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© Copyright 2006 EUT

EUT Edizioni Università di Triestepiazzale Europa 1, 34127 Triestehttp://eut.units.it

Proprietà letteraria riservata. I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale e parziale di questa pubblicazione, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, le fotocopie o altro) sono riservati per tutti i paesi.

ISBN 88-8303-186-5

E-ISBN 978-88-8303-875-4

Edizione digitale: EUT 2017

Il volto del nemico:i fondamentalismi e le religioni

Renzo Guolo

EUT

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Dopo l’11 settembre 2001 il termine fondamentalismoè accompagnato, nel senso comune occidentale, daquello “islamico”.

Una percezione che, nell’era segnata dallo zeitgeistdello “scontro di civiltà”, è tanto riduttiva quanto cari-ca di stigmatizzante surplus simbolico. Perché il fon-damentalismo è un fenomeno che investe anche altricontesti religiosi: da quello cristiano a quello ebraico,da quello induista a quello sikh. Persino una religionetradizionalmente contemplativa come quella buddhi-sta ne è contagiata nel caso, atipico ma non per questomeno significativo, del cosiddetto “buddhismo prote-stante” dello Sry Lanka, pervaso da un etnocentrismo 5

Introduzione

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meno, tratti comuni.Lo faremo usando categorie e strumenti teorici

delle scienze sociali. In particolare della sociologiadella religione e della scienza della politica. Il fonda-mentalismo è infatti un fenomeno che rinvia a temi digrande interesse di quelle discipline.

Al centro dell’ azione e della riflessione dei movi-menti fondamentalisti vi è, ad esempio, la relazionetra modernità e coesione sociale, tra secolarizzazionee integrazione sistemica. Paradossalmente potremmodire che il fondamentalismo si pone, sia pure in un ot-tica, e con finalità del tutto diverse, la stessa domandafondativa della sociologia: “com’è possibile l’ordine so-ciale?”.

Domanda alla quale cerca di rispondere evocandoil problema del fondamento ultimo della polis.Fondamento che rintraccia in un patto di origine reli-giosa con la sfera divina che prevede l’obbligo di affer-mare, anche con la politica, valori ritenuti irrinuncia-bili. Di fronte a società come quelle contemporanee,rette da modelli di Stato che escludono ogni riferi-mento alla religione o comunque giustificano una re-lativa autonomia del Politico, il fondamentalismo in-tende mettere in evidenza la caducità di ogni legamesociale che non sia di carattere religioso.

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che offre il sostrato ideologico alla mobilitazione na-zionalista della maggioranza cingalese buddhista chesi contrappone alla minoranza tamil hindù.

Un equivoco semantico, quello che ruota attorno altermine fondamentalismo, che sa di nemesi. Ha origi-ne, infatti, in ambito protestante. Nasce negli StatiUniti di fine Ottocento nell’ambito di una corrente re-ligiosa che si oppone all’interpretazione che la teologialiberale offre della Bibbia.

Tornare ai fundamentals, ai fondamenti della fede,sarà il suo programma. Per questo sarebbe meglio par-lare, al plurale, di fondamentalismi e non di fonda-mentalismo; e chiamare i diversi movimenti fonda-mentalisti con il nome che essi stessi si danno: islami-sti nel contesto islamico; haredi o nazionalreligiosi inquello ebraico; hindutva in quello hindù, e khalsisti inquello sikh. A rigore il termine fondamentalismo do-vrebbe essere usato solo per definire l’ambito prote-stante, e in particolare alcune sue correnti americaneevangeliche.

Usare il termine fuori da quel contesto comportaseri problemi interpretativi. Ma, in questa sede, piùche le definizioni linguistiche, più di quello cheWittgenstein chiamava il “cartellino con un nome”, ciinteressa analizzare se un processo sociale che investeambiti e credenze religiose così diverse presenti, o6

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in cui il mito ha la funzione di segnalare l’assolutezzadel sistema di credenza cui ogni fedele aderisce.Talvolta questo mito si rifà a un’esperienza storica,come nel caso dell’originaria comunità del Profeta nel-l’islam; talvolta a una dottrina messianica: il mahdi-smo nell’islam sciita; la “teologia della Terra” nei colo-ni religiosi ebraici in Israele; la battaglia finale tra Goge Magog tra i fondamentalisti protestanti americaninoti come “sionisti cristiani”. Dall’interiorizzazione diquesti principi discendono diverse conseguenze.Alcune hanno a che fare con le forme della mobilitazio-ne dei militanti: chi è convinto che esista una verità as-soluta, e che questa debba essere fatta valere anchenella sfera sociale, praticherà forme di azione voluta-mente ispirate da riferimenti e simboli di natura reli-giosa. Da qui i gesti esemplari, o l’azione in luoghi, chesuscitano forti emozioni e immediato nesso evocativo.Gesti e luoghi caricati, di volta in volta, di significatinuovi o che vengono reinventati alla luce della lottapolitica. Che si tratti della Tomba dei Patriarchi aHebron, della moschea di Ayodhya in India, ma anchedei cieli sopra New York.

Altre conseguenze riguardano l’interiorizzazionedella sindrome del Nemico, figura chiave nei movi-menti fondamentalisti, che può presentarsi con ilvolto dello Stato moderno, della secolarizzazione,

Il fondamentalismo si rifà essenzialmente a quattrocardini: il principio dell’inerranza del contenuto delLibro sacro, assunto nella sua interezza come totalitàdi senso e di significati che non possono essere scom-posti e interpretati dalla ragione umana; il principio del-l’astoricità della verità contenuta nel Libro che la con-serva, dogma che preclude la possibilità di collocare ilmessaggio religioso in una prospettiva storica o diadattarlo alle mutate condizioni della società; il princi-pio della superiorità della Legge divina su quella terrena,elemento indispensabile per dare forma a un modellodi società perfetta, superiore a qualsiasi forma di socie-tà umana; il principio del primato del mito di fondazione, 98

I caratteridel fondamentalismo

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mazione distorsiva sono molteplici; ma tra queste vi èil fatto che le religioni, custodi nel tempo di un reper-torio simbolico che ha resistito alla contingenza e allacrisi delle grandi narrazioni ideologiche novecente-sche, sono oggi letteralmente saccheggiate dalle poli-tiche dell’identità. Esse assicurano quel surplus simbo-lico, stratificato nel tempo ma mai dissolto e semprepronto all’uso, capace, nel vuoto lasciato da ideologiesconfitte dalla storia o deperite, di mobilitare.Diventando così strumento di attori che ne fanno usoper parlare di quella che ritengono la propria identitàminacciata e del Volto del Nemico che la minaccia.

La radicalizzazione del discorso religioso è un feno-meno globale. Visibile nella tragica deriva terroristache i movimenti jihadisti cercano di imprimere almondo islamico teorizzando una concezione delmondo fondata su un bipolarismo georeligioso imper-niato sulla dicotomica visione che contrappone il “par-tito di Dio”, regno de “l’autentica fede”, al “partito diSatana”, regno dell’ignoranza religiosa che raggruppanon solo gli “infedeli” ma anche gli “ ipocriti e creden-ti tiepidi”, ovvero tutti quei musulmani, la maggioran-za, che non accoglie le loro tesi. Ma la radicalizzazionereligiosa è visibile ormai anche nell’ultradecennaleconflitto israelo-palestinese, divenuto campo di batta-glia di opposti fondamentalismi: quello di Hamas e la

dell’Occidente capitalistico, della democrazia, dellaglobalizzazione, sino al 1989 del comunismo.Oppure assumere le sembianze di un’altra religione:i “crociati e i sionisti”, ovvero i cristiani e gli ebrei,per Al Qaeda e altri gruppi islamisti radicali; i mu-sulmani per i nazionalisti hindu; gli hindu per i bud-disti cingalesi. L’elenco potrebbe occupare moltospazio. Nell’immaginario collettivo fondamentalista,rafforzato da un forte senso dei confini di gruppo,Nemico è chiunque sia percepito come minaccia,reale o potenziale, per l’identità di un gruppo, di unacomunità, di un popolo, che ritiene di aver stipulatoun’alleanza originaria con la dimensione divina.

Nei fondamentalismi particolarmente aggressivi lasindrome del Nemico può degenerare nella “violenzasacra”. Violenza che può manifestarsi nel sacrificiodegli altri o nel sacrificio di sé; nel mettere a morte chinon appartiene al gruppo o nel darsi la morte proprioin quanto membro del gruppo. La “violenza sacra” èuna manifestazione in costante aumento negli ultimidecenni, perché crescono i conflitti che vedono prota-gonisti stati, movimenti, etnie che si autodefinisconofacendo appello a riferimenti religiosi. Le religioni, omeglio talune interpretazioni di esse, sono diventatecosì, in alcuni contesti sociali e geopolitici, sostitutimobilitanti delle ideologie. Le cause di questa trasfor- 1110

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Lo spostamento dello sguardo sull’infuocato scenariomediorientale ci permette di analizzare alcuni casi chehanno a che fare, direttamente o indirettamente, conle logiche d’azione tipiche di alcuni movimenti fonda-mentalisti, tutti ascrivibili alle tre grandi religioni mo-noteistiche. A partire da un particolare angolo prospet-tico: la vicenda degli shahid, i “martiri”, cosi definisco-no i loro compagni coloro che si “sacrificano” negli at-tentati suicidi. Un tipo di “suicidio altruistico”, direb-be Durkheim, che rende evidente come i movimentiislamisti, come altri movimenti fondamentalisti, pro-cedano a una reinterpretazione della tradizione reli-giosa che nega consolidati assunti precedenti.

Jihad islamica, che teorizzano l’indisponibilità divinadi quella stessa terra e la legittimità del “martirio” sui-cida degli shahid; quello dei coloni religiosi israelianiche legano messianicamente la loro presenza nellaterra biblica di “Giudea e Samaria” all’avvento dellaRedenzione.

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La terra dei fondamentalismi

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te il tempo del jihad, questi movimenti scelgono dalmenù testuale quelle parti, estrapolandole dal conte-sto. Cerchiamo di analizzare questo percorso.

Gli shahid compaiono per la prima volta tra gli scii-ti, gli scismatici che daranno vita alla corrente minori-taria dell’Islam. Il sacrificio dell’Imam Husayn aKerbala nel 680 fa della shi’a, sin dalle origini, una ti-pica “religione del martirio”. Un precedente attivisti-co si può rintracciare anche nel sacrificio di sé pratica-to dalla setta medievale ismailita, del ramo sciita setti-mano, degli Assassini. Essi si gettavano con il pugna-le contro crociati e principi “ingiusti”, votandosi con-sapevolmente al sacrificio. L’uso della lama rendevadifficile non solo l’azione ma la stessa sopravvivenzadel “giustiziere” dal momento che, per colpire, gli uo-mini guidati dal mitico Vecchio della Montagna, dove-vano giungere a stretto contatto fisico con il bersaglio.Prossimità fatale non solo per le vittime. Del resto, so-pravvivere a una missione omicida non riuscita era ri-tenuto disonorevole dagli Assassini.

Il martirio consapevole riappare, in tempi molto re-centi, durante la guerra tra Iran e Irak. A praticarlo sonodei giovani miliziani della Basij-é Mostaz’afin,l’Organizzazione per la mobilitazione dei Diseredati le-gata ai Pasdaran. Si tratta di ragazzi poco più che adole-scenti, che abbandonano le famiglie sull’onda dell’en-

Secondo gli islamisti radicali, la pratica del “mar-tirio” è strettamente connessa al jihad, il combatti-mento sulla via di Dio, ritenuto un vero e proprio ob-bligo personale del credente. Assistiamo qui, più chea una reinterpretazione, a una vera e propria rein-venzione della tradizione religiosa dal momento chei cinque arkan, pilastri o obblighi dell’islam, noncomprendono affatto il jihad. Inoltre l’islam, comeogni altra religione monoteistica, proibisce il suici-dio, anche quello “altruistico”: i martiri, semmai,muoiono in battaglia, non si tolgono volontariamen-te la vita. La martiropatia islamista si rivela, dunque,un caso di innovazione religiosa, espressione di unconflitto tra una tradizione consolidata e l’emergeredi un diverso principio di legittimazione, sostenutoda leader spirituali militanti sovente autoproclama-ti, che mette in crisi il vecchio sistema di credenza afavore di uno nuovo. Legittimazione resa possibiledal fatto che l’islam è “religione senza centro”; senzaautorità di vertice deputata a stabilire ciò che èdogma o meno. Anche in questo caso gli islamistiusano selettivamente, come dei bricoleurs religiosi, leparti della tradizione funzionali alla realizzazione deiloro obiettivi. Paradossalmente ma non troppo, dalmomento che teorizzano l’uso di un “diritto dinami-co” che fonda vere e proprie norme transitorie duran- 1514

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condo conflitto mondiale si sacrificava, per l’onore delTenno, lanciando il suo aereo contro le navi nemiche,avrebbe qualche giustificazione.

Il precipitare dei giovani basiji nella “vertigine dellaguerra” avviene, infatti, all’interno di uno scenario deltutto convenzionale. La natura del martirio islamistamuta radicalmente nel Libano degli anni Ottanta, se-gnato dalla guerra civile. È in questo contesto che, inassenza di battaglie in campo aperto, lo shahid sacrifi-ca per la prima volta la sua vita in veri e propri attenta-ti suicidi. Si tratta di militanti dell’Hezbollah, forma-zione islamista sciita, che si lanciano, a bordo di veico-li imbottiti d’esplosivo, contro ambasciate e casermedei paesi che compongono la Forza Multinazionalepresente nel paese.

In campo sunnita i “martiri” compariranno, nel de-cennio successivo, nelle fila dei gruppi islamisti pale-stinesi: Jihad islamica prima, Hamas poi. Trasformatiin uomini-bomba dalle cinture imbottite d’esplosivo,si fanno saltare negli autobus o nelle strade delle cittàisraeliane. Il martirio è pensato, in questi casi, siacome strumento di attacco non convenzionale, siacome forma di purificazione della terra occupata dai“sionisti”. Prima di sacrificarsi” sulla via di Dio anchelo shahid palestinese celebra, come già i giovani adole-scenti iraniani, il proprio funerale. Anch’egli fa testa-

tusiasmo suscitato in loro dall’appello di Khomeini a di-fesa della Repubblica islamica. Prodotto ideologico diuna società caratterizzata dalla mobilitazione totale ibasiji ritengono loro dovere difendere con ogni mezzola rivoluzione. Al grido di Allah u akhbar!, “Dio è gran-de!” moriranno a migliaia: negli assalti all’arma biancao nelle operazioni in cui si offrono volontari per aprireun varco nei campi minati irakeni. Incuranti dellamorte, si getteranno lungo quei sentieri della mortecon la fascia verde sulla fronte in cui sono incisi i ver-setti coranici che legittimano il martirio “sulla via diDio”. Al collo portano, simbolicamente, quelle “Chiavidel Paradiso” che dovrebbero aprire loro la Porta delCielo dopo che avranno lasciato la vita terrena. Primadel sacrificio i giovani basiji fanno testamento, nelquale ricordano alla “comunità del fronte”, prima anco-ra che ai familiari, che morire da martiri sul campo dibattaglia è il loro più ardente desiderio. Ma se la tragi-ca esperienza degli adolescenti iraniani legittima so-cialmente il discorso sulla morte in combattimento per“affermare i diritti di Dio”, le inquietanti modalità concui quel sacrificio avviene rientrano pur sempre inun’ottica militare. Qui, e solo in questo caso, l’impro-prio e decontestualizzato termine “kamikaze”, usatoormai comunemente per indicare l’attentatore suicidajihadista anziché il pilota nipponico che durante il se- 1716

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Forma di guerra asimmetrica che coinvolgerà anche ledonne, che irrompono drammaticamente nella scenapubblica comportandosi formalmente da “eguali” inun campo, sino a poco tempo fa, maschile per eccellen-za: quello del jihad. Un terreno in cui le donne velatesembrano inseguire una devastante forma di laicità:l’eguaglianza di genere sul terreno della “morte sullavia di Dio”. In realtà in questo inseguimento della pa-rità sul terreno della “violenza sacra” non vi è alcunaemancipazione. Solo una malintesa concezione del-l’eguaglianza rende visibile ciò che per definizione èoccultato: la donna islamica in uno spazio non tradi-zionale come quello della guerra. In realtà le donne che

mento: non più sotto forma letteraria ma in video.Strumento che, nell’era delle comunicazioni di massa,permetterà una rapida diffusione del messaggio, espli-cito e latente, che vi è contenuto.

La pratica del martirio jihadista diventerà consue-tudine, non per questo meno tragica, con Al Qaeda.“Martiri” saranno considerati da Bin Laden gli uominiche agiranno “per la causa di Allah” l’11 settembre 2001nei cieli americani. Con l’attacco a New York e la finedrammatica delle due Torri, la cui stessa implosionesecondo Baudrillard “assomiglia a un suicidio”, il “mar-tirio” diventa forma classica della guerra asimmetricache gli jihadisti intendono combattere nell’intero sce-nario globale: dall’Afghanistan all’Iraq, dall’Indonesiaalla Cecenia, dall’Arabia Saudita al Marocco, da Madrida Londra.

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Donne e

“violenza sacra”

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nale vocazione al “martirio” nello sciismo ma anchedal ruolo attivista che le donne hanno assunto nelcampo sciita dopo la rivoluzione iraniana. Nel mondoarabo sunnita sono alcune donne palestinesi a compie-re per prime attentati suicidi. Si tratta, in genere, didonne laiche. Nel gennaio 2002, però, si fa esplodere aGerusalemme una simpatizzante di Hamas. Il suo è unatto individuale: l’organizzazione si era rifiutata di ar-ruolarla. L’allora leader spirituale di Hamas, lo sceiccoYassin, aveva ribadito più volte che il “martirio” era ob-bligo degli uomini; le donne potevano dare il loro con-tributo alla causa garantendo la pace domestica e unostile di vita familiare “puro” ai combattenti per i “dirit-ti di Allah”. Ma per quella donna, orfana in tenera età eripudiata dal marito perché sterile, il martirio era unmezzo per porre fine a un’ormai insopportabile “in-felicità senza desideri”.

Una scelta che ha condotto Hamas a riesaminare laquestione dell’impiego di donne nelle “operazioni dimartirio”. Anche perché l’attentato compiuto a Haifada una giovane avvocatessa che voleva vendicare il fra-tello ucciso dagli israeliani, rivendicato dalla Jihad isla-mica palestinese, gruppo che ha sempre avuto menoremore di Hamas nell’usare donne in azioni suicide,riapriva la discussione. Con l’attentato di Erez, compiu-to da una donna vicina all’organizzazione, Hamas sem-

si “sacrificano” nel jihad sono delle reiette; immolabi-li in quanto mogli, vedove, fidanzate, sorelle di muja-heddin periti nello scontro con i “nemici di Dio”. Le“martiri” esistono solo in funzione maschile: possonodarsi, e dare la morte, solo perché i loro uomini sonostati uccisi. Senza maschi di famiglia al loro fianco,sono rigettate da una comunità militante che, olistica-mente, nega dignità a qualsiasi forma di esistenza in-dividuale. La tragica irruzione nella scena pubblica diqueste donne, destinate a mietere, e a essere, “vittimesacrificali” corrisponde, dunque, a una nuova margi-nalità. Sul loro corpo smembrato, dilaniato dallebombe che portano nelle loro cinture o trafitto daicolpi di quanti mirano a metterle fuori causa primache si facciano esplodere, si ricompone solo l’unità delcorpo sociale maschile.

Perché le donne? Sebbene i movimenti islamisticonsiderino il jihad obbligo personale del credente, ledonne sono state a lungo escluse dalle cosiddette “ope-razioni di martirio” per evitare che la martiropatiafemminile provocasse abbandoni familiari pur innome della causa. Abbandoni destinati a essere stig-matizzati nell’ambiente religioso in cui si muovono igruppi islamisti. Sino a qualche anno fa solo donnedell’Hezbollah libanese avevano compiuto attentatisuicidi. L’eccezione era favorita non solo dalla tradizio- 2120

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Il caso del fondamentalismo ebraico ci permette dicomprendere meglio la dimensione etnica e la compo-nente messianica che ispirano l’azione di taluni movi-menti fondamentalisti. Le specificità del fondamenta-lismo ebraico non possono essere lette senza tenereconto del suo rapporto competitivo con il sionismo,movimento che ha costretto gli ebrei a ridefinire sestessi, obbligandoli a confrontarsi con un’impresa ar-dita come la costruzione dello Stato di Israele dopo laplurimillenaria esperienza della Diaspora. L’atteggia-mento dei gruppi religiosi verso il sionismo e la defi-nizione teologica della questione della Terra di Israele(Eretz Israel) ha spezzato in due tronconi, quello ultra-

brava essere giunto a una decisione analoga, tentatodalla constatazione che l’impiego di donne in missio-ni suicide avrebbe amplificato la sua capacità operati-va. In realtà la ragione che aveva indotto Hamas a “sa-crificare” la giovane Reem era, almeno secondo gliisraeliani, ancora una volta, una questione privata.Una vicenda di amori e tradimenti. Madre di due figli,la donna avrebbe espiato la colpa di aver tradito il ma-rito e, soprattutto, di attendere un “figlio del peccato”.Colpa gravissima per gli islamisti per i quali la donnaè garante della purezza dell’ordine comunitario.Depistaggio, affermò nella circostanza Hamas com-mentando l’“invasione” israeliana. Certo è che, in unostato islamico, quella lacerazione sarebbe stata “sana-ta” dall’applicazione delle pene corporali previste dallashari’a. Ma in quella situazione, secondo i rigidi custo-di della morale islamista, solo il sacrifico personale po-teva espiare la colpa. Così una fatwa avrebbe sancitoche la donna, sposata e madre di due figli, poteva lava-re l’onta dandosi la morte e infliggendo la morte al ne-mico. Seguendo la sorte che altre “sorelle” avevano giàimboccato. Ennesimo segno che anche nel jihad non sisfugge al ferreo dominio maschile e che l’emancipazio-ne attraverso l’uguaglianza nel terrore è sempre unsalto nel vuoto.

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Un fondamentalismoetnoreligioso

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mensione georeligiosa, in una sorta di deterritorializ-zazione che la fa coincidere con lo spazio occupatodalle grandi corti haredi e dai loro leader spirituali cari-smatici, i rebbe. Lo stesso augurio “L’anno prossimo aGerusalemme” resta per molti una mera forma di cu-stodia della memoria. Nell’esistenza senza Storia, EretzIsrael è per gli haredim solamente il luogo dove gli ebreipossono continuare ad osservare i precetti , studiare laLegge, restare vicini ai loro tdazzìk, i leader carismati-ci. La perdita di senso subita per effetto della rimozio-ne della Terra è sostituita dalla piena osservanza dellaTorah, che diviene il vero nomos della spazialità ebrai-ca della Diaspora. L’intensità dell’opposizione al ritor-no in Israele cambierà nel tempo e sarà diversa da co-munità a comunità. La distruzione dell’ebraismo euro-peo per opera del nazismo, muterà l’atteggiamento dibuona parte del mondo degli “uomini in nero” nei con-fronti del sionismo. L’impossibilità di vivere in Europadopo che il Male si è manifestato in maniera così radi-cale nella Shoah, convince parte del mondo ultraorto-dosso sopravvissuto allo sterminio che l’aliyyah, la “ri-salita” verso Israele, sia inevitabile. Anche se molte co-munità, fedeli al Mito dei Tre giuramenti, sceglieran-no di partire per gli Stati Uniti, dove da tempo si sonostabiliti alcuni rebbe di gruppi ultraortodossi come ladinastia chassidica dei Lubavitch (o Habad) o la comu-

ortodosso e quello ortodosso nazionale, l’ortodossiaebraica.

Gli ultraortodossi, o haredim, non hanno mai guar-dato con favore al progetto sionista di “tornare inIsraele”. Progetto che, a loro avviso, costituisce un’inau-dita sfida a Dio perchè infrange il mito dei Tre giura-menti. Secondo tale credenza, Dio avrebbe fatto pro-mettere al popolo ebraico di non usare la forza per tor-nare nella Terra promessa; di non ribellarsi “al giogodelle nazioni” che lo opprimevano ma attendere che lagiustizia divina si manifestasse nel mondo; di non“precipitare la fine dei tempi”, ovvero non compiere al-cuna azione che potesse accelerare la Redenzione. Daqui, almeno sino alla Shoah, il rifiuto di “salire” collet-tivamente in Terra d’Israele. L’ebraismo della Diasporaha trasformato Eretz Israel in una sorta di “mito delMito dell’assenza”. Per gli ultraortodossi la Terra èespulsa dalla Storia; il ritorno può avvenire solo per ef-fetto dell’irruzione improvvisa della trascendenza nellaStoria stessa; evento che ne segna, al contempo, la Fine.In questa dimensione atemporale lo sguardo haredi hadue soli riferimenti: passato e futuro, Genesi eApocalisse, il presente non riveste alcun valore. Nellegrandi comunità ebraiche ultraortodosse dell’Europaorientale Eretz Israel diventa un complesso mito-simbo-lico più che un luogo concreto. La Terra perde la sua di- 2524

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mentare (kasher) nelle istituzioni pubbliche; l’autono-mia del sistema di educazione religioso. Soprattutto gliharedim imporranno al nuovo Stato di non adottareuna costituzione, adducendo la motivazione cheIsraele dispone già di una legge fondamentale: laTorah. L’adozione di una costituzione scritta di ispira-zione laica, preminente nella gerarchia delle fonti eperciò stesso superiore alla legge ordinaria, avrebbecomportato un controllo di costituzionalità sulle leggiin materia religiosa. Gli “uomini in nero” mirerannoinnanzitutto a costituireun habitat religioso funziona-le per le comunità haredi. Ci riusciranno anche grazieall’influenza dei loro partiti, favoriti da una legge elet-torale proporzionale che amplifica il loro peso renden-doli spesso decisivi per la formazione di qualsiasi mag-gioranza politica.

Per i gruppi sionisti religiosi, invece, la questionedi Eretz Israel assume un rilievo enorme. Essi colleganoil ritorno in Israele all’avvento della Redenzione.Secondo la loro credenza religiosa la rinascita delloStato ebraico permette di ricomporre il popolo diIsraele (Am Israel) sotto la Legge di Israele (Torat Israel)nella Terra di Israele (Eretz Israel), condizioni tutte es-senziali per l’avvento messianico. Per questo i sionistireligiosi collaboreranno attivamente con i sionistilaici. Secolari e religiosi, uniti nel nuovo “giudaismo

nità di origine ungherese di Satmar. Anche alcune comunità ortodosse emigrate in

Israele manterranno il loro rifiuto verso uno stato nonretto dalla Torah; ma concederanno alle istituzioni se-colari una sorta di “legittimazione funzionale”. In que-sta concezione Israele è pensato, pragmaticamente,come luogo dove si può praticare, meglio che altrove ein condizioni di sicurezza l’osservanza dei mizwot, iprecetti religiosi; come uno Stato in cui è possibilecontrattare le condizioni della riproduzione della se-paratezza comunitaria, fondata su quella che MaryDouglas definisce la logica puro/impuro, dal restodella società. La necessità degli haredim di ottenere fi-nanziamenti pubblici per le proprie strutture religio-se ed educative, impone loro di organizzarsi in partitipolitici. Sbarrata la via della separazione totale, agli“uomini in nero” non resta che perseguire la stradadella progressiva “delaicizzazione” delle istituzioni, innome del principio secondo cui la comunità politicanon può sottrarsi all’autorità della Legge religiosa. Gliultraortodossi sigleranno con i sionisti laici un patto,quello dello statu quo, che costituisce tuttora uno deglielementi portanti della costituzione materiale diIsraele. Ottenendo, tra le altre cose, la costituzione ditribunali rabbinici competenti in materia di statutodella persona; il rispetto delle leggi sulla purezza ali- 2726

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qualsiasi ipotesi di cessione in cambio di un trattato dipace . Quando, dopo il 1977, la destra nazionalista sali-rà al governo, gruppi sionisti religiosi come il GushEmunim avranno via libera per la colonizzazione deiTerritori. Il processo subirà una prima battuta d’arre-sto nel 1993, con il trattato firmato da Rabin e Arafatche restituisce parti dei Territori ai palestinesi. Un ac-cordo che i messianici nazionalreligiosi riterranno ca-tastrofico perché interrompe drammaticamente il pro-cesso di Redenzione. Sarà dalle loro fila più radicali cheverrà Ygal Amir, l’uomo che ucciderà Rabin. Nel riven-dicare il gesto, che in tribunale dichiarerà “necessarioe obbligatorio”, Amir darà un saggio della teodicea fon-damentalista nazionalreligiosa. Nelle parole del suo as-sassino, Rabin è equiparato a un traditore e persecuto-re che, con la sua politica, mette in pericolo la vita dialtri ebrei. L’ebreo Rabin assume così il volto delNemico che ostacola la Redenzione e perpetua l’Esiliodegli ebrei e dell’uomo da Dio. In nome della stessateologia politica i coloni religiosi si opporranno, nel2005, allo sgombero da Gaza voluto da Sharon.

della salvezza”, hanno, in questa visione, il compito difar coincidere l’esperienza storica con l’essenza spiri-tuale del popolo ebraico, agendo per favorire il pianodivino. I sionisti religiosi guardano alla “teologia dellaTerra” del rabbino Kook; a sua volta debitore della ka-ballah lurianica, in cui l’uomo ha il compito di accele-rare con la sua azione il processo di guarigione o re-staurazione (tikkun) del mondo segnato alle origini, dauna catastrofe cosmica iniziale che ha determinatol’Esilio di Dio da sé stesso e quello dell’uomo da Dio. Èa questo nuovo messianismo della teshuvah, nel suoduplice significato di ritorno a Dio e alla Terra diIsraele, che guarda il sionismo religioso .

La dottrina sembra inverarsi con la nascita delloStato d’Israele. Ma la dimensione territoriale delnuovo Stato, che non coincide con l’Eretz Israel biblica,lascia insoddisfatti i sionisti religiosi. Essi invocano,oltre che una maggiore aderenza dello stato ai princi-pi della Torah, la piena sovranità sulla Terra d’Israele,che comprende, a loro avviso, Gerusalemme, le anticheGiudea e Samaria. Il mancato possesso del’intera EretzIsrael equivale, nella loro credenza, all’arresto del pro-cesso messianico. Nel giugno 1967 l’impasse sembrasuperata: con la guerra dei “Sei Giorni” Israele ricon-quista i luoghi della Memoria. I sionisti religiosi nechiedono l’immediata annessione, opponendosi a 2928

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sull’Armageddon, il biblico scontro finale tra Bene eMale. Essi credono che dopo tale scontro, il cuicampo di battaglia è la biblica piana di Meghiddo,collocata nel territorio dello Stato di Israele, il Messiatornerà nuovamente a Gerusalemme: Cristo alloraverrà riconosciuto da tutti, ebrei compresi, comel’unico Signore. Inizierà così un regno millenario, aconclusione del quale, sconfitte le residue forze delMale, il mondo esploderà in un big bang che consen-tirà a Dio di creare “nuovi cieli e una nuova terra”.Sul piano politico questa credenza religiosa produceconseguenze simili a quelle enunciate dalla “teologiadella Terra”.

Anche i “sionisti cristiani” sono , per motivi reli-giosi , accesi sostenitori dell’annessione dei Territorioccupati nel 1967. Nella loro interpretazione quellotra israeliani e palestinesi non è un conflitto nazio-nalistico per la terra; ma parte del piano divino per lasalvezza dell’umanità. Per questo essi ritengono chegli Stati Uniti non possano mai fare scelte che met-tano in discussione sicurezza e integrità territorialedi Israele e appoggiano qualsiasi politica che favori-sca la resa dei conti tra Israele e i suoi nemici islami-ci. Le conseguenze teologiche del discorso del “sio-nismo cristiano” non sono troppo gradite al fonda-mentalismo nazionalreligioso ebraico. Ma nell’atte- 31

Lo scenario mediorientale è luogo di visioni messia-niche anche per il fondamentalismo protestante. Inparticolare per “sionismo cristiano” , una componen-te del vasto mondo della destra evangelica america-na, che guarda con particolare attenzione alla vicen-da israelo-palestinese. Il “sionismo cristiano” si saldaa un’altra corrente fondamentalista protestante: il“dispensazionalismo”, secondo cui la storia del gene-re umano si colloca all’interno di precise epoche pre-stabilite da Dio per redimere l’umanità. Nella nasci-ta dello Stato di Israele e nel conflitto che lo opponeal mondo islamico circostante i dispensazionalistileggono la conferma delle profezie apocalittiche30

La battaglia della Fine dei Tempi

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Gli esempi sin qui richiamati ci hanno consentito dianalizzare alcuni tratti comuni nei vari fondamentali-smi. Ma quali sono le cause del fenomeno? La lettera-tura scientifica propone varie tesi, che si possono ri-condurre ad alcuni grandi paradigmi esplicativi. Taliparadigmi mettono in luce la relazione dialettica trafondamentalismo e modernità; la dimensione di natu-ra culturale del fenomeno; il suo stretto legame con lapolitica. Meyer e Lawrence vedono nel fondamentali-smo una reazione alla modernità, l’aspirazione al ritor-no a un passato mitico nel quale regnava la legge diDio in tutte le sfere della vita, individuale e collettiva.Ma questi movimenti interpreterebbero la rivolta con- 33

sa della, futuribile, conversione finale, esso incassa,qui e ora, il sostegno di questa influente componen-te religiosa protestante americana alla sua politica.Da tempo il “sionismo cristiano” sostiene attiva-mente l’emigrazione ebraica americana di ritorno inIsraele; opera una decisa azione di lobbying alCongresso a suo sostegno; finanzia colonie in Giudeae Samaria. Nella prima amministrazione Bush ilpunto di riferimento per i sionisti cristiani è stato ilministro della Giustizia John Ashcroft. Sarebbe erra-to trarre meccanici paralleli tra l’ascesa del sionismocristiano e la politica estera americana, la cui defin-zione è il prodotto di molti e complessi fattori. Macerto non va ignorato che questa corrente fondamen-talista ha goduto di un facile accesso ai piani alti delpotere, in particolare alla Casa Bianca del born againBush. Questa corrente evangelica ha successo ancheperchè si pone in continuità con i miti fondativiamericani. Non a caso i “sionisti cristiani” insisto-no sul fatto che i puritani sbarcati dal Mayflower rap-presentavano il nuovo popolo eletto alla ricerca dellaNuova Gerusalemme, investito dalla missione salvi-fica di rigenerare il mondo e prepararlo al ritorno diCristo. Ora “sionisti cristiani” ritengono che quellaprospettiva si avvicini; e che l’America debba com-piere sino in fondo la missione per cui è nata. 32

Perchè il fondamentalismo?

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le per ripristinare, mediante una pedagogia autorita-ria, l’ordine divino nella società. Robertson e Barber ve-dono invece nel fondamentalismo un prodotto della glo-balizzazione, una rivendicazione di identità da parte diattori sociali che rifiutano l’idea di un “mondo unico”e la mcdonaldizzazione del mondo. La globalizzazionegenera, infatti, attori sociali orientati negativamenteverso la condizione globale. Movimenti particolaristi-ci come quelli fondamentalisti cercano di imporre lapropria definizione universalistica di tale condizione,facendo emergere la dimensione dialettica e conflit-tuale della globalizzazione. O meglio della glocalizza-zione, termine che fonde globalizzazione e localizza-zione e dà conto delle resistenze locali alla crescenteuniformità del mondo. Jihad versus McWorld sarebbe,dunque, la principale linea di faglia dell’odierna ten-sione mondiale. Localizzazione non significa, però, au-tomaticamente rinascita della dimensione locale. Ilquadro della rilocalizzazione è mutato, la sua “purezzaoriginaria” è irrimediabilmente contaminata e nonpuò essere ripristinata come nulla fosse accaduto,come ricorda Bauman. Nessun movimento fondamen-talista può pensare di rifondare una “comunità deipuri” completamente separata dalla realtà circostante.La società e la cultura globale sono pervasive e il tenta-tivo di erigere nuovi confini è destinato al fallimento. 35

tro la modernità, anche come forma di sfiducia neiconfronti delle sue razionalistiche promesse salvifi-che. Il fondamentalismo fungerebbe, dunque, da col-lettore di sentimenti e paure indotti dai processi disradicamento e atomizzazione sociali propri della so-cietà moderna. Variante di questa tesi è quella, elabo-rata da Kepel, sul fondamentalismo come rivincita diDio. Per i fondamentalisti il malessere e il disordine so-ciale deriverebbe dalla pretesa della ragione umana diemanciparsi dalla fede in un Dio trascendente. Il ritor-no all’osservanza stretta della Legge di Dio costituireb-be, dunque, una strategia per ricollocare nello spaziopubblico e sulla scena politica la religione.

Eisenstadt ritiene, invece, il fondamentalismo, piùche una reazione, espressione della crisi della moderni-tà. Tra i due termini non esisterebbe contrasto, bensìcorrelazione. A riprova il fatto che i movimenti fonda-mentalisti non solo ricorrono ai linguaggi, tecniche etecnologie della comunicazione di massa, dai video aInternet, dalla radio alle tv, ma funzionano spesso se-condo un modello d’azione ispirato da una sorta di “le-ninismo religioso” tipico delle avanguardie politichecontemporanee.

Secondo Roy il fondamentalismo può essere lettocome ripresa dell’utopia dello Stato etico. Lo Stato è con-cepito dai fondamentalisti come strumento essenzia-34

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zione religiosa ma un movimento che la interpretanella sua vera essenza nei momenti di più acuto con-flitto con le altre culture e civiltà.

Altra tesi che, sia pure a partire da presupposti di-versi, mette in evidenza la rilevanza nel fenomenodella dimensione della cultura, intesa come insieme divalori, credenze, norme e simboli, è quella di Castells,che scorge nel fondamentalismo una forma particola-re di resistenza comunitaria su base culturale. Una reazio-ne, di tipo identitario, da parte di comunità che asse-gnano rilevanza a una dimensione culturale origina-ria fondata su una specifica griglia di valori, ritenuti ir-rinunciabili. A sua volta Casanova vede nel fondamen-talismo essenzialmente un fenomeno di deprivatizza-zione della sfera religiosa riconducibile all’evidente ritor-no della religione nella sfera pubblica degli ultimi de-cenni. Tesi che mette in aperta discussione il paradig-ma della secolarizzazione. In questo senso il fonda-mentalismo non sarebbe che una manifestazioneestrema del ritorno in scena delle religioni che rifiuta-no di farsi relegare nella sfera privata. Il fondamenta-lismo tende, infatti, a ripoliticizzare la sfera morale ereligiosa privata e rinormativizzare la sfera politica.

Bordieu ha, invece, messo l’accento sul fondamen-talismo come rifedinizione del campo religioso, guardan-do alla religione come insieme di beni simbolici, sui 37

La rilocalizzazione avviene, dunque, in termini di glo-calizzazione, in un processo in cui convivono elemen-ti contraddittori.

Huntington vede nel fondamentalismo una mani-festazione dello scontro di civiltà. Con la fine dellaGuerra fredda, l’antagonismo storico tra Islam eOccidente assume nuova intensità. Percezione divenu-ta evidente dopo l’11 settembre 2001, quando Al Qaedaha portato il suo attacco all’America e distrugge leicone-simbolo del suo potere. Secondo Huntington ilfondamentalismo islamico si è fatto interprete, negliultimi decenni, del timore che l’Occidente, attraversola globalizzazione economica e culturale e la sua po-tenza militare, costituisca non solo un problema maaddirittura una minaccia per la stessa l’esistenzadell’Islam. L’immagine dell’Occidente come intossica-tore dell’Islam, che gli stessi islamisti radicali hannotradotto nell’efficace neologismo westoxification, sa-rebbe diventata senso comune, generando un asprareazione identitaria nel mondo islamico; reazione se-dimentata persino nelle élite politiche, economiche,culturali, che l’Occidente considera alleate. Ciò dimo-strerebbe, a detta dei sostenitori della tesi dello clash ofcivilization, che il fondamentalismo islamico non costi-tuisce una deviazione dall’ortodossia, o il prodotto esa-sperato di una particolare interpretazione della tradi-36

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aspetti specifici di un movimento con cui anche il XXIsecolo dovrà fare a lungo i conti. Nonostante le corren-ti maggioritarie delle diverse religioni considerinoquelli fondamentalisti gruppi minoritari, la cui prete-sa di rappresentare l’essenza del loro credo è ritenutadel tutto infondata, quest’ultimi sembrano destinati aproliferare. La loro forza è nel rendere sempre più la-bile il confine tra politica e religione, mobilitando ri-sorse che hanno a che fare con entrambe le dimensio-ni. Suscitando consensi tra i sempre numerosi “danna-ti della terra” e “dannati nella terra”.

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quali ha potere di definizione un gruppo di speciali-sti del sacro che impongono una gerarchia fondata sulpotere-sapere ai non specialisti; questi sono destinata-ri di habitus rituali e mentali che permettono la legitti-mazione interna del campo religioso e forniscono loroun insieme di significati capaci di orientarli nella vitaquotidiana. La differenziazione nel campo religiosoproduce conflitto poiché, oltre ai nemici esterni, i mo-vimenti fondamentalisti contestano anche gli specia-listi interni, accusati di non interpretare secondo “au-tentica fede” la tradizione religiosa. Il conflitto sfociasovente, oltre che nella delegittimazione delle leader-ship religiose ufficiali, nella riformulazione di parti diquella stessa tradizione. Quelli fondamentalisti sono,dunque, movimenti anti-tradizionalisti o, meglio sa-rebbe dire, post-tradizionali. Non solo perché stravol-gono simboli o ne inventano di nuovi, pretendendo diinterpretare l’autentica linea di credenza e dandoforma a una neotradizione; ma anche perché si affi-dano a leader e guide spirituali, spesso di tipo carisma-tico, estranei alle tradizionali categorie dei “chierici uf-ficiali”, mettendo in evidenza una concezione antisti-tuzionale della religione.

Naturalmente ciascuna di queste tesi, da sola, nonrende conto di un fenomeno complesso come il fonda-mentalismo. Insieme, ciascuna di esse coglie, invece,38

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sommario

IntroduzioneI caratteri del fondamentalismoLa terra dei fondamentalismiDonne e “violenza sacra”Un fondamentalismo etnoreligiosoLa battaglia della Fine dei TempiPerchè il fondamentalismo?