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1 Dogma e Liturgia 2016 numero 2 - anno 9 - www.liturgiaculmenetfons.it Associazione Culturale “Amici della Liturgia” LITURGIA CULMEN ET FONS

LITURGIA · liturgia della Chiesa non crea la fede cattolica, ma la suppone, e da questa derivano, come frutti ... (dossologia minore); ecc. In particolare potremmo considerare nella

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Dogma e Liturgia2016 numero 2 - anno 9 - www.liturgiaculmenetfons.itAssociazione Culturale “Amici della Liturgia”

LITURGIA“CULMEN ET FONS”

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n.2- 2016 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

IN QUESTO NUMERO

3 DOGMA E LITURGIA

don Enrico Finotti

8 LE DOMANDE DEI LETTORI

a cura della Redazione

11 ADORARE IL PADRE IN SPIRITO E VERITÀ

mons. Antonio Livi

14 IL CANTO DELLA CAPPELLA MUSICALE NELLA

CELEBRAZIONE EUCARISTICA

maestro Aurelio Porfiri

17 “PER MOLTI” O “PER TUTTI” ?

Congregazione del Culto - Benedetto XVI

______________________

LITURGIA “CULMEN ET FONS”

Rivista trimestrale di cultura religiosa a cura della AssociazioneCulturale Amici della Liturgia via Stoppani n. 3 - Rovereto.

Registraz. Tribunale di Trento n. 1372 del 13/10/2008

Direttore Responsabile: Massimo Dalledonne.

Tipografia “Centro Stampa Gaiardo” Borgo Valsugana (TN)

Redazione: Liturgia ‘culmen et fons’ - Editrice FEDE & CULTURAviale della Repubblica n. 15, 37126 - VR

REDAZIONEd. Enrico Finotti, Sergio Oss, Marco Bonifazi, Ajit Arman, PaoloPezzano, Mattia Rossi, Giuliano Gardumi, Fabio Bertamini.

CONTATTILiturgia ‘culmen et fons’ - via Stoppani, 3 - 38068 Rovereto(TN) - Posta elettronica: [email protected]: 389 8066053 (telefonare dopo le ore 15.00)

RIVISTA ON-LINE: www.liturgiaculmenetfons.itPer accedere agli ultimi due numeri della Rivista in formatoweb e pdf., digitare la seguente password : 5 1 7 8La Rivista è su Facebook.

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LITURGIA “CULMEN ET FONS”

LE IMMAGINI DI QUESTO NUMERO

Le immagini di questo numero della rivista sonotratte dalle opere del pittore Tiziano Vecellio (Pievedi Cadore, 1480/1485 – Venezia, 27 agosto 1576),cittadino della Repubblica di Venezia.Esse descrivono i principali misteri della fede cristiana:incarnazione, passione e morte, risurrezione del Signoree discesa dello Spirito Santo. Le connessioni con il temadi questo numero sono evidenti:1. Il dogma cristiano coincide con la narrazione dell’“evento Cristo”, contenuto nella Scrittura e nellaTradizione apostolica e interpretato fedelmente dalMagistero della Chiesa. La dottrina, «contiene e conservail ricordo di Gesù. Ed è un ricordo che, essendo il ricordodi colui che è stato risuscitato e innalzato dal Padre allasua destra, di colui che ha anticipato la fine dei tempi, èanche profezia: ci consegna la chiave del futuro. Essendomemoria e profezia, la dottrina ci dona un ritmotemporale…, perché ci insegna la cadenza dei passi diCristo, che ricapitolano tutti i tempi e tutti i racconti» (J.Granados).2. La liturgia è la riproposizione sacramentale del misterodi Cristo con lo scopo preciso di premettere a noi dicoglierne i frutti qui ed ora.Il nesso tra dottrina e liturgia è sintetizzato in modoefficace nella celebre espressione dei Padri - lex orandi,lex credendi. «Vincolato strettamente al rito, il dogmanon sarà mai una teoria astratta, separata dall’azione,ma acquisterà la forma di racconto («Fate questo inmemoria di me»), incarnato nella vita concreta e materiale(«questo è il mio corpo... questo è il calice del miosangue»).La dottrina «si pone al servizio dell’incontro sacramentale,deriva da esso, è fatta per custodirlo». Non c’è dottrina,pertanto, che non abbia valenza liturgica e che non possaessere ricondotta alla liturgia ed in particolareall’Eucaristia.

Pagina 1, Il tributo della moneta (Cfr. Mt 17,24-27), oliosu tela 112 x 103 cm, 1560-68, National Gallery, Londra.Pagine 4-5, Annunciazione, particolare del Polittico dellaRisurrezione, 1520-22, olio su tela 278 x 122 cm, SantiNazaro e Celso, Brescia.Pagine 6-7, Madonna con Bambino e Santi, 1530, oliosu tela 101 x 142 cm, National Gallery, Londra.Pagina 8, Cristo Redentore, 1533-34, pittura su tavola,77 x 57 cm, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze.Pagina 11, Incoronazione di spine, 1542, olio su pannello,303 x 181 cm, Musée du Louvre, Parigi.Pagina 12, Adamo e Eva, c. 1550, olio su tela, 240 x 186cm, Museo del Prado, Madrid.Pagina 12, Crocifissione, 1558, olio su tela, 371 x 197cm, Museo Civico, Ancona.Pagina 14, Risurrezione, 1542-44, olio su tela, 163 x 104cm, Palazzo Ducale, UrbinoPagina 15, Noli me tangere, 1511-12, olio su tela, 109 x91 cm, National Gallery, Londra.Pagine 16-17, Cena di Emmaus, c. 1530, olio su tela,169 x 244 cm, Musée du Louvre, Parigi.Pagine 16-17, La discesa dello Spirito Santo, c. 1545,olio su tela, 570 x 260 cm, Santa Maria della Salute,Venezia.

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Dogma e Liturgiadon Enrico Finotti

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Il rapporto tra il dogma e la liturgia, ossia tra leverità da credere e il culto da celebrare, èmirabilmente espresso dall’antico assioma di S.Prospero di Aquitania, che conclude una suaconsiderazione sulla liturgia, celebratauniformemente in tutta la Chiesa, con l’espressione:ut legem credendi lex statuat supplicandi 1

(«aff inché la legge della preghiera determini lalegge della fede»).

Se l’assioma è letto nel suo contesto originale se necapisce con chiarezza il senso autentico. L’Autoreintende dire certamente che la legge dellapreghiera stabilisce la legge della fede, ma nel sensoche la liturgia vera contiene il dogma della fede, lomanifesta e lo attesta. E’ in tal modo un locustheologicus di prim’ordine.

Sovente, tuttavia, l’espressione viene citata fuori dalsuo contesto e considerata isolata in se stessa. Daciò i molti equivoci nella sua retta interpretazione,che richiedono una spiegazione più precisa per noncadere in errore.

Nasce spontanea la domanda: è il dogma chestabilisce la liturgia o è la liturgia che stabilisce ildogma? A chi spetta il primato?

Pio XII dichiara con sicurezza: «Se vogliamodistinguere e determinare in modo generale edassoluto le relazioni che intercorrono tra fede eliturgia, si può affermare con ragione che la leggedella fede stabilisce la legge della preghiera»2 - enella Costituzione apostolica Munif icentissimusDeus ribadisce in modo ancor più esplicito: «laliturgia della Chiesa non crea la fede cattolica, mala suppone, e da questa derivano, come fruttidall’albero, le pratiche del culto […]»3.

L’antico assioma, quindi, nel suo contesto originaleafferma certamente una verità: ossia che dal mododi pregare si colgono le verità in cui credere, oppureche nel rito si manifesta il Credo e il Credo si riflettenel rito. Ma qualora l’assioma venisse estratto dalsuo contesto esige di essere formulato in mododiverso, invertendo i termini: legem supplicandi lexstatuat credendi. E’, infatti, la legge della fede chestabilisce la legge della preghiera, conforme alladichiarazione sopra citata del magistero di Pio XII.

Per completezza potremmo anche osservare che laparte più intima della liturgia, colta nel suo livellopiù profondo e originale, lì dove esce direttamente

dall’istituzione del Signore, quale è la sostanza delSacrif icio e dei sacramenti, costituisce il dogmadella fede nel suo sorgere e f issa i suoi contenutinel tessuto stesso di queste azioni primordiali createdirettamente dal Redentore. In tal senso e a questolivello iniziale potremmo anche dire che la lexsupplicandi stabilisce la lex credendi. Come, infatti,il dogma della fede scaturisce non da un’ideainfusa ma dall’incontro col Verbo fatto carne enell’Incarnazione riceve la sua forma e il suolinguaggio, così di rif lesso la liturgia nella suasostanza di istituzione divina è il medesimo cultodel Verbo incarnato, che già contiene e dà formaal dogma della fede e in quanto tale è locustheologicus costitutivo (e non solo interpretativo)del dogma della fede.

Fatta questa importante premessa vediamo alcuniesempi di come il dogma si rifletta nella liturgia,sia nei contenuti delle preci, sia nelle forme deiriti. Se consideriamo solo i dogmi principali dellanostra fede, quali la Trinità e l’Incarnazione, sivedono subito le leggi fondamentali chestrutturano il rito liturgico.

Il dogma trinitario e la liturgia

La regola d’oro di ogni orazione, sia nell’eucologiamaggiore (prefazi e Canone), sia nell’eucologiaminore (tutte le altre preci) è costituita su questoschema: ad Patrem, per Christum, in Spiritu. E’nota a tutti i fedeli la formula protocollare con cuisi conclude ogni orazione: Per Dominum nostrumIesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit etregnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omniasaecula saeculorum. R. Amen.

L’orazione liturgica è sempre rivolta al Padre, permezzo del Figlio, nello Spirito Santo. In tal modoil dogma della santissima Trinità si riflette nellaliturgia e offre ad essa la modalità fondamentaleper impostare in modo corretto il culto santo.Questa modalità proviene dall’esempio del Signorestesso che, come mediatore tra Dio e gli uomini,sempre si rivolgeva al Padre (Gv 17, 1: «Gesù, alzatigli occhi al cielo, disse: “Padre, è giunta l’ora,glorif ica il Figlio tuo, perché il Figlio glorif ichite”») nella potenza dello Spirito (Lc 10, 21: «Inquello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santoe disse: “Io ti rendo lode, Padre, Signore del cieloe della terra…”»).

Possiamo riconoscere nel protocollo terminaledella prece eucaristica (Canone) l’espressione piùalta di questa regola di orazione: Per ipsum, et cumipso, et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti, inunitate Spiritus Sancti, omnis honor et gloria, peromnia saecula saeculorum. R. Amen.

Alla luce del dogma della Trinità divina si ispiranotutti i principali elementi della liturgia: la formuladel battesimo; la struttura delle preci eucaristiche(Canone) e delle preci sacramentali; l’impostazione

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trinitaria della professione di fede (CredoApostolico e Niceno-costantinopolitano); il segnodella croce iniziale e la benedizione f inale; gli inniGloria in excelsis Deo (dossologia maggiore) e TeDeum laudamus; il semplice Gloria Patri(dossologia minore); ecc.

In particolare potremmo considerare nellamutazione avvenuta nel Gloria Patri, un esempiochiaro di come le formule liturgiche risentanodello sviluppo del dogma o comunque della suamigliore def inizione. Infatti la formula anticarecitava: Gloria Patri per Filium in Spiritu Sancto,secondo la regola generale dell’orazione liturgica.La crisi provocata dall’eresia ariana, che attentavaalla divinità di Cristo, ha spinto la Chiesa ariformulare il Gloria Patri in questo modo: GloriaPatri et Filio et Spiritui Sancto. E’ la dossologiaancor attuale, che tutti i fedeli recitano. In essa sivolle assicurare maggiormente e in modo piùesplicito sia la divinità del Figlio (della stessasostanza del Padre), sia quella dello Spirito Santo(che è Signore e dà la vita), che in tal modo sonoriconosciuti pienamente nella loro identità dipersone distinte pur nella ineffabile unità dellanatura divina. Dalla crisi ariana furono ammessenella liturgia anche alcune orazioni rivoltedirettamente al Cristo per affermare con maggiorvigore la sua divinità, che lo rende uguale al Padree scongiurare ogni dubbio insinuato dagli eretici(es. Domine Iesu Christe, qui dixisti Apostolistuis…).

Il dogma dell’Incarnazione

e la liturgia

La liturgia ricorre all’uso di elementi e segni visibilinon in primo luogo per servirsi di un linguaggioespressivo più vario, ricco ed eff icace, ma per fedeltàal dogma dell’Incarnazione del Verbo, che si è fattocarne. Questo vale in modo particolare per i settesacramenti per i quali sono necessarie le cose visibilidella creazione, per metterci a contatto col misteroinvisibile ed elevarci alle realtà eterne. E’ il Signorestesso che volle operare la nostra salvezza nonlimitandosi ad assumere la nostra carne, ma anchead agire su di noi mediante l’impiego dei tantielementi della creazione. E’ Lui infatti che dàall’acqua del battesimo la forza di santif icare etrasforma con la sua parola divina il pane e il vinonel suo Corpo e nel suo Sangue. Ciò che Lui perprimo fece lo comandò agli Apostoli, aff inché locompissero f ino alla consumazione del tempo. Lastruttura, quindi del divin Sacrif icio e deisacramenti riflette il dogma dell’Incarnazione percui ciò che era visibile nel nostro Redentore èpassato nei suoi sacramenti (cfr. S. Leone Magno).La materia dei sacramenti (acqua, olio, pane, vino,ecc.) e tutte le altre realtà creaturali, che la Chiesa,in continuità con l’esempio e il comando delSignore, assume nella sua liturgia, dichiarano laverità dell’Incarnazione del Verbo, per la quale nonpossiamo accedere all’invisibile maestà del Padresenza passare attraverso l’umiltà visibile della carneumana del Signore, che continua a comunicare connoi mediante la ‘materialità’ degli elementisacramentali trasformati dalla potenza di grazia

fluente dalla parola stessa del Signore (Acceditverbum ad elementum et f it sacramentum). Perquesto la Chiesa sempre parla il linguaggio deisegni e non si schermisce davanti all’umiltà e allafragilità delle creature, sapendo che medianteesse ha accesso al suo Creatore e Redentore. Unaliturgia ridotta a sermone, dove la dimensionerazionalistica sembra prevalere ed estinguereogni rito e simbolo, non solo contrasta collinguaggio umano che si esplica nelle parole, maanche in gesti, sguardi, simboli, movimenti,colori, sapori e quant’altro, ma si oppone aldogma stesso dell’Incarnazione, che attesta comela nostra salvezza venne nell’incontro reale conl’uomo Gesù di Nazareth nel quale «abitacorporalmente tutta la pienezza della divinità»(Col 2, 23). Una liturgia dove la parola (forma)prevalesse sugli elementi (materia) e pretendessedi esaurire in se stessa ogni espressione cultuale,prima ancora di offendere la tradizione liturgicasecolare della Chiesa, si troverebbe a negarel’economia divina che venne incontro a noi «coneventi e parole intimamente connessi» (DV2) inun misterioso, ma reale itinerario storico, la storiadella salvezza, che in Cristo ebbe la sua più altaed insuperabile manifestazione. I sacramentisono infatti quei gesti corporei che ci toccano

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realmente e che comunicano a noi la virtus divinadella Grazia che ci salva. Per questo la Chiesa devecontinuamente sottomettersi al rito, rispettandolonella sua identità e sacralità, in quanto da essoscaturisce quello sguardo di misericordia e queltocco salvif ico che il Signore risorto continua arivolgerci con la mediazione visibile dellecelebrazioni liturgiche. In qualche modo la Chiesadeve ripetere con insistenza ai suoi f igli ciò che iservi dissero a Naaman Siro: «Padre mio, se ilprofeta ti avesse ordinato una cosa diff icile, tu nonl’avresti fatta? Quanto più ora che egli ti ha detto:“Làvati, e sarai guarito”?» (2 Re 5, 13). Sono le stesseparole che il Signore rivolse a Nicodemo: «Inverità, in verità ti dico, se uno non nasce da acquae da Spirito, non può entrare nel regno di Dio».(Gv 3, 5). E quelle che pronunziò nella sinagogadi Cafarnao: «Se non mangiate la carne del Figliodell’uomo e non bevete il suo sangue, non avretein voi la vita» (Gv 6, 53).

Ed ecco allora come si chiarisce che la formarituale dell’intera liturgia è stabilita dalla modalitàstessa con cui il Verbo eterno ha voluto abitare inmezzo a noi per salvarci. San Tommaso d’Aquinofissando il trinomio materia, forma e ministro nonfa’ che esprimere in concetti sistematici il dogmastesso dell’Incarnazione, così come continua adattualizzarsi in mysterium nella celebrazioneliturgica. Tale dogma quindi da’ forma alla liturgia,che a sua volta lo riflette fedelmente in ogni suadimensione.

Il dogma ecclesiologico e la liturgiaOgni fedele che partecipa alla liturgia sa che ci sirivolge a Dio col “noi” (prima persona plurale).Infatti il sacerdote dice: «Preghiamo» (oremus) o«Il Signore sia con voi» e non «con te». Le orazioniliturgiche insomma hanno un soggetto pluraleperché è la Chiesa in quanto tale - l’intero popolodi Dio, l’assemblea qui convocata e al contempouniversale - che si rivolge al Padre per mezzo diCristo nello Spirito. Già il Signore stesso invitò isuoi discepoli a dire: «Padre nostro». La preghieraliturgica è dunque un culto pubblico e comunenel quale ognuno interviene nella sinfonia di tutti:Capo (Cristo) e corpo (Chiesa), ministri e popolo,vivi e defunti, tutti sono contenuti nel «noi» dellaliturgia, a tutti è rivolto l’invito Oremus e tuttisono chiamati a ratif icare l’orazione con l’Amen.

Il dogma «Credo la Chiesa una, santa, cattolica eapostolica», a cui asseriamo nella professione difede, si esprime nella celebrazione liturgica proprionel momento in cui tutti insieme con un cuor soloe un’unica voce lodiamo e supplichiamo il Signorein intima comunione col «noi» della Chiesa.

Questo fatto esige che la liturgia sia oggettiva, ossiache i contenuti, le forme e gli intenti dei riti e dellepreci siano in tutto conformi al pensiero di Coluiche è il soggetto stesso della liturgia: Cristo

indissolubilmente unito alla Chiesa sua sposa. Lalegge dell’oggettività è basilare nella liturgia ed essadeve assicurare che tutto sia conforme al dogmadella fede, il quale non è altro che il pensiero stessodel Signore così come egli ce lo ha rivelato. Infatti,appena lo si dovesse sostituire con un contenutodiverso, soggettivo e conforme a ideologie osensibilità private, la liturgia perderebbeimmediatamente la sua forza in quanto nonpotrebbe più presentarsi al Padre in nome di Cristo,né essere tramite di quella grazia divina che solonella conformità e fedeltà a Cristo ci viene elargitadal Padre nella potenza dello Spirito Santo.

Da questo principio si comprende bene quanto siarischioso e talvolta iniquo ogni tentativo disovversione dell’oggettività liturgica, in quantorivela la pretesa di accedere a Dio, senza lamediazione di Cristo e senza la umile sottomissioneal suo pensiero: «Nessuno viene al Padre se nonper mezzo di me» (Gv 14, 6).

Infatti, idee peregrine e gusti privati oscurano quellanobile verità e quella mirabile arte che risplendononel dogma riflesso nelle preci liturgiche e nessunfedele deve subire l’ingiustizia di dover ratif icaresuo malgrado testi e riti i cui contenuti fossero alienidall’oggettivo pensiero di Cristo e difformi dalla fedesempre professata dalla Chiesa.

La sostituzione del vero soggetto della liturgia è unpericolo ricorrente, che si palesa ogni volta che siaccredita la propria sensibilità religiosa o ideologicacontro il dogma della fede con una presuntuosainterpretazione soggettiva del culto divino intesopiù come espressione psicologica della nostra

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esperienza che neanche quale deve essere: ilriflesso fedele ed integro del pensiero e delle leggistabilite dal Signore.

Il «Noi» liturgico quindi ci richiamacontinuamente a vigilare su noi stessi, sullenostre opinioni e sulle nostre sensibilità, perverif icarci continuamente sui contenuti oggettividella parola di Dio, che riceviamo dal dogma dellafede e dalla regola del culto così come il Signorestesso lo vuole e lo celebra davanti alla maestàdel Padre suo.

Il piccolo «io» individuale e anche il «noi quiconvocati» devono entrare con determinazionenel sublime «Io» di Cristo-capo e nel grande«Noi» della Chiesa, suo «Corpo mistico», in modoche il «Cristo totale» soggetto vero, unico ecompleto delle azioni liturgiche, offra al Padrel’unico sacrif icio gradito alla sua inf inita Maestàe il solo culto che può accedere al santuarioceleste.

Non che sia assente l’orazione individuale, infattile molteplici preghiere silenziose assegnate alcelebrante (apologie) impegnano il sacerdotestesso ad unire al culto pubblico il suo interioreanelito spirituale e insieme il suo esempio di pietàstimola pure nei fedeli la devozione interiore. Inparticolare gli spazi di silenzio (sacrum silentium)previsti dal rito sono orientati ad interiorizzarela grazia divina e a far risuonare nel cuore diognuno la parola annunziata a tutti. Veramentein questo modo componendo insieme in mirabileintreccio il culto oggettivo ed esteriore, conformeal dogma, con le vibrazioni soggettive ed interioridi ciascun fedele si manifesta qui ed ora il

mistero della Chiesa, che attualizza l’opera dellanostra Redenzione.

Ecco in che modo il brevissimo «Noi» liturgicobasti a dichiarare l’intima connessione del cultocol dogma ecclesiologico, consentendo ai fedeli dipercepire e vivere realmente nella celebrazioneliturgica il mistero dell’ «essere Chiesa».

A questo punto abbiamo visto come tre leggifondamentali della liturgia siano radicate in tredogmi primari della nostra fede: la regola dellapreghiera liturgica ad Patrem, per Filium in Spirituscaturisce dalla rivelazione del dogma dellasantissima Trinità nella storia della salvezza; lastruttura rituale della liturgia composta di parole(verbum) e simboli tolti dalle realtà create(elementum) mutua la sua giustif icazione neldogma dell’Incarnazione (Et Verbum caro factumest) per cui si realizza de facto nella liturgia l’anticoassioma Caro cardo salutis («La carne è il cardinedella salvezza»); il soggetto della liturgia - Cristoin indissolubile unione con la Chiesa, suo misticocorpo di cui ogni battezzato fa parte - è dichiaratodal «Noi» al quale sempre la liturgia ricorre nellaformulazione delle sue preci, ribadendo in talmodo il dogma ecclesiologico.

Il dogma eucaristico e la liturgia

Basterebbero le considerazioni f in qui fatte perdimostrare il rapporto dogma e liturgia. Tuttaviauna ulteriore disamina sul dogma eucaristico rivelain modo ancor più evidente questo singolarerapporto per cui la liturgia è intimamente pervasa

dalla fede della Chiesa ecome una docile creta silascia plasmare dagli assertidogmatici del «Credo»mano a mano che il dogmastesso si sviluppa e siapprofondisce in modocoerente ed omogeneo sottola mozione dello SpiritoSanto nel corso dei secoli.

E’ bene ricordare innanzi-tutto che il dogma eucaristi-co non si limita alla «pre-senza reale», ma contienenel suo patrimonio geneticoi tre contenuti tra loroindissolubili: «la reale pre-senza», «il sacrif icio» e il«convivio». Le tre dimen-sioni, che secondo laterminologia tridentina siesprimono nei termini: pre-senza, sacrif icio e sacra-mento, appartengono al

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patrimonio dogmatico def inito della fede dellaChiesa. Per di più non è possibile una teologia euna catechesi eucaristiche, equilibrate e complete,senza l’assunzione unitaria e insieme distinta ecorrelata di questi tre aspetti dell’unico dogma.

La «Presenza reale», sempre ritenuta f in dalleorigini, appena subisce la minaccia dell’eresia(Berengario, Lutero, ecc.), viene esplicitata non solocon più precise formulazioni dottrinali (cfr.Concilio Tridentino: «Presenza vera, reale esostanziale»), ma anche con specif iche creazionirituali: si pensi all’elevazione nella Messa persuscitare l’adorazione contemplativa dei fedeli; lacreazione di tabernacoli monumentali e di ostensoripreziosi; l’istituzione di feste come quella del CorpusDomini. La liturgia di questa solennità e inparticolare la Sequenza Lauda Sion rimangono unmodello del tutto singolare del rapporto tra ildogma e la liturgia.

Il «Sacrif icio della croce», che si attua in modoincruento sull’altare, rifulge innanzitutto nelcarattere sacrif icale degli embolismi ciclico-ascendenti del Canone Romano, che realizzano nelmistero il Sacrif icio sacramentale. Anche ilcomplesso delle orazioni superoblata offre un vastocampionario in merito. Oltre che dalle preci, talecarattere viene reso visibile anche nei segni dellaliturgia: l’altare in pietra, che come l’ara sacrif icalesta in alto; la croce che si erge al centro dell’altare;l’elevazione eucaristica intesa anche comeespressione visibile del moto ascendente dell’offertaad Patrem da parte di Cristo e della Chiesa.

La «Comunione al sacramento del Corpo e Sanguedel Signore» ha sempre avuto espressioni liturgichedi immediata comprensione: dalla tovaglia checopre la mensa dell’altare alla balaustra intesa comemensa per i fedeli. L’insieme delleorazioni dopo la santa Comu-nione (postcommunio) raccogliela fede secolare della Chiesariguardo alla recezione delsacramento, ai frutti di graziaconnessi e alle disposizionirichieste per una Comunionedegna e fruttuosa.

Conclusione

Ciò che qui si è dimostrato conl’analisi di come importantidogmi abbiano inf luito suicontenuti e le forme dellaliturgia, potrebbe essere asseritoe applicato a tutti gli altri dogmidella fede, che in modi analoghia quelli qui descritti hannolasciato la loro impronta nellaliturgia. Ogni festa ed ogni temposacro riceve f isionomia dal

mistero del dogma che viene celebrato e sempre ilculto divino si ispira e traduce i connotatidottrinali e le aspirazioni spirituali dell’interopatrimonio dogmatico della Chiesa.

Non è possibile quindi celebrare fruttuosamentela liturgia senza una previa formazione dottrinale.La teologia della liturgia è quindi una condizioneindispensabile per accedere al rito, percomprenderlo, per riceverne i contenuti mistici ebenef icare della grazia specif ica dei santi misteri.

Senza dogma la liturgia scade in un fragile teatrodell’eff imero dove la nostra fluttuante psicologiasi affatica in una estenuante rincorsa sentimentaledi una ricerca religiosa mai conclusa e maisoddisfatta, dove ognuno si bea nel piccolo mondodelle proprie ingannevoli sensazioni. Questo è iltriste inganno del soggettivismo insito in ogniabuso liturgico, per il quale tuttavia non ha alcunsenso l’Incarnazione del Verbo nella realtà f isica,def inita ed oggettiva della nostra carne e dellanostra storia.

-----------------------------------------------1 «…obsecrationum quoque sacerdotalium sacramentarespiciamus, quae ab apostolis tradita, in toto mundo atquein omni catholica Ecclesia uniformiter celebrantur, utlegem credendi lex statuat supplicandi», PL 51, pp. 209 –2010.2 M. RIGHETTI, Storia liturgica, I, p. 36: «La liturgia, scrive ilPp. Pio XII, non determina, né costituisce in sensoassoluto e per virtù propria la fede cattolica, ma piuttosto[…] può fornire argomenti e testimonianze di non pocovalore per chiarire un punto particolare della dottrinacristiana».3 PIO XII, Munif icentissimus Deus, Costituzione apostolica,1 novembre 1950, AAS 42 (1950) p. 760.

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Le domande dei lettoriA cura della Redazione

1. In seminario ci è stato insegnato che laliturgia deve essere intesa facilmente dallagente, ma spesso nei suoi testi vi sono terminitecnici, propri della teologia sistematica. Nellenuove edizioni del libri liturgici si nota uncontinuo sforzo per proporre traduzionisempre più confacenti al parlare comune.Come rispondere a questo bisogno senzaindulgere ad un fastidioso e continuomutamento di linguaggio? (Un parroco)

Una delle più comuniperplessità che vengonopresentate quando si parla delrapporto dogma e liturgia èproprio quella del linguaggioteologico, ritenutoincompatibile con l’intentopastorale della liturgia, chedovrebbe ricorrere il piùpossibile al linguaggiocorrente.

In verità questa esigenzasembra essere dibattuta ormaisoltanto nell’ambienteecclesiale e parrebbe ridursi adun retaggio dell’immediatopostconcilio, quando siriteneva, nell’entusiasmo unpo’ affrettato della riformacatechistica e liturgica, didover attingere ogni terminedall’uso quotidiano (si pensialla traduzione della Bibbia inlingua corrente).

Nella vita odierna non ci si pone più questoproblema, ma ogni categoria sociale si adatta senzaremora e con grande prof itto al linguaggio impostodai media: i politici usano i complicati termini dellapolitica, i sociologi quelli sociologici, gli affaristiquelli economici. Le giovani generazioni cresconof in dalla più tenera età col corredo cifrato dellinguaggio mediatico. Anche l’anziano, esposto adun’intera giornata televisiva, ne acquisisce illinguaggio e impara a comunicare in quel modo.

Non si vuole certo qui giustif icare questa mareaimpetuosa e assordante che tutto appiattisce esvuota, ma soltanto osservare che questa diff icoltàriguardo alla liturgia potrebbe essere ideologica.

E’ necessario dunque ritornare al buon senso eintrodurre i fedeli, f in dai primi anni di catechesi,alla conoscenza del linguaggio teologico e liturgico

trasmessi in concomitanza con la dottrina della fedee la celebrazione dei sacramenti.

La catechesi di base deve poter spiegare i terminiteologici più elementari (creazione, rivelazione,incarnazione, redenzione, grazia,transustanziazione, ecc.) e l’Iniziazione cristianainsegnare i termini specif ici della liturgia cattolica(culto, consacrazione, elevazione, sacramenti, ecc.).

In questa prospettiva sono i fedeli che devono essereelevati alla comprensione dei misteri, piuttosto chei misteri essere sviliti e depotenziati da un linguaggioprivo di gravità e inadeguato.

Una pastorale seria, ispirata dalla fede, saprà confacilità e con eff icacia condurre i fedeli ad accoglierecon rispetto ed umiltà i testi venerandi della liturgiacattolica, nei quali risplende il dogma, trasmesso nel

linguaggio perenne dei Padrie dell’intera tradizioneliturgica. Le classicheformulazioni del Credo: «Dioda Dio, Luce da Luce, Dio veroda Dio vero» e le nobilielevazioni dei prefazi: «E nelproclamare te Dio vero edeterno, noi adoriamo la Trinitàdelle Persone, l’unità dellanatura, l’uguaglianza nellamaestà divina» (Prefazio dellaSS. Trinità) non devonocostituire un problema, masuscitare una gioiosa e grataaccoglienza.

2. Viviamo in un periodostorico nel quale parlare didottrina è diff icile e tuttiinsistono sulla sensibilità esull’eff icienza pastorale.

Come tener conto dei principi dottrinali in unclima nel quale ciò che importa è unicamentel’attenzione psicologica e sociale alle mutevolisituazioni esistenziali? (Un insegnante direligione)

Indubbiamente l’argomento trattato in questonumero - Dogma e liturgia - sembra veramente deltutto estraneo e inopportuno nel contesto ecclesialee culturale imperante nel quale la dottrina (dogmaappunto) è guardata con sospetto e disinteresse.Sembra che tutto sia riconducibile alla prassisecondo il principio materialista per il quale nonserve conoscere il mondo, ma trasformarlo. Laf ilosof ia dell’essere (metaf isica) non ha certo buonaaccoglienza, travolta com’è dalla prassi sociologica.Purtroppo in questa visione si corrompe anche ilconcetto di pastorale: non più l’arte del possibile perattuare il dogma della fede nelle diverse situazionidi vita, ma il vissuto esperienziale come criterio perpiegare i principi dottrinali e per reinterpretarli

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secondo l’opinione e il costume sociologicamentemaggioritario.

Si comprende tuttavia che tale processo è del tuttocontrario, sia alla divina Rivelazione, sia alla stessaCreazione in cui è rif lessa la legge eterna delCreatore.

Tutti comprendono intuitivamente che non ci èconsentito fare a capriccio ogni cosa senza subirnele conseguenze. Infatti, ogni persona accorta scansail sasso ed evita il burrone. Da ciò si vede come èdel tutto ideologico affermare il primato della prassisull’essere, perché nella realtà ci si adeguaistintivamente alle leggi oggettive iscritte nellacreazione per sfuggire il pericolo. Si voglia o no tuttinoi siamo posti dentro un sistema di leggi naturaliferree e così determinanti, che un capriccio dellaprassi può provocare un danno irreversibile.

Nessuno che abbia buon senso può ritenereirrilevante e manipolabile a piacere il creato, che ciprecede e ci determina, perché è pur vero che «lacreatura senza il Creatore svanisce» (GS 36). Coloroche volessero persistere in una inconsistenteideologia pragmatica, senza più alcun riferimentoalla verità oggettiva inscritta in ogni cosa, intuisconodi essere in una continua contraddizioneesistenziale e in una situazione del tutto precariaed esposta ad ogni perversione, i cui frutti nefastinon sempre sono di immediata evidenza, né subitomanifesti in tutta la loro carica distruttiva.

Ciò che vale per la Creazione vale anche per laRivelazione positiva, il cui contenuto è oggettivo eci raggiunge dall’esterno: Dio parla agli uomini conun atto libero e gratuito, invitandoli ad aderire e acorrispondere personalmente alla sua Rivelazioneoggettiva e universale.

In tal senso si comprende quanto il dogma sianecessario alla liturgia e come ogni disciplinaliturgica debba necessariamente essere plasmata daiprincipi dottrinali per essere in tutto conforme alpensiero e al culto di Cristo. Senza dogma la liturgiadiverrebbe uno sterile flatus vocis, un inconsistentebatter l’aria, senza progetto e identità. Taleespressione si ridurrebbe a un sentimentoindef inito, senza orientamento e f inalità, chiusoin se stesso, incomunicabile ed esanime.

Legge naturale e dogma sono analoghi, di identicovalore e di assoluta necessità: la creatura senzal’osservanza delle leggi strutturali della creazionesi autodistrugge, così come la fede fa naufragiosenza le leggi strutturali del dogma e in tale collassoè travolta pure la liturgia. Non a caso l’apostolo Paoloafferma: «Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che viho annunziato e che voi avete ricevuto, nel qualerestate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza,se lo mantenete in quella forma in cui ve l’hoannunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! »(1Cor 15, 1-8). Mutato il dogma viene meno lapotenza della Grazia che è connessa soltanto ad un

annunzio retto della fede (lex credendi) e al modogiusto di celebrare (lex orandi).

3. La riforma liturgica fu fatta per motivipastorali: avvicinare il popolo alla liturgia efarla comprendere dalle persone ordinarie chela frequentano. Non è fuori luogo un ritornoalla precisa osservanza delle rubriche e allapronunzia letterale delle orazioni quando unadinamica più sciolta aiuta a catturarel’attenzione dei fedeli, soprattutto dei ragazzi?(Un sacerdote)

La riforma liturgica non ebbe come intento primarioquello di far entrare nei riti la sensibilità religiosasoggettiva dei singoli fedeli, ma quello di rendere ilmistero di Cristo, attuato nell’oggettività di segniliturgici conformi al dogma, il più possibilecomprensibile e fruibile al popolo convocato, chequi ed ora lo celebra. Questo è un datofondamentale perché il contenuto della liturgia nonè in primo luogo l’esperienza religiosa soggettiva(individuale o comunitaria) dei presenti, ma ilmistero «che viene dall’alto» (Gc 3, 17) e che laChiesa ha ricevuto e continuamente trasmette perritus et preces nella successione dei secoli. Non sitratta di celebrare la nostra religiosità naturale nellasua dimensione psicologica, sociologica e soggettivadesunta dall’ambiente e dalla cultura in cui viviamo,ma di entrare nel culto oggettivo e sovrano di GesùCristo, l’unico sommo sacerdote che può penetrarei cieli e intercedere a nostro favore (Cfr. Eb 4, 14-16). La riforma ha perciò curato ogni particolareaff inché il popolo di Dio sia più facilmente e piùeff icacemente introdotto nel culto del Signore Gesùed elevato alla liturgia del cielo e da essa sia forgiatoe purif icato per divenire in Cristo un sacrif icioperenne gradito al Padre (Cfr. Pregh. euc. III).Stabilito questo principio si comprende bene comeuna pastorale autentica debba avere il senso dei suoilimiti e dei suoi doveri verso le leggi liturgicheoggettive, oltre le quali non vi è più la garanzia e ilsegno di un culto santo e gradito a Dio, quello delSuo Figlio unigenito, ma una sua corruzione, anchese ammantata dal motivo apparente di interessaremaggiormente l’assemblea e catturarne l’attenzione.

Sotto tale aspetto la liturgia tende intimamenteall’unità, essendo unico per tutti Cristo e il suomistero, e in tal senso richiede un’uniformitàfondamentale nella sostanza del dogma, dellinguaggio ad esso connesso e delle «grandiripetizioni» (J. Ratzinger) rituali consacrate dallaTradizione.

Certo occorre anche ammettere che la Chiesa vuoleche tutti i fedeli abbiano parte intima al rito e vipartecipino con l’adesione della mente e del cuore.Ciò si realizza soprattutto mediante il sacro silenzio,che si intreccia negli snodi rituali, consentendol’interiorizzazione. Nel santuario segreto del cuore

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di ciascun fedele si incontrano il dono di Dio chediscende dall’alto e l’offerta della propria vita contutte le dimensioni soggettive del proprio vissutoesistenziale. L’educazione all’impiego fruttuoso delsilentium liturgicum è un esercizio quanto mainecessario e ancor lontano dall’interesse di unapastorale illuminata.

L’oggetto proprio della celebrazione liturgica èquindi il mistero di Cristo, mentre nella preghieraindividuale e di gruppo si apre con la massimadisponibilità il ventaglio della pietà personale e dellesensibilità spirituali degli ambienti, delle culture edei carismi singolari.

Non a caso la Chiesa distingue tra liturgia e pietàpopolare come già il Signore stesso distinse trapreghiera pubblica e preghiera fatta nel segreto,dando Lui stesso l’esempio nella sua vita. A questadistinzione è urgente far ricorso evitando di caderein un duplice ed opposto errore: ridurre tutto aliturgia abbassando il tenore e l’identità dei riti sacri,oppure escludere per principio la pietà popolare e ilregime della preghiera personale rendendo il cuorespiritualmente arido. Occorre tuttavia manteneresempre il reciproco rapporto tra le due forme inmodo che non manchi mai alla liturgia l’apporto difedeli irrorati dalla grazia dell’orazione, né alla pietàpopolare quella continua verif ica, purif icazione edelevazione che soltanto la liturgia può assicurare inquanto è culto diretto del Signore stesso e dellaChiesa sua sposa.

4. Per decenni nel post-concilio si andavadicendo che non si doveva più fare ilcatechismo, ma fare l’esperienza dell’incontrocol Signore. L’insegnamento della dottrina inquesto modo fu abbandonato e sostituito conla comunicazione delle ‘nostre esperienze’ edella ‘testimonianza’ di persone ‘credibili’.Anche nelle celebrazioni le testimonianze e l’omelia-raggio avevano grande considera-zione. Che ne dite? (Un catechista)

Possiamo ricordare alcuni slogan che rivelano questamentalità a carattere antidottrinale ed esistenziale:Chiesa dell’incontro o Chiesa dell’annunzio?Testimoni o maestri?. Ogni slogan contiene unaverità che si coglie nella misura che si supera lacontrapposizione aut-aut in favore dellacomposizione et-et. Si intende che i due termini –incontro e annunzio, testimone e maestro – non siescludono reciprocamente, ma si esigono e sicompletano. Infatti, non si può udire la parola senzaincontrare colui che la proclama, né si accoglieveramente chi è inviato senza ascoltare il messaggioche annunzia. La fede, dunque, nasce insiemedall’incontro con chi annunzia e dal messaggio cheegli trasmette, così come nell’incontro personale colSignore si accoglieva la sua parola. La logicità diquesta considerazione purtroppo è stata travoltadall’estremismo ideologico di interpretazioni

parziali che hanno condotto non alla composizionedegli elementi, ma alla loro opposizione f ino allareciproca esclusione. In tal modo l’incontro furidotto ad un rapporto del tutto soggettivo epersonalistico col ‘testimone’ al quale fu tolta ognipossibilità di annunzio e ogni ruolo diinsegnamento.

Con questa separazione, però, i contenuti della fedevennero oscurati, mentre la catechesi e la stessaliturgia furono ridotte ad una ridda ditestimonianze di varie persone chiamate a portarela loro esperienza e i presenti venivano sollecitati a‘raccontare la propria storia’, o comunquecomunicare la loro ‘esperienza spirituale’. Perciò ilcatechismo, inteso ormai come f reddoinsegnamento di una dottrina, doveva essereabbandonato in nome di una più calda e credibile‘esperienza di fede’, alimentata da testimonianzedi persone ‘vive’.

Nessuno dubita del valore della testimonianza diun credente e della grazia di poter incontrarecristiani coerenti e convinti, testimoni autenticidella fede che professano, ma ciò non toglie lanecessità di una adeguata formazione dottrinale,completa e organica. Si tratta di quel catechismodi base che la Chiesa ha sempre impartito aicatecumeni o ai fanciulli nell’Iniziazione cristiana.Questo minimum di annunzio non è mai mancatonella vita della Chiesa a cominciare dal giorno diPentecoste f ino ad oggi. Per quanto si insistasull’incontro personale e sulla testimonianza di vitanon si potrà mai fare a meno di confrontarsi suicontenuti della fede e di ricevere da maestriqualif icati e accreditati la retta interpretazione dellaparola rivelata. Senza il contenuto oggettivo delladottrina cristiana e senza l’interpretazione autenticaricevuta dal magistero della Chiesa ogni incontropersonale e ogni testimonianza per quanto‘credibile’ possono essere inf iciati dal soggettivismoeff imero, a meno che non si dimostri ilradicamento oggettivo nella dottrina di Cristoprofessata dalla Chiesa. Come si vede il rapportocon i contenuti dottrinali non può mai venir menoin quanto intrinseci alla stessa parola di Dio cheafferma: «Sappiamo che il Figlio di Dio è venuto eci ha dato l’intelligenza per conoscere il vero Dio.E noi siamo nel vero Dio e nel Figlio suo GesùCristo: egli è il vero Dio e la vita eterna» (1 Gv 5,20). Il confronto con la dottrina e l’adesione pienaalla retta dottrina è necessario per mantenere quellafede che sola piace a Dio e ci ottiene l’eternasalvezza: «Chi va oltre e non si attiene alla dottrinadel Cristo, non possiede Dio. Chi si attiene alladottrina, possiede il Padre e il Figlio. Se qualcunoviene a voi e non porta questo insegnamento, nonricevetelo in casa e non salutatelo; poiché chi losaluta partecipa alle sue opere perverse» (Gv. 9-11).

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Nell’odierna mentalità si respira un notevole disagioverso la dottrina, sia riguardo ai suoi contenuti, siariguardo ai termini teologici consacrati dallaTradizione della Chiesa. Si ritiene un esercizio inutilel’approfondimento logico e scientif ico del datorivelato e qualora lo si voglia ancora considerare lo

si assume a servizio dell’ideologia per giustif icarein realtà una prassi, detta falsamente ‘pastorale’,asservita alle lobby di potere o di pensierodominanti. In realtà non vi è più l’interesse per unalogica fondata sulla verità oggettiva, ma si perseguesolo una retorica mirata a ‘giustif icare’ un’ideologiasoggettiva.

In tale prospettiva il valore della stessa celebrazioneliturgica non è commisurato alla trasmissionefedele e nitida del dogma della fede, bensì al suoimmediato impatto sociologico, mediante unacontinua creatività relativa al ‘vissuto’ eff imero delmomento.

La liturgia in tal modo non è più al servizio di CristoSignore, via verità e vita, ma dell’uomo concretonella sua reale mediocrità. Il drammatico passaggiodal teocentrismo all’antropocentrismo, che si èprodotto nel pensiero teologico, si è trasferitoimmediatamente e spontaneamente anche nel

culto liturgico.

Il tema di questa intervista si inscrive nel temagenerale di questo numero della nostraRivista: Il rapporto tra il dogma e la liturgia.

Monsignor Antonio Livi è un teologo diprimissimo ordine e di eccellente livelloaccademico in tale materia e le sue profondericerche e notevoli scritti rappresentano perla Chiesa un referente di sicuro orientamentoper l’ortodossia della fede.

Un grazie sincero a Mons. Antonio Livi perquesto suo contributo, che certamente saràletto con interesse dai nostri abbonati e potràcostituire una fonte autorevole per laconoscenza, la retta interpretazione e la difesadella Liturgia cattolica.

1.Che cosa si intende per dogmadella fede?

Il dogma della fede è la verità rivelata da Dioper la salvezza degli uomini, che noiconosciamo perché ce la «propone a credere»la Chiesa di Cristo con il suo magistero,garantito da Cristo stesso con il carismadell’infallibilità. Il magistero è costituito dagliApostoli (e dai suoi successori, i vescovi cona capo il Papa), ai quali Gesù ha detto: «Chiascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi,disprezza me!» (Vangelo secondo Luca, 10, 16).

Fanno parte del dogma:

1) gli insegnamenti della Chiesa quando sonoespressi solennemente in dichiarazioniesplicite e formali (le “def inizioni

Adorare il Padre inSpirito e VeritàIntervista a mons. Antonio Livi

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dogmatiche” o “dogmi” in senso stretto); ledef inizioni dogmatiche sono enunciazioni precisee def initive, irriformabili, della verità rivelata daDio, e possono essere formulate da un concilioecumenico o anche individualmente dal Papaquando insegna ex cathedra, ossia intende def inireuna verità rivelata;

2) tutto ciò che è contenuto esplicitamente einequivocabilmente nella Sacra Scrittura, dellaquale la Chiesa garantisce l’autenticità e la divinaispirazione; quando i contenuti della Scrittura nonsono espliciti e richiedono un’interpretazione, essaviene offerta ai fedeli dalla Chiesa stessa(interpretazione autentica).

Ogni altra dottrina insegnata dalla Chiesa(Magistero ordinario) va creduta con «fede divinae cattolica» in quanto interpretazione (applica-zione, adattamento culturale e pastorale) deldogma, e va considerata autentica perché provienedalla Chiesa, che non può errare nell’insegnare ciòche Dio ha rivelato. Se invece si tratta di dottrineinsegnate dai teologi o da altri soggetti privati,queste vanno considerate come mere ipotesi diinterpretazione del dogma e non possonopretendere un’adesione di “fede divina” da partedei fedeli, che potranno liberamente condividereo rif iutare con il loro criterio e secondo le loroscelte spirituali e culturali, che saranno semprerelative a una qualsiasi forma di “fede umana”.Questa distinzione è importante, perché inmateria di fede il pericolo è che qualcunoassolutizzi ciò che è meramente opinabileproprio mentre relativizza ciò che èassolutamente vero in quanto connesso aldogma (vedi sull’argomento, Antonio Livi,Dogma e pastorale. L’ermeneutica delMagistero, dal Vaticano II al Sinodo sullafamiglia, Casa Editrice Leonardo da Vinci,Roma 2015).

2. Come apprendere facilmente iprincipali dogmi della fede?

A questo provvede da sempre l’azionepastorale della Chiesa attraverso la catechesiin tutte le sue forme, e oggi ciò avvienesoprattutto mettendo nelle mani dei fedeli ilCatechismo della Chiesa Cattolica, voluto dalsanto papa Giovanni Paolo II.

3. In che modo il dogma dellafede si riflette nella liturgia?

Come dicevo prima, il dogma è la veritàrivelata da Dio per la salvezza degli uomini.Esso implica, per la sua stessa natura diannuncio salvif ico, una piena e costanteapplicazione alla vita della Chiesa, che è lacomunità dei credenti, così come a ogni

singolo cristiano. Per questo non si può maiseparare la dottrina cristiana (il dogma) dalla vitacristiana, e ogni azione pastorale della Chiesa – ossiala triplice funzione della gerarchia ecclesiastica:insegnare, governare e santif icare –altro non è senon l’applicazione fedele e prudente del dogma aidiversi tempi della Chiesa e alle diverse circostanzecollettive e personali dei fedeli. In tal senso, èapplicazione del dogma la catechesi; è applicazionedel dogma il diritto canonico (l’insieme delle leggie dei precetti della Chiesa), è applicazione del dogmala liturgia (il culto che tutti i membri del Chiesarivolgono a Dio Padre, in Gesù Cristo e sottol’ispirazione dello Spirito Santo). La liturgia, poi, èsempre azione di Cristo che consente ai fedeli di“adorare Dio in Spirito e verità”, quali che siano imomenti e le forme del culto divino. Ciò vale inparticolare per la celebrazione dell’Eucaristia, centrodella vita spirituale del cristiano, perché ogni santaMessa è il sacrif icio incruento che Cristo stesso,Sommo ed Eterno Sacerdote, offre al Padre, nelloSpirito Santo, per la redenzione dal peccato e lasalvezza eterna di tutti coloro che sono chiamati afar parte del suo Corpo Mistico. Il valore di ogniMessa è quindi un valore inf inito agli occhi di Dio,quali che siano la solennità del rito e il numero deicelebranti e le diverse forme della partecipazioneinteriore ed esteriore di ogni fedele che assiste alrito, sia individualmente che in una comunità. Eccola verità del dogma, che noi fedeli tutti – sia Pastori

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che fedeli – dobbiamo credere fermamente e viveresinceramente perché la liturgia della Chiesa sia quellaa forma di adorazione di Dio che risponde a come«Dio vuole essere adorato», ossia «in spirito e verità»(cfr Vangelo secondo Giovanni, 4: 23-24). Senza unapiena ed effettiva adesione al dogma non c’è mai veraliturgia: infatti, non può mai esserci quella«fruttuosa partecipazione» alla celebrazione deimisteri della fede che la Chiesa chiede e rendepossibile (vedi la costituzione liturgica del concilioecumenico Vaticano II, Sacrosanctum concilium) seda parte degli uomini manca la piena adesione dellamente e del cuore a ciò che Dio, riguardo alla vitaspirituale di ciascuno di noi, ci ha rivelato in CristoGesù e che il magistero della Chiesa infallibilmenteinterpreta. Come scriveva un Padre della Chiesa delVI secolo, «l’edif icio spirituale del corpo di Cristo sicostruisce nell’amore secondo le parole di san Pietro:“con le pietre vive si eleva “un edif icio spirituale perun sacerdozio santo, per offrire sacrif ici spiritualigraditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo” [cfr I Pt 3, 5].Questa opera di costruzione non può mai essereoggetto più appropriato di preghiera come quando

il corpo steso di Cristo, che è la Chiesa, offre il corpoe il sangue di Cristo nel sacramento del Pane e delCalice. Infatti, “il Calice che beviamo è la comunionedel Sangue di Cristo, e il Pane che spezziamo è lapartecipazione del Corpo del Signore”; e, siccomevi è un solo Pane, “noi, pur essendo molti, formiamoun solo corpo; tutti infatti partecipiamo dell’unicoPane” [cfr 1 Cor 16-17]» (san Fulgenzio di Ruspe,Libri a Monimo, II, 11). Come si vede, il santovescovo istruisce i fedeli del suo tempo, nella suadiocesi dell’Africa invasa dai Vandali, facendo lorocomprendere la grandezza e la bellezza del misteroeucaristico sulla base del dogma contenuto nellaSacra Scrittura e formalmente enunciato da conciliecumenici; e così li incoraggiava a vivere il cultoeucaristico (partecipazione al Santo Sacrif ico eComunione) in spirito di fede, di speranza e di caritàsoprannaturale. Lo stesso insegnamento esprimeanche il vescovo di Brescia, san Gaudenzio: «Ènecessario che i sacramenti siano celebrati daisacerdoti nelle singole chiese del mondo sino alritorno di Cristo dal Cielo, aff inché tutti – sacerdotie laici – abbiano ogni giorno davanti agli occhi la

viva rappresentazione della Passione del Signore,la tocchino con mano, la ricevano con la bocca econ il cuore, e così conservino memoria indelebiledella nostra Redenzione» (Trattati, II)

4. Perché il dogma della fede non puòmai venir meno nella liturgia?

Perché la liturgia è l’azione di grazie e l’adorazionedel Popolo di Dio, che è la Chiesa come corpomistico di Gesù Cristo, nostro Salvatore. Cristoprega sempre per noi e con noi nella celebrazionedel Santo Sacrif icio della Messa e nellacelebrazione dei Sacramenti della salvezza, dalBattesimo alla Cresima, dalla Penitenzaall’Eucaristia, dall’Ordine sacro e il Matrimonioall’Unzione degli Infermi. L’opera di Cristo, cheha fondato la sua Chiesa sulla “pietra ferma” cheè il Papa, Capo del collego episcopale, non puòvenir mai meno, perché la Chiesa è – come diceun teologo svizzero che ha collaborato allaredazione della costituzione dogmatica sullaChiesa del Vaticano II – la presenza viva evivif icante del Verbo Incarnato, inviato nelmondo dal Padre, “ricco in misericordia”, per lasalvezza degli uomini, che si attua e si perfezionacon l’intervento dello Spirito Santo (cfr CharlesJournet, L’Eglise du Verbe Incarné). Per questo laChiesa è indefettibile, ossia non può mai venirmeno: e con la Chiesa mai mancherà agli uominil’annuncio fedele della verità rivelata da Cristo (ildogma) e la celebrazione dei sacramenti dellagrazia divina (la liturgia).

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Il canto della cappellamusicale nellacelebrazione eucaristicaMo. Aurelio Porf iri

Se un giorno fosse concessa la possibilità dirichiedere un risarcimento per i danni da cattivainterpretazione del Concilio Vaticano II,sicuramente i membri dei cori, scholae cantorume cappelle musicali diverrebbero milionari. Lecappelle musicali sono state perseguitate a favoredel “popolo”. Ora questo problema, già di partenza,è evidentemente un falso problema in quanto lacappella musicale è parte dello stesso popolo, unaparte che si qualif ica in modo speciale per un

servizio. Questa dicotomia fra il “popolo” e il coro,è stata creata ad arte per far passare elementidissolutivi nel tessuto della tradizione artistica emusicale della Chiesa Cattolica, una tradizione cheaspettava una continuità dalla riforma liturgica,non questa continua distruzione. La cappellamusicale è stato uno degli imputati eccellenti deicosiddetti riformatori, riformatori che tradisconola stessa riforma che si peritano di difendere. LaSacrosanctum Concilium era stata in effetti chiara:

“114. Si conservi e si incrementi con grande cura ilpatrimonio della musica sacra. Si promuovano conimpegno le « scholae cantorum » in specie pressole chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastorid’anime curino diligentemente che in ogni azionesacra celebrata con il canto tutta l’assemblea deifedeli possa partecipare attivamente, a norma degliarticoli 28 e 30".

Interessante notare che le scholae cantorumdevono essere promosse con impegno, nonsemplicemente sopportate. Nel 114 poi vengonorichiamati due ulteriori articoli che chiarif icano

con ancora più esattezza il quadro legislativoa cui si fa riferimento: “28. Nelle celebrazioniliturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele,svolgendo il proprio uff icio si limiti a compieretutto e soltanto ciò che, secondo la natura delrito e le norme liturgiche, è di suacompetenza”. Ciascuno fa quello che gli èproprio! Se è vero che il coro non deve faretutto (il che è accettabile) è anche vero chenon ci sono altri gruppi che devonomonopolizzare tutte le parti della liturgia, siala stessa impalpabile “assemblea” la cui nozioneè anche vaga e da precisare (perché comedetto il coro ne è anche parte, non è un corpoestraneo). Ma veniamo al numero 30:

“Per promuovere la partecipazione attiva, sicurino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, ilcanto dei salmi, le antifone, i canti, nonché leazioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Siosservi anche, a tempo debito, un sacrosilenzio”.

Cioè, come si evince chiaramente leggendoquesto passaggio unitamente a 114 e 28, ilcanto del popolo non è escludente ma deveessere armonizzato con il canto degli altriattori della celebrazione.

Come questa “armonizzazione” sia possibile èstato anche soggetto di ampio dibattito traliturgisti, musicisti ed appassionati.Certamente ci sono possibilità di impiegareancora il repertorio tradizionale in unione connuove creazioni che ne siano uno sviluppoorganico, una emanazione che, in fondo,ancora si rifaccia a quelle caratteristiche chefurono richiamate da san Pio X nel suo Motu

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Proprio del 1903: universalità, bontà diforme, santità. Ancora è possibilerispettare queste caratteristicherichiamate da san Pio X anche con lemutate esigenze della liturgia?Certamente ancora è possibile, anche senaturalmente si pongono nuoviproblemi che spesso richiedonosoluzioni innovative (ma non novatrici).Nel Chirografo per il centenario deldocumento di san Pio X, san GiovanniPaolo II affermava:

“8. L’importanza di conservare e diincrementare il secolare patrimonio dellaChiesa induce a prendere in particolareconsiderazione una specif ica esortazionedella Costituzione SacrosanctumConcilium: “Si promuovano conimpegno le scholae cantorumspecialmente presso le chiese cattedrali”.A sua volta l’Istruzione Musicam sacramprecisa il compito ministeriale dellaschola: “E’ degno di particolareattenzione, per il servizio liturgico chesvolge, il coro o cappella musicale oschola cantorum. In seguito alle normeconciliari riguardanti la riformaliturgica, il suo compito è divenuto diancor maggiore rilievo e importanza:deve, infatti, attendere all’esecuzioneesatta delle parti sue proprie, secondo ivari generi di canti, e favorire lapartecipazione attiva dei fedeli nel canto.Pertanto [...] si abbia e si promuova con curaspecialmente nelle cattedrali e altre chiese maggiori,nei seminari e negli studentati religiosi, un coro ouna cappella musicale o una schola cantorum”. Ilcompito della schola non è venuto meno: essa infattisvolge nell’assemblea il ruolo di guida e di sostegnoe, in certi momenti della Liturgia, ha un proprio ruolospecif ico. Dal buon coordinamento di tutti - ilsacerdote celebrante e il diacono, gli accoliti, iministranti, i lettori, il salmista, la schola cantorum,i musicisti, il cantore, l’assemblea - scaturisce quelgiusto clima spirituale che rende il momento liturgicoveramente intenso, partecipato e fruttuoso. L’aspettomusicale delle celebrazioni liturgiche, quindi, non puòessere lasciato né all’improvvisazione, né all’arbitriodei singoli, ma deve essere aff idato ad una beneconcertata direzione nel rispetto delle norme e dellecompetenze, quale signif icativo frutto di un’adeguataformazione liturgica”.

Queste indicazioni che si rincorrono da più di unsecolo oramai, sono destinate a rimanere letteramorta. Purtroppo le “guerre liturgiche”, anchecontro cori, scholae cantorum, cappelle musicali,organisti, non sono cessate. Anzi, conoscono oggiuna recrudescenza dovuta allo strano clima che sirespira al giorno d’oggi nella Chiesa. Si cerchi dirimanere fedeli allo spirito ma anche alla lettera dei

documenti che vanno letti in continuità con latradizione che scaturisce dall’unico soggetto Chiesa,quella tradizione che la Chiesa in parte sviluppa mada cui la Chiesa è anche sviluppata.

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“Per molti”o “ per tutti”?

Nel mese di luglio del 2005 questa Congregazioneper il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti,d’accordo con la Congregazione per la Dottrina dellaFede, ha scritto a tutti i presidenti delle conferenzeepiscopali per chiedere il loro parere autorizzato sullatraduzione nelle diverse lingue nazionalidell’espressione pro multis nella formula dellaconsacrazione del prezioso Sangue durante lacelebrazione della santa Messa (rif. Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle conferenzeepiscopali sono state studiate dalle dueCongregazioni e un rapporto è stato inviato alSanto Padre. Secondo le sue direttive, questaCongregazione scrive ora a Vostra Eminenza /Vostra Eccellenza nei termini seguenti:

1. Un testo corrispondente alle parole pro multis,tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula cheè stata in uso nel rito romano in latino f in dai primisecoli. Negli ultimi trent’anni, più o meno, alcunitesti approvati in lingua moderna hanno riportatola traduzione interpretativa “for all”, “per tutti”, oequivalente.

2. Non vi è alcun dubbio sulla validità delle messecelebrate con l’uso di una formula debitamenteapprovata contenente una formula equivalente a “pertutti”, come già ha dichiarato la Congregazione perla Dottrina della Fede (cfr. Sacra Congregatio proDoctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendoadprobationi versionum formularumsacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974],661). Effettivamente, la formula “per tutti”corrisponderebbe indubbiamente aun’interpretazione corretta dell’intenzione delSignore espressa nel testo. È un dogma di fede cheCristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e ledonne (cfr. Gv 11,52; 2Cor 5,14-15; Tit 2,11; 1Gv 2,2).

3. Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di unatraduzione più precisa della formula tradizionale promultis:

a. I Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fannospecif ico riferimento ai “molti” (polloi) per i quali ilSignore offre il sacrif icio, e questa espressione è stata

messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alleparole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato deltutto possibile nei testi evangelici dire “per tutti”(per esempio, cfr. Lc 12,41); invece, la formula datanel racconto dell’istituzione è “per molti”, e questeparole sono state tradotte fedelmente così nellamaggior parte delle versioni bibliche moderne.

b. Il rito romano in latino ha sempre detto promultis e mai pro omnibus nella consacrazione delcalice.

c. Le anafore dei vari riti orientali, in greco, insiriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc.,contengono l’equivalente verbale del latino promultis nelle loro rispettive lingue.

d. “Per molti” è una traduzione fedele di pro multis,mentre “per tutti” è piuttosto una spiegazione deltipo che appartiene propriamente alla catechesi.

e. L’espressione “per molti”, pur restando apertaall’inclusione di ogni persona umana, rif letteinoltre il fatto che questa salvezza non èdeterminata in modo meccanico, senza la volontào la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece,è invitato ad accettare nella fede il dono che gli èofferto e a ricevere la vita soprannaturale data acoloro che partecipano a questo mistero, vivendolonella propria vita in modo da essere annoveratofra “i molti” cui il testo fa riferimento.

f. In conformità con l’istruzione Liturgiamauthenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo peressere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.

Lettera della Congregazione per il Culto Divinosulla traduzione di “pro multis” nellaConsacrazione del calice ai presidenti delleConferenze Episcopali Nazionali del Mondo.

Roma, 17 Ottobre 2006

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www.liturgiaculmenetfons.itLITURGIA CULMEN ET FONS - 2016 - n. 2

Eccellenza,venerato caro Arcivescovo,in occasione della Sua visita del 15 marzo 2012, Leimi ha fatto sapere che per quanto riguarda latraduzione delle parole “pro multis” nelle PreghiereEucaristiche della Santa Messa ancora non c’è unitàtra i Vescovi dell’area di lingua tedesca. Incombe,a quanto pare, il pericolo che per la pubblicazione

della nuova edizio-ne del “Gotteslob”[libro dei canti epreghiere], attesa intempi brevi, alcuneparti dell’area dilingua tedesca vo-gliano mantenere latraduzione “pertutti”, anche qualo-ra la ConferenzaEpiscopale tedescaconvenisse a scrive-re “per molti”, cosìcome richiesto dallaSanta Sede. Leavevo promesso chemi sarei espressoper iscritto riguardoa questa importantequestione, al f ine diprevenire una taledivisione nel luogopiù intimo dellanostra preghiera.La lettera che qui,per Suo tramite,indirizzo ai membridella Conferenza

Episcopale Tedesca, sarà inviata anche agli altriVescovi dell’area di lingua tedesca.Anzitutto, mi lasci spendere brevemente una parolasulle origini del problema. Negli anni sessanta,quando bisognava tradurre in tedesco, sotto laresponsabilità dei Vescovi, il Messale Romano,esisteva un consenso esegetico sul fatto che la parola“i molti”, “molti” in Isaia 53,11s, fosse una forma diespressione ebraica per indicare la totalità, “tutti”.La parola “molti” nei racconti dell’istituzione diMatteo e di Marco, sarebbe stata quindi un“semitismo” e avrebbe dovuto essere tradotta con“tutti”. Questo concetto si applicò anche al testolatino direttamente da tradurre, in cui il “promultis” avrebbe rimandato, attraverso i raccontievangelici, a Isaia 53 e perciò sarebbe stato datradurre con “per tutti”. Questo consenso esegetico,nel frattempo, si è sgretolato; esso non esiste più.Nella traduzione ecumenica tedesca della SacraScrittura, nel racconto dell’Ultima Cena, si legge:“Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, cheè versato per molti” (Mc 14,24; cfr Mt 26,28). Conquesto si evidenzia una cosa molto importante: laresa di “pro multis” con “per tutti” non era affattouna semplice traduzione, bensì un’interpretazione,che sicuramente era e rimane fondata, ma tuttaviaè già un’interpretazione ed è più di una traduzione.Questa fusione di traduzione e interpretazioneappartiene, in un certo senso, ai principi che, subitodopo il Concilio, guidarono la traduzione dei libriliturgici nelle lingue moderne. Si era consapevolidi quanto la Bibbia ed i testi liturgici fossero lontanidal mondo del parlare e del pensare dell’uomod’oggi, così che anche tradotti essi sarebbero rimastiampiamente incomprensibili ai partecipanti allaliturgia. Era un’impresa nuova che i testi sacrifossero resi accessibili, in traduzione, ai partecipantialla liturgia, pur rimanendo, tuttavia, a una grandedistanza dal loro mondo; anzi, in questo modo, itesti sacri apparivano proprio nella loro grandedistanza. Così, ci si sentì non solo autorizzati, maaddirittura in obbligo di fondere già nellatraduzione l’interpretazione, e di accorciare inquesto modo la strada verso gli uomini, il cui cuoreed intelletto si voleva fossero raggiunti appunto daqueste parole.Fino ad un certo punto, il principio di unatraduzione contenutistica e non necessariamenteletterale del testo di base rimane giustif icato. Dalmomento che devo recitare le preghiere liturgichecontinuamente in lingue diverse, noto che, talora,tra le diverse traduzioni, non è possibile trovarequasi niente in comune e che il testo unico che neè alla base, spesso è riconoscibile soltanto dalontano. Vi sono state poi delle banalizzazioni cherappresentano delle vere perdite. Così, nel corsodegli anni, anche a me personalmente, è diventatosempre più chiaro che il principio dellacorrispondenza non letterale, ma strutturale, comelinea guida nella traduzione, ha i suoi limiti.Seguendo considerazioni di questo genere,l’Istruzione sulle traduzioni “Liturgiam

Lettera di Bendetto XVI al Presidente dellaConferenza Episcopale Tedesca.

Roma, 14 aprile 2012

Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui laformula “per tutti” o il relativo equivalente èattualmente in uso sono quindi invitate aintraprendere la catechesi necessaria ai fedeli suquesta materia nei prossimi uno o due anni perprepararli all’introduzione di una traduzione precisain lingua nazionale della formula pro multis (peresempio, “for many”, “per molti”, ecc.) nella prossimatraduzione del Messale Romano che i vescovi e laSanta Sede approveranno per l’uso in quei paesi.

Con l’espressione della mia alta stima e rispetto,rimango della Vostra Eminenza / Vostra Eccellenzadevotissimo in Cristo.

+ FRANCIS CARD. ARINZE

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n.2 - 2016 - LITURGIA CULMEN ET FONSwww.liturgiaculmenetfons.it

authenticam”, emanata dalla Congregazione per ilCulto Divino e la Disciplina dei Sacramenti il 28marzo 2001, ha posto di nuovo in primo piano ilprincipio della corrispondenza letterale, senzaovviamente prescrivere un verbalismo unilaterale.L’acquisizione importante che è alla base di questaIstruzione consiste nella distinzione, a cui ho giàaccennato all’inizio, f ra traduzione einterpretazione. Essa è necessaria sia nei confrontidella parola della Scrittura, sia nei confronti deitesti liturgici. Da un lato, la parola sacra devepresentarsi il più possibile come essa è, anche nellasua estraneità e con le domande che porta in sé;dall’altro lato, è alla Chiesa che è aff idato il compitodell’interpretazione, aff inché – nei limiti dellanostra attuale comprensione – ci raggiunga quelmessaggio che il Signore ci ha destinato. Neppurela traduzione più accurata può sostituirel’interpretazione: rientra nella struttura dellarivelazione il fatto che la Parola di Dio sia letta nellacomunità interpretante della Chiesa, e che fedeltàe attualizzazione siano legate reciprocamente. LaParola deve essere presente quale essa è, nella suapropria forma, forse a noi estranea;l’interpretazione deve misurarsi con la fedeltà allaParola stessa, ma al tempo stesso deve renderlaaccessibile all’ascoltatore di oggi.In questo contesto, è stato deciso dalla Santa Sedeche, nella nuova traduzione del Messale,l’espressione “pro multis” debba essere tradottacome tale e non insieme già interpretata. Al postodella versione interpretativa “per tutti” deve andarela semplice traduzione “per molti”. Vorrei qui farnotare che né in Matteo, né in Marco c’è l’articolo,quindi non “per i molti”, ma “per molti”. Se questadecisione è, come spero, assolutamentecomprensibile alla luce della fondamentalecorrelazione tra traduzione e interpretazione, sonotuttavia consapevole che essa rappresenta una sf idaenorme per tutti coloro che hanno il compito diesporre la Parola di Dio nella Chiesa. Infatti, percoloro che abitualmente partecipano alla SantaMessa questo appare quasi inevitabilmente comeuna rottura proprio nel cuore del Sacro. Essichiederanno: ma Cristo non è morto per tutti? LaChiesa ha modif icato la sua dottrina? Può ed èautorizzata a farlo? E’ qui in atto una reazione chevuole distruggere l’eredità del Concilio? Perl’esperienza degli ultimi 50 anni, tutti sappiamoquanto profondamente i cambiamenti di forme etesti liturgici colpiscono le persone nell’animo;quanto fortemente possa inquietare le persone unamodif ica del testo in un punto così centrale. Perquesto motivo, nel momento in cui, in base alladifferenza tra traduzione e interpretazione, si scelsela traduzione “molti”, si decise, al tempo stesso, chequesta traduzione dovesse essere preceduta, nellesingole aree linguistiche, da una catechesi accurata,per mezzo della quale i Vescovi avrebbero dovutofar comprendere concretamente ai loro sacerdotie, attraverso di loro, a tutti i fedeli, di che cosa si

trattasse. Il far precedere la catechesi è lacondizione essenziale per l’entrata in vigore dellanuova traduzione. Per quanto ne so, una talecatechesi f inora non è stata fatta nell’arealinguistica tedesca. L’intento della mia lettera èchiedere con la più grande urgenza a Voi tutti,cari confratelli, di elaborare ora una tale catechesi,per parlarne poi con i sacerdoti e renderlacontemporaneamente accessibile ai fedeli.In una tale catechesi si dovrà forse, in primo luogo,spiegare brevemente perché nella traduzione delMessale dopo il Concilio, la parola “molti” venneresa con “tutti”: per esprimere in modoinequivocabile, nel senso voluto da Gesù,l’universalità della salvezza che proviene da Lui.Ma poi sorge subito la domanda: se Gesù è mortoper tutti, perché nelle parole dell’Ultima Cena Egliha detto “per molti”? E perché allora noi ciatteniamo a queste parole di istituzione di Gesù?A questo punto bisogna anzitutto aggiungereancora che, secondo Matteo e Marco, Gesù hadetto “per molti”, mentre secondo Luca e Paolo hadetto “per voi”. Così il cerchio, apparentemente, sistringe ancora di più. Invece, proprio partendo daquesto si può andare verso la soluzione. I discepolisanno che la missione di Gesù va oltre loro e laloro cerchia; che Egli era venuto per riunire datutto il mondo i f igli di Dio che erano dispersi(Gv 11,52). Il “per voi”, rende, però, la missione diGesù assolutamente concreta per i presenti. Essinon sono degli elementi anonimi qualsiasi diun’enorme totalità, bensì ogni singolo sa che ilSignore è morto proprio “per me”, “per noi”. “Pervoi” si estende al passato e al futuro, si riferisce ame del tutto personalmente; noi, che siamo quiriuniti, siamo conosciuti ed amati da Gesù inquanto tali. Quindi questo “per voi” non è unarestrizione, bensì una concretizzazione, che valeper ogni comunità che celebra l’Eucaristia e che launisce concretamente all’amore di Gesù. Il CanoneRomano ha unito tra loro, nelle parole dellaconsacrazione, le due letture bibliche e,conformemente a ciò, dice: “per voi e per molti”.Questa formula è stata poi ripresa, nella riformaliturgica, in tutte le Preghiere Eucaristiche.Ma, ancora una volta: perché “per molti”? Il Signorenon è forse morto per tutti? Il fatto che GesùCristo, in quanto Figlio di Dio fatto uomo, sial’uomo per tutti gli uomini, sia il nuovo Adamo, faparte delle certezze fondamentali della nostra fede.Su questo punto vorrei solamente ricordare tretesti della Scrittura: Dio ha consegnato suo Figlio“per tutti”, afferma Paolo nella Lettera ai Romani(Rm 8,32). “Uno è morto per tutti”, dice nellaSeconda Lettera ai Corinzi, parlando della mortedi Gesù (2 Cor 5,14). Gesù “ha dato se stesso inriscatto per tutti”, è scritto nella Prima Lettera aTimoteo (1 Tm 2,6). Ma allora, a maggior ragioneci si deve chiedere, ancora una volta: se questo ècosì chiaro, perché nella Preghiera Eucaristica èscritto “per molti”? Ora, la Chiesa ha ripreso questa

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Coloro che attiverannol’abbonamento aLITURGIA ‘CULMEN ET FONS’nell’anno 2016con un importo pari o superiorea 23,00 euroricevono in omaggioil testo di don Enrico FinottiLA LITURGIA ROMANANELLA SUA CONTINUITA’(Editrice Sugarco - pagine 352)Si prega di scrivere l’indirizzoin stampatello.

formulazione dai racconti dell’istituzione nelNuovo Testamento. Essa dice così per rispetto versola parola di Gesù, per mantenersi fedele a Lui f indentro la parola. Il rispetto reverenziale per la parolastessa di Gesù è la ragione della formulazione dellaPreghiera Eucaristica. Ma allora noi ci chiediamo:perché mai Gesù stesso ha detto così? La ragionevera e propria consiste nel fatto che, con questo,Gesù si è fatto riconoscere come il Servo di Dio diIsaia 53, ha dimostrato di essere quella f igura chela parola del profeta stava aspettando. Rispettoreverenziale della Chiesa per la parola di Gesù,fedeltà di Gesù alla parola della “Scrittura”: questadoppia fedeltà è la ragione concreta dellaformulazione “per molti”. In questa catena di fedeltàreverenziale, noi ci inseriamo con la traduzioneletterale delle parole della Scrittura.Come abbiamo visto anteriormente che il “per voi”della traduzione lucano-paolina non restringe, maconcretizza; così ora possiamo riconoscere che ladialettica “molti” – “tutti” ha il suo propriosignif icato. “Tutti” si muove sul piano ontologico –l’essere ed operare di Gesù comprende tuttal’umanità, il passato, il presente e il futuro. Ma difatto, storicamente, nella comunità concreta dicoloro che celebrano l’Eucaristia, Egli giunge soloa “molti”. Allora è possibile riconoscere un triplicesignif icato della correlazione di “molti” e “tutti”.Innanzitutto, per noi, che possiamo sedere alla suamensa, dovrebbe signif icare sorpresa, gioia egratitudine perché Egli mi ha chiamato, perchéposso stare con Lui e posso conoscerlo. “Sono gratoal Signore, che per grazia mi ha chiamato nella suaChiesa …” [canto religioso “Fest soll mein Taufbundimmer stehen”, strofa 1]. Poi, però, in secondo luogoquesto signif ica anche responsabilità. Come ilSignore, a modo suo, raggiunga gli altri – “tutti” –resta, alla f ine, un mistero suo. Senza dubbio, però,costituisce una responsabilità il fatto di essere

chiamato da Lui direttamente alla sua mensa, cosìche posso udire: “per voi”, “per me”, Egli ha patito. Imolti portano responsabilità per tutti. La comunitàdei molti deve essere luce sul candelabro, città sulmonte, lievito per tutti. Questa è una vocazione cheriguarda ciascuno, in modo del tutto personale. Imolti, che siamo noi, devono sostenere laresponsabilità per il tutto, consapevoli della propriamissione. Infine, si può aggiungere un terzo aspetto.Nella società attuale abbiamo la sensazione di nonessere affatto “molti”, ma molto pochi – una piccolaschiera, che continuamente si riduce. Invece no –noi siamo “molti”: “Dopo queste cose vidi: ecco, unamoltitudine immensa, che nessuno poteva contare,di ogni nazione, tribù, popolo e lingua”, dicel’Apocalisse di Giovanni (Ap 7,9). Noi siamo molti erappresentiamo tutti. Così ambedue le parole“molti” e “tutti” vanno insieme e si relazionano l’unaall’altra nella responsabilità e nella promessa.Eccellenza, cari confratelli nell’Episcopato! Contutto questo, ho voluto indicare le lineefondamentali di contenuto della catechesi permezzo della quale sacerdoti e laici dovranno esserepreparati il più presto possibile alla nuovatraduzione. Auspico che tutto questo possa servire,allo stesso tempo, ad una più profondapartecipazione alla Santa Eucaristia, inserendosicosì nel grande compito che ci aspetta con “l’Annodella fede”. Posso sperare che la catechesi vengapresentata presto e diventi così parte di quelrinnovamento liturgico, per il quale il Concilio si èimpegnato f in dalla sua prima sessione.Con la benedizione e i saluti pasquali,

Mi confermo Suo nel Signore.

+ BENEDICTUS PP. XVI

20 Anno 2016 - N° 2 - mese giugno - Periodicità trimestrale - Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abb.

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