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DIABASIS Andrea Nicolosi L’occhio vigile del custode Ordinamenti spaziali della sicurezza nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti

L'occhio vigile del custode

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Il compito principale dell’architetto preposto ai dispositivi della sicurezza è costruire nella città “zone occulte” perché il Principe, il Tiranno, il Vescovo, possano tramare segretamente le strategie di governo. Le dinamiche sociali della città umanistica sono fortemente influenzate dalla potenza psicologica delle forme architettoniche. La “città della sorveglianza” che emerge dal De re aedificatoria di Leon Battista Alberti si fonda su un’invisibile topologia della difesa: spazi nascosti, impercettibili condotti acustici, dissimulate vie d’uscita. Al contempo, il paesaggio urbano deve essere ben visibile nella propria bellezza sacrale, scoraggiando ogni tentativo di possesso distruttivo da parte del nemico. La concinnitas albertiana è dunque un raffinato dispositivo estetico funzionale a una “politica dello sguardo”, che intensifica la fascinazione visiva di alcune parti della città, per meglio oscurare e proteggere i veri centri spaziali del potere.

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D I A B A S I S

Andrea Nicolosi

L’occhio vigile del custodeOrdinamenti spaziali della sicurezza

nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti

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Coordinamento editorialeFabio Di Benedetto

Redazione Leandro del Giudice

Anna Bartoli

ISBN 978-88-8103-817-6

© 2013 Diaroads srl - Edizioni Diabasis© 2013 Diaroads srl - Edizioni Diabasis seconda edizione

vicolo del Vescovado, 12 - 43121 Parma Italiatelefono 0039.0521.207547 – e-mail: [email protected]

www.diabasis.it

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Andrea NicolosiL’occhio vigile del custode

Ordinamenti spaziali della sicurezza nel De re aedificatoria di Leon Battista Alberti

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7 Prefazione di Aldo De Poli

13 IntroduzioneA ciascuno il suo muro: il governo esteticonella “città albertiana”

Parte primaDifendersi dalla natura

20 1.1 Il muro rivela malattie: ermeneutica dei luoghi dell’edificare

26 1.2 Il fico selvatico sulla parete: la costruzione sigillata

31 1.3 “Una selva confusa di torri”: contro l’ostentazione

34 1.4 La maschera di Medusa: il divenire animale dell’architettura

Parte secondaDifendersi dagli uomini

40 2.1 L’“occhio vigile del custode”: Alberti, Leonardo da Vinci e la macchina panoptica

47 2.2 La porta sul retro:topologie del segreto

54 2.3 Il muro della tentazione: la costruzione casta

Indice

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Parte terzaDifendersi dal tempo

60 3.1 Il tempo propizio: la preghiera dell’Alberti

64 3.2 Il tempo per valutare: la costruzione paziente della rondine

68 3.3 Il “tempo vince su tutto”: dal focolare alla città della memoria perenne

75 ConclusioneTra le mura dei giardini vaticani: la città cifrata dell’Alberti?

Bibliografia minima92

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Prefazione

Osservando gli incastri tra mura incombenti che ar-rivano a oscurare il cielo, Dedalo, il provetto arteficedelle sequenze spaziali del labirinto, è ben consapevoleche se un essere non divino riesce a penetrare nelle vi-scere del palazzo senza uscita, ci dovrà restare rinchiusoper sempre.

Osservando la possente infilata di porte semprechiuse, rivolgendo lo sguardo da ogni lato della snellatorre posta al centro del panopticon carcerario, l’eru-dito giurista Jeremy Bentham, incaricato di migliorarela detenzione, è certo che gli accorgimenti spaziali pos-sono influenzare i comportamenti, soprattutto quandoun individuo sa di essere permanentemente sorvegliato.

Osservando il declivio delle valli lucane, dalla strettafessura aperta tra le lastre in pietra della tomba del sin-dacalista Rocco Scotellaro, eretta a Tricarico su disegnodegli architetti dello studio BBPR, il visitatore capisceche le idee non muoiono, che la speranze non sono sva-nite e che c'è sempre una possibilità di riscatto, ancheper un bracciante sottomesso.

Osservando il sinuoso percorso in salita, dal buioverso la luce, che si staglia nel cuore della hall di ingressodel Guggenheim Museum di New York, con lo sguardorivolto in alto, Jorge Luis Borges e Frank Lloyd Wright,

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nel 1962, discutono animatamente se si tratta di una spi-rale o di un labirinto. Da ambo le parti si concorda chequando, con un unico sguardo, si percepisce sia l'inizioche la fine, non può mai trattarsi di un labirinto.

Osservando il profilo dei borghi del Lago Maggiore,acquattato nel sopracciglio della testa cava della statua inbronzo, alta ventuno metri, del cardinale Carlo Borromeo,eretta nelle colline di Arona, il giovane collegiale AldoRossi decide che, da grande, si occuperà di misurare mo-numenti e di catalogare memorie, già prefigurando comedevono essere proporzionate le grandi stanze della città.

Osservando le calze fini delle donne, inquadrate ascacchiera dalla finestra a bocca di lupo della cantina,il protagonista del film Vivement dimanche, con la regiadi Francois Truffaut, decide che è giunto il momento dilasciare il suo rifugio perché è finito il tempo dell’iso-lamento dal mondo.

Osservando i pantaloni di flanella degli uomini dauno stretto pertugio sotto la guardiola della portineria,il cittadino dell'ordine, tratteggiato nel racconto Autoda fè di Elias Canetti, è certo che il mondo si divide net-tamente tra preoccupati lavoratori e spensierati flâneurs.

Osservando le nicchie oscure inquadrate dai possentiarchi ribassati di una scala barocca di un palazzo diPraga, il giovane storico dell'arte, protagonista del rac-conto Austerlitz dello scrittore W.G. Sebald, è consa-pevole di non aver finito di cercare, perché questo nonè quel posto così visionario dove, prima di lasciare leumide brume della Britannia, avrebbe desiderato arri-vare, per potervi restare per sempre.

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Vi sono delle soluzioni spaziali che obbligano a ri-petere dei comportamenti fissi; vi sono delle sequenzetemporali che, cambiando avventurosamente il puntodi vista, aiutano a compiere delle buone scelte perchéconsentono di allontanare la coscienza del dover fare,separandola sia dall’incognita del desiderio, sia dal con-forto del rimpianto.

Vi sono, dunque, dei dispositivi formali, rappresen-tati da semplici assetti spaziali, che costringono a unanuova visione del mondo. Si tratta, in ogni caso, di ca-mere che orientano gli sguardi, di soglie e passaggi ob-bligati che forzano un’esperienza, di dilatate macchineottiche, calibrate da continue messe a fuoco che co-stringono a impreviste prese di distanza.

Evocando le perfette costrizioni visive di un disposi-tivo ben funzionante, lo scrittore, da Omero a Borges, sache da questa condizione obbligata può iniziare un’av-vincente e infinita narrazione. Ponendosi alla ricerca delbene comune, il filosofo, da Bentham a Deleuze, sacome smontare e rimontare gli effetti comportamentaliprovocati dall’eccellente strumento di estraneazione.

Svolgendo i rotoli dei suoi studi sul filo dell’immagi-nazione, invece, l’architetto, nel piccolo e nel grande im-pegno, non è consapevole di quanto sia difficile oggimodificare il mondo. Non sempre il costruttore accettadi essere considerato il semplice esecutore di un limitatoimpianto spaziale, tracciato in precedenza in modo dagenerare dei comportamenti sociali già stabiliti.

Per ideare un moderno dispositivo il buon architettod’oggi, invitato a sperimentare delle ignote aggregazioni

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formali a partire da note esigenze funzionali, sa che devepossedere abbastanza spessore culturale da riuscire a in-trecciare la comprensione della storia con l’attitudine delpresente. In altre parole, incanalando gli impulsi dellasoggettività nel procedere nella ricerca della forma e nelsedimentare le esperienze della vita, l’inquieto progetti-sta valuta che il modo migliore per diventare un archi-tetto avveduto è dimostrare di saper coniugare filologiae immaginazione.

Spiegare come ciò avviene è il fine che si prefiggequesto interessante studio, scandito proprio nei modiraffinati in cui è stato impostato dall’autore Nicolosi,qui al suo secondo libro. Con l’avvertenza di riuscire asviluppare delle nuove dimostrazioni, restando semprein sospeso tra alto e basso, tra tragedia e commedia, trale vertigini delle eccezionali costruzioni del pensiero el’ordinaria normalità espressa dalle cose umane, cheanimano le sequenze degli spazi vissuti in comune.

Aldo De Poli

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“In qual modo, fondate le città, avrebbero gli uominiimparato a onorare e rispettare la giustizia e come si sareb-bero abituati ad ubbidire spontaneamente, se non fossero

esistiti uomini, che con l’eloquio li persuadessero ? Nes-suno certamente, forte com’era, si sarebbe assoggettato

alla legge senza opporre resistenza, se non vi fosse stato in-dotto da un discorso suadente.”

(Marco Tullio Cicerone, De inventione)

“Nelle forme e figure degli edifici c’è senza dubbioqualcosa di naturalmente eccellente e perfetto che colpisce

l’animo e viene immediatamente percepito. Noi la chia-miamo concinnitas, essa ha dei campi vastissimi in cui

esercitarsi e fiorire; abbraccia tutta la vita dell’uomo e lesue leggi; regna su tutta la Natura”

(Leon Battista Alberti, De re aedificatoria)

“Vorrei che le mura urbane fossero fatte per impaurireil nemico con il loro aspetto e farlo allontanare scoraggiato

(…) auspico inoltre che il tempio sia così bello da far tre-mare dallo stupore, davanti a tanta bellezza, coloro che vi

entrano”(Leon Battista Alberti, De re aedificatoria)

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IntroduzioneA ciascuno il suo muro: il governo estetico nella “città albertiana”

“È bene notare che dobbiamo all’architetto so-prattutto la sicurezza1” ed è grazie a questa che, se-condo Leon Battista Alberti, è possibile vivereserenamente sia nel tempo dell’ozio che nel tempodel lavoro.

La dignità e l’eccellenza dell’architetto, la sua altamissione sociale, dipendono dalla sua abilità nel-l’escogitare con arte e ingegno dispositivi tecnici,spaziali ed estetici utili per disegnare strategie di lo-calizzazione degli impianti urbani a prova di qual-siasi incursione nemica indesiderata.

La “potenza dell’ingegno” dell’architetto è supe-riore agli auspici e a tutte le tecniche magiche perpropiziarsi la fortuna e vincere le forze del nemico.

La metafora dell’“architetto stratega”, capace divincere le forze avverse non con l’uso della forza macon l’astuzia e l’abilità tecnica, ricorre con frequenzanel trattato architettonico albertiano.

L’“architetto-militare” sa economizzare le forzemassimizzando i risultati mediante l’invenzione dimacchine spaziali anti-nemico da abitare in totale si-curezza.

Naturalmente il nemico da sconfiggere può assu-

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mere differenti volti. I domini culturali, capaci di as-soggettare l’altro portatore di caos e disordine sono:la medicina, la politica, la religione o la superstizione.Un luogo salubre, una posizione topografica e geo-grafica favorevole, uno spazio raccolto, un oggettoapotropaico possono contribuire al benessere dellacomunità urbana, immaginata dall’Alberti, tenendorispettivamente lontani: gli influssi nefasti dei luoghimalsani, la forza distruttiva dei nemici e le potenzeinvisibili del male.

A ogni gruppo sociale è rivolta una particolare curae attenzione da parte dell’architetto, garante della si-curezza di quella città ideale retta dalla “tecnica regiadella tessitura”2, secondo il modello platonico delbuon governo. Creare infatti nella città “zone occulte”affinché i principali committenti della corte umani-stica, il Principe, il Tiranno, il Vescovo, possano tra-mare segretamente le strategie di governo è ilprincipale compito dell’architetto preposto ai disposi-tivi della sicurezza.

Tra questi il metaforico muro “della coincidenzadegli opposti” di Nicola Cusano separa e congiungegli uomini e Dio, mentre la solida parete albertiana,il quarto elemento dell’arte del costruire, ha la fun-zione di sostenere e dividere lo spazio sia architetto-nico che urbano.

Due azioni costruttive, quelle del sostenere e deldividere, su cui simbolicamente si regge anche l’idea

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delle differenti identità dei gruppi sociali che com-pongono la città umanistica: “in questa prolifera-zione dei compartimenti stagni – scrive in unbrillante saggio Rinaldo Rinaldi – anche l’elementoprimario delle pareti perde gradualmente il suo pro-filo neutro di elemento architettonico, per trasfor-marsi in un baluardo da contrapporre alle minaccedel mondo esterno”3.

Così, se al Re spetta una singola cinta muraria perdifendersi dagli esterni, il Tiranno si deve difendereanche dai propri sudditi; ecco perché a questi è ne-cessario una seconda cerchia muraria interna allacittà.

Diversamente, gli invisibili nemici dell’ordine spi-rituale devono essere estromessi dalla dimora del Ve-scovo o del religioso mediante cortine murarieanti-sguardo e anti-rumore, perché è la concupi-scenza degli occhi e l’interruzione del silenzio inte-riore che minano la virtù evangelica della castità.

Infine, un più modesto recinto è sufficiente a cu-stodire la privata proprietà della dimora del cittadino.

Per rendere la città sicura, l’architetto deve non solocostruire pareti, ma creare delle sofisticate linee diconfine, dei dispositivi capaci di agire sia fisicamenteche psicologicamente sull’animo umano: insommatutta una “microfisica del potere che potremmo chia-mare cellulare”4.

Per arginare il disordine e favorire l’identità ordi-

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nata delle singole compagini sociali e culturali checostituiscono la città umana, il costruttore della cittàfisica deve avvalersi del potere della bellezza archi-tettonica per sedurre o respingere, per unire o di-sperdere, per affascinare o terrorizzare.

La città della “sorveglianza”, immaginata dall’Al-berti, deve perciò fondarsi su spazi segreti, su invisibilicondotti acustici, su occulte vie di uscita, conosciutida pochi, e allo stesso modo deve essere visibile a tuttinella propria bellezza sacrale, scoraggiando così ognitentativo di possesso distruttivo.

Le mura delle città sono sacre secondo l’Alberti; esono erette attraverso magici rituali di tracciamentofondati sul “segno della croce”.

Il fascinans e il tremendum, come effetti psicolo-gici che accomunano lo spazio della bellezza e il do-minio del sacro, devono essere sapientementecalcolati e calibrati dall’architetto che voglia vincerela decisiva battaglia contro i nemici dell’armoniaumana.

I due volti della città albertiana quello seduttivo equello minaccioso, quello solare e quello notturno,o più semplicemente classico-armonico e medievale-tettonico, generano un conflitto estetico che l’arte in-gegnosa e strategica dell’architetto deve controllaree dirigere per adempire alla propria missione mili-tare di custode dell’ordine estetico della città.

La concinnitas, “legge assoluta e principale della

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Natura”5, non è quindi solo un ideale astratto diunità dell’opera artistica. Ma piuttosto un raffinatodispositivo estetico funzionale a una “politica dellosguardo” che intensifica la fascinazione visiva di al-cune parti della città per meglio oscurare e proteg-gere, dietro spesse cortine murarie, i veri centrispaziali del potere. Chi sa capire la potenza psicolo-gica delle forme costruttive è in grado così di gover-nare le potenti dinamiche sociali che premono suiconfini figurali della città umanistica.

Però solo smontando il paradigma prospettico al-bertiano – per svelarne il sotteso e difensivo “fanta-sma della parcellizzazione”6 che attraversa, come hamostrato Rinaldi, l’intero programma del De re ae-dificatoria – si può mettere in evidenza il fondo co-ercitivo esercitato dallo “sguardo distanziante”rinascimentale sulla moderna formazione della cittàoccidentale.

La “forma simbolica” del vedere prospettico, ma-gistralmente definita da Erwin Panofsky, va quindiulteriormente decostruita mettendone fuori uso l’il-lusoria e immaginaria pretesa di costruire geometri-camente l’integrità speculare uomo-mondo.

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Questo libroviene stampato

nel carattere Simoncini Garamonda cura di PDE Spa

presso lo stabilimento di LegoDigit Srl - Lavis (TN)per conto di Diabasis

nel novembre dell’annoduemilatredici

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Andrea Nicolosi nasce a Parma nel 1967. Dottore di ricerca in progettazione architettonica all’Università di Genova, collabora alla didattica della Progettazione Ar-chitettonica e della Storia dell’architettura contempora-nea presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Parma, dove è attualmente professore a contratto.

Costruire nella città “zone occulte” affinché i principali committenti della corte umanistica, il Principe, il Tiran-no, il Vescovo, possano tramare segretamente le stra-tegie di governo è il principale compito dell’architetto preposto ai dispositivi della sicurezza.La “città della sorveglianza”, cioè il retroscena dello spazio urbano che emerge fra le righe del De re aedifi-catoria, si fonda su un’invisibile topologia della difesa: spazi nascosti, impercettibili condotti acustici, dissimu-late vie di uscita. Allo stesso tempo, il paesaggio urbano deve essere ben visibile nella propria bellezza sacrale, scoraggiando ogni tentativo di possesso distruttivo. La concinnitas albertiana è un raffinato dispositivo este-tico funzionale a una “politica dello sguardo” che in-tensifica la fascinazione visiva di alcune parti della città, per meglio oscurare e proteggere, dietro spesse cortine murarie, i veri centri spaziali del potere.Solo chi sa capire la potenza psicologica delle forme costruttive è in grado di governare le potenti dinami-che sociali che premono sui confini figurali della città umanistica.