funzione f : R→ R e periodica di periodo T > 0 se

f(x+ T) = f(x), per ogni x ∈ R.

e T e il piu piccolo numero positivo che soddisfi questa uguaglianza.

Ne consegue che, per conoscere una funzione T–periodica, bastaconoscerla su un qualunque intervallo di ampiezza T , ad esempio [0, T ]o [−T/2, T/2].

La clausola di minimalita di T e parte integrante della definizione diperiodicita. La funzione seno ha periodo T = 2π, ma sin(α+ T) = sinαe vera anche per tutti i multipli interi di 2π.

2.3 grafici cartesianiIl piano cartesiano sara, per noi, l’insieme dei punti di un piano nelquale sono stati scelte due rette perpendicolari. Queste rette si interse-cano in un punto detto origine, e sono chiamati assi cartesiani. I puntidi questo piano sono copppie ordinate di numeri reali, ed e sugges-tivo usare il simbolo R2 = R ×R per indicare brevemente il pianocartesiano.

Definizione 2.21. Sia f : X → Y una funzione, dove X, Y sono due insiemi.Il grafico di f e il sottoinsieme di X× Y

Γ(f) = {(x, f(x)) ∈ X× Y | x ∈ X}.

In pratica, il grafico di una funzione e costituito dalle coppie ordi-nate il cui primo elemento appartiene al dominio, e il secondo ele-mento e l’immagine del primo elemento.12 Per le nostre funzioni realidi una variabile reale, il grafico e una sottoinsieme di R2. Di solitosi tratta di una curva (nel senso intuitivo del termine), ma potrebbe

12 Lo studente che avra la pazienza di leggere l’Appendice, imparera che una funzione edil suo grafico sono esattamente la stessa cosa!

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anche essere un solo punto. Pensiamo infatti alla funzione x 7→√−x2,

definita evidentemente solo in {0}. Il suo grafico e formato dal punto{(0, 0)} ∈ R2.

Ci sembra opportuno insistere su un punto: non tutte le curve che sipossono disegnare nel piano cartesiano sono grafici di funzioni. Pren-diamo per esempio una circonferenza o un’ellisse: sono rappresentantidelle ben note coniche, ma non sono certamente grafici di funzioni re-ali di una variabile reale. Esistono infatti rette verticali che intersecanotali curve in due punti distinti, contro la definizione di funzione.

Ma come si “leggono”, su un grafico cartesiano, le proprieta di unafunzione? In genere, tutte le principali caratteristiche di una data fun-zione hanno una visibilita notevole nel grafico cartesiano. Per esempio,la suriettivita corrisponde al fatto che qualunque retta orizzontale in-terseca il grafico almeno una volta. Se ogni retta orizzontale intersecail grafico al massimo una volta,13 la funzione e iniettiva. Se ogni r ettaorizzontale interseca il grafico una ed una sola volta, allora la funzionee biunivoca.

La periodicita si rispecchia invece in una ripetizione esatta del graficoogni volta che l’ascissa si sposta di una quantita pari al periodo. Comedetto sopra, basta pertanto tracciare il grafico su un intervallo di ampiezzapari al periodo.

2.4 alcune (cosiddette) funzioni elemen-tari

In quest’ultima sezione introduttiva, riepiloghiamo le caratteristiche dialcune funzioni di natura elementare. Queste costituiranno in un certosenso un archivio a cui attingere esempi e controesempi nel corso delprogramma.

Innanzitutto, lo studente ricordera le funzioni lineari affini, cio e lerette del piano. Fatta eccezione per le rette verticali14, la generica fun-zione linere affine ha la forma

x 7→ mx+ q,

per opportuni valori di m, q ∈ R. Le funzioni rappresentate invece dapolinomi di secondo grado sono invece parabole, e hanno la forma

x 7→ ax2 + bx+ c,

dove i coefficienti a, b e c sono numeri reali.Il lettore dovrebbe avere una certa familiarita anche con le funzioni

esponenziali, quelle rappresentate dalla formula

x 7→ ax,

13 Cioe non lo interseca affatto, oppure lo interseca esattamente una volta.14 Che non rappresentano grafici di funzioni!

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dove a ∈ (0,+∞).15 Il caso a = 1 non merita tante parole: la funzionee chiaramente costante, poiche 1x = 1 qualunque sia l’esponente x.Nel caso 0 < a < 1, la funzione esponenziale di base a e positiva,monotona decrescente. Nel caso a > 1, essa e invece positiva mamonotona crescente.

Per quanto visto, la funzione esponenziale di base a ∈ (0, 1)∪ (1,+∞)

e invertibile, e la sua funzione inversa si chiama logaritmo in base a.Si scrive

x ∈ (0,+∞) 7→ loga x.

Per a > 1, la funzione logaritmica e strettamente crescente, attraversal’asse delle ascisse per x = 1, e negativa per 0 < x < 1 e positiva perx > 1.

Per 0 < a < 1, la funzione logaritmica e strettamente decrescente,positiva per 0 < x < 1 e negativa per x > 1. L’unico valore in cui siannulla e x = 1.

Concludiamo la panoramica con le funzioni goniometriche. Poicheuna definizione rigorosa di tali funzioni puo essere data solo avendo adisposizione strumenti che introdurremo piu avanti, ci affidiamo alleconoscenze pregresse dello studente. Probabilmente, sapra che il senodi un angolo e il rapporto fra cateto opposto e ipotenusa di un certotriangolo rettangolo, e cosı via. Per iniziare, questa “definizione” ge-ometrica ci basta.16 Abbiamo dunque a nostra disposizione due fun-zioni,

x ∈ R 7→ sin x

x ∈ R 7→ cos x,

chiamate rispettivamente seno e coseno, definite sull’intero insieme deinumeri reali, periodiche di periodo 2π. A queste si affianca la funzionetangente, definita come

tan x =sin xcos x

per ogni x ∈ R \ {kπ/2 | k ∈ Z}.17 La tangente e una funzione period-ica di periodo π, e sull’intervallo (−π/2,π/2) e strettamente crescente,nulla in x = 0.

Osservazione 2.22. Gli angoli saranno sempre misurati in radianti.L’uso dei gradi sessagesimali, cui lo studente e forse piu abituato, siadatta male al calcolo differenziale. Ricordiamo che la relazione frala misura αgradi in gradi sessagesimali e quella αrad in radianti di unangolo α e stabilita dalla seguente proporzione:

αrad : αgradi = 2π : 360.

15 La base a e un numero positivo per ipotesi. Infatti, e problematico elevare un numeronegativo ad un esponente reale, e questo ci costringerebbe a distinguere vari casi.

16 Una definizione rigorosa delle funzioni elementari appare in [39]. Sono pero richiesti imetodi del calcolo integrale, e non ci sembra opportuno insistere su questa richiesta dirigore.

17 Questa scrittura apparentemente complicata e la scrittura simbolica per la frase “x di-verso da qualunque multiplo intero di π/2”.

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Quindi

αrad =π

180αgradi.

Formule goniometriche. Per comodita dello studente, riportiamo diseguito un elenco di utili formule goniometriche, che spesso sono dif-ficilmente reperibili sui testi universitari. Certamente non e obbliga-torio memorizzarle tutte, ma occorre una certa familiarita almeno conle formule di addizione e sottrazione. Nel seguito, le lettere grecheindicherranno angoli espressi in radianti.

1. (sinα)2 + (cosα)2 = 1; secα = 1cosα ; cosecα = 1

sinα

2. (secα)2 = 1+ (tanα)2

3. sin(α±β) = sinα cosβ± cosα sinβ

4. cos(α±β) = cosα cosβ∓ sinα sinβ

5. tan(α±β) = tanα±tanβ1∓tanα tanβ

6. sinα+ sinβ = 2 sin α+β2 cos α−β2

7. sinα− sinβ = 2 cos α+β2 sin α−β2

8. cosα+ cosβ = 2 cos α+β2 cos α−β2

9. cosα− cosβ = −2 sin α+β2 sin α−β2

10. sin(2α) = 2 sinα cosα

11. cos(2α) = (cosα)2 − (sinα)2 = 2(cosα)2 − 1 = 1− 2(sinα)2

12. tan(2α) = 2 tanα1−(tanα)2

13. 2(sin α2 )2 = 1− cosα; 2(cos α2 )

2 = 1+ cosα

14. tan α2 = sinα1+cosα = 1−cosα

sinα .

2.5 appendice: relazioni e funzioniIn questa appendice proponiamo un approccio piu rigoroso al concettodi funzione fra insiemi. Anche per usi futuri, e opportuno considerarerelazioni fra elementi di un insieme.

Definizione 2.23. Siano X e Y due insiemi qualunque. Una relazione e unsottoinsieme R di X× Y. Se x ∈ X, y ∈ Y e (x,y) ∈ R, diciamo che x e inrelazione con y.

Osservazione 2.24. Al posto della notazione (x,y) ∈ R, e comune scri-vere xRy. Si presti attenzione all’ordine di apparizione di x e y. None possibile scambiare x con y: anche quando x e in relazione con y,nessuno garantisce che y sia in relazione con x.

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Fra le relazioni, rivestono un ruolo particolare le relazioni d’ordine,dette anche ordinamenti.

Definizione 2.25. Una relazione d’ordine nell’insieme X e una relazionein X× X, solitamente denotata con il simbolo 6,18 che gode delle seguentiproprieta:

(PO1) x 6 x per ogni x ∈ X;

(PO2) se x 6 y e y 6 z, allora x 6 z;

(PO3) se x 6 y e y 6 x, allora x = y.

Queste proprieta prendono il nome, rispettivamente, di proprieta riflessiva,proprieta transitiva, e proprieta antisimmetrica.

Osservazione 2.26. Nella tradizione didattica recente, capita di studi-are le relazioni anche negli studi scolastici superiori. Taluni testi enun-ciano una proprieta antisimmetrica sbagliata: se x 6 y allora y 6 x

e falsa. Lo studente puo convincersi che questa non e equivalente a(PO3).

Un’altra categoria di relazioni particolarmente notevoli e quello dellerelazioni di equivalenza.

Definizione 2.27. Una relazione di equivalenza nell’insieme X e una re-lazione in X×X, solitamente denotata dal simbolo ∼, tale che

(EQ1) x ∼ x per ogni x ∈ X;

(EQ2) se x ∼ y e y ∼ z, allora x ∼ z;

(EQ3) se x ∼ y, allora y ∼ x.

Queste proprieta prendono il nome, rispettivamente, di proprieta riflessiva,proprieta transitiva, e proprieta simmetrica.

Siamo pronti per dare un senso matematicamente preciso al concettodi funzione fra insiemi qualunque.

Definizione 2.28. Una funzione f : X → Y e una relazione in X× Y con laproprieta che, per ogni x ∈ X esiste ed e unico un elemento y ∈ Y tale chex sia in relazione con y. Questo elemento y e denotato con il simbolo f(x).Ovviamente X e il dominio di f, Y il codominio.

Esempio 2.29. La ben nota funzione IX : X→ X, definita dalla formulaIX(x) = x per ogni x ∈ X e la relazione {(x, x) | x ∈ X}. Per evidentiragioni geometriche, questa relazione si chiama diagonale. Quindi lafunzione identica IX e la relazione diagonale.

Esempio 2.30. Date due relazioni R ⊂ X × Y e S ⊂ Y × Z, la lorocomposizione e la relazione S ◦ R ⊂ X×Z definita da

S ◦R = {(x, z) ∈ X×Z | esiste y ∈ Y tale che (x,y) ∈ R e (y, z) ∈ S}.

Quest definizione e coerente con la definizione di funzione compostaintrodotta precedentemente.

18 Generalmente 6 si legge “minore o uguale”, per estensione dell’ordinamento naturaledei numeri.

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Osservazione 2.31. Da quanto detto, discende che una funzione coin-cide con il suo grafico. Per quanto inconsueto possa apparire in primalettura, questa definizione di funzione e piu economica di quella “in-genua” basata sull’idea di legge che prende un elemento del dominioe produce magicamente un elemento del codominio. Infatti sarebbenecessario definire precisamente il concetto di legge, mentre una re-lazione e un concetto derivato da quello di prodotto cartesiano didue insiemi. D’altronde c’e anche un vantaggio puramente graficonell’identificazione di una funzione con il suo grafico. Si pensi allafunzione

f : [0,+∞)→ R

x 7→√x

e alla scrittura equivalente√· = {(x,

√x) | x ∈ [0,+∞)}.

Detto questo, nei capitoli successivi privilegeremo comunque la scrit-tura con le frecce, molto piu diffusa presso gli analisti matematici e neilibri di testo.

Ancora una volta, consigliamo allo studente la lettura del libro diPaul Halmos [24]. Potra approfondire alcune questioni brevementetoccate nell’appendice, e molti altri aspetti della teoria naıve degli in-siemi e delle funzioni.

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3 SUCCESS ION I D I NUMER IREAL I

In questo capitolo, introdurremo uno degli strumenti piu importanti ditutta l’Analisi Matematica, le successioni. Ci imbatteremo per la primavolta nella definizione di limite, e dimostreremo un certo numero di teo-remi fondamentali che avranno dei corrispettivi nella teoria dei limitiper le funzioni.

3.1 successioni e loro limitiDefinizione 3.1. Una successione di numeri reali e una qualunque funzionep : N→ R. Per consuetudine, useremo la scrittura pn invece della piu rigidanotazione funzionale p(n) per denotare il valore della funzione p in n ∈ N.Parleremo poi, sempre con un certo abuso di notazione, della successione {pn}.

Una successione viene spesso presentata come un allineamento (in-finito) di numeri reali

p1,p2,p3, . . . ,pn,pn+1, . . .

Per questo motivo, si trova frequentemente la notazione

{p1,p2,p3, . . . ,pn,pn+1, . . . } (3.1)

per indicare la successione {pn}. C’e sfortunatamente un aspetto cherichiede molta attenzione da parte dello studente. La notazione (3.1)si confonde del tutto con l’insieme {p1,p2,p3, . . . ,pn,pn+1, . . . } ⊂ R.Tutto cio e spiacevole, dato che una funzione e un oggetto ben diversodalla sua immagine. A costo di essere ripetitivi, consideriamo la suc-cessione cosı definita:

pn =

{1, se n e pari−1, se n e dispari.

L’immagine di {pn} e formata dall’insieme {−1, 1}, mentre la succes-sione e costituita da infiniti numeri reali. In questo senso l’uso delleparentesi graffe per denotare tanto la successione quanto l’insieme deipunti sulla retta reale da essa individuati e azzardata. La tradizionedidattica, cosı consolidata, rende inutile ogni battaglia contro questoabuso di notazione.

Osservazione 3.2. Se lo studente ha potuto leggere l’appendice delcapitolo precedente, potra apprezzare ancora meglio la differenza frala successione {pn}n e l’insieme di numeri {p1,p2,p3, . . . ,pn,pn+1, . . . }.Infatti la successione e precisamente il sottoinsieme {(n,pn) | n ∈N, pn ∈ R} di N×R. Appare evidente che una successione non el’insieme dei valori assunti.

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Osservazione 3.3. La definizione di successione non e universalmenteaccettata. Alcuni testi definiscono una successione come una funzioneil cui dominio di definizione e un sottoinsieme E di N con la seguenteproprieta: per ogni j ∈ N, esiste un elemento nj > j tale che nj ∈E. In parole povere, il deve essere possibile scegliere elementi deldominio E grandi a piacere. In particolare, E potrebbe essere N (comenella nostra definizione), oppure un intervallo del tipo N ∩ (a,+∞).In effetti, secondo questa definizione piu generale, una successionepotrebbe essere una qualsiasi funzione definita sull’insieme

E ={4j2 | j ∈N

}.

Nella pratica, le successioni sono definite per ogni indice naturale, op-pure per tutti gli indici naturali n maggiori di un opportuno n0 ∈ N.Si pensi alla successione { 1

n−3 }n, chiaramente definita solo per n > 4.Nel seguito, chiameremo successioni anche queste funzioni che, a rig-ore, non sodisfano la definizione precedente.

Osservazione 3.4. Osserviamo che qualunque successione e in realtala restrizione a N di infinite funzioni di una variabile reale. Data infattiuna qualunque successione {pn}, possiamo definire infinite funzionif : R→ R in maniera tale che f(n) = pn per ogni n ∈N. Ad esempio,possiamo specificare assolutamente a caso i valori di f(x) per x ∈ R \

N.

L’Osservazione sopra ci permette di fare una divagazione divertentecon un finale polemico. Tutti ci siamo imbattuti, prima o poi, nelseguente “rompicapo”: data una sequenza di quattro o cinque nu-meri (solitamente naturali), dire quale sara il numero successivo. Echiaro che, per un matematico, questo e un rompicapo assolutamenteozioso: basta scrivere un numero a caso! Chiaramente non sara mai lasoluzione prevista da chi pone il dilemma. Ad esempio, se la sequenzae “1, 3, 5, 7, 9”, sembra plausibile congetturare che il numero succes-sivo sara 11, data l’assonanza evidente con i primi numeri dispari. Intutti questi casi, il vero rompicapo e capire che cosa significhi scrivereun numero che segue logicamente quelli dati. Quasi sempre, infatti, larisposta “giusta” e semplicemente quella che le abitudini sociali sug-geriscono per prima; la matematica c’entra davvero poco.

Definizione 3.5. Una successione {pn} e crescente (risp. strettamente cres-cente) se pn 6 pn+1 (risp. pn < pn+1) per ogni n, e decrescente (risp.strettamente decrescente) se vale la disuguaglianza opposta (risp. la dis-uguaglianza stretta opposta). La successione {pn} e limitata se esiste unacostante M > 0 tale che |pn| 6M per ogni n.

Definizione 3.6. Diremo che la successione {pn} tende al valore ` ∈ R pern→ +∞, e scriveremo limn→+∞ pn = ` oppure pn → ` per n→ +∞, se,per ogni ε > 0 esiste N ∈N tale che

|pn − `| < ε per ogni n > N.

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Osservazione 3.7. La richiesta che N ∈ N e solo una scelta: non cam-bierebbe nulla se richiedessimo che n ∈ R. Infatti, da una parte N ⊂ R.Dall’altra, per la proprieta archimedea di R, preso un qualunque nu-mero reale x, esiste sempre un numero n ∈ N tale che n > x. Quindi,nella definizione di limite e equivalente pretendere l’esistenza di unnumero naturale N oppure di un numero reale N con le proprieta cer-cate.

Definizione 3.8. Diremo che una successione {pn} di numeri reali e conver-gente se essa possiede un limite nel senso della definizione precedente. In casocontrario, diremo che la successione e divergente.

Osservazione 3.9. Un primo avvertimento che ci sembra doverosodare e che i libri di testo italiani usano una terminologia molto piu de-scrittiva. Noi abbiamo usato l’aggettivo “divergente” per la negazionelogica di “convergente”. La tradizione italiana usa tale aggettivo perindicare che la successione tende all’infinito, come vedremo fra poco.La negazione della convergenza si divide cosı in due sotto-classi: ten-dere all’infinito e assumere infinite volte valori prossimi a piacere adue numeri distinti. Noi seguiremo, almeno in linea di principio, laterminologia di [37], l’unica d’altronde che si estende direttamente alcaso delle successioni a valori in spazi piu generali di R.

Osservazione 3.10. E fondamentale che lo studente si renda conto delseguente fatto: se esiste un numero N ∈ N che soddisfa le richiestecontenute nella definizione di limite, anche tutti i numeri naturali N >N andranno bene.

Osservazione 3.11. Ma ε e piccolo a piacere? Questa domanda, un po’peregrina, e basata su un’abitudine didattica in voga nelle scuole su-periori. I liceali che imparano la teoria dei limiti, si abituano a recitarela frase “per ogni ε piccolo a piacere...” Perche noi non abbiamo inser-ito la piccolezza di ε nella nostra definizione? La risposta e semplice:perche non serve. Se richiediamo che una proprieta valga per ogni ε,stiamo gia coprendo tutti i casi possibili. D’altronde, se riusciamo averificare la definizione di limite per ogni ε > 0 “piccolo”, a maggiorragione tutto continuera a valere per qualsiasi ε ′ > ε. Infatti, se io soche tutti i termini di una successione, tranne un numero finito, distanoda un numero ` meno di ε, automaticamente essi disteranno meno diε ′ > ε. Dunque non sara restrittivo partire da un ε > 0 che sia an-che in qualche modo “piccolo”, ad esempio ε < 1/2, o ε < 10−100.Qualche volta, volendo verificare una relazione di limite mediante ladefinizione, questo accorgimento risulta vantaggioso nel fare i calcoli.Insomma, dire “per ogni ε > 0 piccolo a piacere” non aggiunge alcunainformazione alla frase piu breve “per ogni ε > 0”.

Un’osservazione particolarmente importante e che i “primi” terminidi una successione sono ininfluenti al fine dell’esistenza del limite.

Proposizione 3.12. Siano {pn} e {qn} due successioni, e supponiamo che es-ista un numero naturale n0 tale che pn = qn per ogni n > n0. Sotto questeipotesi, la successione {pn} possiede limite (finito oppure infinito) se e solo sela successione {qn} possiede limite, ed in tal caso i due limiti coincidono.

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Proof. Supponiamo che limn→+∞ pn = ` ∈ R. Per definizione, fissatoε > 0 esiste N ∈ N tale che |pn − `| < ε per ogni n > N. Posto N1 =

max{N,n0}, ovviamente |qn − `| < ε per ogni n > N1, dal momentoche qn = pn per tali valori dell’indice n. Quindi limn→+∞ qn =

`. Poiche questo ragionamento e perfettamente simmetrico, possiamoscambiare il ruolo di {pn} e di {qn}, e concludere che se limn→+∞ qn =

` allora anche limn→+∞ pn = `. Il caso del limite infinito e lasciato peresercizio.

Lo studente non deve comunque sopravvalutare la portata dellaProposizione appena dimostrata: se il limite rappresenta il comporta-mento della successione per indici molto grandi, e naturale che si disin-teressi dell’andamento della successione per valori “piccoli” dell’indice.

Esempio importante. Ma come si controlla, operativamente, che unasuccessione sia convergente? Vediamolo con un esempio. Consideri-amo la successione {n−1n+1 }, e verifichiamo che e convergente al limite` = 1. In base alla definizione, dobbiamo fissare a nostro piacere unnumero ε > 0, e verificare che la disequazione∣∣∣∣n− 1

n+ 1− 1

∣∣∣∣ < εe soddisfatta per tutti i valori di n maggiori di qualche N. Riscriviamola disequazione facendo il denominatore comune:∣∣∣∣n− 1−n− 1

n+ 1

∣∣∣∣ < ε,cioe

2

n+ 1< ε.

La domanda e: esiste un indiceN ∈N tale che 2n+1 < ε sia soddisfatta

per ogni n > N? Per rispondere, “risolviamo” la disequazione 2n+1 <

ε rispetto a n:

n >2

ε− 1.

Pertanto, se scegliamo N uguale al primo numero naturale1 maggioredi 2ε − 1, abbiamo finito la verifica del limite proposto.

Dunque la verifica di un limite si riduce nel “risolvere” una dise-quazione e nel dimostrare che l’insieme delle soluzioni contiene tuttii numeri naturali maggiori di un opportuno valore. Prima di passareoltre, osserviamo che il valore del limite ` e stato “regalato”, e che nonsaremmo riusciti a calcolarlo con la sola definizione. Vedremo fra pocoquali strumenti esistano per l’effettivo calcolo dei limiti.

1 In base all’Osservazione 3.7, basterebbe prendere il numero reale N = 2ε − 1. Per

tradizione, continueremo a cercare un numero naturale N che soddisfi la condizionescritta nella definizione di limite.

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Page 60: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

La prossima domanda e se possano esistere due numeri `1 e `2 chesiano entrambi il limite di {pn}? La risposta e negativa.2

Proposizione 3.13 (Unicita del limite). Se pn → `1 e pn → `2, allora`1 = `2.

Proof. Supponiamo che `1 < `2 e mostriamo che questo porta ad unacontraddizione. Un ragionamento del tutto simile vale anche sottol’ipotesi (assurda) `1 > `2, e percio non resta che `1 = `2. Dunque, siaε = 1

2 (`2 − `1) > 0. Applichiamo la definizione di limite per `1: esisteN1 ∈N tale che

|pn − `1| < ε se n > N1.

Applicando la definizione a `2, troviamo che esiste N2 ∈N tale che

|pn − `2| < ε se n > N2.

Scegliamo N > max{N1,N2}. Quindi

`2 − `1 6 |pn − `1|+ |pn − `2| < `2 − `1,

assurdo.

Osservazione 3.14. La dimostrazione mette in luce che l’unicita dellimite e una conseguenza immediata del seguente fatto: se a e b sononumeri reali diversi, allora esistono un intorno I di a ed un intornoJ di b tali che I ∩ J = ∅. Ad esempio, posto δ = 1

2 |a− b|, possiamoscegliere I = (a− δ,a+ δ) e J = (b− δ,b+ δ). In matematica superiore,questa proprieta di separazione si chiama proprieta di Hausdorff. Comeappena visto, R gode di questa proprieta, cosı come tutti gli spazimetrici. Tuttavia esistono spazi di oggetti, di interesse matematico,che sono privi di questa proprieta. In questi spazi, generalmente, unasuccessione puo convergere a due o piu limiti diversi.

Nella dimostrazione abbiamo usato la disuguaglianza triangolare

|x− y| 6 |x− z|+ |z− y| (3.2)

valida per ogni terna x, y, z di numeri reali. Un’altra proprieta dellesuccessioni convergenti, cioe delle successioni che tendono a un limitenel senso della nostra definizione, e che sono successioni limitate.

Proposizione 3.15. Ogni successione convergente e limitata.

Proof. Infatti, se limn→+∞ pn = `, allora esiste N ∈N, corrispondentealla scelta di ε = 1, tale che |pn − `| < 1 se n > N. Quindi, per ladisuguaglianza triangolare,

|pn| < M = max{|p1|, |p2|, . . . , |pN|, 1+ |`|}.

2 Almeno per successioni di numeri reali. In contesti molto piu generali, una successionepotrebbe addirittura ad infiniti limiti diversi.

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Page 61: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Osservazione 3.16. E pero falso che ogni successione limitata con-verge. La successione {1,−1, 1,−1, 1,−1, . . . } e limitata (M = 1 nelladefinizione), ma non converge. Vedremo comunque che tutte le suc-cessioni limitate hanno una sottosuccessione convergente.

Prima di proseguire, osserviamo che alle successioni possono essereapplicate le quattro operazioni algebriche. Precisamente, se {pn}, {qn}sono successioni e se α ∈ R, possiamo definire le successioni

pn + qn, αpn, pnqn,pn

qn

sotto l’ovvia condizione che qn 6= 0 quando qn appare a denomina-tore.

Il seguente teorema afferma che l’operazione di limite rispetta leoperazioni algebriche.

Teorema 3.17. Siano {pn} e {qn} due successioni. Se pn → ` e qn → m

per n→ +∞, allora

1. pn + qn → `+m;

2. αpn → α`;

3. pnqn → `m;

4. pnqn →`m se m 6= 0.

Proof. Le affermazioni 1 e 2 sono ovvie. Vediamo la 3, un po’ piudifficile. Per ipotesi, dato ε > 0 esistono N1 ed N2 in N tali che|pn − `|| < ε e |qn −m| < ε rispettivamente per n > N1 ed n > N2.Fissiamo N > max{N1,N2} e osserviamo che per n > N

|pnqn − `m| = |pnqn − `qn + `qn − `m| 6 |pn − `||qn|+ |`||qn −m|

(3.3)

per la disuguaglianza triangolare. Poiche ogni successione conver-gente e limitata, avremo |qn| < M, e dunque

|pnqn − `m| 6Mε+ |`|ε = (M+ |`|)ε.

Poiche ε > 0 e arbitrario, altrettanto arbitrario e il numero (M+ |`|)ε,e quindi anche 3 e dimostrata. La dimostrazione del punto 4 richiedequalche ragionamento preliminare. Poiche m 6= 0, dalla definizionedi limite e dalla disuguaglianza triangolare segue che esiste N ∈ R

tale che |qN| >|m|2 per ogni n > N. Infatti, scegliendo ε =

|m|2 nella

definizione di limite, definitivamente |qn| > ||m|− ε| =|m|2 . Per con-

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Page 62: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

cludere la dimostrazione, fissiamo ε > 0 piccolo a piacere, e possiamosupporre che, per ogni n > N, risulti |pn − `| < ε, |qn −m| < ε. Allora∣∣∣∣pnqn −

`

m

∣∣∣∣ =

∣∣∣∣pnm− `qnmqn

∣∣∣∣ = ∣∣∣∣pnm− `m+ `m− `qnmqn

∣∣∣∣=

∣∣∣∣ (pn − `)m+ `(qn −m)

mqn

∣∣∣∣6

|pn − `|

|qn|+

|`|

|m|

|qn −m|

|qn|

<

(2

|m|+ 2

|`|

m2

)ε.

La dimostrazione e conclusa.

Nell’ultima dimostrazione, ci sono due passaggi la cui importanzanon va sottovalutata. Lo studente deve capirli bene e saperli adattarea situazioni simili.

Il primo passaggio e di natura logica. Se un numero ε e piccolo apiacere, altrettanto lo e 2ε, o anche 100ε. L’importante e che il fattoremoltiplicativo di ε sia indipendente da ε stesso.3

Il secondo passaggio, e la tecnica di sommare e sottrarre una medes-ima – o anche piu – quantita per raggruppare termini che fanno co-modo. Nell’equazione (3.3), sommare e sottrarre `qn ci ha permessodi raccogliere a fattor comune termini come |pn − `|, che sapevamostimare con ε. Avremo l’occasione di applicare questa tecnica moltospesso, e l’unica regola per scoprire che cosa aggiungere e togliere el’esperienza. All’inizio, si procede by trial and error, cioe provandosenza paura di sbagliare.

Molti studenti ricorderanno che quando si studiano i limiti, i guaivengono dalle forme di indecisione. Per poterne parlare, occorre peroestendere la definizione di limite.

Definizione 3.18. Sia {pn} una successione. Diciamo che {pn} tende a +∞(risp. a −∞), e scriviamo limn→+∞ pn = +∞ (risp. limn→+∞ pn = −∞)se per ogni numero reale M > 0 esiste un indice N ∈ N tale che pn > Mper ogni n > N (risp. pn < −M per ogni n > N).

Osservazione 3.19. Fra i matematici e in voga la locuzione “la succes-sione {pn} esplode”. Di solito, con questo linguaggio un po’ coloritointendono dire che limn→+∞ pn = +∞.

Per esercizio, verifichiamo mediante questa definizione che

limn→+∞ logn = +∞.

Fissiamo arbitrariamente un numero reale M > 0, e cerchiamo discegliere N ∈ N tale che logn > M per ogni n > N. Poiche la dis-uguaglianza logn > M equivale a n > eM, ci basta scegliere il primonumero naturale N maggiore di eM.

3 Ovvio, perche ad esempio ε−1ε = 1 non e affatto piccolo a piacere.

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Page 63: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

E ovvio che non tutte le relazioni di limite possono essere verificateappliacndo pedissequamente la definizione. E conveniente dicorrerealle regole per il calcolo algebrico dei limiti, ogni volta che cio siapossibile in virtu dei teoremi visti nella pagine precedenti.

Sfortunatamente, esistono situazioni in cui le regole algebriche nonpossono essere conclusive: stiamo parlando delle forme di indetermi-nazione. Dando per scontato che n→ +∞ e 1/n→ 0 quando n→ +∞,vediamo che

n · 1n

= 1→ 1

e dovremmo ipotizzare che +∞ · 0 = 1. Se pero cambiamo l’esempio,

n2 · 1n

= n→ +∞e dunque +∞ · 0 = +∞. C’e di che diventare matti. Ma insomma,quanto fa “zero per infinito”? La risposta e che... non fa! E la primaforma di indecisione che incontriamo, e nasconde un fatto piuttostosottile: non tutti gli infiniti sono uguali fra loro.4 Si usa scrivere [0 ·∞]

fra parentesi, per sottolineare che la moltiplicazione scritta richiedeulteriori precisazioni.

Altre forme di indecisione molto popolari fra gli studenti sono[0

0

],[∞∞] , [+∞−∞].

Altrettanto indeterminate sono le espressioni[00]

, [1∞] ,

sebbene risultino piu sgradite e apparentemente problematiche. Aparte l’ultima e “patologica” espressione,5 tutte le altre sono caratter-izzate dalla presenza di 0 e∞. La forma di indecisione piu complicatae probabilmente [+∞−∞], mentre per quelle di natura moltiplicativaesistono tecniche raffinate e potenti che incontreremo a tempo deb-ito. L’aspetto sgradevole e che queste tecniche richiedono il calcolodifferenziale, e non sono pertanto direttamente applicabili alle succes-sioni.

Osservazione 3.20. Scrivere [00] o [1∞] non significa che abbiamo ele-vato 0 alla potenza 0, ne 1 alla potenza ∞. Le parentesi quadra sonolı proprio per ricordarci che si tratta di limiti, e non di numeri. Si ri-fletta sul fatto (da dimostrare mediante la definizione di limite) chelimn→+∞ 1n = 1. Questa non e una forma indeterminata, poiche labase vale costantemente 1. Quindi la successione {1n}n e formata daun allineamento infinito di 1. E una successione costante, che ovvia-mente converge ad 1.

4 A conferma del fatto che∞ non designa un numero.5 Ci sono nascosti dei logaritmi, come vedremo piu avanti.

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Osservazione 3.21. Perche introdurre la teoria dei limiti per le suc-cessioni, considerato che impareremo presto la teoria dei limiti pertutte le funzioni di una variabile reale? La risposta e che le succes-sioni sono uno strumento molto utile e forniscono tecniche dimostra-tive particolarmente intuitive di alcuni teoremi. Inoltre, tutto il mondoinformatico che ci circonda e basato sulle successioni: i numeri ven-gono rappresentati come approssimazioni decimali (o meglio binarie),ed anche i piu avanzati software di calcolo utilizzano tecniche basatesulle successioni per fornire risposte.

3.2 successioni e insiemiLe successioni convergenti hanno un ruolo importante anche nellatopologia dei numeri reali. Ad esempio, dimostriamo un legame frai punti di accumulazione e i limiti di successioni convergenti.

Proposizione 3.22. Sia E ⊂ R. Se p e un punto di accumulazione diE, allora esiste una successione {pn}n di punti di E tale che pn → p pern→ +∞.

Proof. Per definizione, ogni intorno di p contiene un punto di E, di-verso da p stesso. Allora, per ogni n naturale, l’intorno (p− 1/n,p+1/n) contiene un punto pn ∈ E, diverso da p. Abbiamo evidentementecostruito una successione {pn}n di punti di E, non tutti uguali a p. Di-mostriamo che pn → p. Infatti, poiche

p−1

n6 p 6 p+

1

n,

dal teorema di confronto segue che limn→+∞ pn = p.

Osservazione 3.23. Il contrario e falso: la successione costante {p}n,che assume sempre il valore p, converge evidentemente a p. Ma questonon basta per concludere che p e un punto di accumulazione di E. Adesempio, per l’insieme E = {0} ∪ (1, 2), il punto 0 non e di accumu-lazione (basta osservare che l’intorno (−1/2, 1/2) non contiene puntidi E, eccetto 0), ma ovviamente e il limite della successione costante{0}n. E facile pero verificare che se p e limite di una successione dipunti pn di E, infiniti dei quali sono diversi da p, allora p e di accumu-lazione per E.

L’Osservazione precedente lascia un dubbio: quali punti sono limitidi successioni dell’insieme E? La risposta e contenuta nel resto delparagrafo.

Definizione 3.24. Sia E un insieme di numeri reali, e sia E ′ l’insieme ditutti i punti di accumulazione di E. La chiusura di E e l’insieme E = E∪ E ′.

Proposizione 3.25. Un punto p appartiene alla chiusura di E se e solo seesiste una successione di punti {pn}n di E tale che pn → p.

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Proof. Se p ∈ E, allora p ∈ E oppure p ∈ E ′. In quest’ultimo caso, laProposizione 3.22 garantisce l’esistenza di una successione di punti diE, convergente a p. Se invece p ∈ E, basta definire pn = p per ogni nnaturale, ottenendo cosı una successione convergente a p.

Viceversa, supponiamo che pn → p, dove ogni pn ∈ E. Dobbiamoverificare che p ∈ E. Se p ∈ E, abbiamo finito. Supponiamo allorap /∈ E. Preso un qualsiasi intorno I di p, per definizione di conver-genza esiste un N naturale tale che pN ∈ I. Siccome pN ∈ E e p /∈ E,necessariamente pN 6= p. Ma allora p ∈ E ′, e quindi p ∈ E.

Esempio 3.26. La chiusura di (a,b) e [a,b]. In effetti, ogni punto di[a,b] e limite di una successione di punti di (a,b). La chiusura di{0}∪ (1, 2) e {0}∪ [1, 2]. Il punto 0 non e di accumulazione, ma evidente-mente e un punto dell’insieme, ed e anche il limite di una successionecostante di punti dell’insieme. Ancora una volta, notiamo che la fonda-mentale differenza fra i punti di accumulazione e quelli della chiusurae che ogni intorno di un punto di accumulazione p deve contenerealmeno un punto dell’insieme diverso da p stesso. Per la chiusura, lacondizione di essere diverso da p non e richiesta.

3.3 proprieta asintotiche delle succes-sioni

In questa lezione, vedremo una serie di risultati riguardanti le pro-prieta delle successioni, che valgono “da un certo indice in poi”. In-nanzitutto, formalizziamo questa frase.

Definizione 3.27. Data una successione {pn}, diremo che una proprieta valedefinitivamente per {pn} quando esiste un indice N ∈N tale che la proprietavale per ogni pn con indice n > N.

Osservazione 3.28. L’aggettivo “definitivamente” dipende in modoessenziale dalla successione. Per essere piu chiari, “definitivamente”per una successione {pn} non significa “definitivamente” anche perun’altra successione {qn}. Infatti, l’indice N che funziona per la primasuccessione potrebbe non essere abbastanza grande da funzionare an-che per la seconda successione. Tuttavia, non siamo di fronte adun grande problema. Se per la prima successione troviamo un in-dice N1 e per la seconda un altro indice N2, e chiaro che l’indiceN = max{N1,N2} va bene per entrambe, in quanto N e piu grandesia di N1 che di N2.6

Ad esempio, una successione e definitivamente positiva se tutti itermini sono positivi tranne (al piu) un numero finito. Inoltre, unasuccessione converge a ` se e solo se la disuguaglianza `− ε < pn <

`+ ε e vera definitivamente.Il primo teorema che dimostriamo e molto importante.

6 La scrittura N = max{N1,N2} significa precisamente che N e il piu grande fra N1 eN2. Ancora piu esplicitamente, si confrontano fra loroN1 eN2, e si sceglie il maggioredei due: quello sara N.

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Page 66: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Teorema 3.29 (Permanenza del segno). Supponiamo che limn→+∞ pn =

` ∈ R.

1. Se ` > 0 (risp. ` < 0), allora pn > 0 (risp. pn < 0) definitivamente.

2. Se pn > 0 (risp. pn 6 0) definitivamente, allora ` > 0 (risp. ` 6 0).

Proof. Infatti, supponiamo ` > 0. Fissiamo ε = 12 `, e scegliamo N ∈ N

tale che `− ε < pn < `+ ε per ogni n > N. Quindi, in particolare,pn > `− ε =

12 ` > 0 per n > N. Questo dimostra il punto 1.

Il punto 2 segue dal punto 1. Infatti, se ` < 0, allora sarebbe anchepn < 0 definitivamente, contro l’ipotesi pn > 0.

Nel punto 2 del teorema precedente, la disuguaglianza stretta nell’ipotesinon garantisce la disugualianza stretta nella tesi. Infatti, consideriamola successione pn = 1/n. Chiaramente, pn > 0 per ogni n, ma pn → 0

per n→ +∞.

C’e sempre un punto sul quale gli studenti dimostrano molta diffi-colta: rendersi conto che certe successioni non hanno limite, ne finitone infinito. Volendo fare un esempio, possiamo considerare la succes-sione

{1,−1, 1,−1, 1,−1, 1,−1, . . . }.

Questa successione alterna i due valori 1 e −1 periodicamente, e dovrebbeessere chiaro che non puo esistere alcun numero reale ` che sia limitedella successione. Si tratta di un principio generale che, per i limiti diquesto corso, preferiamo non approfondire.7 Come gia accennato inprecedenza, preferiamo distinguere solo due categorie di successioni:quelle convergenti e quelle divergenti. La successione appena vista epertanto divergente. Molti testi elementari aggiungono anche la cate-goria delle successioni oscillanti. Sebbene sia intuitivamente chiaro cheuna successione oscillante e una successione che “rimbalza” indefinita-mente fra due valori diversi, l’unico mezzo per definire rigorosamentequeste successioni consiste nell’introdurre i limiti superiore ed inferi-ore. In queste dispense, abbiamo relegato questo concetto ad un para-grafo facoltativo, dal momento che e possibile capire dignitosamentel’analisi matematica elementare anche senza parlarne affatto.

Vi e una categoria di successioni il cui comportamento e piuttostoregolare. Si tratta delle successioni monotone.

Proposizione 3.30. Sia {pn} una successione monotona crescente (o decres-cente). Se {pn} e limitata, allora {pn} converge, e il limite coincide consupn∈N pn (oppure con infn∈N pn se {pn} e decrescente.)

Proof. Infatti, supponiamo che {pn} sia crescente, e poniamo S = supn∈N pn.L’ipotesti di limitatezza della successione implica che S ∈ R.8 Sia ε > 0

7 Lo studente piu interessato trovera maggiori informazioni nel paragrafo 3.8.8 A volte, scriveremo S < +∞.

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Page 67: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

fissato arbitrariamente. Per definizione di estremo superiore, esisteN ∈ N tale che S− ε < pN < S. Per la monotonia di {pn}, se n > Nallora

S− ε < pN 6 pn < S,

e questo significa che pn → S per n→ +∞. La dimostrazione nel casoin cui {pn} sia decrescente e analoga.

Forse lo studente avra notato che la Proposizione precedente am-mette una immediata generalizzazione.

Proposizione 3.31. Una successione crescente e illimitata dall’alto divergea +∞. Una successione decrescente e illimitata dal basso diverge a −∞.

Proof. In effetti, la Proposizione precedente dimostra che una succes-sione monotona tende9 sempre all’estremo superiore oppure all’estremoinferiore. Se una successione e illimitata, almeno uno di tali estremi einfinito.

Osservazione 3.32. In realta, la gran parte dei teoremi che parlanodi successioni e dei loro limiti hanno un’immediata generalizzazionesecondo la terminologie del “definitivamente”. Solo per fare un esem-pio, una successione definitivamente monotona, cioe una successioneche comincia ad essere monotona dopo un certo indice,10 ovviamentepossiede un limite, finito o infinito. Questo dovrebbe essere abbas-tanza chiaro, dal momento che i primi termini di una successione nonne influenzano il comportamento asintotico.

Enunciamo e dimostriamo uno dei criteri piu usati per dimostrarela convergenza delle successioni. Come accade sovente in matematica,il principio e quello di ricondursi al caso precedente.

Teorema 3.33 (Due carabinieri). Siano {an}, {bn} e {pn} tre successioni.Supponiamo che limn→+∞ an = limn→+∞ bn = ` ∈ R, e che an 6 pn 6bn definitivamente. Allora limn→+∞ pn = `. Se invece an → +∞ allorapn → +∞, e se bn → −∞ allora pn → −∞.

Proof. Infatti, fissiamo ε > 0 e scegliamo N ∈ N tale che `− ε < an <`+ ε e `− ε < bn < `+ ε. Quindi

`− ε < an 6 pn 6 bn < `+ ε,

e la prima parte del teorema e dimostrata. Se am → +∞, allora pn edefinitivamente maggiore di qualunque numero fissato, dato che pn >an. Lasciamo allo studente il caso bn → −∞, che si tratta in manieradel tutto analoga.

9 Usiamo questo verbo con una certa imprecisione.10 Resta inteso che la monotonia deve sussistere per sempre, oltre quel valore dell’indice.

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Una parola di commento sulla terminologia. L’appellativo “dei duecarabinieri” rappresenta la classica immagine di due carabinieri ({an} e{bn}) che scortano in prigione (il limite) il prigioniero ({pn}), affiancan-dolo passo dopo passo. E un’immagine di altri tempi, forse poco sug-gestiva per i giovani del nuovo millennio.11 Apparentemente, i corpidi polizia dei paesi anglosassoni non hanno mai avuto l’abitudine discortare i malfattori in questo modo, ed infatti nessun testo di calculusdimostra alcun “two–cops theorem”. Un’altra spiegazione e che asso-ciare galeotti e teoremi non e un buon modo di rendere la matematicapiu affascinante!

Spesso il Teorema dei due carabinieri si applica alle successioni pos-itive, scegliendo an = 0 per ogni n. Pensiamo all’esempio{

sinnn

}.

Non e affatto immediato verificare che questa successione ha limite,dato che {sinn} ha un comportamento piuttosto bizzarro. Tuttavia,basta osservare che | sinn| 6 1, e quindi

0 6

∣∣∣∣sinnn

∣∣∣∣ 6 1

n,

per concludere che la successione tende a zero. Il teorema dei duecarabinieri si applica con an = 0 e bn = 1/n.

In realta non e veramente restrittivo pensare alle successioni checonvergono a zero. Vale il seguente risultato, la cui dimostrazioneimmediata e lasciata per esercizio.

Proposizione 3.34. Una successione {pn} converge a ` ∈ R se e solo se lasuccessione di numeri non negativi {|pn − `|} converge a zero.

Osservazione 3.35. In un’ottica di riduzione degli sforzi, la Propo-sizione precedente ci dice che sarebbe sufficiente dare una definizionedi convergenza verso zero, per poi ricondurre la convergenza ad ungenerico limite reale mediante la Proposizione. Non e consuetudine es-sere cosı avari di dettagli, anche se i matematici sono soliti dimostrareche una successione {pn} converge ad un limite ` cercando di trovareuna stima del tipo

|pn − `| 6 εn,

dove εn → 0 per n→ +∞. Nei fatti, si tratta esattamente della Propo-sizione precedente, unita al teorema dei due carabinieri.

3.4 infinitesimi ed infiniti equivalentiIn questa sezione, vogliamo introdurre un linguaggio piuttosto dif-fuso e comodo per confrontare due successioni con lo stesso compor-tamento.

11 Credo che ci sia una celebre illustrazione in un’edizione del libro di Carlo Collodi, Pinoc-chio. Ma a qualcuno l’immagine dei due carabinieri che scortano la successione ricordala canzone Il pescatore di Fabrizio De Andre.

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Definizione 3.36. Sia {pn} e {qn} due successioni, entrambe tendenti a zero(rispettivamente ad infinito). Diciamo che {pn} e un infinitesimo (rispettiva-mente un infinito) equivalente a {qn}, in simboli12

pn � qn,

se

limn→+∞ pnqn = 1.

Osservazione 3.37. Ovviamente, se due successioni {pn} e {qn} sonotali che limn→+∞ pn/qn = ` 6= 0, allora pn � `qn.

La principale utilita degli infinitesimo (ed infiniti) equivalenti e con-tenuta nella seguente

Proposizione 3.38. Supponiamo che {an}, {pn} e {qn} siano successioni, eche pn � qn. Allora

limn→+∞anpn = lim

n→+∞anqn.

Proof. Infatti,

limn→+∞anpn = lim

n→+∞an pnqnqn = limn→+∞anqn,

nel senso che il limite limn→+∞ anpn esiste se e solo se esiste limn→+∞ anqn,e i due valori coincidono.

In breve, e possibile sostituire fra di loro gli infinitesimi (o gli infiniti)equivalenti nelle strutture moltiplicative. Lo studente faccia attenzionea non tentare questa strada nel caso additivo: e falso che

limn→+∞an + pn = lim

n→+∞an + qn

se pn � qn.

3.5 sottosuccessioniImmaginiamo di avere una successione

{p1,p2,p3, . . . ,pn, . . . }

e di selezionare alcuni elementi da essa, avendo cura di prenderli inordine crescente di indici. Per esempio, potremmo selezionare

p3,p10,p11,p50,p100, . . .

Anche se a prima vista sembra un po’ curioso, abbiamo costruitoun’altra successione. Diamo una definizione generale per questo pro-cedimento.

12 Su alcuni testi si trova pn ∼ qn, oppure pn ≈ qn.

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Page 70: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 3.39. Una successione {qn} e una sottosuccessione di {pn} seqn = pk(n), dove k : N → N e una funzione strettamente crescente. Perbrevita, si scrive spesso {pkn }.

Quindi una sottosuccessione di {pn}n e una successione costruitaselezionando in ordine strettamente crescente infiniti termini di {pn}n.

Teorema 3.40. Una successione converge a un limite ` se e solo se tutte lesue sottosuccessioni convergono a `.

Omettiamo la dimostrazione di questo teorema, ma vogliamo evi-denziarne l’importanza. Per esempio, la successione {1/n2} convergea zero perche e una sottosuccessione di {1/n}. Per lo stesso motivo, perogni numero naturale κ > 0 la successione {1/nκ} converge a zero. Lostudente non deve pensare che questo ragionamento giustifichi la scrit-tura limn→+∞ 1/nα = 0 per ogni numero reale α > 0. Infatti, quandoα non e un numero naturale, {nα} non e una sottosuccessione di {n}.Per esempio, quando α = 1/2, la successione

1,√2,√3,√4, . . . ,

non e una sottosuccessione di 1, 2, 3, 4, . . . ,Concludiamo con un teorema di esistenza. E un caso molto speciale

di uno dei teoremi piu usati in tutta l’analisi matematica, il teorema dicompattezza per successioni degli insiemi chiusi e limitati di Rn.

Teorema 3.41. Sia [a,b] un intervallo chiuso e limitato di R. Ogni suc-cessione {pn} tale che pn ∈ [a,b] per ogni n, possiede una sottosuccessioneconvergente a qualche elemento di [a,b].

Proof. Seguiamo da vicino [27]. Supponiamo inizialmente che a = 0

e b = 1. Dividiamo l’intervallo I = [0, 1] in 10 sotto-intervalli dellastessa lunghezza, e chiamiamoli I0,. . . , I9, ordinandoli da sinistra a de-stra. Scegliamone uno, diciamo Id1 , che contenga infiniti termini dellasuccessione {pn}n, e selezioniamo un elemento p ′1 della successionein Id1 . La lunghezza di Id1 e chiaramente 1/10. Ora dividiamo Id1in 10 intervalli Id10, . . . , Id19. Come prima, scegliamone uno, Id1d2 ,contenente infiniti termini della successione {pn}n, e scegliamo uno diquesti termini, diciamo p ′2. La lunghezza di Id1d2 e 1/100. Ripetendoquesta costruzione, abbiamo una famiglia di intervalli

I ⊃ Id1 ⊃ Id1d2 ⊃ . . . ⊃ Id1d2...dn . . .

e una successione {p ′n}n di punti di Id1d2...dn . La lunghezza di Id1d2...dne 10−n, e per costruzione il numero reale

p = 0.d1d2d3 . . .

appartiene a tutti gli intervalli costruiti. Quindi |p− p ′n| 6 10−n. Datoche {p ′n}n e una sottosuccessione di {pn}n, abbiamo dimostrato la tesinel caso particolare a = 0 e b = 1. Nel caso generale, il procedimentoesposto funziona ancora, con l’unica differenza che il limite e ora a+p(b− a).

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Page 71: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Ad esempio, la successione {1,−1, 1,−1, 1,−1, . . . } cade nelle ipotesidi questo teorema.13 Infatti una sottosuccessione convergente esistesenz’altro: {1, 1, 1, 1, . . . }. Molto meno scontato e il fatto che la succes-sione {sinn} possegga una sottosuccessione convergente.

Corollario 3.42. Ogni successione limitata di numeri reali possiede una sot-tosuccessione convergente.

Proof. Se {pn} e limitata, esiste M > 0 tale che |pn| < M per ogni n.Allora pn ∈ [−M− 1,M+ 1] per ogni n, e dunque si applica il teoremaprecedente.

Concludiamo la sezione con una definizione che formalizza alcuneidee gia presentate.

Definizione 3.43. Un sottoinsieme E di R e detto compatto se ogni succes-sione di punti di E possiede una sottosuccessione convergente ad un punto diE.

Ad esempio, con la nuova terminologia, possiamo affermare chequalunque intervallo della forma [a,b] e un sottoinsieme compatto diR.

Il concetto di compattezza e molto importante in tutta la matematicamoderna. La definizione proposta equivale alla “vera” compattezzatopologica solo in talune situazioni (ad esempio in R con la solita dis-tanza), ma e piu maneggevole di quella astratta mediante i cosiddettiricoprimenti aperti. Si veda ad esempio [37] per un’introduzione allatopologia generale e alla compattezza in uno spazio metrico qualsiasi.

3.6 il numero e di neperoLo studente avra senza dubbio gia sentito parlare del numero di Nepero,14

indicato dalla lettera e. E uno dei numeri piu celebri della matematicaelementare, insieme a π e all’unita immaginaria i =

√−1.15 Il numero

e e anche la base di logaritmi universalmente utilizzata nelle scienze,avendo ormai soppiantato in quasi tutti i settori la piu classica base10.16 Occorre una definizione che individui tale numero senza possi-bilita di errore. Esistono due definizioni (evidentemente equivalenti)di e. La prima, e anche la piu comoda per fare i calcoli, e

e =

∞∑n=0

1

n!.

13 Si puo scegliere [a,b] = [−1,1].14 O meglio di John Napier.15 La formula eiπ+1 = 0 e considerata una delle relazioni piu belle di tutta la matematica,

poiche coinvolge in maniera semplice i cinque numeri piu importanti: 0, 1, e, π ed i.16 Questa affermazione e vera quando si vuole usare il calcolo differenziale. Un tempo

i logaritmi servivano per fare velocemente i calcoli, ed era inevitabile scegliere comebase 10, poiche siamo abituati ad usare il sistema decimale per esprimere i numeri. Sefossimo abituati ad operare nel sistema binario dei computer, useremmo con maggiorprofitto la base 2.

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Page 72: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Il simbolo n! = 1 · 2 · 3 · · · · · (n− 1) · n e il fattoriale di n, ma il guaioe che noi non sappiamo sommare infiniti numeri reali, come richiestodalla formula precedente. Dovremmo addentrarci nella teoria delleserie numeriche, ma usciremmo dai limiti di questo corso.

Proponiamo invece la seguente definizione, ormai comprensibileallo studente:

e = limn→+∞

(1+

1

n

)n. (3.4)

Insomma, e e il limite della successione di termine n-esimo

en =

(1+

1

n

)n.

Ma chi garantisce che {en} abbia un limite, e che questo limite siafinito? Poiche [1∞] e una forma di indecisione,17 certo non i teoremi sulcalcolo algebrico dei limiti. Si potrebbe dimostrare con un po’ di fatica,ma noi non lo faremo, che {en} e una successione monotona crescentee limitata. Di conseguenza, {en} ha un limite finito, e battezziamoe tale limite. Usando un programma di calcolo, si trova la seguenteapprossimazione con cinquanta cifre decimali esatte:

e ≈ 2.7182818284590452353602874713526624977572470937000 . . .

Si dimostra che e e un numero irrazionale e che

limn→+∞

(1+

1

n

)n=

+∞∑n=0

1

n!.

3.7 appendice: successioni di cauchySupponiamo che {pn}n sia una successione convergente ad un limite(finito) `. Per ogni ε > 0, esiste n ∈ N tale che per ogni n > N si ha|pn− `| < ε/2. Siam > N; dalla disuguaglianza triangolare deduciamoche

|pn − pm| 6 |pn − `|+ |pm − `| <ε

2+ε

2= ε.

A parole, abbiamo dimostrato che la distanza fra due termini di indicesufficientemente grande di una successione convergente puo essereresa piccola a piacere. Diamo un nome alle successioni che soddisfanoquesta proprieta.

Definizione 3.44. Una successione {pn}n si chiama successione di Cauchyse, per ogni ε > 0 esiste N ∈N tale che

|pn − pm| < ε per ogni n,m > N. (3.5)

17 Lo studente mediti sul fatto che limn→+∞ 1pn = 1, qualunque sia la successione {pn}

che diverge a ∞. Non e in contraddizione con l’affermazione che [1∞] e una formaindeterminata?

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Page 73: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Dalla discussione precedente, tutte le successioni convergenti sonosuccessioni di Cauchy. Ora, di fronte a questo genere di implicazione,viene spontaneo domandarsi se le successioni di Cauchy coincidanocon le successioni convergenti. La risposta e contenuta nel seguenteteorema.

Teorema 3.45 (Completezza di R). Ogni successione di Cauchy di numerireali e convergente.

Premettiamo un risultato che interverra nella dimostrazione.

Proposizione 3.46. Sia {pn}n una successione di Cauchy. Se una sotto-successione {pnk}k converge a un limite `, allora tutta la successione {pn}nconverge a `.

Proof. Sia ε > 0. Esiste N ∈ N tale che, per ogni n,m > N risulta|pn − pm| < ε. Per ipotesi, in corrispondenza di ε, esiste un indiceK ∈ N tale che |pnK − `| < ε. Fissiamo un numero naturale N >

max{N,nK}. Per ogni indice n > N, risulta

|pn − `| 6 |pn − pnK |+ |pnK − `| < ε+ ε = 2ε.

In conclusione, limn→+∞ pn = `.

Dim. del teorema di completezza. Sia {pn}n una successione di Cauchyformata da numeri reali. Dalla definizione di successione di Cauchysegue che {pn}n e necessariamente limitata.18 Sappiamo (si veda il Teo-rema 3.41) che ogni successione limitata possiede una sottosuccessioneconvergente, e chiamiamo ` tale limite. Dalla precedente Proposizione,tutta la successione {pn}n deve convergere a `, e questo conclude ladimostrazione.

Il nome di questo teorema e legato al fatto che gli spazi metrici incui tutte le successioni di Cauchy sono necessariamente convergentivengono chiamati completi.

3.8 appendice: massimo e minimo limitedi una successione

Releghiamo in questa appendice un concetto di grande importanzanella matematica avanzata, che pero potrebbe essere tranquillamenteignorato in un corso elementare di calcolo infinitesimale. Cerchiamodi introdurre questa nozione a partire da un’esigenza familiare a chiabbia gia studiato il limiti. La successione {(−1)n}n, i cui termini sonoalternativamente −1 e +1, ovviamente non e convergente. Similmente,

18 Lo studente si convinca di questa affermazione. Suggerimento: fissato ε = 1, tutti inumeri della successione, ad esclusione di un numero finito N, distano l’uno dall’altromeno di 1, e possono dunque essere inseriti in un intervallo di ampiezza 1. Allarghi-amo ora l’ampiezza di questo intervallo finche non vengano intrappolati tutti i primiNtermini della successione...

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Page 74: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

la successione {cos(nπ)}n non e convergente, dato che vale −1 perogni n dispari e 1 per ogni n pari. In entrambi gli esempi, il tratto incomune e che, mandando n all’infinito in modo opportuno, la succes-sione presenta comportamenti differenti. Questo motiva la seguentedefinizione.

Definizione 3.47. Sia {pn}n una successione di numeri reali. Definiamo

lim infn→+∞pn = sup

N∈N

infn>N

pn, (3.6)

lim supn→+∞ pn = inf

N∈Nsupn>N

pn, (3.7)

chiamati rispettivamente il minimo limite e il massimo limite di {pn}n.

Prendiamo pn = (−1)n. Allora lim infn→+∞ pn = −1: infatti, fis-sato N ∈N, risulta chiaramente che infn>N(−1)n = −1. Pertanto

lim infn→+∞(−1)n = sup

N∈N

−1 = −1.

Similmente si verifica che lim supn→+∞(−1)n = 1.

Osservazione 3.48. E fondamentale osservare che il minimo ed il mas-simo limite di una successione esistono sempre, finiti o infiniti. Questosegue dal fatto che ogni sottoinsieme della retta reale possiede un es-tremo inferiore ed un estremo superiore, eventualmente infiniti.

Osservazione 3.49. Consideriamo le due successioni

p ′n = infk>n

pk

p ′′n = supk>n

pk.

Ora, p ′n+1 = infk>n+1 pk > infk>n pk = p ′n, mentre p ′′n+1 = supk>n+1 pk 6supk>n pk = p ′′n. Quindi {p ′n}n e onotona crescente, mentre {p ′′n}n emonotona decrescente. Pertanto entrambe possiedono limite, finito oinfinito, e risulta

limn→+∞p ′n = lim inf

n→+∞pnlim

n→+∞p ′′n = lim supn→+∞ pn.

In questo senso, e letteramente vero che il lim inf e il “lim dell’inf”, eanalogamente per il lim sup.

Teorema 3.50. Una successione {pn}n converge al limite ` se e solo se

lim infn→+∞pn = lim sup

n→+∞ pn = `.

Di questo teorema non daremo una dimostrazione per esteso. Tut-tavia, proponiamo una definizione equivalente di limite inferiore e su-periore che lo rende quasi ovvio.

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Page 75: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proposizione 3.51. Per una successione {pn}n, il minimo limite e caratter-izzato anche come l’estremo inferiore dell’insieme costituito da tutti i limitidi sottosuccessioni di {pn}n. Similmente, il massimo limite e caratterizzatoanche come l’estremo superiore dell’insieme costituito da tutti i limiti di sot-tosuccessioni di {pn}n.

Osservazione 3.52. In simboli, la proposizione ci dice che

lim infn→+∞pn = infE,

dove

E ={x ∈ R | esiste una sottosuccessione {pnk }k convergente a x

}.

La caratterizzazione del massimo limite si ottiene evidentemente come

lim supn→+∞ pn = supE.

3.9 appendice: convergenza secondo cesaroDefinizione 3.53. Sia {pn} una successione numerica. Diremo che {pn}

converge a p nel senso di Cesaro, se

limn→+∞ p1 + p2 + · · ·+ pnn

= p. (3.8)

Questo tipo di convergenza puo essere pensato come una conver-genza in media, poiche il primo membro di (3.8) e esattamente il limitedelle medie della successione {pn}.19

Osservazione 3.54. L’idea della convergenza in media e senz’altromeno raffinato dell’idea di convergenza in senso ordinario. Ad es-empio, la successione divergente20

−1, 1,−1, 1, . . . ,

e convergente a zero nel senso di Cesaro. Infatti, la somma dei primi ntermini vale 0 oppure −1, a seconda che n sia pari oppure dispari. Inentrambi i casi, la media tende a zero per n→ +∞. A ben guardare, lastessa conclusione continua a valere per ogni successione le cui sommep1 + . . .+ pn si mantengano limitate rispetto a n.

Se la precedente Osservazione mostra che alcune successioni nonconvergenti in senso ordinario possano invece convergere secondo Cesaro,il viceversa e piu chiaro.

19 Scriviamo queste parole in una nota perche non vogliamo turbare eccessivamente chi staleggendo. Il numeratore della frazione (3.8) e ottenuta sommando un numero sempremaggiore di termini della successione. In qualche modo, stiamo cercando di sommareinfiniti numeri reali. Si vede qui, per la prima volta nel nostro corso, il tentativo dilavorare con le serie numeriche. Ne parleremo dettagliatamente nel prossimo capitolo.

20 In questo caso, si tratta di una successione oscillante.

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Page 76: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proposizione 3.55. Ogni successione convergente e anche convergente sec-ondo Cesaro, e i limiti coincidono.

Proof. Supponiamo che limn→+∞ pn = p. Per ogni ε > 0, esiste N,numero naturale, tale che |pn − p| < ε per ogni n > N. Quindi, pern > N,∣∣∣∣p1 + p2 + · · ·+ pnn

− p

∣∣∣∣ = ∣∣∣∣ (p1 − p) + · · ·+ (pn − p)

n

∣∣∣∣ 6∣∣∣∣ (p1 − p) + (p2 − p) + · · ·+ (pN − p)

n

∣∣∣∣++

∣∣∣∣ (pN+1 − p) + (pN+2 − p) + · · ·+ (pn − p)

n

∣∣∣∣ .Ora, nel termine∣∣∣∣ (p1 − p) + (p2 − p) + · · ·+ (pN − p)

n

∣∣∣∣il numeratore e indipendente da n, e il denominatore diverge all’infinito.Quindi tale termine sara piccolo a piacere, diciamo piu piccolo di ε, apatto di scegliere n sufficientemente grande. Nel secondo termine,∣∣∣∣ (pN+1 − p) + (pN+2 − p) + · · ·+ (pn − p)

n

∣∣∣∣ 661

n(|pN+1 − p|+ · · ·+ |pn − p|) 6

n−N− 1

nε < ε.

Quindi, per ogni n > N, abbiamo dimostrato che∣∣∣∣p1 + p2 + · · ·+ pnn− p

∣∣∣∣ < 2ε,e questo completa la dimostrazione.

Una interessante generalizzazione, la cui dimostrazione e assoluta-mente analoga a quella appena conclusa e la seguente.

Proposizione 3.56. Sia {pn} una successione, e sia {mn} una successione dinumeri positivi tali che limn→+∞m1+m2+ . . .+mn = +∞. Se pn → p,allora

limn→+∞ m1p1 +m2p2 + . . .+mnpnm1 +m2 + . . .+mn

= p.

Ovviamente, scegliendo mn = 1 per ogni n, otteniamo la propo-sizione dimostrata sopra.

Corollario 3.57. Sia {mn} una successione di numeri positivi tali che

limn→+∞m1 +m2 + . . .+mn = +∞.

Se {zn} e una successione tale che

limn→+∞ zn

mn= z,

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Page 77: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

allora

limn→+∞ z1 + . . .+ zn

m1 +m2 + . . .+mn= z.

Proof. Basta porre mnpn = zn nella Proposizione precedente.

Corollario 3.58. Sia {Zn} una successione numerica, e sia {Mn} una succes-sione monotona crescente tale che limn→+∞Mn = +∞. Se

limn→+∞ Zn −Zn−1

Mn −Mn−1= z,

allora

limn→+∞ Zn

Mn= z.

Proof. Se poniamo zn = Zn − Zn−1 e mn = Mn −Mn−1, alloraz1 + z2 + . . .+ zn = Zn e m1 +m2 + . . .+mn = Mn, e il Corollarioprecedente implica la tesi.

Osservazione 3.59. Qualche studente avra notato che l’ultimo Corol-lario assomiglia notevolmente al famoso teorema di De l’Hospital (cheaffronteremo in un successivo capitolo). In qualche senso, possiamopensare che

limn→+∞ Zn −Zn−1

Mn −Mn−1= z,

sia una sorta di limite del rapporto fra derivate.

Questi teoremi sono essenzialmente dovuti al matematico italianiCesaro. Dimostrazioni alternative, e una panoramica di altri casi analoghi,possono essere reperite in [3].

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Page 78: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

4 SER IE NUMER ICHE

Per spiegare che cosa sia una serie numerica,1 pensiamo di raccogliereuna quantita finita di numeri reali, di ordinarli in un certo modo

p1,p2, . . . ,pN

e di sommarli: p1 + p2 + . . .+ pN. Si puo abbreviare questa scritturaintroducendo il simbolo di sommatoria

∑:

N∑i=1

pi = p1,p2, . . . ,pN.

Osservazione 4.1. L’indice i e una variabile muta. Qualunque altralettera potrebbe essere usata senza alterare il valore della somma:

N∑i=1

pi =

N∑j=1

pj =

N∑k=1

pk = . . .

Questa operazione e chiara se sommiamo un numero finito di ter-mini, mentre diventa confusa se vogliamo sommare gli infiniti terminidi una successione.

Definizione 4.2. Sia {pn}n una successione di numeri reali. La serie associ-ata a {pn}n e la successione {sn}n definita dalla formula

sn =

n∑j=1

pj.

Useremo il simbolo∞∑n=1

pn,

o anche l’abbreviazione∑n pn, per indicare la successione {sn}n. La succes-

sione {sn}n prende il nome di successione delle somme parziali della serie.

Osservazione 4.3. Esplicitamente, s1 = p1, s2 = p1 + p2, s3 = p1 +

p2 + p3, ecc. Osserviamo che, data una serie {sn}n, risulta pn = sn −

sn−1, e pertanto e univocamente individuata la successione che generala serie.

Osservazione 4.4. In esatta analogia con le successioni del capitoloprecedente, poco importa da quale valore parte l’indice della serie. See vero che∞∑

n=1

pn e∞∑n=0

pn

1 Esistono anche altri tipi di serie: di funzioni, di vettori, ecc.

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Page 79: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

rappresentano due serie diverse, tuttavia e noto che la convergenzadella prima equivale alla convergenza della seconda. Per questo mo-tivo, capitera di far partire la serie dall’indice 0 o dall’indice 1, a sec-onda della convenienza. Ovviamente, certe volte la forma della serieimpone dei limiti all’indice. Si pensi ad una serie come

∞∑n=2

1

n− 1,

il cui primo indice e n = 2 perche n = 1 annullerebbe il denominatore.

Osservazione 4.5. In relazione all’osservazione precedente, possiamosfruttare il fatto che l’indice di somma e una variabile muta per effet-tuare un’operazione che sara il cambiamento di variabile nella teoriadell’integrale di Riemann. Operiamo su un esempio: la serie

∞∑n=1

1

3n

si trasforma nella serie∞∑k=0

1

3k+1=1

3

∞∑k=0

1

3k

mediante il cambiamento di indice k = n− 1. Per convincercene, scriv-iamo “con i puntini” le due serie:

∞∑n=1

1

3n=1

3+1

32+1

33+ . . .

1

3

∞∑k=0

1

3k=

1

3

(1

30+1

3+1

32+1

33+ . . .

)=

1

3+1

32+1

33+ . . .

Dunque una serie e semplicemente una successione, il cui terminegenerale e costruito sommando i primi termini di un’altra successione.Si pone naturalmente il problema della convergenza delle serie numeriche.

Definizione 4.6. La serie∑∞n=1 pn converge al valore S se

S = limn→+∞

n∑j=1

pj,

o, con la notazione usata finora, se S = limn→+∞ sn. Con un leggero abusodi notazione, si scrive S =

∑∞n=1 pn.

L’angolo dello psichiatra. Gli studenti piu attenti si saranno senz’altroaccorti della notazione paradossale usata comunemente per indicareuna serie. Siccome abbiamo definito una serie come la successione

78

Page 80: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

{∑nk=1 pk

}n

, usare il simbolo∑∞n=1 pn significa confondere la serie

con il suo limite! Se pensassimo di estendere questo abuso di notazionea tutte le successioni, ci accorgeremmo immediatamente della pazziacompiuta: invece della successione {1/n}n, parleremmo della succes-sione 0, il suo limite. La scrittura abbreviata

∑n pn e gia migliore,

ma non esente da critiche. Possiamo confrontare quest’uso “leggero”dei simboli con l’espressione “la funzione x3”, che alla lettera non eaffatto una funzione, ma – al massimo – un numero reale. Probabil-mente tutto cio e un retaggio della confusione fra successioni, numerie funzioni che caratterizzava gli albori dell’analisi matematica. Ma al-lora, esiste una notazione priva di ambiguita per le serie numeriche?Certamente sı, ma e talmente pedante che preferiamo essere ambigui.Per indicare rigorosamente la serie

∑n pn, dovremmo dire: “la serie

numerica associata alla successione definita dalla formula pn per ognin ∈N.”

Esiste una condizione necessaria e sufficiente per caratterizzare leserie convergenti.

Teorema 4.7 (Criterio di convergenza di Cauchy). Una serie∑∞n=1 pn

e convergente se e solo se, per ogni ε > 0 esiste un numero N ∈N tale che

q∑n=p

|pn| < ε

per ogni p, q ∈N tali che p > N, q > N.

Proof. E la traduzione, nel linguaggio delle serie, del teorema di com-pletezza di R.

A volte si riassume il contenuto di questo teorema dicendo che “lecode della serie sono piccole a piacere”.

Corollario 4.8. Se la serie∑∞n=1 pn e convergente, allora limn→+∞ pn =

0.

Proof. Se la serie e convergente, il criterio di Cauchy garantisce che,fissato arbitrariamente ε > 0, esiste N ∈N tale che, in particolare,

k∑n=k−1

|pn| = |pk| < ε

per ogni k > N. Ma questa e la definizione del limite limn→+∞ pn = 0.

Questo corollario, letto in negativo, afferma che se il termine gen-erale pn di una serie non tende a zero, allora la serie non puo converg-ere. Ad esempio, la serie

∑nn−1n+2 non converge, dato che limn→∞ n−1

n+2 =

1. Purtroppo, non e possibile invertire questo ragionamento: vedremopresto che la serie

∑n1n2

converge, mentre la serie∑n1n non con-

verge. Entrambe hanno tutavia un termine generale tendente a zero.

79

Page 81: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Osservazione 4.9. Dato che una serie e semplicemente una successioneparticolare, una serie puo convergere o divergere. Nella divergenzasono inclusi tanto la divergenza all’infinito, quanto l’oscillazione. Peresempio, la serie

∑n(−1)

n oscilla fra i valori −1 e 0.

Esempio: la serie geometrica. Sia q ∈ [0,+∞) un numero fissato.Consideriamo la serie∞∑

n=0

qn = 1+ q+ q2 + q3 + q4 + . . .

Ci chiediamo se esistano scelte della ragione q che portano ad una serieconvergente. Togliendo le parentesi, e facile convincersi che

(1− q)(1+ q+ q2 + q3 + q4 + . . .+ qn

)= 1− qn+1.

Pertanto,

sn =

n∑k=0

qk =1− qn+1

1− q.

La successione {sn}n delle somme parziali converge se e solo selimn→+∞ qn+1 esiste finito, e questo accade se se solo se0 < q < 1. Inoltre, abbiamo anche il valore della serie:

∞∑n=0

qn =1

1− q

per 0 < q < 1.

Esempio: le serie telescopiche. Vanno sotto tale nome le serie∑n pn

il cui termine generale puo essere scritto come

pn = qn − qn+1

per una scelta opportuna di {qn}n. E allora chiaro che

n∑k=1

pk =

n∑k=1

qk−qk+1 = q1−q2+q2−q3+q4−q5+ . . . = q1−qk+1.

Si conclude subito che∞∑n=1

pn = limn→+∞

n∑k=1

pk = q1 − limn→+∞qn+1. (4.1)

Una serie telescopica converge se e solo se limn→+∞ qn esiste finito.La serie di Mengoli e un esempio di questa classe di serie:

∞∑n=1

1

n(n+ 1).

Poiche

1

n(n+ 1)=1

n−

1

n+ 1,

80

Page 82: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

possiamo porre qn = 1/n e concludere da (4.1) che la serie di Mengoliconverge a 1.

In generale, potrebbe non essere evidente fin dall’inizio che una seriee telescopica. Di primo acchito, la serie

∞∑n=1

log(n+ 1)2

n(n+ 2)

non sembra molto telescopica. Usando pero le proprieta dei logaritmi,vediamo che

log(n+ 1)2

n(n+ 2)= 2 log(n+ 1) − logn− log(n+ 2)

= [log(n+ 1) − logn] − [log(n+ 2) − log(n+ 1)].

La serie e telescopica con qn = log(n+ 1) − logn. Poiche qn → 0 pern→ +∞, da (4.1) deduciamo che questa serie converge a log 2.

4.1 serie a termini positiviVanno sotto questo nome le serie i cui termini sono numeri maggiorio uguali a zero. Queste serie presentano una forte peculiarita: o con-vergono o divergono all’infinito. Infatti, se pn > 0 per ogni n, allora

sn =

n∑k=1

pk 6n+1∑k=1

pk = sn+1,

e dunque la serie e monotona crescente. Sappiamo che una succes-sione monotona o converge o diverge all’infinito, e questo giustifica laprecedente affermazione sulle serie a termini positivi. In effetti, valedi piu.

Proposizione 4.10. Sia∑n pn una serie a termini positivi. Questa serie

e convergente se e solo se la successione {sn}n delle sue somme parziali elimitata dall’alto.

Proof. Infatti, sappiamo che {sn}n e monotona crescente. Dalla teoriavista nel capitolo precedente, {sn}n converge se e solo se supn |sn| <

+∞, cioe se e solo se esiste una costante C > 0 tale che sn 6 C perogni n.

Il principale strumento per l’analisi della convergenza delle serie atermini positivi e il seguente teorema di confronto.

Teorema 4.11. Siano∑n pn e

∑n qn sue serie a termini positivi. Supponi-

amo che pn 6 qn per ogni n sufficientemente grande.

1. Se∑n qn converge, allora anche

∑n pn converge.

2. Se∑n pn diverge, allora anche

∑n qn diverge.

81

Page 83: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proof. Nel primo caso, le somme parziali della prima serie sono piupiccole delle somme parziali della seconda serie, le quali per ipotesirestano limitate. Percio saranno limitate anche le somme parziali dellaprima serie.

Nel secondo caso, le somme parziali della seconda serie sono mag-giori delle somme parziali della prima serie. Poiche queste ultime nonsono limitate, non lo saranno nemmeno quelle della serie

∑n qn.

Osservazione 4.12. Il criterio del confronto e destinato a fallire per leserie a termini di segno qualunque. Ad esempio,

−1

n<1

n2,

ma la serie −∑n1n diverge (a −∞), mentre la serie

∑n1n2

converge.Si veda il Corollario 4.20.

Corollario 4.13 (Criterio del confronto asintotico). Siano∑n pn e

∑n qn

sue serie a termini positivi. Supponiamo che

limn→+∞ pnqn = ` ∈ (0,+∞).

Allora le due serie sono simultaneamente convergenti o divergenti.

Proof. Per l’ipotesi sul limite, esiste un numero N ∈N tale che

`

2qn 6 pn 6

3

2`qn (4.2)

per ogni n > N. La conclusione segue immediatamente dal criterio diconfronto.

Per comprendere la potenza di questo criterio, applichiamolo all’analisidella serie

∞∑n=1

sin1

n2.

Innanzitutto, i termini della serie sono positivi, dal momento che 0 <1/n < π/2 per ogni n > 1 e la funzione seno e positiva nell’intervallo(0,π/2). Dal limite notevole limx→0 sinx

x = 1 deduciamo che la seriedata ha lo stesso comportamento della serie

∞∑n=1

1

n2,

e presto imparareremo che questa serie e convergente. Il criterio delconfronto asintotico garantisce che anche la serie iniziale converge.

82

Page 84: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Osservazione 4.14. Se nel criterio del confronto asintotico risulta ` = 0,non e piu possibile dedurre che le serie

∑n pn e

∑n qn hanno lo

stesso comportamento rispetto alla convergenza. Per convincerci diquesto, consideriamo pn = 1/n2 e qn = 1/n. Ovviamente limn→+∞ pn/qn =

limn→+∞ 1/n = 0, ma impareremo presto che∑n1n diverge, mentre∑

n1n2

converge.Non tutto e comunque perduto: se ` = 0, possiamo concludere che

la convergenza di∑n qn implica la convergenza di

∑n pn. Infatti,

per ` = 0 vale solo la seconda disuguaglianza di (4.2), percio∑n pn 6

(3/2)`∑n qn. 2

4.2 criteri di convergenzaMa esistono metodi generali per decidere se una data serie sia con-vergente? La risposta e ampiamente affermativa per le serie a terminipositivi, ma solo parzialmente affermativa per le serie qualunque. Nelseguito, esporremo alcuni criteri classici per studiare la natura di unaserie numerica.

Teorema 4.15 (Criterio della radice). Sia∑n pn una serie a termini posi-

tivi. Supponiamo che

limn→+∞ n

√pn = L.

Se L < 1, allora la serie converge; se L > 1, allora la serie diverge. Il criterionon e applicabile se L = 1.

Proof. Supponiamo dapprima che L < 1. Preso ε− (1− L)/2, esiste unnumero naturale N tale che n

√pn < L+ ε = (1+ L)/2 per ogni n > N.

Elevando questa diseguaglianza alla potenza n,

pn <

(1+ L

2

)n,

e poiche la serie geometrica∑∞n=0

(1+L2

)ne convergente3 dal criterio

del confronto concludiamo che∑n pn converge. Se invece L > 1,

prendiamo ε = (L− 1)/2, e come prima arriviamo a

n√pn >

(1+ L

2

)n> 1

per ogni n > N. Quindi {pn}n non tende a zero, e la serie non puoconvergere.

2 Siamo volutamente imprecisi: la conclusione rigorosa sarebbe che le somme parzialidella serie con pn sono maggiorate dalle somme parziali della serie con qn. Comesappiamo, il criterio asintotico non puo garantire la (4.2) anche per i primi valori di n,e questo potrebbe invalidare la relazione

∑n pn 6 (3/2)`

∑n qn.

3 Infatti 1+L2 < 1.

83

Page 85: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Teorema 4.16 (Criterio del rapporto). Sia∑n pn una serie a termini

positivi. Supponiamo che

limn→+∞ pn+1pn

= L.

Se L < 1, allora la serie converge; se L > 1, allora la serie diverge. Il criterionon e applicabile se L = 1.

Proof. Supponiamo dapprima che L < 1. Preso ε− (1− L)/2, esiste unnumero naturale N tale che pn+1/pn < L + ε = (1 + L)/2 per ognin > N. Quindi pn+1 < pn(1+ L)/2 per ogni n > N. Ma allora

pn <1+ L

2pn−1 <

(1+ L

2

)2pn−2 < . . . <

(1+ L

2

)n−N−1

pN+1,

che possiamo scrivere come

pn <pN+1(1+L2

)N+1

(1+ L

2

)n.

Ancora dal confronto con la serie geometrica convergente∑∞n=0

(1+L2

)ndeduciamo la convergenza di

∑n pn. Viceversa, per L > 1, preso

ε = (L− 1)/2, ripetendo gli stessi ragionamenti arriviamo a

pn >pN+1(1+L2

)N+1

(1+ L

2

)ned ancora una volta il termine generale pn non tende a zero.

Osservazione 4.17. Lo studente avra notato che questi criteri sono sem-plicemente applicazioni del criterio del confronto con opportune seriegeometriche. Le divergenze, invece, sono dedotte dal fatto che vieneviolata la condizione necessaria per la convergenza di una serie. In-tuitivamente, questo fatto ci induce a sospettare che i due criteri nonsiano particolarmente fini nei casi meno accademici. Come anticipato,nel caso L = 1 nessuno dei criteri e efficace. Rimandiamo la disaminadi questo fatto all’osservazione successiva.

Osservazione 4.18. Il criterio del rapporto, di solito, e di applicazionepiu immediata. Ormai sappiamo che in matematica non si fannosconti, e puntualmente cio accade anche in questa situazione. Si potrebbemostrare che il criterio della radice e piu potente: quando e efficace, loe anche il criterio del rapporto. Quando non e conclusivo (per L = 1),anche il criterio del rapporto non porta ad alcuna conclusione. Per idettagli, rimandiamo a [37]. Volendo fare dell’ironia, ne l’uno ne l’altrosono criteri utili nella “pratica”. Risultano invece importanti nella teo-ria delle serie di potenze, da cui prende vita l’analisi matematica nelpiano complesso.

Un criterio piuttosto efficace e il seguente, a dispetto della formu-lazione vagamente misteriosa.

84

Page 86: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Teorema 4.19 (Criterio di condensazione). Sia∑n pn una serie a termini

positivi. Supponiamo che pn+1 6 pn per ogni n. Sotto tali ipotesi, la serie∑n pn converge se e solo se converge la serie∑

k

2kp2k .

Proof. Poiche stiamo lavorando con serie a termini positivi, ci bastadimostrare che le somme parziali di

∑n pn e di

∑k 2kp2k sono simul-

taneamente limitate o non limitate dall’alto. Siano

sn = p1 + p2 + . . .+ pn,

tk = p1 + 2p2 + . . .+ 2kp2k

le somme parziali delle due serie.Per n < 2k,

sn 6 p1 + (p2 + p3) + . . .+ (p2k + . . .+ p2k+1−1)

6 p1 + 2p2 + . . .+ 2kp2k

= tk

e quindi sn 6 tk. Invece, per n > 2k,

sn > p1 + p2 + (p3 + p4) + . . .+ (p2k−1+1 + . . .+ p2k)

>1

2p1 + p2 + 2p4 + . . .+ 2

k−1p2k

=1

2tk

e quindi tk 6 2pn. Unendo le due conclusioni, le successioni dellesomme parziali {sn}n e {tk}k sono simultaneamente limitate oppureillimitate, e questo conclude la dimostrazione.

Corollario 4.20. Sia α ∈ R fissato. La serie∑n1nα converge se α > 1, e

diverge se α 6 1.

Proof. Il caso α 6 0 e semplice, perche il termine generale non tendea zero. Applichiamo il criterio di condensazione, e ci riduciamo astudiare la serie∑

k

2k1

2kα=∑k

2(1−α)k.

Si tratta di una serie geometrica di ragione 21−α. Essa sara conver-gente se e solo se 21−α < 1, cioe se e solo se α > 1, e divergenteall’infinito per α 6 1.

Osservazione 4.21. Il Corollario ci convince che i criteri del rapportoe della radice sono insoddisfacenti quando L = 1. Ad esempio, ledue serie

∑∞n=1

1n e∑∞n=1

1n2

hanno entrambe L = 1 (per entrambii criteri), ma la prima diverge, mentre la seconda converge. La serie

85

Page 87: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

∑∞n=1

1n prende il nome di serie armonica. La sua divergenza puo es-

sere mostrata anche direttamente. Chiamando al solito sn la sommadei suoi primi n termini, abbiamo

s1 = 1

s2 = 1+1

2=3

2

s3 =3

2+1

3+1

4>3

2+1

4+1

4= 2

s4 = 2+1

5+1

6+1

7+1

8> 2+

1

8+1

8+1

8+1

8=5

2

e in generale

s2n = 1+1

2+ · · ·+ 1

n+

1

n+ 1+ · · ·+ 1

2n=

= sn +1

n+ 1+ · · ·+ 1

2n> sn +

1

2n+ · · ·+ 1

2n= sn +

1

2.

Raddoppiando quindi il numero degli addendi, la somma aumentaalmeno di un termine 1/2. Deduciamo che |s2n − sn| > 1/2, e quindinon puo essere soddisfatto il criterio di convergenza di Cauchy.

Questa serie ci consente un’osservazione di natura pratica. Volendostudiare al computer le serie, puo essere molto fuorviante leggere leprime somme parziali e trarne conclusioni sulla convergenza. Infatti,per la serie armonica si ha

s1 = 1

s3 < 2

s7 < 3

s15 < 4.

Per arrivare a 10 bisogna sommare piu di 1000 termini, e pre superare20 occorrono piu di un milione di addendi. Se si vuole arrivare a 100,che pure non e un segno inqeuivocabile della divergenza della serie,occorre sommare circa 1030 termini! 4 E abbastanza evidente chequesta quantita di addendi supera ampiamente le capacita di calcolodi molti personal computer.

Il punto e che le serie numeriche sono molto sensibili alle piccoleperturbazioni dei loro termini. La serie∞∑

n=1

1

n1.01

ha termini numericamente molto prossimi a quelli della serie armon-ica, ma nonostante questo e convergente. Il celebre filosofo franceseVoltaire suggeriva maliziosamente al matematico tedesco Gauss cheprima di mettersi a fare conti per tre giorni, e meglio controllare senon si possa usare qualche ragionamento per arrivare in porto in treminuti.5

4 1030 si scrive come 1 seguito da 30 zeri.5 K.F. Gauss, uno dei piu importanti matematici dell’era moderna, aveva una caparbia

invidiabile nel mettersi a fare calcoli. Oggi lo potremmo definire simpaticamente uno

86

Page 88: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

4.3 convergenza assoluta e convergenzadelle serie di segno alterno

Tutti i criteri esposti si applicano alle serie a termini positivi. 6 Ci sonocriteri di convergenza per le serie qualunque? Prima di rispondere – ela risposta non sara del tutto soddisfacente – introduciamo il concettodi serie assolutamente convergente.

Definizione 4.22. Una serie∑n pn e assolutamente convergente se

∑n |pn|

e convergente.

Poiche |pn| > 0, il concetto di serie assolutamente convergente e dipertinenza delle serie a termini positivi. Inoltre, le serie assolutamenteconvergenti sono convergenti.

Proposizione 4.23. Ogni serie assolutamente convergente e anche conver-gente.

Proof. Se p < q sono due numeri interi positivi qualsiasi, osserviamoche ∣∣∣∣∣

q∑n=p

pn

∣∣∣∣∣ 6q∑n=p

|pn| .

Poiche la serie∑n |pn| e convergente per ipotesi, il secondo mem-

bro puo essere reso piccolo quanto vogliamo, purche p e q siano ab-bastanza grandi. Il primo membro sara allora altrettanto piccolo, edunque la serie

∑n pn converge.

Osservazione 4.24. La Proposizione non si inverte: vedremo che laserie ∑

n

(−1)n

n

converge, ma ovviamente non converge assolutamente (perche?). Questonon diminuisce l’utilita della Proposizione 4.23. Non saremmo altri-menti in grado di stabilire la convergenza della serie∑

n

sinnn3

,

visto che i suoi termini non sono tutti dello stesso segno. Usando perola maggiorazione | sinn| 6 1, possiamo concludere che questa serieconverge assolutamente, e quindi anche in senso ordinario.7

“smanettone”. Ad onor del vero, certi problemi matematici possono essere risolti soloricorrendo a lunghe pagine di calcoli. Quello del matematico come uno scienziato cherisolve problemi difficili senza scrivere una sola riga di conti e un falso mito che lusingatutti gli studenti del primo anno. L’eleganza formale con cui vengono presentati i teo-remi non dovrebbe far passare in secondo piano i sacrifici e gli sforzi dei matematici cheli hanno dimostrati per la prima volta.

6 E giunto il momento di sfatare un mito: ovviamente questi criteri si applicano altrettantobene alle serie a termini negativi. L’importante e che tutti i termini della serie abbianolo stesso segno.

7 A volte conviene dire che una serie converge semplicemente quando essa converge sec-ondo la definizione generale. In questo modo, si usa un aggettivo per distinguere laconvergenza dalla convergenza assoluta.

87

Page 89: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Una classe di serie a termine di segno variabile e quella delle serie atermini di segno alterno.

Definizione 4.25. Una serie∑n pn e detta serie a termini di segno alterno

quando pnpn+1 6 0 per ogni n.

Di fatto, la Definizione richiede che ogni coppia di termini successivinella serie sia costituita da due numeri di segno opposto (o eventual-mente nulli). Il caso piu frequente e quello delle serie del tipo∑

n

(−1)npn,

dove pn > 0 per ogni n.8 Per queste serie esiste un potente criteriodi convergenza (ma non di divergenze). Premettiamo un lemma checorrisponde alla formula di integrazione per parti nel calcolo integrale.

Lemma 4.26 (Sommatoria per parti). Siano {pn}n e {qn}n due succes-sioni. Poniamo s−1 = 0 e

sn =

n∑k=0

pk

per n > 0. Se 0 6 m 6 n sono numeri naturali, allora

m∑k=n

pkqk =

m−1∑k=n

sk(qk − qk+1) + smqm − sn−1qn. (4.3)

Proof.

m∑k=n

pkqk =

m∑k=n

(sk − sk−1)qk =

m∑k=n

skqk −

m−1∑k=n−1

skqk+1

e l’ultima espressione e uguale a (4.3).

Teorema 4.27 (Criterio di Leibniz). Supponiamo che

1. le somme parziali {sn}n di∑n pn formino una successione limitata;

2. q0 > q1 > q2 > . . .;

3. limn→+∞ qn = 0.

Allora∑n pnqn converge.

Proof. Scegliamo M > 0 tale che |sn| 6 M per ogni n. Fissato arbi-trariamente ε > 0, per l’ipotesi 3 esiste un numero naturale N tale cheqN 6 ε/(2M). Per N 6 n 6 m, dal Lemma precedente ricaviamo∣∣∣∣∣

m∑k=n

pkqk

∣∣∣∣∣ =∣∣∣∣∣m−1∑k=n

sk(qk − qk+1) + smqm − sn−1qn

∣∣∣∣∣6M

∣∣∣∣∣m−1∑k=n

(sk − sk+1) + qm + qn

∣∣∣∣∣ = 2Mqn 6 2MqN = ε.

8 Attenzione! I termini della serie devono essere veramente alternanti. Non basta cheappaiano termini positivi e negativi in ordine sparso.

88

Page 90: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Questo dimostra che la serie∑n pnqn soddisfa la condizione di Cauchy,

e quindi converge.

Corollario 4.28. Supponiamo che

1. |c1| > |c2| > |c3| > . . .;

2. c2n−1 > 0, c2n 6 0;

3. limn→+∞ cn = 0.

Allora∑n cn converge.

Proof. Applicare il Teorema precedente con pn = (−1)n+1 e qn = |cn|.

Questo corollario garantisce ad esempio che∑n

(−1)n

n converge.poiche |cn| = 1/n e decrescente e tende a zero. Si noti il contrastocon la convergenza assoluta, che in questo caso non sussiste.

Osservazione 4.29. Esistono “infiniti” criteri di convergenza e/o di-vergenza per le serie (prevalentemente a termini positivi). In questobreve capitolo ne abbiamo discussi alcuni estremamente classici. Lostudente interessato potra trovarne altri in [34] e nei testi classici dianalisi matematica come [25]. I testi piu recenti sembrano dare moltomeno peso a questi criteri, dal momento che sono tutti riconducibili alcriterio di confronto (eventualmente asintotico). Bisogna poi ammet-tere che quasi nessun working mathematician usa le dozzine di variantidel criterio di convergenza di Raabe, e di sicuro non ha senso impara-rle tutte a memoria.

4.4 appendice: caratterizzazioni del nu-mero di nepero

Proposizione 4.30. limn→+∞ (1+ 1n

)n=∑∞n=0

1n! .

Proof. Innanzitutto, ad uso degli smemorati, ricordiamo che 0! = 1 eche n! = 1 · 2 · 3 · · · (n − 1) · n per ogni n > 1. La serie a secondomembro converge, dal momento che

sn = 1+1

2!+ . . .+

1

n!< 1+ 1+

1

2+1

22+ . . .+

1

2n−1< 3.

Poniamo tn =(1+ 1

n

)n. Per il teorema del binomio dell’Esempio 1.33,

tn = 1+ 1+1

2!

(1−

1

n

)+1

3!

(1−

1

n

)(1−

2

n

)+ . . .

+1

n!

(1−

1

n

)(1−

2

n

)· · ·(1−

n− 1

n

).

89

Page 91: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Di conseguenza tn 6 sn, e passando al limite

lim supn→+∞

(1+

1

n

)n6

∞∑n=1

1

n!.

Ora, se n > m,

tn > 1+ 1+1

2!

(1−

1

n

)+ . . .+

1

m!

(1−

1

n

)· · ·(1−

m− 1

n

).

Tenendo fisso m e mandado n all’infinito, vediamo che

lim infn→+∞ tn > 1+ 1+

1

2!+ . . .+

1

m!= sm.

Poiche il primo membro non dipende da m, possiamo concludere che

∞∑n=0

1

n!6 lim infn→+∞ tn.

Abbiamo cosı dimostrato la tesi.

Questa Proposizione permette di identificare il numero di Neperoe con la (somma della) serie

∑n1n! . Lo studente puo leggere in [37]

le dimostrazioni di due proprieta di e che discendono facilmente daquesta caratterizzazione.

Teorema 4.31. Il numero di Nepero e e irrazionale. Inoltre, per ogni n > 1,vale la stima di convergenza

0 < e − sn <1

n!n.

Vediamo che la velocita di convergenza della serie verso il limite e epiuttosto alta: per approssimare e con un errore di 10−7, e sufficientesommare i primi 10 termini della serie.

90

Page 92: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

5 L IM I T I D I FUNZ ION I EFUNZ ION I CONT INUE

Con questo capitolo, lasciamo il mondo delle successioni, cioe dellefunzioni definite sul dominio N, ed entriamo in quello delle funzionireali di una variabile reale. Vedremo che anche per queste funzionie sensato pensare a un concetto di limite, ed anzi c’e una maggioreflessibilita. Come lo studente avra osservato, i limiti delle successionisi calcolano solo per l’indice n → +∞. Parlando in termini estrema-mente imprecisi, questo non ci sorprende piu di tanto. D’altronde, selo spirito dei limiti e quello di vedere cosa succede quando una vari-abile si avvicina a piacere a un valore, una variabile n ∈ N non puoavvicinarsi a piacere a un numero reale. Invece, una variabile reale xpuo senza dubbio essere vicina a piacere a qualunque altro numeroreale.

5.1 limiti di funzioni come limiti di suc-cessioni

Definizione 5.1. Sia f : (a,b) → R una funzione, e sia x0 un punto diaccumulazione di (a,b). Diremo che limx→x0 f(x) = L, o che f(x) → L

per x → x0, se limn→+∞ f(xn) = L per ogni successione {xn} di numerixn ∈ (a,b) con limn→+∞ xn = x0 e xn 6= x0 per ogni n.

Logicamente parlando, questa definizione e rigorosa: sappiamo cal-colare i limiti di succesioni e questo e tutto quello che la definizionerichiede. Confrontando con la definizione di limite per successioni, tro-viamo immediatamente una diversa caratterizzazione dei limiti di fun-zioni.1 Per inciso, verificare una relazione di limite con la Definizione5.1 e praticamente impossibile. Vedremo fra poco che la condizione (ii)del seguente teorema rende le verifiche piu agevoli.

Teorema 5.2. Siano f e x0 come nella Definizione. Sono equivalenti

(i) limx→x0 f(x) = L;

(ii) per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |f(x) − L| < ε per ogni x ∈ (a,b)tale che 0 < |x− x0| < δ;

(iii) per ogni intorno V del punto L, esiste un intorno U del punto x0 taleche f(U \ {x0}) ⊂ V .

1 In certi testi italiani, il prossimo teorema viene chiamato teorema ponte. Questa termi-nologia e pero poco suggestiva. In matematica, quasi ogni teorema e un ponte fra dueconcetti.

91

Page 93: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proof. Ricordando che un intorno di un punto p e semplicemente uninsieme contenente un intervallo centrato in p, e chiaro che (ii) e (iii)sono due formulazioni dello stesso concetto. Quindi e sufficiente di-mostrare l’equivalenza di (i) e (ii). Supponiamo che sia vera la (i) mache la (ii) sia falsa. Allora esiste ε > 0 ed esiste una successione {xn}

tale che xn → x0, xn 6= x0, ma |f(xn) − L| > ε. Questa e una con-traddizione con l’ipotesi (i), e percio anche (ii) deve essere vera. Vicev-ersa, supponiamo che sia vera (ii) e dimostriamo la (i). Sia {xn} unaqualunque successione di elementi di (a,b), distinti da x0 e tali chexn → x0. Fissiamo ε > 0 e sia δ > 0 il numero la cui esistenza e garan-tita dall’ipotesti (ii). Definitivamente, 0 < |xn − x0| < δ, e dunque|f(xn) − L| < ε. Questo significa esattamente che limn→+∞ f(xn) = L.

Invitiamo lo studente ad osservare e memorizzare la richiesta “xn 6=x0” e l’equivalente 0 < |x− x0|. Entrambe significano che, nell’effettuarel’operazione di limite per x → x0, possiamo (e dobbiamo) trascurare comple-tamente tutto cio che avviene nel punto x0. Nel punto x0 a cui tende la xla funzione f potrebbe tranquillamente non essere definita. Ma anchese lo fosse, il valore f(x0) non importerebbe nulla. Per esempio, le duefunzioni

f(x) = x ∀ x ∈ R

e

g(x) =

{x, x 6= 01, x = 0

assumono valori diversi in x0 = 0, e tuttavia

limx→x0

f(x) = limx→x0

g(x) = 0.

L’Autore di [19] sottolinea che la richiesta “|x− x0| > 0” potrebbe tran-quillamente essere omessa, perche le funzioni che in questo modo nonavrebbero limite sarebbero “senza importanza”. Chi scrive rispettaovviamente questo punto di vista, ma non lo condivide. Il concettodi limite sembra infatti particolarmente significativo proprio perchee applicabile in quei punti vicini a piacere al dominio di definizione(i cosiddetti punti di accumulazione per il dominio di definizione) manon necessariamente appartenenti al dominio medesimo. Quindi, unascrittura come limx→0+ 1

x = +∞ perderebbe di significato.

Osservazione 5.3. E fondamentale che lo studente capisca il seguentefatto: se esiste un δ > 0 come nel punto (ii) del Teorema precedente, an-che tutti i numeri positivi δ < δ vanno bene. Nella pratica, questo sig-nifica che possiamo sempre considerare restrizioni come δ 6 1 quandoverifichiamo un limite. In effetti, la dimostrazione di limite non pre-tende che si individui il migliore δ > 0 che verifichi le richieste.

Per chiarire come si applica la definizione di limite, dimostriamo cheper ogni a > 0

limx→a

√x =√a.

92

Page 94: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Infatti, consideriamo la quantita√x−√a; moltiplicando e dividendo

per√x+√a si ottiene2

∣∣√x−√a∣∣ = |x− a|√x+√a<

|x− a|√a

.

Fissato allora ε > 0, si avra∣∣√x−√a∣∣ < ε non appena x > 0 e |x−a| <

ε√a; la relazione (ii) del Teorema sara allora verificata con δ = ε

√a.

Osserviamo che il risultato vale anche per a = 0, con una diversadimostrazione. Infatti, |

√x−√0| =

√x < ε non appena 0 6 x < ε2.

Bastera scegliere δ = ε2.Lo studente ha certamente notato che il valore del limite altro non

e che il valore assunto da√x quando x = a. Insomma, sarebbe bas-

tato sostituire x = a nella funzione√·. Certamente non e un caso, e

capiremo nel capitolo successivo tutte le ragioni di questa apparentecoincidenza.

Osservazione 5.4. Una definizione piu generale di limite e la seguente.Sia f : E → R una funzione, definita sull’insieme E ⊂ R. Sia x0 e unpunto di accumulazione di E; diciamo che

limx→x0x∈E

f(x) = L

se, per ogni successione {xn} di elementi xn ∈ E, escluso al piu x0stesso, convergente a E, accade che limn→+∞ f(xn) = L. Oppure, inmaniera equivalente, se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che, per ognix ∈ E∩ ((x0 − δ, x0 + δ) \ {x0}), accade che |f(x) − L| < ε.

Questa definizione si riduce alle precedenti quando E e un inter-vallo, e contiene automaticamente i limiti per x → ∞, ma in un corsoelementare c’e il rischio che l’eleganza di questa definizione non vengaapprezzata.

Introduciamo ora i limiti all’infinito. Vediamo come si esprimono lecorrispondenti definizioni.

Definizione 5.5. Sia f : (a,b) → R e sia x0 ∈ [a,b]. Diremo chelimx→x0 f(x) = +∞ se per ogni K > 0 esiste δ > 0 tale che f(x) > K

per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

Definizione 5.6. Sia f : (a,b) → R e sia x0 ∈ [a,b]. Diremo chelimx→x0 f(x) = −∞ se per ogni K > 0 esiste δ > 0 tale che f(x) < −K

per ogni x ∈ (x0 − δ, x0 + δ).

Definizione 5.7. Sia f : (a,+∞) → R una funzione definita su un inter-vallo illimitato a destra.3 Diremo che limx→+∞ f(x) = L ∈ R se per ogniε > 0 esiste M > 0 tale che |f(x) − L| < ε per ogni x > M.

Definizione 5.8. Sia f : (−∞,b) → R una funzione definita su un inter-vallo illimitato a sinistra. Diremo che limx→−∞ f(x) = L ∈ R se per ogniε > 0 esiste M > 0 tale che |f(x) − L| < ε per ogni x < −M.

2 Aumentando il denominatore, la frazione diminuisce. Poiche√x+√a >√a, e valida

l’ultima disuguaglianza.3 Ricordiamo che (a,+∞) = {x ∈ R | x > a}.

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Page 95: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 5.9. Sia f : (a,+∞) → R una funzione definita su un inter-vallo illimitato a destra. Diremo che limx→+∞ f(x) = +∞ ∈ R se per ogniK > 0 esiste M > 0 tale che f(x) > K per ogni x > M.

Definizione 5.10. Sia f : (a,+∞) → R una funzione definita su un inter-vallo illimitato a destra. Diremo che limx→+∞ f(x) = −∞ ∈ R se per ogniK > 0 esiste M > 0 tale che f(x) < −K per ogni x > M.

Ripetiamo che le definizioni scritte qui sopra non sono definizioniindipendenti dalla 5.1. Le abbiamo riportate solo per convenienza, edinvitiamo lo studente a formularle con il linguaggio della Definizione5.1.

Concludiamo con la definizione di limiti per eccesso e per difetto.

Definizione 5.11. Sia f : (a,b)→ R e sia x0 ∈ (a,b). Diremo che

limx→x0−

f(x) = L

se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |f(x)−L| < ε per ogni x ∈ (x0− δ, x0).Analogamente, diremo che

limx→x0+

f(x) = L

se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |f(x)−L| < ε per ogni x ∈ (x0, x0+ δ).

La differenza rispetto alla definizione completa di limite e che alla xe permesso di avvicinarsi a x0 solo per valori minori oppure maggioridi x0 stesso.

La seguente proposizione afferma che una funzione ha limite se, esoltanto se, esistono finiti ed uguali i limiti da destra e da sinistra.

Proposizione 5.12. Sia f : (a,b)→ R e sia x0 ∈ (a,b). Sono equivalenti

1. limx→x0 f(x) = L

2. limx→x0− f(x) = limx→x0+ f(x) = L.

Proof. E chiaro che se il limite esiste, a maggior ragione esistono i duelimiti direzionali, e coincidono con il valore del limite. Viceversa, sup-poniamo che i due limiti direzionali esistano e coincidano: sia L ilvalore comune di questi due limiti. Dalle definizioni, fissato ε > 0,esistono δ− > 0 e δ+ > 0 tali che |f(x) − L| < ε se x0 − δ− < x < x0 e|f(x) − L| < ε se x0 < x < x0 + δ+. Definiamo δ = min{δ−, δ+}. Allora,qualunque sia x0 ∈ (x0 − δ, x0 + δ) \ {x0}, risulta |f(x) − L| < ε. Poicheε > 0 e arbitrario, questo dimostra che limx→x0 f(x) = L.

Osservazione 5.13. La precedente Proposizione e piuttosto intuitiva.Dopotutto, ci sono solo due modi di avvicinarsi ad un punto: da sin-istra o da destra. E se il comportamento durante l’avvicinamento dasinistra coincide con il comportamento avvicinandosi da destra, e nat-urale credere che il limite debba esistere. Il discorso cambia radical-mente in dimensione maggiore o uguale a due. Gia nel piano carte-siano, esistono infiniti modi di avvicinarsi ad un punto: lungo una

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Page 96: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

retta, lungo una spirale, “saltando” da una parte all’altra, ecc. Questofa presagire che lo studio dei limiti per funzioni di due o piu variabilisia alquanto complicato, e che l’avvicinamento lungo direzioni privile-giate non bastera mai a descrivere interamente i limiti.

5.2 traduzione dei teoremi sulle succes-sioni

La Definizione 5.1 e come la chiave di un codice segreto: ci permette ditradurre nel linguaggio delle funzioni le proprieta dei limiti viste perle successioni.4 Ne enunciamo alcune, con l’avvertenza che si trattasolo di alcuni dei casi possibili per le funzioni. Per comodita, diamogli enunciati per limiti al finito, ma enunciati corrispondenti valgonoper i limiti all’infinito.

Teorema 5.14 (Unicita del limite). Sia f : (a,b)→ R e sia x0 ∈ [a,b]. Selimx→x0 f(x) = L1 e limx→x0 f(x) = L2, allora L1 = L2.

Teorema 5.15 (Limitatezza locale). Sia f : (a,b)→ R e sia x0 ∈ [a,b]. Seesiste finito il limite limx→x0 f(x), allora f e localmente limitata vicino a x0.Piu esplicitamente, esiste un intorno I di x0 ed esiste un numero C > 0 taliche |f(x)| < C per ogni x ∈ I.

Teorema 5.16. Sia f : (a,b)→ R e sia x0 ∈ [a,b]. Se limx→x0 f(x) = L >0, allora esiste un intorno U di x0 in cui f > 0. Se f > 0 in un intorno di x0e se esiste il limx→x0 f(x) = L, allora L > 0.

Teorema 5.17 (Due carabinieri). Siano f, g ed h tre funzioni definite in(a,b), e sia x0 ∈ [a,b]. Supponiamo che, per ogni x ∈ (a,b), risultig(x) 6 f(x) 6 h(x). Se limx→x0 g(x) = limx→x0 h(x) = L, alloralimx→x0 f(x) = L.

Teorema 5.18. Sia f : (a,b)→ R una funzione monotona (crescente oppuredecrescente).

(i) Se f e crescente, allora

limx→b−

f(x) = supx∈(a,b)

f(x), limx→a+

f(x) = infx∈(a,b)

f(x).

(ii) Se f e decrescente, allora

limx→a+

f(x) = supx∈(a,b)

f(x), limx→b−

f(x) = infx∈(a,b)

f(x).

4 In questo senso, le successioni sono sufficienti a caratterizzare tutti i limiti delle funzionireali di una variabile reale. Non si tratta di una banalita, visto che concettualmente ilimiti di funzione diventano un caso speciale dei limiti di successione. Al fondo c’e unaproprieta topologica di R che non abbiamo la possibilita di discutere in queste pagine.

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Page 97: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

5.3 raccolta di limiti notevoliI limiti contenuti in questa sezione vanno imparati a memoria, perchecostituiscono l’ossatura di tutti i limiti che incontreremo nel nostrocorso.

Osservazione 5.19. Per quanto possa apparire paradossale, pratica-mente tutti i limiti notevoli sono parte fondamentale della definizionestessa delle varie funzioni elementari. Capita spesso di provare unasgradevole sensazione di smarrimento, pensando ai limiti notevoli: chesenso ha calcolare un limite per funzioni che non abbiamo mai definitoprecisamente? Se qualche studente si sentisse assalito dall’ansia, si ri-lassi: e normale!

Proposizione 5.20. Valono le seguenti relazioni di limite.

limx→0

sin xx

= 1 (5.1)

limx→0

1− cos xx2

=1

2(5.2)

limx→0

tan xx

= 1 (5.3)

limx→0

(1+ x)1/x = e (5.4)

limx→0

ex − 1

x= 1 (5.5)

limx→0

log(1+ x)x

= 1 (5.6)

Proof. Il primo limite ha una dimostrazione dal sapore geometrico. In-nazitutto, la funzione x 7→ sinx

x e pari (lo studente lo verifichi secondola definizione), e pertanto ci bastera dimostrare il limite notevole perx → 0+. Sia x > 0 un angolo “piccolo”. Dalla definizione geometricadi sin x, discende che sin x 6 x 6 tan x.5 Nella figura 5.1, Q e il puntodi intersezione fra la circonferenza e il segmento OT , x e la lunghezzadell’arco PQ, tan x quella del segmento TP. Invece sin x e la lunghezzadel segmento che scende perpendicolarmente dal punto Q fino ad in-contrare il segmento OP. Poiche sin x > 0 per 0 < x < π

2 , possiamodividere queste disuguaglianze per sin x e ottenere

1 6x

sin x6

1

cos x,

e il teorema dei due carabinieri garantisce che limx→0+ xsinx = 1.

Il secondo limite notevole si ottiene dal primo:

1− cos xx2

=(1− cos x)(1+ cos x)

x2(1+ cos x)=

1− cos2 xx2(1+ cos x)

=sin2 x

x2(1+ cos x).

5 Si tratta di una dimostrazione in cui molto e lasciato all’intuizione geometrica, e dunquesoggetta a critiche. La prima cosa che si impara quando si affronta la cosiddetta geome-tria elementare e che non dobbiamo mai fidarci dei nostri disegni per dimostrare pro-prieta geometriche. Rassicuriamo tuttavia lo studente che tutto cio che appare in questadimostrazione potrebbe essere verificato rigorosamente.

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Page 98: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

OP

TQ

Figure 1: Il limite notevole limx→0+ sinxx = 1

Quindi

limx→0

1− cos xx2

= limx→0

(sin xx

)2limx→0

1

x2(1+ cos x)=1

2.

Il terzo limite e quasi ovvio, basta scrivere tan x = sinxcosx ed usare il

primo limite notevole.

Il quarto limite e di solito usato come definizione del numero diNepero e. Spesso lo si trova scritto nella forma equivalente

limx→±∞

(1+

1

x

)x= e.

Gli ultimi due limiti, fra loro equivalenti (suggerimento: cambiare lavariabile 1 + x = et), possono essere dimostrati solo utilizzando ladefinizione della funzione esponenziale. Non avendo tempo di dis-cutere la costruzione delle potenze reali con base reale, ci accontenti-amo di sapere il valore dei limiti.

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Page 99: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

5.4 continuita

E semplice convincersi che non sempre una funzione ha limite. Lafunzione f : [0, 1]→ R definita da

f(x) =

{0, x ∈ Q

1, x ∈ R \ Q

non ha limite per x → 1. Infatti, ogni intorno di 1 contiene infinitivalori di x in cui f(x) = 0, e infiniti valori di x in cui f(x) = 1.6

D’altronde, anche se il limite esiste, puo non aver niente a che vederecon il valore della funzione in quel punto. Abbiamo proprio sottolin-eato che l’operazione di limite ignora per definizione il valore dellafunzione nel punto verso cui ci stiamo avvicinando. Tuttavia, tutti noiabbiamo avuto l’impressione, studiando per la prima volta i limiti, cheper calcolare un limite di una funzione basta “quasi sempre” sostituirenella funzione il valore a cui ci avviciniamo. Il fatto e che “quasi tutte”le funzioni di cui calcoliamo i limiti sono continue.

Definizione 5.21. Sia f : [a,b] → R una funzione reale di una variabilereale, e sia x0 ∈ [a,b]. Diciamo che f e continua nel punto x0 se per ogni ε >0 esiste δ > 0 tale che |f(x)− f(x0)| < ε per ogni x ∈ (x0−δ, x0+δ)∩ [a,b].Diremo che f e continua in [a,b] se e continua in ogni punto x0 ∈ [a,b].

Confrontando questa definizione con quella di limite, abbiamo unacaratterizzazione della continuita in termini di limiti.

Teorema 5.22. Sia f : [a,b]→ R una funzione reale di una variabile reale, esia x0 ∈ [a,b]. La funzione f e continua in x0 se e solo se limx→x0 f(x) =f(x0).

Corollario 5.23. Una funzione f e continua in un punto x0 appartenente alsuo dominio se e solo se

limx→x0−

f(x) = limx→x0+

f(x) = f(x0).

Volendo, la definizione di continuita si estende al caso di funzionidefinite su sottoinsiemi arbitrari di R.

Definizione 5.24. Sia f : E → R una funzione, e sia x0 ∈ E un punto deldominio di f. La funzione f e continua nel punto x0 se, per ogni ε > 0

esiste un numero δ > 0 (dipendente in generale sia da ε che da x0) tale che|f(x) − f(x0)| < ε per ogni x ∈ E∩ (x0 − δ, x0 + δ).

Ad una prima lettura sembra che questa definizione sia pratica-mente coincidente con la (5.21), l’unica differenza essendo la scritturadi E al posto di [a,b]. Questo e vero, ma in questa generalita nonpossiamo piu sostenere che la continuita equivale alla relazione dilimite limx→x0 f(x) = f(x0). Pensiamo infatti ad una funzione comef : (0, 1)∪ {2}→ R. Non ha alcun senso pretendere di calcolare il limite

6 Sempre per lo studente piu curioso, risulta lim infx→1− f(x) = 0 < 1 =lim supx→1− f(x) e quindi il limite non esiste.

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di f(x) quando x tende a 2, dal momento che 2 e un elemento iso-lato del dominio di definizione di f. Eppure, la definizione (5.24) eapplicabile, ed anzi implica facilmente che la continuita in 2 sussisteindipendentemente dal valore f(2). Sembra sorprendente, ma si tratta diun fatto del tutto innocuo. Quello della continuita e un concetto pocointeressante nei punti isolati, ed e in ultima analisi piuttosto indiffer-ente se in tali punti le funzioni siano continue oppure discontinue.

Dalle regole per il calcolo algebrico dei limiti, segue immediata-mente che tutte le funzioni polinomiali, cioe le funzione rappresentateda un polinomio a0 +

∑Ni=1 aix

i di qualsiasi grado N > 1 sono con-tinue in ogni punto di R. Infatti, la somma e il prodotto di funzionicontinue sono continue. Sono inoltre continue praticamente tutte lefunzioni elementari che lo studente conosce: seno, coseno, esponen-ziali, logaritmi.

Osservazione. Capita spesso di sentir dire, anche da persone au-torevoli, che la funzione x 7→ 1/x e discontinua nel punto x = 0. Ora,tale funzione non e definita in x = 0, ed e pertanto imbarazzante appli-care la definizione di continuita in questo caso. Di solito, non si fannoaffermazioni relative ad oggetti inesistenti. Per esempio, e vero o falsoche i mandarini alati hanno quattro ruote motrici?

E chiaro che questa discussione ha una natura filosofica: e lecitoattribuire proprieta a cio che non esiste? Io credo che non si possaparlare razionalmente del nulla, ma capisco anche l’altra posizione: ilnulla non possiede alcuna proprieta, proprio perche e nulla. Quindi,una funzione non definita in un punto non possiede la continuita, edunque e discontinua.7 Poiche la matematica non e un dogma di fede,siamo liberi di proporre i nostri punti di vista.

Torniamo al nostro programma. Abbiamo osservato che effettuandole quattro operazioni algebriche su funzioni continue, otteniamo an-cora funzioni continue. Ma che accade se componiamo due funzionicontinue? La risposta e che la composizione e ancora una funzionecontinua. A questo risultato premettiamo una Proposizione sul cal-colo dei limiti.

Proposizione 5.25 (Cambiamento di variabile nei limiti). Siano date duefunzioni f : (a,b)→ R e g : (c,d)→ R, e siano x0 ∈ (a,b), y0 ∈ (c,d). Se

(i) g(y)→ L per y→ y0, y ∈ (c,d);

(ii) f(x)→ y0 per x→ x0, x ∈ (a,b);

(iii) o g(y0) = L o f(x) 6= y0 per ogni x 6= x0

allora limx→x0 g(f(x)) = L.

7 Molti dei piu celebri scienziati erano anche filosofi, e queste diatribe hanno a volte ral-lentato il progresso scientifico. Nelle scienze umane, la sovrapposizione fra progressoscientifico e insegnamento religioso ha generato molte pagine buie della storia del pen-siero moderno. In questo senso, una disciplina astratta come la matematica ha sempregoduto di maggiore liberta.

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Page 101: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proof. Dimostriamo la Proposizione nel caso in cui valga la secondaalternativa in (iii). Fissiamo ε > 0. Per (i) esiste σ > 0 tale che sey ∈ (c,d), y 6= y0, |y− y0| < σ, allora |g(y) − L| < ε. D’altra parte sesi ha f(x) ∈ (c,d), per la (iii) f(x) 6= y0 e per la (ii) esiste δ > 0 taleche se 0 < |x − x0| < δ allora |f(x) − y0| < σ. Dunque in definitivase x ∈ (a,b) ∩ f−1(c,d), x 6= x0, |x− x0| < δ, allora |g(f(x)) − L| < ε.Per l’arbitrarieta di ge > 0, la tesi e dimostrata. Lasciamo al lettorela dimostrazione, pi u facile, nel caso in cui g(y0) = L. Notiamo chequesto significa che g e continua in y0.

Un commento sulla Proposizione. Perche abbiamo dovuto intro-durre l’alternativa in (iii)? La ragione sta tutta nella condizione “0 <|x − x0| < δ” della definizione di limite. In altre parole, non ci in-teressiamo al valore della funzione nel punto. Quando facciamo lacomposizione g ◦ f e facciamo tendere x a x0, per poter usare l’ipotesi(i) dobbiamo accertarci che y = f(x) 6= y0. In caso contrario, potrebbeaccadere un fenomeno bizzarro. Consideriamo la funzione costantef : x 7→ y0, e la funzione

g(y) =

{0, y 6= y01, y = y0.

Quindi, la funzione composta g ◦ f e la funzione costante che valeovunque 1. Si ha f(x)→ y0 per x→ x0, g(y)→ 0 per y→ y0, ma nes-suna delle alternative in (iii) e soddisfatta. E infatti limx→x0 g(f(x)) =1 6= 0.

Teorema 5.26. Siano f : (a,b) → R e g : (c,d) → R due funzioni, e sianox0 ∈ (a,b), y0 ∈ (c,d). Se f e continua in x0 e se g e continua in y0 =

f(x0), allora g ◦ f e continua in g(y0).

Proof. Basta applicare la Proposizione precedente.

Il problema della continuita della funzione inversa si pone in ter-mini analoghi: data una funzione continua ed invertibile, e vero chela funzione inversa e continua? Nei limiti del nostro corso, la rispostae affermativa.8 Proponiamo un enunciato apparentemente piu deboledi quello che ci piacerebbe dimostrare.

Teorema 5.27 (Continuita della funzione inversa). Sia f : [a,b] → R

una funzione continua e strettamente crescente.9 Allora f e invertibile, ela funzione inversa f−1 e strettamente crescente e continua in ogni puntodell’intervallo [f(a), f(b)].

Proof. Dobbiamo dimostrare tre cose.

8 Mentre il teorema di continuita delle funzioni composte e un teorema valido in generale,quello di continuita della funzione inversa non lo e. Se studiassimo funzioni definite suinsiemi piu “grandi” di R occorrerebbero ipotesi supplementari.

9 Come si capisce dalla dimostrazione, un teorema analogo vale per una funzione con-tinua e strettamente decrescente.

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1. La funzione f−1 e definita nell’intervallo [f(a), f(b)]. Sia y0 unpunto di questo intervallo. Per il teorema dei valori intermedi,essendo f(a) < y0 < f(b), esiste un punto x0 ∈ (a,b) dovef(x0) = y0. QUesto punto x0 e ovviamente unico, poiche la fun-zione f e strettamente crescente. Quindi ogni punto di [f(a), f(b)]e l’immagine di uno ed un solo punto di [a,b], e pertanto f e bi-univoca ed invertibile. Possiamo definire f−1(y0) = x0.

2. La funzione f−1 e strettamente crescente. Dobbiamo verificareche y1 < y2 implica che f−1(y1) < f−1(y2). Per il punto prece-dente, possiamo dire che x1 = f−1(y1) e x2 = f1(y2). Il nostroscopo e verificare che x1 < x2. Se per assurdo x1 > x2, alloraf(x1) > f(x2) (essendo f strettamente crescente), cioe y1 > y2.Ma questo e impossibile, perche abbiamo scelto y1 < y2.

3. La funzione f−1 e continua in [f(a), f(b)]. Questa e la parte piudelicata della dimostrazione. Finora sappiamo che f−1 e stretta-mente crescente, ed assume qualunque valore compreso fra f(a)e f(b). Fissiamo un punto y0 ∈ (f(a), f(b)), quindi un punto in-terno all’intervallo di definizione di f−1. Preso arbitrariamenteun numero ε > 0, abbiamo gia osservato che esistono due puntiy1 e y2 tali che f−1(y1) = f−1(y0) − ε e f−1(y2) = f−1(y0) + ε.Questi punti sono univocamente determinati, poiche f−1 e stret-tamente crescente. Se y1 < y < y2, abbiamo che f−1(y1) <f−1(y) < f−1(y2), e dunque f−1(y0) − ε < f−1(y) < f−1(y0) + ε.Ricapitolando, abbiamo dimostrato che, preso ε > 0, esiste unintorno (y1,y2) di y0 dove la funzione f−1 resta compresa fraf−1(y0) − ε e f−1(y0) + ε. Questa e la definizione di continuitanel punto y0. La verifica della continuita di f−1 anche nei puntif(a) e f(b) richiede solo piccole modifiche.

Come anticipato, questo teorema assume per ipotesi la monotoniastretta della funzione, e non gia la sua invertibilita. Se da un latosappiamo che ogni funzione strettamente monotona e invertibile (e loabbiamo dimostrato poche riga sopra), non e del tutto scontato che unafunzione continua ed invertibile debba essere strettamente monotona.Fortunatamente e vero, e lo scriviamo in un teorema per dare la giustaenfasi a questa proprieta.

Teorema 5.28. Una funzione f : [a,b] → R continua ed iniettiva, e stretta-mente monotona (crescente oppure decrescente).

La dimostrazione rigorosa e un po’ pedante, e ci limitiamo ad in-vitare lo studente ad intuirla. In breve, prendiamo un punto x1, ecominciamo a spostare i valori dell’ascissa a destra di x1: le ordinatedevono aumentare oppure diminuire. Non possono restare invariate,altrimenti f non sarebbe iniettiva. Supponiamo dunque che f crescaa destra di x1. Se continua a crescere fino a b, abbiamo finito. Al-trimenti arrivera un momento in cui f smette di crescere ed inizia adecrescere. Ma allora il grafico di f assomiglia a quello di un arco

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di parabola vicino al proprio vertice, e dunque non puo essere unafunzione iniettiva!

5.5 limiti come conseguenza della con-tinuita

Abbiamo studiato nei paragrafi precedenti che la continuita di unafunzione in un punto e, di fatto, la mera uguaglianza del valore dellafunzione in quel punto e del suo limite. In realta, e possibile anchedefinire il limite di una funzione mediante una richiesta di continuita.

Definizione 5.29. Sia f : (a, x0)∪ (x0,b)→ R una funzione reale. Diciamoche limx→x0 f(x) = ` ∈ R se la funzione f : (a,b)→ R definita da

f(x) =

{f(x) x 6= x0` x = x0

e continua in x0.

E immediato verificare che questa definizione di limite e equivalentea quella data qualche paragrafo fa. Riassumendo, e possibile partiredalla definizione di limite, e definire la continuita. Viceversa, e possi-bile definire la continuita e ricostruire il concetto di limite. Sebbeneil primo approccio sia tradizionalmente quello piu diffuso, il secondoappare in qualche testo classico di analisi matematica, ad esempio [35].Possiamo anche parafrasare questa discussione come segue.

Proposizione 5.30. Una funzione reale f possiede limite finito ` per x→ x0se e solo se possiede una discontinuita eliminabile in x0.

Osservazione 5.31. Restano ovviamente esclusi i limiti infiniti (al finito).Questo non ci deve soprendere troppo, poiche si tratta di un concettodel tutto distinto da quello dei limiti finiti. Di piu, l’idea di limite“finito” si generalizza a funzioni definite su strutture piu generali dellaretta reale, mentre il concetto di infinito e tipico dei numeri reali.

5.6 infinitesimi ed infiniti equivalentiAnche per le funzioni e possibile parlare di infinitesimi ed infinitiequivalenti. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che le definizionirichiedono qualche sottigliezza.

Definizione 5.32. Siano f e g due funzioni, definite almeno in un intornobucato (x0 − δ, x0 + δ) \ {x0} di un punto x0. Supponiamo che

limx→x0

f(x) = limx→x0

g(x) = 0 (rispettivamente∞).

Diciamo che f e g sono infinitesimi (rispettivamente infiniti) equivalenti perx→ x0 se

limx→x0

f(x)

g(x)= 1,

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Page 104: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e scriviamo

f � g per x→ x0.

Osservazione 5.33. E indispensabile specificare che l’equivalenza sus-siste per x→ x0. Ad esempio f(x) = x(x− 1)4 e g(x) = x(x− 1)2 sonoinfinitesimi equivalenti per x→ 0 ma non per x→ 1.

Osservazione 5.34. A costo di sembrare ottusi, ribadiamo con forzache il quoziente f(x)/g(x) deve tendere a 1: nessun altro numero per-metterebbe la sostituzione degli infinitesimi ed infiniti equivalenti nelcalcolo dei limiti (vedi sotto).

Osservazione 5.35. Siamo stati pedanti nella definizione precedente,almeno nel caso degli infinitesimi. In effetti, avremmo potuto supporreaddirittura che f e g fossero continue in x0. Infatti, le funzioni

f(x) =

{f(x) se x 6= x00 se x = x0

e

g(x) =

{g(x) se x 6= x00 se x = x0

sono continue in x0, e si verifica facilmente che f � g se e solo se f � gper x→ x0. Nel caso degli inifiniti, e ovviamente insensato pretendereche f e g siano continue se entrambe divergono all’infinito.

Osservazione 5.36. E chiaro che definizioni simili si possono dare perx → ±∞. Ovviamente, la due funzioni dovranno essere definite (al-meno) in un intervallo del tipo (a,+∞) oppure (−∞,b). Ad esempio,f(x) = sin(1/x) e g(x) = 1/x sono infinitesimi equivalenti per x→ +∞.

Vale infine un criterio di sostituzione degli infinitesimi (e degli in-finiti) equivalenti, che lo studente potra ricostruire per esercizio a par-tire dall’analogo visto per le successioni (Proposizione 3.38).

Per convincere lo studente che il principio di sostituzione degli in-finitesimi (ed infiniti) equivalenti non vale in ambito additivo, consid-eriamo il classico limite

limx→0

sin x− xx3

.

Impareremo presto che tale limite vale −1/6. Ma questo conta poco:vogliamo invece mostrare che sbaglieremmo, se pensassimo di calco-larlo sostituendo sin x con x. Infatti, arriveremmo alla situazione as-surda

limx→0

sin x− xx3

= limx→0

x− x

x3= limx→0

0

x3.

Ma perche stiamo sbagliando? Apparentemente, dovremmo conclud-ere che il limite esiste e vale zero. Invece questo ragionamento non

103

Page 105: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

sta in piedi, e ce ne rendiamo conto se proviamo a capire i passagginascosti:

limx→0

sin x− xx3

= limx→0

x sinxx − x

x3= limx→0

x( sinxx − 1

)x3

= limx→0

sinxx − 1

x2,

e questo limite e ancora una forma di indecisione [0/0]. Insomma,possiamo dire un po’ paradossalmente, che il principio di sostituzioneresta “quasi” vero, ma non serve a concludere!

5.7 teoremi fondamentali per le funzionicontinue

A parte le traduzioni dei teoremi sui limiti, le funzioni continue godonodi proprieta peculiari, alcune abbastanza intuitive. Se lo studente tornacon la memoria alle parole certamente pronunciate dal suo professoredi matematica alle scuole superiori, “le funzioni continue sono quelleche si disegnano senza staccare la penna dal foglio”, gli sembrera quasiovvio che una funzione continua che parte negativa e arriva positivadebba necessariamente annullarsi.

Teorema 5.37 (Teorema degli zeri). Sia f : [a,b] → R una funzione con-tinua. Se f(a)f(b) < 0, allora esiste (almeno) un punto x0 ∈ (a,b) tale chef(x0) = 0.

Proof. Supponiamo per comodita che f(a) < 0 e f(b) > 0. Il casof(a) > 0 e f(b) < 0 e identico. Definiamo l’insieme

E = {x ∈ [a,b] | f(x) < 0}.

Ovviamente E contiene il punto a, ed e limitato dall’alto poiche b /∈ E.Percio esiste in R il numero x0 = supE. Affermiamo che f(x0) = 0.Infatti se f(x0) < 0, evidentemente x0 < b. Inoltre per il teorema dipermanenza del segno in un intervallo a destra di x0 f sarebbe nega-tiva. Ci sarebbero dunque punti di E maggiori di x0, e questo non epossibile perche x0 e l’estremo superiore di E.

Se f(x0) > 0, allora x0 > a e di nuovo per la permanenza del segnoci sarebbe un intervallo sinistro (x0 − δ, x0) di x0 in cui f sarebbe stret-tamente positiva. I punti di E sarebbero allora tutti minori di x0 − δ, edunque x0 6 x0 − δ, assurdo. Non resta che f(x0) = 0, e il teorema edimostrato.

Di questo, e di altri teoremi che vedremo, esiste una dimostrazioneche fa uso delle successioni.10 E istruttivo presentarne le idee. Siprende a1 = a e b1 = b. Poi si calcola f nel punto mediano, cioe

f

(a1 + b12

).

10 Del teorema precedente esiste anche una dimostrazione molto elegante basata su argo-menti topologici. Si veda [37].

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Se questo numero e negativo, si definisce a2 = a1+b12 , altrimenti si

definisce b2 = a1+b12 . Supponiamo, per fissare le idee, che a2 =

a1+b12 . Si divide in due l’intervallo [a2,b1] e si calcola f(a2+b12 )

Se troviamo un valore negativo, definiamo a3 = a2+b12 , altrimenti

definiamo b2 = a2+b12 . Facendo sempre lo stesso tipo di ragiona-

mento, si costruiscono due successioni {an} e {bn}, con la proprietache f(an) < 0 e f(bn) > 0. Inoltre la prima successione e monotonacrescente, mentre la seconda e monotona decrescente. Infine, poich eogni volta abbiamo dimezzato l’intervallo precedente, risulta

0 6 bn − an 6b− a

2n. (5.7)

Le successioni monotone limitate11 hanno limite, siano

a∞ = limn→+∞an, b∞ = lim

n→+∞bn.

La relazione (5.7) dice che a∞ = b∞ e il teorema della permanenza desegno dice che f(a∞) 6 0, mentre f(b∞) > 0. Poiche questi numericoincidono, dev’essere f(a∞) = 0. Abbiamo pertanto individuato unpunto di [a,b] dove f si annulla.

Il metodo con cui abbiamo costruito a∞ = b∞ si chiama metodo dibisezione, ed e uno dei primi metodi per il calcolo approssimato dellesoluzioni di equazioni del tipo

f(x) = 0

con f funzione continua. Pur essendo indubbiamente efficace ed el-egante, sono stati sviluppati metodi piu veloci basati sul calcolo dif-ferenziale.12

Proponiamo un’interessante conseguenza del teorema degli zeri.

Teorema 5.38 (Valori intermedi). Una funzione continua definita su unintervallo [a,b] assume tutti i valori compresi fra f(a) e f(b).

Proof. Senza ledere la generalita del discorso, supponiamo f(a) 6 f(b).Scegliamo y0 ∈ [f(a), f(b)] e dimostriamo che esiste x0 ∈ [a,b] tale chef(x0) = y0.

Se y0 = f(a), basta prendere x0 = a. Analogamente se y0 = f(b).Se f(a) < y0 < f(b), definiamo la funzione ausiliaria g(x) = f(x) −

y0. Ovviamente g : [a,b] → R e continua, e g(a) = f(a) − y0 < 0,g(b) = f(b) − y0 > 0. Per il teorema degli zeri, esiste x0 ∈ [a,b] taleche g(x0) = 0. Ma questo vuole dire che f(x0) = y0. Il teorema edimostrato.

11 Ovviamente {an} e {bn} sono limitate, perche composte di punti dell’intervallo [a,b].12 Non insistiamo sul fatto che questi metodi funzionano solo per le funzioni del calcolo dif-

ferenziale, mentre quelle continue sono indiscutibilmente piu numerose. D’altra parte,molti problemi delle scienze applicate assumono tacitamente che tutte le quantita ingioco siano funzioni estremamente “addomesticate”.

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Page 107: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Figure 2: La funzione f dell’Osservazione 5.39

Osservazione 5.39. Come osservato in [19], per molti decenni i matem-atici hanno ritenuto che la continuita fosse del tutto equivalente allaproprieta dei valori intermedi. Piu precisamente, essi pensavano chese una funzione soddisfa la proprieta dei valori intermedi in un certointervallo [a,b], allora deve essere continua in [a,b]. Oggi sappiamobene che questo e falso, come dimostra la funzione

f(x) =

{sin 1x , se x 6= 00, se x = 0.

E facile vedere che, preso arbitrariamente y ∈ [−1, 1], esiste almeno unnumero x ∈ R tale che sin 1x = y.13 Tuttavia f presenta una disconti-nuita in x = 0.

Un’altra conseguenza del teorema degli zeri e il cosiddetto principiodell’intersezione. Lo presentiamo con un ragionamento euristico moltointuitivo: supponiamo che i grafici di due funzioni, f e g, si “scav-alchino” passando da un’ascissa a ad un’ascissa b. Se le due funzionisono continue, e immediato immaginare che fra a e b i due graficisi debbano intersecare. La giustificazione e contenuta nel prossimoteorema.

Teorema 5.40 (Principio dell’intersezione dei grafici). Siano f e g duefunzioni continue, definite nell’intervallo [a,b]. Se f(a) < g(a) e f(b) >g(b), oppure se f(a) > g(a) e f(b) < g(b), allora esiste un punto c ∈ (a,b)tale che f(c) = g(c).

Proof. Supponiamo, per fissare le idee, che f(a) < g(a) e f(b) > g(b).Definiamo una terza funzione h, mediante la formula h(x) = f(x) −

13 Ad esempio x = 1/ arcsiny per y 6= 0. Il caso y = 0 e altrettanto facile.

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g(x) per ogni x ∈ [a,b]. Per ipotesi, h(a) = f(a) − g(a) < 0, mentreh(b) = f(b) − g(b) > 0. Naturalmente, h e una funzione continua,in quanto differenza di due funzioni continue. Il teorema degli zeripermette di concludere che esiste c ∈ (a,b) tale che h(c) = 0, cioef(c) = g(c).

5.8 massimi e minimiIn tutte le scienze, pure ed applicate, si pone un problema che possi-amo formulare in questi termini: massimizzare (o minimizzare) unacerta quantita, a sua volta dipendente da altre quantita.

Massimizzare il risparmio, minimizzare l’attrito, scegliere il percorsomi gliore per raggiungere un indirizzo: sono tutti esempi di ottimiz-zazione. Poiche il nostro corso ha carattere elementare, ci limiteremoad alcune considerazioni relative alle funzioni reali di una variabilereale. Avvertiamo pero lo studente che si tratta solo del primo approc-cio ad una teoria molto ricca e difficile, che e oggetto di ricerca attiva.

Definizione 5.41. Sia f : A ⊂ R → R una funzione definita su un insiemeA. Diremo che x0 ∈ A e un punto di minimo assoluto per f se

f(x0) = infx∈A

f(x).

Analogamente diremo che x0 ∈ A e un punto di massimo assoluto per f se

f(x0) = supx∈A

f(x).

In parole povere, x0 e un punto di minimo assoluto se f(x0) 6 f(x)

per ogni x ∈ A. Invece x0 e un punto di massimo assoluto se f(x0) >f(x) per ogni x ∈ A.

Ad esempio, se f(x) = x2 per ogni x ∈ R, e ovvio che 0 e un puntodi minimo assoluto. Infatti, f(0) = 0 6 x2 = f(x) per ogni x ∈ R.

Avvertenza. Capita molto spesso di commettere delle piccole inesat-tezze formali, parlando di massimi e minimi. Il piu frequente e quellodi dire “un minimo x0” invece di “un punto di minimo x0”. A rigor dilogica, il minimo e il valore f(x0) della funzione nel punto di minimo.D’altra parte, una volta individuati i punti di massimo e minimo, e im-mediato calcolare il valore della funzione in tali punti. Questo spiegala tendenza a privilegiare la variabile indipendente rispetto a quelladipendente. Di solito, il contesto chiarisce da se se si stia parlando dipunti di minimo oppure di valori di minimo.

Consideriamo ora la funzione x 7→ (1 − x2)2 definita per ogni xreale. Essa e sempre maggiore o uguale a zero, e vale zero se e solose x ∈ {−1, 1}. Quindi x = −1 e x = 1 sono gli unici due punti diminimo assoluti. Poiche limx→±∞(1 − x2)2 = +∞, la funzione none limitata dall’alto, e non esistono punti di massimo assoluti. Pero eintuitivo che la nostra funzione, nell’intervallo [−1, 1], deve avere dei

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valori maggiori di zero, e per simmetria rispetto all’asse delle ordinatein x = 0 c’e una “specie di massimo”.

Definizione 5.42. Sia f : A ⊂ R → R una funzione definita su un insiemeA. Diremo che x0 ∈ A e un punto di minimo relativo per f se esiste unintorno U di x0 tale che

f(x0) 6 f(x) per ogni x ∈ U∩A.

Diremo che x0 ∈ A e un punto di massimo relativo per f se esiste un intornoU di x0 tale che

f(x0) > f(x) per ogni x ∈ U∩A.

Quando si parla di punti di minimo o massimo relativi, si guarda inrealta la funzione solo “vicino” a tali punti, disinteressandosi comple-tamente di quanto accade “lontano” da essi. Inutile sottolineare che unpunto di minimo (o massimo) assoluto e anche un punto di minimo (omassimo) relativo. Non e pero vero il viceversa. Torneremo su questeconsiderazioni nel capitolo della derivata.

Ma la ricerca dei punti di massimo e di minimo e basata solo suconsiderazioni speciali, peculiari di volta in volta per la funzione inesame? Se cosı fosse, non esisterebbe nemmeno una teoria, ma sola-mente una raccolta di “trucchi”. Il teorema piu famoso14 che fornisceuna garanzia per l’esistenza di punti di massimo e minimo (assoluti) edovuto al grande matematico tedesco C. Weierstrass.15

Teorema 5.43 (Weierstrass). Sia f : [a,b] → R una funzione continua,definita su un intervallo chiuso e limitato. Allora f possiede almeno un puntodi minimo assoluto ed un punto di massimo assoluto.

Proof. Presentiamo una tipica dimostrazione che usa le successioni ot-timizzanti. Diamo i dettagli per l’esistenza del massimo assoluto, las-ciando le ovvie modifiche allo studente per il caso del minimo. SiaM = supx∈[a,b] f(x). Se M = +∞, pe rle proprieta dell’estremo supe-riore, per ogni n ∈ N esiste xn ∈ [a,b] tale che f(xn) > n, Dunquef(xn) → +∞ per n → +∞. Se M ∈ R, per ogni n ∈ N esistexn ∈ [a,b] tale che

M−1

n< f(xn) 6M

e percio f(xn)→M per n→ +∞. In ogni caso, esiste una successione{xn} di punti di [a,b] tale che limn→+∞ f(xn) =M.

Per il Teorema 3.41, la successione {xn} possiede una sottosucces-sione {xnk } convergente ad un punto x1 ∈ [a,b]. Siccome f e continua,f(xn)→ f(x0) per n→ +∞. Ma allora

M = limn→+∞ f(xn) = lim

k→+∞ f(xnk) = f(x1).Abbiamo cosı dimostrato che f(x1) =M = supx∈[a,b] f(x). Cio implicache M ∈ R e che x1 e un punto di massimo assoluto per f.

14 Talmente famoso da essere citato perfino in una pubblicita televisiva nei primi anni 2000.15 Una pronuncia accettabile e [vaierstrass].

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Di questo importantissimo teorema vogliamo presentare una sec-onda dimostrazione, basata sul metodo della bisezione. Seguiamo ab-bastanza fedelmente [19].

Dimostrazione alternativa. Dimostriamo ad esempio che f ha massimoassoluto. Detto S = supx∈[a,b] f(x), dividiamo l’intervallo I = [a,b] indue intervalli uguali, e siano S1 e S2 gli estremi superiori di f in questidue sottointervalli. Poiche I e l’unione di questi sottointervalli, neces-sariamente S = max{S1,S2}. Abbiamo cosı individuato un intervalloI1 = [a1,b1] tale che supx∈[a1,b1]

f(x) = S e b1 − a1 = (b− a)/2. Pros-eguendo allo stesso modo, troveremmo degli int ervalli In = [an,bn]tali che In ⊂ In−1, bn − an = (b− a)/2n, e supx∈[an,bn] f(x) = S perogni n > 1. La successione {an} e monotona crescente, e la succes-sione {bn} e monotona decrescente. Siccome entrambe sono limitate,necessariamente sono dotate di limite finito. Inoltre, limn→+∞ bn =

limn→+∞ an + (b − a) limn→+∞ 2−n = limn→+∞ an. Detto x0 ∈[a,b] il valore comune dei due limiti, vogliamo dimos trare che f(x0) =S. Si ha ovviamente f(x0) 6 S. Se fosse f(x0) < S, posto 2p = S− f(x0),si avrebbe f(x0) = S− 2p < S− p e dunque, per il teorema della per-manenza del segno, esisterebbe un intorno J di x0 tale che f(x) < S−pper ogni x ∈ J. D’altra parte le successioni {an} e {bn} tendono a x0, equindi per n abbastanza grande sia an che bn cadranno in J, e dunqueIn = [an,bn] ⊂ J. Ma allora si dovrebbe avere f(x) < S− p per ognix ∈ In, il che e in contraddizione con il fatto che supx∈[an,bn] f(x) = S.Concludiamo che f(x0) = S, e per definizione cio significa che x0 e unpunto di massimo assoluto per la funzione f.

Osservazione 5.44. Per gli studenti piu curiosi, segnaliamo che la sec-onda dimostrazione e basata sulla forma del dominio di f, un inter-vallo chiuso e limitato. Il teorema di Weierstrass continua a valere perqualunque funzione continua definita su un insieme chiuso e limitato(ma non necessariamente un intervallo). La dimostrazione alternativanon puo essere facilmente estesa a questo caso piu generale, mentre laprima dimostrazione resta essenzialmente valida. Per capirci, una fun-zione continua definita sull’insieme (chiuso e limitato) A = {0}∪ {1/n |

n ∈ N, n > 1} possiede almeno un punto di massimo ed un punto diminimo assoluti in A, ma non e chiaro come generalizzare l’idea dellabisezione all’insieme “stravagante” A. Osserviamo che A e costituitodai punti della successione {1/n}n>1 e dal limite 0 di tale successione.

Piu esplicitamente, questo teorema ci dice che, sotto le ipotesi fatte,esiste un punto x0 ∈ [a,b] di minimo assoluto per f, ed esiste un puntox1 ∈ [a,b] di massimo assoluto per f. Lo studente deve ricordare che ilcontenuto del Teorema di Weierstrass e tutto qui. Non si afferma nullasul numero di punti di massimo o minimo, ne sulla loro localizzazionenell’intervallo [a,b]. Potrebbero coincidere con gli estremi, potrebberoessere dieci, cento oppure mille. E, purtroppo, non dice come individ-uarli. In una giornata di pioggia, saremmo tentati di sostenere cheallora e un teorema inutile. In tal caso, faremmo bene ad attendere

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una giornata di sole per schiarirci le idee. Il teorema appena enunci-ato ci dice che, sotto le ipotesi scritte, i punti di massimo e minimoassoluti esistono! Sarebbe una tortura dover cercare qualcosa che forsenon esiste. Ci sarebbero studenti ormai decrepiti, ancora impegnati acontrollare se una funzione ha massimi e minimi.16

Che le ipotesi del teorema di Weierstrass servano proprio tutte, sicapisce dai prossimi esempi. Se il dominio della funzione non e unintervallo chiuso e limitato17 possono sorge problemi. Prendiamo lafunzione f : x ∈ (0, 1] 7→ 1/x ∈ R. E continua sul suo dominio, ma nonpossiede massimo assoluto. Infatti supx∈(0,1] f(x) = +∞. Il dominio eun intervallo primo di uno degli estremi. Ma il teorema fallisce anchequando il dominio e un intervallo non limitato: f : x ∈ R 7→ ex ∈ R euna funzione continua, priva di massimo e di minimo assoluti. Infine,e evidente che la continuita sia fondamentale. Definiamo f : [−1, 1] 7→R come

f(x) =

{|x|, x 6= 01, x = 0.

Questa funzione ha due punti di massimo assoluti negli estremi −1 e 1.Ma non ha minimo assoluto. Infatti infx∈[−1,1] f(x) = 0 ma non esistenessun x0 ∈ [−1, 1] tale che f(x0) = 0. E chiaro che f non e continua inx = 0.

5.9 punti di discontinuitaPremettiamo un avviso agli studenti: l’argomento di questa sezione ematematicamente poco rilevante, e solo la tradizione didattica ci sp-inge a parlarne.

Definizione 5.45. Una funzione e discontinua in un punto appartenente alsuo dominio di definizione, se non e continua in quel punto.

Osservazione 5.46. La definizione precedente e opinabile. Ad esem-pio, tanti studenti sono fermamente convinti che la funzione x 7→1/(x−2) sia discontinua nel punto x = 2. In base alla nostra definizione,la stessa funzione e continua in tutto il suo dominio di definizione. Chi haragione? In matematica la ragione sta sempre dalla parte di chi rispettaassiomi e definizioni. Quindi il problema si scarica sulla “giusta”definizione di punto di discontinuita. Quelli che pensano sia piu cor-retto privilegiare l’idea di disegnare un grafico senza staccare la pennadal foglio, diranno sicuramente che c’e una discontinuita in x = 2.Quelli che pensano le funzioni come oggetti dotate inevitabilmentedi un dominio di definizione, probabilmente penseranno che non ha

16 E un dato di fatto che questi studenti ci sono. Forse perche il perfido professore hachiesto di studiare una funzione che non verifica le ipotesi del teorema di Weierstrass.La matematica e interessante soprattutto quando obbliga a usare strumenti non ordinari.

17 In realta la formulazione generale del teorema di Weierstrass non si limita agli intervalli,ma non abbiamo le conoscenze per scendere nei particolari.

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senso parlare del comportamento di una funzione laddove non e nem-meno definita.

Poiche la liberta di pensiero e sacra, ma per andare avanti dobbiamoscegliere da che parte stare, d’ora in poi converremo che i punti didiscontinuita debbano appartenere al dominio di definizione. Pertanto,la nostra funzione x 7→ 1/(x− 2) sara considerata continua in tutti ipunti del suo campo di esistenza.

Piu esplicitamente, negando la definizione di continuita nel puntox0 del dominio di definizione di f, si ottiene la seguente caratteriz-zazione.

Proposizione 5.47. Sia f : [a,b] → R una funzione, e sia c ∈ [a,b]. Sonoequivalenti:

• f e discontinua in x0

• esiste ε0 > 0 tale che, per ogni δ > 0 esiste almeno un punto xδ ∈ [a,b]con la proprieta che |xδ − x0| < δ, ma |f(xδ) − f(x0)| > ε0.

In pratica, una funzione f e discontinua in x0 se vale una delleseguenti alternative:

1. limx→x0 f(x) esiste (finito o infinito) ma e diverso dal valoref(x0);

2. limx→x0 f(x) non esiste.

Questo ci conduce ad una grossolana classificazione dei punti di discon-tinuita.

Un primo caso e quello dell’ultimo esempio della sezione prece-dente. La nostra funzione “vorrebbe” essere continua, pero noi le im-poniamo di non esserlo. Formalmente, cio accade quando limx→x0 f(x)esiste finito, ma e diverso da f(x0). Si usa parlare di discontinuita elim-inabile in x0. Per quanto detto sopra, il punto x0 dovrebbe necessaria-mente appartenere al dominio di definizione della funzione f. Tuttavia,proprio per il fatto che ci accingiamo a definire opportunamente il val-ore f(x0), non e il caso di essere troppo rigidi. In pratica, se abbiamouna funzione fatta in modo che limx→x0 f(x) esiste finito, parliamo co-munque di discontinuita eliminabile in x0, senza neanche controllare sex0 appartenga oppure non appartenga al dominio di f. Basta infattidefinire una nuova funzione

f(x) =

{f(x), x 6= x0limx→x0 f(x), x = x0.

Questa funzione coincide con f dappertutto, tranne in x0. Inoltre f econtinua in x0, poiche f(x0) = limx→x0 f(x) = limx→x0 f(x).

18

18 Uno studente spiritoso potrebbe sollevare la seguente obiezione: se e permesso cambiarela funzione, qualunque funzione diventa continua. E un po’ provocatorio, ma ha unfondo di verita: se iniziamo giocando a pallacanestro, non possiamo finire giocando abriscola.

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Un secondo caso e quello di una funzione in cui

limx→x0−

f(x) 6= limx→x0+

f(x),

pur essendo entrambi numeri reali. Il valore di f(x0) poco importa,non ci sono speranze che f sia continua in x0. Intuitivamente, f “salta”dal valore limx→x0− f(x) al valore limx→x0+ f(x). Si parla di disconti-nuita a salto in x0.

Infine, restano... tutti gli altri casi immaginabili. Ad esempio sealmeno uno dei due limiti destro e sinistro e infinito, oppure se illimite limx→x0 f(x) non esiste, oppure se uno solo dei limiti destro esinistro non esiste. Parleremo di discontinuita di terza specie, senzaaddentrarci in ulteriori classificazioni.

Per concludere, segnaliamo un comodo criterio per dimostrare cheuna funzione e discontinua in un certo punto.

Proposizione 5.48. Sia f : [a,b] → R una funzione, e sia x0 ∈ [a,b]. Seesistono due successioni {x ′n}n e {x ′′n}n di punti di [a,b] tali che x ′n → x0,x ′′n → x0, ma limn→+∞ f(x ′n) 6= limn→+∞ f(x ′′n), allora f e discontinuain x0.

Proof. Infatti, se per assurdo f(x0) = limx→x0 f(x), allora tutte le suc-cessioni {xn}n di punti di [a,b], convergenti a x0, dovrebbero esseretali che f(xn) → f(x0). Questo evidentemente contraddice l’esistenzadelle due successioni {x ′n}n e {x ′′n}n.

5.10 appendice: limite inferiore e supe-riore per una funzione

Anche per le funzioni reali di una variabile reale e possibile introdurreun concetto di limite inferiore e superiore, analogamente a quanto giafatto per le successioni di numeri reali.

Definizione 5.49. Sia f : I → R una funzione definita sull’insieme I ⊂ R,e sia x0 un punto di accumulazione di I. Un numero `, finito o infinito, e unvalore limite di f per x → x0 se, per ogni intorno U di x0 ed ogni intorno Vdi `, esiste almeno un elemento x ∈ I∩U e distinto da x0, tale che f(x) ∈ V .Infine, si chiama classe limite della funzione f per x → x0 l’insieme Λ19 deivalori limite.

Qualche parola di commento: I e, molto spesso, un intervallo. Adesempio, se I = (a,b], allora x0 dovra appartenere a [a,b]. Se I =

(a,+∞), la definizione precedente permette di considerare ogni x0 >a, ed anche x0 = +∞. In questo modo, abbiamo riunito in un’unicadefinizione tanto il caso in cui x tenda ad un numero reale, quanto ilcaso in cui tenda all’infinito.

Segue dalla definizione che i valori limite possiedono una caratteriz-zazione “dinamica”, intermini di limiti di successioni.

19 Si pronuncia: lambda.

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Lemma 5.50. Nelle ipotesi della definizione precedente, ` e un valore lim-ite se e solo se esiste una successione {xn}n di punti di I \ {x0} tale chelimn→+∞ xn = x0 e limn→+∞ f(xn) = `.Definizione 5.51. Il limite inferiore di f, per x → x0, e il numero (finitoo infinito) lim infx→x0 f(x) = infΛ. Analogamente, il limite superiore di fper x→ x0 e il numero (finito o infinito) lim supx→x0 f(x) = supΛ.

Vediamo qualche esempio. Sappiamo gia che il limx→0 1x non esiste.Infatti, lim infx→0 1x = −∞. Per verificarlo, usiamo la caratterizzazione“dinamica”. Se consideriamo la successione xn = −1/n, che ovvia-mente tende a 0 per difetto, vediamo che f(xn) = −n → −∞. Quindi−∞ e un valore limite, ed ovviamente e il piu piccolo valore limite. Inmaniera del tutto analoga, si verifica che lim supx→0

1x = +∞.

Meno diretto, ma piu sorprendente, e il caso delle funzioni gonio-metriche all’infinito. Ad esempio, quanto vale lim supx→+∞ sin x? Perrispondere, usiamo la definizione di valore limite. Consideriamo ilgrafico della funzione seno, che e una funzione periodica di periodo2π. Innanzitutto, poiche −1 6 sin x 6 1 per ogni x, la classe lim-ite e necessariamente un sottoinsieme di [−1, 1]. Ci proponiamo didimostrare che Λ = [−1, 1]. Infatti, scegliamo un qualsiasi numero` ∈ [−1, 1], e tracciamo nel grafico la retta orizzontale y = `. Essaincontrera il grafico della funzione seno infinite volte. Se ordiniamoquesti punti di intersezione in una successione {xn}n, ci accorgiamoche limn→+∞ xn = +∞, e che sin xn = ` per ogni n. Quindi ` ap-partiene alla classe limite della funzione seno per x → +∞. Percio[−1, 1] ⊂ Λ. Per definizione lim supx→+∞ sin x = sup[−1, 1] = 1. Las-ciamo allo studente il compito di verificare (ma in realta si tratta quasidi ricopiare le frasi appena lette) che lim infx→+∞ sin x = −1.

Un esercizio piu impegnativo, ma istruttivo, e quello di dimostrarela seguente affermazione.

Proposizione 5.52. Nelle ipotesi della Definizione 5.49, la funzione f am-mette limite (finito o infinito) per x → x0 se, e solo se, lim infx→x0 f(x) =

lim supx→x0 f(x).

Osservazione 5.53. Nell’esposizione di questi argomenti, abbiamo vo-lutamente considerato in un contesto unitario sia i limiti finiti chequelli infiniti. Ovviamente, chi preferisce essere “massimalista”, esostiene che limx→0+ 1/x non esiste perche i limiti devono essere nu-meri reali, si trovera obbligato ad introdurre un gran numero di casiparticolari. Si rifletta sul fatto che, anche se non l’abbiamo mai scrittoesplicitamente, il limite inferiore e quello superiore di una funzioneesistono sempre, finiti o infiniti. Questo sarebbe falso, se ci limitassimoa considerare i limiti finiti.

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6 I L CALCOLO D IFFERENZ IA LE

Siamo arrivati al cuore del nostro corso: introdurremo finalmente lostrumento principale per analizzare il comportamento di una funzione.Molti studenti universitari conoscono gia la derivata e le sue appli-cazioni. Li invitiamo a non commettere uno degli errori piu spiacevoli,quello di vivere di rendita sui ricordi liceali. Vedremo presto che a noiinteressa esporre con rigore la teoria delle funzioni derivabili, mentrenelle scuole superiori c’e la comprensibile tendenza a nascondere sottoil tappeto le difficolta e le patologie. Non tutte le funzioni sono deriv-abili, anzi la famiglia delle funzioni derivabili e una sparuta minoranzanell’universo delle funzioni continue.1

6.1 rapporto incrementale e derivata

Spiegare che cosa sia la derivata senza essere bourbakisti2 non e uncompito facile.

C’e chi ama parlare di rette tangenti, chi di velocita ed accelerazione.Per tutte queste motivazioni storico–filosofiche, rimandiamo lo stu-dente ad uno dei testi citati in bibliografia. In ogni caso, l’idea in-novativa in comune e quella di variazione infinitesima di una funzione.

Ricordiamo che, data una funzione f : (a,b) → R, la variazione di fnel punto x0 ∈ (a,b) di incremento h e il rapporto

∆f

∆x(x0,h) =

f(x0 + h) − f(x0)

h.

Questo rapporto e ben definito quando |h| e sufficientemente piccolo,in modo che x0 + h ∈ (a,b). Ha allora senso domandarsi che cosarappresenti il limite

limh→0

∆f

∆x(x0,h) = lim

h→0

f(x0 + h) − f(x0)

h.

1 Questa frase non e una sciocchezza. Esistono strumenti matematici che “misurano” lapercentuale di funzioni derivabili fra le funzioni continue. E il risultato, sorprendentesono per chi si avvicina all’ Analisi Matematica per la prima volta, e che le funzioniderivabili sono davvero poche.

2 Dal nome di Nicholas Bourbaki. E il nome collettivo di un gruppo di matematicifrancesi che, nel XX secolo, decisero di rifondare la matematica moderna da un puntodi vista completamente deduttivo. Nei loro libri non si trovano spiegazioni discorsive,ma solo definizioni seguite da teoremi e corollari. E un approccio affascinante allamatematica, ma considerato da molti pedagogicamente disastroso. Chi scrive ha sempreconsiderato i libri pieni di grafici, figure e divagazioni varie piuttosto fuorvianti. Dannola spiacevole sensazione che tutto sia facile, mentre la realta e ben piu dura.

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Spesso questo limite non esiste nemmeno; se consideriamo il puntox0 = 0 e la funzione f(x) = |x|, allora

limh→0−

f(x0 + h) − f(x0)

h= limh→0−

|h|

h= −1,

mentre

limh→0+

f(x0 + h) − f(x0)

h= limh→0+

|h|

h= 1,

Per altre funzioni, tale limite esiste banalmente. Prendiamo le funzionicostanti: f(x) = q per ogni x reale. Allora

limh→0

f(x0) + h) − f(x0)

h= limh→0

q− q

h= 0,

qualunque sia x0. Questo non ci soprende, dato che la variazionedi una funzione costante non puo che essere nulla, anche prima diprendere il limite per h → 0. Se invece f(x) = mx+ q e una genericafunzione lineare, calcoliamo

limh→0

f(x0) + h) − f(x0)

h= limh→0

[m(x0 + h) + q] − [mx0 + q]

h= m.

La variazione infinitesima di una funzione lineare coincide in ognipunto con il coefficiente angolare m. Anche per la parabola f(x) = x2

si fanno i calcoli agevolmente:

limh→0

f(x0) + h) − f(x0)

h= lim

h→0

(x0 + h)2 − x20h

= limh→0

x20 + 2x0h+ h2 − x20h

= limh→0

2x0 + h = 2x0.

Per la funzione x 7→ x2, la variazione infinitesima dipende esplicita-mente dal punto x0 in ci la calcoliamo, e il risultato e 2x0.

Definizione 6.1. Sia f : (a,b)→ R una funzione data, e sia x0 ∈ (a,b) unpunto di (a,b). Chiamiamo derivata di f in x0 il numero

Df(x0) = limh→0

f(x0 + h) − f(x0)

h, (6.1)

a patto che tale limite esista finito. Diremo che f e derivabile in x0 se esiste laderivata Df(x0).

Altre notazioni di uso comune per la derivata sono

f ′(x0),df

dx(x0),

df

dx

∣∣∣∣x=x0

, f(x0)

La prima e forse la piu diffusa e popolare, la seconda e la terza sonodovute a Leibniz, mentre la quarta e dovuta ad Isaac Newton. Quest’ultima

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e ancora oggi la notazione preferita in Fisica e in Meccanica, dove laSeconda Legge di Newton ha la forma

mx = F.

Avvertenza. La derivata e un’operazione che dipende dalla funzionef e dal punto x0. In particolare, il nome della variabile indipendentenon riveste alcun ruolo. Ecco perche non amiamo particolarmente lanotazione df

dx . Quella x a denominatore ha un’evidenza che non lecompete. Infatti, se usiamo una scrittura come f(t) = t2, dobbiamoscrivere df

dt . Il grande vantaggio della notazione “frazionaria” dfdx e

che permette di scrivere formule come

d

dxsin x = cos x.

La notazione

D(x 7→ sin x)(x) = cos x,

per quanto logicamente piu corretta, sembra improponibile. Lo stu-dente e libero di scegliere la notazione preferita, con la consapevolezzache

d

dtsin x = cos t

e una immane sciocchezza. L’importante e che, compiuta una scelta,ad essa ci si attenga con coerenza.

Prima di procedere, osserviamo che la derivata e anche caratteriz-zata dall’uguaglianza

Df(x0) = limx→x0

f(x) − f(x0)

x− x0.

Infatti, basta cambiare variabile: x = x0 + h e osservare che x → x0 see solo se h→ 0.

Proposizione 6.2. Ogni funzione derivabile in un punto e anche continuain quel punto.

Proof. Sia f derivabile in x0. Allora

limh→0

f(x0 +h) − f(x0) = limh→0

f(x0 + h) − f(x0)

h·h = Df(x0) · 0 = 0.

Quindi, ricordando l’osservazione che precede questa Proposizione,vediamo che f(x0) = lim

x→x0f(x), e la tesi e dimostrata.

Non soltanto esistono funzioni continue ma non derivabili in un sin-golo punto: Carl Weierstrass ha dimostrato il seguente, sorprendente,risultato.

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Teorema 6.3 (Weierstrass). E possibile costruire una funzione, definita intutto R, che non e derivabile in alcun punto.

Il bello e che la dimostrazione e costruttiva, cioe si puo scrivereuna formula che definisce tale funzione. Si tratta comunque di unadefinizione un po’ particolare, che richiede la conoscenza delle serie difunzioni. Una dimostrazione alternativa e contenuta in [34, Theorem1.2, pag. 192].

Vediamo adesso che la derivata identifica in modo univoco una rettache rappresenta la migliore approssimazione lineare di ogni funzionederivabile.

Proposizione 6.4. Sia f : (a,b)→ R una funzione, e sia x0 ∈ (a,b). Sonoequivalenti:

(i) f e derivabile in x0;

(ii) f e continua in x0, e la retta di equazione y = Df(x0)(x− x0) + f(x0)

approssima la funzione f localmente, nel senso che

limx→x0

f(x) − (Df(x0)(x− x0) + f(x0))

x− x0= 0.

Proof. I dettagli sono lasciati allo studente. Per iniziare, suggeriamodi riscrivere il limite del punto (ii) in modo che appaia il limite delrapporto incrementale di f in x0.

La retta y = Df(x0)(x− x0) + f(x0) si chiama retta tangente al graficodi f nel punto (x0, f(x0)).

6.2 il calcolo delle derivateQuando un esercizio chiede di calcolare la derivata della funzione

f(x) = sin 5

√1+ log(x− 2),

di sicuro nessuno studente di buon senso cerca di applicare la definizionedi derivata. Esistono infatti alcune regole di derivazione, piuttosto fa-cili da memorizzare, che ci aiutano a calcolare senza fatica le derivatedi funzioni anche molto complicate.

Teorema 6.5. Siano f e g due funzioni derivabili in un punto x0. Sia c unnumero reale. Allora le funzioni x 7→ f(x)+g(x), x 7→ f(x)g(x) e x 7→ cf(x)

sono derivabili in x0, e valgono le identia

1. D(f+ g)(x0) = Df(x0) +Dg(x0);

2. D(cf)(x0) = cDf(x0);

3. D(fg)(x0) = Df(x0)g(x0) + f(x0)Dg(x0) (regola di Leibniz).

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Infine, se Dg(x0) 6= 0, allora anche la funzione x 7→ f(x)/g(x) e derivabilein x0, e vale l’identita

D

(f

g

)(x0) =

Df(x0)g(x0) − f(x0)Dg(x0)

(g(x0))2.

Proof. Le prime due formule sono facilissime da dimostrare, e lasci-amo i dettagli allo studente. La terza formula richiede il trucco diaggiungere e togliere una quantita opportuna. Facciamo il limite delrapporto incrementale per la funzione fg:

limx→x0

f(x)g(x) − f(x0)g(x0)

x− x0

= limx→x0

f(x)g(x) − f(x0)g(x) + f(x0)g(x) − f(x0)g(x0)

x− x0

= limx→x0

f(x) − f(x0)

x− x0g(x) −

g(x) − g(x0)

x− x0f(x0)

= Df(x0)g(x0) + f(x0)Dg(x0).

La dimostrazione della formula per la derivata del quoziente potrebbeessere fatta in modo analogo. Invece, dimostriamola innanzitutto nelcaso f(x) = 1 per ogni x:

limx→x0

1g(x) −

1g(x0)

x− x0= lim

x→x0

g(x0) − g(x)

x− x0

1

g(x)g(x0)

= −Dg(x0)

(g(x0))2.

Osservando che, per ogni x risulta

f(x)

g(x)= f(x)

1

g(x),

possiamo applicare la regola per la derivata del prodotto e l’ultimaformula, ottenendo la derivata del quoziente.

Quindi, attenzione: la derivata della somma e la somma delle derivate,ma la derivata del prodotto e molto diversa dal prodotto delle derivate!

Un’altra regola di derivazione riguarda le funzioni composte.

Teorema 6.6 (Regola della catena). Siano f : (a,b) → R, g : (c,d) → R

con f((a,b)) ⊂ (c,d).3 Se f e derivabile in x e se g e derivabile in f(x), allorag ◦ f e derivabile in x e vale la relazione

D(g ◦ f)(x) = Dg(f(x))Df(x).

Proof. La funzione v : (c,d)→ R data da

v(y) =

{g(y)−g(f(x))y−f(x) , se y 6= f(x)

Dg(f(x)), se y = f(x)

3 Questa condizione garantisce che la funzione g ◦ f abbia senso.

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e continua in f(x) perche g e per ipotesi derivabile in f(x). Inoltre perogni h sufficientemente piccolo si puo scrivere

g(f(x+ h)) − g(f(x))

h= v(f(x+ h))

f(x+ h) − f(x)

h

come si verifica subito distinguendo i due casi f(x+ h) 6= f(x) e f(x+h) = f(x). Per h → 0 si ha f(x+ h) → f(x), v(f(x+ h)) → v(f(x)) =

Dg(f(x)) per il teorema di continuita delle funzioni composte. Quindi

limh→0

g(f(x+ h)) − g(f(x))

h= Dg(f(x))Df(x),

e il teorema e dimostrato.

Osservazione 6.7. La precedente dimostrazione contiene in realta unadefinizione equivalente di derivabilita per una funzione f, introdottada Weierstrass. Una funzione f, definita almeno in un intorno delpunto x0, e derivabile in x0 se e solo se esiste una funzione continuaω tale che

f(x) = f(x0) +ω(x)(x− x0), per ogni x.

Infatti, la funzione continua ω e univocamente individuata dalla for-mula

ω(x) =

{f(x)−f(x0)x−x0

, x 6= x0Df(x0), x = x0.

Leggendo fra le righe la dimostrazione del teorema precedente, lo stu-dente osservera che la funzione v gioca esattamente il ruolo di ω perla funzione g invece che per f.

Usando la notazione “frazionaria” per le derivate, ponendo

y = y(x), w = w(y),

la regola di derivazione delle funzioni composte prende la forma sug-gestiva

dw

dx=dw

dy

dy

dx.

Lo studente avra notato che la dimostrazione dell’ultimo teorema none affatto scontata. Per spiegarne l’aspetto piu delicato, introduciamola notazione

∆f

∆x=f(x+ h) − f(x)

h

per il rapporto incrementale. Scriviamo per semplicita y = f(x). Ora,non e vero che

∆(g ◦ f)∆x

=∆g

∆y

∆y

∆x.

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Il punto e che potremmo aver diviso per zero, operazione vietata inmatematica. Nessuno puo garantire che ∆y = f(x + h) − f(x) 6= 0,a meno di supporre che Df(x) 6= 0. Tuttavia, sarebbe assolutamentepretestuoso aggiungere questa ipotesi nel teorema, che infatti vale co-munque.4

Per applicare la regola della catena, occorre imparare ad isolare gli“atomi” che compongono una funzione. Tutte le funzioni di questocorso sono solo somme, prodotti, quozienti e composizioni delle solitefunzioni elementari. Per esempio x 7→ sin(1+ x) si decompone nellacomposizione

x 7→ 1+ x 7→ sin(1+ x).

Quindi

d

dxsin(1+ x) = cos(1+ x) · 1,

poiche f(x) = 1+ x e g(y) = siny. E molto utile ragionare come sefossimo una calcolatrice: ci viene fornito x, e su tale variabile facciamodelle operazioni. Nell’esempio, prima calcoliamo 1+ x, e poi calcol-iamo il seno del risultato. Ecco dunque le due funzioni che compon-gono x 7→ sin(1+ x). Non c’e nulla di sbagliato in questo approccio,anche se presto si impara a raggruppare le operazioni piu comuni. See vero che per la funzione x 7→ 3x+ 2 si prende x, si trova 3x e poisi trova 3x+ 2, ben poche persone applicano la regola della catena aquesta funzione. Piu semplicemente, si nota che

d

dx(3x+ 2) =

d

dx(3x) +

d

dx2 = 3.

Il risultato deve essere lo stesso, ma l’esperienza aiuta sempre a sceglierequale strada prendere per giungere rapidamente al traguardo.

Esiste naturalmente una formula di derivazione della funzione in-versa. Purtroppo, l’enunciato sembra piu difficile di quanto non lo siadavvero.

Teorema 6.8 (Derivata della funzione inversa). Sia f : (a,b) → (c,d)una funzione biunivoca e derivabile nel punto x0 ∈ (a,b). Se Df(x0) 6= 0,allora la funzione inversa f−1 : (c,d) → (a,b) e derivabile nel punto y0 =

f(x0) ∈ (c,d), e vale la relazione

Df−1(y0) =1

Df(x0). (6.2)

Proof. La dimostrazione e diretta: siano y0 = f(x0) e k = f(x0 + h) −

f(x0). Per la continuita della funzione inversa, k → 0 per h → 0.Quindi

limk→0

f−1(y0 + k) − f−1(y0)

k= limh→0

h

f(x0 + h) − f(x0).

4 D’accordo, lo studente e libero di credere che si commetterebbe un peccato veniale.In matematica, purtroppo, le dimostrazioni sono giuste o sbagliate. Spiace comunquenotare che parecchi libri di testo, sia per le scuole superiori che per l’universita, propon-gono una dimostrazione sbagliata della regola della catena.

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Page 123: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Ma questa e esattamente la relazione (6.2).

Osservazione 6.9. L’ipotesi che la derivata di f in x0 sia diversa dazero e essenziale. Consideriamo infatti la funzione f : x 7→ x3, definitaovunque. Poiche Df(x) = 3x2 per ogni x, nel punto x0 = 0 la derivatasi annulla. La funzione inversa f−1 e descritta dalla formula f−1(y) =3√y. Tale funzione non e derivabile nel punto y0 = f(0) = 0; basta

scrivere il limite del rapporto incrementale,

limy→0

3√y

y= +∞.

Il teorema precedente quindi non afferma che tutte le funzioni deriv-abili e invertibili possiedono inverse derivabili. Geometricamente none una sorpresa, poiche il grafico dell’inversa ha tangente verticale se lafunzione diretta ha tangente orizzontale in un dato punto.

Esempio 6.10. Vogliamo calcolare la derivata della funzione logaritmo,definita da y ∈ (0,+∞) 7→ logy. E noto che questa e la funzioneinversa della funzione f : x ∈ R 7→ ex, nel senso che log ex = x perogni x ∈ R e elogy = y per ogni y > 0. Quindi stiamo calcolando laderivata di f−1. Poiche Df(x0) = ex0 per ogni x0 reale, la regola delprecedente teorema ci garantisce che , se y0 = ex0 , allora

Df−1(y0) =1

ex0.

Quindi

D log(y0) =1

ex0=1

y0,

e questo vale per ogni y0 > 0. Abbiamo quindi trovato la derivatadella funzione logaritmo, senza nemmeno scriverne il rapporto incre-mentale.5 Seguendo questo schema, si calcolano le derivate delle fun-zioni inverse di seno, coseno, tangente. Lo studente potra ricavare lerispettive formule per esercizio, e trovera i dettagli nei testi citati inbibliografia.

6.3 i teoremi fondamentali del calcolodifferenziale

Finora, l’introduzione della derivata non sembra questa gran rivoluzione.Si tratta di calcolare qualche limite di rapporti incrementali, usando divolta in volta un’accorgimento particolare. Invece sono svariate le ap-plicazioni delle derivate all’analisi delle funzioni, e in questo paragrafoce ne occuperemo dettagliatamente.

Per prima cosa, puo essere utile definire le derivate sinistra e destrain un punto.

5 Ovviamente, il rapporto incrementale e stato scritto nella dimostrazione del teorema diderivazione della funzione inversa. In matematica, nessuno fa sconti.

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Definizione 6.11. Sia f : (a,b) → R una funzione continua, e sia x0 ∈(a,b). Diciamo che f possiede derivata sinistra in x0 se esiste finito il limite

limh→0−

f(x0 + h) − f(x0)

h.

Analogamente, f possiede derivata destra in x0 se esiste finito il limite

limh→0+

f(x0 + h) − f(x0)

h.

Proposizione 6.12. Una funzione f : (a,b) → R e derivabile nel puntox0 ∈ (a,b) se e solo se f ha derivata destra e derivata sinistra in x0, e questesono uguali fra loro.

Proof. E una conseguenza immediata della Proposizione 5.12.

Una prima applicazione di questo fatto e alle funzioni definite per“incollamento”.

Teorema 6.13. Siano p : (a,b) → R e q : (a,b) → R due funzioni con-tinue e derivabili. Sia x0 ∈ (a,b) un punto fissato. Definiamo la funzionef : (a,b)→ R come

f(x) =

{p(x), x ∈ (a, x0)q(x), x ∈ [x0,b).

Allora

1. f e continua in x0 se e solo se p(x0) = q(x0);

2. f e derivabile in x0 se e solo se p(x0) = q(x0) e Dp(x0) = Dq(x0).

La dimostrazione e evidente: basta separare l’analisi del comporta-mento a destra e a sinistra del punto x0. Sottolineiamo che la sola con-dizione Dp(x0) = Dq(x0) non e sufficiente a garantire la derivabilitadi f. Infatti le due funzioni p(x) = x e q(x) = x+ 1 hanno la stessaderivata in x0 = 0, ma la funzione f costruita incollandole nell’origineha un salto.

Esempio 6.14. Applichiamo questa “ricetta” alla funzione f(x) = |x|. Ineffetti, in base alla definizione del valore assoluto, possiamo scrivere

f(x) =

{x, (x > 0)

−x, (x < 0)

e da cio deduciamo che f non e derivabile in x0 = 0. Infatti l’incollamentoe continuo in questo punto, ma la derivata di x differisce da quella di−x. In ogni altro punto x 6= 0, la derivata vale

f(x) =

{1, (x > 0)

−1, (x < 0).

A volte si introduce la funzione segno sign : R \ {0} → R definita dasign x = x

|x|. Per esercizio, lo studente verifichi che f ′(x) = sign x per

ogni x 6= 0.

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Il prossimo teorema, dovuto al matematico francese Fermat,6 e difondamentale importanza nella ricerca di massimi e minimi di unadata funzione.

Teorema 6.15 (Fermat). Sia f : (a,b)→ R una funzione, e sia x0 ∈ (a,b)un punto di massimo (o di minimo) relativo. Se f e derivabile in x0, alloraDf(x0) = 0.

Proof. Supponiamo che x0 sia un minimo relativo. Dunque, esiste unintorno [x0 − δ, x0 + δ] di x0 tale che f(x0) 6 f(x) per ogni x di taleintorno. Sia h ∈ (−δ, δ), e costruiamo il rapporto incrementale di f inx0:

f(x0 + h) − f(x0)

h.

Poiche x0 + h ∈ [x0 − δ, x0 + δ], il numeratore e sempre maggiore ouguale a zero. Ne deduciamo che

Df(x0) = limh→0−

f(x0 + h) − f(x0)

h6 0,

mentre

Df(x0) = limh→0+

f(x0 + h) − f(x0)

h> 0.

Se un numero e simultaneamente 6 0 e > 0, allora tale numero e 0. Ilteorema e cosı dimostrato per i minimi relativi. Per i massimi relativi,si applicano le stesse considerazioni, e l’unica differenza e l’inversionedelle ultime due disuguaglianze.

Osservazione 6.16. E interessante notare che esiste una versione “ap-prossimata” del teorema di Fermat: il principio variazionale di Eke-land. In breve, questo principio afferma che se una funzione possiedeun punto di quasi massimo o minimo, allora la derivata in tale puntoe quasi zero. A dispetto dell’apparente banalita dell’enunciato, ser-vono strumenti molto raffinati per dimostrarlo. Lo studente scetticoe dunque avvisato: perfino la matematica piu classica fornisce spuntiper la ricerca avanzata.

Concretamente, il procedimento per individuare i punti di massimoe minimo relativi di una funzione assegnata e: isolo i punti dove f none derivabile, e isolo gli (eventuali) estremi del dominio di definizione.Infine cerco gli zeri della derivata. Attenzione, il teorema di Fermate falso se x0 cade in uno degli estremi di (a,b). Come esempio, siaf : x ∈ [0, 1] 7→ x. Il minimo assoluto e in x = 0, il massimo assolutoin x = 1. Pero f ′(x) 6= 0 per ogni x ∈ [0, 1]. Piu precisamente, quandoi punti estremanti cadono su bordo dell’intervallo di definizione, sonovere solo delle disuguaglianze.

Proposizione 6.17. Sia f : [a,b] → R una funzione derivabile in [a,b].Valgono le seguenti implicazioni:

6 Si pronuncia ferma.

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(a) se a e un punto di minimo (relativo), alllora Df(a) > 0;

(b) se a e un punto di massimo (relativo), allora Df(a) 6 0;

(c) se b e un punto di minimo (relativo), alllora Df(b) 6 0;

(d) se b e un punto di massimo (relativo), allora Df(b) > 0.

Proof. Le dimostrazioni sono contenute in quella del teorema di Fer-mat: in ciascuno dei quattro casi, bisogna conseiderare solo i limitidirezionali del rapporto incrementale, nell’unica direzione di volta involta ammissibile. Ad esempio, nel caso (a) possiamo fare solo il limiteper h→ 0+ del rapporto incrementale. Invitiamo lo studente a fare undisegno qualitativo di tutte le situazioni considerate.

La Proposizione appena enunciata e utile in certe situazioni, ma eindubbio che i punti dove la derivata si annulla meritano qualche con-siderazione particolare. Cominciamo a dar loro un nome.

Definizione 6.18. I punti critici di una funzione derivabile f sono i punti xtali che Df(x) = 0.

Questa definizione non e superflua: non tutti gli zeri della derivatasono massimi oppure minimi. Se poniamo f(x) = x3 per ogni x ∈ R,troviamo facilmente l’unico zero della derivata prima, x = 0. Ora, sex > 0 allora x3 = f(x) > 0, mentre se x < 0 e x3 = f(x) < 0. Quindi,l’origine non e un minimo ne un massimo per f, visto che in ogni in-torno dell’origine cadono punto in cui f vale meno di 0 e punti in cui fvale piu di 0. L’origine e dunque un punto critico di f che non sa ppi-amo ancora descrivere bene.7 Infine, la funzione x 7→ |x| e un classicoesempio di funzione con un punto di minimo assoluto (quale?) dove laderivata non esiste. Il prossimo teorema da una condizione sufficienteaffinche una funzione derivabile abbia almeno un punto critico. Inviti-amo lo studente a convincersi con esempi che la condizione posta none necessaria per l’esistenza di punti critici.8

Teorema 6.19 (Rolle). Sia f : [a,b]→ R una funzione continua e derivabilein (a,b). Se f(a) = f(b), allora esiste ξ ∈ (a,b) tale che 9 Df(ξ) = 0.

Proof. Per il teorema di Weierstraß la funzione f ha massimo e minimo(assoluti) in [a,b]. Siano xM un punto di massimo e xm un punto diminimo. Esistono solo due casi:

1. sia xm che xM cadono agli estremi dell’intervallo [a,b]. Poiche fassume (per ipotesi) lo stesso valore in questi due punti, il mas-simo assoluto di f coincide con il minimo assoluto, e pertanto lafunzione e costante. La sua derivata e dunque sempre uguale azero, e non c’e altro da dimostrare.

7 Qualche studente ricordera che 0 e un punto di flesso per f, ma ci arriveremo fra unpo’.

8 Quello che vogliamo dire e: esistono funzioni dotate di punti critici, ma che non soddis-fano l’ipotesi fondamentale del teorema di Rolle.

9 La lettera greca ξ si legge piu o meno “csi”.

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2. Uno almeno dei due punti xm e xM cade all’interno dell’intervallo[a,b]. Per il teorema di Fermat, in questo punto la derivata di fsi annulla, e la dimostrazione e completa anche in questo caso.

In ogni caso, abbiamo verificato che la derivata di f si annulla in al-meno un punto di (a,b).

Osservazione. Il precedente teorema inaugura la serie10 di enunciatiin cui si tratta di funzioni continue su un intervallo chiuso [a,b] e deriv-abili nell’intervallo aperto (a,b). Non si tratta di un’inutile compli-cazione introdotta da qualche docente particolarmente cattivo, bensıdi un’effettiva necessita. L’esistenza delle derivate nei punti a e bnon e necessaria. Anzi, la dimostrazione del teorema di De l’Hospitalrichiede l’uso di questi teoremi esattamente come li abbiamo enunciati.

Il Teorema di Fermat ci dice che i punti di massimo e di minimosi nascondono fra i punti critici. Ma esiste un modo per stabilire seun punto critico e un massimo, un minimo, o nessuno dei due? Neesiste piu di uno, e il modo piu facile per capirlo e studiare la mono-tonia della funzione. Se essa cresce a sinistra del punto critico, e de-cresce dopo averlo superato, siamo inequivocabilmente in presenza diun massimo relativo. Simmilmente per i minimi relativi. Ma come sistudia la monotonia di una funzione? Se la funzione e derivabile, imetodi del calcolo differenziale ci sono utili. La chiave e un teoremaceleberrimo. La figura successiva ne fornisce l’interpretazione geomet-rica.

Teorema 6.20 (del valor medio, o di Lagrange). Sia f : [a,b] → R unafunzione continua e derivabile in (a,b). Allora esiste ξ ∈ (a,b) tale che

Df(ξ) =f(b) − f(a)

b− a.

Proof. La tecnica dimostrativa consiste nell’applicare il teorema di Rollea una funzione ausiliaria che ne verifica le ipotesi. A tale scopo, defini-amo g : [a,b]→ R mediante la formula

g(x) = f(x) − f(a) −f(b) − f(a)

b− a(x− a).

In pratica, facciamo la differenza fra f e la retta che unisce gli estremi(a, f(a)) con (b, f(b)). E chiaro che g e continua in [a,b], derivabile in(a,b), e g(a) = g(b) = 0 Dunque g soddisfa le ipotesi del teorema diRolle, sicche esiste ξ ∈ [a,b] dove Dg(ξ) = 0. Le regole di derivazioneaffermano che Dg(x) = Df(x) −

f(b)−f(a)b−a , e la condizione Dg(ξ) = 0

si legge

Df(ξ) =f(b) − f(a)

b− a.

Questo completa la dimostrazione del teorema.

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Page 128: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Figure 3: Interpretazione geometrica del teorema di Lagrange

Corollario 6.21. Sia f : [a,b] → R una funzione continua e derivabile in(a,b). Se Df(x) = 0 per ogni x ∈ (a,b), allora f e una funzione costante,cioe esiste c ∈ R tale che f(x) = c per ogni x ∈ [a,b].

Proof. Prendiamo due punti qualsiasi α e β in [a,b]. Possiamo sup-porre, scambiandoli fra di loro, che α 6 β. Vogliamo dimostrare chef(α) = f(β). Se α = β, non c’e nulla da dimostrare; quindi supponi-amo liberamente che α < β. Applichiamo il teorema del valor medioalla funzione f ristretta all’intervallo [α,β]. Esistera un punto ξ ∈ [α,β]tale che

f(β) − f(α)

β−α= Df(ξ).

Ma il seondo membro di questa uguaglianza vale zero per ipotesi, equindi f(β) − f(α) = 0. Poiche α e β sono del tutto arbitrari, la fun-zione f assume lo stesso valore in tutti i punti dell’intervallo [a,b].Quindi e una funzione costante.

Osservazione 6.22. Applicando alla funzione f(x) = log x il teoremadel valor medio, si dimostra la relazione di Nepero

1

b<

logb− logab− a

<1

a,

valida per ogni 0 < a < b. Lasciamo i dettagli (semplicissimi) allostudente.

E frequente trovare il teorema di Lagrange come caso particolare diun altro teorema molto famoso, dovuto al matematico francese Louis

10 Per fortuna, non si tratta di una serie nel senso matematico del termine!

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Page 129: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Augustin Cauchy. Lo enunciamo e diamo solo uno spunto per comple-tarne la dimostrazione.

Teorema 6.23 (Cauchy). Siano f e g due funzioni continue su [a,b] e deriv-abili in (a,b). Suppponiamo inoltre che Dg(x) 6= 0 per ogni x ∈ (a,b).Allora esiste ξ ∈ [a,b] tale che

f(b) − f(a)

g(b) − g(a)=Df(ξ)

Dg(ξ)

Proof. La dimostrazione piu classica consiste nel trovare un numeroreale k tale che il teorema di Rolle sia applicabile alla funzione ausil-iaria h(x) = f(x) − kg(x). Osserviamo che l’ipotesi Dg(x) 6= 0 perogni x ∈ (a,b) implica in particolare g(b) − g(a) 6= 0: altrimenti ilteorema di Rolle implicherebbe l’esistenza di uno zero di Dg. Pro-poniamo invece per esteso una dimostrazione differente, che apparein [27, Theorem 3.2.4]. Per ipotesi, la derivata di g mantiene semprelo stesso segno in (a,b). Quindi g e una funzione strettamente mono-tona (crescente o decrescente, ma poco importa). Denotiamo con g−1

la funzione inversa di g, in modo che g−1(g(x)) = x per ogni x ∈ [a,b].Definiamo la funzione ausiliaria F(x) = f(g−1(x)) per ogni x ∈ [a,b].Allora F(g(x)) = f(g−1(g(x))) = f(x) per ogni x ∈ [a,b], F e continuain [g(a),g(b)] e derivabile in (g(a),g(b)). Se applichiamo il teorema diLagrange, la regola di derivazione delle funzioni composte e quella diderivazione della funzione inversa, possiamo affermare che esiste unpunto d ∈ (g(a),g(b)) tale che

f(b) − f(a)

b− a=F(g(b)) − F(g(a))

g(b) − g(a)= DF(d)

= Df(g−1(d))Dg−1(d) =Df(g−1(d))

Dg(g−1(d)).

Il teorema e cosı dimostrato per ξ = g−1(d).

Il teorema di Lagrange appare dunque come un caso particolare (perg : x 7→ x) del teorema precedente. Il fatto che le applicazioni del teo-rema di Lagrange siano molte piu di quelle del teorema di Cauchy,ci ha indotti ad attribuirgli un’evidenza maggiore. Tuttavia, il soloteorema di Lagrange non e sufficiente a dimostrare un’altra pietra mil-iare del cacolo differenziale: il teorema di De l’Hospital. Vedremol’enunciato e la dimostrazione fra poco.

Il prossimo risultato mostra che la derivata di una funzione (deriv-abile) non puo avere salti.

Teorema 6.24 (Darboux). Sia f : (a,b) → R una funzione derivabile. SeDf(a) < λ < Df(b), allora esiste ξ ∈ (a,b) tale che Df(ξ) = λ.

Proof. Definiamo una funzione ausiliaria g : x ∈ (a,b) 7→ f(x) − λx. Perogni x ∈ (a,b), e Dg(x) = Df(x) − λ. Inoltre Dg(a) < 0, Dg(b) > 0.Quindi g e decrescente in un intorno di a e crescente in un intorno dib. In particolare, esiste un punto di minimo ξ ∈ (a,b) per g. Per ilteorema di Fermat, Dg(ξ) = 0, cioe Df(ξ) = λ.

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Page 130: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

6.4 punti singolariSappiamo che una funzione derivabile in un punto deve essere ivicontinua. Rovesciando logicamente questa affermazione, nessuna fun-zione e derivabile in un punto di discontinuita. Quindi la discontinuitae la causa piu “rozza” di perdita di derivabilita. D’altronde, abbiamogia imparato che la funzione x 7→ |x| e continua ovunque ma non ederivabile in 0.

Definizione 6.25. I punti singolari di una funzione sono quelli in cui lafunzione e continua ma non derivabile.

Elenchiamo alcuni tipi di punti singolari.

1. I punti angolosi. Sono quelli in cui la derivata destra e la derivatasinistra esistono, ma non coincidono. La funzione del valore as-soluto ne e un esempio.

2. I flessi a tangente verticale. Sono quelli in cui il limite del rapportoincrementale esiste ma e infinito.11

3. Le cuspidi. Sono quelli in cui almeno una fra la derivata destra ela derivata sinistra e infinita.12 Il punto 0 e una cuspide per lafunzione x 7→

√|x|.

4. L’ultima situazione si presenta quando il limite del rapporto in-crementale non esiste, ne finito ne infinito. E in generale una situ-azione spiacevole, che molti studenti faticano perfino a concepire.Un esempio e il punto x0 = 0 per la funzione cosı definita:

f(x) =

{x sin 1x (x 6= 0)0 (x = 0).

In x0 = 0 risulta

limh→0

f(x0 + h) − f(x0)

h= limh→0

sin1

h,

e questo limite non esiste. Infatti, la quantita sin(1/h) oscillainfinite volte fra i due valori −1 e +1: matematicamente,

lim infh→0

f(x0 + h) − f(x0)

h= −1

e

lim suph→0

f(x0 + h) − f(x0)

h= +1.

11 Usiamo un linguaggio in parziale contraddizione con le nostre convenzioni. Intendiamosolo affermare che x0 e un flesso a tangente verticale quando limh→0

f(x0+h)−f(x0)h =

+∞ oppure −∞.12 Il linguaggio e comprensibile ma impreciso. Una derivata non puo essere infinita, in

base alle nostre definizioni. Qui intendiamo piuttosto dire che una delle due derivatedestra o sinistra non esiste proprio perche il corrispondente limite del rapporto incre-mentale e infinito.

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Page 131: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

6.5 applicazioni allo studio delle fun-zioni

Teorema 6.26. Sia f : (a,b)→ R una funzione derivabile.

1. Se f e monotona crescente (risp. decrescente) allora Df(x) > 0 (risp.Df(x) 6 0) per ogni x ∈ (a,b).

2. Se Df(x) > 0 (risp. Df(x) 6 0) per ogni x ∈ (a,b), allora f emonotona crescente (risp. decrescente).

3. Se Df(x) > 0 (risp. Df(x) < 0) per ogni x ∈ (a,b), allora f estrettamente crescente (risp. strettamente decrescente).

Proof. La prima affermazione discende dal teorema della permanenzadel segno applicato al rapporto incrementale. Le altre affermazionisono conseguenza del teorema di Lagrange. Fissati arbitrariamentex1 < x2 in (a,b), esiste un punto ξ ∈ (x1, x2) tale che f(x2) − f(x1) =Df(ξ)(x2 − x1). Quindi il segno di f(x2) − f(x1) e individuato dalsegno di Df(ξ).

Iil teorema precedente fornisce una regola per decifrare la monotoniadi una funzione derivabile. Salvo qualche cautela sulla monotoniastretta, occorre identificare gli intervalli dove la derivata e positiva: intali intervalli, la funzione cresce. La funzione invece decresce negliintervalli dove la derivata e negativa.

Una seconda applicazione del teorema di Lagrange riguarda la deriv-abilita stessa. Supponiamo che una certa funzione sia continua in (a,b)e derivabile in tutti i punti dell’intervallo eccettuato al piu un puntox0. Come si fa a decidere se la funzione e derivabile anche in x0? Sipuo pensare di ricorrere alla definizione, scrivendo il rapporto incre-mentale centrato in x0 e facendo tendere a zero l’incremento. Oppuresi puo usare il seguente criterio.

Proposizione 6.27. Sia f : (a,b) → R una funzione continua. Sia x0 ∈(a,b) un punto, e supponiamo che f sia derivabile in (a, x0) ∪ (x0,b). Seesiste finito λ = limx→x0 Df(x0), allora f e derivabile in x0 e Df(x0) = λ.

Proof. Sia x ∈ (a,b), x 6= x0. Per il teorema di Lagrange, esiste ξ = ξ(x)

tale che f(x) − f(x0) = Df(ξ)(x− x0). Ovviamente, siccome ξ ∈ (x0, x),si avra ξ → x0 per x → x0. L’ipotesi della Proposizione garantisceallora che

limx→x0

f(x) − f(x0)

x− x0= limx→x0

Df(ξ) = λ.

Percio f e derivabile in x0, e Df(x0) = λ.

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Page 132: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Occorre pero fare attenzione, perche il criterio della Proposizioneprecedente e sufficiente ma non necessario per l’esistenza della derivatain x0.13 Consideriamo infatti la funzione

f(x) =

{x2 sin(1/x) x 6= 00 x = 0.

Poiche

0 6 |f(x)| = x2∣∣∣∣sin

1

x

∣∣∣∣ 6 x2 → 0

per x→ 0, f e continua un x = 0. Inoltre

limx→0

f(x) − f(0)

x− 0= limx→0

x sin1

x= 0.

Dunque Df(0) = 0. Se x 6= 0, la derivata vale

Df(x) = 2x sin1

x− cos

1

x,

che non ha limite per x→ 0. La Proposizione non e percio applicabile,mentre la derivata di f in 0 esiste.14

Osservazione 6.28. Se riflettiamo un istante sull’enunciato della Propo-sizione, ci accorgiamo che la sua tesi va oltre la mera esistenza delladerivata in x0. In realta, le ipotesi ci permettono di concludere chela funzione derivata f ′ e continua in x0: limx→x0 f

′(x) = λ = f ′(x0).Nei controesempi appena discussi, e chiaro che la derivata risultavasempre discontinua in x0.

6.6 derivate successive e convessitaSe una funzione f : (a,b) → R e derivabile in (a,b), la funzione x ∈(a,b) 7→ Df(x) definisce una funzione reale di una variabile reale, chechiamiamo naturalmente funzione derivata di f.

Definizione 6.29. Diremo che la funzione f e derivabile due volte nel puntox0 ∈ (a,b) se la funzione derivata di f e derivabile a sua volta in x0. Laderivata seconda di f in x0 e denotata con uno dei simboli

D2f(x0), f ′′(x0),d2f

dx2(x0), f(x0).

Evidentemente, e possibile iterare il ragionamento precedente, e par-lare cosı di derivata terza, quarta, ecc. In generale, per indicare laderivata n–esima si usano i simboli

Dnf(x0), f(n)(x0),dnf

dxn(x0).

13 In parole povere, se il criterio si applica allora la funzione e derivabile; se il criteriofallisce, non siamo autorizzati a trarre alcuna conclusione. Invito lo studente a faremolta attenzione.

14 L’accanimento con cui presentiamo controesempi non deve indurre lo studente a pensareche tutti i teoremi siano “deboli”. Piuttosto, vogliamo evidenziare l’ottimalita delleipotesi.

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Page 133: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Figure 4: Una tipica funzione convessa

Impareremo presto ad usare uno strumento, il polinomio di Taylor, incui le derivate successive rivestono un ruolo di fondamentale impor-tanza. Nel resto di questo paragrafo, ci concentreremo sulla derivataseconda, l’ultima ad avere qualche interpretazione geometrica degnodi nota. Prima pero dobbiamo introdurre una definizione.

Definizione 6.30. Sia f : (a,b)→ R una funzione. Si dice che f e convessain (a,b) se, per ogni x1, x2 ∈ (a,b) e per ogni λ ∈ [0, 1], risulta

f ((1− λ)x1 + λx2) 6 (1− λ)f(x1) + λf(x2). (6.3)

Si dice invece che f e concava in (a,b) se la funzione −f, che agisce comex 7→ −f(x), e convessa. Infine, una funzione e strettamente convessa sela relazione (6.3) e soddisfatta con il segno di disuguaglianza stretta <, estrettamente concava se −f e strettamente convessa.

Posto x = (1 − λ)x1 + λx2, la disuguaglianza di convessita si puoriscrivere come

f(x) 6 f(x1) +f(x2) − f(x1)

x2 − x1(x− x1), x ∈ [x1, x2].

Essa quindi equivale all’affermazione geometrica: per ogni x1, x2 conx1 < x2, il grafico di f in [x1, x2] sta al di sotto della corda per i punti(x1, f(x1)), (x2, f(x2)).

Immaginiamo che lo studente sia stato introdotto, seppure breve-mente, alla convessita durante le scuole superiori. Quasi certamentegli sara stato insegnato un linguaggio un po’ diverso: invece di fun-zione convessa, funzione che volge la concavita verso l’alto. Pur senten-doci in grado di affermare che “convessita” e l’unica denominazionein voga nella matematica contemporanea, poco importano i nomi e gliaggettivi.

Osservazione. Come visto, per noi la definizione di funzione convessae di natura globale, e non daremo un significato a frasi quali “la fun-zione e convessa in un punto”.

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Page 134: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Figure 5: Una tipica funzione concava

Teorema 6.31. Ogni funzione convessa f in un intervallo aperto (a,b) econtinua in (a,b).

Proof. Supponiamo che a < s < x < y < t < b. Scriviamo S perdenotare il punto di coordinate cartesiane (s, f(s)), e similmente perx, y e t. Allora X e sulla retta SY o al di sotto di essa, e pertanto Y eal di sopra della retta SX. Similmente Y e sotto la retta XT . Quandoy → x deduciamo che Y → X, cioe f(y) → f(x). Questo dimostrache limy→x+ f(y) = f(x). Con un ragionamento del tutto analogo, sidimostra che lims→x− f(s) = f(x), e dunque f e continua nel genericopunto x ∈ (a,b).

Osservazione 6.32. La dimostrazione appena fatta dipende in modoessenziale dalla possibilita di avvicinarsi ad x tanto da destra quantoda sinistra. Questo e possibile perche x appartiene all’intervallo aperto(a,b). Al contrario, una funzione convessa e definita in un intervallochiuso puo essere discontinua. Ad esempio, definiamo f(x) = 0 perogni x ∈ [0, 1), e f(1) = 1. Lo studente verifichera facilmente che f econvessa, ma ovviamente il punto x = 1 e una discontinuita di salto.Il Teorema 6.31 afferma che e impossibile prolungare questa funzione adestra di 1, rispettando la convessita.

Osservazione 6.33. Sarebbe sbagliato credere che le funzioni convesse(definite su un intervallo aperto) siano anche derivabili. Pensiamo in-fatti al solito valore assoluto x 7→ |x|, che e evidentemente una funzioneconvessa ma non derivabile in x = 0. In realta, si potrebbe dimostrareche tutte le funzioni convesse in un intervallo aperto possiedono derivatedestra e sinistra finite. Ma chiaramente potrebbero essere diverse fraloro.

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Un altro punto sul quale condividiamo le perplessita dello studentee l’applicabilita della disuguaglianza di convessita. Se, per esempio,non e difficile dimostrare con tale definizione che la funzione x 7→ x2

e convessa in tutto R, per funzioni piu complicate risulta impossibilegestire elementarmente le disuguaglianze. Occorrono dunque dei cri-teri, cioe delle condizioni atte ad assicurare la convessita di una datafunzione mediante test maneggevoli.

Teorema 6.34. Sia f : [a,b]→ R una funzione. Sono fatti equivalenti

(i) f e convessa in [a,b].

(ii) Per ogni x1, x2 ∈ [a,b] con x1 < x2 il grafico di f in [a,b] \ [x1, x2]e sopra la corda per (x1, f(x1)) e (x2, f(x2)):

f(x) > f(x1) +f(x2) − f(x1)

x2 − x1(x− x1), ∀x /∈ [x1, x2]

(iii) Per ogni x, y, z ∈ [a,b] con x < y < z si ha

f(y) − f(x)

y− x6f(z) − f(x)

z− x6f(z) − f(y)

z− y. (6.4)

(iv) Per ogni x0 ∈ [a,b] il coefficiente angolare delle corde

Fx0(x) =f(x) − f(x0)

x− x0

e una funzione crescente in [a,b].

Proof. Indichiamo per brevita con ruv(x) la retta per (u, f(u)) e v, f(v)).Mostriamo che (i) e equivalente a (ii). Se (ii) non fosse vera, esisterebbex3 /∈ [x1, x2] per cui

f(x3) < rx1x2(x3).

Supponendo che x3 < x1 < x2 si avrebbe allora che

f(x1) > rx3x2(x1),

che contraddice (i). In modo simile si dimostra l’implicazione opposta.Dimostriamo che (i), (iii) e (iv) sono equivalenti. Dalla disuguaglianzadi convessita

f(y) 6f(z) − f(x)

z− x(y− x)

si ricava la prima disuguaglianza di (iii) dividendo per y− x. D’altraparte dalla (ii)

f(x) >f(y) − f(z)

y− z(x− z)

da cui si ricava immediatamente la seconda disuguaglianza di (iii). La(iv) e una riscrittura della (iii). Infine se x1 < x < x2, dalla primadisuguaglianza di (iii) si ricava

f(x) − f(x1)

x− x16f(x2) − f(x2)

x2 − x1

vale a dire la disuguaglianza di convessita.

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Page 136: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Teorema 6.35. Sia f : [a,b] → R una funzione derivabile. Sono fatti equiv-alenti

(i) f e convessa.

(ii) La derivata Df e una funzione crescente in [a,b].

(iii) Il grafico di f e sopra tutte le sue tangenti, cioe per ogni x, x0 ∈ [a,b]

f(x) > f(x0) +Df(x0)(x− x0).

Se poi f e derivabile due volte, f e convessa in [a,b] se e solo se D2f(x) > 0

per ogni x ∈ (a,b).

Proof. (i) implica (ii). Infatti siano x < y < z in [a,b]. Passando allimite nella (6.4) per y→ x+ e y→ z− si trova

Df(x) 6f(z) − f(x)

z− x6 Df(z). (6.5)

Questo prova che Df e crescente.(ii) implica (iii). Siano x, x0 ∈ [a,b]. Se x < x0 la (6.5) con z = x0 da

f(x0) − f(x)

x0 − x6 Df(x0),

cioe f(x) > f(x0) +Df(x0)(x− x0). Se invece x > x0 la (6.5), questavolta con z = x e x = x0 da

Df(x0) 6f(x) − f(x0)

x− x0.

(iii) implica (i). Se x1 < x < x2 allora dalla (iii)

f(x0) > Df(x)(x1 − x) + f(x)

e

f(x2) > Df(x)(x2 − x) + f(x).

Moltiplicando la prima disuguaglianza per λ = (x2 − x)/(x2 − x1) e laseconda per 1− λ = (x− x1)/(x2 − x1) si trova

f(λx1 + (1− λ)x2)) 6 λf(x1) + (1− λ)f(x2),

cioe f e convessa.

Corollario 6.36. Sia f : [a,b] → R una funzione convessa e derivabile in(a,b). Se x0 ∈ (a,b) e Df(x0) = 0, allora x0 e un punto di minimoassoluto.

Proof. Il punto (iii) del teorema precedente afferma che il grafico di fe tutto al di sopra della retta tangente in (x0, f(x0)); l’equazione carte-siana di tale retta e y = f(x0), poiche x0 e un punto critico. Ma alloraf(x) > f(x0) per ogni x ∈ [a,b].

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Osservazione 6.37. Occorre leggere attentamente il corollario prece-dente. Esso non garantisce l’esistenza di punti critici per le funzioniconvesse. Ad esempio, possiamo pensare alla funzione esponenzialex 7→ ex, ristretta all’intervallo [0, 1]. Il minimo assoluto e raggiunto inx = 0, dove pero la derivata non e nulla. Il corollario afferma soltantoche tutti i punti critici di una funzione convessa (e derivabile) devonoessere punti di minimo assoluto. E lecito concludere che una funzioneconvessa puo possere al piu un punto critico? La risposta e negativa,ma dobbiamo immaginare una funzione convessa vagamente beffarda,almeno per un principiante. Una funzione costante (in un intervallo)possiede infiniti punti di minimo assoluto, ed e convessa in tale inter-vallo. E invece geometricamente intuitivo che una funzione derivabilestrettamente convessa debba possedere al piu un unico punto critico: in-fatti, se ci fossero due punti di minimo assoluto distinti, il grafico dellafunzione dovrebbe essere, fra tali minimi, strettamente al di sotto dellaretta orizzontale che li congiunge. Quindi il valore della funzione neipunti di minimo non sarebbe il piu piccolo valore assunto dalla fun-zione.

Definizione 6.38. Sia f : (a,b)→ R una funzione. Diremo che x0 ∈ (a,b)e un punto di flesso per f se f e convessa in (a, x0) e concava in (x0,b), oviceversa.

In altre parole, in un punto di flesso la retta tangente al grafico di f,se esiste, attraversa tale grafico. Vogliamo invece sfatare un mito assaidiffuso. Non tutti gli zeri della derivata seconda sono punti di flesso.Sia f : x 7→ x4. Si ha D2f(0) = 0, ma 0 e evidentemente un punto diminimo assoluto per f. Vale per o il seguente teorema.

Teorema 6.39. Una funzione f derivabile due volte e dotata di un punto diflesso in x0, deve verificare D2f(x0) = 0.

Proof. Infatti, f deve essere convessa a sinistra di x0 e concava a destradi x0 (o viceversa). Pertanto la derivata prima di f cambia il sensodi monotonia attraversando il punto x0. Questo implica che x0 e unpunto di massimo (o di minimo) per Df. Il teorema di Fermat garan-tisce allora che D(Df)(x0) = D

2f(x0) = 0.

Osservazione 6.40. Non e facile trovare in letteratura una definizionedefinitiva di punto di flesso. Il motivo e che si tratta di un’idea tipicaper le funzioni di una variabile. Volendo generalizzare la convessita afunzioni di un numero maggiore di variabili, ci si imbatte nel problemaseguente: mentre un punto spezza l’asse reale R in due parti, un puntonello spazio (per esempio tridimensionale, cioe quello in cui viviamo)non suddivide lo spazio stesso in parti disgiunte. Non sembra dunqueragionevole parlare di punti di flesso per funzioni di due, tre o piuvariabili.

Concludiamo questa sezione con qualche altra proprieta delle fun-zioni convesse.

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Page 138: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Lemma 6.41 (Disuguaglianza di Jensen, caso discreto). Supponiamo chef sia una funzione convessa definita in un intervallo I. Allora

f(α1x1 + . . .+αnxn) 6 α1f(x1) + . . .+αnf(xn)

per ogni n ∈N, x1, . . . , xn ∈ I, α1, . . . ,αn > 0 con α1 + . . . αn = 1.

Corollario 6.42. Supponiamo che f sia una funzione convessa definita in unintervallo I. Allora

f

(α1x1 + . . .+αnxn

α1 + . . . αn

)6α1f(x1) + . . .+αnf(xn)

α1 + . . . αn,

per ogni x1, . . . , xn ∈ I, α1, . . . ,αn > 0.

Corollario 6.43. Fissiamo arbitrariamente n ∈ N, ed n punti xi > 0, peri = 1, . . . ,n. Siano poi αi > 0, per i = 1, . . . n, n numeri reali non negativitali che α1 + . . .+αn = 1. Allora

xα11 x

α22 · · · x

αnn 6 α1x1 + . . .+αnxn.

Osservazione 6.44. Se scegliamo α1 = α2 = . . . = αn = 1/n nel prece-dente corollario, otteniamo la nota relazione fra la media algebrica emedia aritmetica di n numeri reali positivi:

n√x1x2 · · · xn 6

x1 + . . .+ xnn

.

Definizione 6.45. Sia I un intervallo della retta reale, e sia f : I → R unafunzione. Diremo che f e Jensen–convessa se

f

(x+ y

2

)6f(x) + f(y)

2

per ogni x, y ∈ I.

Ovviamente, tutte le funzioni convesse son oanche Jensen–convesse.Il viceversa e in generale falso, ma diventa vero limitatamente allefunzioni continue.

Proposizione 6.46. Ogni funzione Jensen–convessa e continua in un inter-vallo I e convessa in I.

Proof. Si veda, ad esempio, [34, Proposition 6.3].

Osservazione 6.47. Lo studio delle funzioni convesse e degli insiemiconvessi costituisce uno dei campi di ricerca piu interessanti e fecondidella moderna analisi matematica. Sono fortissimi i legami con la teo-ria dell’ottimizzazione e con il Calcolo delle Variazioni. Non possi-amo in questa sede accennare alla natura tecnica di queste connes-sioni fra diverse discipline matematiche, che spaziano dalla Topologiaall’Analisi Funzionale lineare e non lineare.

137

Page 139: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

6.7 classi di regolaritaPer abbreviare alcuni enunciati, conviene introdurre una terminologiaprogressiva per la regolarita di una funzione. Vorremmo assegnarealla continuita il grado di regolarita piu basso, per poi passare alladerivabilita una, due, tre, o piu volte.

Definizione 6.48. Sia f : (a,b)→ R una funzione. Diremo che f e di classeCk(a,b), e scriveremo f ∈ Ck(a,b), se f possiede k derivate in ogni puntodi (a,b), e se queste derivate sono tutte funzioni continue in (a,b). Perestensione, diremo che f e di classe C∞(a,b), se f possiede derivate di ordinearbitrariamente alto in (a,b).

Convenzionalmente, una funzione di classe C0(a,b) e semplicementeuna funzione continua in (a,b). Una funzione di classe C1(a,b) euna funzione che possiede una derivata continua in (a,b). Invitiamolo studente a prestare attenzione alla richiesta di continuita per tuttele derivate coinvolte. Potrebbe infatti accadere che una funzione siaderivabile, ma che la derivata abbia una discontinuita: in questo casonon possiamo attribuire la regolarita C1.

Per dare qualche esempio, tutti i polinomi sono di classe C∞(R), cosıcome la funzione esponenziale, il seno e il coseno. Nei fatti, pratica-mente tutte le funzioni elementari sono di classe C∞ nel loro dominiodi definizione.

Esempio 6.49. E chiaro che

C0(a,b) ⊂ C1(a,b) ⊂ . . . Cn(a,b) ⊂ Cn+1(a,b) ⊂ . . .

Tutte queste inclusioni insiemistiche sono proprie. La solita funzionex 7→ |x| dimostra che esiste una funzione continua ma non derivabile.Esiste una funzione C1 ma non C2? La risposta e affermativa, e ilpunto di partenza e sempre il valore assoluto. Definiamo f : x 7→ x|x|.Poiche

limh→0

f(h) − f(0)

h= limh→0

h|h|

h= 0,

la funzione f e derivabile in zero, ed e banalmente derivabile in tuttigli altri punti:

Df(x) =

2x (x > 0)

0 (x = 0)

−2x (x < 0).

Da questa formula vediamo che Df e una funzione continua ma nonderivaile in zero. In particolare, f ∈ C1(R) \C2(R).

6.8 grafici di funzioniAbbiamo ormai tutti gli strumenti per effettuare uno studio qualitativodel grafico di una funzione. Sappiamo che, in buona sostanza, il segno

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Page 140: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

della derivata prima e un indicatore della monotonia, mentre il segnodella derivata seconda descrive la convessita. Per avere un grafico rap-presentativo di una funzione, conviene mettere in risalto gli eventualiasintoti.

Nella sostanza, un asintoto e semplicemente una retta verso la qualeil grafico di una funzione si avvicina indefinitamente. Piuttosto cheaffrontare una difficile definizione unitaria di asintoto, preferiamo pre-sentare tre definizioni. Sebbene la terza possa inglobare la secondacon poco sforzo, e didatticamente consigliabile tenerle separate.

Definizione 6.50. Sia f una funzione reale di variabile reale, definita almenosu un intervallo (a,b). La retta di equazione x = a e un asintoto verticaledestro per f se limx→a+ f(x) = ±∞. Similmente, la retta x = b e unasintoto verticale sinistro se limx→b− f(x) = ±∞.

Nulla impedisce che una retta x = c sia simultaneamente un asin-toto verticale sinistro e destro. Ovviamente, la funzione f deve esseredefinita almeno in un intorno di c, escluso al piu {c}.

Definizione 6.51. Sia f una funzione definita almeno su un intervallo illim-itato (a,+∞). La retta di equazione y = q e un asintoto orizzontale destrose limx→+∞ f(x) = q. Analogamente, se f e definita almeno su un inter-vallo illimitato (−∞,a), la retta y = q e un asintoto orizzontale sinistro selimx→−∞ f(x) = q.

Meno ovvia e la definizione di asintoto obliquo, e soprattutto e menoimmediato capire se una funzione ammetta asintoti obliqui.

Definizione 6.52. Sia f una funzione definita almeno su un intervallo illim-itato (a,+∞). La retta di equazione y = mx + q, m 6= 0, e un asintotoobliquo per x → +∞ se limx→+∞ |f(x) − (mx+ q)| = 0. Analogamente,possiamo definire un asintoto obliquo per x→ −∞.

Osservazione 6.53. E chiaro che il segno di valore assouto nella definizionesopra e completamente superfluo. Infatti, una quantita, sia questa unasuccessione o una funzione, tende a zero se e solo se tende a zero ilsuo valore assoluto.

In primo luogo, osserviamo che una condizione necessaria affincheuna funzione f abbia un asintoto obliquo (diciamo per x→ +∞) e che

limx→+∞ f(x) = ±∞.

Questo e chiaro: se y = mx+ q e un asintoto obliquo, allora

limx→+∞ f(x) = lim

x→+∞ f(x)−mx−q+mx+q = limx→+∞mx+q = ±∞.

Vediamo come calcolare i coefficienti m e q di un asintoto obliquo. Selimx→+∞ |f(x) − (mx+ q)| = 0, a maggior ragione

limx→+∞ x

(f(x)

x−m−

q

x

)= 0.

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Page 141: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Quindi la parentesi deve tendere a zero, e

m = limx→+∞ f(x)x . (6.6)

Ora che abbiamo trovato il coefficiente angolare m, dalla definizionestessa di asintoto obliquo deduciamo

q = limx→+∞ f(x) −mx. (6.7)

Non c’e bisogno di dire che considerazioni del tutto analoghe de-vono essere fatte per gli asintoti obliqui per x → −∞. Evidenziamopoi che abbiamo sempre supposto m 6= 0. Da un lato, il caso m = 0

corrisponde all’asintoto orizzontale. Dall’altro, se la relazione (6.6) for-niscem = 0, non e corretto affermare che esiste un asintoto orizzontale.Ad esempio, la funzione x 7→

√x non ha asintoti per x→ +∞, eppure

m = 0.

Osservazione 6.54. Puo essere utile la seguente osservazione. Sup-poniamo che f(x) = mx+ g(x), dove m 6= 0 e limx→+∞ g(x) = q ∈ R.Allora la retta y = mx+ q e l’asintoto obliquo di f per x → +∞. Perverificarlo, basta osservare che f(x) − (mx+ q) = mx+ g(x) − (mx+

q) = g(x) − q, e dunque limx→+∞ f(x) − (mx+ q) = 0 per l’ipotesi sug.

Da ultimo, una stessa funzione puo presentare due asintoti obliquidistinti, il primo per x → −∞ e il secondo per x → +∞. Dunque leformule (6.6) e (6.7) devono essere applicate sia per x → +∞ che perx→ −∞, senza alcuna possibilita di fare economia sui calcoli.15

Riassumendo, studiare l’andamento di una funzione e un esercizio chepossiamo suddividere in vari passi. In particolare, lo studente potraseguire questo schema.

• Identificare eventuali simmetrie, anche in senso lato, o period-icita della funzione, cosı come le zone in cui la funzione e con-tinua, derivabile, ecc.

• Studiare l’andamento asintotico della funzione vicino ai puntiestremi del dominio di definizione. Questo comprende anche ilcalcolo dei limiti all’infinito, e l’individuazione degli asintoti.

• Identificare il segno della derivata prima, cioe le zone in cui f emonotona, e i punti critici. Determinare la natura degli eventualipunti critici, e, quando possibile, studiare il segno della derivataseconda per definire le regioni di convessita e gli eventuali puntidi flesso.

• Studiare gli eventuali punti singolari.

15 Lo studente non prenda questa affermazione come un’accusa di scarsa volonta. In uncorso non specialistico come il nostro, buona parte degli esercizi consiste nel fare conti.Prafrasando Pasolini, “calcolare stanca”, ma e anche l’unico modo per verificare se lostudente sa usare le idee presentate a lezione.

140

Page 142: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

• Disegnare il grafico cartesiano della funzione, avendo cura didare risalto alle conclusioni ottenute con l’analisi dei punti prece-denti.

6.9 il teorema di de l’hospitalLa collocazione di questo paragrafo puo sembrare bizzarra, dal mo-mento che e consuetudine introdurre il Teorema di De l’Hospital subitodopo il teorema del valor medio. Inoltre, averlo a disposizione primadi affrontare lo studio del grafico di una funzione e di grande aiuto indeterminate circostanze. Abbiamo preferito collocarlo in coda ai teo-remi fondamentali del calcolo differenziale per due ragioni: la primae che questa scelta porta diritti a parlare del polinomio di Taylor. Laseconda e che tanto piu un teorema e utile per gli esercizi, tanto piu lostudente tende ad abusarne. Alcuni fra gli errori piu grossolani neglielaborati d’esame riguardano esattamente questo teorema. Certo, ildocente spesso contribuisce a seminare “trappole” negli esercizi; maanche questo e il suo lavoro.

Proponiamo una dimostrazione apparsa in un articolo di A. E. Tay-lor di alcuni decenni fa (l’articolo originale e [40], mentre un adatta-mento della dimostrazione appare in [37]), che possiede il pregio di di-mostrare con un unico ragionamento tutti i casi coperti dall’enunciato.Non si tratta della dimostrazione piu elementare: il caso della formaindeterminata [0/0] e piu semplice di quello della forma [∞/∞], etradizionalmente i testi elementari propongono due dimostrazioni pi-uttosto differenti.

Teorema 6.55 (De l’Hospital). Sia I un intervallo dell’asse reale (eventual-mente illimitato). Sia c uno degli estremi di I (se I e illimitato, c puo es-sere −∞ o +∞). Supponiamo che f e g siano due funzioni reali, definitesull’intervallo I, e che

(1) le derivate Df e Dg siano definite in I. Inoltre, g(x) 6= 0 e Dg(x) 6= 0

per ogni x ∈ I.

Supponiamo inoltre che una delle seguenti condizioni sia verificata:

(2) limx→c f(x) = limx→c g(x) = 0;

(3) limx→c |g(x)| = +∞.

Se

limx→c

Df(x)

Dg(x)= A, (6.8)

allora

limx→c

f(x)

g(x)= A. (6.9)

In questo teorema il valore A puo essere finito oppure infinito.

141

Page 143: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proof. Se vale l’ipotesi (2) oppure (3), allora

lim infx→c

Df(x)

Dg(x)= lim sup

x→c

Df(x)

Dg(x),

e dal prossimo teorema 6.57 deduciamo che

A 6 lim infx→c

f(x)

g(x)6 lim sup

x→c

f(x)

g(x)6 A,

sicche

lim infx→c

f(x)

g(x)= lim sup

x→c

f(x)

g(x)= A,

e la dimostrazione e completa.

Osservazione 6.56. Vogliamo sottolineare che nel caso (3) dell’enunciatonon si fanno ipotesi sul comportamento del numeratore f nell’intornodi c. Qualche Autore ha scritto che il Teorema di De l’Hospital tratta ilimiti della forma [0/0] e [?/∞].

Il teorema precedente e una conseguenza diretta del seguente risul-tato, piu generale.

Teorema 6.57. Supponiamo che valgano (1) e (2) o (3) del teorema precedente.Allora

lim infx→c

Df(x)

Dg(x)6 lim inf

x→cf(x)

g(x)6 lim sup

x→c

f(x)

g(x)6 lim sup

x→c

Df(x)

Dg(x). (6.10)

Proof. Partiamo dalla formula di Cauchy

f(x) − f(y)

g(x) − g(y)=Df(X)

Dg(X), (6.11)

dove x, y sono punti di I e X e un punto opportuno compreso fra x edy. L’ipotesi (1) implica che g(x) 6= g(y): altrimenti, per il teorema diLagrange, esisterebbe un punto compreso fra x ed y dove la derivatadi g si annulla, contrariamente all’ipotesi (1). Sia x ∈ I, e definiamo

m(x) = infc<ξ<x

Df(ξ)

Dg(ξ), M(x) = sup

c<ξ<x

Df(ξ)

Dg(ξ). (6.12)

Ammettiamo, ovviamente, che m(x) = −∞ e M(x) = +∞. Prendiamoora y tra c ed x. Allora da (6.11) e (6.12) discende che16

m(x) 6

f(x)g(x) −

f(y)g(x)

1−g(y)g(x)

6M(x) (6.13)

16 La seconda formula si ottiene cambiando segno al numeratore e al denominatore di(6.11), e dividendo per la quantita g(y) 6= 0.

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Page 144: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e

m(x) 6

f(y)g(y) −

f(x)g(y)

1−g(x)g(y)

6M(x) (6.14)

Ora passiamo al limite per y → c. Se vale l’ipotesi (2), allora da (6.13)otteniamo

m(x) 6f(x)

g(x)6M(x).

Se vale l’ipotesi (3), allora da (6.14) otteniamo

m(x) 6 lim infy→c

f(y)

g(y)6 lim sup

y→c

f(y)

g(y)6M(x).

Infine, facciamo tendere x→ c, e il teorema e dimostrato.

La dimostrazione del teorema di De l’Hospital ha fatto un uso moltoforte dei concetti di limite inferiore e superiore, oltre che del teoremadi Cauchy. Proponiamo di seguito una dimostrazione totalmente ele-mentare, basata solo sulla proprieta dei valori intermedi per le derivate(cfr. teorema 6.24), dovuta a F. Lettemeyer ([31]).

Dimostrazione nel caso in cui valga (3), con A finito e c = +∞. La derivatadi g non puo cambiare segno in I, come conseguenza del teorema diDarboux 6.24. Possiamo allora supporre che Dg(x) > 0 per ogni x ∈ I.Se la derivata fosse invece negativa, basterebbe considerare il rapportodi −f e −g. Segue dall’ipotesi (3) che limx→+∞ g(x) = +∞. Presoarbitrariamente ε > 0, abbiamo

A− ε <Df(x)

Dg(x)< A+ ε

per ogni x abbastanza grande. Allora

(A− ε)Dg(x) < Df(x) < (A+ ε)Dg(x),

e dunque la funzione x 7→ f(x) − (A − ε)g(x) e monotona crescente,mentre x 7→ f(x) − (A + ε)g(x) e monotona descrescente. La stessaconclusione vale con ε/2 al posto di ε. Ora,

f(x) −(A−

ε

2

)g(x) < f(x) − (A− ε)g(x). (6.15)

Deduciamo che

limx→+∞ f(x) − (A− ε)g(x) = +∞. (6.16)

Se cosı non fosse, la funzione monotona x 7→ f(x)−(A−ε)g(x) avrebbeun limite finito e dunque lo stesso accadrebbe a x 7→ f(x) − (A −

ε/2)g(x) in virtu di (6.15). Ma allora la differenza fra queste due fun-zioni, cioe x 7→ 1

2εg(x), avrebbe un limite finito. Questo sarebbe in

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Page 145: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

contraddizione con il fatto che limx→+∞ g(x) = +∞. Quindi (6.16)deve essere vera. In maniera analoga, si dimostra che

limx→+∞ f(x) − (A+ ε)g(x) = −∞. (6.17)

In conclusione, per ogni x sufficientemente grande,

f(x) − (A+ ε)g(x) < 0 < f(x) − (Aε)g(x),

cioe

A− ε <f(x)

g(x)< A+ ε.

Questo tipo di ragionamento puo essere adattato al caso A = ±∞, eanche al caso in cui valga l’ipotesi (2) invece che (3).

Qualche studente potrebbe domandarsi se, usando qualche “trucco”algebrico, non sia possibile ricondurre il caso [∞/∞] al caso facile[0/0]. La risposta e, purtroppo negativa. Anche trascurando il fattoche l’ipotesi che limx→c |f(x)| = ∞ non e necessaria, in ogni caso nonpossiamo fare molto. Di sicuro, considerare 1/f e 1/g non servirebbe amolto, poiche il quoziente delle derivate diventerebbe

Df(x)

f(x)2g(x)2

Dg(x)=Df(x)

Dg(x)

(g(x)

f(x)

)2,

in cui appare anche il quoziente di f e g. Per dimostrare la tesi,dovremmo in un certo senso supporla vera per ipotesi!

Osservazione 6.58. Il teorema di De l’Hospital permette di dimostrareuna parziale inversione della Proposizione 6.27. Come visto, non possi-amo aspettarci che l’esistenza del limite della derivata prima sia equiv-alente all’esistenza della derivata prima nel punto x0, ma possiamocomunque dire qualcosa in piu.

Proposizione 6.59. Supponiamo che f : (a,b) → R sia una funzione con-tinua, che x0 ∈ (a,b), e che f sia derivabile in (a, x0)∪ (x0,b). Se

limx→x−0

f ′(x) = λ− 6= λ+ = limx→x+0

f ′(x),

allora f non e derivabile in x0.

Proof. Applichiamo il teorema di De l’Hospital ai due intervalli (a, x0)e (x0,b). Per definizione di derivata, dobbiamo controllare l’esistenzadel limite

limx→x0

f(x) − f(x0)

x− x0.

Tutte le ipotesi del teorema di De l’Hospital sono soddisfatte, in parti-colare

limx→x−0

f ′(x)

1= λ−,

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Page 146: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

limx→x+0

f ′(x)

1= λ+.

Quindi

limx→x−0

f(x) − f(x0)

x− x0= limx→x−0

f ′(x)

1= λ−,

mentre

limx→x+0

f(x) − f(x0)

x− x0= limx→x+0

f ′(x)

1= λ+.

Il rapporto incrementale non possiede limite per x → x0, e dunque fnon e derivabile in x0.

In poche parole, l’unico caso in cui la Proposizione 6.27 non siinverte, e esattamente quello dei nostri controesempi, in cui f ′ nonpossiede limite per x→ x0.

Lo studente confronti anche la Proposizione VII.24 di [10].

Oltre alle consuete applicazioni al calcolo dei limiti, il teorema diDe l’Hospital e il fondamento di una fra le piu eleganti tecniche diapprossimazione delle funzioni. Ce ne occupiamo nel prossimo para-grafo.

6.10 il polinomio di taylor

E piuttosto ragionevole affermare, anche nell’era del calcolo automa-tizzato, che fare dei conti con i polinomi e piu semplice che farli confunzioni qualunque. Questa osservazione tanto ovvia ha permesso digettare le basi del calcolo approssimato. In questo corso toccheremosuperficialmente due metodi di approssimazione, il primo locale, il sec-ondo globale.

In questo paragrafo, studieremo la possibilita di approssimare unafunzione molto regolare17 mediante polinomi opportuni. Ricordiamoche un polinomio di grado n e per noi una funzione della fo rma

Pn(x) = a0 + a1x+ a2x2 + a3x

3 + · · ·+ an−1xn−1 + anxn,

dove i numeri reali a0, . . . an sono i coefficienti di Pn. Introduciamoinfine la cosiddetta notazione di Landau per i limiti.

Definizione 6.60. Siano f e g due funzioni definite almeno in un intorno dia ∈ R. Diremo che f = o(g) (si legge f e o piccolo di g) per x→ a se

limx→a

f(x)

g(x)= 0.

17 L’aggettivo “regolare” e spesso usato come abbreviazione per espressioni riguardanti laderivabilita. Per noi, una funzione regolare e una funzione dotata di derivata prima,seconda, terza, ecc. Il numero esatto delle derivate non conta molto, e verra specificatonegli enunciati dei teoremi.

145

Page 147: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Osservazione 6.61. Dalla definizione segue che la notazione “o pic-colo” indica in realta un insieme di funzioni. Per essere precisi, datauna funzione g definita (almeno) in un intorno di un punto x0, abbi-amo definito l’insieme

o(g) =

{f | limx→a

f(x)

g(x)= 0

},

dove abbiamo sottinteso che le funzioni f di questo insieme sono anch’essedefinite (almeno) in un intorno di x0. A rigor di logica, dovremmo scri-vere f ∈ o(g) per x → x0 invece di f = o(g). Alcuni testi, ad esempioquello di Muresan [34], seguono questo approccio piu rigoroso mameno consueto. Questa notazione sarebbe piu corretta, ma ha avutostoricamente minor fortuna.18

Osservazione 6.62. Se c’e un “o piccolo”, ci dovrebbe essere anche un“O grande”, dira qualche studente. E vero, e il simbolo di O grandesi utilizza per dire che una funzione e “controllata” da un’altra, siadall’alto che dal basso, nell’intorno di un punto. Precisamente, se fe g sono due funzioni definite (almeno) in un intorno di x0, si scrivef = O(g) per x→ x0 quando si vuole dire che esistono un intorno I dix0 ed due costant1 C1 > 0, C2 > 0 tali che

C1|g(x)| 6 |f(x)| 6 C2|g(x)| per ogni x ∈ I.

In altre parole, f = O(g) significa che il rapporto |f(x)/g(x)| si mantienelimitato nelle vicinanze di x0. Nel caso particolare in cui g e una fun-zione costante,19 la scrittura f = O(g) significa esattamente che nellevicinanze del punto x0 la funzione f resta limitata. Per capirci, questoesclude la presenza di un asintoto verticale in x0. Non ci soffermi-amo oltre su questo linguaggio, che non useremo mai nel resto delcorso. Per approfondimenti, il lettore potra consultare il classico librodi Prodi [35].

Scegliendo nella Definizione 6.60 come g la funzione costante eduguale a 1, f = o(1) significa semplicemente che f(x) → 0 per x →a. Lo studente si convinca che la definizione di derivata puo essereriscritta

f(x) = f(x0) +Df(x0)(x− x0) + o(x− x0) per x→ x0

Definizione 6.63. Siano f e g due funzioni definite almeno in un intorno delpunto x0. Diremo che g approssima f all’ordine n se f− g = o((x− x0)

n)

per x→ x0.

Esplicitamente, richiediamo che

limx→x0

f(x) − g(x)

(x− x0)n= 0.

18 E un peccato, perche il simbolo di uguaglianza perde in questa situazione la proprietasimmetrica: Se f = o(g), non e affatto vero che in generale g = o(f). Insomma,bisogna usare il simbolo = con grandissima cautela.

19 Qui non importa il valore di tale costante.

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Un caso noto e particolarmente significativo e l’approssimazione all’ordine1, chiamata anche approssimazione lineare. Ogni funzione derivabile inun punto e approssimabile linearmente in tale punto, e la funzioneche realizza l’approssimazione e la funzione lineare affine rappresen-tata dalla retta tangente nel punto.

D’altronde, senza ulteriori condizioni dobbiamo aspettarci una granquantita di funzioni approssimanti. Per esempio, la funzione quadrat-ica f : x 7→ x2 e approssimata linearmente in x0 = 0 da qualunquefunzione g : x 7→ αxn, con α ∈ R e n > 2. Infatti

limx→0

x2 −αxn

x= limx→0

x−αxn−1 = 0.

Pero abbiamo gia imparato che la retta tangente e l’unica retta cheapprossima linearmente una funzione derivabile in un dato punto.Poniamo dunque il seguente problema: determinare, se esiste, un poli-nomio di grado n che approssima una funzione all’ordine n nell’intornodi un punto x0.

Procediamo per passi successivi, chiamando f la funzione da ap-prossimare e supponendo x0 = 0. Il caso di x0 qualunque verr a dis-cusso fra poco. Per n = 1 sappiamo gia che l’unico polinomio cercatoe

P1(x) = f(0) +Df(0)x.

Per n = 2, la cosa migliore e scrivere il generico polinomio di secondogrado

P2(x) = a0 + a1x+ a2x2

e imporre la condizione di approssimazione:

limx→0

f(x) − P2(x)

x2= 0.

Il denominatore tende a zero, il numeratore a f(0) − a0. Quindi enecessario che a0 = f(0). Il limite si riscrive

limx→0

f(x) − f(0) − a1x− a2x2

x2= 0.

Possiamo applicare la regola di De l’Hospital, e ci riconduciamo allimite del quoziente delle derivate

limx→0

Df(x) − a1 − 2a2x

2x.

La speranza e che tale limite valga zero, e come prima e necessario cheDf(0) = a1. Applicando una seconda volta la regola di De l’Hospital,troviamo la condizione necessaria D2f(0) = 2a2. Se un polinomioapprossimante c’e, l’unica possibilita e che

P2(x) = f(0) +Df(0)x+1

2D2f(0)x2.

147

Page 149: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Lasciamo allo studente la verifica banale che questo P2 e effettivamenteun’approssimazione di ordine 2 di f in x0 = 0. Con la notazione diLandau,

f(x) = f(0) +Df(0)x+1

2D2f(0)x2 + o(x2).

Se avessimo scelto un punto x0 anche diverso da zero, la conclusionesarebbe stata analoga ma un po’ meno trasparente. Il “trucco” consistenello scrivere il generico polinomio nella forma

P2(x) = a0 + a1(x− x0) + a2(x− x0)2.

I valori per i tre coefficienti a0, a1 e a2 sarebbero stati gli stessi. Appli-cando piu volte l’argomento del teorema di De l’Hospital, si dimostrail seguente risultato.

Teorema 6.64 (Taylor). Sia f : (a,b) → R una funzione derivabile n volte,e sia x0 ∈ (a,b) un punto fissato. Allora esiste uno ed un solo polinomio Pndi grado (al piu) n, che approssima f in x0 con ordine n. I coefficienti di Pnsono

a0 = f(x0), ak =1

k!Dkf(x0) per k > 1,

e conseguentemente

Pn(x) = f(x0) +

n∑k=1

1

k!Dkf(x0)(x− x0)

k.

Il bello della matematica e che, a parole, tutto e semplice. Adesso cheabbiamo definito il polinomio di Taylor, calcolarlo e concettualmenteuna sciocchezza. Abbiamo infatti la “ricetta” che ci restituisce meccani-camente tutti i coefficienti. Basta saper calcolare le derivate. In alcunicasi, tali calcoli sono davvero facilissimi. Ad esempio, il polinomio diTaylor di una funzione polinomiale e evidentemente la funzione stessa.Non c’e neanche bisogno di fare calcoli, dato che basta inserire Pn = f

nella definizione del polinomio di approssimazione.

Calcoliamo i primi tre termini del polinomio di Taylor della funzione

f(x) =1

1− x− x2

con punto iniziale x0 = 0. Ci servono le prime due derivate di f:

Df(x) =1+ 2x

(1− x− x2)2

D2f(x) =2(1− x− x2)2 + 2(1+ 2x)2(1− x− x2)

(1− x− x2)4

Quindi

P2(x) = f(0) +Df(0)x+1

2D2f(0)x2 = 1+ x+ 2x2,

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Page 150: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e percio f(x) = 1+x+2x2+o(x2) per x→ 0. Osserviamo che l’approssimazioneottenuta vale solo per x in un intorno di x0 = 0, e lo studente deverifuggire la tentazione di estendere questa approssimazione a valoridiversi di x.

Giunti fin qui, ci resta un dubbio: e possibile stimare l’errore com-piuto con la sostituzione di Pn al posto di f? Abbiamo visto che taleerrore deve tendere a zero piu velocemente di (x− x0)n, per x → x0.Ma di funzioni che tendono a zero e pieno il mondo. Sarebbe bellopoter scrivere in termini piu espliciti tale errore. Per il momento cilimitiamo al prossimo risultato. Quando avremo anche gli integralidefiniti nella nostra cassetta degli attrezzi, potremo dare una stima diversa e spesso piu utile.

Teorema 6.65 (Formula di Taylor con resto di Lagrange). Supponiamoche f : [a,b] → R. Sia n ∈ N e supponiamo che la derivata (n− 1)–esimaDn−1f sia una funzione continua in (a,b) e che Dnf(x) esista per ognix ∈ (a,b). Siano x, x0 ∈ [a,b] due punti distinti, e sia Pn−1 il polinomiodi Taylor di f centrato nel punto x0 di ordine n− 1. Allora esiste un punto ξcompreso fra x0 e x tale che

f(x) = Pn−1(x) +Dnf(ξ)

n!(x− x0)

n.

Proof. SiaM quell’unico numero reale tale che f(x) = Pn−1(x)+M(x−

x0)n. Definiamo la funzione g : (a,b)→ R come

g(t) = f(t) − Pn−1(t) −M(t− x0)n.

Vogliamo dimostrare che esiste ξ compreso fra x0 e x tale che n!M =

Dnf(ξ). Derivando ripetutamente la funzione g, troviamo che

Dng(t) = Dnf(t) −n!M.

Ci basta allora dimostrare che Dng si annulla fra x0 e x. Poiche

DkPn−1(x0) = Dkf(x0)

per k = 0, . . . ,n− 1, abbiamo

g(x0) = Dg(x0) = · · · = Dn−1g(x0) = 0.

La nostra scelta di M implica g(x) = 0, e applicando il teorema di La-grange in [x0, x] deduciamo l’esistenza di x1 ∈ [x0, x] tale cheDg(x1) =0. Poiche Dg(x0) = 0 lo stesso teorema applicato in [x0, x1] garantiscel’esistenza di x2 in tale intervallo con Dg(x2) = 0. Dopo n passi, trovi-amo infine un punto xn = ξ ∈ [x0, xn−1] tale che Dng(ξ) = 0. Poichexn−1 e compreso per costruzione fra x0 e x, la dimostrazione e con-clusa.

Un invito alla calma. Lo studente deve osservare con attenzione chela formula di approssimazione dell’ultimo teorema e

f(x) = Pn−1(x) +Dnf(ξ)

n!(x− x0)

n.

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Page 151: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

C’e un’apparente sfasatura negli indici: infatti per il termine finale

Dnf(ξ)

n!(x− x0)

n = o((x− x0)n−1).

Ma questo non e in contraddizione con la formula ricavata preceden-temente. Per avere un’approssimazione lineare dobbiamo sceglieren = 2 nell’ultimo teorema. Non e il massimo della comodit a, ma daun punto di vista teorico ci sembra meglio privilegiare il ruolo dellaregolarita di f. Se la formula di Taylor con il resto “o piccolo” richieden derivate per avere un’approssimazione all’ordine n, la formula conil resto di Lagrange richiede n+ 1 derivate, per avere lo stesso ordinedi appross imazione. Per avere l’approssimazione lineare con resto“o piccolo”, basta che la funzione sia derivabile. Se pero vogliamo lastima del resto del tipo

D2f(ξ)

2!(x− x0)

2,

chiaramente f deve avere due derivate. Lo studente non fara fatica ariconoscere come caso particolare del Teorema 6.65 proprio il teoremadi Lagrange (n = 1).

Uno degli usi piu frequenti delle formule di Taylor e il calcolo deilimiti. Supponiamo di voler calcolare il limite

limx→0

ex − 1− x

x2.

E una forma di indecisione evidente, e nessun limite notevole puorisolverla senza fare ulteriori indagini. Ma se ricordiamo la formuladi Taylor per la funzione esponenziale e la definizione di “o piccolo”,possiamo scrivere

ex − 1− x

x2=1+ x+ x2 + o(x2) − 1− x

x2= 1+

o(x2)

x2→ 1

per x → 0. Una via alternativa20 consiste nell’applicare due volte laregola di De l’Hospital. Lasciamo allo studente i dettagli relativi.

Qualche studente intraprendente potrebbe credere che i principalilimiti possano essere dedotti dagli sviluppi di Taylor. Purtroppo, talideduzioni sarebbero quasi certamente scorrette da un punto di vistalogico. Pensiamo al famoso limite

limx→0

sin xx

= 1. (6.18)

20 Alternativa per modo di dire. Il polinomio di Taylor e sostanzialmente equivalenteall’uso di De l’Hospital, come visto. Se dovessimo calcolare ogni volta i coefficientidel polinomio, tanto varrebbe usare De l’Hospital. Fortunatamente esistono le tabelledegli sviluppi di Taylor per le principali funzioni, e il loro uso riduce sensibilmente lamole di calcoli necessaria per calcolare molti limiti in forma indeterminata. Ovviamente,molti software sono capaci di scrivere i polinomi di Taylor di funzioni arbitrarie in pochisecondi.

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Page 152: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Se usiamo lo sviluppo di Taylor sin x = x− 13!x3+ o(x3), arriviamo im-

mediatamente al risultato. Ma calcolare il polinomio di Taylor richiedeil calcolo delle derivate. Come si calcola la derivata della funzione senoin x = 0? Facendo il limite del rapporto incrementale:

limx→0

sin x− sin 0x− 0

= limx→0

sin xx

.

C’e qualcosa che non va: stiamo calcolando un limite notevole, maabbiamo bisogno di conoscerlo prima di calcolarlo. Questo apparenteparadosso dovrebbe farci riflettere sull’importanza di costruire unacasa partendo dalle fondamenta, e non dal primo piano. Dando perscontata la definizione “ingenua” delle funzioni goniometriche seno ecoseno, prima dobbiamo calcolare i limiti notevoli, e solo poi possiamocalcolare le derivate. Quelle noiose disuguaglianze geometriche checostituiscono la dimostrazion e elementare del limite notevole (6.18)non sembrano facilmente evitabili.21

Infine, proponiamo un’applicazione della formula di Taylor al’analisidei punti critici.

Proposizione 6.66. Sia f : (a,b) → R una funzione derivabile n volte in(a,b). Inoltre sia

Df(x0) = D2f(x0) = · · · = Dn−1f(x0) = 0, Dnf(x0) 6= 0.

Allora

1. se n e pari e Dnf(x0) > 0, x0 e un punto di minimo;

2. se n e pari e Dnf(x0) < 0, x0 e un punto di massimo;

3. se n e dispari, x0 non e ne un punto di massimo ne un punto di minimo.

Proof. Tutte le affermazioni discendono dal teorema di Taylor. Infatti,per ipotesi si puo scrivere

f(x) = f(x0) +Dnf(x0)

n!(x− x0)

n + o((x− x0)n)

per x → x0. Se n e pari, allora, in un intorno di x0, f(x) − f(x0) ha lostesso segno di Dnf(x0), e si conclude. Se n e dispari, in ogni intornodi x0 ci sono punti x in cui f(x) − f(x0) e positivo, e altri punti in cuila stessa quantita e negativa. Pertanto, x0 non e ne u massimo ne unminimo relativo.

La proposizione precedente gode di una certa popolarita soprattuttonei testi di matematica per le scuole superiori.22 In effetti, quasi tutte letecniche meccaniche, che richiedono tanti calcoli e poco ragionamento,sembrano avere grande fortuna nell’insegnamento secondario.

21 I matematici puri danno spesso definizioni piu raffinate per la funzione seno, e questopermette di calcolarne la derivata seguendo strade diverse. Purtroppo, nell’economia diun primo corso di matematica questi escamotages sono troppo complicati.

22 Un rapido sondaggio fra le matricole degli ultimi anni mi ha convinto che questa affer-mazione e ormai obsoleta. Sembra infatti che nemmeno i docenti dei licei insegnino piuil criterio delle derivate successive per l’analisi dei punti critici.

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Page 153: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Tuttavia, il calcolo delle derivate successive puo essere fonte di ba-nali errori di calcolo; conviene allora cercare di studiare il segno delladerivata prima attorno a x0, per applicare il criterio di monotonia de-scritto in precedenza.

Fra l’altro, esistono funzioni “maleducate” alle quali la Proposizionedimostrata adesso non si applica. Per esempio, la funzione P : R → R

definita da23

P(x) =

{exp(−1/x2), x 6= 00 x = 0

ha un evidente minimo in x = 0. Tuttavia si potrebbe dimostrare cheper ogni j ∈N

DjP(0) = 0.

A parole, tutte le derivate di P calcolate in x = 0 sono nulle! Non c’esperanza di descrivere la natura dell’origine mediante la Proposizione.Senza voler essere rigorosi, potremmo dire che P e “indefinitamentepiatta” nell’origine. L’andamento qualitativo di P e evidenziato nellaprossima figura.

0

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

–1 –0.8 –0.6 –0.4 –0.2 0.2 0.4 0.6 0.8 1

x

Concludiamo questa sezione citando un difficile teorema che, in uncerto senso, inverte il teorema di sviluppo con il polinomio di Taylor.La dimostrazione non e banale, e preferiamo ometterla. Lo studenteinteressato puo leggere i dettagli in [22].

Teorema 6.67. Sia I = (a,b) un intervallo aperto della retta reale, e siaf : I→ R una funzione continua e tale che

f(x+ y) = a0(x) + a1(x)y+1

2a2(x)y

2 + . . .+1

k!ak(x)y

k + o(|y|k)

per y → 0, dove a0,. . . , ak sono funzioni opportune. Allora f e derivabile kvolte e ai(x) = Dkf(x) per ogni i = 0, . . . ,k.

23 P e l’iniziale di “piatta”.

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Page 154: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

6.11 appendice: complementi sulla con-vessita

In questa appendice vogliamo gettare uno sguardo piu geometrico sulconcetto di convessita. Per ragioni pratiche ci limiteremo al caso pianodei sottoinsiemi del piano cartesiano R2. Praticamente tutto quelloche diremo ha una ovvia estensione agli spazi euclidei di dimensionefinita qualsiasi (ad esempio lo spazio fisico tridimensionale).

Definizione 6.68. Siano P e Q due punti del piano R2. Il segmento diestremi P e Q e il sottoinsieme

[P,Q] = {λP+ (1− λ)Q | 0 6 λ 6 1} .

Piu esplicitamente, se usiamo le coordinate cartesiane per i puntiP = (x1,y1) e Q = (x2,y2), i punti del segmento [P,Q] sono i puntidi coordinate cartesiane (λx1 + (1− λ)x2, λy1 + (1− λ)y2), al variaredi λ fra zero e uno. Lo studente dovrebbe disegnare tale segmento econvincersi della correttezza della rappresentazione analitica.

Definizione 6.69. Un sottoinsieme K del piano R2 e convesso se, presi co-munque due punti P, Q ∈ K, tutto il segmento [P,Q] e contenuto in K.

Osservazione 6.70. Anche sulla retta reale e possibile parlare di sot-toinsiemi convessi. Tuttavia ci rendiamo facilmente conto che gli unicisottoinsiemi convessi di R sono gli intervalli (aperti, chiusi, aperti dauna parte e chiusi dall’altra).

Consideriamo ora una funzione f : [a,b]→ R. E abbastanza agevoleverificare che, se f e una funzione convessa, allora le sezioni

{x ∈ [a,b] | f(x) < c}, {x ∈ [a,b] | f(x) 6 c}

sono sottoinsiemi convessi di [a,b] per ogni scelta di c ∈ R. Purtroppopero questa proprieta non equivale alla convessita di f: ad esempio,la funzione x ∈ [0, 1] 7→ log(1+ x) ha sezioni convesse, ma e concava.Vogliamo dunque isolare una proprieta che caratterizzi completamentele funzioni convesse. Per far cio, dobbiamo analizzare il grafico nelpiano cartesiano.

Definizione 6.71. L’epigrafico di una funzione f : [a,b]→ R e l’insieme

epi f = {(x,y) ∈ R2 | f(x) 6 y}.

A parole, l’epigrafico e semplicemente la porzione di piano al disopra del grafico di f. Possiamo enunciare e dimostrare un criterionecessario e sufficiente per la convessita di una funzione.

Proposizione 6.72. Una funzione f : [a,b] → R e convessa se, e solo se,epi f e un insieme convesso di R2.

Proof. Supponiamo che f sia convessa, e scegliamo arbitrariamente duepunti P = (x1,y1) e Q = (x2,y2) di epi f. Poiche f(x1) 6 y1 e f(x2) 6y2, per ogni λ ∈ [0, 1] possiamo scrivere

f(λx1 + (1− λ)x2) 6 λf(x1) + (1− λ)f(x2) 6 λy1 + (1− λ)y2.

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Page 155: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Ma questo significa precisamente che λP + (1 − λ)Q ∈ epi f, quindiepi f e convesso. Viceversa, supponiamo che epi f sia convesso. Pren-diamo x1 e x2 in [a,b], y1 > f(x1), y2 > f(x2). Per ipotesi, se λ ∈ [0, 1],allora

f(λx1 + (1− λ)x2) 6 λy1 + (1− λ)y2.

Scegliendo in particolare y1 = f(x1) e y2 = f(x2), abbiamo la definizionedi funzione convessa.

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7 TEOR IADELL’ INTEGRAZ IONESECONDO R IEMANNOgni studente universitario ha, o dovrebbe avere, una certa familiarita

con il calcolo di aree e volumi. A livello elementare, diciamo fino allescuole superiori, si impara a misurare perimetri, aree e volumi di spe-ciali figure geometriche. Fra queste compaiono i quadrilateri, i trian-goli, i parallelepipedi, e cosı via. Gia la lunghezza della circonferenzapone diversi problemi tecnici, generalmente superati d’autorita inseg-nando che la circonferenza unitaria misura 2π.1 Sorvolando sulladefinizione stessa di π, che spesso si dice valere circa 3.14 senza altriparticolari, la misurazione della lunghezza della circonferenza e resaattraente mediante il classico trucco dello spago arrotolato attorno allacirconferenza.

Con le aree, la faccenda si fa ancora piu spinosa. Infatti, se ci puosembrare intelligente ed anche intuitivo dire che il rettangolo di latia e b ha un’area pari a ab (base × altezza), ben piu inquietante el’affermazione che il cerchio di raggio r ha un’area pari a πr2 (raggio× raggio × 3.14). Qui non c’e piu lo spago da arrotolare. Nei casipiu fortunati, impariamo che la misura dell’area del cerchio si ottieneinscrivendo in esso poligoni regolari con un numero sempre maggioredi lati, e facendo tendere all’infinito il numero di lati. L’area del cerchiosara allora il limite, per n → +∞, dell’area del poligono regolare di nlati inscritto.

Ancora piu in generale, consideriamo una funzione f : [a,b] → R,positiva e continua. Nel piano cartesiano, il suo grafico y = f(x) rap-presenta una curva continua: che significato potremmo dare all’areadi piano che giace fra l’asse delle x e il grafico della funzione? Non efacile dare una risposta completamente comprensibile da uno studentedi terza media. Fu solo nel corso del XVIII secolo che celebri matem-atici di nome Chauchy, Riemann, ecc. furono in grado di introdurreuna teoria potente e compatibile con l’intuizione stessa di area.

Nelle sezioni seguenti presenteremo un approccio ormai classicoall’integrazione secondo Riemann, introdotto dal matematico franceseGaston Darboux. Seguiamo da vicino [37] e l’appendice di [38]. None d’altronde l’unico approccio possibile, e infatti in [10, 19] lo studentepuo trovare presentazioni diverse dalla nostra. L’approccio elementarecon le funzioni a gradino e discusso in un breve paragrafo. In [8], lateoria dell’integrale non e veramente svolta, tranne per le funzioni con-tinue.

Osservazione 7.1. Per molti decenni, i primi corsi di analisi matemat-ica per gli studenti di Scienze ed Ingegneria presentavano una teoriaristretta dell’integrazione, dovuta a L. A. Cauchy. In questa teoria,

1 Ovviamente, occorrerebbe specificare un’unita di misura: metri, centimetri, chilometri.

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Page 157: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

l’integrale si definisce solo per le funzioni continue su un intervallochiuso e limitato. Il risultato e pertanto una teoria che non si ap-plica direttamente a funzioni con discontinuita a salto. Quel poco disemplicita che si guadagna non bilancia probabilmente la perdita digeneralita rispetto all’integrale secondo Riemann. Per una trattazionedistinta dell’integrale per le funzioni continue, rimandiamo a [39].

Avvertenza. In queste note, abbiamo deciso di trattare la cosiddettaintegrazione indefinita solo marginalmente. Riteniamo infatti che laricerca delle primitive sia una questione di esercizio, piu che di teoria.Sul mio libro di quinta liceo scientifico,2 l’Autore scriveva che “tuttala teoria dell’integrale indefinito consiste di una definizione e di unadecina di integrali immediati”. La definizione e ovviamente quella difunzione primitiva. Si usa dire che alla base di tale teoria stia la necessitadi invertire l’operazione di derivazione. Data una funzione, vorremmoscriverne (almeno) un’altra la cui derivata coincida con la funzione as-segnata. Problema legittimo e alquanto interessante, che si risolve co-munque in una definizione, un paio di osservazioni e due regolette.Tutto il resto e esercizio. Ci piacerebbe che lo studente prendesse con-sapevolezza di un fatto: in matematica la teoria dell’integrazione equella definita.

7.1 partizioni del dominioSituazione: abbiamo una funzione f : [a,b]→ R, limitata, definita sull’intervallochiuso e limitato [a,b].

Osservazione 7.2. L’ipotesi di limitatezza della funzione f sara taci-tamente mantenuta in tutto la trattazione dell’integrazione secondoRiemann. Nella sezione dedicata agli integrali impropri e generaliz-zati vedremo fino a che punto sia possibile parlare di integrazionedefinita per funzioni non limitate. L’ipotesi di limitatezza puo esseresuperata solo nelle teorie dell’integrazione piu potenti, come quella diLebesgue.

Definizione 7.3. Una partizione di [a,b] e un insieme finito di punti P =

{x0, x1, . . . , xn} tali che

a = x0 < x1 < x2 < · · · < xn−1 < xn = b.

Una partizione P ′ e piu fine di P se contiene piu punti di P. Date due par-tizioni P e P ′, il loro raffinamento comune e la partizione P? = P ∪ P ′.

Osservazione 7.4. Poiche le partizioni sono semplici insiemi, ad esse siapplicano tutte le consuete operazioni fra insiemi: unioni, intersezioni,ecc. Nei fatti, il raffinamento comune di due partizioni si ottiene met-tendo insieme i punti di entrambe, e ovviamente disponendoli in or-dine crescente di grandezza.

2 R. Ferrauto, Lezioni di Analisi Matematica. Casa editrice Dante Alighieri.

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Page 158: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 7.5. L’ampiezza di una partizione P si definisce come

σ(P) = maxi=1,...,n

|xi − xi−1|.

Notazione. Se P = {x0, x1, . . . , xn} e una partizione di [a,b], si pone

∆xi = xi − xi−1.

In corrispondenza di una partizione P, introduciamo due approssi-mazioni, l’una per difetto e l’altra per eccesso, dell’area sottesa dalgrafico di f e dall’asse delle ascisse. Per ogni i ∈ {0, 1, . . . ,n}

mi = infxi−16x6xi

f(x), Mi = supxi−16x6xi

f(x). (7.1)

La limitatezza di f garantisce ovviamente che mi e Mi sono numerireali, cioe −∞ < mi 6 Mi < +∞. E chiaro che questa conclusionediviene falsa senza ipotesi di limitatezza. Se, per esempio, f avesse unasintoto verticale x = x0 interno all’intervallo [a,b], almeno uno frami e Mi diventerebbe infinito per ogni partizione contenente il puntox0.

Siano ora

L(P, f) =n∑i=1

mi∆xi, U(P, f) =n∑i=1

Mi∆xi.

Geometricamente, L(P, f) e la somma delle aree dei rettangoli di base∆xi e di altezza mi, che rappresentano i rettangoli inscritti fra l’assedelle ascisse e il grafico di f. Analogamente, i rettangoli di base ∆xie altezza Mi sono circoscritti al grafico di f. Intuitivamente, L(P, f)e un’approssimazione per difetto dell’area sottesa dal grafico di f,mentre U(P, f) e un’approssimazione per eccesso della stessa area. Sivedano le successive figure.

Definizione 7.6. Il numero∫baf(x)dx = sup

P

L(P, f)

prende il nome di integrale inferiore di f su [a,b]. Analogamente, il numero∫baf(x)dx = inf

PU(P, f)

prende il nome di integrale superiore di f esteso ad [a,b].

Segue dall’ovvia relazione L(P, f) 6 U(P, f) che∫baf(x)dx 6

∫baf(x)dx.

Inoltre, la limitatezza di f implica che i due integrali inferiore e superi-ore sono sempre numeri reali finiti. Infatti, da m 6 f(x) 6M per ognix ∈ [a,b] discende che

−∞ < m(b− a) 6 L(P, f) 6 U(P, f) 6M(b− a) < +∞per ogni partizione P. La conclusione segue prendendo l’inf e il sup alvariare delle partizioni P.

157

Page 159: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Figure 6: Approssimazione per difetto dell’area

Figure 7: Approssimazione per eccesso dell’area

158

Page 160: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 7.7. Una funzione f : [a,b]→ R e integrabile secondo Riemann

se∫baf(x)dx =

∫baf(x)dx. In questo caso il valore comune dei due integrali

inferiore e superiore prendo il nome di integrale definito di f, e si denota colsimbolo

∫ba f(x)dx.

Osservazione. In queste note, abbiamo privilegiato la notazione tipicadei libri di Calcolo

∫ba f(x)dx invece di quella, logicamente piu coer-

ente,∫ba f.

3 In effetti, dalle nostre definizioni consegue che solo f el’intervallo [a,b] sono coinvolti nella definizione di integrale. La vari-abile x e perfettamente superflua. Tuttavia, capita spesso di scrivereespressioni quali∫1

0x2 dx =

1

3.

Un attimo di riflessione ci convince che quella appena scritta e un’inesattezzaparagonabile a

ddxx3 = 3x2.

Sarebbe una battaglia persa convincere che la scrittura corretta e piu omeno

ddx

(t 7→ t3)(x) = 3x2.

L’unico aspetto veramente importante di questa discussione e che vogliamocalcolare l’integrale di una funzione. Il nome della variabile e del tuttoininfluente. Pertanto i simboli

∫ba f(x)dx e

∫ba f(y)dy rappresentano il

medesimo ente matematico.

Proposizione 7.8. Sia P una partizione, e sia P ′ piu fine di P. AlloraL(P ′, f) > L(P, f), e U(P ′, f) 6 U(P, f).

Proof. Cominciamo a supporre che P ′ contenga esattamente un puntopiu di P. Se x e questo punto, esiste un indice i tale che xi−1 < x < xi,dove xi−1 e xi sono due punti consecutivi di P. Posto

w1 = infxi−16x6x

f(x), w2 = infx6x6xi

f(x),

e chiaro che w1 > mi e w2 > mi. Quindi

L(P ′, f) − L(P, f) = w1(x− xi−1) +w2(xi − x) −mi(xi − x+ x− xi−1)

= (w1 −mi)(x− xi−1) + (w2 −mi)(xi − x) > 0.

Un ragionamento del tutto analogo mostra che U(P ′, f) 6 U(P, f). Sepoi P ′ contiene un numero k > 1 di punti piu di P, basta ripetere4 k

volte il discorso appena visto.

3 Capita di veder scritto∫ba f(x)dx, I(f,a,b), oppure

∫ba dxf(x). Quest’ultima no-

tazione, a mio parere detestabile, e particolarmente popolare nei libri di fisica.4 Ricordiamo che le nostre partizioni sono insiemi costituiti da un numero finito di punti.

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Page 161: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

La definizione di integrale appena introdotta non e molto significa-tiva rispetto al calcolo effettivo degli integrali definiti. Inoltre, nonabbiamo ancora costruito una classe maneggevole di funzioni che pos-sono essere integrate. Quest’affermazione non dovrebbe piu sorpren-dere lo studente: sappiamo gia che solo alcune funzioni sono continue,altre sono derivabili. Certamente non possiamo aspettarci che “tutte”le funzioni siano integrabili.

Quella che segue e una caratterizzazione molto forte dell’integrabilita.Essendo una condizione necessaria e sufficiente per l’integrabilita, sarapossibile utilizzarla in maniera del tutto equivalente alla definizione diintegrabilita.

Teorema 7.9. Una funzione limitata f : [a,b]→ R e integrabile se e solo se,per ogni ε > 0 esiste una partizione Pε tale che

U(Pε, f) − L(Pε, f) < ε. (7.2)

Proof. Per ogni partizione P, e

L(P, f) 6∫baf(x)dx 6

∫baf(x)dx 6 U(P, f).

Se vale la (7.2), allora deduciamo che 0 6∫baf(x)dx −

∫baf(x)dx <

ε, e l’arbitrarieta di ε garantisce che∫baf(x)dx =

∫baf(x)dx. Questo

significa che f e integrabile.Viceversa, supponiamo che f sia integrabile. Fissato ε > 0, esistono

due partizioni Pq e P2 tali che

U(P2, f) −∫baf(x)dx <

ε

2,∫baf(x)dx− L(P1, f) <

ε

2.

Se P? e il raffinamento comune di P1 e P2, allora U(P?, f)−L(P?, f) < ε,e possiamo scegliere pertanto Pε = P?.

La condizione (7.2) sara quella che verificheremo sistematicamenteper controllare l’integrabilita delle funzioni. Prima di proseguire, vogliamopero dare un’interpretazione piu intuitiva dell’integrale di Riemann.Per quanto ne sappiamo finora, per calcolare l’integrale di una datafunzione, dovremmo calcolare un estremo inferiore ed un estremo su-periore al variare di tutte le possibili partizioni dell’intervallo [a,b].Non e ne comodo, ne intuitivo. Vedremo fra un attimo che l’integrale e in realta un limite di aree di rettangoli al tendere a zero dellalunghezza delle basi dei rettangoli.

Definizione 7.10. Sia P = {x0, . . . , xn} una partizione di [a,b]. Unasomma di Riemann per la funzione limitata f su [a,b] e una somma del tipo

Σ(P, f) =n∑i=1

f(ti)∆xi,

dove ti ∈ [xi−1, xi] e un punto qualsiasi nell’intervallo [xi−1, xi].

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Page 162: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Il teorema che segue permette di vedere l’integrale come un’operazionedi limite.

Teorema 7.11. Una funzione limitata f e integrabile se e solo se esiste finitolimσ(P)→0 Σ(P, f). In tal caso, risulta

∫ba f(x)dx = limσ(P)→0 Σ(P, f).

Proof. Supponiamo dapprima che A = limσ(P)→0 Σ(P, f) esista finito.Fissato ε > 0, esiste δ > 0 tale che σ(P) < δ implica, per ogni scelta dit1, . . . , tn,

A−ε

26 Σ(P, f) 6 A+

ε

2.

Sia P una partizione qualsiasi, con σ(P) < δ. Facendo assumere at1, . . . , tn tutti i valori possibili e passando all’estremo inferiore e su-periore delle corrispondenti somme di Riemann, si ha

inft1,...,tn

Σ(P, f) = L(P, f),

supt1,...,tn

Σ(P, f) = U(P, f).

e quindi

A−ε

26 L(P, f) 6 U(P, f) 6 A+

ε

4.

Ma allora f e integrabile, ed anzi A =∫ba f(x)dx per l’arbitrarieta di ε.

Viceversa, sia ε > 0 fissato. Esiste una partizione P ′ tale cheU(P ′, f) 6∫ba f(x)dx +

ε2 . Supponiamo che P ′ sia costituita da n + 1 punti e

quindi divida [a,b] in n intervalli. Siano

M = supx∈[a,b]

|f(x)|, 0 < δ1 <ε

8Mn.

Consideriamo una partizione P tale che σ(P) < δ1, e denotiamo conP? il raffinamento comune a P ′ e P. Allora

U(P, f) = U(P, f) −U(P?, f) +U(P?, f) 6 U(P, f) −U(P?, f) +U(P ′, f)

6 U(P, f) −U(P?, f) +ε

4+

∫baf(x)dx.

I punti di P ′ interni a intervalli di P sono al massimo n− 1, e quindi

U(P, f) −U(P?, f) 6 (n− 1) · 2Mδ1 <n− 1

n

ε

4<ε

4.

Quindi

U(P, f) 6ε

2+

∫baf(x)dx

per ogni partizione P con σ(P) < δ. Analogamente si puo provare cheesiste δ2 > 0 tale che per ogni partizione P con σ(P) < δ2 risulta

L(P, f) >∫baf(x)dx−

ε

2.

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Page 163: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Se σ(P) < δ = min{δ1, δ2}, allora∫baf(x)dx−

ε

26 L(P, f) 6 U(P, f) 6

ε

2+

∫baf(x)dx.

Poiche L(P, f) 6 Σ(P, f) 6 U(P, f), si ha∣∣∣∣∣Σ(P, f) −∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ 6 εper ogni partizione P con σ(P) < δ e per ogni scelta dei punti t1, . . . , tn.Per definizione, questo vuol dire che

∫ba f(x)dx = limσ(P)→0 Σ(P, f).

Calcolo di un integrale mediante la definizione. Usando la teoriadelle serie numeriche e il Teorema precedente, mostriamo come calco-lare un integrale definito. Seguendo l’esempio di Archimede, calcol-iamo l’area del segmento parabolico:

S =

∫10x2 dx.

Fissato arbitrariamente n ∈N, consideriamo la partizione equi-distribuita

0 =0

n<1

n<2

n< . . . <

n− 1

n<n

n= 1.

Dando per scontato che la funzione x 7→ x2 sia integrabile in [0, 1], ilTeorema precedente garantisce che la somma di Riemann

Sn =

n∑k=1

(k− 1

n

)21

n

converge al valore S dell’integrale cercato per n → +∞. Per calcolareSn, osserviamo che

Sn =1

n3

n∑k=1

(k− 1)2 =1

n3

(12 + 22 + 32 + . . .+ (n− 1)2

),

e dunque ci serve un’espressione chiusa per la somma dei quadrati deiprimi n− 1 numeri naturali. La formula per questa espressione e nota,ma non e molto intuitiva. L’espressione chiusa e

Sn =1

n3

[1

3n3 −

1

2n2 +

1

6n

],

e puo essere verificata per induzione matematica. Per quanto dettosopra,∫1

0x2 dx = lim

n→+∞Sn =1

3.

E piuttosto sorprendente che questo risultato, ottenuto praticamentecon lo stesso ragionamento esposto, fosse noto gia nell’antica Grecia!

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Page 164: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

La verifica dell’integrabilita della funzione x 7→ x2 e contenuta nelprossimo Teorema.

Una prima classe di funzioni certamente integrabili e quella dellefunzioni monotone (crescenti oppure decrescenti).

Teorema 7.12. Sia f : [a,b] → R una funzione monotona e limitata. Alloraf e integrabile.

Proof. Dimostriamo l’enunciato nel caso in cui f sia monotona cres-cente. Prendiamo ε > 0 arbitrariamente piccolo, e sia n un numeronaturale maggiore di (f(b) − f(a))(b− a)/ε. Consideriamo i punti eq-uispaziati (nel senso che ∆xi = xi − xi−1 = (b− a)/n per ogni valoredell’indice i)

xi = a+b− a

ni, i = 0, . . . ,n.

La partizione P = {xi}i=0,...,n verifica la condizione (7.2). Infatti, conovvio significato dei simboli,

U(P, f) − L(P, f) =

n∑i=0

(Mi −mi)∆xi =

n∑i=0

(f(xi+1) − f(xi))b− a

n

=b− a

n

n∑i=0

(f(xi+1) − f(xi))

=b− a

n(f(b) − f(a)) < ε.

Dunque f e integrabile su [a,b]. Il caso in cui f sia decrescente e anal-ogo. Di piu, si deduce dal caso gia dimostrato: infatti se f decresce,allora −f cresce. Poiche e evidente che una funzione f e integrabile see solo se lo e −f, abbiamo concluso.

Osservazione. Il teorema precedente non da informazioni di alcuntipo sul valore di

∫ba f(x)dx. Ci dice soltanto che questo integrale di

Riemann esiste.

Come sappiamo, una funzione monotona non e necessariamenteuna funzione continua. Si potrebbe dimostrare che non puo essere“troppo” discontinua, ma questo va oltre gli scopi del nostro corso.Quindi, l’integrabilita delle funzioni continue non e un caso partico-lare del teorema sulle funzioni monotone. Purtroppo la dimostrazioneche tutte le funzioni continue sono integrabili richiede qualche faticaaggiuntiva, come impareremo nella prossima sezione.

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Page 165: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

7.2 la continuita uniforme e l’integrazionedelle funzioni continue

Ripensiamo alla definizione di continuita: una funzione f e continuanel punto x0 se per ogni ε > 0 esiste δ > 0, dipendente da ε e da x0,tale che |x−x0| < δ implichi |f(x)− f(x0)| < ε. Pensiamo alla continuitadella funzione x 7→ x2; si riesce a determinare esplicitamente un δ chesoddisfa questa condizione, ma non si puo pretendere che lo stesso δvada bene per ogni x0.5 Decisamente diverso e il caso della funzionex 7→ x. Per questa funzione, basta scegliere δ = ε, senza specificarein quale punto x0 stiamo verificando la continuita. Questa proprieta ecosı importante che le si attribuisce un nome speciale.

Definizione 7.13. Una funzione f : D ⊂ R→ R e uniformemente continuain D se per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che |f(x1) − f(x2)| < ε per ogniscelta di x1, x2 ∈ D tali che |x1 − x2| < δ.

La continuita uniforme e un concetto diverso dalla semplice conti-nuita: la funzione exp : R → (0,+∞), definita da exp x = ex, non euniformemente continua in R. Infatti, negare la definizione di conti-nuita uniforme significa dimostrare che: esiste ε > 0 tale che, sceltoarbitrariamente δ > 0, esistono punti x1 e x2 ∈ D tali che |x1 − x2| < δ

ma |f(x1) − f(x2)| > ε. Ora, se scegliamo δ > 0 abbastanza piccolo, ese poniamo x1 = δ+ 1/δ e x2 = 1/δ, ovviamente |x1 − x2| = δ e

| exp x1 − exp x2| = e1δ

∣∣∣eδ − 1∣∣∣ = δe 1δ ∣∣eδ − 1∣∣δ

→ +∞per δ → 0+. Per questa ragione, la funzione continua exp non puoessere uniformemente continua in R. L’ostacolo che si e frappostofra la continuita e la continuita uniforme e stato la possibilita di fartendere x1 e x2 all’infinito mentre δ → 0. Il prossimo risultato ci diceche tutte le funzioni continue su un intervallo chiuso e limitato sonoaddirittura uniformemente continue.

Teorema 7.14. Tutte le funzioni continue, definite su un intervallo chiuso elimitato della forma [a,b], sono uniformemente continue su tale intervallo.

Proof. Dimostreremo il teorema ragionando per assurdo. Se neghiamola definizione di continuita uniforme, arriviamo all’enunciato: esisteε? > 0 ed esistono due successioni {xn} ed {yn} di punti in [a,b] tali chelimn→+∞ |xn − yn| = 0 ma |f(xn) − f(yn)| > ε?. Ora, per il Teorema3.41, esistono due sottosuccessioni {xnk } di {xn} e {ynk } di {yn} tali chexnk → x∞ ∈ [a,b] e ynk → y∞ ∈ [a,b] per k → +∞, ma |f(xn) −

f(yn)| > ε?. L’ipotesi che limn→+∞ |xn − yn| = 0 implica x∞ = y∞,e la continuita di f implica che f(xnk) → f(x∞) e f(ynk) → y∞ perk→ +∞. Ma allora

0 < ε? 6 limk→+∞ |f(xnk) − f(ynk)| = f(x∞) − f(y∞) = 0.

5 Scriviamo un cenno della dimostrazione. Sia x0 6= 0, e fissiamo ε > 0. Seδ < ε/(2|x0|) e |x− x0| < δ, allora |x2− x20| = |(x− x0)(x+ x0)| < δ · 2|x0| < ε.E evidente che δ→ 0 se |x0|→ +∞. Questo rende impossibile la scelta di δ indipen-dentemente dal punto x0.

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Page 166: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Questa catena assurda di disuguaglianze implica che era assurda lanegazione della continuita uniforme. Pertanto, f e uniformemente con-tinua.

Osserviamo che la funzione x ∈ R 7→ x2 ∈ [0,+∞) non e uniforme-mente continua, come si puo verificare imitando il ragionamento utiliz-zato per la funzione exp. Lo e invece ogni sua restrizione a intervallichiusi e limitati. Per inciso, questo dovrebbe convincere lo studenteche l’insieme di definizione di una funzione e tanto importante quantola formula analitica che la rappresenta.

Abbiamo ormai a nostra disposizione tutti gli ingredienti per formu-lare e dimostrare un teorea di integrabilita per le funzioni continue suun intervallo.

Teorema 7.15. Una funzione continua f : [a,b]→ R e integrabile.

Proof. Per il teorema UC di uniforme continuita, la funzione f e uni-formemente continua. Dato ε > 0, esiste δ > 0 tale che |f(x1)− f(x2)| <

ε/(b− a) per ogni scelta di x1, x2 ∈ [a,b] tali che |x1 − x2| < δ. SiaP = {x0, . . . , xn} una partizione di ampiezza σ(P) < δ. Allora

U(P, f) − L(P, f) =n∑i=1

(Mi −mi)∆xi

6n∑i=0

ε

b− a(xi − xi−1) =

ε

b− a(b− a) = ε.

poiche |xi − xi−1| < δ e di conseguenza Mi −mi < εb−a . Abbiamo

costruito una partizione P che soddisfa la (7.2), dunque f e integrabile.

Osservazione 7.16. La dimostrazione dell’integrabilita delle funzionicontinue e sempre un momento delicato, qualunque sia la costruzionedell’integrale che decidiamo di privilegiare. In effetti, c’e gia qual-cosa di fuorviante nella terminologia. Le funzioni integrabili non sonoquelle continue, bensı quelle uniformemente continue. E la sovrappo-sizione della continuita alla compattezza dell’intervallo [a,b] che garan-tisce l’integrabilita; se l’intervallo di integrazione fosse illimitato, op-pure della forma (a,b], o ancora [a,b), non potremmo affermare chetutte le funzioni continue sono integrabili.

Piu in generale, si dimostra il seguente risultato di integrabilita.Avvisiamo lo studente che la dimostrazione e abbastanza complicata.

Teorema 7.17. Una funzione limitata f : [a,b] → R, avente un numerofinito di punti di discontinuita, e integrabile.

Proof. Fissato arbitrariamente ε > 0, poniamo

M = maxx∈[a,b]

|f(x)|

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e sia E l’insieme (costituito da un numero finito di elementi) dove fe discontinua. Siccome E e un insieme finito, possiamo ricoprirlo conun numero finito di intervalli aperti [uj, vj] in modo che |vj − uj| < ε.Inoltre possiamo pensare di posizionare questi intervalli in modo cheogni elemento dell’insieme E ∩ (a,b) sia contenuto in qualche (uj, vj).Rimuoviamo ora gli intervalli (uj, vj) da [a,b]. L ’insieme K che restae chiuso e limitato. Quindi f e uniformemente continua su K: esiste al-lora δ > 0 tale che |f(x)− f(y)| < ε se x, y ∈ K e |x−y| < δ. Costruiamoadesso una partizione P di [a,b] come segue:

1. ogni uj ed ogni vj appartengono a P;

2. nessun punto di (uj, vj) appartiene a P;

3. se xj non e uno dei punti uj, allora ∆xj < δ.

Osserviamo che Mi −mi 6 2M per ogni i, e che Mi −mi 6 ε a menoche xi−1 non sia uno dei punti uj. Pertanto

U(P, f) − L(P, f) 6 (b− a)ε+ 2Mε.

Dal momento che ε e arbitrario, abbiamo dimostrato l’integrabilit a dif.

Osservazione 7.18. Al di la dei tecnicismi, l’idea della dimostrazionepuo essere riassunta cosı: si tolgono da [a,b] dei piccoli intorni di ognipunto di discontinuita, e si osserva che le somme di Riemann si spez-zano in due. Da un lato le somme dove f risulta continua e quindi inte-grabile. Dall’altra le somme relative ai piccoli intorni appena costruiti.

Ricordando che somme, prodotti, quozienti di funzioni continuesono ancora funzioni continue, alla luce del teorema di integrabilitaper le funzioni continue siamo spinti a credere che l’integrabilita rispettile usuali operazioni aritmetiche. Questo e vero, ma naturalmenterichiede una dimostrazione indipendente dalla continuita. Ci limiti-amo all’enunciato preciso.

Teorema 7.19. Siano f e g due funzioni limitate, definite sull’intervallo [a,b].Se f e g sono integrabili, allora le funzioni f+ g ed fg sono integrabili. Perogni costante reale c, la funzione cf e integrabile. Se g(x) 6= 0 per ognix ∈ [a,b], allora anche f/g e integrabile. Valgono inoltre le formule∫b

af(x) + g(x)dx =

∫baf(x)dx+

∫bag(x)dx,∫b

acf(x)dx = c

∫baf(x)dx∣∣∣∣∣

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ 6∫ba|f(x)|dx.

Dobbiamo rifuggire dalla tentazione di estendere al prodotto fg e alquoziente f/g le formule di integrazione. Non e vero che l’integraledel prodotto e il prodotto degli integrali! Gli esempi si sprecano, e li

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Page 168: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

vedremo quando sapremo come calcolare di fatto un integrale definitodi una funzione assegnata.

L’integrale di Riemann gode poi di una proprieta molto interessante:l’additivita rispetto al dominio di integrazione.

Proposizione 7.20. Sia f : [a,b] → R una funzione integrabile. Se c ∈[a,b], allora f e integrabile su [a, c] e su [c,b], e risulta∫b

af(x)dx =

∫caf(x)dx+

∫bcf(x)dx.

L’ultima operazione inportante da analizzare e quella di compo-sizione. Si preserva l’integrabilita componendo funzioni integrabili?Sı e no: la funzione “esterna” deve essere almeno continua. Vale pre-cisamente il seguente teorema.

Teorema 7.21. Sia f : [a,b] → R una funzione integrabile su [a,b], e sup-poniamo che c 6 f(x) 6 d per ogni x ∈ [a,b]. Sia ϕ : [c,d] → R unafunzione continua. Allora la funzione composta ϕ ◦ f : [a,b] → R e integra-bile su [a,b].

Deduciamo una conseguenza notevole: se f e positiva ed integrabile,anche ogni potenza ad esponente reale positivo di f e ancora integra-bile. Anche x 7→ ef(x) e integrabile. Lasciamo al lettore il piacere dicostruirsi altri corollari dei risultati precedenti sull’integrabilita.

7.3 il teorema fondamentale del calcolointegrale

Arriviamo cosı al momento piu atteso da ogni studente: la “regoletta”per calcolare gli integrali. In altri termini, la formula che esprime illegame fra l’integrale definito e le primitive di una funzione assegnata.Ci arriveremo con la dovuta calma, passando attraverso una formula“esplicita” per scrivere le primitive di una funzione continua.

Teorema 7.22. Sia f : [a,b]→ R una funzione limitata e integrabile. Allorala funzione definita da

F(x) =

∫xaf(t)dt, (a 6 x 6 b) (7.3)

e continua. Se f e continua nel punto x0 ∈ [a,b], allora F e derivabile in x0e F ′(x0) = f(x0).

Proof. Sia M = supx∈[a,b] |f(x)|. Allora, presi x < y in [a,b], abbiamoche

|F(y) − F(x)| =

∣∣∣∣∫yxf(t)dt

∣∣∣∣ 6 ∫yx|f(t)|dt 6M(y− x).

Quindi F e addirittura uniformemente continua. Supponiamo che f siacontinua in un certo x0. Fissiamo ε > 0 e sappiamo che esiste δ > 0

tale che |x− x0| < δ implica |f(x) − f(x0)| < ε. Allora, se |h| < δ,∣∣∣∣F(x0 + h) − F(x0)h− f(x0)

∣∣∣∣ 6 1

h

∫x0+hx0

|f(t) − f(x0)|dt 6 ε,

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Page 169: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e questo dimostra che

F ′(x0) = limh→0

F(x0 + h) − F(x0)

h= f(x0).

La dimostrazione e conclusa.

Abbiamo appena visto che tutte le funzioni continue su un inter-vallo hanno una primitiva abbastanza esplicita, ottenibile mediante in-tegrazione definita. Sottolineiamo che non si puo prescindere dallacontinuita di f. Infatti, prendiamo a = 0 e b = 2. La funzione discon-tinua

f(x) =

{0 se 0 6 x 6 11 se 1 < x 6 2

definisce la funzione integrale F(x) =∫x0 f(t)dt mediante la formula

F(x) =

{0 se 0 6 x 6 1x− 1 se 1 < x 6 2.

Questa funzione F e continua, ma non e una primitiva di f. Infatti,la derivata di F nel punto x = 1 non esiste, trattandosi di un puntoangoloso.

Il risultato che segue, noto sotto il nome di Teorema di Torricelli–Barrow, contiene un primo legame fra integrazione definita e inte-grazione indefinita.

Teorema 7.23. Sia f : [a,b] → R una funzione continua. Se F e una primi-tiva di f, cioe F e derivabile in ogni punto e F ′ = f, allora∫b

af(x)dx = F(b) − F(a).

Proof. Poniamo G(x) =∫xa f(t)dt. Il teorema precedente ci mostra che

G e una primitiva di f, e pertanto

d

dx(F(x) −G(x)) = f(x) − f(x) = 0.

Quindi esiste un numero k reale tale che F(x) − G(x) = k per ognix ∈ [a,b]. Scegliendo x = a, vediamo che F(a) − 0 = k, cioe k = F(a).Quindi ∫b

af(x)dx = G(b) = F(b) − k = F(b) − F(a).

La dimostrazione e conclusa.

Questo enunciato e molto importante, e la dimostrazione propostadipende in modo cruciale dalla continuita della funzione integranda f.Tuttavia questa ipotesi non serve. Il prezzo da pagare e quello di unadimostrazione piu complicata.

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Teorema 7.24. Sia f : [a,b] → R una funzione integrabile. Se F e unaprimitiva di f, cioe F e derivabile in ogni punto e F ′ = f, allora∫b

af(x)dx = F(b) − F(a).

Proof. Sia ε > 0. Sappiamo che l’integrabilita di f implica l’esistenzadi una partizione P = {x0, . . . , xn} tale che U(P, f) − L(P, f) < ε. Perogni i = 1, . . . ,n, il teorema di Lagrange applicato alla funzione F cidice che esiste ti ∈ [xi−1, xi] tale che F(xi) − F(xi−1) = f(ti)∆xi. Dalmomento che ti ∈ [xi−1, xi], avremo mi 6 f(ti) 6Mi, e dunque∣∣∣∣∣

∫baf(x)dx−

n∑i=1

f(ti)∆xi

∣∣∣∣∣ < ε.Inoltre,

F(b) − F(a) = [F(x1) − F(x0)] + [F(x2) − F(x1)] + · · ·+ [F(xn) − F(xn−1)]

=

n∑i=1

F(xi) − F(xi−1).

Deduciamo che∣∣∣∣∣F(b) − F(a) −∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ =

∣∣∣∣∣n∑i=1

F(xi) − F(xi−1) −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣=

∣∣∣∣∣n∑i=1

f(ti)∆xi −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ < ε.Questo conclude la dimostrazione.

Osservazione 7.25. Ci sembra utile proporre il seguente argomentoper la dimostrazione del teorema precedente. Fissata arbitrariamenteuna partizione P di [a,b], per ogni indice i esiste un punto ti ∈[xi−1, xi] tale che F(xi) − F(xi−1) = f(ti)∆xi. Sommando rispetto ai, otteniamo

F(b) − F(a) =

n∑i=1

F(xi) − F(xi−1) =

n∑i=1

f(ti)∆xi, (?)

e a destra dell’ultimo segno di uguaglianza riconosciamo una sommadi Riemann per la funzione f. Invocando allora il Teorema 6.8, ci sem-brerebbe lecito far tendere a zero l’ampiezza σ(P) della partizione P edi concludere che∫b

af(x)dx = lim

σ(P)→0

n∑i=1

f(ti)∆xi = F(b) − F(a).

La dimostrazione e cosı terminata. Ne siamo proprio sicuri? La rispostae che questa non e una dimostrazione corretta. Fare il limite dellesomme di Riemann significa che per ogni ε > 0 esiste δ > 0 tale che,

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per ogni partizione P di ampiezza σ(P) < δ e per ogni scelta dei puntiti ∈ [xi−1, xi] si ha∣∣∣∣∣

n∑i=1

f(ti)∆xi −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ < ε.Invece, nel nostro ragionamento, i punti ti sono opportunamente scelti.Spostandoli anche solo di poco, la relazione (?) diventa in generalefalsa! Si potrebbe dimostrare con poca fatica che le cose vanno a postoquando f e continua, dal momento che piccoli spostamenti dei puntiti comportano piccoli spostamenti dei valori f(ti). Ma il teorema fon-damentale del calcolo per le funzioni continue ha una dimostrazioneancora piu elementare che abbiamo gia proposto.

Ricapitolando, per calcolare un integrale definito basta procurarsiuna primitiva e applicare il teorema di Torricelli.

Un’estensione pressoche immediata al concetto di primitiva e il seguente.

Definizione 7.26. Sia (a,b) un intervallo, e sia f : (a,b) → R. Si dice cheF : (a,b) → R e una primitiva in senso esteso di f se F e continua in ognipunto di (a,b), se F e derivabile in (a,b) eccetto al piu un numero finito dipunti x1, . . . , xn, e se F ′(x) = f(x) per ogni x ∈ (a,b) \ {x1, . . . , xn}.

Invitiamo lo studente a dimostrare che se F e G sono due primitivein senso esteso di una certa f, allora F e G differiscono per una costante.Suggerimento: su ciascuno degli intervalli [x1, x2], [x2, x3], ecc. la fun-zione F −G ha derivata nulla. Quindi essa e costante su ognuno diquesti intervalli. Il punto e che le varie costanti potrebbero essere di-verse: F(x) −G(x) = C1 in [x1, x2], F(x) −G(x) = C2 in [x2, x3], e cosıvia. La continuita di F e di G, assunta per ipotesi nella definizioneprecedente, obbliga tuttavia queste costanti a coincidere. La conclu-sione e ormai a portata di mano.

7.4 un secondo sguardo sull’integraledi riemann

La costruzione dell’integrale di Riemann mediante le approssimazioniper eccesso e per difetto dell’area sottesa permette un approccio deltutto equivalente, ma secondo alcuni piu naturale.

Riprendiamo la definizione di L(P, f): fissata una partizione P =

{x0, . . . , xn} di [a,b], la quantita

L(P, f) =n∑i=0

mi∆xi

rappresenta in realta l’integrale di una funzione molto particolare, eprecisamente la fuzione che vale mi nell’intervallo (xi−1, xi), e zero al-

170

Page 172: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

-10 -5 5 10

0.2

0.4

0.6

0.8

1.0

Figure 8: Funzione caratteristica dell’intervallo [1, 2].

trove. Il grafico di questa funzione ha la forma di una “scala” costituitada “gradini” di altezza mi. Similmente,

U(P, f) =n∑i=0

Mi∆xi

e l’integrale della funzione che vale Mi in (xi−1, xi), e zero altrove.Ricordando che mi = inf{f(x) | xi−1 6 x < xi} e Mi = sup{f(x) |

xi−1 6 x < xi}, e chiaro che il grafico di f e ovunque racchiuso fra idue grafici a scala cosı costruiti.

Definizione 7.27. Se I ⊂ R, la funzione caratteristica di I e la funzionedefinita dalla formula

χI(x) =

{1 se x ∈ I0 se x /∈ I.

Definizione 7.28. Sia [a,b] un intervallo di R. Una funzione a scala e unafunzione della forma

n∑i=0

ciχ[xi−1,xi),

dove {x0, . . . , xn} e una partizione di [a,b].

Definizione 7.29. L’integrale di una funzione a scalaϕ =∑ni=0 ciχ[xi−1,xi)

e il numero reale∫baϕ(x)dx =

n∑i=0

ci∆xi.

Osservazione 7.30. Questa definizione richiederebbe qualche ulterioreriflessione. Purtroppo, ci sono infiniti modi di rappresentare la stessa

171

Page 173: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

funzione a scala. Non siamo convinti? Ragioniamo su un esempiomolto elementare. Consideriamo la funzione a scala ϕ = χ[0,1]. Sitratta della funzione che vale 1 nell’intervallo [0, 1], e 0 altrove. Ovvi-amente, ϕ = χ[0,1/2) + χ[1/2,1] e un’altra formula per la stessa fun-zione a scala. Ma possiamo andare avanti: ϕ = χ[0,1/3) + χ[1/3,2/3) +

χ[2/3,1]. Quello che pero non dipende dalla particolare formula utiliz-zata e proprio l’integrale di ϕ. D’altronde, questo non ci sorprende,poiche l’area di un rettangolo puo essere calcolata dividendo il ret-tangolo in tanti rettangolo piu piccoli, sommando infine le aree mi-nori. Questa osservazione ha carattere generale, e l’integrale di unafunzione a scala e indipendente dalla particolare scrittura scelta perrappresentarla. Per gli studenti piu interessati, riportiamo di seguitol’enunciato preciso con la dimostrazione. Essendo piuttosto tecnica,puo senz’altro essere omessa in una prima lettura.

Lemma 7.31. Se∑ni=0 ciχ[xi−1,xi) e

∑ni=0 diχ[yi−1,yi) sono due rappre-

sentazioni della stessa funzione a scala ϕ, allora∫ba

n∑i=0

ciχ[xi−1,xi) =

∫ba

n∑i=0

diχ[yi−1,yi).

Proof. Per comodita, poniamo Ii = [xi−1, xi) e Ji = [yi−1,yi). Se X eun insieme arbitrario, vale la relazione insiemistica

X = X∩ [a,b] = X∩n⋃i=0

Ji =

n⋃i=0

X∩ Ji.

Indichiamo con m(I) = β − α la lunghezza del generico intervalloI = [α,β]. Allora

m(Ik) =

n∑h=0

m(Ik ∩ Jh)

m(Jh) =

n∑k=0

m(Ik ∩ Jh).

Quindi∑k

ckm(Ik) =∑h,k

ckm(Ik ∩ Jh)∑h

dhm(Jh) =∑h,k

dhm(Ik ∩ Jh).

Per concludere la dimostrazione, basta verificare che m(Ik ∩ Jh) 6= 0

implica ck = dh. Ma questo e abbastanza evidente: nell’intersezioneIk ∩ Jh, che non e vuota perche e un intervallo di lunghezza positiva,la funzione a scala ϕ vale assume simultaneamente i valori ck e dh.Quindi ck = dh.

Definizione 7.32. Se f : [a,b] → R e una funzione, denoteremo con S− lafamiglia delle funzioni a scala minori di f, e con S+ la famiglia delle funzionia scalala maggiori di f.

172

Page 174: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Ricordando le definizioni di estremo inferiore e superiore, deduci-amo che∫b

af(x)dx = sup

P

L(P, f) = supϕ∈S−

∫baϕ(x)dx

∫baf(x)dx = inf

PL(P, f) = inf

ψ∈S+

∫baψ(x)dx

In particolare, otteniamo il seguente criterio di integrabilita.

Teorema 7.33. La funzione f e integrabile (secondo Riemann) nell’intervallo[a,b] se e solo se, per ogni ε > 0 esistono due funzioni a scala ϕ e ψ tali cheϕ 6 f 6 ψ e∫b

a(ψ(x) −ϕ(x))dx < ε. (7.4)

Questo teorema e semplicemente una riformulazione della condizione(7.2), letta con il linguaggio delle funzioni a scala. In pratica, l’integrabilitasecondo Riemann consiste nella possibilita di costruire una funzione ascala piu piccola di f, una funzione a scala piu grande di f, che abbianoaree sottese arbitrariamente vicine.

Osservazione 7.34. Vogliamo sottolineare che in questa sezione nonc’e alcun concetto innovativo: abbiamo solo cambiato “dialetto”. Ineffetti, sarebbe possibile costruire l’integrale di Riemann come limitedegli integrali di funzioni a scala che convergono (in senso opportuno)alla funzione f. Si tratta di un approccio robusto e potente alla teoriadell’integrazione, ma il prezzo da pagare e quello di apprendere i rudi-menti dell’Analisi Funzionale Lineare. Il lettore interessato (e moltointraprendente) puo leggere l’articolo originale [12] di P. J. Daniell. Untesto piu moderno e [21], dove la teoria dell’integrazione e presentatasecondo la tradizione francese della scuola bourbakista.

7.5 applicazioni al calcolo degli inte-grali definiti

Ricordiamo che la formula di derivazione

(fg) ′ = f ′g+ fg ′

conduce alla regola di integrazione per parti (si veda anche il paragrafosuccessivo)∫

f(x)g ′(x)dx = f(x)g(x) −

∫f ′(x)g(x)dx.

Il teorema fondamentale del calcolo integrale ci dice immediatamenteche ∫b

af(x)g ′(x)dx = f(b)g(b) − f(a)g(a) −

∫baf ′(x)g(x)dx.

173

Page 175: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Un po’ piu complicata e la formula per calcolare correttamente gli inte-grali definiti per sostituzione. Se x = g(t), t ∈ [c,d], e un cambiamentodi variabile monotono crescente,6 allora∫b

af(x)dx =

∫g−1(b)g−1(a)

f(g(t))g ′(t)dt. (7.5)

Se invece x = g(t), t ∈ [c,d], e un cambiamento di variabile monotonodecrescente, dobbiamo usare la formula∫b

af(x)dx =

∫g−1(a)g−1(b)

f(g(t))g ′(t)dt. (7.6)

Occorre fare molta attenzione alle formule (7.5) e (7.6). Queste ci di-cono che integrando per sostituzione gli estremi di integrazione vannocambiati. Vediamo un esempio: vogliamo calcolare∫2

1

log xx

dx.

Ponendo x = g(t) = et, la formula (7.5) afferma che∫21

log xx

dx =

∫ log2

log1

t

etet dt =

∫ log2

0t dt =

1

2(log 2)2.

Invitiamo gil studenti a fare molto esercizio per memorizzare questeformule. Uno degli errori piu diffusi e quello di dimenticarsi di cam-biare gli estremi di integrazione.

Osservazione 7.35. Dalla discussione appena fatta, discende che il cal-colo di un integrale definito in cui sia necessario operare per sosti-tuzione puo essere svolto in due modi:

1. lavorando sempre con l’integrale indefinito, e applicando il teo-rema fondamentale solo come ultimo passaggio;

2. lavorando direttamente sull’integrale definito, ricordando sem-pre di cambiare gli estremi di integrazione coerentemente con ilcambiamento di variabile.

7.6 cenni sulla ricerca delle primitiveL’insegnamento del paragrafo precedente e che occorre sviluppare unacerta manualita nel calcolo delle primitive. Ricordiamo che

Definizione 7.36. Una funzione F e una primitiva di una funzione f sull’intervalloI se F e derivabile in I e risulta F ′(x) = f(x) per ogni x ∈ I.

Osservazione 7.37. Se calcolare la derivata di una funzione la cui for-mula si compone di funzioni elementari e sempre possibile mediante

6 E sottinteso in questa espressione che g sia derivabile.

174

Page 176: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

le regole di calcolo dimostrate prima, il calcolo delle primitive dellefunzioni elementari pu o sconfinare dall’ambito delle funzioni elemen-tari stesse. Per capirci, si puo dimostrare che la funzione x 7→ ex

2non

possiede primitive esprimibili mediante formule elementari. Ovvia-mente questa funzione possiede primitive in quanto si trata di unafunzione continua. Il punto e che non riusciremo mai a scriverle es-plicitamente mediante il solo utilizzo di funzioni elementari.

Innanzitutto, quante solo le primitive di una data funzione?

Proposizione 7.38. Dati un intervallo I ed una funzione f, due primitive dif differiscono per una costante additiva.

Proof. Siano F1 ed F2 due primitive di f su I. Poiche

(F1 − F2)′ = F ′1 − F

′2 = f− f = 0 in I,

la funzione F1− F2 e costante in I. Quindi esiste C ∈ R tale che F1(x) =F2(x) +C per ogni x ∈ I.

Quindi, se vogliamo trovare le primitive di una funzione su un in-tervallo, occorre e basta trovarne una: tutte le altre differiranno da essaper costanti additive. Con un certo abuso di notazione, sottintendiamol’intervallo I e scriviamo∫

f(x)dx = {F | F e una primitiva di f su I} . (7.7)

Osservazione 7.39. La notazione per la collezione delle primitive e am-bigua. Come accennato, non fa menzione dell’intervallo I. Purtroppo,la notazione intuitiva∫

If(x)dx

e gia utilizzata per indicare l’integrale definito esteso all’intervallo I.Alcuni testi propongono notazioni piu asettiche ma piu precise, adesempio I(f, I). Inoltre, occorrerebbe maggiore attenzione nella ma-nipolazione del simbolo di integrale indefinito; si tratta di un insieme,e non gia di una singola funzione. Dovremmo ad esempio scriveresin ∈

∫cos xdx. Sembra un errore di stampa, vero?

Questo pero non ci aiuta nel calcolo effettivo delle primitive. Inoltre,la definizione non e operativa, a differenza di quella di derivata. Peraffrontare questo problema, cominciamo ad osservare che ogni tabelladi derivate e automaticamente una tabella di primitive. Ad esempio,dalla regola

d

dxsin x = cos x

deduciamo che una primitiva della funzione coseno e la funzione seno.Inoltre, le regole algebriche per il calcolo differenziale diventano (parzial-mente) ergole per il calcolo delle primitive. Infatti, se k e una costantereale,∫

(f(x) + g(x)) dx =

∫f(x)dx+

∫g(x)dx,

175

Page 177: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

∫k · f(x)dx = k ·

∫f(x)dx.

Non e ovviamente vero che la primitiva di un prodotto di funzioni siail prodotto delle corrispondenti primitive! La formula di Leibniz perla derivazione dei prodotti da origine alla regola di integrazione perparti.

Proposizione 7.40 (Integrazione per parti). Se f 4 g sono due funzioniderivabili in un intervallo I, allora∫

f(x)g ′(x)dx = f(x)g(x) −

∫f ′(x)g(x)dx. (7.8)

Proof. Dalla formula di Leibniz D(fg) = Df · g+ f ·Dg segue immedi-atamente che

f(x)g(x) =

∫f ′(x)g(x)dx+

∫f(x)g ′(x)dx,

cioe la formula della proposizione.

Vediamo come si applica, in pratica, questa formula. Supponiamo divoler calcolare

∫xex dx. Come scegliere f e g? Abbiamo due possibilit

a:

1. f(x) = x e g ′(x) = ex

2. f(x) = ex e g ′(x) = x.

Nel primo caso, la Proposizione precedente dice che∫xex dx = xex −

∫ex dx = xex − ex +C.

Nel secondo caso,∫xex dx =

x2

2ex −

∫x2

2ex dx.

E evidente che la seconda alternativa ha complicato il calcolo dell’integraleindefinito, mentre la prima l’ha risolto. Come “vedere” la scelta giusta?Non ci sono ricette universali, ed e soprattutto l’esperienza che perme-tte di scegliere la strada migliore senza perdersi in calcoli inutili ecomplicati.

Se fin qui abbiamo dato spazio alle regole algebriche, ci manca an-cora un metodo generale per affrontare la ricerca delle primitive difunzioni ottenute mediante composizione.

Proposizione 7.41 (Integrazione per sostituzione). Siano f ed x due fun-zioni derivabili e tali che la composizione f ◦ x abbia significato in un certointervallo. Allora∫

f ′(x(t))x ′(t)dt = f(x(t)) +C. (7.9)

176

Page 178: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proof. Per la regola della catena,

d

dtf(x(t)) = f ′(x(t))x ′(t),

sicche f(x(t)) +C =∫f ′(x(t))x ′(t)dt.

Questa formula e molto meno trasparente di quella di integrazioneper parti. In pratica, il metodo sembra potersi applicare solo alle fun-zioni integrande di un tipo molto particolare, cioe (f ◦ x)x ′. Vediamoora S un esempio molto semplice di applicazione. Si voglia calcolare∫ex+2 dx. Se poniamo f ′(x) = ex e t = x+ 2, allora x = x(t) = t− 2

e derivabile e l’integarle proposto si risolve con la formula di inte-grazione per sostituzione:∫

ex+2 dx =

∫f ′(x(t))x ′(t)dt = et +C = ex+2 +C.

Ecco un secondo esempio: calcolare∫x sin(x2)dx. Poniamo x2 = t,

in modo che x = x(t) = ±√t. Quindi x ′(t) = ± 1

2√t

e l’integralediventa∫

±√t sin t

(± 1

2√t

)dt =

∫1

2

∫sin t dt = −

1

2cos t+C.

Torniamo infine alla variabile x, e poiche t = x2 possiamo scrivere∫x sin(x2)dx = −

1

2cos(x2) +C.

Osservazione 7.42. Nell’ultimo esempio abbiamo cercato di proporrelo schema pratico dell’integrazione per sostituzione, che appare unpo’ diverso dal contenuto della Proposizione 7.41. Per accertarsi dinon aver commesso qualche ingenuo errore di calcolo, lo studente esenz’altro invitato a verificare la correttezza della propria soluzionefacendo la derivata della (presunta) primitiva. Se il risultato e esat-tamente la funzione da integrare, allora l’esercizio e corretto. Nelprossimo paragrafo lo studente puo trovare una motivazione un po’formale del funzionamento del metodo di sostituzione.

Osservazione 7.43. Capita spesso di leggere interi paragrafi di libridi testo dedicati ai cosiddetti “integrali quasi immediati”. Si tratta diquegli integrali che si presentano sotto la forma generale∫

g(f(x))f ′(x)dx,

dove f e g sono due funzioni assegnate. In realta, questi sono integralibanalmente calcolabili per sostituzione: infatti, ponendo t = t(x) =

f(x), osserviamo che t ′(x) = f ′(x), sicche∫g(f(x))f ′(x)dx =

∫g(t)dt,

177

Page 179: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e basta allora procurarsi una primitiva G di g per concludere che

∫g(f(x))f ′(x)dx = G(f(x)) +C.

Il secondo esempio visto sopra era in realta di questo tipo: infatti

∫x sin(x2)dx =

1

2

∫(2x) sin(x2)dx,

e riconosciamo un integrale “quasi immediato” nel quale f(x) = x2 eg(x) = sin x.

Se queste sono le uniche regole generali di calcolo delle primitive,questo non significa che siamo capaci di calcolare tutti gli integraliindefiniti che possiamo concepire. Anche escludendo quei casi chenon possiedono primitive esprimibili mediante funzioni elementari, ilcalcolo di una primitiva puo richieder l’uso ripetuto e/o sovrappostodelle regole studiate, oltre naturalmente ad “astuzie” di natura alge-brica o analitica. Insomma, il calcolo integrale mette alla prova lospirito di osservazione dello studente, e costituisce certamente il primoostacolo che la sola applicazione di regole meccaniche non permettonodi aggirare.

Nel prossimo paragrafo ci occuperemo dell’integrazione indefinitadi un’ampia classe di funzioni, e saremo costretti ad utilizzare alcuni“trucchi” per semplificare il nostro lavoro.

7.7 integrazione delle funzioni razion-ali fratte

Per evitare eccessivi tecnicismi, ma soprattutto per non dover accettarecome atto di fede il teorema di decomposizione delle funzioni razionalifratte, ci limiteremo a trattare il caso delle funzioni razionali fratte condenominatore di grado non superiore a due. Le seguenti formule sonotratte da [2]: per a 6= 0,

∫dx

ax2 + bx+ c=

2√4ac− b2

arctan2ax+ b√4ac− b2

, b2 − 4ac < 0

1√b2 − 4ac

log

∣∣∣∣∣2ax+ b−√b2 − 4ac

2ax+ b+√b2 − 4ac

∣∣∣∣∣ , b2 − 4ac > 0

−2

2ax+ b, b2 = 4ac.

178

Page 180: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

La forma analitica delle primitive dipende essenzialmente dal segnodi ∆ = b2 − 4ac. I calcoli seguenti dovrebbero risvegliare qualchericordo nella mente dello studente: per a 6= 0,

ax2 + bx+ c = a

(x2 +

b

ax+

c

a

)= a

((x+

b

2a

)2+c

a−b2

4a2

)

= a

((x+

b

2a

)2+4ac− b2

4a2

)

= a

((x+

b

2a

)2−

4a2

)Vediamo che, per risolvere l’equazione algebrica di secondo grado

ax2 + bx+ c = 0

dobbiamo risolvere

a

((x+

b

2a

)2−

4a2

)= 0,

e cioe(x+

b

2a

)2−

4a2= 0.

Ma questa equazione e facile:

x+b

2a= ±

√∆

4a2= ±√∆

2a.

Lo studente non manchera di notare che abbiamo ricavato la celeber-rima formula risolutiva per le equazioni (algebriche) di secondo grado:

x =−b±

√∆

2a.

La presenza della radice quadrata di ∆ ci costringe a distinguere trecasi:

1. ∆ > 0

2. ∆ < 0

3. ∆ = 0.

Cominciamo dall’ultimo caso. Il polinomio ax2 + bx+ c possiede dueradici reali coincidenti:

x1 = x2 = −b

2a.

Inoltre ax2 + bx+ c = a(x− x1)2. Quindi∫dx

ax2 + bx+ c=1

a

∫dx

(x− x1)2= −

1

a

1

x− x1= −

2

2ax+ b.

179

Page 181: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Il caso ∆ > 0 si tratta come nel seguito. Il nostro polinomio di secondogrado possiede le due radici reali distinte

x1 =−b−

√∆

2a, x2 =

−b+√∆

2a.

Percio ax2 + bx+ c = a(x− x1)(x− x2), e∫dx

ax2 + bx+ c=1

a

∫ddx

(x− x1)(x− x2).

Cerchiamo due numeri reali A e B tali che

1

(x− x1)(x− x2)=

A

x− x1+

B

x− x2

per ogni x /∈ {x1, x2}. Mettendo a denominatore comune e operandoqualche semplificazione, otteniamo

1 = (A+B)x−Ax2 −Bx1

per ogni x /∈ {x1, x2}. Affiche questo sia vero, il coefficiente della xa secondo membro deve essere uguale al coefficiente della x a primomembro (cioe 0), e i termini noti devono coincidere. Pertanto occorrerisolvere il sistema lineare in due equazioni{

A+B = 0

Ax2 +Bx1 = −1.(7.10)

La soluzione si trova facilmente per sostituzione:{A = 1/(x1 − x2)

B = −1/(x1 − x2).

Dunque

1

(x− x1)(x− x2)=

1

x1 − x2

1

x− x1−

1

x1 − x2

1

x− x2.

Infine,∫dx

ax2 + bx+ c=

1

a

∫dx

(x− x1)(x− x2)

=1

a

(1

x1 − x2log |x− x1|−

1

x1 − x2log |x− x2|

)=

1

a(x1 − x2)log∣∣∣∣x− x1x− x2

∣∣∣∣ .Sostituendo i valori di x1 e x2 e facendo qualche calcolo algebrico, siarriva alla formula scritta all’inizio di questo paragrafo.

L’ultimo caso e quello in cui ∆ < 0, ed e noto che il nostro poli-nomio di secondo grado non possiede radici reali. Probabilmente al-cuni studenti sanno che esso possiede invece due radici complesseconiugate. Non avendo discusso i numeri complessi, e visto che non

180

Page 182: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

ne trarremmo alcun vantaggio concreto, evitiamo di insistere su taleterminologia. Per integrare la funzione razionale ci basta osservareche

ax2 + bx+ c = a

(x2 +

b

ax+

c

a

)e che

x2 +b

ax+

c

a=

(x+

b

2a

)2+c

a−b2

4a2.

Poiche ∆ < 0, esiste k ∈ R tale che

k2 =c

a−b2

4a2.

La sostituzione t = x+ b2a ci conduce all’integrale

1

a

∫dt

t2 + k2=

1

ak2

∫dt

( tk )2 + 1

.

L’ulteriore sostituzione u = t/k risolve l’ultimo integrale:

1

ak2

∫dt

( tk )2 + 1

=1

ak2

∫k

u2 + 1du =

1

akarctanu+C =

1

akarctan

t

k+C.

Ricordando che t = x+ b2a ed esplicitando il valore di k, si arriva dopo

qualche passaggio all’integrale voluto.Sconsigliamo allo studente di imparare a memoria i risultati: lo

sforzo non e banale, ed e certo piu importante saper riprodurre i ra-gionamenti nel caso concreto.

Osservazione 7.44. Come sempre, non esiste necessariamente un unicomodo di esprimere una primitiva. Si consideri l’esempio∫

dx1− x2

.

Si tratta evidentemente di una integranda di tipo razionale fratto. Ovvi-amente 1− x2 = (1− x)(1+ x), e dunque

1

1− x2=1

2

1

1− x−1

2

1

1+ x

e l’integrale diventa immediato:∫dx

1− x2=1

2log |1− x|−

1

2log |1+ x|+C.

Molti software di calcolo simbolico propongono una primitiva moltodiversa:∫

dx1− x2

= arctanh x+C.

181

Page 183: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Ricordiamo che

sinh x =ex − e−x

2

cosh x =ex + e−x

2

tanh x =sinh xcosh x

.

Si verifica facilmente che7

(cosh x)2 − (sinh x)2 = 1,

e dividendo per (cosh x)2 si arriva all’identita

(cosh x)2 =1

1− (tanh x)2

Infine,

ddx

sinh x = cosh x

ddx

cosh x = sinh x

ddx

tanh x =1

(cosh x)2.

La funzione arctanh e definita come la funzione inversa di tanh. Lasua derivata vale

ddy

arctanhy =1

ddx tanh x

= (cosh x)2 =1

1− y2,

dove y = tanh x. pertanto∫dy

1− y2= arctanhy+C.

Nelle figure 7.1, 7.2 e 7.3 appaiono i grafici qualitativi delle funzioniseno iperbolico, coseno iperbolico e tangente iperbolica.

7.8 il differenzialeDefinizione 7.45. Una funzione lineare L : R → R e una funzione tale cheper ogni x, y ∈ R ed ogni α, β reali risulti L(αx+βy) = αL(x) +βL(y).

Osservazione 7.46. Non e difficile rendersi conto che tutte e sole lefunzioni lineari hanno la rappresentazione

L(x) = kx

per un valore opportuno di k ∈ R. In parole povere, le funzioni linearidi una variabile sono rappresentate da rette uscenti dall’origine degliassi cartesiani.

7 Si osservi la somiglianza con l’identita fondamentale della (tri)goniometria (sinα)2 +(cosα)2 = 1.

182

Page 184: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8

-2,4

-1,6

-0,8

0,8

1,6

2,4

Figure 9: la funzione sinh

-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8

-2,4

-1,6

-0,8

0,8

1,6

2,4

Figure 10: la funzione cosh

183

Page 185: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

-4,8 -4 -3,2 -2,4 -1,6 -0,8 0 0,8 1,6 2,4 3,2 4 4,8

-2,4

-1,6

-0,8

0,8

1,6

2,4

Figure 11: la funzione tanh

Osservazione 7.47. In certi settori della matematica elementare, e con-suetudine chiamare lineari le funzioni il cui grafico e rappresentato dauna retta. Questa terminologia non e compatibile con la definizioneprecedente, dato che una funzione quale f(x) = x + 1 non soddisfala condizione f(αx + βy) = αf(x) + βf(y) per ogni scelta di α, β,x ed y. Infatti, f(x + x) = (x + x) + 1 = 2x + 1 6= x + 1 + x + 1 =

2x+ 2 = f(x) + f(x). Nella matematica piu avanzata, si impara a chia-mare affini le funzioni rappresentate da una retta nel piano cartesiano.Nel seguito, ci atterremo scrupolosamente alla terminologia della nos-tra definizione.

Definizione 7.48. Una funzione f : (a,b) → R e differenziabile nel puntox0 ∈ (a,b) se esiste una funzione lineare L (dipendente ovviamente da x0)tale che

limh→0

f(x0 + h) − f(x0) − L(h)

h= 0. (7.11)

Il differenziale di f in x0, se esiste, viene indicato dal simbolo df(x0).

Osservazione 7.49. Dalla precedente osservazione, deriva che f e dif-ferenzialbile in x0 se e solo se esiste un numero reale k tale che

limh→0

f(x0 + h) − f(x0) − kh

h= 0,

e dunque se e solo se esiste un numero reale k tale che

k = limh→0

f(x0 + h) − f(x0)

h.

Dunque la differenziabilita in x0 coincide con la derivabilita in x0! Dipiu, df(x0) altro non e che la funzione lineare h 7→ f ′(x0)h.

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Page 186: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Perche abbiamo introdotto l’inutile concetto di differenziale se questocoincide (con leggero abuso di terminologia) con la derivata? Unarisposta raffinata ma poco corretta e che, per funzioni di due o piuvariabili, la derivata deve essere definita mediante il differenziale peravere tutte le proprieta buone che ci aspettiamo. Ma questa rispostanon ci soddisfa, dato che per funzioni di una variabile reale abiamovisto che e tutto tempo sprecato.

Una risposta suggestiva e che il differenziale permette di renderepi u intuitiva la formula di itnegrazione per sostituzione. Infatti, sex = x(t) e la sostituzione che vogliamo effettuare nell’integrale, allorapossiamo usare il concetto di differenziale per scrivere

dx = x ′(t)dt,

pensando che dt sia un piccolo incremento (quello che prima abbi-amo denotato con h). Dunque, al posto di dx dobbiamo scriverex ′(t)dt, e questo porta direttamente alla formula di integrazione persostituzione.

Osservazione 7.50. Capita spesso di leggere, sui testi piu tradizion-ali di calcolo differenziale, che i differenziali sono piu flessibili dellederivate perch e non richiedono che si specifichi da quali variabilidipendono le quantita in esame. Uno degli esempi classici e la leggedella fisica pV = nT , dove p e la pressione, V il volume e T la temper-atura (espressa in gradi Kelvin), mentre n e una costante. A questopunto, si dice che “differenziando” questa uguaglianza, si ottiene

pdV + V dp = ndT ,

qualunque siano le variabili indipendenti da cui dipendono p, V e T . Per-sonalmente, non trovo questa conclusione cosı eccitante ed innovativa.Il punto e che i matematici all’antica pensavano alle funzioni comea formule esplicite contenenti una o piu variabili indipendenti. Senon potevano scriverle, si sentivano molto a disagio. Per noi, ormai,e chiaro che la derivata opera sulle funzioni, indipendentemente dalnome scelto per le variabili indipendenti che la descrivono. Nonos-tante cio, i fisici matematici continuano ad utilizzare un linguaggiopittoresco e simpaticamente vintage, e guai a mostrarsi indifferenti!

7.9 il polinomio di taylor con resto in-tegrale

Ricordiamo che, per una funzione f : (a,b) → R derivabile n volte,vale la formula

f(x) = Pn(x) + Rn(x),

dove

Pn(x) = f(x0) +

n∑k=1

1

k!Dkf(x0)(x− x0)

k

185

Page 187: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

e il polinomio di Taylor di ordine n e Rn(x) = f(x) − Pn(x) e l’erroreche si compie sostituendo Pn a f. Abbiamo gia imparato che

limx→x0

Rn(x)

(x− x0)n= 0,

e che e possibile esprimere tale resto mediante la derivata (n + 1)–esima in un punto opportuno ξ:

Rn(x) =1

(n+ 1)!Dn+1f(ξ)(x− x0)

n+1.

Il seguente risultato illustra un’ulteriore espressione per il resto.

Teorema 7.51 (Polinomio di Taylor con resto integrale). Sia f : (a,b)→R una funzione derivabile n+ 1 volte in (a,b), con derivata (n+ 1)–esimaDn+1f continua. Allora

Rn(x) =1

n!

∫xx0

(x− t)nDn+1f(t) dt.

Proof. La dimostrazione e un’applicazione quasi immediata del princi-pio di induzione. Partiamo dall’uguaglianza

f(b) = f(a) +

∫baDf(t)dt.

Quindi il teorema e vero se n = 1. Supponiamo che sia vero per unvalore n, e dimostriamo che e vero anche per n + 1. A tal fine, esufficiente integrare per parti, usando Dnf come fattore finito e −(b−

t)n−1 come fattore differenziale.

7.10 integrali impropriPer quanto ci riguarda, solamente le funzioni limitate possono essereintegrate su un intervallo limitato [a,b]. Da questa classe esulano lefunzioni come x ∈ (0, 1) 7→ 1/

√x e x ∈ (1,+∞) 7→ 1/x2, per esem-

pio. Osserviamo che si tratta di funzioni continue, ed anzi deriv-abili nel loro dominio. L’integrale di Lebesgue, la cui teoria e benpiu complicata di quella vista finora, propone una teoria che superaqueste restrizioni. Noi ci accontenteremo di introdurre i rudimentidell’integrazione in senso generalizzato o improprio.

7.10.1 Funzioni illimitate

Per semplicita consideriamo una funzione f che sia definita e continuain un intervallo [a,b). La funzione f potra non essere limitata. Elecito allora per ogni c < b considerare l’integrale

∫ca f(x)dx e viene

spontanea la seguente

Definizione 7.52. Se nelle ipotesi dette esiste il limite

limc→b−

∫caf(x)dx,

186

Page 188: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

questo viene detto integrale (improprio) di f in (a,b) e lo si indica ancora conla notazione

∫ba f(x)dx.

E chiaro che possiamo estendere la definizione precedente al caso incui f sia illimitata nell’estremo sinistro a dell’intervallo. Basta consid-erare il limite

limc→a+

∫bcf(x)dx.

Quindi, tutto e stato ricondotto all’esistenza di un limite. Non sempre,pero e possibile calcolare esplicitamente gli integrali, ed e utile avereun teorema che garantisca l’integrabilita impropria di f.

Teorema 7.53. Sia ϕ una funzione continua in [a,b), a valori positivi percui esista l’integrale improprio in (a,b), e sia f una funzione continua in[a,b) tale che |f(x)| 6 ϕ(x) per ogni x ∈ [a,b). Allora esiste l’integraleimproprio fra a e b di f.

Conviene pertanto costruire una scala di funzioni illimitate che cipermatta di decidere per confronto se una funzione ammetta integraleimproprio o no. Consideriamo questa semplice famiglia di funzioniillimitate in ogni intorno del’estremo b:

x ∈ [a,b) 7→ 1

(b− x)α, (α > 0).

Ora, ∫ca

dx(b− x)α

=

{log(b− a) − log(b− c), α = 111−α (b− a)

1−α − 11−α (b− c)

1−α, α 6= 1.

Percio nel caso α = 1 l’integrale improprio non esiste in quanto

limc→b−

∫ca

dx(b− x)α

= +∞.

Lo stesso accade per α > 1. Per α < 1

limc→b−

∫ca

dx(b− x)α

=1

1−α(b− a)1−α

In conclusione, l’integrale improprio esiste se e solo se 0 < α < 1.Diamo un cenno a un caso un po’ piu generale. Supponiamo che la

funzione f, definita in [a,b], sia continua con l’eventuale eccezione deipunti d1, d2, . . . ,dr. Allora si puo suddividere l’intervallo (a,b) in unnumero finito di intervalli, in modo che in ciascuno di essi la funzionef sia discontinua solo in un estremo (destro o sinistro). A ciascuno diquesti intervalli si possono applicare le considerazioni fatte prima; se,per ciascuno di essi, esiste l’integrale improprio, la somma di questi sidefinisce come integrale improprio della f esteso all’intervallo (a,b).

In pratica, se nell’intervallo [a,b] ci sono due punti d1 e d2 dove lafunzione f e illimitata, scriveremo∫b

af(x)dx =

∫d1af(x)dx+

∫d2d1

f(x)dx+∫bd2

f(x)dx.

187

Page 189: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Il primo e l’ultimo integrale ricadono nella definizione di integrale im-proprio. Il secondo e piu delicato. Infatti f potrebbe essere illimitata inentrambi gli estremi. Possiamo pero ricondurlo a un integrale impro-prio con questo “trucco”: scegliamo un punto c ∈ (d1,d2) dove f siacontinua, e scriviamo∫d2

d1

f(x)dx =∫cd1

f(x)dx+∫d2cf(x)dx.

Vediamo, ad esempio, se esiste∫+1−1

dx√|x|

.

La funzione integranda e illimitata per x → 0. Suddividiamo alloral’intervallo (−1, 1) nei due intervalli (−1, 0 e (0, 1). Si ha 8

limδ→0+

∫−δ−1

1√−x

dx = limδ→0+

(−2√−δ+ 2) = 2

e

limσ→0+

∫1σ

1√x

dx = limσ→0+

(2− 2√σ) = 2.

Osservazione 7.54. Alcuni Autori definiscono integrabile in senso im-proprio una funzione f se esiste finito il limite

limc→b−

∫ca|f(x)|dx.

Poiche l’integrale di una funzione positiva e un numero positivo, questiAutori richiedono di verificare l’esistenza di un limite di una quantitapositiva. Questa definizione non e equivalente alla nostra: e possibilecostruire funzioni che, per noi, sono integrabili in senso generalizzato,ma che non lo sarebbero secondo quest’altra definizione con il valoreassoluto.9

7.10.2 Funzioni definite su intervalli illimitati

Consideriamo ora il secondo caso, quello di una funzione definita suun intervallo illimitato, ad esempio del tipo (a,+∞). Supporremo chef sia continua in [a,+∞), e pertanto tutti gli integrali

∫ca f(x)dx hanno

senso per c > a.

Definizione 7.55. Se nelle ipotesi dette esiste il limite

limc→+∞

∫caf(x)dx

questo viene detto l’integrale improprio di f in (a,+∞).

Esempio:∫+∞0

dxx2 + 1

= limc→+∞

∫c0

dxx2 + 1

= limc→+∞ arctan c =

π

2.

8 Lo studente notera che abbiamo esplicitato il valore assoluto nei due integrali.9 Il classico esempio e f(x) = sinx/x in (0,+∞). Si verifica che f e integrabile in senso

improprio, ma |f| non lo e. I dettagli della dimostrazione non sono comunque semplici.

188

Page 190: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Come nel caso dell’intervallo limitato, sussiste il seguente criterio delconfronto per l’integrale improprio su intervalli illimitati.

Teorema 7.56. Sia ϕ una funzione continua in [a,+∞), a valori positivi percui esista l’integrale improprio in (a,+∞), e sia f una funzione continua in[a,b) tale che |f(x)| 6 ϕ(x) per ogni x ∈ [a,+∞). Allora esiste l’integraleimproprio fra a e +∞ di f.

Costruiamo anche nel nostro caso una scala di funzioni che ci per-metta, per mezzo del criterio del confronto, di decidere se un integraleimproprio esiste. Consideriamo

∫c1

dxxα

=

{11−αc

1−α + 1α−1 , α 6= 1

log c, α = 1.

Se e α > 1, il limite per c→ +∞ e 1/(α− 1), mentre, per α 6 1, e +∞.

Osservazione 7.57. L’applicazione del criterio di confronto per la con-vergenza degli integrali impropri richiede la costruzione di una fun-zione ϕ di confronto, e non esistono ricette universali per questo.

7.11 relazione fra serie ed integrazioneConsideriamo una funzione f : [0,+∞) → R monotona decrescentee positiva. Per ogni n ∈ N, definiamo an = f(n). Ci chiediamose sussista qualche relazione fra la convergenza della serie numericaa termini positivi

∑n an e la convergenza dell’integrale improprio∫∞

1 f(x)dx.

Teorema 7.58. La serie∑n an converge se, e solo se, l’integrale improprio∫∞

1 f(x)dx esiste finito.

Proof. Infatti, se n 6 x < n + 1, allora an+1 6 f(x) 6 an per lamonotonia di f. Quindi∫n+1

nan+1 dx 6

∫n+1n

f(x)dx 6∫n+1n

an dx,

cioe

an+1 6∫n+1n

f(x)dx 6 an.

Se In =∫n1 f(x)dx, allora abbiamo

a1 > I1 > a2

a2 > I3 − I2 > a3

. . .

an−1 > In − In−1 > an.

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Page 191: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Sommando termine a termine queste disuguaglianze, troviamo sn −

an > In > sn − a1, avendo posto come al solito sn = a1 + . . .+ an.Pertanto a1 > sn − In > an > 0. Di piu,

sn+1 − In+1 − (sn − In) = an+1 −

∫n+1n

f(x)dx 6 0.

Deduciamo che la successione {sn− In}n e decrescente, e quindi possiedelimite finito, dal momento che i suoi termini sono compresi fra 0 e a1.Quindi

a1 > limn→+∞ sn − In > 0,

e questo dimostra la tesi.

Proponiamo ora un criterio di convergenza piuttosto insolito, cheillustra bene l’uso del criterio di convergenza integrale. Riportiamo ladimostrazione classica contenuta in [9]. Si veda anche [34].

Proposizione 7.59 (Ermakoff). Sia f : [0,+∞) → R e decrescente e posi-tiva. La serie

∑n f(n) e

1. convergente se lim supx→+∞ exf(ex)f(x) < 1,

2. divergente se lim infx→+∞ exf(ex)f(x) > 1.

Proof. Nel caso 1, sia ρ un numero compreso fra lim supx→+∞ exf(ex)f(x)

e 1. Esiste allora ξ tale che exf(ex) 6 ρf(x) quando x > ξ. Pertanto∫Xξ exf(ex)dx < ρ

∫Xξ f(x)dx se X > ξ. Il cambiamento di variabile da

x a ex a primo membro riduce questa disuguaglianza a∫ eX

eξf(x)dx 6 ρ

∫Xξf(x)dx.

Quindi

(1− ρ)

∫ eX

eξf(x)dx 6 ρ

(∫Xξf(x)dx−

∫ eX

eξf(x)dx

),

relazione equivalente a

(1− ρ)

∫ eX

eξf(x)dx 6 ρ

(∫ eξ

ξf(x)dx−

∫ eX

Xf(x)dx

).

Poiche eX > X,

(1− ρ)

∫ eX

eξf(x)dx 6 ρ

∫ eξ

ξf(x)dx.

Siccome ξ e fisso e X > ξ e arbitrario, questa stima implica la con-vergenza dell’integrale improprio

∫∞1 f(x)dx. Quindi anche la serie∑

n f(n) e convergente.

190

Page 192: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Nel caso 2, esiste ξ > 0 tale che exf(ex) > f(x) se x > ξ. Comeprima, questo implica che∫ ex

eξf(x)dx >

∫Xξf(x)dx

per ogni X > ξ. Quindi∫ eX

Xf(x)dx >

∫ eξ

ξf(x)dx.

Questa relazione ci dice che l’integrale improprio∫∞1 f(x)dx e diver-

gente: infatti, per quanto X possa essere grande, esiste sempre un nu-mero X ′ = eX tale che

∫X ′X f(x)dx risulti maggiore di una certa quantita

K > 0. Pertanto anche la serie∑n f(n) e divergente.

7.12 una definizione integrale delle fun-zioni goniometriche elementari

La maggior parte di noi ricorda bene la definizione delle funzioni senoe coseno. Ad esempio, il seno di un angolo α si definisce geomet-ricamente cosı: costruito un triangolo rettangolo in cui uno dei dueangoli non retti misura α radianti, il seno di α e il quoziente fra lamisura del cateto opposto ad α e la misura dell’ipotenusa. Similmenteil coseno di α e il rapporto fra la misura del cateto adiacente e la misuradell’ipotenusa. Da qui, con opportune considerazioni di geometria sin-tetica, si deducono tutte quelle formule che tanto ci hanno fatto penarenei corsi di trigonometria.

Ora che conosciamo il calcolo differenziale ed integrale, vogliamoproporre una definizione puramente analitica (senza alcun riferimentoa triangoli e a disegni di sorta) delle solite funzioni goniometriche(anche dette circolari). L’idea cruciale consiste nell’osservare che laformula di derivazione

ddx

arctan x =1

x2 + 1

lega ua funzione trascendente come l’arcotangente ad una funzionerazionale fratta. Poiche le funzioni razionali fratte sono calcolabili conle sole quattro operazioni algebriche sui numeri reali, viene spontaneopartire da qui per costruire le funzioni circolari.10

Definizione 7.60. Il numero π e definito come

π = 2

∫10

√1− x2 dx, (7.12)

che rappresenta l’area del cerchio unitario. La funzione arcotangente e definitadalla formula

arctan x =∫x0

dt1+ t2

, per ogni x ∈ R. (7.13)

10 Si potrebbe partire anche dalla relazione D arcsinx = 1/√1−x2.

191

Page 193: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Proposizione 7.61. La funzione arcotangente gode delle seguenti proprieta:

(a) arctan e una funzione dispari.

(b) arctan e strettamente crescente, e dunque invertibile (sul suo codominio).

(c) limx→+∞ arctan x = π/2.

Proof. La disparita dell’arcotangente si dimostra con un cambiamentodi variabili:

arctan(−x) =

∫−x0

dt1+ t2

= −

∫0−x

dt1+ t2

= −

∫x0

dt1+ t2

= − arctan x.

Questo dimostra (a). Per il teorema fondamentale del calcolo integrale,

d

dxarctan x =

1

x2 + 1> 0,

e quindi l’arcotangente e una funzione strettamente crescente in tuttoR. Anche (b) risulta provato. Il punto (c) richiede qualche calcolo.Nella definizione dell’arcotangente, effettuiamo il cambiamento di vari-abile

t =s√1− s2

, s ∈ [0, 1).

Si ha dt = (1− s2)−3/2 ds e dunque, per x > 0,

arctan x =∫x0

dt1+ t2

=

∫ x√1+x2

0

ds√1− s2

.

D’altra parte,∫1√1− s2

ds =∫1− s2 + s2√1− s2

ds =∫√

1− s2 ds+∫

s2√1− s2

ds

e ∫s2√1− s2

ds = −s√1− s2 +

∫√1− s2 ds.

Concludiamo che∫1√1− s2

ds = −s√1− s2 + 2

∫√1− s2 ds.

Tornando all’arcotangente, per x > 0, si ha

arctan x = 2∫ x√

1+x2

0

√1− s2 ds−

x

1+ x2,

da cui

limx→+∞ arctan x = 2

∫10

√1− s2 ds =

π

2.

Anche (c) e dimostrato.

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Page 194: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Definizione 7.62. La funzione tangente e definita su (−π/2,π/2) come lafunzione inversa dell’arcotangente, ed estesa per periodicita a tutto R\ {π/2+

kπ | k ∈ Z}.

Quindi la tangente e periodica di periodo π, e dal teorema di derivazionedella funzione inversa segue facilmente che

ddx

tan x = 1+ (tan x)2.

Essendo 1/(t2 + 1) < 1 per ogni t 6= 0, si trova che

arctan x 6 x per ogni x > 0,

o equivalentemente

tan x > x per ogni x ∈[0,π

2

).

Definizione 7.63. Le funzioni seno e coseno sono definite dalla relazioni

sin x =

{0 se x = (2k+ 1)π, k ∈ Z2 tan(x/2)

1+(tan(x/2))2 altrimenti,(7.14)

cos x =

−1 se x = (2k+ 1)π, k ∈ Z

1−(tan(x/2))2

1+(tan(x/2))2 altrimenti.(7.15)

E facile verificare, con le solite regole di calcolo differenziale, che

ddx

sin x = cos x,d

dxcos x = − sin x, (sin x)2 + (cos x)2 = 1.

Tutte le altre formule della goniometria (formule di addizione, di prostafer-esi, di Wallis, ecc.) possono essere dedotte da queste definizioni. Incompenso, per definzione abbiamo gia stabilito la validita delle cosid-dette formule razionali in t = tan(x/2).

Il lettore piu coraggioso puo anche definire seno e coseno rispettiva-mente come le uniche soluzioni dei due problemi di Cauchy{

y ′′ + y = 0

y(0) = 0, y ′(0) = 1

e {y ′′ + y = 0

y(0) = 1, y ′(0) = 0.

Osservazione 7.64. Buona parte di questo paragrafo segue da vicinola trattazione di [17]. Altre definizioni delle funzioni circolari sonoaltrettanto popolari in letteratura. Ad esempio, i testi leggermentepiu avanzati propongono spesso la definizione di seno e coseno comeserie di potenze. E tuttavia indiscutibile che la conoscenza della teoriadelle serie di funzioni non e affatto indispensabile per poter introdurrerigorosamente queste funzioni elementari, come abbiamo visto.

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8 LE F I L ROUGE

L’espressione fil rouge, in francese, indica un ideale filo che unisce varipunti o varie parti di una teoria. Come vedremo succintamente inquesto capitolo, anche il calcolo integrale e differenziale possiede unfilo rosso che per il momento abbiamo solo potuto intuire.

Non sara sfuggito che tutti gli argomenti dei capitoli precedentisono fondati sulla definizione di limite. Abbiamo visto che le succes-sioni, le serie numeriche, le funzioni continue e quelle differenziabili, eperfino l’integrale di Riemann sono idealmente caratterizzate da differ-enti concetti di convergenza. E questo e proprio quello che vogliamoapprofondire nelle prossime pagine. Pur senza entrare nei dettagli tec-nici piu raffinati, esporremo alcune idee della cosiddetta convergenzadi Moore–Smith. Si tratta di una teoria che unifica le teorie di limitegia studiate separatamente per le successioni, le serie, le funzioni ele somme di Riemann. Lo studio originale e [33], purtroppo difficilis-simo da leggere a distanza di quasi un secolo. Un’esposizione rigorosama molto avanzata e in [29], mentre un testo affascinante sulle appli-cazioni al calcolo differenziale e [4].

8.1 insiemi direttiUn insieme diretto e un insieme con una relazione �.1Questo simboloe scelto consapevolmente per sottolineare le proprieta simili al con-fronto (maggiore di, miniore di) fra numeri reali.

Definizione 8.1. Un insieme X e diretto da � se

1. per ogni x, y, z ∈ X, se x � y, y � z, allora x � z;

2. per ogni x ∈ X e ogni y ∈ X, esiste z ∈ X tale che z � x e z � y.

La relazione � prende il nome di direzione (su X).

Esempio 8.2. In X = R, definiamo x � y se x 6 y. La prima proprietae una conseguenza diretta della proprieta transitiva dell’ordinamentonaturale di R. La seconda si dimostra semplicemente scegliendo unqualunque numero z > max{x,y}.

Esempio 8.3. Sempre in X = R, possiamo definire x � y se x < y. Laseconda proprieta si dimostra scegliendo z < min{x,y}.

Ma il concetto di insieme diretto e molto piu generale.

1 In generale, x � y si legge “x segue y”.

195

Page 197: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Esempio 8.4. Se X e l’insieme di tutte le funzioni reali di una variabilereale, possiamo definire f � g se f(x) > g(x) per ogni x appartenenteall’intersezione dei domini di definizione di f e g. Notiamo esplici-tamente che non sempre e possibile stabilire se una funzione segueun’altra funzione. Prendiamo infatti f : x 7→ x2 − 1 e g : x 7→ 1 − x2.Poiche i grafici di queste funzioni si intersecano e si “scavalcano”, siaf � g che g � f sono relazioni false.

Per rendere rigoroso il concetto di “andare all’infinito”, puo far co-modo introdurre una terminologia ben nota nell’ambito di R.

Definizione 8.5. Sia (X,�) un insieme diretto. Dato un elemento ω ∈ X,la semiretta determinata da ω e l’insieme

X(ω) = {x ∈ X | x � ω}.

Sulla retta reale, questa definizione coincide con la solita semiretta(infinita a sinistra oppure a destra, a seconda della scelta di �) geomet-rica.

8.2 la definizione di limiteIl primo concetto dell’analisi infinitesimale che puo essere descrittoagevolmente mediante gli insiemi diretti e quello di limite.

Definizione 8.6. Sia (X,�) un insieme diretto, e sia f : X→ R una funzionea valori reali. Diciamo che f tende al valore L rispetto a �, e scriveremo

lim�f = L,

se, scelto un numero ε > 0 arbitrario, esiste x0 ∈ X tale che x � x0 implica|f(x) − L| < ε.

Osservazione 8.7. Ovviamente, la condizione “per ogni x � x0” eequivalente a “per ogni x ∈ X(x0)”.

Esempio 8.8. Sia X = N. La relazione di direzione e n � m se n > m.Sappiamo che una funzione f : N→ R e semplicemente una successionedi numeri reali {pn}n. Che cosa significa la convergenza rispetto alladefinizione (8.6)? Dobbiamo prendere ε > 0, e trovare un numeroN ∈N tale che |pn − L| < ε per ogni n > N. Quindi si tratta della bennota2 definizione di limite (finito) per le successioni. Quindi potremoscrivere che lim� 1/n = 0, ad esempio.

Esempio 8.9. Consideriamo ora X = R \ {0}, con la direzione x � y se|x| < |y|. lasciamo allo studente la verifica, semplice, che le due con-dizioni della definizione di insieme diretto sono verificate. Se f : X→ R

e una funzione, che cosa significa lim� f = L? Secondo la definizione(8.6), preso ε > 0, deve esistere x0 ∈ X tale che x � x0 implichi

2 O almeno speriamo!

196

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|f(x) − L| < ε. Esplicitiamo la definizione di �: deve esistere un nu-mero reale x0 tale che |x| < |x0| implichi |f(x) − L| < ε. Ma |x| < |x0|

significa

−|x0| < x < |x0|.

Quindi lim� f = L e un sinonimo di limx→0 f(x) = L.3

Osservazione 8.10. Nell’esempio precedente, abbiamo dovuto esclud-ere il punto 0 da R. La ragione, in prima battuta poco evidente, eche |x| < |y| non sarebbe una buona definizione se lo zero non fosseescluso. Infatti, prendendo x = y = 0, e impossibile scegliere z tale chez � 0; dovrebbe essere |z| < 0, e questo e impossibile.

Esempio 8.11. Sia X un sottoinsieme di R, illimitato dal basso. Defini-amo x � y se x < y. Allora lim� f = L se e solo se limx→−∞ f(x) = L.

Meno scontata e la formulazione dei limiti per x→ c.

Esempio 8.12. Sia X = [c− δ, c+ δ] \ {c}. Definiamo x � y se |x− c| <

|y− c|. Poiche c /∈ X, (X,�) e un insieme diretto. Geometricamente,x � y significa che x e piu vicino a c di y. E facile capire che lim� f = Lsignifica esattamente che limx→c f(x) = L.

Esempio 8.13. Nelle ipotesi dell’esempio precedente, la funzione f : X∪{c}→ R e continua nel punto c se e solo se lim� f = f(c).

Alquanto affascinante e la riformulazione dei limiti per eccesso e perdifetto.

Esempio 8.14. Sia X = (a,b). La direzione x � y e definita mediantela richiesta che x < y. In questo caso, si verifica che lim� f = L se esolo se limx→a+ f(x) = L.

Infine, vediamo come recuperare la definizione di integrale definito.

Esempio 8.15. Sia X = [a,b], e sia f : X → R una funzione tale che|f(x)| 6M per ogni x ∈ X. L’integrale∫b

af(x)dx

e definito come il limite delle somme

S(P, f) =n∑j=0

f(tj)(xj+1 − xj),

dove P e la partizione {x0 = a, x1, . . . , xn = b} e i punti tj sono sceltiin modo che xj 6 tj 6 xj+1. La relazione di direzione sulle partizionie quella dell’ordinamento insiemistico: P1 � P2 se P1 ⊃ P2, cioe se P1contiene piu punti di P2. Abbiamo gia familiarizzato con il concettodi partizione piu fine. Il Teorema 7.11 garantisce che il limite dellafunzione S(P, f) rispetto a � coincide con l’integrale di Riemann cheabbiamo studiato in precedenza.

3 Per convincere anche i piu scettici, basta scrivere |x0| = δ.

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Page 199: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Una volta che abbiamo definito il concetto di limite, possiamo es-tendere senza difficolta pressoche tutti i teoremi sui limiti “standard”:unicita, comportamento rispetto alle operazioni algebriche, permanenzadel segno, ecc.

Chiudiamo con un criterio di convergenza dovuto a Cauchy, formu-lato nel linguaggio degli insiemi diretti.

Teorema 8.16. Supponiamo che f : X→ R sia una funzione definita sull’insiemediretto (X,�). Sono affermazioni equivalenti:

• lim� f esiste;

• per ogni ε > 0 esiste x0 ∈ X tale che |f(x) − f(y)| < ε per ogni x,y ∈ X soddisfacenti x � x0, y � x0.

In conclusione, la teoria degli insiemi diretti fornisce un linguaggiounitario per descrivere tutti i concetti di limite che solitamente ven-gono esposti caso per caso.

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Page 200: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

9 INTRODUZ IONE ALLEEQUAZ ION I D IFFERENZ IA L IORD INAR IERisolvere un’equazione significa trovare i valori di una o piu incognite

che rendono vera una certa uguaglianza. Lo studente sa risolvere leequazioni ax = b, ax2 + bx+ c = 0, 2x = 4, e altre ancora. In questiesempi, l’incognita x e un numero.1

E possibile scrivere equazioni in cui l’incognita sia una funzionee non gia un singolo numero? Un attimo di riflessione ci lascia in-tendere che il senso dell’uguaglianza da verificare vada inteso comeun’uguaglianza punto per punto. Per esempio, cercare una funzione ftale che

f2 − 1 = 0

puo essere interpretato come cercare una funzione f tale che f(x)2 −1 = 0 per ogni x appartenente al dominio di f. Queste solo le cosid-dette equazioni funzionali, e sono un argomento davvero complesso.

In questo capitolo tratteremo un diverso tipo di equazioni, quelle incui l’incognita e una funzione ma l’uguaglianza da verificare coinvolgele derivate dell’incognita. Sara comodo indicare le derivate con apici:y ′ invece di Dy, y ′′ invece di D2y, y(n) invece di Dny.

Definizione 9.1. Un’equazione nell’incognita y : (a,b)→ R del tipo

F(x,y(x),y ′(x),y ′′(x), . . . ,y(n)(x)) = 0, x ∈ (a,b) (9.1)

si chiama equazione differenziale ordinaria di ordine n. L’ordine n sta adindicare l’ordine di derivazione piu alto della funzione incognita y che effetti-vamente compare.

Definizione 9.2. L’equazione (9.1) si dice lineare se e della forma

an(x)y(n)(x) + an−1y

(n−1)(x) + · · ·+ a0(x)y(x) = f(x) (9.2)

e lineare omogenea se f = 0.

Ora che sappiamo che cosa sia un’equazione differenziale2 vogliamoanche dire che cosa sia una sua soluzione.

Definizione 9.3. Una soluzione di (9.1) e una funzione y : (a,b) → R,derivabile n volte in (a,b) e verificante (9.1) per ogni x ∈ (a,b). L’insiemedi tutte le soluzioni di (9.1) in (a,b) si chiama integrale generale di (9.1) in(a,b).

1 Che intenderemo sempre reale. In matematica si studiano equazioni le cui inconitedevono appartenere ad insiemi specificati, ad esempio Z o Q.

2 Sottintenderemo spesso l’aggettivo ordinaria.

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Page 201: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

E importantissimo sottolineare che l’insieme di definizione dellasoluzione non e un dato del problema, bensı parte dell’incognita. Inparticolare, non e possibile pretendere che le soluzioni di una dataequazione differenziale risultino definite su un insieme da noi specifi-cato. In termini equivalenti, aggiungere il dominio della soluzione aidati dell’equazione puo portare a un problema privo di soluzioni.

Un’equazione differenziale ordinaria che sappiamo gia risolvere e

y ′ = f(x),

dove f e una funzione continua assegnata. Il teorema fondamentaledel calcolo ci dice che, trovata una primitiva F di f in un intervallo(a,b), la soluzione generale e y(x) = F(x) +C, al variare di C ∈ R.

Nei paragrafi seguenti proponiamo i metodi risolutivi per qualchealtro tipo di equazioni differenziali del primo ordine. Non diremoquasi niente della teoria che sta alla base. Lo studente tenga bene amente che non esistono metodi per risolvere una generica equazionidifferenziale ordinaria mediante formule elementari.

9.1 equazioni differenziali lineari delprimo ordine

In questa sezione, troviamo tutte le soluzioni di una equazione dif-ferenziale del primo ordine scritta nella forma

y ′ + a(x)y = f(x) (9.3)

Quando si studiano le equazioni differenziali lineari, conviene sempreapplicare il principio di sovrapposizione. Esso consiste nelle seguenti dueosservazioni:

1. se y1 e y2 sono soluzioni della stessa equazioni differenziale lin-eare omogenea, allora c1y1 + c2y2, al variare di c1, c2 ∈ R, eancora una soluzione;

2. se y1 e y2 sono soluzioni della stessa equazioni differenziale lin-eare con termine noto f, allora y1 − y2 e una soluzione dellastessa equazione differenziale lineare con f = 0.

Il senso pratico di questo principio e che per trovare l’integrale gen-erale di un’equazione differenziale lineare non omogenea, basta trovarel’integrale generale ella corrispondente equazione omogenea e som-margli una soluzione particolare dell’equazione non omogenea. Il van-taggio e che la soluzione particolare puo essere individuata con ognimezzo, anche casualmente.3

Per la nostra equazione (9.3), cominciamo a trovare l’integrale gen-erale della corrispondente equazione omogenea

y ′ + a(x)y = 0. (9.4)

3 Questa e soltanto una frase ad effetto. Nessuno individua le soluzioni particolari casual-mente, ma sempre seguendo qualche tecnica ragionevole.

200

Page 202: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Nel seguito, supporremo sempre che a sia una funzione continua. Div-idendo per y, si ottiene formalmente

0 =y ′

y+ a(x) =

d

dxlogy(x) + a(x),

cioe

logy(x) = −A(x)

dove A e una primitiva di a.4 Il suggerimento che ne ricaviamo e chela funzione

y0(x) = exp(−

∫xαa(s)ds

)(9.5)

dove α e un numero arbitrariamente fissato, sia una soluzione di (9.4).Lo studente verifichi per (semplice) esercizio che y0 e davvero unasoluzione. L’integrale generale di (9.4) e

y(x) = cy0(x), c ∈ R.

Infatti,

d

dx

y(x)

y0(x)=y ′y0 − y

′0y

y20=

−ayy0 + ay0y

y20= 0,

e dunque y/y0 e costante.

Per trattare il caso non omogeneo, proponiamo un metodo alquantopotente e generale: quello della variazione delle costanti. Al di la delladenominazione paradossale, e un metodo che funziona sempre, anchese puo portare a calcoli problematici. Lo schema e il seguente. Sirisolve l’equazione omogenea e si determina y0 come sopra. A questopunto, cerchiamo una soluzione particolare della forma

yf(x) = λ(x)y0(x)

Capiamo la ragione del nome: facciamo finta che la costante reale c chedescrive l’integrale generale di (9.4) sia una funzione (derivabile), e cer-chiamo di sceglierla cosı da avere una effettiva soluzione dell’equazionenon omogenea. Inserendo yf nell’equazione (9.3), ci accorgiamo cheyf e una soluzione se e solo se

λ ′(x)y0(x) + λ(x)(y ′0(x) + a(x)y0(x)

)= f(x);

basta quindi scegliere λ in modo che

λ ′(x) =f(x)

y0(x).

Questa e un’equazione differenziale del tutto banale, dato che si ri-solve semplicemente scegliendo una primitiva della funzione a sec-ondo membro. In conclusione, l’integrale generale dell’equazione (9.3)e

y(x) = y0(x)

(c+

∫xα

f(s)

y0(s)ds

), (9.6)

4 Ricordiamo che, per definizione di primitiva, A ′(x) = a(x).

201

Page 203: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

dove

y0(x) = exp(−

∫xαa(s)ds

).

Inoltre, ciascuna di queste soluzioni e univocamente determinata dalvalore assunto in α, c = y(α).

Osservazione 9.4. Esiste un approccio piu diretto al caso non omo-geneo. Partiamo dall’equazione y ′ + a(x)y = f(x) e poniamo v(x) =

exp(∫a(x)dx)y(x). La derivata di v si calcola facilmente:

v ′(x) = e∫a(x)dxy ′(x) + a(x)e

∫a(x)dxy(x)

= e∫a(x)dx

(y ′ + a(x)y

).

Quindi y risolve la nostra equazione differenziale non omogenea se, esolo se, v risolve l’equazione differenziale

v ′ = e∫a(x)dxf(x).

Ma allora v(x) =∫e∫a(x)dxf(x)dx+C, e possiamo ricavare la soluzione

generale5 y:

y(x) = e−∫a(x)dx

(∫e∫a(x)dxf(x)dx+C

).

Qualche volta, la forma specifica di f a secondo membro puo sug-gerire una soluzione particolare. Per esempio, una soluzione di y ′ +y = ex puo essere suggerita dal fatto ben noto che, per ogni λ, µ ∈ R,

d

dx(λeµx) = λµeµx.

Si verifica agevolmente che λ = 1/2 e µ = 1 fornisce la soluzioneyf(x) = (1/2)ex. Considerazioni analoghe valgono per funzioni a sec-ondo membro di tipo polinomiale e goniometrico.

9.2 equazioni del primo ordine a vari-abili separabili

Discutiamo ora alcuni esempi di equazioni differenziali del primo or-dine non lineari

y ′ = f(x,y), (9.7)

5 Qualche studente potrebbe criticare l’uso un po’ leggero del simbolo di integrazioneindefinita: in particolare, a che serve la costante C se l’integrale indefinito continene giatutte le infinite primitive? La critica e formalmente corretta, e possiamo dire che nellaformula seguente gli integrali denotano una primitiva scelta liberamente fra le infinite adisposizione.

202

Page 204: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

dove f e una funzione di due variabili assegnata. Una soluzione di(9.7) e una funzione y derivabile con continuita in un intervallo (a,b)e tale che

y ′(x) = f(x,y(x)) per ogni x ∈ (a,b).

Discuteremo inoltre la risolubilita del problema di Cauchy, ovvero delproblema di trovare una soluzione di (9.7) soddisfacente la condizioney(x0) = y0, (x0,y0) essendo un punto del piano cartesiano (apparte-nente al dominio di f). In altre parole, discuteremo la risolubilita delsistema{

y ′(x) = f(x,y(x))y(x0) = y0.

(9.8)

Geometricamente il problema consiste, dopo aver assegnato in ognipunto del piano (x,y) un numero f(x,y), nel trovare una funzione yil cui grafico passa per (x0,y0) in ogni punto (x,y(x)) ha una pen-denza assegnata f(x,y(x)). Purtroppo non possiamo dire quasi nulladi astratto: la comparsa di una funzione di due variabili porta tutta ladiscussione ad un livello di matematica piu avanzato rispetto al nostro.Questa consapevolezza dei nostri limiti non ci impedira tuttavia di im-parare a risolvere alcuni tipi di equazioni differenziali di tipo speciale.

I due esempi che seguono mostrano alcuni comportamenti inattesi,almeno a un primo sguardo.

Non unicita. Per ogni a < 0 < b, le funzioni

y(x) =

−14 (x− a)

2, x < a

0, a 6 x 6 b14 (x− b)

2, x > b

sono tutte funzioni derivabili con continuita in R. 6 Inoltre ognuna diesse risolve il problema di Cauchy{

y ′(x) =√

|y(x)|

y(0) = 0.

In contrasto con quel che capita con le equazioni lineari del primoordine dove la soluzione dell’equzione e univocamente determinatadal valore della stessa in un dato punto, questa equazione non linearepresenta infinite soluzioni diverse.

Esplosione in tempo finito. La funzione y(x) = 1/(1− x), definita perogni x ∈ (−∞, 1), e soluzione del problema{

y ′(x) = y(x)2

y(0) = 1.

In questo caso, pur essendo l’equazione definita per ogni possibilecoppia (x,y) del piano cartesiano, la soluzione y e definita solo su un

6 Lo studente verifichi attentamente questa affermazione.

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intervallo limitato superiormente. Di piu, l’ampiezza dell’intervallodipende dal valore iniziale. Ad esempio per λ > 0 la funzione yλ(x) =λ/(1− λx), x ∈ (−∞, 1/λ), e la soluzione del problema di Cauchy{

y ′(x) = y(x)2

y(0) = λ.

Osserviamo che. per x → 1/λ, yλ(x) → +∞. Per questa ragione,parliamo di esplosione della soluzione al “tempo” x = 1/λ.

Per ragioni di tempo ed opportunita, ci limiteremo a consideraresolo il caso delle equazioni a variabili separabili, cioe equazioni dif-ferenziali del tipo

y ′(x) = f(x)g(y(x)),

dove f : (a,b)→ R e g : (c,d)→ R sono funzioni di una sola variabile.Il seguente teorema ci tranquillizza rispetto all’esistenza e all’unicitadella soluzione.

Teorema 9.5. Siano f : (a,b) → R e g : (c,d) → R due funzioni derivabilicon continuita, dove i due intervalli di definizione possono essere eventual-mente illimitati. Per ogni x0 ∈ (a,b), y0 ∈ (c,d) il problema di Cauchy{

y ′(x) = f(x)g(y(x))y(x0) = y0

possiede una ed una sola soluzione y : (α,β)→ R.

Proof. Seguiamo da vicino [13, Proposition 5.1, pag. 69]. Se g(y0) = 0,allora la funzione y(x) = y0 e una soluzione del problema di Cauchy.Supponiamo allora g(y0) 6= 0, e definiamo la funzione F : (a,b) → R

come F(x) =∫xx0f(t)dt. Sia poi U il piu grande intervallo contenuto

in (c,d) tale che y0 ∈ U e g(ξ) 6= 0 per ogni ξ ∈ U. Poiche g e unafunzione continua, U e un intervallo aperto. Per ogni y ∈ U, poniamo

G(y) =

∫yy0

g(ξ).

Allora G e derivabile con continuita, G(y0) = 0 e G ′ = 1/g. Poicheg(y0) 6= 0, G ′ ha segno costante in un intorno di y0, e dunque esisteun intervallo aperto V tale che G(y0) = 0 ∈ V e H e un’applicazionebiunivoca fra U e V . Ne consegue che W = F−1(V) e un intervalloaperto che contiene x0. Denotiamo con (α,β) il piu grande intervallocontenuto in W tale che x0 ∈ (α,β). Possiamo integrare l’equazioney ′(x) = f(x)g(y(x)) ottenendo

G(y(x)) = F(x),

e per ogni x ∈ (α,β) questo equivale a y(x) = G−1(F(x)). Di con-seguenza y : (α,β→ R e una funzione derivabile, e y(x0) = G−1(F(x0)) =

x0. Derivando rispetto ad x la relazione G(y(x)) = F(x), e ricordandocheG ′ = 1/g, otteniamo che y ′(x) = f(x)g(y(x)) per ogni x ∈ J. Quindi

204

Page 206: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

y = H−1 ◦ F : (α,β) → R e una soluzione del nostro problema diCauchy. Supponiamo che y sia un’altra soluzione, definita in qualcheintervallo (α, β), tale che g(y(x)) 6= 0 per ogni x ∈ (α, β). AlloraG(y(x)) = F(x) per ogni x siffatto, e quindi y(x) = H−1(F(x)) = y(x)

per ogni x ∈ (α,β) ∩ (α, β). Dalla definizione di (α,β) deduciamoche (α, β) ⊂ (α,β). Abbiamo cosı dimostrato che due soluzioni de-vono coincidere nell’intersezione dei loro domini di definizione, e ladimostrazione e completa.

Osserviamo che la dimostrazione contiene in pratica anche la tecnicaper scrivere esplicitamente7 la soluzione di un’equazione a variabiliseparabili. Mostriamo questa procedura in un esempio tratto dallabiologia.

Esempio 9.6. A volte in un processo di crescita intervengono fattoriesterni. E il caso di una popolazione (ad esempio di batteri) la cuicrescita dipende dalla produzione di cibo. Se si mantiene costante ilcibo disponibile, sufficiente diciamo per L elementi della popolazione,ci si puo aspettare che la rapidita di crescita tenda a zero quando ilnumero di individui y tende a L. Un modello semplice e l’equazionedifferenziale

y ′ = ky(1−

y

L

),

detta equazione logistica. Il parametro k e una costante del problema, ecerchiamo le soluzioni del problema di Cauchy{

y ′ = ky(1− y

L

)y(0) = λ.

Il Teorema 9.5 da in particolare l/unicita della soluzione. Vediamo di“indovinare” una soluzione del nostro problema.

Se λ = L, allora la soluzione costante y(x) = L per ogni x ∈ R esoluzione. Se λ 6= L, riscriviamo formalmente l’equazione come

dy

y(1− y

L

) = kdx

che suggerisce per integrazione dei due membri

log∣∣∣∣ y

y− L

∣∣∣∣ = kx+C, C ∈ R.

Ricavando y,

y(x) =cL

c+ e−kx, c ∈ R.

Imponendo che y(0) = L, ricaviamo la condizione

cL

c− 1= λ

che identifica esattamente l’unica soluzione nel caso λ 6= L. Noti-amo che non avremmo potuto ricavare la soluzione costante in questomodo.

7 Avverbio da intendere in un senso piuttosto lato.

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Page 207: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Cerchiamo adesso di adattare la tecnica dell’esempio all’equazionea variabili separabili generale. Notiamo che se g(y) = 0, la funzioney(x) = y per ogni x e una soluzione. Quindi, se y e una soluzioneallora o y e costante oppure y(x) non annulla mai la g. In quest’ultimocaso, g(y(x)) 6= 0 per ogni x, e dividendo l’equazione per g(y(x)) siottiene

y ′(x)

g(y(x))= f(x).

Se integriamo fra x0 e x, con la formula di integrazione per sosti-tuzione arriviamo a∫y(x)

y0

1

g(y)dy =

∫xx0

y ′(t)

g(y(t))dt =

∫xx0

f(s)ds.

Chiamando F una primitiva di f e G una primitiva di 1/g, abbiamoricavato la soluzione in forma implicita:

G(y(x)) −G(y0) = F(x) − F(x0).

Ora, e possibile dimostrare che G e strettamente monotona, dunqueinvertibile. Possiamo ricavare y(x) dalla relazione sopra:

y(x) = G−1 (F(x) − F(x0) +G(y0)) .

In teoria, abbiamo trovato l’unica soluzione esplicitamente. In prat-ica, occorre una dose di sano realismo: il calcolo delle primitive F eG, e soprattutto il calcolo della fuzione inversa di G, sono spesso didifficolta insormontabile. Con questo non vogliamo incoraggiare lostudente a catalogare come impossibile la risoluzione delle equazionidifferenziali: gli esercizi dei temi d’esame sono costruiti in modo chelo studente possa fare esplicitamente tutti i calcoli necessari ad arrivarealla formula della soluzione.

Esempio: capitale ed interessi. Supponiamo di depositare in banca uncerto capitale u0 ad un tasso di interesse p computato continuamente.Questo significa che in un intervallo di tempo infinitesimo dt il capi-tale aumenta di una somma du = pu(t)dt proporzionale alla duratadell’intervallo e al capitale stesso u(t). Dividendo8 per dt, otteniamol’equazi one differenziale

u ′(t) = pu(t).

Essendo a variabili separabili, la soluzione si ottiene facilmente, ed eespressa dalla formula

u(t) = u0ept.

Supponiamo ora di ritirare con regolarita una certa rendita (costante)b. In questo caso l’andamento del capitale rispondera all’equazione

u ′(t) = pu(t) − b.

8 Questi ragionamenti sono formali, ed infatti i veri interessi vengono computati ad inter-valli di tempo prefissati.

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Page 208: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

E ancora a variabili separabili, e la sua soluzione si ricava risolvendorispetto a u l’equazione

1

plog(pu− b) = t+C,

cioe

u(t) =1

p

(Cept + b

).

La costante C si ricava imponendo che u(0) = u0, da cui u0 = C+bp , e

dunque C = pu0 − b. In conclusione

u(t) =1

p

[(pu0 − b)e

pt + b]

.

Si danno tre casi.

1. b < pu0. In questo caso il capitale aumenta con il tempo, anchese meno velocemente di quanto avveniva senza prelievo. In ef-fetti, tutto avviene come se si fosse partiti da un capitale inizialeu0 −

bp , remunerato all’interesse p, piu un capitale fisso b/p non

remunerato.

2. b > pu0. Se si preleva troppo, il capitale diminuisce, e si estinguein un tempo T che puo essere calcolato imponendo che u(T) = 0.Esplicitamente, dobbiamo risolvere rispetto a T l’equazione

(pu0 − b)epT + b = 0.

Ricavando T , troviamo

T =1

plog

b

b− pu0.

3. b = pu0. In questo caso il capitale rimane costante, sempreuguale a u0 = b/p.

Notiamo che il capitale u0 ed il prelievo b possono essere negativi: seb > pu0 stiamo parlando di un prestito che viene estinto con versa-menti regolari. A volte puo essere interessante sapere quanto occorreversare per estinguere un prestito u0 in un certo numero T di anni. Sideve semplicemente porre u(T) = 0 e ricavare b:

b = pu0epT

epT − 1.

Se si vuole estinguere il prestito di 100 000 euro al 10% in 10 anni, sidovra pagare una rata di

b = 10000e

e− 1≈ 15800

euro all’anno, cioe circa 1317 euro al mese.

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Page 209: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

9.3 la funzione esponenziale come soluzionedi edo

In questa sezione, mostriamo come si possa usare la teoria elementaredelle equazioni differenziali ordinarie per dare una definizione rig-orosa della funzione esponenziale.

Consideriamo il problema di Cauchy{y ′ = y

y(0) = 1.(9.9)

Per il Teorema 9.5, questo problema possiede una ed una sola soluzione,che chiameremo U = U(x). Si dimostra che U e globalmente definita,per ogni valore x ∈ R. La dimostrazione di questo fatto e l’unicopassaggio non del tutto elementare, e lo prendiamo per buono.

Definizione 9.7. La funzione esponenziale e la funzione exp : R → R

definita dalla formula exp x = U(x), U essendo l’unica soluzione di (9.9).

Raccogliamo nella seguente Proposizione le proprieta caratterizzantidella funzione esponenziale.

Proposizione 9.8. La funzione esponenziale gode delle seguenti proprieta:

(a) exp e una funzione derivabile infinite volte in ogni punto.

(b) exp e ovunque strettamente positiva, monotona crescente in senso stretto,e dunque invertibile.

(c) exp verifica la relazione: exp(x+ h) = exp x · exph per ogni x, h ∈ R.In particolare, exp(−x) = 1/ exp x.

(d) Valgono le relazioni di limite limx→+∞ exp x = +∞, e limx→−∞ exp x =0.

Proof. Iniziamo ad osservare che, dalla definizione stessa, exp e unafunzione derivabile. Derivando l’identita U ′ = U, troviamo che tutte lederivate successive di exp coincidono con exp stessa. Di conseguenza,exp possiede derivate di qualunque ordine, e sono tutte uguali ad exp.Questo dimostra il punto (a). Per dimostrare (b), cominciamo ad osser-vare che exp non puo mai annullarsi. Se infatti per assurdo exp x0 = 0,allora potremmo considerare il problema di Cauchy{

y ′ = y

y(x0) = 0

Questo problema di Cauchy avrebbe allora due soluzioni: la funzioneexp e la funzione identicamente nulla. Sempre per il Teorema 9.5, lafunzione esponenziale dovrebbe coincidere con la funzione nulla, equesto e in apparente contraddizione con il fatto che exp 0 = 1 6= 0.Di conseguenza, la funzione esponenziale non puo cambiare segno:

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altrimenti, essendo una funzione continua, per il teorema degli zerisi deve annullare in qualche punto x0, e abbiamo gia escluso questaeventualita. In conclusione, la funzione esponenziale non cambia maisegno, e poiche in x = 0 e positiva, tale restera in ogni altro punto.La monotonia stretta e conseguenza della positivita: infatti, la derivataprima della funzione esponenziale coincide con la funzione stessa, equindi e sempre positiva. Sappiamo bene che cio implica che la mono-tonia stretta in direzione crescente. Infine, ogni funzione strettamentecrescente e necessariamente iniettiva, e dunque invertibile (sul propriocodominio). Anche il punto (b) e completamente dimostrato.

Veniamo al punto (c). Consideriamo la funzione y(x) = U(x+ h).Allora y ′(x) = U ′(x+ h) = U(x+ h) = y(x). Allora la funzione

Y(x) =y(x)

U(h)

soddisfa Y ′ = Y e Y(0) = U(h)/U(h) = 1. Per l’unicita della soluzionedel nostro problema di Cauchy, Y = U, cioe U(x+ h) = U(h)U(x) perogni x e per ogni h. Se scegliamo h = −x, troviamo che exp(−x) =

1/ exp x.Il punto (d) si dimostra come segue: poiche U ′′ = U > 0, dal teo-

rema di Taylor possiamo dedurre che esiste ξ tale che

exp x = 1+ x+ξ2

2> 1+ x,

e quindi limx→+∞ exp x > limx→+∞ 1+ x = +∞. L’altro limite derivasubito da questo, ricordando che exp(−x) = 1/ exp x, e dunque

limx→−∞ exp x = lim

z→+∞ exp(−z) = limz→+∞ 1

exp z= 0.

Questo completa la dimostrazione del punto (d) e del teorema.

Osservazione 9.9. Osserviamo il ruolo fondamentale giocato dall’unicitadella soluzione di (9.9). Se l’esistenza ci ha permesso di avere un can-didato ad essere la funzione esponenziale, e l’unicita che ci ha con-sentito di definirla in modo univoco, e di trovarne delle importantiproprieta algebriche.

Si noti infine che, con questa definizione, il calcolo del limite notev-ole

limx→0

ex − 1

x= 1

non e piu misterioso: basta invocare il teorema di De l’Hospital! Nonc’e piu contraddizione logica, poiche la funzione esponenziale e oraderivabile per ipotesi. Con la definizione “ingenua” dell’esponenziale,al contrario, la derivata di exp va calcolata proprio con il limite notev-ole, e quindi cadiamo in un ragionamento circolare.

A partire da queste proprieta della funzione esponenziale, e facilededurre le principali proprieta della funzione logaritmica (in base e =

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Page 211: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

exp 0). Didatticamente, segnaliamo che la maggior parte dei testi definis-cono il logaritmo naturale come la funzione

log x =∫x1

dtt

, per ogni x > 0.

Da questa formula, con considerazioni essenzialmente elementari, sipossono dedurre tutte le proprieta fondamentali dei logaritmi. Appar-entemente, e piu elementare definire i logaritmi che gli esponenziali.

Osservazione 9.10. Ma se tutto e cosı chiaro e meraviglioso, perche af-fannarsi tanto con le definizioni “ingenue” delle funzioni elementari?La ragione e che sarebbe devastante proporre un corso di calcolo dif-ferenziale senza poter scrivere esponenziali, logaritmi, seni, coseni, etutte le altre funzioni elementari non algebriche. Cio che si puo farein teoria non e detto che sia conveniente in pratica. Inoltre, una voltache si e data una definizione rigorosa dei numeri reali, e immediatodefinire le potenze ad esponente reale, e in particolare l’esponenziale.Per le funzioni goniometriche, il discorso e un po’ meno banale.

9.4 equazioni lineari del secondo ordinea coefficienti costanti

Come detto nell’introduzione al capitolo, le equazioni lineari possiedonocaratteristiche particolari. In questo paragrafo vedremo come utiliz-zare la linearita dell’equazione per determinare le soluzioni. Per sem-plicita, ci limiteremo alle equazioni lineari del secondo ordine a coeffi-cienti costanti:

ay ′′ + by ′ + cy = f, (9.10)

dove a, b e c sono numeri reali mentre f e una funzione assegnata.

Osservazione 9.11. Ogni equazione di ordine due puo essere ricon-dotta ad un sistema di equazioni di ordine uno. Consideriamo ad es-empio la (9.10), e introduciamo l’incognita ausiliaria v = y ′. Allora la(9.10) equivale al sistema{

av ′ + bv+ cy = f

y ′ = v.

Da un punto di vista teorico, si tratta di un risultato di importanza fon-damentale, poiche permette di studiare solamente i sistemi di equazionidifferenziali di primo ordine. Dal punto di vista pratico, spesso e piuconveniente sfruttare tecniche particolari, e la riduzione ad un sistemanon offre molto aiuto.

Come per le equazioni lineari del primo ordine, consideriamo in-nanzitutto il caso omogeneo f = 0.

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L’equazione ay ′′ + by ′ + cy = 0 suggerisce la ricerca di soluzioni ytali che y, y ′ e y ′′ siano multipli di una medesima funzione. Cerchi-amo allora una soluzione y(x) = erx, per oppurtuni valori di r ∈ R.Sostituendo nell’equazione, troviamo in effetti

erx(ar2 + br+ c

)= 0.

Questa identita puo essere soddisfatta soltanto se

ar2 + br+ c = 0 (9.11)

La teoria delle equazioni algebriche di secondo grado ci dice che lesoluzioni reali di (9.11) sono due, una9 oppure nessuna a seconda cheil discriminante ∆ = b2 − 4ac sia positi vo, nullo oppure negativo.Schematicamente, vediamo come trovare le soluzioni nei tre casi.

(1) Due radici reali. L’equazione (9.11) possiede due radici reali dis-tinte r1 e r2, e dunque le due funzioni

x 7→ er1x, x 7→ er1x

sono soluzioni. Per il principio di sovrapposizione, l’integrale generaledell’equazione omogenea e

y(x) = c1er1x + c2e

r2x. (9.12)

(2) Una radice reale. Se ∆ = 0, l’unica radice reale e

r = −b

2a.

Dunque abbiamo trovato una soluzione

x 7→ e−b2ax

per l’equazione omogenea. Malauguratamente, questa non basta adescrivere l’integrale generale. Possiamo tuttavia provare a cercareuna soluzione della forma

x 7→ e−b2axu(x).

Sostituendo, otteniamo la condizione (r = −b/(2a))

0 = e−b2ax

((ar2 + br+ c)u+ au ′′ + (2ar+ b)u ′

)= au ′′.

Dunque u ′′ = 0, e integrando due volte u(x) = c1 + c2x. L’integralegenerale della nostra equazione omogenea e pertanto

y(x) = e−b2ax (c1 + c2x) . (9.13)

9 Gli insegnanti delle scuole superiori amano parlare di due radici coincidenti. Non esbagliato, ed anzi in certi casi e di grande aiuto usare tale espressione. Per i nostriscopi, sarebbe come dire che oggi indosso due paia di pantaloni coincidenti: logicamenteineccepibile ma francamente superfluo. Tutto si sitema introducendo la molteplicita delleradici di un polinomio, concetto comunque be al di la dei limiti del nostro corso.

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(3) Nessuna radice reale. Questo caso e sempre il piu difficile daanalizzare. Non avendo a disposizione l’algebra dei numeri complessi,e piuttosto macchinoso costruire le soluzioni. Ci limitiamo pertanto aproporle “ex cathedra”. Definiamo

α =b

2a, ω =

√4ac− b2

2a.

L’integrale generale nel caso ∆ < 0 si scrive

y(x) = Ae−αx cos(ωx+ϕ) (9.14)

al variare delle costanti A > 0 e ϕ ∈ [−π/2,π/2). In alternativa, leformule di addizione per la funzione coseno dicono che l’integralegenerale puo essere scritto

y(x) = e−αx (C1 sin(ωx) +C2 cos(ωx)) , (9.15)

al variare delle costanti reali C1 e C2. Questa formula e meno concisadella precedente, ma spesso preferibile per fare i calcoli.

Il caso non omogeneo si discute usando il principio di sovrappo-sizione: si trova l’integrale generale dell’equazione omogenea e sisomma ad una soluzione particolare dell’equazione non omogenea.Tutto sta nel calcolare quest’ultima. Vi sono essenzialmente tre modi,per le equazioni del secondo ordine a coefficienti costanti.

1. Procedere per tentativi. Ad esempio, se f e un polinomio digrado n, si cerca una soluzione particolare che sia un polinomiodi grado n+ 2. Questa tecnica e la piu semplice ma anche la piurischiosa, dato che funziona solamente per classi molto ristrettedi funzioni f.

2. Utilizzare il metodo della variazione delle costanti. Siano y1 e y2due soluzioni dell’equazione omogenea. Si cerca una soluzionedell’equazione non omogenea del tipo

yf(x) = c1(x)y1(x) + c2(x)y2(x), (9.16)

dove c1 e c2 sono funzioni incognite. Oltre al fatto che yf risolval’equazione, si impone la condizione ausiliaria10 c ′1(x)y1(x) +c ′2(x)y2(x) = 0. Per trovare le incognite c1 e c2 occorre perciorisolvere il sistema{

c ′1(x)y1(x) + c′2(x)y2(x) = 0

c ′1(x)y′1(x) + c

′2(x)y

′2(x) = f(x).

(9.17)

A dispetto delle apparenze, questo sistema non e di difficilesoluzione: basta ricavare algebricamente c ′1 e c ′2, e integrare.

10 Se avessimo il tempo per la teoria generale delle equazioni differenziali lineari,potremmo far vedere che questa condizione e tutt’altro che artificiosa. Si veda [15]per i dettagli.

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3. Utilizzare la formula di Duhamel.11 Se u e la soluzione del prob-lema di Cauchy

au ′′ + bu ′ + c = 0u(0) = 0

u ′(0) = 1,(9.18)

allora

yf(x) =

∫x0u(x− s)f(s)ds.

Si potrebbe dimostrare che questa espressione altro non e cheuna conseguenza del metodo di variazione delle costanti. L’esperienzadidattica insegna che questo metodo risolutivo non e particolar-mente gradito agli studenti.

Esempio 9.12. Applichiamo tutti questi metodi all’equazione

y ′′ − y = x2. (9.19)

La soluzione generale dell’equazione omogenea y ′′ = y = 0 e y(x) =c1e

x + c2e−x. Poiche il secondo membro dell’equazione e un poli-

nomio di grado 2, cerchiamo un polinomio di grado 4 che sia unasoluzione particolare. Il generico polinomio di quarto grado ha laforma a0+a1x+a2x2+a3x3+a4x4, e sara una soluzione di (9.19) see solo se

12a4x2 + 6a3x− 2a2 − a0 − a1x− a2x

2 − a3x3 − a4x

4 = x2

per ogni x. Uguagliando i coefficienti delle stesse potenze di x, dobbi-amo risolvere il sistema

a4 = 0

a3 = 0

12a4 − a2 = 1

6a3 − a1 = 0

2a2 − a0 = 0.

Operando per sostituzione, troviamo molto facilmente l’unica soluzionea0 = −2, a1 = 0, a2 = −1, a3 = a4 = 0. Quindi una soluzione partico-lare e la funzione polinomiale x 7→ −x2 − 2.

Se usiamo invece il metodo della variazione delle costanti, dobbiamorisolvere il sistema{

exc ′1 + e−xc ′2 = 0

exc ′1 − e−xc ′2 = x2,

che ci porta immediatamente a

c ′1 =1

2x2e−x, c ′2 = −

1

2x2ex.

11 Questa formula e spesso attribuita a Cauchy, che la utilizzo in una forma equivalente madiversa da quella che riportiamo. E interessante osservare che la formula di Duhamelvale per tutte le equazioni differenziali lineari.

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Integrando, c1 = (−12x2 − x− 1)e−x, c2 = (−12x

2 + x− 1)ex, e quindila soluzione particolare e

yf(x) = c1ex + c2e

−x = −x2 − 2.

Utilizzando infine la formula di Duhamel, si trova che

yf(x) =

∫x0

(1

2ex−2 −

1

2es−x

)s2 ds

=1

2ex∫x0s2e−s ds−

1

2e−x∫x0s2es ds.

Lasciamo al lettore il calcolo di questi ultimi due integrali (suggeri-mento: integrare per parti due volte). Alla fine si giunge allo stessorisultato: yf(x) = −x2 − 2. In conclusione, la soluzione generale di(9.19) e

y(x) = c1ex + c2e

−x − x2 − 2.

Sembra evidente che, almeno per funzioni f di tipo molto particolare,conviene almeno tentare di indovinare una soluzione particolare yfcon il primo metodo.

Esempio 9.13. Vogliamo risolvere12 l’equazione

y ′′ + 2y ′ + y =e−x

x.

Osserviamo che il polinomio associato all’equazione e λ2 + 2λ+ 1 = 0,che possiede la radice doppia λ = −1. Dunque la soluzione generaledell’equazione omogena sara y0(x) = C1e

−x + C2xe−x. Occorre de-

terminare una soluzione particolare dell’equazione completa. Poichesembra improbabile indovinare ad occhio una soluzione, ricorriamoalla formula di Duhamel. La soluzione del problema

y ′′ + 2y ′ + y = 0

y(0) = 0

y ′(0) = 1

e la funzione y(x) = xe−x: basta imporre le condizioni y(0) = 0 ey ′(0) = 1 e determinare le giuste costanti C1 e C2. Quindi la teoria cidice che

yf(x) =

∫x1y(x− s)

e−s

sds =

∫x1(x− s)e−(x−s) e

−s

sds

=

∫x1

x− s

se−2−t+s ds =

∫x1

x− s

se−x ds

= e−x∫x1

x− s

sds = e−x [x log |s|− s]s=xs=1

= e−x (x log x− x+ 1) .

12 Con questa espressione intenderemo sempre che vogliamo calcolare la soluzione gen-erale.

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Un’osservazione: abbiamo integrato fra 1 ed x invece che fra 0 ed xperche la funzione a secondo membro dell’equazione non e definita in0. Infine, la soluzione generale della nostra equazione e

y(x) = C1e−x +C2xe

−x + x(log x− 1)e−x.

Per inciso, si potrebbe far vedere che la formula di Duhamel e soloun caso particolare del metodo della variazione delle costanti. La for-mula di Duhamel sembra il metodo piu invitante, sebbene sia in realtaabbastanza insidiosa a causa degil integrali complicati a cui conduce.

Quasi tutto quello che abbiamo esposto e tratto da [17]. Numerosiesempi, modelli e tecniche risolutive per le equazioni differenziali ordi-narie si trovano nei primi capitoli del libro [26]. Pur non presentandoalcuna giustificazione teorica dei risultati, in questo agile libretto lo stu-dente interessato puo facilmente impratichirsi con la risoluzione delleequazioni differenziali piu comuni. Si veda anche [14].

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10 METOD I DEL CALCOLOAPPROSS IMATO

In quest’ultimo capitolo, affronteremo succintamente alcuni problemidell’Analisi Numerica. Pur tenendoci a un livello di difficolta davverobasso, abbiamo l’ambizione di proporre alcuni metodi di calcolo ap-prossimato. In particolare, proporremo il metodo di interpolazione diLagrange per costruire un polinomio che unisca dei punti del pianocartesiano. Di seguito, vedremo tre modi per tovare approssimazioninumeriche degli integrali definiti. Trattandosi di argomenti comple-mentari al corso, non ci soffermeremo su molti dettagli, ne discuter-emo la questione piu importante di tutta l’Analisi Numerica: quelladella precisione dei metodi.

10.1 interpolazione polinomialeSupponiamo che, durante un esperimento di laboratorio, le misurazionici forniscano delle coppie numeriche rappresentative di una quantitafisica o chimica in relazione a un’altra quantita variabile:

(x1,y1), (x2,y2), . . . , (xn,yn).

La prima cosa che ci viene in mente di fare e di segnare tali punti nelpiano cartesiano, cenrcando di capire se esista una relazione fra i valoridelle x e quelli delle y.1

Innanzitutto, la presenza di punti con uguale ascissa e diverse ordi-nate creerebbero problemi insormontabili, perche non ci sarebbe sper-anza di avere la y in funzione della x. Sbarazziamoci fin d’ora di talecaso, peraltro ridicolo da un punto di vista sperimentale. Infatti, sealla stessa x corrispondessero due valori sperimentali distinti della y,dovremmo concludere che non siamo capaci di fare l’esperimento.

In seconda battuta, fin da bambini ci siamo divertiti a “unire i pun-tini” sulle riviste di enigmistica. Questo metodo funziona sempre, eproduce una funzione continua il cui grafico e la spezzata che con-giunge i dati sperimentali. Quasi sicuramente, questa funzione nonsara pero derivabile nei punti di congiunzione. E soprattutto sarebbepresuntuoso ipotizzare che proprio quei pochi dati calcolati siano gli“spigoli” della vera funzione che lega le ordinate alle ascisse. Rara-mente i fenomeni macroscopici misurabili in laboratorio presentanocomportamenti spigolosi.

1 Chi scrive e un matematico “puro”, e in queste situazioni e convinto che dieci o centopunti nel piano non servano assolutamente a niente. Anche se fossero allineati lungouna retta orizzontale, la logica matematica non ci permetterebbe di trarre la conclusioneche ogni scienziato “applicato” ne trarrebbe. Chi ci dice che, facendo anche solo unamisurazione in piu, non troveremmo un punto completamente disallineato?

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Ben consci di tutte queste difficolta, rivolgiamo allora lo sguardoverso una classe di funzioni che uniscono vari pregi: facilita di derivazione,di integrazione, di calcolo dei valori. Stiamo parlando dei polinomi.

Ora, c’e un evidente legame fra il numero di dati sperimentali e ilgrado del polinomio che vogliamo trovare. Se abbiamo due coppie dipunti, possiamo unirli con una retta univocamente individuata2, mapossiamo anche unirli con infiniti rami di parabole variamente dis-poste nel piano cartesiano. Per convincere di cio anche lo studentepiu scettico, scegliamo i due punti (−1, 0) e (1, 0). La retta orizzontaley = 0 li congiunge, ma anche tutte le parabole y = a(x2 − 1) al variaredi a ∈ R.

Riassumendo, con due punti abbiamo un unico polinomio di grado1 = 2− 1, e infiniti polinomi di grado maggiore di 1. Per tre punti,la geometria analitica delle scuole superiori ci assicura che esiste unaed una sola parabola che li unisce, ma e facile costruire infiniti poli-nomi di quarto grado che passano per tali punti. Ci sembra di vedereun legame fra il numero n + 1 di dati sperimentali e il grado n delpolinomio univocamente determinato. Il seguente teorema non solo ciconforta in questa convinzione, ma ci fornisce una formula esplicitaper scrivere tutti i coefficienti del polinomio di grado n voluto.

Teorema 10.1 (Polinomio interpolatore di Lagrange). Dati n+ 1 puntidistinti x0, x1, . . . , xn e n + 1 numeri reali y0,y1, . . . ,yn non necessaria-mente distinti, esiste uno ed un solo polinomio P di grado (minore o uguale a)n tale che P(xj) = yj per ogni j = 0, 1, 2, . . . ,n. Questo polinomio e dato da

P(x) =

n∑k=0

ykAk(x)

Ak(xk), (10.1)

dove

Ak(x) =∏j6=k

(x− xj).

Certo, il polinomio interpolatore ha un aspetto vagamente miste-rioso. Il simbolo

∏di produttoria e analogo a quello della sommatoria:

serve a scrivere brevemente i prodotti invece che le somme. Vediamodi spiegare brevemente perche il polinomio di Lagrange ha proprioquesto aspetto. Partendo dal caso molto semplice di due punti x0 e x1,consideriamo le due espressioni x− x0 e x− x1. La prima si annullaper x = x0, la seconda per x = x1. Se poi le dividiamo opportuna-mente, troviamo le espressioni

x− x0x1 − x0

,x− x1x0 − x1

.

La prima vale 1 per x = x1. mentre la seconda vale 1 per x = x0.Pertanto l’espressione

y0x− x0x1 − x0

+ y1x− x1x0 − x1

2 Il famoso assioma “per due punti passa una ed una sola retta”.

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vale y0 per x = x0 e y1 per x = x1. Ovviamente, al variare dix ∈ R, questa espressione rappresenta un polinomio di primo grado.Confrontandolo con il Teorema precedente, abbiamo costruito esatta-mente il polinomio di Lagrange di primo grado. Non e difficile con-vincersi che il generico polinomio di Lagrange di grado n si costru-isce seguendo lo stesso principio: prima si trovano n polinomi Aj,j = 0, 1, . . . ,n, che hanno la proprieta

Aj(xi) = 0 per ogni i 6= j,

e poi si divide per Aj(xj) in modo da ottenere un’espressione polino-miale che vale 1 per x = xj. Infine si moltiplica ognuna di questeespressioni per yj e si somma rispetto a j. Il risultato e esattamente ilpolinomio interpolatore di Lagrange.

Osservazione. Un approccio piu concreto e il seguente. Vogliamo unpolinomio di grado (al piu) n, e lo scriviamo nella forma

P(x) =

n∑k=0

akxk.

Come troviamo i coefficienti incogniti a0, a1, ecc.? E semplice: impo-nendo le condizioni

P(xj) = yj, j = 0, . . . ,n.

Ricaviamo un sistema di n+ 1 equazioni lineari nelle n+ 1 incogniteaj, j = 0, . . . ,n. Risolvendo questo banale3 sistema, ricaveremo il poli-nomio interpolatore. Salvo errori di calcolo, l’unicita di tale polinomiosignifica che ad esso possiamo arrivare in qualunque modo ci facciacomodo.

Trovato il polinomio interpolatore, che ne facciamo? In primo luogo,lo possiamo usare proprio per interpolare, cioe per “indovinare” i valoridella funzione sperimentale nei punti compresi fra i nodi sperimentaliusati per la costruzione del polinomio.4 Solo per fare un esempio di in-teresse storico e matematico, le celebri tavole dei logaritmi con cui neisecolo scorsi generazioni di ingegneri hanno fatto i loro calcoli eranobasate sull’interpolazione lineare. Piu correttamente, le tavole riporta-vano una grande quantita di “nodi” (i cui logaritmi erano calcolati conmetodi che qui non possiamo approfondire). Se si voleva calcolare illogaritmo di un numero che non appariva sulle tavole, lo si localizzavafra i due nodi adiacenti, e si faceva l’interpolazione lineare fra di essi.Questo procedimento comportava un errore, tutto sommato trascur-abile grazie alla densita dei nodi. Ci auguriamo vivamente che il nos-tro studente non si abbandoni a sorrisi di scherno verso i suoi “avi”

3 D’accordo, stiamo facendo dell’ironia fuori luogo.4 Si parla invece di estrapolazione quando si pretende di calcolare i valori esterni al piu

piccolo e al piu grande nodo sperimentale. Questo e un procedimento molto pericoloso.Se dati sperimentali molto fitti possono ragionevolmente indurre a un miglioramentodell’interpolazione, nulla ci rassicura sul fatto che il polinomio approssimi bene la fun-zione sperimentale a grande distanza dai valori calcolati in laboratorio.

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scienziati. Se e vero che i moderni calcolatori sanno operare con preci-sione molto alta, anch’essi forniscono risposte approssimate. Facendoqualche confronto fra i risultati del metodo delle tavole e quelli di unacalcolatrice scientifica a dieci cifre decimali, ci si accorge che le tav-ole “sbagliano” mediamente dalla quinta cifra in poi. Un confrontodecisamente lusinghiero, se si considera che le tavole erano preparatecalcolando con carta e matita!

Un altro uso possibile del polinomio interpolatore e quello di usarloper calcolare l’integrale della funzione sperimentale incognita. Infatti,questo integrale potrebbe avere un significato concreto, e sarebbe pres-soche impossibile stimarne il valore in altro modo. Su questo prob-lema ritorneremo nella prossima sezione. Piu delicato e addiritturasconsigliabile se non come ultimo tentativo e l’uso del polinomio percalcolare la derivata della funzione sperimentale. La ragione di questoscetticismo dovrebbe essere chiaro. I grafici di due funzioni possonoessere molto vicini nel piano cartesiano, ma avere pendenze moltodiverse. Si pensi, intuitivamente, a una funzione costante e a unafunzione che oscilla “furiosamente” fra due valori vicini alla costante.La prima ha pendenza identicamente nulla, la seconda ha pendenzemolto brusche vicino alle oscillazioni. Poiche il nostro polinomio in-terpolatore e costruito solo ed esclusivamente per assumere gli stessivalori della funzione sperimentale nei nodi calcolati, e difficile credereche serva ad approssimare accuratamente la derivata. Anche per gliesperti, la derivazione numerica e un argomento tra i piu difficili, enaturalmente non ce ne occuperemo in questa sede.

Osservazione 10.2. Esistono altri tipi di approssimazione polinomiale,anch’essi molto diffusi nei problemi delle scienze applicate. Un primoesempio e quello di cercare un polinomio che passi per i nodi (xj,yj)e che in tail punti abbia un assegnato valore della derivata prima. Ipolinomi che se ne ricavano5 prendono il nome di polinomi di Hermite.Pur senza soffermarci sulle loro proprieta, e evidente che a parita dinodi occorrono polinomi di grado piu alto che per la semplice int er-polazione di Lagrange. Pensiamo ai due punti: sappiamo che peressi passa esattamente un polinomio di grado uno, ma il valore delladerivata nei due nodi e fissato (e costante per i due punti). Volendoprescrivere anche i due valori della derivata nei due nodi, ci serev unpolinomio di grado maggiore. Ne deduciamo che l’interpolazione diHermite fornisce polinomi sensibilmente diversi da quelli di Lagrange.

Un altro esempio e quello della ricerca della retta che “meglio ap-prossima” un insieme di punti del piano cartesiano. Abbiamo virgolet-tato la richiesta di approssimazione perche non vogliamo entrare neidettagli di questo metodo. E pero evidente che non si pu o parlare diinterpolazione: se prendiamo tre punti non allineati nel piano carte-siano, non ci sara nessuna retta di interpolazione. Ha invece sensochiedersi quale sia (se esiste) la retta che passa piu vicino a tutti ipunti segnati. Fra i metodi piu popolari per trattare questo problemae quello dei minimi quadrati. Facciamo un esempio numerico: pren-diamo i tre punti di coordinate (−1, 0), (0, 0) e (1, 0), osservano che

5 Lo studente rifletta sul fatto che non e affatto banale che tali polinomi esistano.

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appartengono alla parabola di equazione y = x2. Si calcola abbas-tanza velocemente che la retta che passa piu vicino a questi punti haequazione y = 1/2. Siamo ben lontani dal concetto di interpolazione.

10.2 integrazione numericaCi poniamo il problema di calcolare, con un’approssimazione prefis-sata, un integrale definito∫b

af(x)dx,

dove f e una funzione continua. Non e sempre possibile conoscereesplicitamente una primitiva di f o, comunque, esprimere il valoredell’integrale mediante una formula in cui compaiono solo funzionielementari; anzi si puo dire che queste situazioni favorevoli devonoritenersi eccezionali. Presenteremo tre metodi, tutti ispirati piu o menodirettamente alla definizione stessa di integrale di Riemann.

8.2.1 Il metodo dei rettangoli

Fissato un intero n > 0, si ponga

xk = a+b− a

nk (k = 0, 1, . . . ,n)

e si assuma come valore approssimato dell’integrale

Sn =b− a

n(f(x0) + f(x1) + · · ·+ f(xn−1)) .

Il seguente risultato esprime la precisione con cui Sn approssima ilvero valore dell’integrale.

Teorema 10.3. Ammettendo che, per qualche costante M1 > 0 si abbia|f ′(x)| 6M1 in [a,b] risulta∣∣∣∣∣Sn −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ 6 M12

(b− a)2

n.

Quindi vediamo che limn→+∞ Sn =∫ba f(x)dx, e l’errore commesso

tende a zero come 1/n.

8.2.2 Il metodo delle tangenti

Il metodo precedente, come era da aspettarsi, e piuttosto grossolano.L’intuizione ci dice che, quando f sia abbastanza regolare, una sommadel tipo

∑k(xk − xk−1)f(zk) fornisca una migliore approssimazione

dell’integrale se per ogni intervallo il punto zk coincide con il puntomedio, cioe zk = (xk−1 + xk)/2. Sia dunque ancora

xk = a+b− a

nk (k = 0, 1, . . . ,n)

221

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e sia

zk =xk−1 + xk

2.

Poniamo

S ′n =b− a

n(f(z1) + f(z2) + · · ·+ f(zn)) .

Teorema 10.4. Sia f una funzione dotata di derivate prima e seconda con-tinue in [a,b] e si abbia |f ′′(x)| 6M2. Allora∣∣∣∣∣S ′n −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ 6 M224

(b− a)3

n2.

A parita di nodi, questo metodo fornisce effettivamente un’approssimazionemigliore.

Osservazione. Spesso si definisce uno stimatore della precisione nu-merica, chiamato ordine del metodo. Prendendo come funzioni–campionei soliti polinomi, un metodo numerico e di ordine N se esso e esatto(cioe non si comemtte nessun errore) per tutti i polinomi di ordine (nonsuperiore a) N. E facile convincersi che sia il metodo dei retatngoli chequelo dei trapezi sono di ordine N = 1. Basta pensare alla costruzionedelle approssimazion per rendersi conto che Sn e S ′n coincidono conil valore dell’integrale di f ogni volta che f e una funzione lineare. Inquesto senso, invitiamo lo studente ad usare con la dovuta cautela ilconcetto di precisione per i metodi numerici. Potendosi dimostrarel’ottimalita delle stime fornite dai teoremi precedenti, deduciamo chel’ordine e uno stimatore che non si sovrappone alla velocita con cuil’errore tende a zero. D’altra parte, l’ordine non fa ricorso al numerodi derivate disponibili per la funzione integranda, e questo lo rendesensato anche per le funzioni che siano solo continue. Avvertiamo chei tre metodi precedenti sono esposti anche in [18], dove pero le for-mule relative agli errori sono decisamente migliorabili. Una rapidaispezione delle stime mostra che esse sono matematicamente rigorose,ma diverse da quelle dei nostri teoremi proprio in quanto e richiestameno regolarita alla funzione integranda.

8.2.3 Il metodo di Cavalieri–Simpson

Il metodo delle tangenti consiste nel compiere l’integrazione dopoaver sostituito, in ciascun intervallo della suddivisione, il grafico dellafunzione con la tangente al grafico, in corrispondenza al punto dimezzo.

Viene spontaneamente l’idea di introdurre una curva che meglioapprossimi il grafico, almeno quando questo sia abbastanza “liscio”.Il metodo che esponiamo consiste nell’approssimare il grafico con unarco di parabola, che coincida con la curva in corrispondenza degliestremi di ciascun intervallo e del punto di mezzo. 6

6 Ricordiamo infatti che servono tre punti distinti per determinare univocamente unaparabola che li congiunga.

222

Page 224: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Presa dunque la suddivisione {x0, x1, . . . , xn} dell’intervallo [a,b] inn intervalli di uguale ampiezza, e posto zk = (xk−1 + xk)/2, consid-eriamo un polinomio di secondo grado, che potra essere scritto nellaforma

pk(x) = α(x− zk)2 +β(x− zk) + γ,

e imponiamo le condizioni

pk(xk−1) = f(xk−1), pk(zk) = f(zk), pk(xk) = f(xk).

Ponendo

xk − zk = zk − xk−1 = σ =b− a

2n,

si avra

γ = f(zk)

ασ2 +βσ = f(xk) − f(zk)

ασ2 −βσ = f(xk−1) − f(zk).

Si ha poi7∫xkxk−1

pk(x)dx =

[α(x− zk)

3

3+ γ(x− zk)

]xkxk−1

=2

3ασ3 + 2γσ.

Ricavando α e γ dal sistema,∫xkxk−1

pk(x)dx =f(xk) + f(xk−1) + 4f(zk)

=b− a

n

f(xk) + f(xk−1) + 4f(zk)

6.

Sommando rispetto all’indice k, otteniamo la seguente espressione ap-prossimata dell’integrale:

S?n =b− a

n

n∑k=1

f(xk) + f(xk−1) + 4f(zk)

6

=b− a

6n

{f(x0) + f(xn) + 2

[f(x1) + f(x2) + · · ·+ f(xn−1)

]+ 4[f(z1) + f(z2) + · · ·+ f(zn)

]}.

Teorema 10.5. Sia f una funzione continua con le sue derivate fino al quartoordine in [a,b] e sia |D4f(x)| 6M4. Allora∣∣∣∣∣S?n −

∫baf(x)dx

∣∣∣∣∣ 6 M4(b− a)5

2880

1

n4.

Dalla costruzione emerge chiaramente che il metodo di Cavalieri–Simpson e esatto per i polinomi di secondo grado, e dunque e unmetodo di ordine N = 2.

7 Il termine β2 (x− zk)

2 si semplifica perche stiamo integrando su un intervallo simmet-rico rispetto a zk.

223

Page 225: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Osservazione 10.6. Avvertiamo lo studente che su molti testi vengonoutilizzate notazioni diverse. Noi abbiamo introdotto, per ogni coppiadi nodi xk e xk+1 un noto di comodo zk. Altri autori prendono invecetre nodi consecutivi xk−1, xk e xk+1 della suddivisione, considerandoovviamente xk alla stregua del nostro zk. A questo punto pero bisognascegliere obbligatoriamente n pari, altrimenti non si riesce ad arrivarea b con l’ultimo passaggio. E chiaro che l’idea resta sempre quella diapprossimare f mediante archi di parabola.

Concludiamo con un confronto: cerchiamo di approssimare

log 2 =∫21

dx

x.

Prendendo n = 4 nel metodo delle tangenti, i punti di mezzo saranno

9

8,11

8,13

8,15

8.

Troviamo dunque

S ′4 =1

4

(8

9+8

11+8

13+8

15

)= 0.6910

mentre log 2 = 0.6931... Con 4 suddivisioni, il valore e corretto allaseconda cifra decimale.

Usiamo invece il metodo di Cavalieri–Simpson con n = 2. facendoqualche calcolo si arriva a

S?2 =1

12

(1+

1

2+4

3+ 4

(4

5+4

7

))= 0.6932...

Come si vede, l’approssimazione ottenuta e sensibilmente migliore giacon la meta di suddivisioni.8

Il contenuto di questo paragrafo e preso dall’ultimo capitolo di [35].Non trattandosi di un testo specializzato nel calcolo numerico, la trat-tazione ha un’impostazione molto geometrica ed intuitiva. In effetti,dubitiamo che lo studente abbia scorto il legame fra i tre metodi pro-posti e l’interpolazione polinomiale. Per il metodo dei rettangoli, talelegame semplicemente non c’e, o comunque e decisamente “degenere”.Infatti ci siamo limitati ad approssimare la funzione continua f consegmenti orizzontali, ottenendo un’approssimazione chiaramente dis-continua.

In realta, il metodo di Cavalieri–Simpson consiste evidentementenell’integrazione di un polinomio interpolatore di secondo grado, comeabbiamo evidenziato nella costruzione. Come utile esercizio, lo stu-dente potra verificare che partendo dal polinomio interpolatore di La-grange passante per i tre punti (xk, f(xk)), (zk, f(zk), (xk+1, f(xk+1))e integrandolo fra xk e xk+1 si perviene alla stessa formula. Non ab-biamo seguito questa via solo perche conveniva sfruttare la simmetriarispetto al punto mediano zk per semplificare alcuni calcoli.

8 A questo riguardo, si leggano gli ultimi capoversi del capitolo.

224

Page 226: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

Resta da capire se l’integrazione del polinomio interpolatore di primogrado conduca a una formula di integrazione approssimata efficiente.La risposta e affermativa, e il metodo va sotto il nome di metodo deitrapezi.

Fissata la solita suddivisione {x0, x1, . . . , xn} di [a,b], per ogni inter-vallino [xk−1, xk] possiamo introdurre il polinomio di interpolazionelineare p1, che esplicitamente si scrive

p1(x) =f(xk) − f(xk−1)

xk − xk−1(x− xk−1) + f(xk−1).

Integrando, 9∫xkxk−1

p1(x)dx =f(xk) + f(xk−1)

2(xk−xk−1) =

b− a

n

f(xk) + f(xk−1)

2.

Infine, sommando rispetto all’indice k, troviamo la formula di ap-prossimazione per l’integrale esteso da a a b:

Strapn =

b− a

n

n∑k=1

f(xk) + f(xk−1)

2.

Per costruzione, questo e un metodo di ordine N = 1, dato che i poli-nomi per i quali l’interpolazione lineare e sempre esatta sono quelli digrado uno.

E altresı evidente che nulla ci impedisce di considerare polinomiinterpolatori di grado piu alto di due. Potremmo infatti raggrup-pare i punti a tre a tre e cercare un polinomio di terzo grado che liunisca.10 Se questo puo sembrare un gioco appassionante con cui met-tere alla prova la propria comprensione dell’argomento, ci si accorgein fretta che esagerare non serve a molto. Lo studente avra senz’altronotato che far passare un polinomio di decimo grado per undici nodi esolo una complicazione tecnica: tanto vale “raffinare” la suddivisionedell’intervallo e usare un polinomio di grado inferiore. La formuladi Cavalieri–Simpson e una delle preferibili, dal momento che unisceaccuratezza e semplicita. Nella letteratura specializzata (si veda [36]),molta importanza viene data ai metodi di Newton–Cotes, basati pro-prio sui polinomi di Lagrange.

Infine, tutti i metodi di integrazione approssimata hanno la caratter-istica di essere facilmente implementabili in un qualsiasi linguaggio diprogrammazione moderno, come il C, il Python, il Fortran o anche unodei linguaggi di alto livello come Matlab, Mathematica o Maple. Per tuttisi tratta solamente di ricevere in input una stringa di dati (i nodi sulleascisse e i corrispondenti valori sulle ordinate) e di emettere in outputun numero ottenuto mediante alcune semplici operazioni aritmetiche.

Lo studente interessato potra trovare alcuni esempi, assolutamenteelementari e primitivi, di implementazione nel linguaggio C dei metodi

9 Lo studente si convinca che l’integrale di p1 altro non e che l’area di un trapezio rettan-golo di basi f(xk) e f(xk−1) e altezza (b−a)/n.

10 Evidentemente, capitera di dover supporre che il numero di intervalli della suddivisionesia pari. Questo dettaglio sara sottinteso.

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Page 227: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

dei trapezi, delle tangenti e di Simpson sul sito dell’autore, nella sezionedi didattica. La scelta del linguaggio C e legata all’esistenza dei compi-latore Open Source gcc, liberamente installabile su ogni sistema opera-tivo moderno e gia presente nelle principali distribuzioni GNU/Linux.Naturalmente il codice e cosı semplice da poter essere tradotto in tuttii linguaggi scientifici conosciuti. Solo per comodita, riportiamo di se-guito il brevissimo listato del metodo dei trapezi in Python. La primariga e specifica per i sistemi Unix (GNU/Linux, *BSD, Apple Mac OSX, ecc.)

#!/usr/bin/python

def f(x) :t = 1./x

return t

n = 1000

i = 0

x1 = 1.

x2 = 1. + 1./n

S = 0.

while i¡n :x1 = x2

x2 = x2 + 1./n

S = S + (1./n)*0.5*(f(x1)+f(x2))

i = i+1

print S

Lo studente notera che abbiamo evitato l’uso degli array per mem-orizzare i nodi della suddivisione e le corrispondenti immagini. Uninformatico noterebbe che il listato in Python e preferibile a quelli inC proprio perche usa strutture piu elementari. Per un matematico, alcontrario, e piu spontaneo usare un array di numeri reali.

10.3 risoluzione approssimata delle equazioniUn altro capitolo molto affascinante del Calcolo Numerico e costituitodalla ricerca delle soluzioni di equazioni. Per restare entro i limiti el-ementari che ci proponiamo in questo ultimo capitolo, considereremosolo equazioni della forma generale

f(x) = 0, (10.2)

che interpreteremo cosı: data una funzione f : R → R, trovare i valoridi x ∈ R tali che f(x) = 0.

Naturalmente, si tratta di un problema talmente generale che sonopoche le speranze di dimostrare risultati significativi senza ulterioriipotesi suula natura della funzione f. Non si tratta della nostra inca-pacita, ma della natura della cose. Ad esempio, le equazioni lineari del

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Page 228: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

tipo mx + q = 0 presentano gia due comportamenti molto diversi aseconda della scelta dei parametri m e q. Se m 6= 0, allora per ogni qesiste esattamente una soluzione x = q/m. Ma se m = 0, anche il val-ore di q diventa fondamentale: se q = 0 l’equazione diventa 0 · x = 0,sempre soddisfatta. Se q 6= 0, l’equazione 0 · x = q non e mai risolta.

D’altronde, anche equazioni semplici da scrivere come x6 + 7x5 +x− 1 = 0 non sono risolvibili in termini elementari.11

Un primo problema da affrontare e quello della possibile mancanzadi soluzioni: e chiaro che non ha senso spendere tempo alla ricercadi soluzioni per ex = 0, dal momento che non ne esistono per le pro-prieta della funzione esponenziale. E molto comune partire dal pre-supposto che esistano due punti a < b tali che f(a)f(b) < 0. Questacondizione, che dice in pratica che in un punto la funzione e negativae in un altro punto e positiva, ci lascia qualche speranza di risolverel’equazione f(x) = 0. O almeno e quello che possiaom credere un po’ingenuamente. Se la funzione f e continua, il noto teorema degli zerici e di conforto. Ma se f fosse discontinua, nemmeno questa ipotesigarantirebbe l’annullamento di f fra a e b.

Per queste ragioni, supporremo d’ora in poi che f sia una funzionecontinua e definita almeno in un intervallo [a,b].

Ora che siamo piu tranquilli riguardo l’esistenza di una soluzioneper f(x) = 0, ci domandiamo come individuarla. Problema tutt’altroche banale, come visto. Brevemente, passeremo in rassegna alcunimetodi di approssimazione numerica, che hanno in comune la tecnicaiterativa. Senza voler essere ora troppo pendanti, questi metodi for-niscono delle successioni {xn}n di punti sull’asse reale tali limn→+∞ f(xn) =0. In piu, accade che xn+1 sia costruito a partire da xn, appunto sec-ondo uno schema iterativo.

Osservazione 10.7. La formulazione (10.2) sembra essere solo una casoparticolare dell’equazione piu generale f(x) = y. In realta, ci rendiamosubito conto che non e cosı. Infatti, l’equazione f(x) = y equivale af(x) − y = 0, che e della forma (10.2).

Nel seguito, ci occuperemo di alcuni metodi di risoluzione approssi-mata di equazioni del tipo (10.2). Faremo un’ipotesi molto forte sullafunzione f: non solo richiederemo che sia almeno derivabile una volta,ma addiritura supporremo che le sue radici, cioe i punti α dove f(α) =0, siano tutte semplici. Per definizione, questo significa che f ′(α) 6= 0.

Osservazione 10.8. La ragione per cui ci limiteremo al caso delle radicisemplici e diventera chiaro quando introdurremo i metodi numerici ela loro interpretazione geometrica. Comunque, lo studente dovrebbegia rendersi conto che determinare le radici multiple di una funzionee un problema delicato: per la funzione f(x) = x2, la soluzione x = 0

e una radice doppia (infatti f ′(0) = 0), ed osserviamo che non esistealcun intervallo contenente tale radice ai cui estremi la funzione cam-bia segno. In breve, se non fossimo capaci di risolvere direttamente la

11 Con questa espressione, intendiamo dire che non possiamo scrivere che le soluzionisono x = . . ., cioe scritte con formule chiuse.

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Page 229: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

nostra equazione, non avremmo speranza di localizzare la soluzionedoppia mediante un semplice ragionamento sul segno di f.

10.3.1 Il metodo di bisezione

Abbiamo gia incontrato questo metodo, proprio nella dimostrazionedel teorema degli zeri per le funzioni continue. Rimandiamo dunqueal Teorema 5.37 per i dettagli. In questa sede, siamo piuttosto inter-essati alla precisione numerica del metodo. A causa della natura didimezzamento del metodo, si dimostra che l’errore al passo n–esimosi stima come

en = |f(xn)| <b− a

2n+1.

Quindi, non solo en → 0 per n → +∞, ma si puo dire che si avvicinaalla soluzione con velocita inversamente proporzionale a 2n+1. Tut-tavia, in analisi numerica questo metodo non e considerato molto ef-ficiente. Ad esempio, applicandolo all’equazione (x/2)2 − sin x = 0

nell’intervalllo [3/2, 2], ad ogni iterazione si guadagna solo una cifradecimale. Meglio di niente, ma si puo fare di meglio. D’altronde, ilprincipale difetto di questo metodo e che non sfrutta affatto la formadella funzione f, ma solo la sua continuita. Ed e chiaro che non tuttele funzioni continue sono simili numericamente.

10.3.2 Il metodo di Newton

L’ultimo metodo che discutiamo e basato sull’uso esplicito della derivataprima di f. Si parte da un valore x1 arbitrario, e si costruisce {xn}n me-diante l’algoritmo ricorsivo

xn+1 = xn −f(xn)

f ′(xn).

Geometricamente, ad ogni passo xn+1 e l’intersezione fra l’asse delleascisse e la retta tangente al grafico di f nel punto (xn, f(xn)).

Per quanto riguarda l’accuratezza di questo metodo, supponiamoche f sia derivabile almeno due volte, e scriviamo il suo sviluppo diTaylor centrato nella soluzione semplice x = xn:

0 = f(α) = f(xn) + (α− xn)f′(xn) +

1

2(α− xn)

2f ′′(ξ)

per qualche ξ ∈ (xn,α). Dividendo per f ′(xn) arriviamo a

f(xn)

f ′(xn)+α− xn = α− xn+1 = −

1

2

(α− xn)2f ′′(ξ)

f ′(xn).

Pertanto

en+1 =1

2e2nf ′′(ξ)

f ′(xn),

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e poiche xn → α ricaviamo

limn→+∞ en+1e2n

=1

2

f ′′(α)

f ′(α).

A parole, ad ogni passo l’errore si comporta come il quadrato dell’erroreal passo precedente. Questo denota una buona accuratezza del metodo,purche si parta da una buona approssimazione iniziale della soluzione α.

10.3.3 Il metodo delle secanti, o della regula falsi

Questo metodo, che coinvolge i valori numerici della fuzione f ad ogniiterazione ma non quelli della derivata f ′, e basato sul seguente al-goritmo: si scelgono arbitrariamente x1 e x2 in [a,b], e si costruiscericorsivamente la successione {xn}n mediante la formula

xn+1 = xn −xn − xn−1

f(xn) − f(xn−1)f(xn),

definita a patto che f(xn) − f(xn−1) 6= 0. Geometricamente, xn+1e l’intersezione fra l’asse delle ascisse e la retta passante per i duepunti (xn−1, f(xn−1)) e (xn, f(xn)). Si puo dimostrare che la velocitadi convergenza di questo metodo e superiore a quello del metodo dibisezione, ma e paragonabile a quello del metodo di Newton. Il van-taggio rispetto a quest’ultimo e che non dobbiamo calcolare la derivatadi f, che viene “approssimata” mediante la quantita discreta

f(xn) − f(xn−1)

xn − xn−1.

Purtroppo, il quoziente xn−xn−1f(xn)−f(xn−1)

e numericamente problematicoa causa della possibilita che il denominatore sia nullo.

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11 EP I LOGO

Siamo arrivati alla fine del nostro viaggio, durato circa dodici set-timane e accompagnato probabilmente da prove scritte intermedie.Lo studio di queste dispense, affiancate dagli appunti del corso edelle esercitazioni, e soprattutto completato dalla lettura di uno deitesti segnalati nella bibliografia, dovrebbe trasmettere allo studente leconoscenze indspensabili a qualsiasi laureando in una disciplina sci-entifica. Sono sicuro che solo un numero statisticamente trascurabiledi iscritti serbera un ricordo piacevole del corso di Matematica. Restatuttavia la speranza che, almeno una volta, le idee studiate con faticain questi mesi possano rivelarsi utili.

A tutti gli studenti che sono arrivati alla fine delle lezioni senzacommettere gesti insani, va un ringraziamento e l’invito a proseguirela carriera universitaria con serieta e passione.

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COMMENTO ALLAB IBL IOGRAF IAInnanzitutto, suggeriamo senz’altro a tutti gli studenti di leggere ilclassico testo di Courant e Robbins [11]. Ne esiste una traduzioneitaliana risalente agli anni ’70 del secolo scorso. E una descrizionemolto piacevole e scorrevole dei fondamenti della matematica mod-erna, spesso presentati attraverso esempi e problemi di facile compren-sione. Non e pero un valido libro di testo per un corso universitario.

Il fatto che il libro di G.H. Hardy [25] risalga al 1921 (ed era giala terza ristampa!) dovrebbe essere un chiaro segnale della classicitadegli argomenti trattati nel nostro corso. A parte qualche notazioneormai caduta in disuso, il testo di Hardy conserva ancora oggi unnotevole fascino scientifico, e potrebbe tranquillamente essere utiliz-zato nelle nostre universita.

Un manuale molto recente, che lo studente puo trovare interessanteed educativo, e [8]. Lo stile del libro e veloce e preciso, e l’unicadifferenza fra il suo contenuto e le lezioni in aula e la costruzionedell’integrale di Riemann. In questo libro e stata privilegiata la definizionepiu intuitiva dell’integrale definito mediante il limite delle somme inte-grali. Come dimostriamo nel Teorema 6.10, di fatto la nostra costruzionecoincide con quella di [8], ma si rivela piu maneggevole nelle dimostrazioni.

Un altro testo di riferimento per il corso e [10]: un libro modernoe ricco di contenuti, approfondimenti ed esercizi svolti. Alcuni argo-menti vengono pero trattati da un punto di vista diverso, e presupponenel lettore una preparazione che, di questi tempi, non sembra esseremolto diffusa.

Edizione riveduta e corretta di un famoso testo universitario in voganegli anni ’90 del secolo scorso, il manuale [19] propone per intero gliargomenti trattati nel nostro corso (con un capitolo di ripasso della ge-ometria analitica, utile per rivedere o apprendere qualche concetto uti-lizzato anche da noi). Il ritmo dell’esposizione e molto tranquillo, e nu-merosi sono gli esempi e i commenti ai contenuti. La lunga esperienzadidattica ha suggerito all’Autore l’omissione di alcune dimostrazioniparticolarmente tecniche; in questi rari casi, lo studente trovera i det-tagli sulle dispense.

Piu simile alle nostre dispense e invece [17], strutturato in capitolisnelli e adatti ad essere trattati in due ore circa di lezione. Le suc-cessioni sono introdotte soltanto alla fine, come capitolo facoltativo.Questo rende alcune dimostrazioni meno trasparenti ed intuitive, e gliesercizi sono di un livello senz’altro superiore a quelli che il nostrostudente deve saper risolvere. Il testo [35], scritto da uno dei padridella moderna Analisi non lineare, e stato considerato a lungo uno deimigliori manuali universitari per lo studio dell’Analisi Matematica,prevalentemente rivolto a studenti del corso di Matematica o Fisica.Cosı come per [37], non ci sentiamo di consigliarli al nostro lettore:

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appaiono qui solo perche, sporadicamente, ne abbiamo tratto spunti eosservazioni interessanti.

Il libro [7] e probabilmente il miglior testo per lo studio astratto delleproprieta infinitesimali delle funzioni. Il livello della presentazione eestremamente elevato. Per quanto riguarda gli argomenti numerici,consigliamo senz’altro [28, 36].

Qualche studente si chiedera se l’ordine dei nostri capitoli corrispondefedelmente allo sviluppo storico del calcolo infinitesimale. In realta, lamatematica si e sviluppata gradualmente, e spesso i grandi matematiciche hanno sviluppato le idee esposte in queste dispense non scrive-vano delle definizioni rigorose e pulite come quelle a cui ci siamo abit-uati. Il libro di Hairer [24] e un’affascinante confronto fra lo sviluppostorico del calcolo e quello pedagogico dei nostri giorni. Un fatto datenere a mente e stata la “rivoluzione bourbakista” degli anni ’50 e’60 del secolo appena trascorso. Partendo dalla Francia, si e diffusala richiesta di un ripensamento nitido e logicamente rigoroso dellediscipline che compongono la matematica contemporanea. Il gruppoBourbaki cerco di esporre tutta la matematica moderna in modo pu-ramente logico–deduttivo. Questo approccio e stato molto criticato, ela principale accusa era di nascondere la natura dell’atto creativo inmatematica. Per chi conoscesse il francese, il volume [20] e uno splen-dido esempio di manuale universitario scritto da un bourbakista contutte le idiosincrasie che caratterizzavano quel gruppo di studiosi.

Infine, un testo apparso di recente e [34]. Gli argomenti trattatispaziano dai numeri reali al calcolo integrale in piu dimensioni. Sem-bra chiaramente ispirato allo stile di [37], ma con qualche attenzionein piu agil esempi e alle necessita didattiche attuali. Gli esercizi nonsono tutti originali, ed il loro livello e decisamente avanzato.

Segnalo anche il testo [39], scritto da un famoso matematico con-temporaneo con uno stile volutamente informale. E un trattato didimensioni considerevoli, che sconfina abbondantemente nell’AnalisiMatematica piu avanzata.

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CONTENTS

1 insiemi e proprieta dei numeri reali 7

1.1 Cenni di logica elementare 7

1.2 Richiami di insiemistica 10

1.3 Insiemi numerici 12

1.4 Topologia della retta reale 16

1.5 L’infinito 19

1.6 Punti di accumulazione 21

1.7 Appendice: la dimostrazione per induzione 22

1.8 Appendice: una costruzione dei numeri reali 24

1.9 I numeri complessi 29

1.10 Appendice: una costruzione dei numeri naturali 35

2 funzioni fra insiemi 39

2.1 Operazioni sulle funzioni 45

2.2 Funzioni monotone e funzioni periodiche 48

2.3 Grafici cartesiani 49

2.4 Alcune (cosiddette) funzioni elementari 50

2.5 Appendice: relazioni e funzioni 52

3 successioni di numeri reali 55

3.1 Successioni e loro limiti 55

3.2 Successioni e insiemi 63

3.3 Proprieta asintotiche delle successioni 64

3.4 Infinitesimi ed infiniti equivalenti 67

3.5 Sottosuccessioni 68

3.6 Il numero e di Nepero 70

3.7 Appendice: successioni di Cauchy 71

3.8 Appendice: massimo e minimo limite di una succes-sione 72

3.9 Appendice: convergenza secondo Cesaro 74

4 serie numeriche 77

4.1 Serie a termini positivi 81

4.2 Criteri di convergenza 83

4.3 Convergenza assoluta e convergenza delle serie di segnoalterno 87

4.4 Appendice: caratterizzazioni del numero di Nepero 89

5 limiti di funzioni e funzioni continue 91

5.1 Limiti di funzioni come limiti di successioni 91

5.2 Traduzione dei teoremi sulle successioni 95

5.3 Raccolta di limiti notevoli 96

5.4 Continuita 98

5.5 Limiti come conseguenza della continuita 102

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Page 237: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

5.6 Infinitesimi ed infiniti equivalenti 102

5.7 Teoremi fondamentali per le funzioni continue 104

5.8 Massimi e minimi 107

5.9 Punti di discontinuita 110

5.10 Appendice: limite inferiore e superiore per una fun-zione 112

6 il calcolo differenziale 115

6.1 Rapporto incrementale e derivata 115

6.2 Il calcolo delle derivate 118

6.3 I teoremi fondamentali del calcolo differenziale 122

6.4 Punti singolari 129

6.5 Applicazioni allo studio delle funzioni 130

6.6 Derivate successive e convessita 131

6.7 Classi di regolarita 138

6.8 Grafici di funzioni 138

6.9 Il teorema di De l’Hospital 141

6.10 Il polinomio di Taylor 145

6.11 Appendice: complementi sulla convessita 153

7 integrale di riemann 155

7.1 Partizioni del dominio 156

7.2 Continuita uniforme 164

7.3 Teorema fondamentale del calcolo 167

7.4 Un secondo sguardo sull’integrale di Riemann 170

7.5 Applicazioni al calcolo degli integrali definiti 173

7.6 Cenni sulla ricerca delle primitive 174

7.7 Integrazione delle funzioni razionali fratte 178

7.8 Il differenziale 182

7.9 Il polinomio di Taylor con resto integrale 185

7.10 Integrali impropri 186

7.10.1 Funzioni illimitate 186

7.10.2 Funzioni definite su intervalli illimitati 188

7.11 Relazione fra serie ed integrazione 189

7.12 Una definizione integrale delle funzioni goniometricheelementari 191

8 le fil rouge 195

8.1 Insiemi diretti 195

8.2 La definizione di limite 196

9 equazioni differenziali ordinarie 199

9.1 Equazioni differenziali lineari del primo ordine 200

9.2 Equazioni del primo ordine a variabili separabili 202

9.3 La funzione esponenziale come soluzione di EDO 208

9.4 Equazioni lineari del secondo ordine 210

10 metodi del calcolo approssimato 217

10.1 Interpolazione polinomiale 217

10.2 Integrazione numerica 221

236

Page 238: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi

10.3 Risoluzione approssimata delle equazioni 226

10.3.1 Il metodo di bisezione 228

10.3.2 Il metodo di Newton 228

10.3.3 Il metodo delle secanti, o della regula falsi 229

11 epilogo 231

237

Page 239: Lezioni Di Analisi Infinitesimale - Secchi
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