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Lode a Pannarano - Pubblica il tuo ebook e Leggi gratis · dei Caracciolo napoletani presso il Vesuvio. ... abate di San Giorgio, nell’ anno 844 fondò un ospedale, vicino alla

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Lode a Pannarano

Al mio paesello perché:

è il più bello. Guardando i monti questa sua magia

accende poesia ed armonia. Al mio paesello semplicemente

perché è il più bello.

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Il soave giardino di Pan-Darano

Nobile s’elevò

nel borgo il cuore dell’uom:

che vide i monti lo splendore

lo estasiò questo giardino

fu lodato dall’estro d’umiltà

fu decantato. E’ l’uomo

che la spada diede onore lo consacrò nel tempio

delle glorie.

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Grazie all’archivio storico di Napoli

Cosa ho fatto una banalità

si potrebbe affermare: raccogliere

dall’archivio storico di Napoli gli scritti narranti

la Famiglia Caracciolo. Sei mesi di tenacia

sei mesi di passione tutti i giorni a mie spese

nel lontano 2000 Fra le virtù Bizantine

Svevo normanno –longobarde

angioino – spagnole. Ci volle pazienza tanta passione

per rendere infine gloria ha chi visse d’autorità

nei borghi nobili di beltà.

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Ma non si può blaterare al vento

pensieri errati specialmente

di chi visse l’umanità lasciando visive segni

secoli fa. Un grazie speciale va:

al Nobile Duca Giovanni Pignatelli della Leonessa

che con paziente virtù volle correggere

gli errori commessi in frettoloso agire

sulle origini del suo casato regnante dal 1260

in San Martino Valle Caudina e molte baronie

d’incantati borghi. Grazie con stima

Giuseppe Pagnozzi

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Pensier di Psiche

Mi Promisi un giorno

di ritornare agli albori di ciò che fu

il mio paesello. Per non dimenticare

che infondo la storia

è bella da raccontare perché:

ogni uno di noi ha una propria radice

è da essa nasce la qualità che differenzia

l’umanità.

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Le Vanità nobiliari

Mirando

questi borghi oh sognatore

udrai dell’eco d’uomini sangue e terrore.

Perché il medioevo: questo donava

ha chi con la spada il potere cercava.

Ma fra ville castelli di nobiltà celarono glorie

capricci e vanità. Scritti nel marmo dei loro blasoni:

eco e simboli d’antichi valori.

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La Storia

La Storia fu scritta

in ogni borgo in ogni via

da chi fu nobile d’ipocrisia. Con spada

corazza blasone e mantello:

si arricchì sul volgo regno

luce del sole tenebre d’ardore.

E’ negli archivi la storia celata

fu nei lustri conservata.

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Aprendo un libro rivive dal passato

hai posteri il pensiero lodato:

di chi seguì la maestà dettò leggi scritte

all’umanità. Sei mesi a Napoli

mi son fermato ha guardare ed ora questi pensieri

li voglio narrare perché fan parte

del DNA d’ogni borgo di libertà.

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Ogni cittadino dovrebbero ricercare l’origine, l’emblema del luogo natale. Per curiosità radici sacre d’umiltà. Ma gli amministratori Comunali sempre più avari rendon vano l’esser sole celando lo specchio d’antiche glorie.

Guerrier di Lode

Furon Guerrieri.

Astuti condottieri. Nell’era

in cui la guerra rendeva fieri.

Divennero nobili dall’uomo elogiati

perché: Feudatari furon creati.

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La brezza sublime del Partenio

Cantan le muse

l’armonia e l’amore allo scroscio dell’acqua

culla il vento d’ardore.

Ammirando fra i monti l’oro

che pura beltà: decanta di psiche il fiore d’umanità

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La mano di Giuda

Le qualità

di una persona: si dimostrano nell’agire.

Se d’autonoma psiche il bagliore:

sa risplendere eco del sole. Ma se falso

l’altrui l’inganna: non resta altro

che rispolverare le ceneri infrante

raccattare per poter fiero

d’orgoglio trionfare.

Giuseppe Pagnozzi

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La Famiglia Caracciolo

Bizantino fu il cuore. Di Bisanzio l’amore che diede hai Caracciolo: l’umane lor glorie. E’ tale fu l’origine, di questi guerrieri:

Caraczuli, Caracolo, Caraccolo che già, alla corte degli Imperatori romani dell’Impero romano d’Oriente, vantava virtù un casato detto: << Caraccolo di Bisanzio >>.

Ma: nel III° secolo dopo Cristo, il potere dei Caraccolo accrebbe di tale vigore: che Edussia Caraccolo fu moglie dell’ imperatore Arcadio. Come anche: Ambusto Caraccolo, duca di Antiochia fu acclamato imperatore, dell’ Impero Romano d’Oriente, in luogo del deposto Michele Stratiotico. Ma rinunciatone ha favore: di Isacco Comneno. Tali le glorie che vide la dinastia, che: nell’alternarsi delle generazioni, vollero lasciar Bisanzio, per seguir Costantino I° che fu grande a Roma. Padrone di un regno: che vide in Napoli, l’ascesa Bizantina in contrapposizione ai Longobardi.

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E’ fu tale la bellezza del golfo e l’aria sublime e pura: che ha seguito di Sergio II ° stabilirono la loro residenza, di fieri cavalieri cresciuti di fama e ricchezze al monte de li Caraczuli , che il tal Teodoro ebbe, quale capostipite: dei Caracciolo napoletani presso il Vesuvio. Così si dissero Caracciolo da lor tradizione quale più antica e prospera Nobiltà napoletana. In Grecia: sul monte Athos, vi fu un monastero Caraccolo, fondato da un Caracciolo e rivendicatolo per discendenza nel XIV° secolo da Logorio Caracciolo, governatore dell’ Acaia in nome di re Roberto d’ Angiò. Una leggenda napoletana, sulle origini del casato narra che: << nel IV° secolo, l’imperatore Costantino cercò d’acquistare alcune case, nel quartiere Nilo a Napoli, con l’intento di costruirvi una grande chiesa. Ma tali abitazioni, non potettero essere acquistate dall’ Imperatore, il quale, dovette erigere una chiesa molto piccola. E’ quindi, molto adirato, perché il proprietario non volle cedergliele, fece apporre a caratteri cubitali la scritta:

“ Non si può più per lo malvaso Carfù. “>> Questo: fu il nome, del testardo personaggio

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che fece adirare l’Imperatore. E’ dalla cui tradizione volle: << siano nati i Caracciolo >>. Fonti certe su questo famiglia, vi furono già nel IX° secolo, quando Pietro Caracciolo abate di San Giorgio, nell’ anno 844 fondò un ospedale, vicino alla chiesa di Santa Maria a Selice, mentre nello stesso anno, molti Caracciolo venivano qualificati quali:

“ Nobiliores Homines “. Il capostipite della dinastia, fu Pietro Caracciolo che nel IX° sec., stabilì la sua dimora a Napoli ed il quale possedeva dei terreni presso il Vesuvio e nel luogo detto: “ Monticelli de li Caraczuli “, ereditati dall’ avo Teodoro. Il suddetto Pietro, ebbe fra i suoi discendenti: Landolfo, che sposatosi nel 1110 con Anna Gaetanini, ebbe due figli, i quali furono Riccardo detto il “ Rosso “, capostipite dei Caracciolo Rossi. Filippo il “ Pisquizio “, capostipite dei Caracciolo Pisquizi. Due fra i più potenti rami, cui si divisero i Caracciolo, ascritti ed amministratori del seggio di Capuana. Nel 1270, i Caracciolo si identificarono come un casato detto le Tre di Napoli:

<< Capace, Caracciolo, Carafa. >> Rispecchiando in esse, le più antiche nobiltà napoletane, per l’ enorme potere delle stesse.

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Nel XII° secolo, si differenziarono per le doti diplomatiche, ed i poteri accumulati, quattro rami cadetti principali ovvero:

I Caracciolo Rossi; I Caracciolo Cannella; I Caracciolo di Capua; I Caracciolo Carafa.

Originariamente i Carafa, costituirono un ramo dei Caracciolo, ma mutarono il cognome quando circa nel 1290 Gregorio Caracciolo, fu incaricato da Carlo I° d’ Angiò, fratello di Luigi IX° il Santo, re di Francia, il quale: per volere papale divenne re di Napoli di riscuotere la gabella sul vino, meglio identificata come:

“ Campione della Carafa. “ La fortuna dei Carafa, arrivò nel XIV° secolo quando Bartolomeo III°, fu incaricato da re Roberto D’Angiò, d’importanti cariche accumulando molteplici ricchezze. Da Bartolomeo III° Carafa, detto “ della Spina “ discesero i Conti di Policastro ed i principi di Roccella. L’ origine dell’ appellativo “ della Spina “ va ricercato in un aneddoto, in cui Bartolomeo e suo fratello, cavalieri della famiglia Carafa parteciparono ad una giostra, organizzata nel campo del castello in San Giovanni a Carbonara da re Carlo II° d’ Angiò detto “ Lo Zoppo “.

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I Due: ostentarono sullo scudi d’ arma, tre fasce d’ argento in campo rosso, suscitando le meraviglie del sovrano, che due privati cavalieri esibissero l’armi regie d’ Ungheria, per cui i due, presi da un arbusto lì vicino, una lunga spina coprendo lo scudo, così da ottenere l’appellativo:

“ di cavalieri della Spina “. Da Antonio, detto “ Malizia “, per le sue doti in campo diplomatico, discese il ramo Stadera: dato che sullo scudo d’ arma aggiunse una bilancia stadera, quale simbolo di giustizia “. Casato di illustre virtù, a cui appartenne: Diomede Carafa, nato nel 1406 e morto 1487 in Napoli“, capostipite dei Conti di Maddaloni che fu titolare d’innumerevoli cariche di rilievo affidategli da Alfonso I° di Aragona e Ferdinando I°. Divenuto in seguito responsabile dell’ educazione del figlio di re Alfonso principe ereditario duca di Calabria. Oliviero Carafa, 1430-1511, arcivescovo di Napoli e Cardinale, fu l’artefice della costruzione della Cappella Carafa nel palazzo della Speranza nel Duomo di Napoli e del Palazzo che in seguito divenne una reggia. Altro membro celebre: fu Giovan Pietro Carafa, nato a Sant’ Angelo a Scala ( Av) nel 1476. Figlio del duca di Montoro inferiore, ebbe incarichi importanti nella curia romana con titolarità vescovili a Brindisi nel 1518

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ed a Napoli. Fu nunzio apostolico in Spagna ed in Inghilterra risiedendo a Venezia nel periodo di diffusione e propagazione del protestantesimo o luteranesimo. Fautore della riforma cattolica, fu membro dell’oratorio del Divino Amore e fondò insieme a Gaetano da Tiene: l’ordine dei Teatini, nel cui ordine si formarono grandi Maestri dei Templari, al cui ordine aderì, per il principio di liberare Gerusalemme dagli Ottomani. Con la morte, di Papa Marcello II°, 1555, raggiunse la soglia pontificia con il nome di Paolo IV°, ormai in tarda età mantenendola fino al 1559, anno della sua morte. Divenuta Papa: Giovan Pietro, fu aspro persecutore del protestantesimo, dando ampio potere al tribunale del Santo Uffizio ed alla Inquisizione. Perseguitò e torturò gli adepti della nuova riforma ricorrendo all’ ordini, di bruciarli al rogo con pesanti accuse d’ eresia. Fautore: di un accesa censura editoriale con l’ introduzione dell’ Indice dal latino INDEX editto emanato con bolla papale del 1557 divulgato poi con ordinanza supremo del Santo Uffizio, con cui si sanciva la censura di ogni testo, cui la Chiesa reputava non consone alla morale ed al costume, non rispecchiando il pensiero delle sacre scritture, massima legge dei popoli a cui gli umani dovevano cieca obbedienza, ordinando la scomunica per coloro, che si sottraeva a tale editto.

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Editto mantenuto fino al 1700. Ridusse ed emarginò ogni corrente Umanistica ed irenica cristiana. Poco favorevole al Concilio di Trento incentrò tutto il suo potere alla lotta delll’eresie del protestantesimo, rifacendosi ad un modello teocratico: della supremazia del Papa sui Principi accumulando molteplici ricchezze personali. Il suo pontificato, si rivestì più d’insuccessi che di successi. Entrò in conflitto, con il re Carlo V°, da cui ne scaturì una guerra feroce contro il figlio Filippo II° nel Napoletano, dal quale il Papa ne uscì letteralmente sconfitto. Alla sua morte il Vaticano si trovò, in una difficile condizione Politico - economica - sociale. Per sbeffeggiarlo, i romani composero un sonetto Che qui riporto a ricordo della sua tirannia:

Carafa in odio al diavolo ed al ciel è qui sepolto

col putrido cadavere lo spirito erebo ha accolto.

Odiò la pace in terra, la pece ci contese. ruinò la Chiesa ed il popolo

Uomini e cielo offese. Infido amico, supplice ver l’oste a lui nefasto. Di più vuoi tu saperne? fu Papa e tanto basta.

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Carlo Carafa, nato nel 1476 , nipote di Paolo IV. Per volontà dello zio divenne cardinale ma subordinò gli interessi della chiesa a quelli del casato, portando la famiglia in rovina, per questo fu fatto giustiziare dallo stesso zio Giovan Pietro nel 1559. Altra figura storica dei Carafa, fu il marchese Antonio, nato a Napoli nel 1538, fu cardinale e curatore dell’ edizione critica della bibbia dei settanta. Partecipò insieme ad altri, alla correzione della vulgata, morendo a Roma nel 1591. Gran condottiero di questo casato, fu il marchese Girolamo, nato a Montenero nel 1564, fu investito del titolo: di principe del S.R.I nel 1620 morì dopo numerose battaglie a Genova nel 1633. Altro nome illustre, fu il duca di Andria Vincenzo, nato nel 1585, divenne il settimo generale della compagnia di Gesù. Rimasti sempre numerosi, nell’ avvicendarsi delle generazioni, a tal punto che: Ferdinando I° di Borbone , 1751-1825 il “ Lazzarone “ re di Napoli soleva affermare:

<< Per le strade di Napoli, ovunque ti giri e volgi lo sguardo:

trovi un Caracciolo e na pecora che pasce>>!. “

Il fatto d’esser, così numerosi, consentì hai Caracciolo d’acquisire enormi poteri dividendosi in vari rami, ognuno con propri feudi.

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Ed essendo la dinastia molto vasta ed influente nelle corti regali per potersi identificare adottarono i soprannomi più strani e fantasiosi: Arbusti- Barba- Bulloni- Cannella Carafa – Rossi - Cassano Farina- Folli-Lavoratori- Naselli Pisquizi - Pessimi Forti -Spesati- Viola- ecc.

Ai tempi della dominazione Svevia occuparono posti di primo piano sia in campo politico che militare. Giovanni Caracciolo, già vice re in Sicilia fu nel 1228 l’ anima della difesa d’Ischia assediata dai genovesi ribelli all’ imperatore. Quando, si vide perduto, anziché arrendersi preferì finir bruciato vivo, in una delle torri del castello che difendeva. Landolfo: conte di Montemarano e signore di molte terre, era imparentato con la casata di Svevia, ed Alberto Caracciolo consanguigno di re Manfredi, fu gran maestro dei templari. Sempre fedele al casato di Svevia 34 feudatari della famiglia Caracciolo combatterono a fianco di Manfredi contro il Papa, il quale nel 1260 vista l’ espansione del casato Svevia sulle terre del meridione e vedendo in esso una minaccia per i limitrofi territori della chiesa Papa Clemente IV°, chiamò in aiuto i francesi guidati da Carlo I° d’ Angiò, Conte di Provenza fratello di Luigi IX il Santo, re di Francia.

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Egli: dopo sanguinose battagli, Manfredi fu ucciso a Benevento e gli Angioini divennero signori di Napoli e Sicilia. Nel 1267, dietro richiesta dei baroni ostili al casato angioino, scese in Italia Corradino di Svevia, ultimo discendente della dinastia Hohenstaufen, già re di Germania, per riconquistare, i territori del regno meridionale assoggettati agli angioini, vendicando la morte di Manfredi, ucciso dalla congiura. Non trovando difficoltà, raggiunse Roma spingendosi più a sud, verso Tagliacozza dove si disputò una feroce battaglia, in cui Corradino subì la sconfitta, da parte dell’esercito franco – papalino. Rifugiatosi presso Giovanni Frangipane signore di Asturi , credendolo suo amico per riorganizzare le truppe, fu tradito durante il banchetto, incappucciato e consegnato nelle mani di Carlo d’ Angiò il quale lo fece processare e decapitare insieme al duca d’Austria Federico. Le spoglie dei due, riposano, nella chiesa di Santa Maria del Carmine Maggiore voluta, fatta erigere, da Carlo I° d’ Angiò nel 1270, con il contributo di Elisabetta di Baviera e Margherita di Borgogna contessa di Tonnerre.

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Re Carlo fece collocare in uno dei capitelli della chiesa la seguente frase: “ Asturis Ungue Leo Pullum Sapiens Aquilinum Hic Deplumavit Acephalumque Dedit. AD MCCDXX. Il Leone d’ Austria, dopo aver rapito con gli artigli un pulcino d’ Aquila, l’ ha spiumato e decapitato. AD 1270 “. Con la venuta quindi, di nuovi sovrani la famiglia Caracciolo, dovette assoggettarsi alla nuova signoria, raggiungendo grandi onori e potenza, misti a drammi festosi ed inverosimili tragedie, precipitando risollevandosi con maggior vigore riportando gratificanti glorie e regalando figure di grande rilievo. Enrico Caracciolo Rossi, nato nel 1300 fu gran camerlengo del regno, ed amante della regina, tra i cavalieri più prodi alla corte di Giovanna I, raggiunse il culmine della potenza, ma perse la testa, fattagli mozzare da Luigi di Taranto, secondo marito della regina, nel 1350, su suggerimento dell’ invidioso gran siniscalco Acciaiuli. Luigi: sposò Giovanna I d’ Angiò, dopo aver partecipato all’assassinio d’Andrea di Ungheria, primo marito della regina assassinato per volontà di Niccolò Acciaiuoli per combinare il matrimonio con Luigi di Taranto.

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Dopo l’affronto subito al fratello d’armi Andrea, Luigi d’Ungheria, scese in Napoli nel 1348, per conquistare il regno in onore del nobile uomo defunto. Qui: Enrico Caracciolo, combatté valorosamente Luigi d’Ungheria, con l’esercito angioino al fine di consentire alla regina di rifugiarsi nel suo castello in Provenza, mentre Napoli veniva assoggettata agli invasori fino al 1352. Ma la regina, riordinato l’esercito, ripartì guidato dal Caracciolo alla conquista di Napoli. Dopo una sanguinosa battaglia, in cui partecipò lo stesso Enrico. In Provenza, grande importanza, rivestì Marino Caracciolo Pisquizi, cugino di Enrico, grande maestro di corte, il quale, entrò in conflitto con il cugino, siniscalco della regina. Egli combatté valorosamente con la retroguardia angioina, consentendo alla regina, di rifugiarsi nella sua fortezza in Basilicata. Creato Cavaliere, il Marino fu capostipite della dinastia dei principi di Avellino, dei Marchesi di Brianza e Sicilia, dei Baroni di Pannarano dato che il figlio Cornelio Caracciolo, sposando Antionia Sarnottano, fra i loro figli ebbero Ettore Caracciolo, vice castellano ed in fine Castellano di castel dell’Ovo, il quale sposando Isabella Lopez, fra i suoi figli ebbe Giovanni Antonio, Barone di Pannarano per aver acquistato il feudo, dalla corona Aragonese nel dicembre 1509.

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Rimasta vedeva, nel 1362, Giovanna, sposò nel 1363 Giacomo III d’ Aragona Maiorca ed in seguito Ottone di Brunswick. Ma non avendo eredi dai 4 mariti, delegò tutto il suo regno a Carlo di Durazzo. Ma schieratasi successivamente, con l’ anti Papa Clemente VII° nel 1378 venne scomunicata, ed imposta dal papato la salita al trono di Napoli e Sicilia di Luigi II° d’ Angiò, fratello di Carlo V°. Ma imminenti si scatenarono le milizie di Carlo III° di Durazzo, entrato in Napoli nel 1381. La regina, catturata nel suo castello di Muro Lucano, fu fatta strangolare da Carlo. I beni della regina in Sicilia, furono alienati a Federico III d’ Aragona, vista la riconoscenza della regina ha suo vassallo. Importante figura dei Caracciolo, fu Giovanni detto “ Ser Gianni “ , 1374, del ramo dei Caracciolo Pisquizi del Sole e figlio di Marino, primo fra dieci figli, costruì la sua ascesa sociale, grazie alle sue doti di cavaliere medievale cresciuto alla corte angioina. Servì in armi Ladislao, quando succeduto al padre Carlo III° , nel 1386, dovette scacciare il cugino Luigi II° d’ Angiò, nel 1411, il quale pretendeva il trono, grazie, anche all’ appoggio dell’ antipapa Giovanni XXIII, oltre alle sommosse delle classi baronali, placate proprio grazie all’ intervento influente del Caracciolo.

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Nei pressi di Roccasecca, in piena battaglia fra Ladislao e Luigi, Ser Gianni intravedendo il suo re in netto svantaggio rispetto alle milizie francesi, indossò le sopravvesti reali, per incoraggiare i combattenti angioini, a scacciare i francesi rientrando nell’ accampamento, solamente a notte inoltrata, con le vesti logorate sanguinanti, per le numerose ferite avute dal nemico, ma fiero, che il suo sovrano ebbe salvato, l’ impero, dalle mire espansionistiche dei francese guidati da Luigi d’ Angiò. Divenuto in seguito, il favorito e l’amante della regina Giovanna II°, ascesa al trono alla morte del fratello Ladislao, la quale regina non avendo eredi, dal matrimonio contratto con Guglielmo d’ Asburgo, sposò in seconde nozze Giacomo di Borbone con il disappunto della nobiltà locale i quali, videro in Giacomo, una vicinanza francese nel regno. Ma non avendo eredi, relego tutti i suoi poteri al Caracciolo che divenne vero padrone del regno. Fu rivestito del titolo di gran Siniscalco nel 1417, lasciandosi convincere dai baroni vista l’assenza di eredi al trono, a legittimare l’eredità, al nipote della regina, ovvero: Luigi III d’ Angiò. Ma dopo l’ adozione della regina Luigi, manifestò l’intento, di favorire gli interessi della Francia sui territori del napoletano, a discapito

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della nobiltà locale, per cui i baroni invocarono l’ intervento mediatico del Caracciolo, affinché la regina ripudiasse l’ adozione. Fu così: che nel 1420, Ser Gianni mosse guerra a Luigi III° d’ Angiò, invocando l’ aiuto d’ Alfonso V° d’ Aragona detto

“ il Magnanimo “ in seguito adottato dalla regina. Relegò sia la regina, che il re aragonese governando in modo brusco e tiranno finché non fu arrestato, da una congiura voluta da Luigi III°, in seguito riadattato dalla regina nel 1423, dopo aver ripudiato Alfonso e designato erede del regno. Ma vedendo nel Caracciolo, un avversario pericoloso, per gli ottimi legami con la regina la notte del 19 agosto 1431, Luigi fece uccidere Ser Gianni, in accordo con Marino Boffa, il quale era entrato nelle grazie della regina, creato cancelliere e consigliere reale chiese in moglie, l’unica figlia di Giannotto Stendardo cresciuta alla corte di Ladislao di Durazzo e con la morte di lui, la regina Giovanna II° gli ereditò una ricca dote. Ma subentrato, nelle grazie, della capricciosa e vogliosa regina Ser Gianni, Marino Boffa fu spogliato di molti feudi, concessi al Caracciolo

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quindi, si vendicò, essendo fra quelli che giustiziarono Ser Gianni Caracciolo fu Marino. La regina, fece processare il morto assumendosi piena responsabilità dell’ accaduto, mentre venivano assolti gli esecutori. Le spoglie di Ser Gianni, vennero relegate nella cappella Caracciolo del Sole in San Giovanni a Carbonara voluta e fatta erigere dallo stesso in cui, vi è il sepolcro con la statua di Ser Gianni, fatto costruire, dal figlio Traiano nel 1441. Luigi, divenne, alla morte di Giovanna II° avvenuta nel 1435, erede dei suoi beni. Dopo di lui, i beni passarono al fratello Renato d’ Angiò. Ma Alfonso, nel 1442 invase Napoli, sotto il regno di Renato, entrando d’astuzia nelle inviolabili mura napoletane tramite l’aiuto di alcune suore, dal pozzo di un ignaro sarto locale, massacrando la retroguardia nemiche e ponendo fine al dominio angioino nel napoletano. Divenuto re, Alfonso, riunì giuridicamente i regni di Napoli e Sicilia con decreto:

“ Rex Etrisque Siciliae “. Decaduto la dinastia Angioino, le classi nobiliari, dovettero assoggettarsi ai regnanti di turno, rispettandoli e onorandoli con dignità e coraggio: servili d’arma e con astuzia diplomatica.

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Nel 1528, una pronipote di Ser Gianni Isabella Caracciolo, sorella del principe di Melfi mostrò il suo animo coraggioso, combattendo impavida contro i francesi, mentre la cugina Sidania, che difendeva eroicamente il suo castello, assediato da Simone de Romano capitano dei francesi. All’intimidazione d’arrendersi, affinché fosse salva la vita del figlio primogenito fatto prigioniero, rispose arditamente dagli spalti della torre:

“ Se mi uccidete il primo, ne avrò altri quattro, pronti a combattere

per il loro Re “. Tristano di Galeazzo, marchese di Vico grande umanista, attratto dalla riforma calvinista, rinunciò a tutte le sue ricchezze si trasferitosi a Ginevra, dove fondò insieme con Italo Calvino: una chiesa riformata italiana. Marino Caracciolo, fu procuratore apostolica per cardinali ed i governatori di Milano ma rifiutò sdegnosamente, da Francesco I° Sforza l’ offerta di 300.000 scudi, per farselo amico. Egli fu talmente ricco, che la stessa casata reale, era debitrice nei suoi confronti, chiedendo in prestito grosse somme di denaro. Antonio Caracciolo, vescovo di Trojes

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fu umanista e poeta, ma rinunciò al vescovato, per abbracciare la causa del protestantesimo, sospinto dall’eco della nuova riforma. Ma poi, stancatosi anche da questa ultima riprese il titolo di principe di Melfi. Nella famiglia, non mancarono esponenti ambiziosi casanova, con veri turbini passionali, come il duca Girifalco che, invaghitosi di una donna, che non poteva sposare, perché già impegnato. Fece rinchiudere la moglie nei sotterranei del suo castello, la diede per morta fece celebrare solenni funerali, al fine di sposare la bella di cui si era innamorato. Ma scoperto il misfatto, il duca fu arrestato e la duchessa ormai sconvolta, si rinchiuse in un monastero, mentre il marito terminò i suoi giorni nella fortezza di Pozzuoli. Altre figure influenti furono: i Marchesi di Vico e Torrecuso i Duchi di Martina, i Principi di Santobuono, i Marchesi di sant’Eremo e Cervinara, i Duchi di Montenero, i Principi di Atena i Marchesi di Brianza e di Sicilia i Duchi di Airola, i Principi di Forino i Principi di San Vito, i Principi di Avellino: eredi di Ser Gianni 1472. Furono Principi del S.R.I, avendo persino diritto di coniare moneta.

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Gran cancellieri del Regno di Napoli generali della cavalleria, cavalieri del Toson d’ oro di padre in figlio. I Caracciolo hanno dato alla Chiesa un Santo ovvero Ascanio, poi divenuto: Francesco d’Agnone, nato a Napoli nel 1563. Del ramo dei Pisquizie, duca di Cilenzia. Insieme al fratello Antonio, ricevettero l’ordinazione sacerdotali nel 1587 Occupandosi principalmente dei condannati a morte, assistendoli sia moralmente che spiritualmente. Fondò: insieme al cugino Fabrizio ed ai fratelli Giovanni ed Agostino Adorna l’ ordine dei “ Chierici regolari Minori “. Nel 1588 aderì al ordine dei Tain divenendone generale nel 1591. Si dedicò vivamente, alla divulgazione dell’ eucaristia, come vero simbolo d’adorazione cristiana della congregazione. Morì nel 1608. Quindi: nel corso della storia è affiorato che questo casato dalle belligeranti nobili origini, ha saputo nel corso dei secoli con brillante astuzia e ferreo coraggio ottenere ed entrare nelle grazie dei loro sovrani, acquistando notevoli prestigi ed accumulando molteplici ricchezze personali ma cosa ancor più importante, fu l’ascesa in campo politico sociale e militare

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senza tralasciare, le cariche ecclesiastiche raggiunte, affrontando l’imprese più azzardate pur di servire ed omaggiare i loro sovrani. Grazie alla loro astuzia ed i loro brillanti servigi hanno toccato i gradini più altri del potere monarchico, donando alla storia: Vice re di regni e province;

Ambasciatori, Siniscalchi; Maestri di corte; Ammiragli, Generali ; Comandanti di Eserciti; Un Papa, 10 Cardinali, 69 Arcivescovi Vescovi; Generali di ordini religiosi; Giurì consulti ed uomini politici; Letterati e filosofi; Un Santo: Francesco d’ Agnone.

Hanno posseduto elencando sinteticamente: 32 principati, 56 ducati, 42 marchesati 34 contee ed il possesso di circa 1000 feudi. Quindi: bene oh male, si è cercato di riportare alla luce l’origine storiche dei Caracciolo da sempre presente nel napoletano. Tale lavoro, è stato per me necessario per poter capire l’ avvicendarsi di questo casato nobiliare di origine antichissime ma maggiormente, poter sfatare i vocii d’inganni, sull’origine del mio paesello: Pannarano, il quale non ebbe ne radici Sannite, ne greco-romane

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non essendovi stati mai ritrovamenti ne di templi, ne di abitazioni risalenti a civiltà di visiva arte architettonica, negli scavi di costruzioni urbane che possano far risalire l’origine di Pannarano a tali epoche, ne vasellame reliquie sacre. Anche se Pentema bianca ebbe ritrovamenti di tombe Sannite ma ciò è da ricondursi: Oh alla sacralità del sito, per la composizione di monte Milone; oh ad una grave epidemia, che portò l’isolamento in quel luogo inabitato. Ho cercato, in questa opera, di tracciare una breve origine della famiglia Caracciolo per poter ricondurre l’ origine dei Caracciolo Rossi, feudatari di Pannarano dal 1509 al 1849. Entrando in ordine genealogico: il capostipite dei Caracciolo Rossi fu Riccardo Caracciolo Pisquizi detto il “ Rosso “, morto nel 1140 conte di Montemarano per aver sposato Marotta, figlia di Landolfo conte di Montemarano ( AV ). Da questi: si ramificò il ramo dei Caracciolo Rossi i quali ebbero titolarità nobiliari al seggio di Reggio Calabria, Basilicata Sicilia ed territori della Puglia.

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All’ origini d’azioni guerriere

dopo il declineo di Roma superba madre italica:

la nostra penisola fu attraversata conquistata: dai Longobardi, venuti dalle terre germaniche. I Bizantini provenienti, dallo smembrato Impero Romano d’Oriente, ovvero da Istanbul. Ma: ha seguito di scontri interni, fra Riccardo II° signore di Normandia e la Famiglia Dengrot tali diverbi: sfociarono nell’uccisione da parte di Osmondo Dengrot di un nobile uomo, collaboratore di Riccardo. Le conseguenze furono immediate, tali che il casato fu: processato, condannato e bandito dal regno. Per sfuggire a ciò i Dengrot, guidati da Rainulfo ed Osmondo, insieme agli altri 3 fratelli: Gilberto, Asclettino I°, Rodolfo, a seguito di 250 esuli cavalieri, si spinsero verso la Puglia, per potersi recarea monte Sant’Angelo sul Gargano, per pregare l’Arcangelo guerriero Michele .

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Da qui Osmondo ed i fratelli, prestarono opera di mercenari, scortando i fedeli al monte sacro , per poi, essere al servizio: di Errico II°, Pandolfo IV° di Capua Sergio IV° di Napoli, Guaimario IV° di Salerno, nelle lotte di conflitto fra Bizantini e Longobardi, nei territori del meridione d’Italia, finche Rainulfo uccidendo il fratello Osmundo, divenne signore della contea d’ Aversa titolo conferitogli da Sergio IV, per i servigi offerti in battaglia nonché capo indiscusso della famiglia Dengrot.

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Da qui: inizia l’ascesa normanna nell’Italia meridionale sconvolta dalle guerre lunghe sanguinarie, fra la chiesa, dominante nel ducato di Benevento, i Longobardi ed i Bizantini. Rainulfo: fu prima al servizio Bizantino per poi essere assoldato da Sergio IV, signore di Napoli.

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Le virtù Normanne

Normanno fu il ferro

che sancì il valore. Forti nel maneggiar

d’armi il terrore. D’astuzia

il consacrò Signor di lode:

Rainulfo d’Aversa fu signore

d’alloro tinse il suo capo di vanità il suo fato.

Ricchezze ebbe l’uomo l’avido umano

Che fu:

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della superbia il luccicare dell’oro

terra di paradiso giardino di virtù di venere beltà

di malizia l’anima d’estro umano il fiore.

Psiche: ingannò spema nel terrore.

Prosperò d’avida mano insanguinata

portò glorie alle feconde via

d’ogni borgo d’ipocrisia.

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L’anima Normanna

Il vento Normanno sospinse l’avaro Ruinolfo Dengrot

d’abile mano da monte san Michele

lungo il Gargano aprì la via

di mercenaria dinastia quando:

Il fratello Osmundo ammazzò sul suo cadavere brindò.

Dai Dengrot: altri Normanni scesero a conquistare il meridione d’Italia saccheggiare. Fu così che Tancredi, della contea normanna d’Hoteville, scese con i suoi 12 figli, stabilendosi nelle terre di Puglia divenendone baroni. Da Tancredi, fu Roberto il Guiscardo Con Ruggiero I°, che sotto la protezione del vassallaggio alla chiesa partirono alla conquista della Calabria e della Sicilia.

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Gli Altavilla: erano pienamente entrati, nella politica espansionistica, che muterà l’assetto geografico del meridione d’Italia e dell’intera Europa fino alle fredde steppe Russe.

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Creati Duchi, dopo una dura guerra contro i Saraceni in Sicilia ed una accesa disputa contro Dragon erede di Rainulfo, il quale pretese, l’incoronazione reale, vantando diritti di discendenza. Ma Ruggiero, contravvenendo anche alle volontà dei fratelli, fece incoronare il Figlio Ruggiero II: Re di Sicilia ed i Territori delle Puglie iniziando, quella politica, di divulgazione culturale e cosmologica che rese affascinante, la convivenza multirazziale dei dotti re di Sicilia: terra di splendore, cultura ed amore culminata, poi con lo Stupor Mundi Federico II°.

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Ho voluto tracciare un po’ decantare

l’essenza d’intelletto d’astuzia il fiore

di chi: lodando

di psiche la vanità rese splendor

la fede e l’umiltà. Ma io:

di Pandaran voglio lodare

chi fece verso i monti la magia

di collocar nel borgo l’armonia guardando il Parten

volle brillare l’eco

la mia cultura tramandare.

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Ecco così semplicemente: furon gli Aquino

nobil gente che scesi

in Longobarda dignità affascinati

da questa beltà alzaron

con mano insanguinata

il loro blasone trionfanti di virtù e glorie

furon guerrieri di medievale dignità crearon borghi e vita

secoli fa.

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Blasone della famiglia d’Aquino

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Così Pandarano vide il sole

dai Normanni come un fiore

sbocciò fra la maestà:

borgo d’amore. Sacro

lum d’umiltà lodando il coraggio tradendo la maestà

di Longobarda veste Normanne le glorie

tinse gli Aquino d’alloro. Ammaliati

dalla sua armonia il tondo monte fece la magia

di collocare l’albore delle radici

di Pannarano: di Pan il mito

dei boschi il richiamo.

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Cosi: Fra San Martino V.C. e Roccabascerano, sorse il borgo di Pannarano nel 1230, ad opera della Famiglia d’Aquino: condottieri Longobardi, poi mutato blasone cavalleria di Tancredi d’Altavilla, poi di Roberto il Guiscardo ed in fine di Ruggiero. Così nacque il borgo di Pannarano un castrum fortificato composto da dalle parole PAN: dio del bosco; DARANO: la vicino; ovvero:

Pandarano – il bosco la vicino in dote a Tommaso Gerardo d’Aquino 9° conte d’Aversa, Arienzo San Felice a Cancello, nonché primo barone di Pannarano. Egli sposò Marguerite de Souabe figlia illegittima di Federico II° di Svevia Hohenstauffen. dal loro matrimonio nascerà Isabella d’Aquino. Ma il fato, l’umano inganna, è spesso l’avarizia acceca la ragione specialmente in colui che predicò la luce di Cristo divulgò.

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Già sua Santità Gregorio IX° ordinò a Federico II° di Svevia re di Sicilia, la partenza per una crociata per liberare Gerusalemme dagli Ottomani infedeli Musulmani. Ma Federico: da sempre affascinato dalla cultura Araba intrattenne accordi diplomatici con il Sultano, così che, senza ferir alcuno ebbe la cessazione dei conflitti fra Cristiani e Mussulmani con un patto di non belligeranza per 15 anni, nonché il matrimonio con la figlia del re di Gerusalemme e la relativa incoronazione a Re di Gerusalemme. Tali accordi fecero infuriare il successore di Gregorio IX° il quale scatenò presso Parma, un conflitto con lo Svevo, culminato nella sconfitta dell’esercito papalino. Ma a seguito di una battuta di caccia organizzata dallo Svevo con l’allontanamento dalla città provvisoria scatenò la rivalsa pontificia la quale guerriglia violò le mura fragili in legno della città, sconfiggendo il re Svevo Federico, che sconvolto si ritirò in Puglia, dove morì a castel del Monte.

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Alla sua morte: il potere regale passò al figlio Manfredi, ma il Papa chiese l’immediata consegna dei regni, essendo da sempre stata la Sicilia vassallaggio Papa. Ma il rifiuto, scatenò l’immediata rivalsa del Papa, che da Avignone sancì la Crociata contro Manfredi chiedendo l’intervento di Carlo I° d’Angiò, fratello di Luigi IX°, re di Francia Conte di Provenza. Le milizie Franco-papaline, scontratesi a Benevento, sul ponte leproso catturarono Manfredi, uccidendolo mentre Corradino di Svevia, re di Germania ed ultimo discendente degli Hoestaufen scese in Italia, per riconquistare il regno. Ma nel 1270, presso Tagliacozza ebbe uno scontro, con l’esercito Franco - papalino, il quale ebbe la meglio sullo Svevo. Rifugiatosi presso Giovanni Frangipane signore di Astura, suo caro amico durante la pausa pranzo, fu incappucciato da quest’ultimo e consegnato nelle mani di Carlo d’Angiò, il quale portato a Napoli, lo giustiziò nel 1270 sulla piazza del Carmine Maggiore.

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Tramontata l’epoca d’oro Svevo – Normanna il regno meridionale, fu assoggettato ai Francesi, il quale Carlo I° d’Angiò fu incoronato Re nel duomo di Napoli a tal proposito, egli, riorganizzò il regno trasferendo la capitale dalla Sicilia a Napoli spodestando i baroni locali e donando i feudi a suoi vassalli fidati. Ecco che, una nuova dinastia entrò a far parte della Baronia di Pandarano. Gli Aquino, mantennero i loro feudi grazie a matrimoni di convenienza con i casati francesi più influenti, riuscirono così ha rafforzare il loro potere dinastico. Cosa che fece anche Tommaso Gerardo il quale cedette in sposa la figlia Isabella d’Aquino a Guglielmo II° de Baynes detto l’Etendart, Siniscalco, Ammiraglio condottiero di Carlo I° d’Angiò, già vice re in Sicilia: uomo d’astuzia fine e crudeltà atroce tale che nei pressi di Catania un borgo fortificato che non volle arrendersi fu bruciato con tutti gli abitanti che conteneva.

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Egli: già in prime nozze, fu maritato Con Pèronelle de Mesnil-Renard per poi sposar la bella signora d’Aquino.

Blasone araldico di Guglielmo Etendart

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Questi, per maritata nomina, ottenne fra i suoi ranghi la baronia di Pannarano.

Ma il fato mutò ancor destino il vento soffiò

nel bel giardino portando un nuovo seme

che fortificò il blasone verso il ducato un nuovo sole

accese il lume dell’amore.

Fu così che nel 1340, la Figlia di Guglielmo Stendardo Isabella, detta Sabelluccia, sposa in seconde nozze Guglielmo II° Lagonière, poi Lagonessa quindi della Leonessa. Capitano di cavalleria del re Angioino il quale padre Giovanni I° con gli zii Filippo e Guglielmo, erano scesi dalla Provenza al seguito di Carlo d’Angiò ed il cui padre Giovanni Lagonière il 13 gennaio 1342, comprò

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dalla regina Sancia d’Aragona per 800 once d’oro, il ducato di San Martino in V.C da aggiungersi alle contea di Limatola, Airola e Ceppaloni.

Blasone araldico di Guglielmo della Leonessa

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Così: cambiò padrone Pandarano

di Pan il mito dei boschi il richiamo

lo tenne Guglielmo lodò la maestà

Sabelluccia bella l’autorità

del castrum il castello abbellì lo splendore

lode alla fama del nuovo Signore.

Alla morte di Guglielmo, il feudo passò al figlio Marino, mentre il corpo di Guglielmo fu tumulato nel monastero di Montevergine, e la duchessa Isabella convogliò a nuove nozze con Roberto d’Aulnay o Alneto. Dal matrimonio con Guglielmo della Leonessa nacque Giovanella della Leonessa mentre da quello di Roberto d’Alneto nacque Margherita D’Alneto nel 1305 la quale sposò nel 1324 Bernardo IV° de Baux d’Andria signore di Berre conte d’Andria e Montescaglioso morto a Napoli nel 1351.

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Guglielmo della leonessa affresco del castello di San Martino V.C

donatami dal nobile uomo Duca Giovanni Pignatelli della Leonessa

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Il sarcoghafo di Guglielmo è ancora visibile deposto nella cappella di destra dell’ Abbazia del monastero di Montevergine di fatti: atti e pergamene conservate nella biblioteca di Loreto a Mercogliano e precisamente la numero 4474-4962-5074-5223, menzionano la presenza della famiglia Della Leonessa e del Palazzo ducale del Castrum Panderano. Lo tenne Marino, il villaggio vicino, quale duca di San Martino, finché il 20 dicembre 1446, il figlio Giovanni della Leonessa cedette il Feudo di Pannarano ad Gorello Origlia l’atto fu stipulato nel castello di Montesarchio. Gorello Origlia fu: condotti di un casato di mille virtù, vantando discendenze romane, che già nell’ ottocento Bizantino, prosperarono gli Origlia sotto il tiranno monte napoletano ammaliati dalla bellezza del golfo. Ma fu con Carlo III di Durazzo, sceso in Napoli dall’ Ungheria per rivendicare la morte del compagno d’armi Luigi di Taranto assassinato dalla regina Giovanna I°. l’atto fu sancito per volere reale. Gorello Origlia fu vice re di Napoli alla corte di Carlo III, creato conte di Caiazzo, Acerra Ottaviano, Casal di Principe Camerota e molte altre baronie

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d’incantati borghi fra i monti ed il mare fin verso Pandaran l’uman valore sancì l’alloro al capo: luce e glorie. Fu il figlio Troilo Oreglia che governò Pandarano quale barone:

La Tennero Troilo la Baronia finchè il sonno se li portò via

i Della Leonessa d’autorità

rivollero la maestà di quel giardino d’umanità.

Dopo la morte di Troilo Oreglia, il feudo di Pandarano, fu rivendicato dai della Leonessa, dato che essendo filo Francesi, furono spogliati di molti feudi ma conl’ascesa al trono di Ladislao figlio di Carlo III° e poi con la Regina Giovanna II° gli fu riconcesso il ducato di San Martino V.C e successivamente, Gabriele della Leonessa Duca e signore, rivendicò la baronia di Pandarano finché la reale maestà Aragonese spodestò l’uomo e la sua autorità per donarla a Martino Marziale, regio consigliere sommo e reale di Alfonso il Magnanimo di virtù ineguale.

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Blasone araldico di Gorello Oreglia

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L’ atto fu stipulato il 19 aprile 1485 nel castello di Pannarano davanti agli ere del duca Gabriele Della Leonessa. Con la morte del Marziale, senza lasciare eredi dopo tredici anni di possesso, il feudo di Pandarano, tornò alla corona come espressamente sancito dal regio decreto reale, per cui Ferdinando I d’ Aragona lo donò, con atto sommo, datato 31-05-1509 a Giovanni Antonio Caracciolo Rossi, figlio di Ettore Caracciolo, vice castellano di castel dell’Ovo, il cui padre don Ettore Caracciolo fu Cornelio era nipote di Marino Caracciolo gran camerlengo e maestro di corte di Giovanna I° d’Angiò.

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Affresco del castello di San Martino V.C

donatami dal nobile uomo Duca Giovanni Pignatelli della Leonessa

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Giovanni Antonio, sposò in prime nozze Maria della Leonessa, ed in seguito rimasto vedovo, sposò in seconde nozze Lucrezia Campitelli zia di Troiano Spinelli signore di Summonte, il quale Troiano donò alla sua morte, tale feudo alla zia Lucrezia, divenendo Giovanni Antonio governatore di Summonte per maritale nomina. Dal matrimonio con la duchessa Maria della Leonessa nasceranno :

1. Gian Antonio Caracciolo; 2. Gian Francesco Caracciolo;

3. Ettore Caracciolo. Acquistò quindi il titolo di Barone, con nomina reale chiamandolo suo alunno e suo Poggio donandogli quindi:

“ Castrum Seu , Casale Pandarano des provincia de vallis Caudine

ob mortem quondam Martini Martialis qui sine legitimis filiis

ex suo corpore legitimi discendentibus dicesit, decessit “.

Egli: nell’ estate del 1510 si recò in Pandarano fece risistemare il castello, allargando le stanze ed issando gli stemmi in pietra tuttora visibili. Usò tale feudo, come residenza estiva per le bellezze del luogo nel centro dei Monti del magico Partenio.

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Sovente: si recava a cavalcare nelle faggete ed i castagneti del luogo cacciando e degustando la selvaggina di cui i boschi ne era popolata, nonché gustare gli squisiti frutti del sottobosco fra cui i lamponi, le fragoline, more, ecc.; organizzando grandi banchetti per la famiglia ed amici, dato che la nobiltà, soleva spesso organizzare sontuose feste per mostrare la potenza del suo rango. Giovanni Antonio, mantenne come suddetto il feudo come dimora estiva, intrattenendo affari diplomatici in Napoli, vero centro politico del regno, per mantenere stretti legami collaborativi con la corona. Importante notare che nell’ anno 1509 come sancito dalla camera delle Sommarie del Principato Ultra o Ulteriore, dato che: per meglio organizzare il regno, Carlo I° d’Angiò nel 1280 divise i territori in Principati ed i feudi in Università, quindi Pannarano faceva capo al Principato Ultra di Avellino, distretto di Montefusco. I cittadini dell’ Università, dovevano pagare a Giovanni Antonio le varie tasse dette gabella una di queste era sul pascolo degli animali in tutto il territorio della camera baronale come anche quella sull’infornare il pane sul macello del bestiame, sul passaggio delle merci, il macinare il grano ecc., come sancito dal decreto reale

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dalla camera delle sommarie ovvero: “ I Diritti dell’ Università et Homini della terra di Pandarano, contro il magnifico Caracciolo, signore di detta terra, sopra il pascere loro animali, tanto nei boschi e selve di detto Caracciolo, quando in altri territori di detta Università di Pandarano come sono selve e montagne “. Conservò, questo diritto, fino alla sua morte avvenuta il 22 maggio 1547. Dopo di lui, i beni passarono al figlio Gian Francesco Caracciolo il quale, il 22 maggio 1547 divenne I° barone di Pandarano consorte di egli fu Faustina Lanario. Dall’unione di Giovan Francesco con Faustina Lanario nasceranno: 1°. Gianni Antonio Caracciolo; 2°. Ascanio I° Caracciolo; 3. Orazio Caracciolo. Da questi il feudo passò al figlio Ascanio I° Caracciolo Rossi in data 11 novembre 1612 con il titolo di II° barone di Pandarano e patrizio napoletano. Ascanio sposò il 28 ottobre 1572 Prospera figlia di Fabio Ricca.

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Dal loro matrimonio nasceranno:

1. Faustina Caracciolo , la quale sposò Giulio Carafa ed insegui il cugino Fulvio Lanario;

2. Ilaria Caracciolo; 3. Ventura Caracciolo; 4. Antonio Caracciolo; 5. Gian Francesco II° Caracciolo; 6. Paolo Caracciolo; 7. Andrea Ettore Caracciolo.

Da Ascanio, il feudo di Pannarano passò al figlio Gian Francesco II°, nato il 26 ottobre 1582, con il titolo di III° barone di Pandarano e patrizio napoletano il quale convogliò a nozze con Andreana figlia del Marchese Giulio Cesare Caracciolo. Dalla loro unione nasceranno:

1. Giuseppe Caracciolo Rossi, il quale sposò il 25 maggio 1643 Eleonora Caracciolo, figlia di Giulio Cesare Marchese di Barisciano per poi rimasto vedovo il 23 settembre 1662 convogliare a seconde nozze

il 10 maggio 1663 con Donna Francesca Colonna Romano, figlia

di Don Pompeo I° marchese d’ Altavilla già vedova di Fabio Rossi.

2. Caterina Caracciolo; 3. Ascanio II° Caracciolo; 4. Vittoria Caracciolo;

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5. Prospera Caracciolo. Da Gian Francesco, il feudo passò per successione al figlio Ascanio II° Caracciolo Rossi col titolo di IV° barone di Pannarano e patrizio napoletano. Egli, convogliò a nozze con Claudia Viquez e dalla loro unione nasceranno:

1. Francesco Caracciolo; 2. Ippolita Caracciolo la quale sposerà

Aniello Longo marchese di San Giuliano; 3. Ettore Caracciolo; 4. Benedetto I° Caracciolo; 5. Diego Caracciolo; 6. Giovanni Caracciolo; 7. Marcello Caracciolo; 8. Vittoria Caracciolo la quale sposerà Nicola

della Porta marchese di Episcopo;

9. Anna Caracciolo. Alla morte del barone Ascanio II° il 29 agosto 1680, il feudo passò al figlio Benedetto Caracciolo Rossi, col titolo di V° barone di Pandarano e patrizio napoletano. Il 03 aprile 1689 Benedetto convoglia a nozze con Giovanna Ottavio Capace Secondito figlia di Ottavio nobili patrizi napoletani.

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Dalla loro unione nasceranno: 1. Anna Maria Nicoletta la quale sposerà Giuseppe Filomarino; 2. Ascanio III° Caracciolo 3. Marcello Caracciolo; 4. Ettore Caracciolo.

Nel Castello di Pandarano Benedetto ospitò l’insigne Avvocato e letterato napoletano Niccolo Ammenda, il quale, per ricambiare la gentilezza ed omaggiare il luogo incantato in cui aveva soggiornato, gli dedicò un intero poema che decantò il viaggio la bellezza del luogo, i sapori dei prodotti tipici nonché la grazia e la freschezza delle donne e la maestosa bravura, con cui riuscivano a portare, in perfetto equilibrio sulla testa senza mai mantenerli: fascine di legna e cesti pieni di ogni pietanza. Per brevità, segnaliamo solo la parte dedicata alla famiglia:

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Io dico in Pandarano un galante Caracciolo che il tiene in Signoria

sto in festa tal che non provai le innate. Giungemmo alla pur fine

a Pandarano picciola terra sì ma tanto vaga

che io non ci invidio il Papa il Vaticano.

In mirandola gli occhi ed il cor n’ appaga.

Posta su colli dilettoso amena per opra ti direi di un arte maga.

Alla morte di Benedetto, avvenuta in Napoli il 23-01-1718 successe il figlio Ascanio III°, nato nel castello di Pannarano il 28 ottobre 1691, al quale il feudo fu intestato il 10 agosto 1723 come risulta, dal regio Cedolario, con il titolo: di VI° barone di Pandarano 1710-1741 e patriziato napoletano. Il Barone Ascanio: ricevette, dall’ illuminato e progressista Carlo III di Borbone, il titolo Marchesale il 03-04-1741.

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Nel giugno del 1741, il Marchese Ascanio ebbe dei conflitti con il Principe di Pietrastornina Aquino, in riguardo alla sorgente montana acqua delle vene dalla cui ne scaturì un diverbio, sulle errate delimitazioni di confine, tale che vi fu riorganizzata la mappatura montana, dall’agrimensore La Pietra confini ancora oggi validi. Il 15 Gennaio 1719, Ascanio, convoglia a nozze con Donna Francesca Invitti figlia di don Nicola, Principe di Conca. Dalla loro unione nasceranno: 1°. Gennaro Caracciolo; 2°. Benedetto II° Caracciolo Con la morte di Ascanio, 11/01/1776 come risulta dal regio Cedolario del 22 febbraio 1776, il feudo appartenne al figlio di Ascanio ovvero: Don Benedetto II°, il quale convogliò a nozze con Caterina Maffei. Dall’unione di Don Benedetto II° e Donna Caterina Maffei nasceranno: 1° Marianna Caracciolo; 2°. Vincenzo Caracciolo; 3°. Cesare Maria Caracciolo; 4°. Nicola Maria.

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Alla morte di Don Benedetto II°, i beni feudali di Pannarano, passarono al figlio, Cesare Maria , per successione di morte, nato il 05/07/1751, con il titolo di II° marchese, VII° barone di Pandarano non che patrizio napoletano. Il 12-05-1768, Cesare Maria sposò Donna Maria Caterina Sanfelice IX° duchessa di Lauriano, baronessa di Acropoli Santo Mango e Foresta di Chiarata figlia ed erede del duca don Girolamo e donna Giuseppa Pinelli dei duchi di Tocco acquistando per maritate nomina quella di duca di Lauriano. Dalla loro unione nasceranno: 1°. Maria Rosaria Caracciolo, la quale sposò Giuseppe Madaleta Marchese di Martino; 2° Benedetto Maria; 3°. Giuseppe Caracciolo; 4°. Giovanni Francesco il quale sposò Maria Vincenza Tranfo; 5°. Gennaro Maria Caracciolo; 6°. Marianna Caracciolo, la quale sposò Giuseppe Ferrao, per poi successivamente sposare il cognato Nicola Ferrao; 7°. Maria Antonia; 8° Gaetano Caracciolo.

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Con la morte di Cesare Maria avvenuta in Napoli il 17/01/1826 i beni feudali passarono al figlio Don Benedetto Maria, nato il 17/01/1775 con titolo di X° duca di Lauriano, III° marchese e VIII° barone di Pannarano, barone di Acropoli, Santo Mango e Foreste di Chiarata nonché patrizio napoletano, il quale il 16 gennaio 1797 sposò: Chiara Maria Ossorio Y Figuro Alvarez. Dalla loro unione nasceranno: 1°. Maria Caracciolo di Pannarano, nata il 02 luglio 1799, la quale sposò Bonaventura Luigi Balsamo; 2°. Cesare Maria II° Caracciolo, sposò Livia Caracciolo; 3°. Giovanni Battista, sposò Margherita Rossi; Alla morte di Benedetto, i beni passarono al figlio Giovanni Battista, nato a Napoli l’11/03/1801. Giovanni Battista Caracciolo, ereditò il feudo con i titoli di IV° Marchese, IX° barone di Pandarano XI °duca di Lauriano, barone di Agropoli Santo Mango, Foreste di Chiarata nonché patrizio napoletano 1849.

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Il Fratello, Don Cesare Maria Caracciolo, 10-10-1829 sposa donna Luisa Caracciolo dei principi di Melissano nata il 14/06/1803. Con l’ avvento nel napoletano dell’ esercito Napoleonico e quindi la salita al trono di Napoli dapprima di Giuseppe Bonaparte e poi di Gioacchino Murat, 1805, furono aboliti tutti i privilegi feudali:

“ legge eversiva della feudalità “ sotto un governo a modello repubblicano. Dall’unione di Don Giovanni Battista con Donna Margherita Rossi nasceranno: 1°. Luisa Caracciolo Rossi; 2°. Chiara Caracciolo, la quale sposerà Francesco Palomba e successivamente Francesco Parafalo; 3°. Caterina Caracciolo la quale sposò Vincenzo de Ciutis le proprietà di Don Benedetto, passarono al figlio Giovanni Battista, dopo la restaurazione di Ferdinando IV di Borbone, il quale ne era proprietario il 16 novembre 1846 come risulta dall’atto del notaio Michele Imbriani.

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Il 04 agosto 1843, nacque a Napoli l’erede di Giovanni Battista Caracciolo Rossi e di Margherita Rossi

ovvero: Luisa Caracciolo Rossi, con il titolo di XII° duchessa di Lauriano, V° marchese e X° baronessa di Pandarano baronessa di Acropoli, San Mango e Foresta di Chiarata la quale sposò il 26-06-1873 don Giovanni Ma stelloni dei principi di Volturara signore di Limatola, nato il 02-06-1839. Quindi: le proprietà feudali, passarono al figlio Gennaro Mastelloni dei principi di Volturara ed egli, le vendette per 3200 ducati ad Eustachio Abate di professione notaio la quale Figlia Rosina, sposò Carlo Cocozza Campanile mentre Giovanni Battista continuò la sua vita nel napoletano, ove morì il 21/02/1871 circondato dalle tre figlie: Luisa, Chiara e Caterina.

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Difatti: in una delle arcate del castello di Pannarano dove un tempo ormai passato mastro Annibale esercitava il nobile mestiere di falegname vi è inciso sul marmo la sigla: E.A. AD 1850 ovvero: Eustachio Abate, anno domini 1850; anno in cui, entrato in possesso del castello ne risistemò le arcate e le stanze per poi morir suicida, con un colpo di pistola rammaricato che la figlia, sposasse un uomo povero della vicina San Martino V.C. Divenuto latifondista di Pannarano Carlo Cocozza Campanile fu il primo sindaco di Pannarano per poi, i beni passare al figlio Ermenelgildo Cocozza Campanile come risulta delle molteplici delimitazioni di confine che portano la sigla E.C.C. Ermenelgildo, vendette le proprietà paterne investendo in Napoli , in attività commerciali i famosi magazzini Cocozza Campanile un tempo fiorenti nel capoluogo campano smembrando a privati, ciò che fu l’oro feudale in ciò che oggi è Pannarano. Uno splendido giardino, logorato dall’incuria umana, in anni di mal governo cittadino.

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Il tramonto

della famiglia Caracciolo

Morta la dignità di mascolina umanità

come un fiore d’inverno muore

così anche la dinastia sfiorì l’identità

sconvolto da un nuovo DnA mutò il cognome malizia ed amore

sotto il vessillo di un nuovo castello scomparve al vento

l’autorità di chi lodò

la pia beltà da Pandarano

Sene va.

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Riflessioni finali

Ricordati oh uomo

che il passato non lo puoi inventare. Ma esso è trascritto nella pietra è celato

l’emblema di chi con la spada è nato.

Ed in rango di nobiltà suoi lustri

tramanda all’umanità: quale signore del volgo

in eterno ricordo sua maestà di vita

l’eco eterno vive.

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Grandi:

rese la spada

ha chi

la seppe maneggiare

perché da essa

nacquero

le virtù di nobiltà:

di chi primeggiò

fra l’umanità.

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Cenni sull’autore

Io sono Giuseppe Pagnozzi, nato a Pannarano il 10/01/1979. Appassionato di storia e poesia ho sempre con grande passione cercato di dare una risposta ai blateranti enigmi, sulle origini del mio paese nativo. Ho analizzando, per sei mesi, nel 2000, dopo aver passato 8 mesi d’agonia negli ospedali militari del Celio Chieti e Caserta, nel 1999 per forti epistasi, ed aver troncato la possibilità di una brillante carriera militare. Ho analizzato, gli scritti celat i nell’archivio storico di Napoli: dal Catalogo dei Baroni Normanno al Domudusdu day di Guglielmo il conquistatore, dal Cedolario Angioino alla deposizione delle proprietà feudali nella Regia Camera delle Sommarie passando per gli archivi Araldico – nobiliari alle pergamene celate, nel monastero Benedettino di Loreto in Mercogliano.

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pregiate e fini opere d’arte visiva narranti la vita umana, fermata nel tempo dai monaci Benedettini di Montevergine che sulla fredda altura del Partenio rilegavano e dipingevano da buon Emanuensi: le pergamene di carta pecora; al Catasto Onciario, voluto dal lungimirante Carlo III° di Borbone che rese Napoli un salotto d’armonia culturale degna della lontana Francia Luigi XVI°. Un viaggio di affascinante passione che cela il DNA, in ogni pietra di ogni Borgo scolpito dagli uomini con mano insanguinata, virtù cavalleresca ed un pizzico di furbizia, inganni disinganni, per dare luce agli emblemi oscuri dei viventi di chi regnò nei castelli. Valorizzare la terra nativa, è stato sempre il mio obbiettivo sopratutto quando: nel 2001, con spirito di intraprendenza grazie anche agli eredi del maestro Vespasiano Balletta ed alla moglie la maestra Angela Maria Pagnozzi

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i quali mi concessero in comodato d’uso i locali di via Cave, stanziando in loco 80 alveari, intraprendendo quell’attività meravigliosa di apicoltore, che grazie ai terreni ed i monti incontaminati dona in Pannarano ottimi mieli di: Acacia, Castagno, Sulla, millefiori Melate. Pregiata propoli, frutto del laborioso lavoro delle api. La vicinanza al territorio e la conoscenza acquisita con lo studio delle erbe officinali di cui il Partenio è ricco, mi portò a produrre liquori sublimi, vino Aglianico spumante dalle uve Coda di Volpe, olio. Ma le cagionevoli condizioni di salute per gravi problemi ematologici mi condussero pellegrino negli oscuri meandri della sofferenza ospedaliera fin dalla tenera età, aggravata da un infortunio sul lavoro accorsomi il 04/08/2003, per una lacerazione alla caviglia sinistra ed errate cure mediche.

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12 anni di calvario, per lenta cicatrizzazione dei tessuti cutanei. Oggi mi dedica alla poesia. Con questa opera si è cercato di dare luce di verità ad una terra che fu armonia, baciata dai monti dalla sacra elegia..

Giuseppe Pagnozzi.

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Opera scritta con somma laboriosa volontà

di riportare alla luce l’origine storica di Pannarano.

Prima edizione 2014 stampata in proprio.

Tutti i diritti sono riservati.

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