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Franco Monteleone Storia della radio e della televisione in Italia

LIBRO - Storia della radio e della televisione in Italia

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Franco Monteleone

Storia della radio e della televisione in

Italia

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9. Vedere a distanza 1. L'invasione dell'immagine Intorno alla metà degli anni cinquanta, quando la rapida espansione del nuovo mezzo si impose agli occhi di tutti, la crisi della radio italiana si manifestò in tutta la sua evidenza. Obbligata di considerare il proprio ruolo sociale della radio sente tuttavia, col tempo, modificare la sua organizzazione e i suoi programmi, riconvertire suo rapporto con il pubblico adeguandosi alle nuove condizioni di ascolto così come l'avvento della televisione le aveva trasformate. La maggior parte degli italiani, fra il 1945 e il mio 955, si guadagnava da vivere ancora nei settori tradizionali: piccole aziende tecnologicamente arretrate e con uno sfruttamento intensivo, pubblica amministrazione, negozi e piccole siti commerciali moltiplicatisi a dismisura. Il tenore di vita rimaneva se è basso e l'agricoltura continuava ad essere il più vasto settore di occupazione. Ma in poco meno di un decennio il paesaggio rurale e urbano, così come le dimore dei suoi abitanti e i loro modi di vita, cambiarono radicalmente e l'Italia diviene una delle nazioni più industrializzato dell'Occidente. A travolgere quel modello di comunicazione di massa offerta dalla radio non fu tuttavia soltanto l'avvento della televisione, quanto i profondi mutamenti prodottisi nella società e nella struttura del paese. Il pubblico radiofonico si restringe progressivamente. Dopo un periodo di equilibrio, durato appena qualche anno, il rapporto quantitativo fra di televisione comincia a prendere decisamente a favore di quest'ultima. Dopo l'avvento della televisione la radio diventa "rumore di fondo"; il suo uso a fare in differenziato da parte del pubblico, anche se è immutata e la sezione con cui si tratti del suo sconto. La radio si trovò bruscamente confrontarsi conla sottrazione di spazi, di forme espressive, di peculiarità che l'erano propriae. Ma paradossalmente la televisione va tuttavia storicamente considerata una derivazione diretta della radio; è da questa che nasce infatti il mezzo più forte, sia dal punto di vista tecnico, come vedremo, sia dal punto di vista dei linguaggi e delle forme discorsivo e più frequentemente praticate. 2. Prove tecniche di trasmissione Qui si analizza l'evoluzione tecnologica che ha portato alla concezione moderna di televisione dal punto di vista tecnico. 3. L'apparato forma il suo pubblico Il 10 aprile del 1954 la Rai, pur mantenendolo stesso sire, cambia ufficialmente denominazione: radio televisione italiana al posto di radio audizioni Italia. Con l'avvento della televisione la situazione economica e le strutture d'impresa della Rai si modificare radicalmente. Fino a quel momento, nonostante di incremento degli abbonamenti radiofonici, l'azienda era rimasta una realtà economica collegata, in un certo senso subordinata, alla grande industria monopolistica elettrica e radioelettrica. Non con l'inizio dell'esercizio televisivo la Rai non solo diventa una colossale fabbrica di merce di consumo ma anche una potente finanziaria in grado di determinare, con le commesse, gli appalti, le scelte tecniche delle installazioni, gli investimenti edilizi e ecc. una considerevole influenza su ampi settori di interessi economici. Malgrado non fosse ancora iniziata la grande esplosione degli abbonamenti televisivi, alla situazione economica e finanziaria della Rai si presentava più che solida. La nascita della televisione, con il conseguente ampliamento della struttura d'impresa della Rai, avviene in un momento di forte espansione economica. E in queste dinamiche economica che

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occorre osservare la nascita del consumo televisivo di massa, la cui esplosione di mostra alla congruità del progetto imprenditoriale messi in atto dalla Rai. Il capitalismo italiano trova in effetti nel nuovo medium o una singolare ipotesi di sviluppo; abbandono altri settori dell'industria culturale e. Decisamente sulla televisione che, dopo il primo anno di assestamento, vede aumentare la propria audio e se con indici di incremento rapidi ed elevati. Proprio laddove maggiore fu il suo consumo, cioè nelle zone sotto sviluppate del sud, fu subito evidente che lo spettacolo televisivo avrebbe cambiato i modi di vita e le abitudini delle masse molto più di quanto non avesse fatto la radio né gli anni 30. Nasce così, con caratteristiche originali, l'apparato televisivo; esso denota un orientamento politico-culturale dell'industria del tempo libero radicalmente nuovo: il tentativo di creare un pubblico unificato, al quale proporre modelli di informazione e di comportamento standardizzati. L'apparato della televisione nasce con connotati del tutto nuovi per l'Italia. Innanzitutto, e se separato dagli altri apparati del tempo libero e funziona secondo logica di un'impresa orientata a produrre su scala industriale; in secondo luogo, esso produce beni di consumo in condizioni di monopolio, quindi con un enorme vantaggio rispetto ad altri produttori; in terzo luogo, l'apparato televisivo dove sarà tradizionale logica capitalistica, secondo la quale è il mercato che condizionala produzione, programmando contemporaneamente si era produzione che consumo: l'apparato forma, cioè, il suo pubblico. Lo schema orario giornaliero e settimanale è costruito su appuntamenti fissi tuttavia un vero e proprio palinsesto concepito come progetto, come strategia dell'offerta manca nella televisione dei gli inizi. Le prime preoccupazioni relative all'organizzazione dei programmi sono soprattutto di opportunità politica; da un lato è indispensabile presentare un'offerta ordinata e puntuale, dall'altra o con l'abituare il pubblico a un ascolto continuo, non casuale e non darà storico, evitando di interferire troppo bruscamente con la quotidiana organizzazione di studio, di lavoro e di riposo degli italiani, in tutte le diverse fasce di età. 4. Vecchi e nuovi consumi culturali Gli anni del decollo televisivo sono anche quelli che assistono a un'esplosione delle dinamiche dei comportamenti di consumo privato è individuabile, da gli elettrodomestici all'automobile. È un periodo di facile entusiasmo, anche se fortemente popolare: il divismo attira larghi strati di pubblico, è anche forme ti musicate di spettacolari d'azione della vita religiosa raccolgono bassissimi consensi. Ma è nel tempo libero e nei consumi culturali degli italiani che si notano maggiori elementi di novità. Il cinema di una stagione felice, sono in aumento le tirature di giornali settimanali, si diffonde di consumo musicale di massa. È l'inevitabile che la televisione finisse per comprimere lo spazio dietro settori dell'industria culturale. Il primo a risentire della crisi è il teatro. Ma l'impatto più significativo della televisione si determina con l'unico vero altro apparato che nell'Italia degli anni cinquanta produce e diffonde cultura di massa: l'industria cinematografica. Rispetto ad altri apparati di cinema assorbiva praticamente un'intera dimensione dello spettacolo e le ha ragione poteva considerarsi il più forte mezzo di comunicazione di massa. Volendo cercare di schematizzare, secondo un ordine di priorità, le cause che in Italia hanno determinato un impatto così squilibrato tra i vecchi apparato dell'industria cinematografica e il nuovo apparato nascente della televisione, a tutto vantaggio di quest'ultimo, è possibile indicare sostanzialmente tre fattori di crisi: la polarizzazione produttiva dell'industria cinematografica, alla saturazione della domanda, il rapporto con le nuove tecniche di ripresa e di proiezione. L'apparato televisivo nasce quindi, e si consolida, nel momento di maggiore debolezza dell'apparato cinematografico. Ma al di là delle cifre quantitativi e, il dato interessante è che la televisione tende modificare il "vissuto" dei suoi consumatori. Il possesso del televisore modifica immediatamente, e in misura

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massiccia, l'uso del tempo libero. Esso tende a organizzarsi in maniera sempre più ampia all'interno dello spazio domestico, ed è questo spazio che si pone come sbocco naturale del consumo televisivo. Di fronte a questa situazione, ad ogni modo, gli esercenti cercarono di parare il danno ricorrendo a un accordo diretto con la televisione. In un primo tempo, ad esempio, ottennerolo spostamento di "la sono doppio?" Da sabato giovedì, per far fronte alla contrazione dei gli incassi al fine settimana, generalmente i più alti per l'esercizio cinematografico. 5. Pulpito e cattedra Ai mezzi di comunicazione di massa, dalla radio al cinema, alla stampa per ragazzi, e infine alla televisione, veniva riconosciuta una indiscussa funzione educativa e di orientamento, una generale capacità di interpretare le aspirazioni e la domanda culturale della massa. La televisione, per la forza stessa della sua attrattiva, apparve subito come lo strumento fondamentale di intervento sociale ed un'occasione irripetibile di modernizzazione della cultura in senso antilaicista. Su altri centri di produzione culturale e l'influenza delle cartello cattolico-democristiano si era fortemente ridotta. In quella che possiamo definire storicamente una prime ipotesi di lottizzazione, la televisione fu dominata dall'area politica che, nel campo dell'industria culturale, non aveva che pochi strumenti di intervento. Un nuovo rapporto con il pubblico, ovverola suddivisionela distribuzione dei generi in relazione alle fasce orarie e alla composizione qualitativamente differenziata dell'audienza, indica che il gruppo dirigente al quale è stato affidato il compito di espandere, con grande rapidità ed efficacia, il servizio di televisione in tutto il paese sta lavorando dei segni di un progetto culturale di notevole maturità. L'attenzione agli aspetti morali della comunicazione per l'immagine, pur se dettata da preoccupazioni eminentemente religiose, denota già una complessa e articolata concezione del mezzo.

10. Il magico occhio luminoso 1. Moderno e antimoderno Giovanni Cesareo ammette che il movimento operaio e i partiti della sinistra non reagirono in modo adeguato all'entrata in funzione del nuovo apparato di comunicazione. La battaglia contro la televisione, che si scatenò allora, e che tiene banco per quasi un ventennio, non era frutto di una sola parte politica; essa faceva parte della strategia di quel ampia fronte antimoderno che vedrà saldarsi, con sotterranee alleanze, una parte del mondo cattolico, il partito comunista e frange non è marginale dell'aristocrazia laica e del grande capitale. Il rifiuto geologico di questo complesso ceto politico-intellettuale verso la televisione può essere schematicamente descritto, a grandi linee, in questo modo: innanzitutto una totale incapacità di comprendere quanto l'offerta culturale di massa della televisione e le basse comunque il grado di democratici table paese; in secondo luogo un'attività c'è volontà di demonizzare il mezzo, non osservandolo per quello che ma attribuendogli una improbabile connotato di classe; infine il rifiuto di considerare la cultura di massa è la comunicazione di massa come un sistema di apparati che richiedono, per la loro complessità, l'individuazione di meccanismi e di strutture di funzionamento. Gli italiani sentono dalla prima volta di avere un punto di riferimento nazionale collettivo alle loro azioni private, al loro vissuto quotidiano. La televisione allarga l'orizzonte della comunità domestica, ma nello stesso tempo rende i membri di quella comunità consapevoli di una comune appartenenza.

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la televisione in contro la maggior popolarità tra quelle categorie sociali e in quelle regioni che si sentivano maggiormente escluso della vita moderna. Per buona parte degli anni cinquanta fu generalmente considerato come cinema di poveri, e non senza ragione:la semplicità e l'immediatezza delle immagini televisive sembravano conformarsi perfettamente alle qualità tradizionali di gran parte della cultura popolare del paese. Una inchiesta ormai storica di Calamandrei confermò che l'accoglienza favorevole riservata alla televisione fu rapida e generale. Infatti anche se, c'era solo una minima percentuale di persone che possedevano la televisione (anche nei locali pubblici), quasi tutte le persone avevano guardato la televisione. Questo apparecchio agiva, quindi, come una sorta di rito di transizione pur essendo essa stessa uno dei fattori di questa transizione. Il mondo popolare subalterno, per la prima volta nella storia d'Italia, veniva strappato dalle sue tradizioni e dal contesto, spesso millenario, delle sue esperienze primarie e veniva spinto a integrarsi con la grande platea collettiva. La struttura dell'ascolto favoriva questa integrazione. Le ore di trasmissione erano divisi in due grandi fasce quella pomeridiana era dedicato ai ragazzi; quella serale, fino alle 23, dedicata agli adulti. La domenica le trasmissioni sentivano di mattina per i consueti appuntamenti religiosi; la sera veniva sospeso il telegiornale, che poteva già vantare 516 edizioni annuali per 141 ore di programmazione. Il telegiornale divenne realmente quotidiano solo nel 1956. Paolo Monelli mettere in guardia dei pericoli della televisione. Pasolini, in modo più profondo e angoscioso, si sarebbe interrogato sulla trasformazione di un mondo che aveva visto la scomparsa delle lucciole. Colpendola televisione si volevano colpire modelli del capitalismo consumistico, il mito del profitto, i simboli di una società in evoluzione. Per gli intellettuali, soprattutto per quelli schierati e le "ingannati" nei partiti della sinistra sociale comunista, la televisione minacciava l'egemonia di un magistero esercitato in quasi tutti i settori tradizionali della cultura. Purtroppo gli intellettuali saranno gli ultimi a capire quello stava accadendo; la resistenza al cambiamento ed è segno del timore di perdere uno status che i primi dieci anni di democrazia, nonostante tutto dopo, avevano loro garantito. 2. Il "miracolo" e il suo schermo Il manager che aveva tenuto a battesimo il fenomeno televisivo italiano, Filiberto Guala, fu costretto a dimettersi il 27 giugno del 1956. Pochi anni dopo entra a far parte dell'ordine dei frati trappisti. Che cosa era accaduto? Semplicemente che la matrice religiosa non bastava più; essa era servita a "lanciare il prodotto", ma adesso l'azienda di radiotelevisione andava gestita con criteri diversi, più rispondenti al quadro politico attuale. Con la ristrutturazione operata da Rodinò la Rai assunse quella fisionomia aziendale tecnica e culturale che la distingueva per tutti gli anni sessanta. I primi anni di questo manager sono quelli della grande espansione della pubblicità, della nascita della televisione scolastica e della televisione per ragazzi. Alla rottura dell'orizzonte domestico e mercoledì sera il piccolo schermo portava immagine di un mondo sconosciuto corrisposte un'analoga rottura delle abitudini di vita e delle barriere linguistiche. Individui e famiglie si trovarono di fronte a una gamma di scelte enormemente allargate e la comunicazione linguistica vi si arrivò. Anche se in virtù di una pesante omologazione culturale, tendente alla banalità azione diffusa,la televisione crebbe la diffusione delle conoscenze e del sapere, accelerando la circolazione delle informazioni, favorendo l'acquisizione di nuovi risolse linguistiche da parte di una popolazione molto differenziata che, in numerose aree geografiche, usava ancora solo il dialetto. Ma alla spinta modernizzatrice della televisione tradizionale non agire esclusivamente in ambito culturale cognitivo. Il progetto pedagogico che animava la programmazione dell'esordio, è che fu alla base del "successo" televisivo per quasi due decenni, ebbe il gran merito di stabilire nuovi codici di convivenza più avanzati e consapevoli. 3. Gli anni del "saccheggio" 5

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Una televisione costruita attraverso il semplice assemblaggio del materiale trasmesso; uno utenza culturalmente ancora di articolata. In questa situazione il primo grande obiettivo non poteva non essere lo sviluppo di un pubblico omogeneo, unificato, di massa. Non a caso, al suo apparire, la televisione è uno strumento di intrattenimento comunitario: le si guarda al bar, in parrocchia, nella sede della parabola, nelle sezioni di partito. Analogamente i primi anni della radio prevale la curiosità per l'innovazione tecnologica, per la qualità dell'immagine, per il modello del mobile che ben presto diventa nelle case un protagonista dell'arredamento. Si consuma la televisione insieme ad altre persone, prevalentemente al di fuori del nucleo familiare, con le quali si condivide una visione del mondo è un'organizzazione del tempo libero. Anche se di breve durata, questa prima fase del consumo televisivo è importante: e sarà forte sentimento di gruppo, alimenta la discussione, promuove la "conversazioni" in un paese che conosce poco questo strumento fondamentale della convivenza. Com'è fatto varie volte osservato, una televisione delle origini manca di identità mediologica, è ancora scarsamente consapevole delle proprie autonomi potenzialità, ebbe lontana dall'avere scoperto le opportunità di una "palinsesto" nel quale si razionali del tutto l'offerta dei programmi. Questa è essenzialmente ispirata a due preoccupazioni: da un lato costruire una sequenza colono metrica della trasmissione, dall'altro orientare il pubblico, con intento chiaramente pedagogico, a un ascolto "corretto", evitando che diventi dirompente rispetto agli intendi di studio dei ragazzi e alla tradizionale organizzazione della giornata di lavoro e di riposo degli adulti. È naturale quindi che essa si rivolga ad altri riferimenti culturali, "sa che grande" genere repertori della radio, del teatro, del cinema, manifestando in ogni caso, in tutta la sua produzione, un solido ed esplicito aggancio con le radici umanistiche della cultura e del pensiero nazionale. Nella ricerca di questa identità alla televisione ha finito per assumere come modelli fondamentali della sua produzione quei generi esterni al suo universo è tradizionalmente vivi nel contesto sociale. A necessità di riempire lo schema giornaliero dei programmi, la fame di testi e di idee, la diversa provenienza di programmisti e il carattere stesso nome specifico delle competenze produssero, soprattutto nel settore dello spettacolo, un travaso a volte brusco e farà geloso di patrimoni culturali spettacolari preesistenti sovente incompatibili con il nuovo mezzo. L'opzione culturale ed educativa governava la scelta di questa "Babele mediologica". Ma numerose inchieste effettuate all'epoca, oltre ai dati successivamente forniti dal servizio opinioni, confermano in effetti che i teleabbonati erano più propensi a riconoscere i pregi di programmi nella loro capacità di interessare e di istruire che non in quella di divertire. In questa propensione del pubblico dell'epoca a ricevere ammaestramenti c'è il segreto del successo di uno dei primi programmi specificatamente televisivi, "Una risposta per voi", che rivelò il volto ironico di Alessandro. Lo. Gli ascoltatori della radio già conoscevano la sua cadenza napoletana che, trasferita nella televisione, rispondeva e di diversi quesiti rivolti per lettera da gli spettatori, realizzando una singolare ma efficace trasmissione di divulgazione culturale. Nella televisione tradizionale la parola, e non solo quella teatrale, si riferisce a un preciso modello letterario linguistico; corrisponde a un obiettivo di alfabetizzazione. E intenzione pedagogica pervade tutto l'arco dei generi programmati, dallo spettacolo all'intrattenimento, con esclusione forse dell'informazione alla quale veniva delegata solo l'ufficialità del rapporto con il potere politico. Non si parla ancora in quegli anni di giornalismo televisivo, ed è assente da qualsiasi ipotesi di giornalismo militante o di opinione. Vero è che in tutto il giornalismo italiano, anche in quella della carta stampata, si vive un clima di povertà professionale. E se i primi dieci anni di vita la televisione italiana si è spesso ispirata i temi culturali e scientifici proposti con forti connotati didattico-educativi e prevalentemente destinato pubblico giovanile. La fascia oraria del pomeriggio comincia così a definirsi sempre più come quella divulgativa per eccellenza, almeno per questi primi anni. La letteratura, la biografia, storie consentono di alloggiare alla spinta divulgativa al campo della fiction. Lo sceneggiatore si affianca al teatro riprodotto e si diffonde l'uso di ridurre per il piccolo

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schermo grandi opere edite italiane e straniere. Il fullieton televisivo e l'ultima trasformazione di una forma narrativa che si collega ai generi più disparati del romanzo ottocentesco, che mescola gli ingredienti e i materiali letterari più eterogenei. la televisione va alla ricerca di una propri identità stilistica per affrancarsi dai condizionamenti e dall'ipoteca del suo grande rivale, il cinema. Ma nonostante le aperture verso dimensione più narrative o addirittura cinematografiche, i modelli dell'esperienza teatrale continueranno ad essere di riferimento privilegiato di questo genere, che rimarrà sostanzialmente immutato per tutti gli anni sessanta e 70. Dei territori della drammaturgia televisiva manca invece una consistente produzione di testi originali, cioè scritti o addirittura commissionati per il piccolo schermo. Dopo una lunga fase di avvio dell'esercizio la Rai comincia ad affrontare con maggior consapevolezza anche la questione dell'ampliamento delle proprie fasce d'utenza. Il pubblico dei più giovani e ancora considerato con rispettosa cautela e, del resto, nell'offerta complessiva di televisione non mancano programmi, come dire "a tutto campo". La televisione si preoccupò di integrare nella sua offerta tutti i possibili segmenti generazionali, arricchendola propria gamma di prodotti congiuntamente con l'estensione degli abbonati. Emerge così in questo periodo una primavera all'articolazione del palinsesto attuato per scelte qualitativa e orientata all'individuazione di nuove fasce di ascolto. Ma televisione dei ragazzi cominciassero al centro delle indagini del servizio di opinioni. Ai programmi destinati giovani fu data una denominazione precisa, la "tivù dei ragazzi", con tanto di stile d'apertura e di chiusura, uno spazio ispirato, sia sul versante dell'ideazione che su quello del consumo, a una singolare mescolanza di evidenti ambienti di pedagogici e risultanti spettacolari. D'espressione di riuscita di questa tendenza fu "lo zecchino d'oro". Con la consulenza del ministero della pubblica istruzione avere organizzato, nel 1958, il primo corso completo d'istruzione secondaria per l'avviamento professionale. Le trasmissioni si rivolgevano i ceti più poveri e disagiati, ragazzi domiciliato in piccoli paesi di montagna, in località ma collegate e non fornite di scuole secondarie. Nasce così "Tele scuola", un esperimento di educazione distanza che prosegue fino a 1966 con diversa impostazione metodologica e sempre condotto attraverso una capillare anche se modesto organizzazione depose d'ascolto collettivo. 4. Mentre cresce la televisione, la radio... Coerentemente linea dal progetto sociali Dante, attuato dalla televisione, anche la radio "nel suo piccolo" non aveva smesso del tutto di esprimere i valori di un paese in rapida trasformazione. Contemporaneamente il primo quesito dell'esercizio del nuovo mezzo tra italiana compiva il suo ventesimo anno. La sua salute, dal punto di vista dell'apparato, degli impianti di programmi non era poi tanto cagionevole. La diffusione del servizio televisivo lungo la penisola è infatti abbastanza graduale e non avessero tendenza del consumatore italiano a possedere almeno un apparecchio radio per famiglia. Cosa può contrapporre la radio alla novità e all'impatto spettacolare della televisione? Anzitutto l'abitudine all'ascolto. Se la frequenza d'ascolto della radio diminuisce con l'inizio del trasmissioni televisive, essa e tuttavia legata a una consolidata abitudine all'ascolto quotidiano, che tende stabilizzasse nelle ore diurne. Nel confronto continuo fra i due mezzi, radiotelevisione, assume rilievo la tendenza del primo ritornare ad un uso più ampio delle trasmissioni "dal vivo": di sera diretta era comunque utilizzata per i notiziari per i servizi giornalistici, dal 1945 la diffusione di strumenti di registrazione aveva consentito una migliore qualità dei programmi e nuove possibilità di linguaggio. Dalla seconda metà degli anni cinquanta e ritornava diretta, soprattutto per i varietà e per la musica leggera, ha il senso di un recupero della tradizionale efficacia spettacolare della radio come "teatrino domestico".

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In generale, per quanto riguarda il decennio successivo l'inizio del trasmissioni televisive, la prima reazione della radio sembra quella di "giocare in difesa", puntando sul prestigio della propria tradizione e sfruttando anche qualche effetto di rimbalzo dei programmi televisivi. L'offerta di prosa si fa imponente. Si arriva a programmare una commedia al giorno, presentando anche sulla "Radio corriere" un vero e proprio cartellone teatrale, nel quale vengono messe in rilievo le novità assolute, le novità per l'Italia e le prime esecuzioni radiofoniche. Certo, la cultura degli anni cinquanta fu ampiamente trattata con tutte le precauzioni e le censure richieste dalla casa etica "imparzialità" dei programmi. Tuttavia nessuno scrittore o studioso possente dei programmi radiofonici. Si registrò anche processo posto a quanto era accaduto inizialmente: non più il passaggio dal libro alle programma radiofonico, ma dal programma radiofonico al libro. 5. Ritorno a casa Surclassando la radio, l'esperienza "leggera" della televisione di questi anni stabilisce prepotentemente l'egemonia del mezzo, che sconvolge le abitudini degli italiani, che corrisponde alla domanda assai viva delle "fantasticare". Autori ed interpreti vengono ripresi direttamente dal grande serbatoio del teatro di vista e varietà. Infine, e l'incrocio fra i quiz e lo spettacolo leggero che agisce come straordinario moltiplicatore produttivo, contribuendo in maniera decisiva all'aumento del genere nel palinsesto della televisione tradizionale. Appena tre anni dopo l'inizio di "Lascia o raddoppia?" Nascono due programmi che saranno un definitivo lancio di questo settore: "1,2 e 3" presentato da Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello, e "Musichiere", condotto da Mario Riva. Non solo pubblico è in costante sviluppo ma televisione è sempre più utilizzata come mezzo privilegiato per l'impiego del tempo libero in ambito privato. "Carosello" stabilisce il collegamento a fare tradizione di un costume familiare, che scandisce i suoi tempi lenti nell'universo ancora fondamentalmente provinciale della realtà italiana, è la proposta innovativa dello spettacolo televisivo che irrompe nel nuovo sistema di riferimento nazionale-comunitario. Aperti " carosello" rappresenta una storia a se nel panorama di ogni discorso sull'immagine: una serie di costume e, nello stesso tempo, di linguaggio e di creatività. Questa trasmissione una nota ricordata come compendio di storia dello spettacolo e del cinema italiano. I controlli sulle sceneggiature erano attenti severi. Molte non venivano ritenute adatte alla realizzazione e ogni regista ricorda piccoli e grandi problemi di censura. C'erano regole fisse per le durate dei messaggi pubblicitari e per il loro inserimento, che obbligava no a scelte precise di struttura nelle storie; ma c'erano anche indicazioni rigorose per tutto quanto riguardava ciò che non poteva essere mostrato in televisione: sesso, adulterio, l'uso eccessivo, oggetti superflui. A "Carosello" non comparivano mai a ambienti, pur confortevoli e allettanti, che fossero troppo lontani da quelli conosciuti da una piccola borghesia impiegati sia. La pubblicità non doveva creare troppi desideri né suscitare odio di classe. Associare il consumo di beni a uno stile di vita attraente non era un'invenzione italiana; italiano fu solo il suo adattamento a una realtà molto più semplice e povera di quanto non fosse quella del paese che aveva scoperto la pubblicità televisiva. 6. Good morning America! Il fenomeno è iniziata gioco l'industria cinematografica, proseguito conla diffusione degli tra domestici, quello di rotocalchi, della coca cola, delle calze di nylon ecc. Il basso livello dello sviluppo economico italiano nei primi anni cinquanta fu una delle condizioni che avevano permesso questa forte penetrazione di modelli culturali e abitudini di consumo americani.

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La televisione rappresentò il vicolo primario attraverso il quale la penetrazione statunitense s'impose nel nuovo processo di socializzazione delle masse che l'Italia stanno sperimentando, anche se l'America che, attraverso il video, entrò nelle case di tutti fu comunque riveduta e corretta da un preciso disegno di adattamento alla sensibilità, alla legittimità, alla mentalità italiane. Anche se l'ispirazione da qui prendevano. Fu spesso indubbiamente americana e trasmissioni mostravano un impronta inconfondibilmente "casalinga" e tradivano un'influenza di altre fonti diverse: la rivista di varietà, come abbiamo visto, il teatro, ma soprattutto la radio, che già aveva sperimentato con ottimi risultati il ricorso all'uso della quiz. C'erano casi, come d'esempio il programma "Telematch" che riuscivano ad unire persone delle più diverse e luoghi dei più diversi, sfruttando l'impianto della rivista di varietà, ma anche la ricchezza di dialetti e culture diverse presenti nel nostro paese. Lo shov system americano, benché fonte primaria d'ispirazione per i programmatori della televisione italiana, era quindi trasformato e alimentato a tal punto che finiva per non essere più riconoscibile. Poco a poco l'America bene progressivamente allontanandosi per fare posto a stile linguaggi, strutture di programmi inconfondibilmente italiani. I caratteri "non americani" sono le interpolazione o almeno le suggestioni di altre categorie dello spettacolo di intrattenimento. "L'amico del traguardo", del 1961, porta alle estreme conseguenze l'abitudine ormai invalsa di costruire intorno ai quiz e un vero toto spettacolo di varietà, che vive per suo conto maturando l'immediatezza e la concessione dei game shows americani cui si ispirava. In realtà, durantela fase del lancio televisivo, in Italia furono praticamente battute tutte le strade dell'intrattenimento americano: programmi brevi di ritmo radiofonico, e rivista comica, superspettacolo. Ma è il palcoscenico dei teatri di varietà non è compatibile con le regole, anche canoniche, dello show televisivo: impresentabile sul video sono le varie "soubrette, donnine donnone poc'anzi, incarnazioni viventi di una provocazione totalmente inedita alla televisione dei primi anni". Ed ecco chela musica la grande orchestra, la popolarità dei direttori diventano gli ingredienti di una formula che resterà praticamente mutata per alcuni decenni. "Canzoni stima" tiene a battesimo quella formula e, collegandosi al morbo nazionale della lotteria, terrà banco per diciotto edizioni: un record! Anche il modello americano intorno a 1960 cominciava a trasformarsi, nelle televisioni di quel paese, secondo le formula sfarzosa del teatro di brodo duri. È proprio conciliando i suggerimenti del musical americano con la tradizione europea, due personaggi indimenticabili fecero conoscere agli italiani fascino delle grandi coreografie televisive. 7. Per ora il monopolio è salvo Se nel settore dell'intrattenimento l'apertura e modelli americani e aveva dato l'impressione che la Rai si fosse in camminato lungo la strada della modernità, non così sembrava cadere in quella segmento ancora limitato della programmazione, il telegiornale, che rispetti Java, persino nel volto del suo presentatore, l'angustia del paese e della sua classe di governo. È pure, per quanto uniformi e inespressivi, furono i notiziari del telegiornale a consacrare il successo definitivo del nuovo mezzo di comunicazione. Per molti italiani, che continuavano hanno una legge del giornale, quei pochi minuti in diretta ogni sera erano squarci di realtà. E trasmissioni del telegiornale si moltiplicano rapidamente. Strana contraddizione: da un lato, una spinta modernizzatrice che rimescola abitudini, linguaggi, convinzioni, ma i cui effetti si manifestano sostanzialmente nella sfera privata; dall'altro lato, un rigido controllo su qualsiasi notizia non gradita al governo e alla democrazia cristiana, che impedisce per molto tempo ai telespettatori di partecipare consapevolmente a tutto ciò che avviene nella sfera pubblica, dove permane al contrario una pesante ipoteca repressiva.

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Nel 1958 di servizi giornalistici riempiono 878 ore di trasmissione, con un incremento del 37% rispetto all'anno precedente. Sono aumentate anche le dirette. Ma la vita politica era ancora raccontato con cautela. Di fronte a una situazione così ben descritta, forse di posizione e quelle laiche e cominciarono una dura requisitoria contro la televisione, così come era caduto anni prima con la radio; ma se ne l'aggressività parlamentare delle sinistre non vi erano nere ali proposte nei concreti indicazioni di cambiamento, nello schieramento laico, al contrario, cominciarono a farsi avanti alcune ipotesi di trasformazione dell'assetto giuridico della concessionaria Pooh auto la storia della Rai, d'ora in poi, vedrà strettamente intrecciati di percorso della programmazione, del rapporto con il pubblico, della crescita e dello sviluppo aziendale, espresso in ore trasmesse e dati di ascolto, con le distanze politico-sociali che tendevano a cambiare le regole del gioco, apre spazi a tentativi di privatizzazione, rompere il monopolio. Pastore della radiotelevisione, d'ora in avanti, appare costellata da una serie di tardi di compromessi attuati pur di conservare la monoliticità del monopolio alla democrazia cristiana, prima, e alla sua alleanza consociativa con altre forze politiche, dopo.

11. Ribalta accesa 1. Una fabbrica di consenso Il paese era cresciuto in virtù di una profonda trasformazione strutturale; la società italiana era diventata mediamente più ricca; nuovi processi culturali ne avevano modificato fisionomia e comportamenti. I mezzi di informazione sono centro di queste crisi di rinnovamento e ne registrano tutti i passaggi. Proprio nel luglio di quell'anno, il 1960, la sentenza della corte costituzionale, come abbiamo visto, aveva sollecitato il governo ad aprire le porte della Rai "a chi era interessato ad avvalersene per la diffusione del pensiero nei diversi modi del suo manifestarsi". La questione del pluralismo, nell'uso del più importante mezzo di informazione, è ormai al centro del dibattito politico e lo resterà per sempre. Cominciavano ad essere presentate le prime mozioni e interpellanze e in parlamento, cui governo rispondeva ancora con malcelato imbarazzo. Il primo obiettivo del nuovo direttore generale fu di aumentare maggiormente il potere della corrente di fanfani nell'indirizzo di programmi culturali e giornalistici. L'informazione si rivelò ben presto di settore di intervento più esposto, sia nel mediare i condizionamenti politici, sia nel distribuire l'offerta delle notizie ai telespettatori. 2. Nuovi fattori di cambiamento I mutamenti intervenuti nella struttura e nella composizione sociale e politica del paese richiedevano che il partito di maggioranza relativa rinunciasse a un rapporto di semplice possesso nel campo del mezzo di informazione di massa più potente. Nel decennio appena iniziato le strategie si orientano quindi verso modelli di organizzazione aziendale della Rai, di formazione del prodotto, di distribuzione dell'offerta, capaci di corsi non come semplici strumenti di amplificazione della politica della democrazia cristiana, ma come momenti attivi per la costruzione di un modello sociale più moderno è maturo. Il cambiamento delle condizioni materiali di vita indotto dal miracolo economico sarà anche cambiando la testa degli italiani. Con una platea che ormai varia fra i dieci di 15 milioni di spettatori, la televisione si sta caratterizzando soprattutto per la sua capacità di di organizzare l'intero corpo sociale. La dimensione privata del suo consumo ne rappresenta la nota dominante.

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Dal punto di vista Mass media logico tre furono i principali fattori di cambiamento di quest'epoca: 1) della modificazione del consumo nella differenziazione del pubblico; 2) la ristrutturazione dell'offerta mediante una più avanzata concezione del palinsesto; 3) la decisa influenza delle tecnologie sul linguaggio televisivo. Dei primi anni sessanta il consumo di televisione abbia sempre più su base familiare mentre perdono importanza di gruppi di ascolto spontanei e istituzionalizzati. Poco a poco scompare il consumo comunitario della televisione, tipico dell'esordio. È certo però che proprio la televisione e riesce a creare le principali occasione dell'unità familiare. Si tratta di un nucleo ormai più coeso, più consapevole, più informato, sul quale occorre agire con strumenti - greggi. Non a caso, nel pieno dei gli anni sessanta, si abbandona il codice di autoregolamentazione, migliora il telegiornale, si moltiplicano le rubriche di informazione e, nel campo dello spettacolo, si adottano modelli di maggiore originalità della Rai diventa sempre più consapevole della propria identità di apparato e non si limita più a presentare materiali fortemente disomogeneità all'interno delle singole collocazione, non vuole soprattutto guidare e orientare il suo pubblico attraverso una più raffinata strategie di consumo. L'offerta televisiva non è più vissuta come fruizione occasionale di un singolo programma, ma tende a trasformarsi in abitudine di ascolto. Il campo nel quale il potere di controllo venne invece esercitato con conseguenze immediate sul linguaggio televisivo e sullo stile della programmazione su quello tecnologico, solo apparentemente di più neutro pastore dello sviluppo del linguaggio televisivo e infatti la storia del progressivo sottrarsi della televisione alle possibilità di controllo esercitato dalle tecnologie. Da questo punto di vista il periodo iniziale del servizio fu anche quello della maggior rigidità del rapporto tra una struttura che vuole comunicare è un pubblico che riceve la comunicazione. In questa prima fase della produzione era dominata dallo "studio" e i linguaggi più diffuso quello del romanzo sceneggiato in diretta, estremamente semplice e immediato. Queste prime innovazioni influenzerà nel linguaggio potuto decennio. Le trasmissioni informative, sempre più spettacolo realizzato, modificano profondamente il sistema del giornalismo televisivo;la nascita di nuovi generi esordisce una fase di pura e semplice riproposizione di quel esistenti e crea nuovi stili e nuovi divi, che si impongono esclusivamente attraverso la televisione. Il montaggio elettronico favorisce l'abitudine dello spettatore al ritmo cinematografico del racconto, determinando un duplice effetto positivo: da un lato, all'inizio di una programmazione cinematografica di alto livello filmico culturale, e, dall'altro, una autonoma produzione di cinema per il piccolo schermo che porterà a lavorare per la Rai i più grandi autori italiani. Anche romanzo sceneggiato, che SI con un momento si era piegato solo in casi di estrema necessità i condizionamenti della macchina da presa, subisce questo contagio. Ma, accanto questi risultati, il controllo della tecnologia ed esiti anche negativi attraverso la "rottura della contemporaneità" in quelle trasmissioni che avrebbero dovuto consacrare l'esaltazione: i programmi informativi. 4. I programmi che hanno fatto la tivù Nel decennio 1960-70 la Rai si dedica alla creazione di un pubblico popolare il più possibile omogeneo. Un progetto favorito dalla dimensione sempre più familiare dell'ascolto e perseguito attraverso l'estensione della programmazionesi intorno a tre grandi aree tematiche: lo spettacolo leggero e di varietà, che negli anni sessanta raggiunge forme di spettacolo totale, una volta affrancatosi dei modelli americani; la musica leggera, soprattutto quella direttamente prodotto nelle grandi esibizioni d'onore; i programmi culturali e di informazione, ormai giunti ad un livello notevoli di qualità divulgativa. In tutte queste aree s'inaugura un massiccio utilizzo di quella politica dei generi che, partendo dall'obiettivo di determinare una profonda riqualificazione del pubblico, dove le interessare tutti i vari livelli del consumo: da fantastico all'informazione.

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Questa politica dei generi si toglie molto bene, in tutta la storia della televisione, nel rapporto solido e costante che si stabilisce, nel corso degli anni, tra informazione televisiva e avvenimenti sportivi. La varietà delle forme con cui questi ultimi sono stati sempre proposti sul piccolo schermo, dà notizia della rubrica, dalla ripresa di rete integrale a Le sintesi dimostra la duttilità del linguaggio televisivo non riuscire a spettacolarità dello sport. Nel gennaio del 1961 il decennio televisivo si apre sullo spettacolo delle gambe, senza casa maglia, delle gemelle Kessler. Queste propongono un erotismo "fredde", che non emoziona e non turba, quindi lecito. Affidata per molti decenni soprattutto alla divulgazione radiofonica che ne celebra,la presenza dominante nel costume nazionale, l'attenzione e diventata, nell'epoca della televisione di massa, uno dei capisaldi della programmazione leggera. Il richiamo della canzone aveva già fatto parte degli spettacoli più dimenticati e curiosi della prima televisione italiana, programmati nel tardo pomeriggio, senza pubblico, con le semplici scenografie allusivo e di un salotto, di un angolo bar, di un piccolo locale per bravi ragazzi. In un paese che aveva fatto della televisione la punta di diamante della propria proposta di socializzazione culturale, il divismo assume una fisionomia del tutto particolare è "nostrana". Senza questo retroterra, senza l'assoluta centralità che la televisione aveva assunto nella vita degli italiani, non sarebbe stato possibile rinascere di personaggi come Pippo Baudo o Raffaella Carla, soprattutto non sarebbe stato possibile creare uno star system dai connotati così popolari. La concorrenza con la televisione commerciale svilupperà ancora maggiormente questo trend, ma negli anni sessanta le premesse c'erano già tutte. Parve allora che il mezzo televisivo avrebbe potuto inserirsi più intensamente anche nei processi scolastici attraverso programmi di carattere "integrativo" dell'insegnamento in aula. Solo con l'inizio degli anni 70 la fusione della televisione scolastica ed educativa verrà di pensata come allargamento dei contenuti culturali della scuola tradizionale. Il nuovo ciclo nascerà con finalità ed esigenze completamente diverse, facendosi portatore di proposte didattiche avanzate allo scopo di stimolare il mondo della scuola ad aprirsi alla sperimentazione le tecnologie educative. In quegli anni ben ed inoltre sperimentati rapporti di proficua collaborazione con istituti di ricerche italiane all'avanguardia nel campo della metodologia dell'apprendimento. La storia in televisione si è stato oggetto di riflessione di approfondimento proprio da parte dei giornalisti. La televisione ha infatti contribuito a rendere, nel tempo, tornare giornalisti più attente scrupoloso e, imponendo sistemi di controllo che in passato o venivano tenuti scarsa considerazione o addirittura trascurati. 5. Lo spettacolo riprodotto I generi nati dalla specificità del mezzo rappresentato nel presupposto per la costruzione di un rapporto intenso fra la domanda sociale del pubblico e l'offerta del prodotto televisivo; al contrario, i generi organizzati su modello dello spettacolo riprodotto affollavano il palinsesto televisivo soprattutto per ragioni, come dire, istituzionali. Il compromesso che nei primi quindici anni si stabilisce fra le televisione, da un lato, e i teatri cinema, dall'altro, obbedisce a un primo tempo a criteri di saccheggio e di fango citazione, ma successivamente si ispira a criteri di doverosa documentazione di linguaggi espressivi narrativi, che la televisione cattura cercando di facilitarne le sovrapposizione ed evitare danni reciproci. Se un'intera generazione di italiani ha potuto assistere a una quantità notevoli di rappresentazione teatrale lo si deve alla televisione. Fatta eccezione per le riprese "esterne" precedenti l'avvento della video registrazione, un vero proprio rapporto produttivo fa televisione e teatro comincia solo nel momento in cui il mezzo elettronico si metta servizio della realtà scenica, "traducendo" è "adattando" di linguaggi di quest'ultima. Superata ben presto la fase "radiofonica" della supremazia del testo, il terzo televisivo si avvale degli elementi propri del linguaggio elettronico realizzando vere e propria messinscena d'autore.

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Non è il palinsesto settimanale della programmazione cinematograficasi articola ora incide d'autore, rassegne, edizioni critiche presentate e commentate in studio. Sembra di assistere a un grande cineclub popolare. I telefilm americano, ma anche europeo, padrone di molte serate televisive, non sembra più incontrare di il favore del passato. Alla base di questa svolta c'è la consapevolezza che il mezzo si trova in un passaggio delicato della sua funzione sociale e che per mantenere la propria egemonia occorre procedere a robuste innovazioni anche strutturali; ma non va trascurata l'aspirazione del gruppo dirigente cattolico di vedere colmare un vuoto ideologico e stabilire una concorrenza politica e non solo culturale con il grande apparato commerciale cinematografico ancora influenzato dallo schieramento di sinistra. 6. Quel piccolo, quasi intimo strumento... Totale sicurezza dei propri mezzi espressivi e definitiva emancipazione della sudditanza culturale nei confronti degli altri media furono i connotati di fondo della televisione del decennio della sua affermazione. Al contrario, col suo "chiacchiericcio di pensionati", all'aria sembrava aver perduto molto delle sue qualità. La radio e il banco di prova di trasmissioni personaggi che, più tardi, troveranno il grande successo popolare sul piccolo schermo. E trasformazioni tecnologiche stavano introducendo una modifica radicale e irreversibile dell'apparecchio ricevente, con immediate ricadute sul consumo ma soprattutto sul valore simbolico del consumo stesso. Con l'avvento del transistor e la radio 100 la propria peculiarità di mezzo di comunicazione individuale. Questa innovazione tecnologica coincide con il formarsi di una cultura marcatamente giovanile, che rintraccia nella musica rock più che nel cinema i propri miti e modelli di comportamento. Particolare attenzione dedicata al pubblico giovanile che decreti-straordinario successo di "Bandiera gialla". Grazia questo appuntamento del sabato pomeriggio la radio assume con naturalezza un ruolo privilegiato nei gusti della nuova classe generazionale che si va formando, e svolge anche un accurato compito critico e informativo nella omonima rubrica di corrispondenza sul "radio corriere". Per quanto riguarda l'informazione, le edizioni del giornale radio erano passate da 26 a 32 e continuavano a mantenere il primato di ascolto soprattutto nel primo mattino e nelle ore centrali della giornata. Tutte queste iniziative non sembravano però sufficienti a rispondere adeguatamente nuovo bisogno di comunicazione della società italiana che cominciava a manifestarsi in modi del tutto inediti. Già nell'ultimo scorcio degli anni sessanta, il pieno rivolgimento studentesco, la moglie di "chiacchiera" e liberamente divagatoria appare anche nei canali della Rai, fino al momento in cui verrà magistralmente interpretata, nei suoi aspetti più così, dal fenomeno di "Alto gradimento". Il 1969 si inaugura con un vero e proprio programma-manifesto del "nuovo corso" dell'etere, "chiamate Roma3131", tre ore di trasmissione quotidiana in diretta telefonica con gli ascoltatori, invitate a raccontare le proprie storie, casi i problemi personali, a chiedere consiglio e aiuto a cui "confesso di laici" che facevano da tramite con gli esperti dei settori più varie anche con i personaggi dello spettacolo. L'assoluta novità di questo programma è testimoniata dalla minuziosa descrizione che di esso viene data, prima del debutto, sulla "radio corriere". Da sempre in vetta alle preferenze del consumo radiofonico, questo programma intendeva con questa iniziativa dare nuovo smalto al compito di servizio pubblico dell'apparato; ma altresì anticipava quell'idea della radio fatta da gli ascoltatori che sono poi alla base della produzione delle emittenti "libere" nella seconda metà degli anni settanta. I fermenti di sperimentazione a cavallo e due decenni attraversavano in vario modola programmazione della radio, ampliando anchela nozione è l'offerta del genere drammatico maggiormente colpito dalla crisi intervenuta conlo sviluppo della televisione.

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In questo periodo, più che l'autore tradizionale di radiodrammi, si afferma la figura del regista autore, chiamato a diventare nuove modalità di montaggio su una suggestiva partitura di voci, musica e suoni. L'originalità del montaggio consentiva di rendere spettacolare anche una rubrica di informazione sul teatro. Su queste premesse nascerà nel 1973 alla serie delle "Interviste impossibili", che restano nella storia della radio un esperimento unico, per valore artistico e prese spettacolare, nei rapporti spesso scontrosi e diffidenti tra gli intellettuali italiani e la radio e televisione pubblica. 7. La centralità della Rai Il 25 giugno 1967, per la prima volta, un miliardo di telespettatori era stato raggiunto simultaneamente da suoni e da immagine attraverso la "mondo visione". La Rai partecipava, in rete € visione e in televisione, al primo collegamento diretto televisivo con cinque continenti, realizzato con impiego di cinque satelliti, di cui 2 per la zona dell'Atlantico, 2 per l'azione del Pacifico, e uno sovietico.

12. Anni di piombo 1. Un monopolio pubblico e riformato Il 68 non solo aveva mandato in frantumi il "miracolo economico" ma aveva messo in crisi tutto l'assetto e ruolo del sistema di comunicazione di massa, aveva fatto saltare le sue rigidità, aveva liberato nuove forze ed espresso nuove domande sociali e politiche. Negli anni immediatamente successivi, il sistema appare quindi improvvisamente arretrato e inadeguato rispetto i livelli di conoscenza sociale che si vanno producendo. Anche se un po' semplicistica mente, si può affermare che la storia della radio televisione, per un periodo limitato che va dal 1970 al 1975, può essere vista come una continua oscillazione tra fermenti rivoluzionari e istanze di ristrutturazione capitalistica. Nel compromesso che si stabilì tra l'una e l'altra di queste opzioni finirà per vincere una terza strada, quella di un mercato del capitalismo selvaggio. In tutti gli anni sessanta sull'attività della Rai si sente, anche se indirettamente, incombe di quella prima sentenza. La corte aveva legittimato il monopolio a patto che venissero rispettati i fini di utilità generale che la costituzione richiedeva. Nei momenti in cui la direzione generale della Rai e decise che occorreva cedere qualcosa del propri potere, di mescolando le carte, era già troppo tardi. Il movimento per la riforma, in campo politico, e le trasformazioni del mercato, in quella sociale, che due tendenze antitetica e, si erano già messe prepotentemente in moto generando, come sappiamo, la massima legittimazione di un monopolio "pluralista" nel momento stesso in cui le ragioni dell'economia di mercato ne stava decretando la fine. L'esperimento "garantista" non aveva funzionato e nel primo biennio dei gli anni settanta il dibattito sulla riforma si amplia e si estende a tutti i soggetti sociali. Ciò avviene alla vigilia del rinnovo della convenzione ventennale fra lo Stato e della Rai che scadeva nel 1972. In quello stesso periodo cominciano a comparire le prime televisioni locali private via cavo. Di fronte di contestazione del monopolio e tanto ampio quanto composito, ma due sono le linee di fondo sulle quali esso si articolo: le linee della riforma interna dell'azienda e la linea dell'apertura alla privatizzazione. In questo clima così vario e indefinito prende corpo l'ipotesi di privatizzazione. In uno scenario così compromesso, il problema della riforma della Rai gli stava tutto era riuscito a trovare il delicato. Di equilibrio tra le esigenze della collettività, e l'autonomia professionale che avrebbero dovuto garantire una radiotelevisione libera e svincolata dall'abbraccio con il potere esecutivo.

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2. Fermenti nell'etere D'ora in poi il quadro si complica. Il sistema radiotelevisivo nazionale cominciò a registrare l'ingresso di numerosi altri soggetti potenziali; inoltre, le trasformazioni dell'assetto economico e industriale del paese fanno sentire il loro effetto anche sull'attività produttiva della Rai. A partire dall'ultimo del 1973 alla grande crisi che investe tutti i paesi capitalistici colpisce anche l'Italia con pesanti ripercussioni sulla sua politica economica e sociale, che durano per tutto il corso dei gli anni settanta. Diventata una delle nazioni più industrializzato del mondo, l'Italia si trova esposto a una forte ondata di recessione. La crisi non determina tuttavia stagnazione ma a 100 e dinamismo, che a nuove forme di aggregazione, nuove mode, e contemporaneamente distrugge vecchi valori e vecchie mentalità. Come vedremo, ancora una volta il modello americano e alla base della formazione di nuovo quadro sociale ma, per quanto riguarda la nuova fase della produzione e del consumo radiotelevisivo che si sta aprendo, esso sarà mediato e trasformato da caratteristiche del tutto italiane, al punto da renderelo irriconoscibile. Il processo di privatizzazione dell'attività radiotelevisiva assume due direzioni. Da un lato l'aggressiva concentrazione di grandi gruppi editoriali; dall'altro la frammentazione alla polarizzazione delle iniziative ad opera di piccole imprese sparse su tutto il territorio nazionale. Tra il 1973 e 1974 le miniere di via cavo che sorgono un po' dappertutto in Italia ricordano l'entusiasmo amatoriale dei primi radioascoltatori negli anni venti, ma ben diversa e la percezione del mercato potenziale che si sta trasformando nella varietà dei gli interessi in gioco. Dopo aver cominciato a trasmettere regolarmente, Telebiella viene fatta tacere nel gennaio del 1973. Solo un pronunciamento della magistratura autorizza l'emittente riprendere la sua attività dopo aver contestato uno vuoto giuridico del codice postale che, fermo al 1936, non prevedeva installazioni di televisioni via cavo. Se il 1972 fu segnato da grandi dibattiti sulla riforma della Rai, l'anno successivo, accanto a moltiplicarsi delle proposte riformatrici, vide l'ampliasse della battaglia giuridica sulla legittimità delle stazioni locali via cavo. Queste sono ormai molto numerose e, in base al nuovo codice postale, modificato dal ministro Gioia, tutte fuori legge. Gran parte del mondo politico si oppone all'applicazione del nuovo articolo del testo unico: i repubblicani chiesero la sostituzione del ministro delle poste e telecomunicazioni; comunisti e socialisti definirono del tutto arbitrario la sua decisione. Il paragrafo continua a spirando i vari passaggi politici fino alla legittimazione delle reti private. 3. Piccole antenne crescono Apparentemente incredibili e dagli avvenimenti che abbiamo descritto, la radio viveva una delle stagioni migliori della sua storia sull'onda lunga del rilancio nel 1966. La radio e mezzo sul quale lo spirito del 68 ha dovuto una notevole influenza. Nelle minoranze artistiche, intellettuali e politiche, nasceva l'attenzione a una nuova soggettività, a una più pronunciato autonomia, che rivalutava la coscienza e il ruolo dei singoli della loro possibilità di azione. È sulla scorta di questo fervore di quest'entusiasmo che una vasta schiera di militanti politici, giovani ideologi, scatenati disk jokey, sull'onda di quanto rimane del 1968 e del suo clima di contestazione, vedono nell'uso libero della radio uno strumento privilegiato di controinformazione, di pratica politica, ma anche di semplice intrattenimento musicale. A parte gli obiettivi politici, la radiofonia privata ero mezzo poco costoso di espressione e offriva nuovo sbocco commerciale attraverso forme di pubblicità circoscritta localmente, addirittura di quartiere; un fenomeno, del resto, che non era solo italiano. Il grande boom segnava il rilancio del mezzo radiofonico su direttrici editoriali che la Rai non dominava più e alle quali sarà poi costretta ad adeguarsi. La radio era sempre più uno strumento di uso individuale e personalizzato.

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La divisione operata in tre reti concorrenti o obbediva a un'idea astratta di pluralismo come realtà era un'assurdità tecnica ma anche produttiva, poiché obbligava le reti a darsi una struttura troppo omogenea, non adatta a costruire un rapporto realmente differenziato col pubblico. In assenza di una coordinamento. Le continuo, per quel che riguarda gli orari, i palinsesti, i contenuti delle trasmissioni, si finirà per disporre di tre reti sostanzialmente generaliste dalla fisionomia a volte sbiadita. Anche la tecnologia Rai era ferma agli anni sessanta, mentre gli assalti all'etere si rafforzano degli interessi dell'industria elettronica, nazionale e straniera: i nuovi materiali leggeri, di basso costo, costituiscono la struttura tecnica di tutta l'emittenza privata radiotelevisiva. Emittenza radiofonica privata sembrava quindi avviarsi a delineare un proprio assetto ben definito: stabile il numero delle stazioni; ripartito a metà con la Rai l'ascolto complessivo; abbiate un processo di riorganizzazione. Ma l'apparente volontà di assestamento nascondeva una congerie di nodi irrisolti e di errori che finiranno per esplodere agli inizi degli anni '80. Tutta questa attività non era regolata da alcuna normativa. 4. Reti e testate Soltanto dal primo febbraio 1977 la Rai aveva avviato ufficialmente le trasmissioni televisive a colori: un ritardo che aveva pesato su tutto il comparto della nostra industria elettronica. La televisione cambia volto, cambierà domande l'atteggiamento del pubblico del momento in cui cambiala società italiana. La rottura del monopolio non fu una causa ma un effetto necessario di queste trasformazioni che la politica riuscì a governare solo in parte. Soltanto con la rottura del monopolio, l'azienda, anche se a tentoni inizialmente, ma con forte e dinamismo nel volgere di due anni, riuscirà a superare il vecchio modello di consumo recuperando la sua dimensione d'impresa. la riforma del 1975 aveva infatti rappresentato il tipico prodotto di una cultura della comunicazione Palio industriale e anti capitalistica, frutto di un compromesso politico tra i biologi e spesso addirittura contrapposte che consisteva nel fare proprie le istanze della sinistra mantenendo inalterata e alle premesse culturali della tradizione cattolica. Il risultato fu un rilancio difficile della programmazione e la perdita di competitività tecnologica. Tuttavia la Rai, intorno alla metà degli anni settanta, continuava ad essere il punto di riferimento centrale della produzione di programmi radiofonici e televisivi, il carrier fondamentali dell'industria culturale del paese. La sua organizzazione produttiva in questo momento tende d'istituire nuove fasce di ascolto, poiché è chiaro che il pubblico tradizionale sta rapidamente cambiando la sua fisionomia. La televisione della riforma, modificando alcune caratteristiche strutturali, produce continuamente pubblico. Sempre maggiore importanza assume, nella Rai riformata, la determinazione dei palinsesti sui quali si gioca tutta la riqualificazione dell'audience, ancora prima che sorga la tirannia degli indici di ascolto. Una nuova organizzazione aziendale prevedeva l'autonomia delle produzione della programmazione delle reti televisive (tv1 tv2) delle testate giornalistiche televisive (tg 1 Tg 2 e radiofoniche (gr 1 gr 2 gr 3), delle reti radiofoniche e di una nuova struttura centrale è nata perla produzione di trasmissioni didattiche, il dipartimento scuola educazione. L'azienda, che era stata tenuta strettamente unita in tutte le sue parti dalla logica del controllo ha centrato da Bernabei, viene suddivisa in molteplici centri operativi, dotati di largo autonomia, con i quali si inaugura ma un regime di concorrenza interna, anche o soprattutto fra differenti aree politico-ideologiche, ma che avrebbe comunque dovuto esprimere vitalità e ricchezza di nuove alternative nei linguaggi, nelle formule, nei contenuti, insomma nell'offerta complessiva dei palinsesti anche se ormai autonomamente concepiti. Le due reti procedette subito a impostare la propria linea editoriale. Mentre la prima vuole comportarsi come grande rete popolare, acquisendo personaggi, tematiche, tipologie di programmi della grande eredità del passato, alla seconda fatico maggiormente a trovare un'identità riconoscibile, come indicato nelle premesse politico culturale della riforma.

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Con l'inizio delle trasmissioni della terza rete, nel 1979, la Rai intende continuare ad assolvere ad alcune funzioni ormai del tutto di cadute dei palinsesti delle altre due. In una logica ancora monopolistica era stato coordinato uno studio preparatorio per questa rete, che avrebbe dovuto accogliere la richiesta di partecipazione dell'Italia minore alla costruzione televisiva dell'immagine nazionale. Ma dal punto di vista della strategia del palinsestola terza rete rappresentava già allora una scelta di retroguardia. Anziché di spiegare con forza tutte le sue possibilità produttive sulle tre reti, la Rai scelse, o meglio fu costretta a scegliere, per la terza, la strada del giornalismo e della programmazione para culturale. E spiegazione del suo sostanziale fallimento sta nel fatto che si era dato vita a qualcosa che nessuno aveva realmente voluto, tranne le forze politiche e sindacali locali che si battevano danni per il "decentramento ideativo e produttivo della Rai". 5. Il rilancio della fiction Per le uniche due reti esistenti gli anni settanta rappresentano un nodo centrale nella definizione di nuovi linguaggi e nuove opportunità produttive. Innanzitutto sono anni in cui si inaugura un periodo di sperimentazione di di uso alternativo del mezzo che si apre ad autori giovani e di avanguardia; in secondo luogo e in quel decennio che la televisione viene in soccorso del suo grande competitori, il cinema, e decide di salvarlo da una crisi che altrimenti sarebbe stata irreversibile e totale; in terzo luogo, anche per effetto di avvenimenti dirompenti sullo scenario sia interno che internazionale, l'informazione assume un rilievo medio logico e una importanza politica mai conosciuti in precedenza. Nascerà così una produzione seriale, tipica dell'industria culturale, governata dalle rigide regole di espressione, dagli esiti delle ricerche di mercato, dagli intrecci operativi con il mondo della sponsorizzazione pubblicitaria e dalle tecniche delle merchandising. Sono soprattutto i personaggi resi popolari dal "nuovo corso" della televisione per ragazzi che diventano fonte di denaro. Decine di milioni sono infatti le persone interessate ai giocattoli, ai prodotti dell'editoria, della cartolibreria ecc. Ma per comprendere meglio cosa succede nel nuovo universo televisivo è necessario riprendere il filo del discorso un po' più da lontano. All'inizio del decennio, stili, linguaggi e tecniche espressive diverse convivono spesso nello spazio produttivo e mentale del video. Anzi, è proprio in questa fase che la Rai produce programmi di particolare rigore formale, ancora liberi dai condizionamenti del mercato e dalle rappresaglie dell'audience. Quest'interesse per la ricerca formale fu di breve durata. Si accentua nel clima di fervore innovativo nato con la riforma, è favorito da collaboratori di idee e di prodotti che fula seconda rete televisiva nel periodo in cui venne diretta da Fichera, ma dovette cedere il passo alle ragioni industriali dell'apparato e momenti in cui la crisi del cinema tirò le condizioni di quella operazione che giustamente è stata definita "di sostituzione rispettosa" è che vide la Rai assumere il ruolo di produttore di film destinati ai tradizionali circuiti delle sale. La Rai riformata eredita quindi una linea già maturo di proposta cinematografica, indipendente dai condizionamenti finanziari e commerciali, e su questa linea lavoro con nuovi prodotti di qualità e con iniziative di richiamo internazionale. Nella funzione di autopromozione il prodotto cinematografico assume connotati diversi. Il cinema d'autore continua ad essere un punto di forza del palinsesto, l'appuntamento privilegiato, ma accanto ad esso la programmazione delle telefilm seriale diventerà la struttura portante dell'intero offerta di fiction inaugurando una politica della qualità anche in un settore considerato tradizionalmente un semplice materiale d'uso. Partita condizione pedagogica e, dopo la riforma della Rai della televisione italiana comincia ad accorgersi di essere una formidabile strumento di intrattenimento. La programmazione di fiction si allontana dalla pretesa di ottenere un risultato esteticamente levato per diventare sempre più una componente strutturale dei palinsesti, tanto nella televisione pubblica che in quella privata.

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6. La rottura dei generi I settori in cui la riforma produsse notevoli cambiamenti strutturali e di contenuto fu quello di programmi culturali e informativi. Come sappiamo era qui che il progetto pedagogico che aveva fondato buona parte della televisione tradizionale aveva trovato il suo terreno più fertile per manifestarsi. Negli anni immediatamente precedenti la ristrutturazione decisa con la legge di riforma, di quel progetto è ancora possibile osservare tracce qualitativamente levate. Con la riforma, il sacrificio di programmi culturali comincia a consumarsi, non solo nel senso della loro progressiva marginali ideazione all'interno dei palinsesti, ma soprattutto in quello della loro spettacolari d'azione e trasformazione dei modelli linguistici. L'enfasi viene posto sulla diretta, nella erronea presunzione di una sua supposta maggiore democraticità. Si inaugura per l'informazione una stagione più agitata, più convulsa, sempre alla ricerca dello scoop, del colpo di scena, della spettacolari d'azione delle notizie. Ritmo e più serrato, il linguaggio più sciolto. Nelle insieme si può dire che è in atto un vistoso processo di modernizzazione che tenta di adeguare il modello dell'informazione radiotelevisiva italiano a quella liberale borghese d'oltre confine. Era comunque una ventata di aria fresca, di velocità e di emozione, che entrava prepotentemente nell'invecchiato rituale di ogni sera. L'obiettivo di rappresentare meglio la società italiana opera una salutare rimescolamento è travaso di ruoli, di stili, di modi espressivi, e di genere, fra rete e testate giornalistiche. Questa rottura dei generi non va vista però come sconfinamento, peraltro abbastanza praticato, su contenuti altrui, ma come scambio e intreccio di esperienza e di formule. Gli italiani si stavano orientando verso noi interesse. Accanto le preoccupazioni per l'include dirsi del terrorismo e alle tensioni derivanti dalla crescita di consensi verso il partito comunista; accanto i timori per l'economia e i pericoli derivanti dalla crisi dello Stato sociale,, gli italiani cominciavano a sentire il profumo dei gli anni '80, colla loro stabilità produttiva, il segno di un benessere ormai diffuso, alla ricerca del piacere sempre più accanita. Il processo di modernizzazione della società italiana era ormai giunto. Da dover sacrificare non pochi dei suoi valori tradizionali. In questa fase di transizione, la Rai sa ancora esprimere, per merito del nuovo gruppo dirigente arrivato con la riforma, il meglio della televisione tradizionale. In molte trasmissioni radiofoniche televisivi della realtà sociale del paese entra con una forza d'urto e di percussione mai registrate in precedenza. La rottura dei generi rende possibile una maggiore agilità produttiva. Tra il 1979 e gli inizi degli anni '80 questa mutazione è visibile in alcuni programmi che, pur non facendo parte di quel universo simbolico sue vittime del quale si misura inevitabilmente importanza storica di qualsiasi programma, recano in sé tutti i segni del nuovo stile con cui la televisione affronterà in seguito i grandi temi sociali. L'alternanza ideologica e di contenuti delle due reti televisive, qui tra pocosi a giungere alla terza, è spesso tuttavia a causa di confusione e di coordinamento. Esaurita questa fase di transizione le reti si troveranno a dover affrontare la concorrenza spietata della televisione commerciale. Entrambe saranno costrette a rinnegare i presupposti "politici" si quale si era basato il loro esordio. La devastante in corsolo spettatore di meno infattilo stimolo per un continuo processo di spettacolari d'azione dei palinsesti sempre più simili, caratterizzate da una progressiva espulsione di programmi di "impegno" dalla prima serata onde poter lasciare posto a trasmissioni di pura evasione. 7. Il nuovo consumo Abbiamo già ricordato che, nella storia televisiva, il macrogeneri dello spettacolo leggero va considerato un luogo importante per l'evoluzione del linguaggio, della sperimentazione, delle soluzioni tecniche ecc. Sono state le esigenze di questo genere a introdurre l'impiego di tutta una serie di artifici, di tutti, fantasy registi che ecc. Gli anni settanta rappresentano la fine di questo stile

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e, tranne lo spettacolo del sabato sera sulla prima rete, al cui decadimento inarrestabile si oppone solo la perdita c'è volontà di tener m'invita, il modello di successo diventa - lussuoso testo rivelante ed occupa fasce di palinsesto tradizionalmente importate da questo genere. Dopo la riforma, l'obiettivo della grave consumo televisivo, ottenute con il potenziamento delle fasce di ascolto, modifiche quindi spazi, ruoli e punti di riferimento nei confronti del pubblico. Sono cose ormai abbastanza note e ampiamente studiate. Ciò che invece è interessante osservare è che su questo terreno si produce una vera rivoluzione della comunicazione televisiva. Se nel vecchio progetto pedagogico le fasce di pubblico erano quanto rigidamente separate, al contrario, nella nuova offerta che tende alla massima azione dell'ascolto concorrenziale, l'obiettivo del genere leggero e quello di accontentare contemporaneamente i gusti e interessi più contrastanti. Questo genere di programma costruisce d'ora in poi la giornata televisiva e rappresenta il tarantino è essenziale per ancorare l'ascolto alle due reti riformate. Gli anni immediatamente successivi maturano i presupposti da cui nasce questo genere nuovo: la riscoperta della diretta, diffusione della radio delle televisioni locali con il loro flusso comunicativo ininterrotto, la trasformazione della produzione radiofonica della Rai in direzione di un rapporto più diretto e discorsivo con il pubblico. Il talk show nasce quindi del flusso comunicativo dei tardi anni settanta come risposta prima d'inquietudine sociale generato dal terrorismo e degli effetti della crisi economica. Dal punto di vista della strategia complessiva della Rai gli genere fa balenare alti indici di ascolto attonito attraverso corsi assai limitati. Indipendentemente dalla volontà dell'apparato riformato, la televisione sta imboccando, per effetto del meccanismo di concorrenza, una strada totalmente estranea al quadro progettuale a intenzioni dei responsabili di rete. Ma, da un certo punto di vista, l'obiettivo della riforma e raggiunto: raccogliere sul video l'Italia così come, non così come si vorrebbe che fosse. Ristorazione di un nuovo ordine del palinsesto obbedisce a questo scopo. Quest'ultimo motor attraverso trasgressioni multiple rispetto all'impostazione rigida e complementare della televisione del monopolio.

13. Nel mercato elettronico 1. Il monopolio spezzato E nuova proposta politica che si ispirava a un compromesso storico tra le grandi forze popolari e che sembra annunciare un profondo rivolgimento delle strutture sociali del paese non ebbe, nella riforma degli anni settanta, con l'esito da molti auspicato. Anche di sistema della comunicazione presentava uno scenario piuttosto critico. Il processo di modernizzazione sembrava essersi arrestato. Una televisione due canali che si accendeva e si spegneva alzandosi dalla poltrona; alcune radio e televisioni semi clandestine, provinciali o velleitario; una stampa confezionata ancora con i sistemi di vent'anni prima, che non riusciva a vendere una coppia include sui giornali; un sistema televisivo arretrato. Ed ecco che in soli 3,4 anni l'intero settore dei media in Italia venne completamente sconvolto, con un profondo rinnovamento della cultura e nelle strategie della comunicazione. La modernizzazione ulteriore della società italiana non sarebbe stato possibile senza la fortissima innovazione tecnologica e culturale intervenuta nel comparto industriale dei media. In quello che possiamo ormai chiamare il suo stadio "maturo", la televisione si è presentata come un sistema di offerta di programmi in via etere rivolta a un pubblico di massa e, tuttavia, rigorosamente rinchiuso nei confini nazionali. Questa televisione, definito "generaliste" ha replicato con la forza dell'immagine e capillare potere di diffusione già esibito dalla radio e si è proposto come terminale di un movimento center il petto che le ha consentito, come abbiamo visto nei precedenti capitoli, di assumere e riprodurre tutte le testualità e dispositivi antecedenti e contigui. Nulla ha resistito: il teatro, la letteratura, la musica, e notizie, lo sport. Fino ad assoggettare al piccolo schermo anche il

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cinema, e cioè la tecnologia che dalla fine della prima guerra mondiale ha gli anni cinquanta ha dominato la "società dello spettacolo". Il successo della televisione ha rappresentato il segno più vistoso del superamento di questa società, metropolitane industriale, a cui la sala buia aveva spalancatolo spazio-tempo dell'immaginario. E su questa base che si sviluppò modello di programmazione che le cinta in spazi dichiarati la pubblicità e predispone a priori un offerta paternalistico a mente volta di equilibrare il macrogeneri dell'informazione, dello spettacolo e dell'educazione. Nulla di strano, quindi, se il broadcasting si organizza con una struttura autosufficiente, che si occupa di tutto il ciclo che dalla produzione porta consumo, evitando deliberatamente scambi e sovrapposizioni con altre fabbriche, a cominciare da quella del cinema. Le novità costringe i servizi pubblici di radiotelevisione a ripensare compiti funzioni. In modi diversi, a seconda delle tradizioni culturali e politiche dei vari paesi, le televisioni pubbliche sono chiamate a riqualificare il broadcasting e alla luce di un sistema che ha di fatto rovesciato il rapporto tra domanda e offerta. Che cosa dalla caratterizzate sistema tradizionale del broadcasting della televisione monopolistica? Innanzitutto la sua separatezza dal circuito economico, con una risorsa pubblicitaria fortemente minoritaria e controllata, gestite con precisi limiti di ordine del geologico e di programmazione. In secondo luogo una forte connotazione educativa, sottratta alla dittatura dell'audience, o meglio, dove l'aumento del consumo era assicurato da un prodotto già venduto prima ancora di essere diffusa. Infine un mercato di tipo protezionistico dove la riserva del broadcasting e allo Stato impedisce la presenza di altri soggetti, si è nazionali che stranieri. Spezzato il monopolio, era necessario armonizzare quanto di esso sopravviveva quella nuova realtà d'impresa che sta emergendo impetuosamente nel comparto dei media elettronici e, in realtà, alcuni tentativi in tal senso vennero fatti. Nel periodo monopolistico l'ala della televisione si rivolgevano a un pubblico omogeneo, con i quali rapporto era stato di generale affezione e di continua crescita qualitativa e quantitativa. Conla nascita di nuovi soggetti, che in breve tempo si organizzano e assumono precise identità, si scopre checi sono tanti pubblici che hanno caratteristiche, gusti e interessi sempre più frammentati. La scolorita di massa e il benessere economico li ha inoltre resi anche più attenti ed esigenti. Una domanda culturale così diversificate cresciuta non avrebbe mai potuto trovare un nella televisione monopolistica il proprio soddisfacimento. Poco a poco cominciava a diffondersi in Italia una opinione, anche autorevolmente sostenuto, che subito pubblico non era più in grado di corrispondere a una situazione così profondamente mutata, e che le nuove opportunità offerte da un sistema di libera concorrenza dono essere sfruttate si è in fondo proprio per favorire la libertà e pluralismo. Cominciava una lotta combattuta senza esclusione di colpi tra la radiotelevisione pubblica è il gruppo privato che era riuscito grazie al Silvio Berlusconi, a conquistare una posizione di assoluto predominio nel mercato dei media. 2. Assalto alla diligenza Nell'autunno del 1980 le emittenti locali, benché continuassero organizzare convegni in ogni angolo del paese, mostravano i segni di un cedimento inarrestabile verso i grandi network. Oltre a Canale 5 anche Antennanord aveva ampliato il raggio di diffusione nella pianura padana. I network attaccavano adesso direttamente la Rai sul piano di programmi: Berlusconi ottiene grandi successi con i film della Titanus, con Dal lasso, e con le 30 puntate dei "I sogni nei cassetti", condotto da mike buongiorno passato alla concorrenza. Un importante punto a suo favore segni invece Silvio Berlusconi quando esce vincente, anche se in base a un accordo di compromesso con la Rai, dalla vicenda del Mundialito. Il primo, clamoroso episodio di una concorrenza ormai evidente tra reti pubbliche e private scopre nel mese di dicembre a proposito di un torneo di calcio tra squadre nazionali. Berlusconi era riuscito a strappare i diritti per le trasmissioni in Italia delle partite, dopo che l'Eurovisione non aveva raggiunto l'accordo con

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gli organizzatori. Ma la Rai che rifiutò a rete Italia la concessione del satellite. Medesimo rifiuto anche da parte del ministero delle poste. Dopo febbrili trattative venne trovato un accordo. Dal punto di vista delle opportunità Berlusconi ebbe il merito di capire che motore pubblicitario era il vero centro propulsiva della televisione privata; dal punto di vista dello scenario esterno non gli restava che approfittare abilmente sia della mancanza di regole del mercato, sia dell'accesso di regole che imprigionava la Rai. 3. E il sistema "misto" L'inizio degli anni '80, per la Rai riformata, e invece un periodo segnato da una profonda crisi, dovuto alla mancanza di una direzione si piace, alla paralisi del Consiglio dei Ministri azione, con un presidente già molto malato, alla politici dell'azione estrema di tutte le nomine all'interno del servizio pubblico, all'aumento dei costi di gestione, alla debolezza di una chiara linea strategica. Da molte parti si sente la necessità di rilanciarne la sua dimensione d'impresa. Da questo momento si assiste a uno preoccupante ripiegamento del servizio pubblico che, presi in contropiede, subisce l'offensiva di una strategia all'americana, la quale non è ancora preparato rispondere, esso porta il peso di un condizionamento politico che sempre più sembra tradire l'ispirazione di fondo della riforma. 4. Tra uccelli di rogo e venti di guerra Il processo di ampliamento del sistema di network che sembrava inarrestabile. Il 1982 si apre con alcune novità di rilievo: a far concorrenza alla Rai e non c'è più soltanto Canale 5 marzo due reti private, Italia 1 e Retequattro. E questi momenti in cui sistema industriale della televisione italiana comincia a manifestare quei caratteri che determineranno il grande successo d'impresa, ma anche l'assoluta anomalia giuridica. D'ora in poi, per tutto il decennio e oltre, l'intreccio fra media elettronici, pubblicità, editoria e stampa, finanze politica manifesta un groviglio di interessi sempre meno chiaro che, ragione, ha fatto parlare di capitalismo selvaggio. Ben presto il mercato dimostra di non avere dimensioni abbastanza ampie per alimentare tante reti commerciali nazionali in competizione: l'efficienza della raccolta pubblicitaria diventa così uno dei fattori determinanti di sopravvivenza. Berlusconi, attraverso Publitalia, era l'unico disporre di uno strumento di acquisizione delle risorse e sperimentato ed efficace. La sua vittoria era già scritta nelle cose prima ancora che nascessero gli altri network; e, in un mercato senza regole, non poteva venire diversamente. Il primo a cedere a, non a caso fu Rusconi (Italia 1): vende infatti la sua rete alla Fininvest. L'avventura di Retequattro avrà una durata maggiore, ma un'identica sorte. La disfatta televisiva di tre grandi gruppi editoriali, Rizzoli, Rusconi, Mondadori, si era quindi definitivamente consumata. Varie e complesse le ragioni. Schematizzato si può dire innanzitutto che i tre gruppi erano relativamente debole dal punto di vista economico per far fronte all'alto livello di investimenti della televisione richiedeva. Le loro strutture, più pesanti, meno razionalizzare e, fragili, s'erano difficili da gestire. I loro network furono sempre poco aggressivi sia nei confronti della Rai che degli altri concorrenti privati. Inoltre avevano cercato, in omaggio loro immagine di antiche imprese culturali, di restare più possibile nell'ambito della legalità, desiderando sinceramente e persino auspicando la definizione di un quadro normativo di certezze garantissero una competizione alla pari, quanto il loro principale concorrente tendeva invece a mantenere inalterata la situazione di fatto. In cinque anni Berlusconi aveva costruito un sistema industriale della televisione da far invidia tutto il mondo. 5. La "fortezza Bastiani"

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Nel mercato dell'informazione si stava formando un grande. Mercato finanziario e industriale che pareva grandi vantaggi non solo per l'opportunità offerte da un mercato pubblicitario in forte espansione, ma anche per il disegno strategico che consentiva diversificazione e integrazione produttiva e commerciale. A pochi si accorsero che, oltre al pluralismo culturale, occorreva salvaguardare anche quelle pluralismo economico sul quale poter misurare un governo equilibrato del sistema. Ma con la resistibile scesa del Cavaliere Berlusconi questo pluralismo subiva una sconfitta molto grave. Essa dimostrava che di indubbia abilità nel condurre proprio gioco imprenditoriale non poteva essere l'unico criterio per definire la vitalità di un sistema industriale, e che la stessa nozione di mercato, in assenza di queste si regola, stendeva a perdere molte delle sue caratteristiche primarie. L'offerta notava sul prodotto cinematografico seriale, su personaggi vecchi, su pochissime idee innovative. Tutta la televisione italiana era come bloccata su se stessa, prima di iniziative fantasiose, di voglia di rischiare, di coraggio anticipazione. S'è tuttavia la logica prima artistica sommata l'essenza di regolamento azione, mentre avevano creato regole di mercato generali molto vantaggiose per chi, come Berlusconi, aveva saputo approfittarne, non aveva certo eliminato quella normativa, ormai vecchia di dieci anni, alla quale il servizio pubblico dopo continuare ad obbedire. La crisi del servizio pubblico era innanzitutto di carattere finanziario. La stagnazione dei proventi, derivanti dalla "tetto" pubblicitario e da un canone non rivalutato, in un periodo di inflazione molto elevata, e con l'aumento vertiginoso dei costi per acquisti e produzione, aveva la prima volta in dieci anni causato un deficit e nel bilancio. Alle dannose ripercussioni sul conto economico determinato dalla concorrenza si aggiungeva la campagna contro il pagamento del canone organizzato dal partito radicale. Inoltre, nel espansione dell'investimento pubblicitario complessivo la televisione, pubblica e privata, rastrellava la quota del 49%, di cui solo i 14% era appannaggio della Rai. Strettamente dipendente dalla competizione pubblicitaria quella dell'ascolto. A partire dal 1981 il numero totale di telespettatori era andato anche se aumentando. Ma i contendenti si gettarono in un vero e proprio scontro sull'audience a colpi di annunci e con pronunce sul risultato dell'ascolto. Una realtà non governato continuò a provocare distorsioni dannose per la Rai che per il sistema globale dell'informazione italiana. E questi momenti in cui si assiste ai fenomeni di abbassamento del livello qualitativo dei programmi, di limitazione abnorme dei costi, di ricorso smisuratola produzione straniera, di ripercussioni negative su altri strumenti di comunicazione, dalla stampa quotidiana e periodica al cinema, al teatro, alle stesse emittenti locali minori. 6. Mercato e i palinsesti In questi tre decenni di consumo televisivo talmente cresciuto da coprire vasti spazi della giornata. Negli anni cinquanta la sua limitatezza produce un'attenzione se concentrata dello spettatore: di semplice fatto di accendere televisore per un evento. Ma, col passare del tempo, più cresceva la sua abbondanza dei segnali audiovisivi, divenuta addirittura straripa antico le televisioni private, che si dilatavano i tempi delle frizioni televisive, divenuta come quella della radio, flusso ininterrotto, rumore di fondo. Lo sguardo del telespettatore e come lo sguardo distratto del guidatore d'autostrada, che attraversa senza emozioni scenari sempre nuovi e diversi. A una televisione ed agonizzante, tutta in gradinata nel palinsesto, supremo regolatore di un'offerta concepita per promuovere la qualità del consumo, era andato poco per volta sostituendosi un vorticoso momento di margini apparentemente casuale ma in realtà regolate da un preciso ordine marketing oriented. La pratica della televisione, dispersa in un enorme quantità di canali, ha finito per abbandonare quelle che erano alcune delle peculiarità che avevano caratterizzato, al suo nascere, in mezzo di comunicazione emergente nell'ambito della cultura di massa. La proliferazione delle emittenti, con il suo flusso omogeneo e indifferente di messaggi di informazioni, aveva modificato l'elemento primario della sua capacità comunicativa: il genere. E i palinsesti della televisione tradizionale della

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Rai della segmentazione dell'offerta era tutta fidata, come abbiamo ampiamente osservato nei capitoli precedenti, alla mediazione dei differenti generi televisivi. I criteri ispiratori della classificazione per generi erano abbastanza semplici: creare gruppi di programmi di più possibile omogenei a loro interno e più possibile differenziati dagli altri gruppi; far corrispondere alla tipologia dei programmi utilizzata dall'emittenza con quello utilizzato dal pubblico; mettere esatto le diverse strutture produttive e promuovendo sempre più una politica di "marchi". I palinsesto della televisione tradizionale aveva abituati pubblico al concetto di "appuntamento", cioè a una tipologia di collocazione nella qualelo spettatore riconoscere sul genere preferito adeguando il suo comportamento di ascolto. Tutto questo non esiste più nel momento in cui la televisione commerciale comincia a imporla sua leadership. Perdente nella costruzione di singoli programmi essa diventa vincente nella pianificazione dell'offerta. Il suo talento non è quello di sapere produrre buoni programmi, come ce l'abituato la televisione pubblica, bensì di produrre quote sempre più ampie di pubblico da rendere al mercato dei gli investitori pubblicitari. 7. La neotelevisione La formazione la moltiplicazione di pubblici differenziati, che le nuove scritture di palinsesti da un lato frammentano, ma dall'altro contribuiscono ad alimentare, stanno portando, nella società italiana, a una revisione radicale della "pubblico di massa". E lo stesso concetto di rete televisiva come organismo centrale che tende a modificarsi, secondo le linee le cui origini risalgono alla fine degli anni sessanta. Le diverse funzioni si separano;la produzione esterna cresce e crescono le coproduzioni e gli acquisti; è sempre più si intravedono i nuovi sistemi americani che terminerà hanno degli anni '90, la televisione via cavo, i satelliti, la televisione pagamento, dove la rete si riduce al legame provvisorio delle singole stazioni con un'organizzazione di distribuzione specializzata personalizzata. A spettatore si scuote dall'inerzia e, dal terminale passivo della programmazione, comincia a diventare l'artefice dei propri palinsesti. Se il contesto necessario quello di un'offerta molti rete, la condizione tecnologica e invece esauditola da uno strumento che consente di saltare da un canale all'altro e di scandire secondo ritiene assolutamente personale di percorsi del consumo. Nessuno poteva, nessuna garanzia per i produttori, alloggiati in attraverso il telecomando agire qualunque progetto di rete e, soprattutto, è il primo indizio di un'incrinatura del sistema, articolato quanto si vuole ma tuttora monolitico, del broadcasting televisivo. Si rompe una dittatura e viene sconvolto un rapporto unidirezionale. I primi segni di una profonda trasformazione della natura della comunicazione televisiva si erano avuti in anni lontani, ancora una volta, nel sistema americano dei media. La neo televisione ha modificato radicalmente il senso di un comparto ormai primario dell'industria culturale, ridisegnando completamente il rapporto di coinvolgimento dello spettatore, innovando i linguaggi, riqualificando i generi, e persino stabilendo nuove forme di contatto con la politica. La neo televisione determina un sostanziale ridimensionamento di questa funzione anche perché, contemporaneamente, si assiste allo sviluppo di altre fonti di approvvigionamento culturale del pubblico, soprattutto al campo editoriale e musicale. Da questo ruolo, mio parere, nascono i caratteri distintivi della televisione: la serialità ripetitiva, al conversatività a fabula tori, la proposta trasgressiva (che arriva fino al porno), l'esercizio demenziale dei nuovi comici; cioè, pensarci bene, caratteri che sono tipici della fa l'autore della modernità, e che si riscontrano nelle arti figurative, nella moda, in un certo nuovo teatro, in moltissimo nuovo cinema. 9. Sul significato di "popolare"

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Nel 1986, in uno dei momenti più acuti della crisi libica, Enzo Biaggi era appena tornato da Tripoli con un'intervista a di darsi per la rubrica spot. Era uno scoop straordinario ma Biagio Agnes mediatore messi in onda per timore di tensioni e reazioni emotive (era appena caduto missile su Lampedusa). Si può interpretare questo fenomeno come l'ultimo tentativo di conservare la supremazia di un ruolo pedagogico in quel ultimo lembo di monopolio che, tra l'altro, entro pochi anni sarebbe stato definitivamente cancellato. Ma, con più realismo, sono persuaso che la profonda e tumultuoso trasformazione in atto nel sistema di media abbia determinato una radicale ribaltamento anche nel giornalismo televisivo. Dopo terremoto del 23 novembre del 1980 la radio è la televisione hanno scritto una pagina straordinaria di giornalismo popolare. Vorrei precisare che uso quest'espressione nel senso migliore del termine, e non nell'accezione di "sottoprodotto", ma bensì i "vicino alle attese del popolo" un tutto il giornalismo popolare, da questo punto di vista, in Italia lo ha fatto la televisione, occupando uno spazio di mercato nel quale, non a caso, la carta stampata e non è mai riuscita ad avere una posizione dominante. Il giornalismo popolare, più che dagli scavi telegiornali, è stato fatto da tutte le trasmissioni che, fin dall'esordio della televisione, hanno mostrato la realtà, sostituendosi ad essa con la forza delle immagini che vivono sempre di vita proprio. 10. Televisione spazzatura o televisione intelligente? Le migliori esperienze di televisione "informativa" indicano tuttavia, paradossalmente, che la supposta centralità dell'informazione va perdendo terreno, almeno nelle aspettative del pubblico se non è nelle decisioni e nei regolamenti dell'apparato Pooh a sempre più il giornalismo televisivo e contatto con la gente, o non è; sempre più e rappresentazione di un evento, oppure non è; di fatto, il potere della comunicazione consiste nella costruzione simbolica della realtà, funzione che nella produzione culturale di massa, corrispondente alla nuova fase storica della modernizzazione italiana, viene assolto dalla serialità, da rotocalco popolare, dei programmi a contenitore e dall'intrattenimento. Non è la pura e semplice tipologia di questi generi che determina una televisione spazzatura rispetto a una televisione intelligente, ma è il più o meno alto livello di consapevolezza, di trasgressione, di creatività e di fantasia che trasforma questi generi in e modelli di modernità o in e reperti del passato. Lo si voglia o no, alla nuova frontiera della televisione ha spostato molto in avanti questa linea di demarcazione Poohlo lo dimostra, tra l'altro, la crescita qualitativa dell'intrattenimento che negli anni '80, soprattutto versola fine, appare il macrogeneri in cui si identifica quasi tuttala pratica del mestiere televisivo. Nel panorama complessivamente desolante del varietà televisivo di primi anni '80 il varietà televisivo immaginato da Antonio ricci aveva la misura dell'eternità, come i fumetti e le storie senza tempo. L'esperimento "Drive in" nasceva da un contesto solo apparentemente privo di tradizione della televisione commerciale; era stato preparato da un tirocinio lungo, anche se non qualitativamente elevato, dello spettacolo leggero televisivo che, a cavallo fra due decenni aveva moltiplicato spazi, ruoli e punti di riferimento nell'ambito del pubblico. Il varietà televisivo, per la Rai, nel decennio '80 era iniziato con buon programma, quella "Te la do io l'America" del 1981 con Beppe grillo, un viaggio alla scoperta di un'America così diversa che assomigli addirittura all'Italia; in ogni caso un tentativo di realizzare uno show meno convenzionale dei soliti. Programmi di buon livello ma che non potevano competere con drive in e, in ogni caso, concepiti e programmati ancora nella logica dell'appuntamento, entro palinsesti non rinnovati. La televisione degli anni '80 giocava su un palinsesto flessibile dove il criterio della riconoscibilità del genere si affidava a coordinate meno tradizionali per identificare il prodotto. La novità intervenuta, sulla seconda rete della Rai, nell'aprile del 1985 con la serie "Quelli della notte" di Renzo arbore era dato dalla collocazione quotidiana, parallela alla programmazione di "Linea diretta" su Raiuno.

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Finalmente la Rai, nella fase acuta della sua battaglia con la Fininvest, aveva imparato a programmare attraverso tecniche utilizzate a tutto campo. Nella successiva trasmissione, "Indietro tutta", programmato due anni dopo la medesima fascia e col medesimo obiettivo, Renzo arbore opera definitivamente la distruzione del genere più corrivo, il contenitore con uso di quiz che infesta le reti pubbliche ma soprattutto quelle private. L'operazione, in negativo, mostra tutti sui limiti: è un'arma momentaneamente formidabile nella battaglia con la concorrenza ma non è possibile usarla una seconda volta. È un evento e, come tutti gli eventi, e più appetibile. Da quel momento la Rai sarà costretta a mettere in campo una dose continua sempre più giornata di creatività per non arretrare di un solo. Nell'audience. 11. Verso una nuova legge Sul fronte della Rai tutto sembrava compromesso dopo il passaggio dei divi più noti (Baudo, Carrà, buon accorti) alla concorrenza. La Rai aveva giuste preoccupazioni nel vedere e Berlusconi annunciare su Canale 5 il grande show del venerdì sera condotto da Baudo, e le due star, è una ricca e a Raffaella, piazzate sui programmi della fascia serale. In quel momento alla Rai non restano che le dirette, il telegiornale, Enzo Biaggi e arbore. Non è certo poco. 12. "Di tutto di più" Negli anni 1987-88 l'azienda stava raccogliendo i frutti di una dura battaglia iniziata tre anni prima da Zavoli e da Agnes e che Manca aveva rilanciato con la maggior forza politica era stata la premessa della sua elezione. La ragione della ripresa non tutte le molteplici. In primo luogo il coordinamento fra le reti aveva nazionalizzato l'utilizzazione delle risorse finanziarie. Un altro fattore di rafforzamento della Rai, soprattutto nella sua immagine fu costituito dai nuovi metodi di misurazione dell'audience. L'Auditel avere introdotto elementi di maggiore affidabilità per tutti, garantita certezza a gli investitori, rassicurati pubblico. Dal 1988 la Rai aveva ulteriormente steso l'arco quotidiano delle sue trasmissioni che, in particolare, l'offerta "mente" di programmi. Nella prima metà degli anni '80 il modo l'imposta la televisione commerciale si era rivelato indubbiamente vincente, sia nella strategia di formazione del palinsesto, sia nella politica e nella programmazione della fiction, sia nelle tecniche di coinvolgimento del pubblico. Ma con la televisione aveva anche prodotto un livellamento verso il basso di tutto l'offerta televisiva. Soprattutto la televisione commerciale aveva fortemente ridotto il valore simbolico di programmi. Nonostante la rincorsa sui livelli della banalità e della pura evasione aveva penalizzati ruolo della Rai, è tuttavia possibile rintracciare nel corso degli anni '80 una programmazione di qualità, spesso addirittura di qualità culturale. Informazione scientifica prodotta da Piero Angela con la lunga serie di quark s'innestava nel filone tradizionale della televisione pedagogica ma riuscendo a instaurare con i suoi spettatori un patto di complicità molto più forte. C'erano al tempo anche tanti altri esempi del genere. Certo, molte di queste proposte sarebbero mai ripetibili nella televisione degli anni '90, e giallo erano dopo la rivelazione della "follia irriverente" di Renzo arbore. Il pubblico è cambiato, e più colto, più informato, possiede discoteche e libri, ma al cinema e al teatro, ascolta la radio, forse ha imparato anche a conversare. Alla televisione chiede di essere televisione e nient'altro. Dal 1987 Raitre gioca la sua scommessa sulla diversità affermando, appunto, la specificità della televisione. Nelle cronache di questi anni di programmi di Raitre sono sufficientemente noti e soprattutto sono ancora immersi in una qualità che sarebbe prematuro storicizzare. Poi programmi fanno parte di un'esperienza aperta, non conclusa, che possiede fermenti di idee non ancora realizzate, curiosità inespresse, tentativi appena immaginati.

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Che alla fine degli anni '80 la questione legata alla ricerca di un modo nuovo di fare televisione fosse un primo piano è ormai un fatto acquisito. Abbiamo già visto quanto programmi tipo drive in fossero stati all'avanguardia di un uso meno sacrale del fare televisione. Eva francamente ammesso che, nel 1986, su Italia 1, "striscia la notizia" un effervescente parole del telegiornale creata da Antonio ricci, rappresenta nel panorama televisivo di quel momento un'imbarcazione di straordinaria qualità. Ma è Raitre che funge da grande motore dell'innovazione, che rivela personaggi come Chiambretti di, che progetta "Schegge", "La tivù delle ragazze" "blob" e, in seguito, "Avanzi". La penultima detta soprattutto, realizza la sintesi di tutte le esperienze televisive possibili. 13. Quella parte di televisione chiamata cinema Il genere della produzione artistica e industriale che più a caratterizzato gli schermi della neo televisione è stato il cinema. Fino ad un certo momento della loro storia tra questi due mezzi di comunicazione è esistita una differenza chiara e distinte: da una parte il grande schermo, con i suoi tempi di produzione e di distribuzione, i suoi tempi di consumo, le sue mitologie; dall'altro televisore domestico in bianco e nero colla sua iniziale, discreta invadenza nella famiglia, nella sua presenza nello spazio della casa. Ma non c'è dubbio che nell'esercizio della sua funzione narrativa la televisione ha giocato la partita vincente. Gli anni '80 sono i periodi in cui l'esito di questa partita è apparso finalmente chiaro. L'integrazione tra cinema e televisione si è realizzata sul terreno di quest'ultima, nei palinsesti nelle strategie di selezione dell'audience, prima ancora che nelle strategie produttive e negli interventi legislativi. I film non è più un'opera accanto ad altre opere, come teatro, lo sceneggiato, la lirica, il concerto. I film entra nella dimensione televisiva ed è obbligato a rispettare le regole del sistema centrale narrativo che sta alla base della supremazia della televisione rispetto qualsiasi mezzo di comunicazione di massa. A nell'ultimo decennio il dibattito teorico sui rapporti-televisione si è spesso interrogato sulla trasformazione che i due sistemi produttivi stavano subendo chiedendosi anche se, per caso, queste non fossero ormai così radicali da generare una profonda alterazione delle caratteristiche stesse dei due sistemi. La risposta l'aveva data Williams negli anni settanta ricordando una cosa apparentemente banale ma che mancava una differenza di sostanza, ineliminabile tra vaghi e televisione da una parte e tutti gli altri media dall'altra, e cioè la diffusione di Stato in tempo reale di un flusso, nel primo caso, e la riproduzione di opere, nel secondo caso. Fatalmente la televisione era destinata a diventare di più grande mezzo di diffusione del cinema, così come la radio era diventato il più grande mezzo di diffusione della musica. E così come non risulta che la radio abbia ammazzato la musica, è sempre più difficile sostenere che la televisione abbia compromesso la capacità produttiva del cinema. L'attore degli anni '80 dimostra il contrario che la televisione è stato il più formidabile agente di costruzione dell'universo cinematografico, sia dal punto di vista della produzione che della distribuzione che del consumo. Anzi la televisione ha svolto un ruolo insostituibile di accompagnamento e di aiuto alla comprensione del film. Non basta far vedere un film, occorre valorizzarlo, creare un'aspettativa, stabilire una sezione. La programmazione casuale degli anni dell'esordio o quella caotica delle prime fasi della televisione locali tutto sommato non ha danneggiato il cinema: ha generato una consuetudine che ha fatto bene il cinema to 8 e se, d'altro canto, gli spettatori paganti sono andati sempre più diminuendo rispetto al cinema di sala, la colpa non è stata solo della televisione che si era posta in concorrenza con l'offerta, ma degli esercenti che non hanno saputo rinnovare il modo di proporre il cinema, di via moderna nelle sale, di offrire prodotti di alta visibilità. Con il passaggio d'ordine di monopolio a un regime di pluralità di reti la competizione si è svolta proprio sul terreno della proposta cinematografica che è diventata l'ossatura della programmazione televisiva, nonostante i costi sempre crescenti e i condizionamenti sempre più forti degli studios americani ed europei, che molti casi drogavano il mercato.

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14. La risorsa tecnologica Da protagonista a comprimario. Con lo sviluppo e la diffusione delle "nuove tecnologie" elettroniche, dalla televisione si chiude una frase e se ne apre un'altra destinata a ridefinire equilibri e gerarchia del sistema di medie. Non si può leggere l'ormai decennale impegno sperimentale di un servizio pubblico come la Rai senza contestuali Zanone processo più ampio che negli anni '80 comincia a trasformare radicalmente il rapporto triangolare fra tecnologie, comunicazione e società e, quindi, a ridefinire, il ruolo dei servizi pubblici radiotelevisive. L'elettronica non tollera compromessi. Rappresenta un punto di non-ritorno, per quantità e qualità, da qui nasce una nuova mappa del sistema della comunicazione che, solo per comodità concettuale, d'escludiamo con le tradizionali partizione del ciclo classico. Sul versante del consumo e passaggio decisivo e quello dall'"televisore" all'"vivi". Finisce, cioè, la monarchia di programmi e dei palinsesti etero-diretti, e il vecchio prete diventa il terminale di una rete multimedia: videoregistratore, computer, pay-tv, satellite. Davanti adesso non c'è più uno spettatore, ma un utente, collegato con un sistema di opportunità tecnologiche che modo loro, e diversificano, una soluzione sempre più integrata.

14. Restate in ascolto Questo capitolo dedicato alla radio, su linguaggio, alla sua pubblicità, agli ascolti, alle vicende politiche e ecc.

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