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uor Gemma ha risposto alle nostre domande tramite email: abbiamo avuto fortuna perchè è attualmente impegnata negli esercizi spirituali e quindi ha un po’ più di tempo a disposizione, altrimenti, visto il suo impegno continuo in ospedale, avremmo dovuto attendere molto più tempo. Un grazie a Paolo Siani che ha tradotto l’intervista: suor Gemma conosce bene la nostra lingua, ma per risparmiare tempo ci ha risposto in Swahili. Ecco le sue considerazioni. Monsignor Giusti è rimasto colpito dalla vostra dedizione e dal vostro impegno, cosa significa fare la suora in Tanzania e soprattutto fare il medico? «In Tanzania i cristiani sono circa il 40% della popolazione. Nonostante questo non solo i cristiani, ma tutta la popolazione tanzaniana ha una grande stima delle suore. La gente ci vede impegnate nel servizio ai più poveri, senza fare distinzioni, e quindi penso che riescano a capire la nostra vocazione anche se sono di fedi diverse. Per questo ci sentiamo davvero missionarie, perché riusciamo ad annunciare il Vangelo attraverso la nostra testimonianza. Io come medico poi ho una responsabilità in più. Quando facevo il mio tirocinio all’Università di Pisa alle volte ci ritrovavamo in 4 o 5 medici intorno ad un unico malato e le statistiche dicono che solo i medici di base in Italia sono 1 ogni 1000 abitanti. In Tanzania c’è un medico ogni 50000 abitanti. Quando abbiamo iniziato il nostro ospedale ero l’unico medico, ora ho qualche aiuto in più, ma è inutile dire che dobbiamo essere sempre a disposizione 24 ore su 24». Com’è strutturato il centro dove vivete e lavorate? Quali sono i vostri bisogni? «L’Ospedale S. Gemma Galgani di Mijuji è nato come un piccolo ospedale missionario, ma il Governo tanzaniano ci ha chiesto che diventasse ospedale Distrettuale dato che questa zona della Regione di Dodoma non aveva questo servizio. All’inizio quindi avevamo solo la degenza per le partorienti ed un reparto di medicina generale. Ora piano piano ci stiamo organizzando ed abbiamo già in funzione una sala operatoria per piccoli interventi e soprattutto per poter effettuare i parti cesarei. Abbiamo anche un laboratorio di analisi, un ambulatorio dentistico, un ecografo (l’unico effettivamente funzionante in tutta la Regione) ed a breve entrà in funzione l’apparecchiatura di radiografia. Mancano ancora diverse strutture sia per la degenza che per la cura, oltre che molte attrezzature. Il fattore limitante sono sempre i soldi. Ma con l’aiuto della Provvidenza speriamo di andare avanti. In swahili si dice “pole pole” (piano piano). Passo dopo passo cerchiamo di dare risposta alle esigenze dei nostri malati». Siete in contatto con l’Italia? Lei che ha studiato qui da noi cosa ricorda di quel periodo? «Certamente, siamo in contatto con l’Italia. Soprattutto con parrocchie e gruppi missionari, ma anche con singoli laici e medici. In particolare Livorno per me è sempre stato un punto di riferimento. Quando vengo in Italia non ho mai mancato di venire a trovare i vescovi che si sono succeduti in questi anni. Ancora non conoscevo mons. Giusti e mi ha fatto molto piacere riceverlo in visita al nostro ospedale. Non posso dimenticare Zita Falleni che mi ha insegnato l’italiano e mi è sempre vicina. Poi la Parrocchia del S. Rosario con il suo gruppo missionario. E senza dubbio il Centro Mondialità che ci procura molto materiale sanitario e cura la spedizione dei containers. Ma anche tanti altri che in tanti modi ci sostengono. Ho un ricordo molto bello della mia permanenza a Livorno (ero ospite delle Suore di Villa Tirrena). Anche se chi mi conosce sa che fremevo per poter tornare al più presto dai miei malati in Tanzania». Come possiamo da qui sostenere le vostre opere? «Come dicevo ci mancano ancora molte strutture e l’unica nostra risorsa sono i benefattori. Ci mancano anche apparecchiature e suppellettili per ospedale, materiale sanitario di consumo, medicine, ecc.. Poi c’è il problema dei containers. Anche attualmente il Centro Mondialità ha già raccolto del materiale, ma non riesce ad inviarcelo per mancanza di fondi. La preparazione e l’invio di un container costa più di 10.000 euro. Inoltre avremmo bisogno di medici che mettessero a disposizione il loro servizio anche per brevi periodi presso il nostro ospedale». Ci racconta qualche bell’episodio che le è capitato in questi anni? «Ce ne sono tanti, come quello di circa un anno fa quando siamo riusciti a salvare una donna ed il suo bambino effettuando il primo taglio cesareo appena inaugurata la sala operatoria. Ma l’episodo, purtroppo tragico, che ha dato una spinta alla mia vocazione di medico è successo quando ero ancora medical assistent (assistente medico) responsabile del dispensario di una missione sperduta nella savana. Arrivò all’alba una donna trasportata dai parenti. Madre di sette figli, aveva partorito nella sua capanna. Purtroppo aveva avuto un’emorragia e quando misurai la pressione sanguigna era prossima allo zero. Avrei saputo fare una trasfusione, ma non avevo l’attrezzatura necessaria. Chiesi dunque a Paolo Siani (allora volontario nella nostra Diocesi), che si trovava lì per caso, se potevamo tentare il trasporto all’ospedale più vicino col suo fuoristrada. Naturalmente disse di sì e subito partimmo per un viaggio di tre ore su di una pista piena di buche. Arrivati a soli 10 minuti dall’ospedale la donna morì. Penso che siate d’accordo con me che al giorno d’oggi non sia più accettabile che una madre di otto figli muoia perché non ha potuto usufruire di un minimo di assistenza. Non ci deve più essere più gente al mondo che muore di “povertà”!» Al termine dell’intervista, suor Gemma si rivolge così ai nostri lettori: «Un caro saluto e un grazie a tutta la Diocesi di Livorno per quello che ha fatto e che farà per il nostro ospedale» c.d. S LA SETTIMANA DI LIVORNO TOSCANA OGGI 23 settembre 2012 II «POLE, POLE... CON L’AIUTO DELLA PROVVIDENZA» Suor Gemma, della Congregazione di “S. Gemma Galgani”della Diocesi di Dodoma, direttrice dell’Ospedale Missionario S. Gemma Galgani di Miyuji, risponde alle nostre domande sul suo impegno inTanzania a pochi giorni sono tornato dall’Africa, dalla Tanzania, dalla diocesi di Dodoma con la quale la nostra diocesi ha rapporti di comunione e di collaborazione da molti decenni. Ho vissuto questa esperienza con gli amici dell’Ufficio Missionario Diocesano. È una storia iniziata da Mons. Ablondi e continuata da tanti preti e laici della nostra Chiesa in particolare dal Centro Mondialita’ Sviluppo Reciproco. É stata un’esperienza arricchente soprattutto perché abbiamo incontrato una chiesa che tenta e sembra con successo, a incarnare il Vangelo nella cultura del proprio popolo e a dare vita a parrocchie dove la vita fraterna sia una esperienza condivisa e caratterizzante la Comunità Parrocchiale. Ogni Parrocchia é articolata e animata da innumerevoli comunità ecclesiali di base. Certo il modello Tanzaniano non é certamente esportabile a Livorno ma ci dona certamente uno stimolo a rinnovare in senso sempre più comunitario le nostre parrocchie. Per questo domenica 7 Ottobre cercheremo di riflettere su come articolare in senso più fraterno e missionario le nostre comunità parrocchiale e tutta la nostra Chiesa Locale. IL CONVEGNO SI ARTICOLERÀ SU TRE MOMENTI: 1. La veglia missionaria nella quale chiederemo a Dio la grazia per vivere la missione e rifletteremo sull’esperienza che con Ufficio Missionario abbiamo vissuto in Africa. 2. L’ascolto di un’esperienza in atto in Italia per rendere più missionaria e fraterna la Comunità Parrocchiale, saranno con noi gli amici di S. Eustorgio a Milano con il loro parroco, don Piergiorgio Perini 3. L’approfondimento per ambiti di testimonianza: A) Una Parrocchia comunità eucaristica formata da comunità ecclesiali di base. B) Annunciare il Vangelo ai non cristiani a Livorno, forme e modi per la missione nel nostro territorio (vedasi 2 a parte Lettera Pastorale) C) Vivere la missione in terre lontane, come intensificare far crescere la comunione e lo scambio reciproco con la Diocesi di Dodoma in Tanzania. Sicuro di una vostra corale partecipazione vi auguro di poter vivere con frutto il prossimo Mese Missionario. +Simone, Vescovo D I medici di base in Italia sono 1 ogni 1000 abitanti; in Tanzania c’è un medico ogni 50.000 abitanti Domenica 7 ottobre alle 15.30 nella chiesa di S. Andrea «Ho creduto, ho parlato» Il Convegno missionario diocesano Nelle foto: in alto suor Gemma durante la visita di monsignor Giusti inTanzania, il gruppo delle suore della congregazione di Santa Gemma ed un’immagine di suor Gemma durante il suo soggiorno in Italia, insieme a Zita Falleni e monsignor Ablondi L’INTERVISTA A Suor Gemma Kitiku Mkondoo Il materiale per l’animazione missionaria delle Comunità é da tempo sul sito www.mis- sioitalia.it come già annuncia- to, il materiale cartaceo é riti- rabile presso la Curia.

L'Intervista a Suor Gemma

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L'intervista a Suor Gemma (La Settimana, 23 settembre 2012)

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Page 1: L'Intervista a Suor Gemma

uor Gemma harisposto alle nostredomande tramiteemail: abbiamo

avuto fortuna perchè èattualmente impegnatanegli esercizi spirituali equindi ha un po’ più ditempo a disposizione,altrimenti, visto il suoimpegno continuo inospedale, avremmo dovutoattendere molto più tempo.Un grazie a Paolo Sianiche ha tradotto l’intervista:suor Gemma conosce benela nostra lingua, ma perrisparmiare tempo ci harisposto in Swahili. Ecco lesue considerazioni.

Monsignor Giusti èrimasto colpito dallavostra dedizione e dal

vostroimpegno,cosa significafare la suorain Tanzania esoprattuttofare ilmedico?«In Tanzania icristiani sonocirca il 40%dellapopolazione.Nonostantequesto nonsolo icristiani, matutta lapopolazionetanzanianaha unagrande stimadelle suore.La gente civede

impegnate nel servizioai più poveri, senza faredistinzioni, e quindipenso che riescano acapire la nostravocazione anche se sonodi fedi diverse.Per questo ci sentiamodavvero missionarie,perché riusciamo adannunciare il Vangeloattraverso la nostratestimonianza. Io comemedico poi ho unaresponsabilità in più.Quando facevo il miotirocinio all’Universitàdi Pisa alle volte ciritrovavamo in 4 o 5

medici intorno ad ununico malato e lestatistiche dicono chesolo i medici di base inItalia sono 1 ogni 1000abitanti. In Tanzania c’èun medico ogni 50000abitanti. Quandoabbiamo iniziato ilnostro ospedale erol’unico medico, ora hoqualche aiuto in più, maè inutile dire chedobbiamo esseresempre a disposizione24 ore su 24».

Com’è strutturato ilcentro dove vivete elavorate? Quali sono ivostri bisogni?«L’Ospedale S. GemmaGalgani di Mijuji è natocome un piccoloospedale missionario,ma il Governotanzaniano ci ha chiestoche diventasse ospedaleDistrettuale dato chequesta zona dellaRegione di Dodomanon aveva questoservizio. All’inizioquindi avevamo solo ladegenza per lepartorienti ed un repartodi medicina generale.Ora piano piano cistiamo organizzando edabbiamo già in funzioneuna sala operatoria perpiccoliinterventi esoprattuttoper potereffettuare iparti cesarei.Abbiamoanche unlaboratorio dianalisi, unambulatoriodentistico, unecografo(l’unicoeffettivamentefunzionante in tutta laRegione) ed a breveentrà in funzionel’apparecchiatura diradiografia.Mancano ancora diversestrutture sia per ladegenza che per la cura,oltre che molteattrezzature. Il fattorelimitante sono sempre isoldi. Ma con l’aiuto

della Provvidenzasperiamo di andareavanti. In swahili si dice“pole pole” (pianopiano). Passo dopopasso cerchiamo di darerisposta alle esigenze deinostri malati».

Siete in contatto conl’Italia? Lei che hastudiato qui da noi cosaricorda di quelperiodo?«Certamente, siamo incontatto con l’Italia.Soprattutto conparrocchie e gruppimissionari, ma anchecon singoli laici emedici. In particolareLivorno per me è semprestato un punto diriferimento. Quando

vengo inItalia nonho maimancato divenire atrovare ivescovi chesi sonosuccedutiin questianni.Ancora nonconoscevomons.Giusti e mi

ha fatto molto piacerericeverlo in visita alnostro ospedale.Non posso dimenticareZita Falleni che mi hainsegnato l’italiano e miè sempre vicina. Poi laParrocchia del S. Rosariocon il suo gruppomissionario. E senzadubbio il CentroMondialità che ci

procura molto materialesanitario e cura laspedizione deicontainers. Ma anchetanti altri che in tantimodi ci sostengono.Ho un ricordo moltobello della miapermanenza a Livorno(ero ospite delle Suoredi Villa Tirrena). Anchese chi mi conosce sa chefremevo per potertornare al più presto daimiei malati inTanzania».

Come possiamo da quisostenere le vostreopere?«Come dicevo cimancano ancora moltestrutture e l’unica nostrarisorsa sono ibenefattori. Ci mancanoanche apparecchiature esuppellettili perospedale, materialesanitario di consumo,medicine, ecc.. Poi c’è ilproblema deicontainers. Ancheattualmente il CentroMondialità ha giàraccolto del materiale,ma non riesce adinviarcelo per mancanzadi fondi. Lapreparazione e l’invio diun container costa piùdi 10.000 euro. Inoltreavremmo bisogno dimedici che mettessero adisposizione il loroservizio anche per breviperiodi presso il nostroospedale».

Ci racconta qualchebell’episodio che le ècapitato in questi anni?

«Ce ne sono tanti, comequello di circa un annofa quando siamo riuscitia salvare una donna edil suo bambinoeffettuando il primotaglio cesareo appenainaugurata la salaoperatoria. Mal’episodo, purtroppotragico, che ha dato unaspinta alla miavocazione di medico èsuccesso quando eroancora medical assistent(assistente medico)responsabile deldispensario di unamissione sperduta nellasavana. Arrivò all’albauna donna trasportatadai parenti. Madre disette figli, avevapartorito nella suacapanna. Purtroppoaveva avutoun’emorragia e quandomisurai la pressionesanguigna era prossimaallo zero. Avrei saputofare una trasfusione, manon avevo l’attrezzaturanecessaria. Chiesidunque a Paolo Siani(allora volontario nellanostra Diocesi), che sitrovava lì per caso, sepotevamo tentare iltrasporto all’ospedalepiù vicino col suofuoristrada.Naturalmente disse di sìe subito partimmo perun viaggio di tre ore sudi una pista piena dibuche. Arrivati a soli 10minuti dall’ospedale ladonna morì. Penso chesiate d’accordo con meche al giorno d’oggi nonsia più accettabile cheuna madre di otto figlimuoia perché non hapotuto usufruire di unminimo di assistenza.Non ci deve più esserepiù gente al mondo chemuore di “povertà”!»

Al termine dell’intervista,suor Gemma si rivolge cosìai nostri lettori: «Un carosaluto e un grazie a tuttala Diocesi di Livorno perquello che ha fatto e chefarà per il nostroospedale»

c.d.

S

LA SETTIMANA DI LIVORNOTOSCANA OGGI23 settembre 2012II

«POLE, POLE...CON L’AIUTO

DELLAPROVVIDENZA»

Suor Gemma, della Congregazionedi “S. Gemma Galgani”della Diocesidi Dodoma, direttrice dell’Ospedale

Missionario S. Gemma Galgani diMiyuji, risponde alle nostre domande

sul suo impegno in Tanzania

a pochi giorni sono tornatodall’Africa, dalla Tanzania, dalla

diocesi di Dodoma con la quale lanostra diocesi ha rapporti dicomunione e di collaborazione damolti decenni. Ho vissuto questa esperienza con gliamici dell’Ufficio MissionarioDiocesano.È una storia iniziata da Mons. Ablondie continuata da tanti preti e laici dellanostra Chiesa in particolare dalCentro Mondialita’ SviluppoReciproco. É stata un’esperienzaarricchente soprattutto perchéabbiamo incontrato una chiesa chetenta e sembra con successo, aincarnare il Vangelo nella cultura delproprio popolo e a dare vita aparrocchie dove la vita fraterna sia unaesperienza condivisa e caratterizzantela Comunità Parrocchiale. OgniParrocchia é articolata e animata dainnumerevoli comunità ecclesiali dibase. Certo il modello Tanzanianonon é certamente esportabile aLivorno ma ci dona certamente unostimolo a rinnovare in senso semprepiù comunitario le nostre parrocchie.Per questo domenica 7 Ottobrecercheremo di riflettere su comearticolare in senso più fraterno emissionario le nostre comunitàparrocchiale e tutta la nostra ChiesaLocale.

IL CONVEGNO SI ARTICOLERÀ SU TRE MOMENTI:

1. La veglia missionaria nella qualechiederemo a Dio la grazia per viverela missione e rifletteremosull’esperienza che con UfficioMissionario abbiamo vissuto inAfrica.

2. L’ascolto di un’esperienza in atto inItalia per rendere più missionaria efraterna la Comunità Parrocchiale,saranno con noi gli amici di S.Eustorgio a Milano con il loroparroco, don Piergiorgio Perini

3. L’approfondimento per ambiti ditestimonianza:

A) UnaParrocchiacomunitàeucaristicaformata dacomunitàecclesiali di base.

B) Annunciare ilVangelo ai noncristiani aLivorno, forme emodi per lamissione nelnostro territorio(vedasi 2a parteLettera Pastorale)

C) Vivere lamissione in terrelontane, comeintensificare farcrescere lacomunione e loscambioreciproco con la Diocesi di Dodomain Tanzania.

Sicuro di una vostra coralepartecipazione vi auguro di potervivere con frutto il prossimo MeseMissionario.

+Simone, Vescovo

D

I medicidi base inItalia sono 1 ogni 1000abitanti; in Tanzaniac’è un medicoogni 50.000abitanti

Domenica 7 ottobrealle 15.30 nella chiesadi S. Andrea

«Ho creduto,ho parlato»Il Convegnomissionariodiocesano

Nelle foto: in altosuor Gemma durantela visita di monsignorGiusti in Tanzania, ilgruppo delle suoredella congregazionedi Santa Gemma edun’immagine di suorGemma durante ilsuo soggiorno inItalia, insieme a ZitaFalleni e monsignorAblondi

L’INTERVISTA ASuor Gemma Kitiku Mkondoo

Il materiale per l’animazionemissionaria delle Comunità éda tempo sul sito www.mis-sioitalia.it come già annuncia-to, il materiale cartaceo é riti-rabile presso la Curia.