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Gestione Aziendale II 1

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L’IMPRESA, L’AMBIENTEE

IL MERCATO

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Impresa e azienda sono termini da noi usati come sinonimi. I giuristi invece li considerano diversi. Per il codice civile (art. 2555) l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. L’impresa è l’attività economica organizzata al fine della produzione e dello scambio di beni o servizi. Requisiti comuni delle imprese:

1. Organizzazione specializzata, coordinata e finalizzata 2. Processo di trasformazione o produzione. In senso economico cioè attività rivolta

ad accrescere l’utilità dei beni trasformandone la natura fisico-chimica (produzione diretta) o trasferendoli nel tempo e nello spazio (produzione indiretta).

3. Relazioni di scambio con entità esterne 4. Contenuto economico dell’attività. Obiettivo profitto. Ricavi superiori ai costi. Non

basta insomma avere una struttura organizzativa. Non sono impresa un partito politico, un’associazione culturale,un sindacato, una Chiesa

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l’impresa

Organizzazione economica (di persone e di beni) che, mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse (uomini, impianti, materiali, ecc), svolge processi di acquisizione e di produzione di beni e servizi da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito.Attraverso la trasformazione delle risorse impiegate crea ricchezza, “valore aggiunto”.

Produzione diretta: trasformazione fisico-chimicaProduzione indiretta: trasferimento nel tempo e nello spazio

I processi manageriali governano l’impresa e mirano al conseguimento dell’efficacia (raggiungimento degli obiettivi) e dell’efficienza (impiego ottimale delle risorse) nella realizzazione delle strategie di sviluppo e della gestione operativa,che deve essere sorretta da un’adeguata organizzazione.

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il sistema “impresa”

L’impresa è un SISTEMA composito che opera in stretta simbiosi con l’ambiente esterno

Relazioni di scambio di tipo Input/Output

E’ un sistema aperto di tipo socio-tecnico, cioè un sistema sociale all’interno del quale operano risorse umane e tecniche.

Concetto cooperativo-conflittuale dell’organizzazione aziendale: coinvolge gruppi interni ed esterni tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione-contrasto

impresa

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Parliamo prevalentemente di imprese industriali: produzione di beni e servizi. Il concetto di impresa si identifica in un sistema socio-tecnico di tipo aperto che opera in stretta simbiosi con un contesto esterno, comune a tutte le imprese dello stesso tipo (micro-ambiente) e a tutte le imprese in generale (macro-ambiente). Interdipendenza e interrelazione. Il rapporto impresa-ambiente è al centro delle strategie di sviluppo disegnate dal soggetto imprenditoriale. Concetto di interazione. Essendo l’ambiente esterno una realtà in continuo cambiamento, l’impresa deve essere “dinamica”. Secondo la classificazione proposta dal Boulding, l’impresa è catalogabile come sistema sociale di tipo aperto. Perché sistema: insieme di parti ed organi, ciascuno con funzioni diverse, con lo scopo di raggiungere un risultato comune. Serve coordinazione dell’attività nel suo complesso. Da scartare l’accostamento con il parallelo meccanico caratterizzato da automatismi di funzionamento non operante in stretta simbiosi con sistemi esterni, oltre al parallelo biologico che prevede l’estinzione del proprio ciclo con l’estinzione dell’individuo, mentre l’azienda, a differenza degli esseri viventi, è destinata a perdurare e a perpetuarsi al di là della vita del suo fondatore. Perché aperto: per vivere deve intrattenere continue relazioni di scambio con altri sistemi o entità esterne Perché sociale: il funzionamento dell’azienda è legato all’operare coordinato di una molteplicità di gruppi interni ed esterni all’organizzazione, tra i quali si sviluppano rapporti di collaborazione-contrasto (concetto cooperativo-conflittuale)

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1. Sistema politico-istituzionale Forma di governo e orientamento legislativo. La regolamentazione pubblica determina la cornice entro cui potranno prendere corpo le strategie aziendali. Forti vincoli e opportunità. Condizionamenti diretti oppure influenze indirette derivanti dal rapporto fra sistema politico e sistema economico (regimi liberisti – regimi socialisti, sempre più controllati dall’autorità pubblica).

2. Sistema culturale-tecnologico Tutti gli elementi che concorrono ad influenzare il sistema di valori ed i comportamenti del singolo individuo e della società nel suo complesso (tradizioni, costumi, arte, tecnologia, ecc.). Incide anche sull’avanzamento delle conoscenze e sul migliore uso delle risorse disponibili. La tecnologia influenza soprattutto l’impiego delle risorse, mentre la cultura si riflette anche sul loro consumo sotto forma di beni e servizi prodotti.

3. Sistema demografico-sociale Struttura della popolazione residente (classi di età, livello socio-economico, condizioni professionali, ecc.) e relazione fra gli individui e i gruppi che la compongono. Per l’aspetto demografico, pensiamo alle tendenze di profondo mutamento della struttura della popolazione: minor tasso di natalità – allungamento della vita media (invecchiamento della popolazione) – immigrazione massiccia – scolarizzazione. Per l’aspetto sociale, strettamente dipendente dal contesto politico e culturale, incide la collocazione nella classe sociale che ciascun individuo ritiene consona alla propria cultura, professione, ai propri interessi e aspirazioni, e la tendenza, all’interno di essa, a muoversi verso posizioni via via superiori. Le posizioni relative di partenza possono condizionare l‘ingresso in certe classi per l’impossibilità di acquisire particolari requisiti e risorse. I singoli insomma hanno dei modelli di riferimento su cui incide non solo l’aspetto psicologico ma anche quello sociologico: l’emulazione di leaders riconosciuti dal gruppo, le abitudini e le motivazioni d’acquisto, i comportamenti possono rappresentare opportunità o minacce per l’impresa.

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l’ambiente economico-sociale

L’ambiente è il contesto generale all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere le sue funzioni (sistema di vincoli-opportunità)

4 sub-sistemi:

1. Sistema politico-istituzionale2. Sistema culturale-tecnologico3. Sistema demografico –sociale4. Sistema economico

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4. Sistema economico L’impresa è vista nella sfera dei rapporti con l’aggregato politico-sociale, inteso come il sistema generale dell’economia che regola la vita di una certa collettività in un certo ambito territoriale. Si può parlare di

1. economia di mercato (decisioni decentrate, leggi di mercato) dove prevale il principio della libera iniziativa e della proprietà privata dei mezzi di produzione (economie liberiste). Ampia discrezionalità di comportamento per le imprese, compatibilmente con i vincoli generali della regolamentazione pubblica.

2. economia di piano o collettivista (decisioni centralizzate attraverso i piani governativi nazionali) con i mezzi di produzione prevalentemente di proprietà della collettività. L’impresa è un organo dello stato con limitati poteri decisionali per quanto attiene alle strategie da perseguire. Nei regimi collettivisti ortodossi lo Stato è l’imprenditore.

Questa contrapposizione è ormai superata (crollo dei regimi del blocco orientale e rapido disgregarsi delle loro economie). Crisi definitiva delle economie basate sul marxismo ma anche crisi del capitalismo, alla ricerca di modelli di funzionamento economicamente più efficaci e socialmente più giusti. Oggi è diffusa l’esigenza di controllare l’economia, sostituendo a forma di sviluppo spontaneo, forme di sviluppo in una certa misura programmate (economie “di intervento” o economie “miste”). Le crisi economiche spingono lo Stato a interventi di salvataggio a difesa dell’occupazione. Ora è il momento delle” riprivatizzazioni” di attività non considerate strategiche o della cessione di quote di minoranza di aziende con gestioni redditizie, approfittando dello sviluppo del mercato mobiliare. Ciò è vero anche per i servizi pubblici fondamentali (trasporti, poste, energia, ecc.), al fine di accrescere il livello di efficienza dei servizi, di produttività e di competitività.

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L’IMPRESA, a seconda dell’attività svolta, dell’area geografica di operatività, della dimensione, della cultura prevalente degli organi di governo, tende a ritagliarsi nell’ambito del MACRO-AMBIENTE, descritto in precedenza, un ambiente più specifico in funzione dei rapporti di scambio che andrà ad attivare. Questi riguarderanno sia l’acquisizione di risorse sia la cessione dei beni e formeranno due MICRO-AMBIENTI: l’ambiente transazionale e l’ambiente competitivo. Ambiente transazionale: l’impresa ricorre al mercato per approvvigionarsi delle risorse attraverso “transazioni”. Make or buy. Le scelte condizioneranno la dimensione dell’organizzazione e l’autonomia dal mercato delle forniture. I confini dell’organizzazione definiranno l’ambiente transazionale. Ambiente competitivo: la scelta delle porzioni di mercato da soddisfare (segmenti e nicchie), frutto delle decisioni strategiche, definirà l’ambiente competitivo di riferimento. In questo micro-ambiente vi saranno gli interlocutori (stakeholders) con cui collegarsi per attingere delle risorse o cedere dei prodotti:

• Mercato del lavoro • Mercato della produzione • Mercato finanziario • Mercato di vendita

Commento della figura L’impresa è al centro di un micro-ambiente (transazionale e competitivo), a sua volta inserito in un macro-ambiente o ambiente generale. Si genera un sistema di interrelazioni composto da rapporti tra macro-variabili e micro-variabili e, successivamente, tra queste ultime e le caratteristiche di struttura e di gestione dell’impresa. Influenze reciproche tra le tre dimensioni (impresa, micro e macro-ambiente). Anche l’impresa infatti può influenzare l’ambiente in cui vive. I gruppi e le grandi imprese detengono di fatto un rilevante potere politico, culturale, tecnologico (potere extramercato). I maggiori gruppi industriali, mediante la politica delle alleanze interaziendali, perseguono la creazione di oligopoli internazionali sono capaci di influenzare significativamente il contesto esterno in cui operano.

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IMPRESECONCORRENTI

AMBIENTECOMPETITIVO

IMPRESA

SISTEMA ECONOMICO

CLIENTI SERVITI

AMBIENTETRANSAZIONALEMERCATO

DEL LAVORO

MERCATOFINANZIARIO

MERCATI DIPRODUZIONE

SIS

TE

MA

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CIO

-D

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SIS

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SISTEMA POLITICO - ISTITUZIONALE

l’impresa e il mercato

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E’ possibile e utile scorporare dall’ambiente transazionale quello competitivo. L’impresa non può scegliersi il macro-ambiente, ma può scegliere quello transazionale e competitivo in cui operare.

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Schema di J.A. Seiler Sempre nella logica del quadro “sistemico” di impresa, occorre osservare che essa deve dotarsi di un meccanismo di “feed – back” o autoregolazione che genera i seguenti processi:

a) si prefissano gli obiettivi desiderati; b) si valutano sistematicamente i risultati raggiunti, mediante comparazione con i

risultati attesi: c) si intraprendono, in caso di disfunzioni, le necessarie azioni correttive.

Analizziamo la figura, ricordando che: • Le persone e i mezzi tecnici sono i due fondamentali elementi costitutivi del sistema

aziendale; • Questi elementi, considerati dinamicamente (l’elemento umano che impiega certi

mezzi tecnici con un certo criterio organizzativo), originano un certo comportamento “organizzativo”;

• Il comportamento umano, a sua volta, è rivolto a certi obiettivi propri del sistema e produce in concreto certi risultati;

• Tutto il sistema aziendale intrattiene rapporti di interscambio con l’ambiente esterno, che ne è influenzato e lo influenza a sua volta;

Si può osservare che: a) Il comportamento umano nel gruppo sociale - impresa assume rilievo ai nostri fini

per l’attività svolta (decisioni e operazioni esecutive = gestione aziendale); b) Se i risultati del comportamento (in particolari quelli della gestione) non sono

conformi agli obiettivi prefissati, esiste un meccanismo di feed-back o retroazione che rende possibili le azioni correttive. In cosa consistono?

- Interventi su variabili interne che condizionano il comportamento (variabili personali, tecniche e organizzative) ed in particolare sull’organizzazione, più facilmente manovrabile dalla direzione aziendale. Si influenza indirettamente (organizzazione più efficace, tecniche produttive più moderne, ecc.) il comportamento organizzativo per raggiungere risultati migliori;

- Si può intervenire modificando direttamente il comportamento aziendale, formulando ad esempio nuove strategie di sviluppo o politiche di gestione;

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feed-back

MEZZI TECNICI

VARIABILIORGANIZZATIVE

PERSONE

OBIETTIVI E

RISULTATICOMPORTAMENTO

Variabili influenti sul comportamento

GENERALE:

•Fisico - Naturale•Culturale•Tecnologico•Sociale •Politico•Economico

SPECIFICO:

•Mercati di

acquisizione e di sbocco

FEED - BACK

SISTEMA AZIENDALEAMBIENTE

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c) Si conferma la qualifica di sistema aperto di tipo socio-tecnico dell’impresa, data la natura dei suoi elementi costitutivi e dati i rapporti intrattenuti con l’ambiente.

In questo quadro le scelte organizzative svolgono un ruolo di primo piano in vista del raggiungimento degli obiettivi aziendali, in primis quelli economici. Attraverso le scelte organizzative ( compiti e poteri decisionali alle persone, procedure di controllo, ecc.) si creano le premesse per influenzare la qualità delle decisioni e della loro esecuzione, da cui dipenderanno i risultati economici della gestione. Tra le variabili organizzative occorre evidenziare la risorsa più critica, il lavoro umano, che manifesta esigenze, aspettative e motivazioni sempre diverse e non di rado difficilmente conciliabili con gli obiettivi economici prefissati. VARIABILI ORGANIZZATIVE Sono composte da una pluralità di elementi, che possono così essere classificati: 1. Struttura organizzativa

(Struttura formale. Definisce il comportamento che l’azienda attende dai suoi membri)

- Organi tra cui è suddiviso il lavoro (uffici, reparti, dipartimenti, divisioni,ecc.) - Funzioni assegnate agli organi (direttive, esecutive, consultive, ecc.) - Relazioni tra gli organi (gerarchiche, funzionali) Vi è anche una organizzazione informale che si crea spontaneamente all’interno dell’impresa. Gli organi non coincidono con le persone: infatti una stessa posizione organizzativa permane nonostante l’alternarsi delle persone che ricoprono quel certo ruolo.

2. Meccanismi operativi

Sono elementi che integrano e rafforzano gli altri strumenti. Servono a chiarire ai membri dell’organizzazione qual è la funzione del loro lavoro per raggiungere gli scopi che l’organizzazione si prefigge e a migliorare la collaborazione. • Sistema di controllo di gestione • Sistema informativo • Tecniche di gestione del personale

3. Stile di direzione

Si tratta del tipo di comportamento dei responsabili ai vari livelli nei confronti dei propri subordinati. Si parla di leadership e può orientare di molto la gestione dei meccanismi operativi. Si può parlare di stile personale e di stile aziendale

Questi tre elementi sono interdipendenti e la loro coerenza rappresenta uno dei requisiti fondamentali di efficaci dell’organizzazione.

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Ancora qualche nozione di economia (vedi slide successiva) 1) Grado di concentrazione, elasticità, differenziazione della domanda

a) Concentrazione della domanda

Vi sono mercati in cui un solo grande cliente assorbe l’80% della richiesta globale di determinati prodotti (es. ENEL per i grandi impianti elettrici). Oppure mercati in cui si hanno pochi grandi clienti (es. forniture industriali per la FIAT o altre imprese automobilistiche - in sostanza riguarda imprese operanti in settori industriali ad elevato grado di concentrazione come la chimica, la gomma ed i mezzi di trasporto). O al contrario mercati in cui la richiesta è polverizzata fra un numero elevatissimo di compratori (i mercati di consumo). • Monopsonio: mercato con unico acquirente (ipotesi teorica in quanto legata al

caso introvabile di monopolio della domanda); • Oligopsonio: mercato con pochi grandi acquirenti; • Domanda frazionata o polverizzata.

b) Elasticità della domanda

È come la richiesta del mercato reagisce a variazioni del ciclo economico. Una domanda (fortemente) elastica in termini congiunturali produce una situazione di incertezza tra i produttori. Una domanda anelastica determina condizioni di mercato più regolari e tassi di crescita più facilmente prevedibili.

c) Differenziazione della domanda

E’ legata alla differenziazione dell’offerta o, meglio, a quella dei prodotti. In certi mercati non si riscontra una domanda e un’offerta per un certo tipo di bene, ma si hanno tante domande e tante offerte quante sono le classi o i segmenti di acquirenti presenti. Conoscere il grado di differenziazione rappresenta un utile strumento per prevedere le tendenze evolutive della domanda (tassi di sviluppo o di caduta della domanda, fenomeni di concentrazione o di polverizzazione, influenza di componenti strutturali o congiunturali, ecc.) e per comprendere quindi i meccanismi di funzionamento del mercato.

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forme di mercato

Per individuare alcune forme tipiche di mercato, possiamo adottare 5 tipologie di analisi:

1. Grado di concentrazione, di elasticità, di differenziazione della domanda2. Grado di concentrazione dell’offerta3. Grado di differenziazione delle produzioni4. Esistenza di barriere all’ingresso e all’uscita5. Rapporto di equilibrio fra domanda e offerta

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2) Grado di concentrazione della produzione

Difficilmente la domanda, per il grado di aggregazione che può raggiungere, può esercitare effetti determinanti sulle variabili fondamentali del mercato (prezzi e volumi di produzione). Il comportamento adottato dai produttori lo può. Dal monopolio alla concorrenza perfetta. I due estremi non rappresentano modelli reali di mercato ma solo schemi teorici di riferimento. La presenza di monopoli è non è praticata non perché non sia nella tendenza del produttore ricercare il massimo profitto potendo controllare in assoluto prezzo e quantità, quanto piuttosto perché esistono sul mercato prodotti sostitutivi o prodotti in grado di soddisfare bisogni alternativi. Ciò rende vulnerabile qualsiasi posizione monopolistica. Poi c’è l’apertura internazionale dei mercati ed il libero scambio che rende difficile la conservazione di posizioni monopolistiche. Leggi antitrust negli USA. Commissione europea. I limiti al monopolio sono quindi quelli dell’intersostituibilità e dell’ampliamento internazionale dei mercati. Esistono poche forme di monopoli naturali (fonte di acqua minerale curativa, capacità artistica unica, ecc.) e di monopoli legali creati da pubbliche autorità per ragioni di interesse collettivo. I regimi di protezionismo economico agevolano la formazione interna di monopoli. Oggi però si parla di monopolio in modo improprio, in termini relativi, per riferirsi ai casi di controllo di una quota elevata dell’offerta da parte di una sola impresa o gruppo aziendale (oligopolio). Anche quello della concorrenza perfetta è solo un modello di riferimento. Esso si basa su quattro condizioni fondamentali: 1. Atomizzazione dell’offerta 2. Omogeneità dei prodotti e dei venditori 3. Trasparenza del mercato (perfetta conoscenza delle alternative disponibili, sia da

parte dei produttori che dei consumatori = aggiustamento automatico della domanda e dell’offerta)

4. Libertà d’ingresso nel mercato (inesistenza di barriere di qualsiasi genere e possibilità per il produttore di spostarsi da un mercato all’altro)

Accade tuttavia che queste condizioni non siano tutte presenti oppure che alcune di esse non siano di fatto rinvenibili in qualsiasi tipo di mercato (condizioni 2 e 3). I mercati attuali sono un misto di elementi monopolistici e concorrenziali. Se prevalgono i primi ci si avvicina a situazioni di oligopolio, se prevalgono i secondi ci si avvicina a situazioni di concorrenza imperfetta o monopolistica.

3. Grado di differenziazione delle produzioni

L’affermazione di questo concetto ha fatto cadere uno dei presupposti essenziali della concorrenza perfetta, quello sull’omogeneità dei prodotti offerti sul mercato. L’omogeneità dei prodotti è un’eccezione e non la regola. Salvo forse in certi settori delle materie prime, è difficile trovare dei mercati in cui non vi siano prodotti differenziati. La differenziazione del prodotto può essere sotto il profilo fisico, tecnico, estetico o semplicemente psicologico (creazione di un’immagine della marca).

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Si viene a creare il frazionamento del mercato in tanti sub-mercati (nicchie di mercato), il cui grado di isolamento e di indipendenza cresce con l’aumentare della differenziazione del prodotto. Certi elementi distintivi del prodotto, come il maggiore prestigio di marca di una lavatrice o i suoi particolari requisiti di uso (caricamento dall’alto, asciugamento), possono garantire una particolare clientela. Ma queste posizioni saranno sempre attaccabili da altri strumenti concorrenziali (prezzo, condizioni di pagamento, ecc.) o dall’imitazione da parte dei prodotti. La politica della marca e della pubblicità ha spinto la diffusione della differenziazione dei prodotti al punto che oggi gli economisti parlano di concorrenza monopolistica (elementi concorrenziali e di monopolio insieme: quindi offerta frazionata tra più produttori ma presenza di tanti sub mercati distinti in ciascuno dei quali uno dei produttori può acquisire di fatto una posizione monopolistica) o di oligopolio differenziato (mercato controllato da pochi produttori) quali regimi prevalenti di mercato. Alcuni economisti individuano nella concentrazione la caratteristica dell’organizzazione della produzione moderna. E la definiscono , forse più correttamente, OLIGOPOLIO, che può essere

• differenziato (differenziazione di prodotto - diretta concorrenza tra pochi venditori;

• concentrato o omogeneo (nessuna differenziazione di prodotto – produttori di materie di base: prodotti siderurgici, materie prime chimiche, cemento, ecc.).

• misto (produttori di beni di consumo durevole: automobili, computers, elettrodomestici,,ecc.).

Scavarsi una nicchia, cioè differenziare il prodotto richiede ingenti risorse per cui il mercato sarà sempre caratterizzato da un certo grado di concentrazione. A qualificare un certo tipo di mercato come oligopolistico o concorrenziale non è tanto il numero di produttori quanto la quota di produzione che è controllata dalle imprese più grandi (le prime quattro, le prime otto, le prime venti). Il grado di concentrazione aumenta nel passaggio dall’oligopolio differenziato a quello misto e poi a quello omogeneo o concentrato.

4) Esistenza di barriere all’ingresso e all’uscita

Non solo barriere all’entrata, ma anche quelle all’uscita e quelle interne o di mobilità. La mancanza di barriere qualifica i regimi di libera concorrenza, la presenza di barriere i regimi di monopolio. All’interno dei due estremi esistono diversi gradi di consistenza del fenomeno. Barriere all’entrata Possono essere barriere esterne (impediscono l’ingresso di nuovi competitori) o interne (tutelano la posizione di ciascun produttore nei confronti di azioni espansive di altri produttori presenti sul mercato). Le barriere all’entrata si collegano: a) alle economie di scala ottenibili nelle funzioni di gestione (in fase di produzione o

di approvvigionamento o di commercializzazione);

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b) alla disponibilità di brevetti o Know how (superabile solo alla scadenza dei termini di protezione del brevetto o ricorso a brevetti e Know how sostitutivi);

c) alla scarsità di fattori produttivi essenziali (già acquisiti dalle imprese che operano sul mercato)

d) alla differenziazione dei prodotti (barriera interna). Può trovarsi congiunta con quella della concentrazione e generare ostacoli maggiori all’ingresso nel mercato.

Barriere all’uscita Create da vincoli sociali (salvaguardare l’occupazione) o economici (difficoltà del disinvestimento). Si trasformano in elevate barriere all’entrata perché possono dissuadere i nuovi entranti ad inserirsi in un mercato dal quale sarà poi difficile l’eventuale uscita. L’esistenza di barriere può essere annullata nel caso della concorrenza allargata, basata su prodotti sostitutivi. Infatti la struttura di un mercato è più direttamente influenzata dalla struttura e dal funzionamento dei mercati interrelati (per ragioni di sostituibilità e di complementarietà di prodotti).

5. Rapporto di equilibrio fra domanda e offerta

Occorre valutare congiuntamente le due componenti della domanda e dell’offerta, non solo separatamente, per desumere la posizione relativa di forza dei produttori e dei consumatori. Il grado di controllo del mercato è legato anche alla situazione di equilibrio o di squilibrio che può crearsi tra domanda e offerta in un certo ambito territoriale e in una data epoca. Difficile ipotizzare il caso di perfetto equilibrio: quando la domanda sia in grado di assorbire completamente l’offerta o quando l’offerta sia in grado di soddisfare tutte le richieste degli acquirenti. E’ forse il caso delle produzioni su commessa? No perché ai fini del funzionamento del mercato non è importante l’equilibrio in termini di risultati fra domanda e offerta, quanto quello fra potenzialità di produzione e capacità di assorbimento. • Se la domanda tende a superare la capacità di produzione esistente nel mercato,

i produttori assumono una chiara posizione di vantaggio, in quanto non sopporteranno rischi di vendita dei prodotti e godranno di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno competere l’uno con l’altro per entrare in possesso della limitata quantità dei beni disponibili (Mercato del venditore – poco frequente a causa dell’apertura dei mercati) Il produttore non avrà quindi problemi di vendita e potrà concentrare i suoi sforzi sulla gestione tecnica e finanziaria.

• In caso di esuberanza dell’offerta, saranno i produttori a dover competere tra di loro per acquisire la domanda disponibile (Mercato del compratore – la più diffusa). Il produttore in questo caso sarà assillato dalla necessità di competere efficacemente sotto il profilo delle politiche di vendita e dovrà attuare una gestione in chiave di marketing per fronteggiare in modo adeguato i bisogni e i gusti dei compratori.

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Va però considerato che le possibilità di influenzare l’offerta da parte del compratore sono limitate sia per lo scarso peso assunto dai consumatori (i fenomeni di associazionismo da noi sono ancora scarsi e poco efficaci), sia per l’elevato impatto esercitato dalle grandi imprese sui comportamenti di acquisto.

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vedi commento slide precedente

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mercato del compratore

all’uscita

mercato del venditoredomanda/offerta

differenziazione prodotti

scarsità fattori produttivi essenzialibarriere

brevetti – know howall’entrata

economie di scalainterne o esterne

oligopolio differenziato

concorrenza monopolistica

produzione

libertà d’ingresso nel mercato

trasparenza del mercatoofferta

omogeneità prodotti/venditori

atomizzazione

differenziazione

elasticitàdomanda

frazionamento

oligopsonioconcentrazione

monopsonio

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IMPRESAE

IMPRENDITORIALITA’

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Sono i tre profili di maggior rilievo, a ciascuno dei quali si collega un diverso ruolo. 1. Sotto questo profilo l’impresa ha lo scopo di soddisfare i bisogni umani mettendo a

frutto le (limitate) risorse naturali, altrimenti sarebbe un’organizzazione inutile che non risponde a finalità economiche. Le sue funzioni economiche producono vantaggi alla collettività in generale e non solo alla schiera dei clienti che serve. Mette a frutto e utilizza razionalmente le risorse esistenti e alimenta altre aziende dedicate a soddisfare altri bisogni dell’umanità.

2. L’impresa, in quanto coagula gli sforzi di un insieme di gruppi sociali, viene vista

come distributrice della ricchezza creata. Soddisfa le necessità soprattutto di chi opera al suo interno. Una serie di rapporti di scambio verso clienti, forza lavoro, banche, fornitori ecc.

3. L’impresa è un complesso di beni organizzato e retto per lo svolgimento di processi

produttivi. Due elementi tipici di qualsiasi organismo aziendale: capitale e capacità imprenditoriale. Investimenti di capitale e coefficienti di rischio per soddisfare il fine di produrre reddito.

Le tre funzioni sono strettamente correlate perché se l’impresa trova il suo spazio nel mercato, cioè soddisfa i bisogni dei consumatori, può remunerare i vari fattori della combinazione produttiva. Ma tra di esse possono intercorrere anche dei rapporti antagonistici: si può privilegiare una subordinandone delle altre. La vita dell’azienda si sviluppa mediante la composizione di tensioni e conflitti che si creano al suo interno e nei confronti dei gruppi esterni con i quali viene in contatto.

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le funzioni dell’impresa

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L’impresa svolge una varietà di ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dell’ambiente socio-economico:

1. ORGANIZZAZIONE ECONOMICA2. SISTEMA SOCIALE3. STRUTTURA PATRIMONIALE

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imprenditorialità

• privata• pubblica• diretta• delegata (manageriale)

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Sono assunti che configurano una grande semplificazione della realtà e hanno valore di riferimento generale. L’impresa è l’espressione di una volontà imprenditoriale tesa all’ottenimento di determinate finalità. Quali sono gli scopi che spingono il gruppo imprenditoriale ad organizzare e dirigere un’attività produttiva? Oggi, oltre all’imprenditore di tipo classico, si parla anche di imprenditore moderno che detiene nelle sue mani il potere di gestione senza la proprietà. Nelle maggiori aziende è ormai superato il rapporto tradizionale tra proprietà e governo d’impresa. “Soggetto economico” è chi materialmente controlla l’azienda (gruppo imprenditoriale). Possiamo parlare di imprenditoria privata e pubblica, imprenditoria diretta e delegata (manageriale). Il profitto, secondo la teoria economica classica, è il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi, come il salario per i lavoratori, o gli interessi per i finanziatori. Altre scuole di pensiero dicono che è il corrispettivo dell’incertezza connessa con le attività economiche, una sorta di premio di assicurazione per il rischio derivante dall’investimento del capitale. Per la scuola di Schumpeter è un premio che spetta a colui che promuove l’innovazione. Il profitto insomma frutto dell’abilità innovativa di chi governa l’impresa (legata a circostanze di mutamento dei prodotti, delle strutture, dei processi tecnologici, ecc.). Infine si ricorda l’impostazione dottrinale che considera il profitto come rendita derivante dalla posizione monopolistica. Più che alternative, queste impostazioni concettuali appaiono complementari Noi diciamo che è la contropartita del capitale investito e del rischio di impresa. 1. Sul piano astratto la teoria appare corretta. Sul piano pratico è condizionata da una

serie di limiti e precisazioni. Occorre infatti introdurre il fattore tempo (profitti di uno, due esercizi? di una o più operazioni?) e il fattore rischio.

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teorie sui fini imprenditoriali

1. Massimizzazione del profitto2. Sopravvivenza aziendale3. “Valore” dell’impresa4. Sviluppo dimensionale5. Limiti sociali alla massimizzazione del profitto

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Ma l’imprenditore vuole massimizzare i profitti nel lungo andare, durante tutta la vita dell’impresa, per cui nel breve può ad esempio vendere al costo o sottocosto pur di entrare in nuovi mercati, o in mercati non remunerativi allo scopo di controllare fonti di materie prime. Per quanto concerne il fattore rischio, esso condiziona le aspirazioni reddituali dell’imprenditore. La massimizzazione del profitto spinge alla diversificazione merceologica e geografica dei rischi di gestione. Alla massimizzazione del reddito si fa corrispondere la massimizzazione del valore capitale dell’impresa (che non è altro che la traduzione in termini finanziari della prima). Il valore capitale d’impresa è in funzione della sua redditività. Fondo di ricchezza anziché flusso di reddito. Questa teoria sembra meglio rispondere alle esigenze di interpretazione dei comportamenti imprenditoriali. Occorre però ampliarla introducendo il concetto di “limiti sociali”.

2. Con la dissociazione ormai diffusa fra livello di proprietà e di governo dell’impresa,

viene a cadere il fine del massimo profitto. I dirigenti sono preoccupati innanzitutto della sopravvivenza dell’organizzazione. Il profitto assume un ruolo strumentale nei confronti dello scopo ultimo, che è quello di non pregiudicare la continuità di funzionamento dell’impresa. Teoria sostenuta in particolare dal Drucker, che propone di misurare la sopravvivenza su obiettivi legati a cinque aspetti fondamentali: posizione occupata sul mercato, innovazioni, risorse fisiche, risorse finanziarie, redditività ‘impresa. Anche Galbraith tratta il tema della sopravvivenza come obiettivo verificabile nell’autonomia gestionale della struttura decisionale di governo (tecnostruttura). L’esigenza primaria è dunque quella di realizzare un livello stabile di profitto, che consenta all’impresa di non correre rischi eccessivi e di destinare risorse sufficienti all’autofinanziamento. Più questo è alto, più si riduce la dipendenza da fonti esterne di finanziamento e si amplia conseguentemente l’autonomia del gruppo manageriale.

3. Il fine dell’imprenditore è di massimizzare il valore dell’impresa in termini di

capitalizzazione di borsa se si tratta di aziende quotate oppure in termini di valori di mercato collegati alla stima del capitale economico. In questa ottica si tratta di una teoria simile a quella della massimizzazione del profitto, ma con una visione di più breve termine. Si collega soprattutto al concetto patrimoniale dell’impresa, vista come valore reale piuttosto che come futuro valore reddituale. Matrice tipicamente nordamericana: public companies amministrate da managers professionisti e quotate in borsa. Migliorare il corso dell’azione anche in un’ottica di difesa da scalate ostili. Ai casi di imprenditore-proprietario e di aziende non quotate è meno applicabile, in quanto interessa di più la redditività di lungo termine rispetto alla massimizzazione dei vantaggi per gli azionisti.

4. Secondo tale teoria i managers sono più interessati all’espansione dell’impresa che

si traduce in un irrobustimento dell’organizzazione, (garanzia di sopravvivenza), in maggior forza nei confronti della concorrenza (garanzia di redditività aziendale), e in incremento delle retribuzioni ai livelli più elevati di direzione. Insomma più fatturato (combinazione tra quantità e prezzi del venduto) che profitto. Ci deve comunque essere il vincolo di un livello minimo di profitto.

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Il fatturato viene ritenuto l’obiettivo primario della conduzione aziendale quando, rispetto alla massimizzazione del profitto, prevalgono finalità quali il più elevato sviluppo delle vendite nel lungo periodo, oppure il prestigio, la diversificazione dei rischi, il potere e la posizione sociale dell’imprenditore, spesso conseguenza diretta della crescita delle vendite e quindi delle dimensioni aziendali. Si assiste in pratica ad un’inversione di posizione, in cui il profitto è strumentale e serve a finanziare la crescita dei volumi di vendita, oppure la qualità delle strutture aziendali (prestigio), oppure una più diffusa rete di potere, ecc. Qui si può inquadrare la teoria della crescita sostenibile per la quale crescita del profitto, aumento dell’autofinanziamento e incrementi degli investimenti rappresentano maglie della stessa catena di comportamento imprenditoriale. In fondo nel tempo lungo non vi può essere antinomia tra la teoria della massimizzazione del profitto e quella della massimizzazione delle vendite. La gestione nel complesso deve essere massimamente redditizia. Siamo di fronte ad un sistema di obiettivi e alla necessità di stabilire fra di essi un criterio di gerarchia.

5. Anziché la massimizzazione del profitto, in questo caso l’obiettivo è la

massimizzazione del cash flow, cioè delle fonti della gestione. Lo scopo del gruppo proprietario è di rafforzare la struttura patrimoniale dell’azienda o godere subito dei frutti prodotti dalla sua attività operativa. Vi è un complesso di vincoli esterni e interni alla gestione che genera limitazioni nella scelta degli obiettivi e delle strategie imprenditoriali. Ogni impresa è caratterizzata da situazioni permanenti di conflitto di interessi. Con forze esterne (compratori, distributori, fornitori, finanziatori, pubblica amministrazione) o interne (proprietari, dirigenti, maestranze). I conflitti esterni sono risolvibili sulla base dei reciproci rapporti di forza. Le opportunità di soluzione sono sovente molteplici. Ad esempio nel caso di conflitto con un fornitore si può pervenire ad un nuovo accordo di reciproca soddisfazione (cambiare fornitore, produrre anziché acquistare). Nei conflitti interni l’imprenditore ha meno possibilità di manovra. Nei conflitti di lavoro la forza imprenditoriale è limitata dalla tutela sindacale del lavoratore. Esempio: Se l’imprenditore vuole aumentare i ricavi tenta di influire su due variabili: il prezzo e la quantità. Ma un rialzo del prezzo incontra l’opposizione dei compratori, che possono rinunciare all’acquisto o rivolgersi ad altro fornitore o ridurre la quantità domandata. In questo caso induce a contrarre anziché aumentare il volume globale dei ricavi. Quindi la possibilità di far leva sul fattore prezzo è limitata dall’elasticità della domanda e dalla pressione concorrenziale. L’alternativa di incrementare le quantità assorbibili dal mercato è percorribile in funzione del ritmo di sviluppo della domanda. Se la domanda globale è statica questo tentativo susciterà le reazioni della concorrenza che rischia di vedersi sottrarre degli affari. Le contromisure della concorrenza potrebbero portare ad una compressione dei ricavi e precludere la massimizzazione dei ricavi di vendita. Allora non rimane che operare sui costi, E qui si incontrano i gruppi sociali che contrastano la manovra.

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Abbassare il costo unitario significa ridurre la remunerazione del lavoro, i prezzi pagati ai fornitori, gli interessi corrisposti ai finanziatori, i margini concessi ai distributori, mentre è impossibile incidere sulle aliquote di tassazione. Si può puntare ad un aumento della produttività riducendo la quantità impiegata di ciascun fattore, ma a fronte di investimenti costosi e di accordi non facili in un clima conflittuale. Il rischio è che si riduca la quantità di prodotti trasferiti ai distributori e quindi il volume dei ricavi. Questo ridursi della possibilità di manovra dei costi è del resto rappresentativo del generale fenomeno di trasformazione nell’azienda di oneri variabili in oneri fissi o quasi fissi. Il costo del lavoro, benchè considerato in dottrina costo variabile in rapporto al variare del volume di produzione e di vendita, è forse da tempo il costo meno elastico che l’azienda sostiene. In caso di incremento di attività aziendale, le variazioni di organico si manifestano solo dopo un certo periodo di tempo e comunque solo dopo il tentativo di recupero in termini di produttività. Da qui la generale tendenza a livello imprenditoriale (e legislativo) a cercare la flessibilità della forza lavoro. A questo punto si può sottolineare un paradosso nei comportamenti delle imprese tese ad abbassare i costi. I costi organizzativi e quelli di ricerca e sviluppo (nuove opportunità tecnologiche, nuovi servizi alla clientela, nuovi processi produttivi, strutture più efficienti) generalmente non si identificano in un particolare soggetto sociale potenzialmente “conflittuale” e vengono percepiti come comprimibili con minore difficoltà da parte delle imprese. Nei periodi di crisi sono gli unici costi ad essere tagliati, insieme a quelli di pubblicità, per le scarse possibilità di manovra dell’imprenditore. E questo avviene proprio quando servirebbe un incremento di produttività e un’espansione dei mercati, percorrendo la via dell’espansione. Conclusione: a) L’equilibrio costi-ricavi è difficilmente modificabile in assenza di innovazioni nella

gestione. b) Le innovazioni nell’organizzazione e nel mercato richiedono il sostenimento di

costi che sono solitamente ridotti in periodi di crisi aziendale c) Il profitto è una quantità residuale che risente delle situazioni di crisi, data la

rigidità delle altre grandezze economiche e il ristagno dei processi innovativi.

Si conclude osservando che il reddito è un risultato che deriva dalla composizione dei conflitti interni ed esterni e che la sua misura non è mai liberamente determinabile dall’imprenditore (massimo profitto condizionato). E ancora: la massimizzazione dei profitti incontra due serie di vincoli: quelli sociali e i limiti della conoscenza in ordine all’evoluzione dell’ambiente e dei mercati.

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EQUAZIONE AZIENDALE DEL PROFITTO IN RAPPORTO AI GRUPPI SOCIALI

A BRICAVI

COSTIC D E

COSTIDELLAVORO

COSTIDIAPPROVV.

COSTIDIFINANZ.

COSTIDIDISTRIB.

ONERIFISCALI

COSTIDI ORGAN.

RICERCAESVILUPPO

PROFITTO

GRUPPI SOCIALI: G CONSUMATORI G1 CONCORRENTI G2

LAVORAT.G3

FORNITORIG4

FINANZ.G5

DISTRIBUT.G6

PUBBLICAAMMIN.G7

PROPRIETARIG8

CIASCUNO DI QUESTI GRUPPI SOCIALI PUÒ INFLUIRE SULL’AMPIEZZA DEL PROFITTO(non sempre tutti questi gruppi sono presenti)

SITUAZIONE COOPERATIVO – CONFLITTUALElimita la massimizzazione dei profitti in termini di costi/ricavi

Come si può massimizzare il profitto (segmento DE)? • Aumentando i ricavi (segmento AB): prezzo x quantità • Riducendo i costi (segmento CD)

• Incrementando innovazione e produttività • Modificando l’equilibrio esistente senza adottare processi innovativi

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elementi caratterizzanti l’impresa

• Attività esercitata• Dimensione• Composizione della proprietà e Forma giuridica

GRUPPI AZIENDALI

ATTIVITA’ ESERCITATA A livello settoriale le attività esercitate possono essere: agricole, estrattive, manifatturiere e di servizi. Per ciascun settore si individuano sotto-categorie. Es. le aziende manifatturiere si possono distinguere per comparti produttivi (alimentare, tessile, meccanico, ecc.) e, all’interno di ciascun comparto, per categorie e tipi di attività:imprese conserviere, dolciarie, ecc.) Oltre al tipo di attività esercitata, LA DIMENSIONE è quello di maggiore rilevanza perché incide fortemente sui modelli organizzativi e sulle strategie di gestione. Si parla di Piccole, Medie e Grandi Aziende, ma la dimensione è difficilmente definibile perché non esiste un suo parametro sicuramente rappresentativo. Quali sono i parametri identificativi della Dimensione? 1. Parametri economici

Volume d’affari: è il più utilizzato perché è quello di più facile comparazione essendo espresso nella stessa unità di misura in tutte le imprese. Identifica però solo la quantità venduta e non la potenzialità produttiva e organizzativa, più vicini al concetto di dimensione. Tra i due valori può esserci forte discrepanza. Meglio forse sarebbe indicare il valore aggiunto, cioè la differenza fra il valore finale della produzione e il costo delle materie prime impiegate per ottenerla. Un maggiore valore aggiunto dovrebbe derivare da un più ampio sviluppo verticale dell’organizzazione e da un più ampio impiego di capitali e di lavoro umano.

2. Parametri tecnici Riguardano il processo di produzione e tendono a misurare la potenzialità degli impianti o la quantità dei prodotti lavorata nell’unità di tempo (produzione

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disponibile). Questo è possibile solo nei settori caratterizzati da una produzione piuttosto omogenea (siderurgico, tessile, pastario, ecc.).

3. Parametri patrimoniali Identificano il valore e la struttura dei vari tipi di capitale (di funzionamento, proprio, fisso, ecc.). • Totale dell’attivo patrimoniale: entità dei mezzi impiegati nell’attività aziendale • Totale delle immobilizzazioni: identifica con efficacia le dimensioni di un’impresa

di produzione ad alta intensità di capitale • Capitale sociale/proprio: non molto significativo

4. Parametri organizzativi • Numero degli addetti

Non è più molto rappresentativa specialmente in presenza i accordi di collaborazioni fra imprese, di alleanze strategiche, di esternalizzazione di determinate funzioni, dove i confini organizzativi dell’azienda si spostano e si riflettono sul peso dell’impresa nel mercato.

Comunque nessuno dei parametri segnalati è, da solo, significativo. L’importanza di ciascuno di essi può variare da settore a settore e spesso è necessario considerare congiuntamente più elementi per pervenire a delle valutazioni attendibili. A volte non è facile dire qual è la prima, la seconda azienda del settore. Ancor più difficile è distinguere fra piccola, media e grande impresa. Questa classificazione non è operabile in termini generali (grande: 1000 addetti, fatturato superiore a 150 milioni di euro?), ma andrebbe definita a seconda dell’ampiezza e della struttura del mercato. Grande impresa è quella capace di esercitare un elevato grado di controllo del mercato, di influenzare il comportamento di altre imprese e indirizzare la domanda dei consumatori. Al contrario le piccole non riescono a influenzare le variabili di mercato e subiscono i mutamenti della domanda e dell’offerta. Le medie sotto il profilo del rapporto col mercato sono assimilabili alle piccole. Quindi per concretezza si tende a parlare di numero di addetti: ISTAT: Piccole fino a 99 addetti, Medie da 100 a 499, Grandi oltre 500. COMPOSIZIONE DELLA PROPRIETÀ e FORMA GIURIDICA Ditte individuali o Società (di persone e di capitale). Il soggetto economico può essere privato, pubblico o misto (ma considerata privata se la maggioranza del capitale è posseduta da privati). La forma giuridica disciplina i rapporti esterni (responsabilità dei soci e adempimenti civilistici e fiscali) ed interni, regolati dallo statuto (regole di funzionamento della società – organi di governo e poteri) e dal patto parasociale (accordo interno tra soci in ordine alla finalità della gestione e alla modalità di esercizio dei poteri), qualora esista. In tema di composizione della proprietà meritano uno spazio particolare i GRUPPI AZIENDALI. I riflessi dell’appartenenza di una società ad un Gruppo si allungano sia sul piano dimensionale (possibili economie di scala di livello superiore) sia su quello

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imprenditoriale, in quanto la natura della proprietà è legata alla struttura del capitale di gruppo. Il Gruppo è composto da una Società madre, una o più società figlie e società nipoti. Le società figlie sono controllate dalla Società madre. Le nipoti dalle figlie. La parentela societaria può allungarsi. I gruppi possono essere: Finanziari: la società capo-gruppo svolge esclusivamente un’attività di gestione di partecipazioni societarie (holding pura); Industriali: la capo-gruppo realizza anche un’attività produttiva (holding mista); Il concetto di gruppo aziendale tende a dilatarsi, in senso operativo, per il ricorso a forme di intese interaziendali (sistemi e strutture a rete), cioè alleanze e accordi non competitivi tra imprese. Da qui la difficoltà di misurazione dell’effettiva dimensione aziendale.

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la struttura organizzativa aziendale

Obiettivi generali epolitiche di gestione

Attuazione e controllo di

obiettivi e politiche

Attività esecutiva

Proprietà

Amministrazione

Alta Direzione

Direzione Operativa

Organi esecutivi

Assemblea degli AzionistiPresidente della SocietàConsiglio di AmministrazioneAmministratore DelegatoComitato Esecutivo

Direttore GeneraleDirettori di DivisioneDirettori di Funzione

Direttori di Sezione/Reparto

Capi gruppoOrgani operativi

Piramide gerarchica. Il potere di deliberare sugli obiettivi generali e sulle politiche generali della gestione spetta ad un nucleo ristretto di organi. Ad una schiera più folta spetta il compito di porre in attuazione e controllare il raggiungimento di obiettivi e politiche. Nella piccola impresa gli organi deliberanti sono pochi, sino ad arrivare a uno solo (imprenditore-proprietario). In una SPA gli organi deliberanti si distinguono in tre gruppi:

1. Proprietà (azionisti) 2. Organi Amministrativi 3. Organi di Direzione

Ciò a seguito della dissociazione tra proprietà e governo dell’impresa. Schumpeter parlava di imprenditore come colui a cui compete la scelta delle combinazioni produttive e di finanziatore (“capitalista”) come colui che apporta i capitali ed è interessato a ricevere un profitto adeguato. In questo caso si tratterebbe di un imprenditore che non rischia capitali propri in quanto solo gestore aziendale. Ci troviamo di fronte ad una imprenditorialità indiretta o delegata: più che ad un imprenditore ci troviamo di fronte ad un “amministratore” in nome e per conto della proprietà aziendale. Nelle SPA si possono distinguere tre tipologie di struttura, con diversi gradi di dissociazione fra livello di proprietà e livello di governo aziendale. 1. Familiare 2. Gruppi aziendali 3. Capitale frazionato (semplici finanziatori delle produzioni)

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Nei primi due la concentrazione del capitale o il pacchetto azionario di comando permette agli azionisti di governare l’azienda, anche con la presenza nei Consigli di Amministrazione o con la carica di Presidente o Amministratore Delegato. Assemblea degli Azionisti Decisioni di natura formale e poteri molto ampi: approvazione del bilancio di esercizio, scelta di amministratori, sindaci e revisori, determinazione dei loro compensi, modifiche statutarie, emissione di obbligazioni, nomina dei liquidatori e quant’altro leggi e statuti riservano all’Assemblea. Ci troviamo di fronte ad un ampio potere di ratifica e di controllo, ma ad un limitato potere decisorio. In realtà si verifica che i poteri decisori possono essere esercitati dagli azionisti, nell’ipotesi di formulazione di sindacati di voto o di stipula di patti para-sociali che stabiliscono le regole adottate dalla maggioranza nella conduzione degli affari societari. E ciò avviene indirettamente mediante la nomina degli Amministratori e delle cariche sociali (Presidente e Amministratore Delegato). Amministratori Hanno il potere di definire strategie, obiettivi e politiche generali di gestione. Predispongono/ approvano piani e programmi e nominano le più alte cariche direttive. A loro spettano le decisioni necessarie per lo sviluppo della società. Possono configurarsi come organo collegiale (Consiglio di Amministrazione), di rappresentanza (Comitato Esecutivo), o individuale (Presidente e Amministratore Delegato). Il Consiglio delega parte dei suoi poteri ad uno o più dei suoi membri (Presidente, Amm. Delegato, Comitato Esecutivo) o anche ad organi elevati di Direzione. Alta Direzione Sono i dirigenti di grado più elevato: direttore generale, direttori di divisioni e delle principali funzioni Direzione Operativa Cura la gestione corrente. Coordina e controlla le attività dei vari settori aziendali. Line e staff I dirigenti possono essere inquadrati nell’organizzazione in posizione di Line: sono in posizioni chiave nella gerarchia aziendale, partecipano attivamente al processo operativo, assumono ruoli di coordinamento delle funzioni esecutive, hanno responsabilità decisionali. Staff:svolgono attività di consulenza/assistenza per gli organi di line