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L’OMEOPATIA QUALE MEDICINA “COMPLEMENTARE” INTRODUZIONE L’attuale generazione di medici può dirsi fortunata, poiché ha molte più possibilità nella diagnosi e nella terapia di quanto ne avesse la generazione precedente. La ricerca analitico- scientifica ha apportato alla medicina successi in ogni campo; la perfezione tecnica della diagnostica strumentale e della terapia d’urgenza è considerevole. La chirurgia e le protesi aiutano dove prima esistevano dei limiti. La psicologia dell’inconscio ha aperto nuovi orizzonti nelle sconosciute sfere dell’anima. La medicina psicosomatica ci offre il suo aiuto per comprendere la correlazione tra corpo e psiche. Questa, potrebbe essere una generazione fortunata di medici, con tanti successi. Perché, ciononostante, viene sperimentato così spesso nel rapporto quotidiano con i pazienti l’esistenza di uno stato di crisi della medicina? Perché aumenta il numero dei malati cronici? E’ solo una conseguenza della civiltà e di una maggiore durata della vita? Perché bisogna considerare così spesso i vantaggi ed i danni di una terapia? Come devono valutare medici e pazienti i pericoli e le controindicazioni di un farmaco che il fabbricante stesso non conosce con sicurezza poiché tali danni spesso diventano evidenti solo dopo lungo tempo? Nel nostro tempo non viviamo solo la minaccia dell’ambiente naturale, ma si osserva anche con molta preoccupazione la ripercussione sul mondo interiore dell’uomo. Infatti, si possono riconoscere disturbi causati da sostanze nocive e tossiche presenti nell’aria, nell’acqua, nei cibi ed anche disturbi causati da medicamenti. Il termine “crisi della medicina” turba da mezzo secolo medici e pazienti: è possibile trovare una soluzione solo se tutti ci adoperiamo per conoscere le motivazioni affinchè sia possibile trattarle nel loro complesso. Bamm ha formulato queste motivazioni nell’Ex ovo: “il principio scientifico sul quale si basa la medicina è la biologia sperimentale, ma ora si sa che la biologia sperimentale non ha come soggetto di ricerca la vita, bensì solo i principi fisico-chimici della vita. Una terapia che si basa esclusivamente sulla biologia sperimentale, ha successo solo sui

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L’OMEOPATIA QUALE MEDICINA

“COMPLEMENTARE” INTRODUZIONE L’attuale generazione di medici può dirsi fortunata, poiché ha molte più possibilità nella

diagnosi e nella terapia di quanto ne avesse la generazione precedente. La ricerca analitico-

scientifica ha apportato alla medicina successi in ogni campo; la perfezione tecnica della

diagnostica strumentale e della terapia d’urgenza è considerevole.

La chirurgia e le protesi aiutano dove prima esistevano dei limiti. La psicologia

dell’inconscio ha aperto nuovi orizzonti nelle sconosciute sfere dell’anima. La medicina

psicosomatica ci offre il suo aiuto per comprendere la correlazione tra corpo e psiche.

Questa, potrebbe essere una generazione fortunata di medici, con tanti successi. Perché,

ciononostante, viene sperimentato così spesso nel rapporto quotidiano con i pazienti l’esistenza di

uno stato di crisi della medicina? Perché aumenta il numero dei malati cronici? E’ solo una

conseguenza della civiltà e di una maggiore durata della vita? Perché bisogna considerare così

spesso i vantaggi ed i danni di una terapia? Come devono valutare medici e pazienti i pericoli e le

controindicazioni di un farmaco che il fabbricante stesso non conosce con sicurezza poiché tali

danni spesso diventano evidenti solo dopo lungo tempo? Nel nostro tempo non viviamo solo la

minaccia dell’ambiente naturale, ma si osserva anche con molta preoccupazione la ripercussione

sul mondo interiore dell’uomo. Infatti, si possono riconoscere disturbi causati da sostanze nocive e

tossiche presenti nell’aria, nell’acqua, nei cibi ed anche disturbi causati da medicamenti.

Il termine “crisi della medicina” turba da mezzo secolo medici e pazienti: è possibile

trovare una soluzione solo se tutti ci adoperiamo per conoscere le motivazioni affinchè sia

possibile trattarle nel loro complesso.

Bamm ha formulato queste motivazioni nell’Ex ovo:

“il principio scientifico sul quale si basa la medicina è la biologia sperimentale, ma ora si sa che la

biologia sperimentale non ha come soggetto di ricerca la vita, bensì solo i principi fisico-chimici

della vita. Una terapia che si basa esclusivamente sulla biologia sperimentale, ha successo solo sui

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disturbi dovuti a concrete alterazioni fisico-chimiche.

Per il medico che cura l’ammalato, ciò non è sufficiente.

L’ansia metafisica, che agita da tempo la medicina, deriva dal fatto che i principi scientifici

della medicina moderna non comprendono a priori ciò che la medicina ha di fronte a sé al

capezzale di un malato.

Il medico ha di fronte a sé un paziente, la cui salute logorata, disturba la personalità stessa

del paziente…..

Solo una medicina che si occupa dell’individuo nella sua totalità, ha probabilità non solo di

riequilibrare le funzioni biologiche logorate, ma anche di guarire uomini malati”.

Ho citato volutamente un testimone neutrale, poiché il termine “crisi della medicina” non è

stato coniato dagli Omeopati. Esistono nella medicina del nostro tempo persone abbastanza

sensibili, le quali percepiscono l’inquietudine e cercano nuove vie. In questa situazione, ritengo

che i medici siano invitati a ricercare più ampie possibilità di terapia.

L’Omeopatia può aiutare molto la medicina generale e “ufficiale”: è ritenuta sicura e

innocua da quasi duecento anni. Fattore di importanza essenziale: l’Omeopatia cura il malato nella

sua globalità psicofisica (medicina olistica, medicina antroposofica, ecc.) e lo considera come

persona nella sua complessità costituzionale, inserita nel suo ambiente, nelle condizioni del suo

tempo e nella sua storia. Il paziente nella sua individualità è un’unità indivisibile di spirito, psiche

e corpo ed è l’unità di misura dell’attività delle sostanze medicamentose omeopatiche (rimedi).

Le diverse terapie, a seconda della situazione del malato, danno nel quadro generale della

medicina risultati brillanti o nulli.

Ritengo, perciò, che la disputa e l’arroganza dovrebbero cessare nel nostro tempo e lasciar

spazio alla collaborazione tra medicine di impostazioni varie. I medici hanno un preciso obbligo

verso il malato; non si devono avere né ideologie, né indirizzi terapeutici fissi, ognuno può

imparare dall’altro.

Dobbiamo riflettere sulla medicina: sullo sviluppo delle scienze mediche, sulla crisi nella

formazione medica, sui problemi delle strutture sanitarie, sulle crescenti difficoltà di una

significativa esperienza medica. Il rapporto con la salute, la malattia, il dolore, il bisogno, la

caducità, l’abbandono e la crisi è improntato dalla tensione tra le possibilità ed i limiti della

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medicina. Il medico che ha vissuto nel rapporto quotidiano con il suo malato questi limiti, è

invitato ad apprendere ulteriori possibilità terapeutiche. Egli è obbligato dall’amore per la propria

professione e perfino dalla legge.

Oltre ai differenti punti di vista e metodi, si possono esaminare i vari operati e desideri in

campo medico in base ad una frase di Hahnemann, il fondatore dell’Omeopatia:

“il più alto ideale terapeutico consiste nel ristabilire lo stato di salute in modo rapido, dolce e

permanente, nell’eliminare e nel distruggere la malattia nella sua totalità agendo per la via

più breve, più sicura e meno dannosa; questo deve avvenire secondo principi chiari e

comprensibili”.

Ho sentito in parecchie occasioni medici anziani, ma, soprattutto, giovani medici e

studenti, ammettere che lo stato di crisi della medicina potrebbe essere superato se si studiassero

anche metodi terapeutici naturali. I corsi di specializzazione per la medicina omeopatica hanno un

crescente numero di partecipanti. Specialmente gli studenti di medicina desiderano una

formazione precisa e completa. Purtroppo, le facoltà di medicina, precludono ancora questo

desiderio, sebbene il tempo stringa, perché l’allontanamento di molti pazienti dagli ambulatori

medici verso i guaritori è un fenomeno che i politici e le facoltà non dovrebbero ignorare.

* * * * *

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COLLOCAZIONE DELL’OMEOPATIA RISPETTO

ALLA MEDICINA TRADIZIONALE

Gli interventi terapeutici sulle persone malate possono essere classificati in tre categorie:

l’aver cura delle funzioni vitali del malato, il sostenerle e il tenerle in esercizio. A seconda della

situazione in cui si trova il malato è più indicato l’uno o l’altro tipo di intervento. Per esempio, nel

corso di un infarto del miocardio è necessario innanzitutto immobilizzare il paziente ed aver cura

della sua funzionalità cardiaca, potenziare l’irrorazione sanguigna delle coronarie e la funzionalità

cardiaca. Nella fase finale viene attuata la riabilitazione attraverso particolari esercizi.

La cura ed il sostegno delle funzioni vitali dell’organismo vengono attuati principalmente

per mezzo di misure assistenziali e con l’uso di farmaci. La fisioterapia agisce attraverso mezzi di

stimolazione naturali, come la luce, l’aria, l’acqua e il movimento, per rafforzare le prestazioni del

malato grazie all’esercizio.

“Esercizio” significa usare uno stimolo per fare in modo che l’organismo migliori il suo

sistema di autoregolazione, attraverso la reazione da esso provocata. Ogni terapia dovrebbe avere

lo scopo di dare un impulso al rendimento fisico dell’organismo attraverso l’esercizio. La maggior

parte dei metodi curativi della medicina ufficiale dei nostri tempi, se anche favorisce in parte la

cura e il sostegno del malato, tuttavia tende soprattutto a reprimere le reazioni indesiderate.

Sarebbe opportuno riflettere su questi dati di fatto e stabilire la correlazione che questi

interventi terapeutici possono avere con l’aumento dell’indice di morbilità, particolarmente nel

campo delle malattie croniche. Viceversa, per ogni terapia che si basa sulla stimolazione, vale la

regola seguente: per ottenere un risultato non è tanto determinante l’intensità dell’azione, quanto

la reazione allo stimolo provocato.

Il proverbio che, generalizzando, dice “chi più fa, più ha”, viene confutato da tutte le

terapie reattive.

La riabilitazione dopo un infarto del miocardio, parte con esercizi che richiedono il minimo

sforzo; per esempio, nella cura “Oertel” si inizia con un percorso minimo che viene aumentato con

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cautela a seconda della reazione del paziente, cosicchè si ottiene un progressivo e graduale

miglioramento delle prestazioni.

La cura Kneipp classica opera per mezzo di abluzioni parziali, cioè minime stimolazioni

“fredde” le quali bastano appena a provocare un leggero arrossamento e riscaldamento della pelle.

Oggi, purtroppo, ci si allontana troppo da quella che è la cura classica. Il parroco Kneipp usava per

le abluzioni una specie di annaffiatoio, simile a quello piccolo che viene usato per annaffiare le

piante da appartamento (esposto nel museo Kneipp a Bad Wörishofen).

Un bagno completo era una rara eccezione ed era considerato una cura drastica.

Hahnemann stesso, nella sua opera principale L’Organon dell’arte del guarire, consigliava

applicazioni di acqua fredda nei casi di carenza di calore vitale. Potrebbe essere perciò considerato

un precursore della “cura Kneipp”. Inoltre, è interessante il fatto che Hahnemann abbia sostenuto

l’apparente paradosso di tutte le terapie basate sulla stimolazione e cioè: usare il freddo per curare

una carenza di calore.

Per quanto riguarda l’intensità della stimolazione non esiste una regola, né un’obiettiva

unità di misura. Visto che l’andamento della cura è determinato dalla reazione del paziente, viene

stabilito l’impiego di un metro totalmente nuovo: il soggetto. E’ dunque il soggetto stesso che

deve dosare l’intensità di uno stimolo in riferimento unicamente alla reazione che esso gli

provoca. Gli stimoli fisici hanno generalmente un effetto discorde sul sistema neuro-vegetativo e

di conseguenza sul tono dei capillari sanguigni: il fatto è che tali stimoli sono aspecifici, in quanto

non agiscono in maniera selettiva su determinati organi e tessuti.

E’ sensibilmente più specifica l’azione delle sostanze medicinali. “Per ogni male esiste

un’erba che lo cura”; ma come trovare l’erba giusta per curare la particolare malattia da cui è

affetto quel malato?

A questa domanda hanno dato risposta i terapeuti del passato nel corso di diverse

generazioni attraverso l’esperienza, l’osservazione e l’istinto naturale.

L’esperimento, usato come “domanda mirata posta alla natura”, ha invero già dei

precursori nell’antichità e nel medioevo; ma, solo con Francis Bacon (1561-1626), l’esperimento

acquista quell’importanza che diventerà poi essenziale per le acquisizioni scientifiche dell’era

moderna. L’opera principale di Bacon è intitolata Organon; non è certo per caso che Hahnemann

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usa questa stessa parola per intitolare la sua opera più importante. La sua ipotesi di lavoro suona

così: quale la reazione che una determinata sostanza medica provoca su un soggetto sano?

Hahnemann non si accontenta di una spiegazione speculativa, come, per esempio, che un

medicamento ha delle proprietà stomachiche o ricostituenti o lassative oppure che agisce come un

solvente, o, che ha un’azione desensibilizzante. La sua risposta inequivocabile è la seguente:

“Il medicamento provoca una malattia artificiale. Come succede per ogni sostanza estranea,

anch’esso innesca uno stimolo specifico. Ed è solo attraverso la reazione dell’organismo che

questo medicamento diventa una sostanza curativa”. Con questi esperimenti, e cioè con la

somministrazione di sostanze medicinali a soggetti sani, viene dimostrato chiaramente che

l’azione del medicamento segue le leggi della terapia reattiva:

1. Ogni medicamento provoca uno stimolo specifico che è tipico per quella sostanza.

2. Lo stimolo deve essere esattamente calibrato per ottenere una giusta reazione.

3. La reazione è strettamente correlata con le condizioni di partenza dell’organismo.

4. Stimoli di lieve intensità hanno un effetto stimolante grazie alla risposta reattiva

dell’organismo. Stimoli di maggiore intensità provocano una reazione diretta ed immediata.

Stimolazioni massicce invece hanno un effetto tossico.

5. E’ il soggetto stesso che decide, a seconda della sua reazione, se lo stimolo è adeguato, oppure

no.

Quest’ultimo punto chiarisce la diversità dell’impostazione terapeutica tra Allopatia ed

Omeopatia.

Per avere un effetto lassativo, stimolando direttamente l’intestino, è necessario

somministrare una dose consistente di Aloe. Quando, invece, deve essere curato un intestino già

irritato, per esempio affetto da colite, bisogna usare una dose minima di Aloe. L’Aloe provoca

come malattia artificiale uno stato di irritazione. Se questo stato di irritazione esiste già come

malattia naturale, l’Aloe, in dose infinitesimale, può rimuovere questo stato. Dunque, il male che

viene provocato da una determinata sostanza, può essere curato con la stessa sostanza. E’

determinante la situazione di partenza. La malattia naturale e spontanea e la specifica malattia

artificiale provocata devono essere il più possibile simili.

La diversità tra questi due principi risulta evidente dalla delimitazione dei rispettivi campi

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di impiego (vedi tab. 1).

Il rimedio omeopatico non sostituisce direttamente la sostanza mancante nell’organismo né

vuole riequilibrare parzialmente il sistema o sopprimere direttamente un sintomo. L’Omeopatia

vuole avere una funzione regolarizzatrice agendo sui processi di controllo centrali dell’organismo.

Ogni organismo vivente tende, in virtù di una legge naturale, a mantenersi in equilibrio.

Questo equilibrio lo ottiene con reazioni adeguate rispetto a stimoli interni o esterni. Naturalmente

il tipo di risposta allo stimolo dipende dalla situazione di partenza dell’organismo ed ha lo scopo

di mantenere “l’equilibrio di flusso” (di Berthalanffy), l’omeostasi dei processi vitali. Ciò che ci fa

distinguere un essere vivente da uno privo di vita è proprio questa capacità di reagire ad uno

stimolo, mentre la capacità di mantenimento “dell’equilibrio di flusso” indica lo stato di salute o di

malattia di un organismo.

Qualsiasi azione di disturbo che interferisca nell’armonia interna fa scattare dei processi di

regolazione, come per esempio febbre, infiammazione, reazioni vegetative, ecc. (Hoff).

Alcuni di questi processi di regolazione, per esempio la febbre, si manifestano spesso in

maniera particolarmente violenta. Interpretando questa febbre come una necessaria

autoregolazione dell’organismo, essa diventa una “malattia salutare”. L’uso sconsiderato di

antipiretici può danneggiare la regolazione immunitaria dell’organismo. La soppressione del

sintomo, infatti, impedisce l’autoregolazione. Un medico dell’antica Roma, Celso, arrivava a dire:

“Datemi un farmaco che sia in grado di provocare la febbre ed io curerò tutte le malattie”.

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Tabella 1

Principio terapeutico Esempi

sostituzione sostituzione di sostanze

mancanti

• anemia sideropenica curata con il ferro

• diabete insulino dipendente curato con

l’insulina

compensazione riequilibrio di un’attività

difettosa

• insufficienza cardiaca acuta curata con

la digitale

• edemi curati con i diuretici

soppressione eliminazione di reazioni

esagerate o indesiderate

• reazioni allergiche curate con il

cortisone e gli antistaminici

• extrasistoli curate con gli antiaritmici

• infezioni curate con gli antibiotici

regolazione modulazione di certe

reazioni

• desensibilizzazione con dosi minime

di allergeni

• stimolazione del sistema immunologi-

co con vaccinazioni

• Omeopatia

La medicina deve intervenire quando il cosiddetto “medico interno”, cioè il sistema di

autoregolazione, reagisce in maniera esagerata o insufficiente. Questo, però, non deve essere un

intervento di soppressione o di stimolazione di breve durata. La terapia omeopatica in particolare,

ha lo scopo di stimolare il sistema di regolazione proprio dell’organismo ad operare una

“autoguarigione” e di guidarne sensatamente l’andamento. Essa si limita ad aiutare le risorse

interne dell’organismo. Natura Sanat!

Per poter guidare il sistema di regolazione proprio dell’organismo è necessario considerare

la situazione di partenza di ogni singolo malato, che si riconosce prendendo in esame le reazioni

individuali, cioè la sintomatologia: il grado di alterazione della capacità di risposta nel singolo

caso patologico è indicato dai reperti diagnostici obiettivi e dal turbamento dello stato soggettivo.

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Il reperto diagnostico obiettivo rende possibile l’individuazione della malattia e la

classificazione dei disturbi, mentre lo stato soggettivo del malato ne permette una visione più

profonda: l’ammalato, cioè, può essere considerato come una “persona che soffre”.

Ogni persona deve essere presa in considerazione dal medico come un unico insieme di

spirito, psiche e soma e può essere compresa nella sua totalità solo se considerata individualmente.

I processi di regolazione, che precedentemente abbiamo esaminato dal punto di vista

fisiologico, assumono, su un piano personale, un significato più profondo: la malattia è

un’alterazione del sistema che, a monte, controlla le funzioni dell’individuo e gli fornisce

l’energia necessaria a mantenersi in vita. Hahnemann definisce quest’istanza centrale “energia

vitale spirituale, forza, autocrazia”, Aristotele parla di “entelechia”, altri di “principio vitale”: sono

soltanto parole o termini diversi per indicare qualcosa che gli uomini non sono in grado di

definire. Ma ognuno di noi è consapevole che da questa “cosa” indefinibile, inesplorabile anche

per le scienze naturali, traiamo la vita. Questa “cosa” è imponderabile, incomparabile e

sperimentalmente indefinibile.

La terapia psicosomatica e le altre forme di psicoterapia operano in questo campo usando

la parola e il dialogo. La valutazione della soggettività rappresenta il punto di incontro tra le

terapie psicosomatiche e l’Omeopatia.

La medicina ufficiale dei nostri tempi fa uso frequente di medicinali omeopatici in

farmacia, almeno nel campo ponderabile e misurabile della fisiologia; in questo caso la

classificazione dell’Omeopatia quale particolare forma di terapia regolatrice favorisce la reciproca

comprensione fra le due medicine, Allopatia ed Omeopatia.

Con la sua caratteristica di “medicina naturale”, l’Omeopatia tende ad integrare psichiatria

e medicina interna. Queste non sono solamente parole altisonanti: la sperimentazione, la scelta e

l’azione del farmaco omeopatico toccano e riuniscono la totalità delle manifestazioni patologiche

della psiche, dello spirito e del soma.

* * * * *

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L’OMEOPATIA

L’Omeopatia, come abbiamo già detto in precedenza, è una forma di terapia che mette in

opera un principio fondamentale d’ordine farmacologico: la Legge dei Simili. Tale legge, in breve,

si può riassumere ed enunciare nel modo seguente: “un qualsiasi prodotto che somministrato a

forti dosi fa scattare certi disturbi nell’uomo sano, diviene a dosi molto leggere, infinitesimali,

cioè dopo diluizioni e dinamizzazioni, il rimedio capace di guarire questi stessi disturbi nell’uomo

malato”. Così, per fare altri esempi oltre all’Aloe già in precedenza trattata, l’Ipecacuana a forti

dosi, fa vomitare, mentre a dosi leggere, cioè diluita e dinamizzata, quindi “Omeopatica”, sarà uno

dei rimedi contro la nausea ed il vomito. Il caffè, la Coffea arabica disturba in genere il sonno, a

dosi omeopatiche viene utilizzato nel trattamento dell’insonnia. L’Oppio a dose rilevante paralizza

la muscolatura liscia dell’intestino, a dose omeopatica, sarà uno degli elementi per il trattamento

della costipazione. “Similia Similibus curantur”: “i Simili si guariscono con i Simili”.

L’applicazione di questa legge d’attività terapeutica ha come presupposto l’impiego di

medicamenti altamente diluiti, estremamente deconcentrati e dinamizzati. Sarà, dunque, un’altra

originalità dell’Omeopatia utilizzare dei medicamenti solo al di sopra della soglia del ponderabile.

La medicina classica usuale, chiamata come già detto in precedenza per antitesi Allopatia, è la

medicina del ponderabile. L’Omeopatia è la medicina della diluizione, dell’imponderabile

attivato. Il medicamento omeopatico si caratterizza, dunque, per la sua estrema diluizione ottenuta

mediante la tecnica descritta nella Farmacopea Omeopatica Ufficiale.

Si preparano così dei rimedi che saranno prescritti in generale sia a bassa diluizione, cioè

dalla 1^ alla 10^ cifra decimale, DH (decimale Hahnemanniana), sia a media diluizione: dalla 7^

alla 9^ centesimale, CH (centesimale Hahnemanniana) e al di sopra, la 12^, 15^, 30^ centesimale

rappresenta il limite correntemente utilizzato in Francia. In Germania ed in altri Paesi, invece,

vengono utilizzate diluizioni alla 200^ cifra decimale fino alle millesimali.

Queste diluizioni rappresentano delle deconcentrazioni di sostanze estremamente spinte,

poiché, per esempio, un ml. della 4^ centesimale contiene 1:10-8 di sostanza attiva, cioè 1/100 di

millesimo di milligrammo; quindi, nella 30^ centesimale si avrà 1:10-60 di sostanza attiva.

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Avendo parlato di diluizioni Hahnemanniane mi sembra doveroso ritornare sulla vita e

sull’opera del fondatore dell’Omeopatia: Samuel Christian Hahnemann. Hahnemann è stato un

medico della Sassonia, nato a Meissen nel 1755. Esercitò in numerose città della Germania del

Sud prima di stabilirsi a Lipsia. Il giovane medico era già profondamente in crisi riguardo le sue

convinzioni mediche a causa della povertà della Terapia dell’epoca che risultava spesso dannosa

con i suoi salassi e clisteri.

Rinunciando all’esercizio pratico della medicina ed alla clientela e per poter campare,

Hahnemann si dedicò alla traduzione di opere straniere. Fu così che nel 1790, traducendo il libro

“Materia Medica” di un medico scozzese molto stimato chiamato Cullen, la sua attenzione fu

attratta da un articolo che trattava della China. Hahnemann non poteva ammettere ciò che vi era

scritto, cioè, che: “la corteccia di China agisce sulla febbre in virtù dell’azione fortificante che essa

esercita sullo stomaco”. Egli, infatti, aveva contratto quando era giovane studente, la febbre

terzana in Transilvania ed aveva consumato forti dosi di questa sostanza constatando che anziché

fortificargli lo stomaco, gli aveva invece provocato un inizio di gastrite. Dunque bisognava

credere che Cullen si era sbagliato? Hahnemann, molto onestamente, decise di rifare l’esperimento

e per parecchi giorni si sottomise ad un trattamento di quattro pillole di China per due volte al

giorno. Lontano dal sentire il suo stomaco rafforzato, egli provò una serie di disturbi:

raffreddamento delle estremità, debolezza, sonnolenza, palpitazioni, angosce, tremori, sete e brevi

elevazioni febbrili che erano tutti sintomi soggettivi di febbre intermittente. (Ricordo che in

quell’epoca il termometro medico non era ancora stato inventato). Hahnemann fu allora colpito da

tale coincidenza e notò alla pagina 108 del tomo II dell’opera di Cullen questa frase che è

veramente l’atto di nascita dell’Omeopatia: “Alcune sostanze che provocano una specie di febbre

debellano diverse varietà di febbri intermittenti”; detto in altre parole, come già esposto in

precedenza: “La febbre guarisce la febbre”.

Hahnemann protrasse la sua sperimentazione e pubblicò numerosi articoli e nel 1810 uscì:

“L’Organon dell’arte del guarire”. Alla pubblicazione quest’opera fu occasione di numerose

critiche e di attacchi personali. Hahnemann perse il posto di medico di igiene che gli aveva

affidato la città di Lipsia, ma appena aprì un ambulatorio medico vide affluire molti malati. Alcuni

medici di più ampie vedute si interessarono alla dottrina e cominciarono a studiarla: si costituirono

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alcuni gruppi di società medico omeopatiche e arrivarono gli onori.

Nel 1821 Hahnemann fu accolto nel Ducato d’Anhalt Kotlen dal principe regnante il quale

lo nominò consigliere medico, cioè medico particolare.

All’età di 65 anni, Hahnemann conduce una vita tranquilla dedicata unicamente alla cura

dei suoi malati ed a studi di ricerca. Sperimenta numerosi medicamenti, assumendoli lui stesso o

dando ai suoi discepoli delle dosi serie di questi medicamenti in modo da studiare i sintomi che ne

scaturivano e di ritrovarli in seguito nel malato da curare. Questi esperimenti, i cui risultati sono

ancora utilizzati dai medici omeopatici attuali, sono chiamati “patogenesi” e sono raccolti nelle

opere denominate “Materie Mediche”. Muore nel 1843 nel pieno degli onori. Le sue spoglie

riposano nel cimitero di Père Lachaise dove si può vedere la sua tomba curata dalla Società

Francese di Omeopatia.

Hahnemann ha creato l’Omeopatia. Ha saputo sperimentarla e verificarla clinicamente,

però nello stesso tempo egli sviluppava la Legge dei Simili con il suo corollario dell’impiego della

dose infinitesimale; egli cercò di individualizzare al massimo la patologia, valorizzando il Terreno

del malato. Per lui le malattie acute sono delle reazioni della natura per espellere gli agenti

morbosi come già aveva esposto Sydenham. Per quanto riguarda le malattie croniche, esse si

possono ridurre a tre grandi Diatesi i cui differenti sintomi clinici non sono altro che l’affiorare di

queste. Le Diatesi Omeopatiche battezzate dal linguaggio dell’epoca sono la Psoriasi, la Sicosi, la

Luetica alle quali più tardi, eminenti Omeopati del XX secolo hanno aggiunto la Tubercolotica e

la Cancerosa. Esse sono tutte basate sulla nozione propria degli Omeopati dell’ereditarietà delle

intossicazioni, cioè, del passaggio delle tossine dal genitore al bambino senza che ci siano,

propriamente parlando, delle contaminazioni batteriche o virali. Le loro denominazioni le fanno

sembrare inconsuete, però l’esperienza dimostra che esse ricoprono realtà cliniche realmente

esistenti.

Mi sembra utile definire, in breve, queste Diatesi poiché il loro nome ritorna spesso nei

trattati di Medicina Omeopatica.

1. Sicosi

Per Hahnemann la Sicosi era fondamentalmente la malattia dei Condilomi venerei e scoli

uretrali. Queste patologie sono sensibili al medicamento omeopatico Thuya. In una prima

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analisi è possibile collegarla ad un’impregnazione lenta e profonda causata dal gonococco.

Come è stato in seguito dimostrato dai lavori di autori contemporanei, in particolare

BERNARD, questa Sicosi è fondamentalmente una malattia cronica del sistema

Reticoloendoteliale, una Reticoloendoteliosi cronica che si traduce in uno stato di minore

resistenza dell’individuo con infiltrazione idrica del tessuto connettivo. In tal caso essa può

derivare dall’azione di numerosi agenti patogeni diversi dal gonococco, per esempio, il

paludismo. Questa Sicosi può anche provenire dall’impiego troppo ripetuto di siero, oppure di

vaccini mal tollerati. I medicamenti indicati dalla Sicosi sono Thuya, ma anche l’Acido

Nitrico e il Bioterapico Nosode Medorrhinum.

2. Luetismo

Il Luetismo è l’insieme dei disturbi provocati sia da una Sifilide acquisita e trascurata, sia

piuttosto da una Sifilide ereditaria curata o meno.

Tra i principali medicamenti indicati per questa Diatesi, cito il Bioterapico Nosode Luesinum

ma anche: Mercurius, Aurum, Baryta e Calcarea Fluorica.

3. Psoriasi

Per Hahnemann la Psoriasi, da un punto di vista estremamente generale, è uno stato di

intossicazione cronica che risulta dalla somma di tutte le impregnazioni tossiniche acquisite o

ereditate che non dipendono né dalla Sicosi né dal Luetismo e che si traducono

fondamentalmente attraverso manifestazioni cutanee.

Poiché all’epoca una delle grandi cause delle malattie cutanee croniche era l’Acaro della

Scabbia, Hahnemann considerò questo parassita all’origine della Psoriasi. Attualmente

sembra che il quadro Psorico sia estremamente vasto e che possa essere validamente

inquadrato, elencato e classificato. In ogni modo le sue caratteristiche corrispondono alla

patogenesi del Nosode Psorinum preparato a partire dal liquido che si trova nel solco

tracciato nella pelle del malato dall’Acaro della Scabbia.

Tra i medicamenti antipsorici Sulfur, sarà il più indicato.

4. Tubercolinismo

Si tratta si una Diatesi che è stata messa in luce più recentemente da Leon Vannier. Tale

concezione la dobbiamo al Dott. Nebel i cui lavori ispirarono il Dott. Vannier. Essa definisce

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un Terreno modificato dalla Tubercolosi acquisita od ereditaria. I malati tubercolinici sono

estremamente sensibili alle tossine del Bacillo di Koch. Essi sono più facilmente vittime degli

altri di affezioni tubercolari o affezioni derivate, dette tubercoliniche, come le affezioni

pleuro-polmonari e le asmatiche. I Nosodi bioterapici Tuberculinum e Tuberculinum

Residuum, i medicamenti Pulsatilla, Silicea, Calcarea Phos., sono indicati nel

Tubercolinismo.

5. Cancerinismo

Anche qui abbiamo a che fare con una Diatesi nettamente individualizzata dal Dott. Leon

Vannier in seguito ai lavori originali del Dott. Nebel. Si tratta di una nozione abbastanza

difficile per definirla in termini medici e scientifici. Essa designa dei malati il cui Terreno

predispone al cancro per la loro ereditarietà o quanto meno per i disturbi di cui sono vittime.

Numerosi test di laboratorio sono stati studiati per definire questo Terreno. Danno spesso

risultati interessanti ma vanno interpretati con cautela.

Non si deve dimenticare che queste Diatesi non sono mai entità fisse. Esse sono dotate di

possibilità evolutive che dipendono da fattori intrinsechi o estrinsechi suscettibili di

manifestarsi nell’organismo. Le Diatesi sono modificabili con una terapia adeguata. Infine,

possono coesistere nello stesso soggetto esercitando influenze reciproche le une sulle altre in

senso sia favorevole che sfavorevole alla salute dell’individuo.

* * * * *

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TERRENO – COSTITUZIONE – TEMPERAMENTO

La nozione di Terreno è una delle pietre angolari dell’Omeopatia ma gli Omeopati non ne

rivendicano né la paternità né il monopolio. Nessuno di loro ignora, infatti, che è uno dei postulati

fondamentali della medicina e che dovrebbe restare una delle regole d’oro di ogni medico.

TERRENO

Terreno, Costituzione, Temperamento sono strettamente legati e sono difficilmente

dissociabili. Essi fanno parte del concetto di totalità che era come abbiamo visto, uno dei principi

di Ippocrate. Non si può definire senza separare e noi non ignoriamo che in una simile materia

ogni separazione è una “profanazione”. Però la chiarezza esige degli schemi. Dirò, dunque, che il

Terreno è “l’organismo vivente considerato come un sistema completo nel quale l’anatomia, la

morfologia, il funzionamento fisiologico, lo psichismo, gli antecedenti ereditari e acquisiti si

presentano essenzialmente come aspetti analitici di un tutto indivisibile”. E’ il complesso che è

formato dagli elementi della Costituzione e del Temperamento nel loro legame con le Diatesi.

La composizione è un composto statico che si basa su elementi stabili, i meno modificabili

dell’organismo che sono appunto: la struttura del sistema osseo, i rapporti delle sue differenti

parti, la struttura dei tessuti, la loro plasticità, le forme: rotondo, piatto, quadrato, cubico, ecc.

Il Temperamento è uno stato dinamico. Esso fa uso delle proprietà che sono in potenza

nella costituzione dell’individuo. Vi è in un certo qual modo un processo che interviene nel

divenire, il modo del determinante funzionale della totalità dell’essere.

Possiamo dire: “fissità nella Costituzione, variabilità nel Temperamento”.

Come hanno ben detto da una parte Leon Vannier: “la Costituzione è quello che è, il

Temperamento è quello che diviene” e pende d’altra parte: “il Temperamento ci appare come il

tratto d’unione tra la forma e la funzione, tra il corpo e lo spirito”.

TERRENO:

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1. COSTITUZIONE: Stato invariabile

2. TEMPERAMENTO: Stato variabile.

Le modalità funzionali e di reazione del binomio Costituzione-Temperamento sono in

stretto rapporto con il sistema reticolo-endoteliale e soprattutto con il sistema endocrino-

simpatico.

Da qui molti aspetti comuni come abbiamo visto, tanto fisiologici che patologici, tra le

analisi e clichés omeopatici e le descrizioni e i quadri neuro-endocrino-simpatici.

Esiste una classifica delle Costituzioni e dei Temperamenti che usano al nostro tempo gli

Omeopati. Per ordine cronologico e non per ordine logico, la classificazione dei secondi ha

preceduto l’altra.

Quanto alla descrizione delle Costituzioni, essa è stata oggetto di numerose opere tra le

quali è difficile ritrovare l’esatta origine.

Vengono citate due classificazioni tali quali senza pregiudicarne il loro rigore scientifico.

Esse si basano su delle osservazioni empiriche e praticamente rendono dei grandi servizi

all’esercizio dell’Omeopatia, sia come guida diagnostica e terapeutica, sia a causa delle numerose

allusioni che le riguardano nella letteratura didattica degli Omeopati; queste classificazioni non

sono né esaurienti né esclusive.

Numerosi e interessanti studi sui Temperamenti e sulle Costituzioni esistono nel terreno di

pertinenza degli Ippocratisti, dei Morfologi e soprattutto degli Omeopati.

In ogni caso cercherò di illustrare la nomenclatura delle Costituzioni e dei Temperamenti

della Scuola Omeopatica Contemporanea.

COSTITUZIONE

La teoria delle Costituzioni stabilita da Nebel e Vannier è fondata su un postulato; lo

scheletro è formato da un miscuglio di tre sali di calcio: carbonato, fosfato e fluoruro i cui valori

assoluti sono largamente disuguali ma le cui rispettive proporzioni esercitano un’influenza

specifica sui soggetti…… Ognuno di questi sali impregna l’armatura ossea dandole caratteristiche

anatomiche differenziali.

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D’altra parte ognuno di questi radicali chimici possiede un dinamismo che gli è proprio e

che è di natura tale da far promuovere nella sua categoria delle disposizioni fisiologiche e degli

orientamenti morbosi speciali.

Esistono i seguenti tipi costituzionali:

• il Carbonico

• il Fosforico

• il Fluorico.

Il Carbonico o il Calcareo Carbonico è il tipo in cui teoricamente si constata la

predominanza relativa della presenza e dell’influenza del carbonato di calcio.

Il Fosforico o Calcareo Fosforico è colui in cui predomina il fosfato di calcio.

Il Fluorico o Calcareo Fluorico è colui in cui predomina il fluoruro di calcio.

Bisogna constatare che tali dati non sono stati mai verificati dall’analisi chimica, ma che

essi corrispondono perfettamente all’osservazione clinica.

L’orientamento di un organismo verso una o l’altra Costituzione dipende

dall’Embriogenesi. Sarebbe a dire che la Costituzione è prestabilita alla nascita, che appare nella

sua forma e nelle sue funzioni a partire dalla prima settimana e nella fissità del suo quadro,

indipendente da accidenti morbosi individuali, essa seguirà per tutta la vita il suo determinismo.

Non è eccezionale incontrare delle combinazioni tra l’uno e l’altro di questi tipi

costituzionali. In particolare il tipo misto Fosfo-Fluorico è frequente; le altre combinazioni sono

più rare.

La diagnosi di Costituzione si fa per mezzo dei segni obiettivi derivanti dall’esame

somatico.

Avevo detto in precedenza che ciascun tipo costituzionale possiede oltre al suo staticismo,

un dinamismo funzionale appropriato. Si è potuto descrivere in ogni categoria un tipo infantile ed

un tipo adulto, un tipo ben portante ed un tipo patologico. E’ esatto, ma bisogna aggiungere che

ogni Costituzione oppone i suoi modi reazionari particolari alle aggressioni morbose.

Prendiamo l’esempio dalla tubercolosi.

Per il Carbonico, la prima caratteristica di fronte al B.K. è d’essere difficilmente

vulnerabile. Se l’organismo è invaso, esso possiederà una spiccata attitudine alle localizzazioni

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tessutali più benigne (tubercolosi extra-polmonare). Se si tratta di un attacco polmonare, si

osserverà una tendenza più fortunata di lesioni limitate alla fibrosclerosi, alla apiressia.

Il Fosforico, al contrario, è il Terreno d’elezione del B.K. che si impadronisce, senza

difficoltà, di tutti i tessuti di ogni localizzazione. Qui la tubercolosi produce delle forme acute,

ipertermiche, a rapida evoluzione. Quella Polmonare è una tubercolosi granulosa o ulcero-caseosa

estensiva, facilmente bilaterale.

Il Fluorico più sensibile del Carbonico alle tossine del B.K. si difende abbastanza bene. In

lui i processi di sclerosi sono attivi, ma spesso non sono circoscritti e, sconfinando dalla loro

localizzazione, provocano danni circonvicini tipo spine irritative di natura tale da provocare

l’asma.

Se è vero che in ogni quadro costituzionale si può incontrare uno stato di salute ideale, è

certo che il Carbonico rappresenta il tipo fisico più resistente e il più equilibrato; il Fosforico il più

fragile ed il più instabile, il Fluorico resta a metà tra i due.

Certi autori hanno immaginato l’ipotesi che il prototipo originale umano sarebbe stato un

Carbonico e che le altre formazioni costituzionali non sarebbero che delle derivazioni conseguenti

a delle irregolarità dell’organismo, influenzate da determinate Diatesi morbose.

Tale spiegazione è plausibile e si ammette volentieri che la Costituzione fosforica deriva

dalle modificazioni causate dal B.K., mentre quella fluorica deriverebbe dalla sifilide. Il tipo misto

fosfo-fluorico riunirebbe l’influenza di tutte e due le Diatesi.

Lo studio delle patogenesi non manca di rivelare le affinità esistenti tra tale medicamento e

tale gruppo costituzionale. Aggiungo che ad ogni tipo costituzionale appartiene uno psichismo

appropriato, nello stesso modo in cui si può assegnare a ciascuno di essi delle corrispondenze

endocrino-simpatico elettive.

TEMPERAMENTO

Ciò che si designa sotto il nome di Temperamento era stato descritto da Grauvogl sotto la

denominazione di “Costituzione bio-chimica”. In precedenza sono stati segnalati gli stretti rapporti

che esistono tra l’uno e l’altro termine e, senza snaturare il pensiero dell’autore citato, si può dire

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che c’è della somiglianza tra il Temperamento e la Costituzione essendo scontato che viene

considerato il composto umano sotto il suo aspetto dinamico e sotto quello funzionale. Grauvogl

scrisse: “l’Idrogeno, il Carbonio, l’Ossigeno e l’Azoto sono gli elementi fondamentali della cellula

organizzata; gli altri fattori che entrano nella sua composizione chimica hanno invece un ruolo più

secondario”.

Sono questi quattro metalloidi di base che condizionano i processi generali

dell’anabolismo e del catabolismo, dell’assimilazione e della disassimilazione.

I Temperamenti biochimici sono tre.

Il primo, o Idrogenoide, è caratterizzato da un eccesso di idrogeno, di conseguenza da un

disturbo del metabolismo dell’acqua e quindi da un eccesso d’acqua.

Il secondo, o Ossigenoide, è caratterizzato non da un aumento di ossigeno ma da una sua

eccessiva influenza nell’organismo, un eccesso di ossigenazione del sangue.

Il terzo, o Carbo-Nitrogenoide, è caratterizzato da un eccesso di carbonio e d’azoto; in

seguito ad un’ossigenazione insufficiente si produce un aumento della formazione o della

ritenzione nel sangue e negli umori di sostanze carbonitrogeniche dell’organismo.

Si fa la diagnosi di questi Temperamenti nel seguente modo:

l’Idrogenoide si riconosce dalle sue infiltrazioni tessutali, dalla sua iperidratazione o

prolungamento del tempo di riassorbimento di una iniezione sottocutanea di soluzione fisiologica.

C’è una tendenza agli edemi, un generale rallentamento della circolazione sanguigna e linfatica.

Gli Idrogenoidi sono ipersensibili all’umidità in tutte le sue forme: tempo umido, clima

umido, regioni umide, vallate, mare, paludi. Ne risultano numerose attitudini patologiche che sono

facili a dedursi dal postulato iniziale (reumatismi, cellulite, edema, ecc.) e delle speciali modalità

reazionali: malattie dalle lenti reazioni, raffreddamento, ipertermia.

L’Ossigenoide è il contrario del precedente. In esso esiste una iperattività di scambi che si

traduce in un insieme di sintomi che caratterizzano l’aumento del metabolismo basale: il

dimagrimento, la demineralizzazione vanno alla pari con l’ipertermia. Lo stato fisico si

accompagna ad uno stato mentale particolare: agitazione, inquietudine, ansietà.

Il Carbonitrogeno non si presenta generalmente come un tipo primitivo. Molto più spesso il

suo quadro clinico si costituisce a partire da uno dei Temperamenti precedenti in un periodo di

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vita che, frequentemente, è situato vicino alla cinquantina. L’individuo si presenta come un auto-

intossicato, accusando dei disordini funzionali fra i più svariati: epatici, renali, digestivi, cutanei,

circolatori, nervosi. E’ una sorta di stato allergico che apre le porte ad ogni possibilità morbosa;

ogni malattia compiendo male il suo ciclo, assume un aspetto cronico, evolvendo inesorabilmente

verso un esito fatale: sclerosi, ipertensione, cancro.

Mentalmente è un instabile che alterna periodi di astenia a periodi di ipereccitabilità.

Questi sono dunque i tre Temperamenti di Grauvogl. Ma colui che ha veramente fondato la

tipologia moderna è Martiny. Tale autore ha anche lui stabilito una classificazione estremamente

interessante basata sulla predominanza dei tre foglietti embrionali: l’Endoblasto, l’Ectoblasto ed il

Mesoblasto e quindi si trova:

• il tipo Endoblastico, il digestivo, pallido, rotondo, dall’addome prominente, dallo sviluppo

preponderante del piano inferiore della faccia: è il Carbonico degli Omeopati.

• Il tipo Ectoblastico, il nervoso, magro, longilineo ha predominanza del piano superiore del

massiccio facciale: è il Fosforico degli Omeopati.

• Il tipo Mesoblastico, il respiratorio, l’apoplettico, il sanguigno, il brevilineo, astenico è il

“Sulfur grasso” degli Omeopati.

* * * * *

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IL CONSULTO OMEOPATICO GENERALITA’

Il consulto omeopatico non differisce di primo acchito da un consulto ordinario, con

l’esame del malato tale e quale quello praticato dalla maggioranza dei medici.

Ogni clinico che vuole fare dell’Omeopatia rimarrà innanzitutto fedele alle sue abitudini

personali e classiche nell’esame del malato: oggetto della visita, studio degli antecedenti ereditari

ed acquisiti, esame degli apparecchi funzionali, indagine sulle condizioni di vita e sulle condizioni

alimentari, indagine molto precisa sulle terapie precedenti, che siano vecchie o recenti, riassunto

della natura con le date delle vaccinazioni o delle sieroterapie anteriori, bilancio biologico.

Questo genere di indagine non costituisce affatto una novità. Gli Omeopati hanno tuttavia

la reputazione di procedere in maniera originale.

Questa originalità risiede nell’esattezza rigorosa ricercata nell’interrogatorio del malato e

nella valorizzazione di certi dettagli che si ha spesso la tendenza di sottovalutare.

Gli Omeopati, fedeli al Principio d’Unità, si sforzano di concepire il malato come un

tutt’uno, inseparabile, come già detto nel corso della mia dissertazione, dal flusso vitale

universale. La malattia è un episodio che si deve integrare nella storia dell’individuo e della sua

famiglia biologica, donde la necessità di certe precisioni. Nell’interrogatorio, prima di tutto, si

insisterà sull’inizio, sull’origine e sulle circostanze di apparizione dello stato patologico attuale;

sulle condizioni precise in cui sono apparsi la sindrome o il sintomo. Per esempio: un’insonnia che

sopravviene in seguito ad un bagno freddo, una dissenteria dopo un’indigestione di frutti di mare,

un’orticaria o allergia in seguito ad un assorbimento di medicamenti, ecc.

Si deve poi vedere se non si deve stabilire un rapporto di dipendenza tra lo stato attuale ed

il passato patologico del paziente: nevralgie intercostali in un vecchio pleuritico, eczema in un

adulto colpito nell’infanzia da una crosta lattea, verruche in un vecchio blenorragico.

Qui è necessario fare una precisazione.

E’ stato rimproverato agli Omeopati di esagerare negli apprezzamenti relativi alle

successioni morbose e di fare dei collegamenti paradossali. Senza dubbio, alcuni eccessi possono

essere commessi, ma secondo l’ideologia omeopatica è necessario rimanere fedeli a questa

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dottrina della ricerca delle metastasi morbose. Uno spirito d’analisi esclusivo impedisce spesso di

discernere queste corrispondenze tra il sintomo morboso che appare in un malato in un dato

momento ed il suo passato patologico completo. Invece, da un punto di vista terapeutico, ciò, può

avere un’importanza enorme.

Nella loro inchiesta approfondita, gli Omeopati tengono conto di ciò che essi chiamano le

“modalità”. Una “modalità” definisce il modo in cui ciascun individuo reagisce regolarmente

alle sollecitazioni del mezzo esterno. Questa nozione di mezzo esterno è presa nel senso più largo

e ingloba così bene sia l’alimentazione che l’affettività, la professione, la classe sociale, le

influenze meteorologiche, ecc.

In generale si raggruppa in rubriche: sensibilità al caldo e al freddo, al secco ed all’umidità,

all’acqua, alla montagna, al mare, alla pianura ed alla città; sensibilità ad ogni eccitazione

sensoriale: il vino, il caffè, il tabacco, la luce, i rumori ed i movimenti; avversione o desiderio di

questo o di quell’alimento, ecc.

Dallo studio delle “modalità”, si può arrivare allo studio della mentalità e dello psichismo.

La psiche comprende l’analisi delle funzioni affettive ed intellettuali, la struttura morale, la

conoscenza del carattere, cioè l’insieme di tutti gli elementi costituenti la personalità psicologica e

le tradizioni eccezionali. Essi sono: l’ottimismo, il pessimismo, la gioia, la tristezza, la dolcezza, la

collera, la sessualità, il sonno ed i sogni, che è importante non trascurare. La psicosomatica è stata

un’arma utilizzata dal medico omeopatico ancora prima che il termine fosse creato.

In ultimo luogo e per realizzare la scelta del Simillimum, gli Omeopati tengono conto di un

certo numero di piccoli segni che sono realmente caratteristici del medicamento e che

raggruppano con i dati dell’interrogatorio, permettendo di individuare più facilmente il

Simillimum valido.

Queste sono le note chiave degli autori anglosassoni.

Il consulto omeopatico comporterà in più, l’individualizzazione del malato mediante

l’aiuto della Diagnosi, della Costituzione, della Diatesi e del Temperamento.

Il trattamento dovrà tenere conto di tutte le informazioni fornite dalla Diagnosi così posta.

Se il caso sembrerà giudicabile per mezzo di un Simillimum si prescriverà il rimedio unico; se

parecchi medicamenti saranno indicati, si sceglierà il rimedio in funzione dei sintomi presentati

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dal malato ed in funzione dei dati sviluppati dalla Costituzione e dalla Diatesi. Sarà utile associare

un drenaggio in questi casi.

In questo trattamento stabilito su tre piani, il rimedio del drenaggio sarà prescritto in basse

diluizioni, dalla 1DH alla 6DH; i rimedi sintomatici in media diluizione: 5 e 7CH e i medicamenti

richiesti dalla Costituzione e dalla Diatesi in alte diluizioni. Se diverse Diatesi entrano in causa,

come frequentemente si riscontra, si somministreranno i medicamenti in ordine inverso

all’apparire della Diatesi, cioè cominciando dai rimedi della Diatesi più recente. Per esempio, un

eczema psoriaco presso un tubercolotico, sarà trattato prima con lo Psorinum e poi con il

Tuberculinum.

* * * * *

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SCELTA DEL RIMEDIO

E’ evidente che un esame così completo richiede molto tempo ed attenzione, soprattutto

quando il medico è in presenza di un malato che vede per la prima volta. Si raccomanda perciò di

compilare una scheda per ogni malato, dove si descriveranno, con accuratezza, le informazioni del

primo esame.

E’ infatti dalla qualità di un’osservazione ben presa e ben assimilata che dipende il valore

del trattamento.

Guidato dalla Legge della Similitudine, l’Omeopata sceglie tra i medicamenti quello o

quelli più appropriati per il trattamento del caso in questione.

Come già detto in precedenza, è la conoscenza delle patogenesi che permette di stabilire

questa corrispondenza, questa sovrapposizione di quadri terapeutici o clinici ed i risultati saranno

tanto migliori quanto ne sarà più esatta la coincidenza. Qualche volta il rimedio è facile a trovarsi,

“il malato invoca il suo rimedio”. Per esempio: un lattante affetto da diarrea con agitazione che

grida dimostrando collera e che si calma non appena sua madre lo prende nelle sue braccia, che ha

una guancia rossa e calda e l’altra tiepida e bianca: questo ammalato lo chiameremo

“Chamomilla”.

In questo caso di incontra il Simillimum, cioè, il medicamento la cui patogenesi copre, essa

sola, tutti i sintomi; scelta che conferisce il massimo di probabilità di successo. Hering dichiarava

che tre sintomi ben selezionati bastavano a determinare il Simillimum.

Ma non è sempre così. A volte il Simillimum è impossibile a determinarsi, sia a causa della

complessità della sindrome osservata, sia a causa dell’imprecisione dei sintomi, sia a causa delle

modalità contraddittorie. Bisogna allora ricorrere a parecchi rimedi la cui complementarietà e

convergenza d’azione si estenderanno sulla totalità o sulla più ampia maggioranza dei sintomi.

Non si fa più del Simillimum ma del Simile, cosa che si riscontra più frequentemente.

La diagnosi medicamentosa si basa sulla designazione, sia di un rimedio unico, sia di

rimedi multipli che il clinico dovrà ripartire attraverso separate assunzioni nel corso della giornata

o che dovrà somministrare a distanza di giorni o di settimane.

A questo punto merita una trattazione particolare il cosiddetto farmaco o rimedio

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omeopatico. Lo tratterò subito, riprendendo ed approfondendo anche alcuni temi già parzialmente

trattati sommariamente in precedenza.

* * * * *

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IL FARMACO O RIMEDIO OMEOPATICO

Le vie attraverso le quali l’Omeopatia indaga per conoscere esattamente l’azione di un

farmaco sono le seguenti:

• sperimentazione del farmaco su soggetti sani,

• esami tossicologici e farmacologici,

• somministrazione ai malati,

• somministrazione e ricerche sperimentali su animali.

La totalità di queste osservazioni ci dà il quadro preciso del farmaco.

In Omeopatia vengono usate prevalentemente sostanze medicinali di origine naturale

(vegetali, animali, minerali) ed alcune sostanze di sintesi. Hahnemann ha messo a punto una

speciale tecnica di preparazione (triturazione e dinamizzazione) della sostanza grezza. Con

questa tecnica si ottiene una diluizione graduale e contemporaneamente un potenziamento della

sostanza grezza, con un aumento della sua efficacia.

E’ per questi motivi che Hahnemann, per definire le tecniche di preparazione dei farmaci,

usa i termini diluizione dei farmaci e dinamizzazione.

Il Libro dei Farmaci Omeopatici (H.A.B.) è, in Germania, il testo della Farmacopea

Ufficiale e stabilisce in maniera vincolante le modalità per la loro preparazione.

Raccogliere il maggior numero di dati e approfondirli al massimo per conoscere l’azione

del farmaco è di importanza fondamentale e ciò deve essere realizzato nella misura in cui lo

consentono le conoscenze del nostro tempo.

E’ opportuno ribadire il significato della parola “azione” (di un farmaco); con il termine

“azione” ci si riferisce in questo caso alle modificazioni fisiche, psichiche e spirituali che si

osservano in un soggetto sano in seguito all’assunzione sperimentale di una determinata sostanza.

L’azione di quest’ultima si traduce nella “produzione” di una malattia (artificiale).

La malattia provocata da una “sostanza” può essere curata dalla stessa. In questo modo una

sostanza diventa farmaco. “Ciò che fa ammalare, fa anche guarire”. Ogni farmaco ha una

doppia faccia: è allo stesso tempo medicina e veleno. Per conoscere l’azione di un farmaco

bisogna studiare approfonditamente la malattia provocata dallo stesso.

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1. FONTI PER LA CONOSCENZA DEI FARMACI

Sperimentazione su soggetti sani

L’azione specifica di un farmaco non può essere dedotta a priori per mezzo della

speculazione, dell’elucubrazione o dell’intuizione.

Hahnemann è uno dei più importanti ricercatori che hanno usato la sperimentazione per

indagare con un preciso scopo i fenomeni naturali.

“Da questa particolare farmacologia deve essere totalmente escluso tutto ciò che è supposizione,

affermazione gratuita o addirittura immaginazione; tutto deve essere esclusivamente pura

espressione della natura, che dobbiamo interrogare a fondo e con onestà”. (Organon § 144).

La strada più vecchia e ripetutamente convalidata per giungere alla conoscenza è quella

dell’esperienza. L’esperimento conferisce sicurezza all’esperienza e crea nuova esperienza.

Ritorno per un attimo indietro, e cioè all’esperimento di Hahnemann su se stesso con la

corteccia di China: sul fatto che la China potesse essere d’aiuto in determinati casi di malaria,

sussistevano già allora delle esperienze sicure e molteplici.

Ma soltanto l’esperimento, nella fattispecie su se stesso – gli chiarì perché e quando la

China doveva e deve essere impiegata secondo una precisa norma. La China produce in un

soggetto sano delle modificazioni dello stato generale che sono simili ai sintomi tipici della

malaria.

I critici hanno messo in dubbio la realtà della sperimentazione dei farmaci su soggetti sani.

La verifica dei farmaci di P. Martini, non portò a dei risultati nell’analisi statistica per l’errata

impostazione del metodo. Deve essere disponibile un gruppo di sperimentazione di ampia

provenienza sia come età che come sesso. Per esempio Sepia, un rimedio particolarmente indicato

per donne in climaterio, fu somministrato prevalentemente a uomini giovani. L’unica donna in età

(anni 53), manifestò un interessante sintomo da Sepia: “il soggetto rimane vistosamente

indifferente in situazioni spiacevoli che altrimenti l’avrebbero messo in agitazione”.

Un musicista sensitivo di 39 anni reagì con uno stato d’animo triste e facile al pianto,

sonno irrequieto e nervosismo generalizzato.

E’ degna di nota una constatazione di Martini: “per contro, risulta particolarmente insolito

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il fatto che in ambedue le serie di esperimenti, la relativa frequenza di sintomi era piuttosto ridotta

in caso di somministrazione di basse diluizioni, incluse le tinture madri, rispetto a quella notata in

presenza della somministrazione di diluizioni più alte (fino alla 10DH)”.

L’analisi statistica, “reprime e soffoca” i pochi sintomi particolari e di alto valore

qualitativo.

La concretezza di questi esperimenti può essere confermata da esempi quasi quotidiani.

Sono sicuro che vi è già capitato di piangere involontariamente sbucciando o tagliando una

cipolla, il naso ha incominciato a prudervi ed avete dovuto starnutire. L’azione irritante della

cipolla sugli occhi e sul naso rappresenta un’esperienza sicura. Un’altra esperienza ugualmente

autentica è che spesso un raffreddore catarrale provoca un similare stato di irritazione agli occhi ed

al naso.

Vi ricordate, se capitato, della prima volta che avete fumato e di come vi girava la testa,

quasi da non reggersi in piedi e di come vi sentivate stranamente male? Eravate bianchi come un

lenzuolo. Vi ricordate ancora dell’effetto del tabacco? Sicuramente ci sono dei pazienti che, per

motivi totalmente diversi, si sentono spaventosamente male, con giramenti di testa, volto pallido,

non si reggono in piedi e si devono distendere. Questo è l’aspetto di una persona durante un

collasso cardiocircolatorio. La sindrome di Ménière provoca spesso sintomi di questo genere.

Vi piace il caffè? Forse vi è capitato di bere un caffè molto forte dopo un lungo periodo di

astensione. Dopo averlo bevuto, vi siete sentiti veramente “allegri”, il sangue vi saliva con

maggior forza alla testa, il cuore aveva incominciato a battere forte e veloce; la sera non riuscivate

a prendere sonno, continuamente vi giungevano nuovi pensieri alla mente e continuavate a

rigirarvi nel letto.

Molti pazienti lamentano questi simili sintomi (spesso si tratta di donna in pre-climaterio).

Con questi esempi, avete vissuto, personalmente, a grandi linee l’esperienza dell’azione di

un farmaco: avete sperimentato i seguenti rimedi: Allium Cepa, ossia la cipolla; Tabacum

Nicotiana, ossia la pianta del tabacco e Coffea Tosta, ossia il caffè tostato. Camuffato da questi

nomi latini anche il quotidiano acquista una parvenza scientifica. Il quotidiano, invece, diventa

scienza con l’accumularsi di esperienza attraverso la sperimentazione dei farmaci.

Hahnemann, come già trattato, usava come cavia innanzitutto se stesso, indi la sua

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famiglia; poi passava ad amici, pazienti e colleghi e, più tardi, quando insegnava all’università, si

aggiunsero a questi gli studenti stessi. Egli incominciava somministrando in un’unica assunzione

una dose ponderale della sostanza da sperimentare; quindi, si faceva riferire esattamente tutti i

sintomi soggettivi e tutti i segni obiettivi che il soggetto aveva osservato. Se non subentrava

alcuna modificazione, dopo un paio di giorni aumentava la dose e continuava così finchè non si

aveva una reazione visibile, percettibile alla sostanza.

Riguardo alla conduzione della sperimentazione Hahnemann fornisce delle indicazioni

estremamente precise e circostanziate, specialmente per quell’epoca; egli fu il primo in assoluto a

realizzare esperimenti, degni di nota, di sostanze medicinali su soggetti umani (Organon, §§ 105-

108, 120-153).

Oggi gli esperimenti in Germania vengono condotti secondo le seguenti direttive di

Stübler, Mezger e H. Schulz:

• solamente il medico che conduce l’esperimento è a conoscenza di quale sostanza viene usata.

Si tratta in questo caso di un esperimento cosiddetto “cieco”. L’esperimento in “doppio-cieco”

è proibito, poiché colui che conduce l’esperimento è responsabile nei confronti dei soggetti

che vi si sottopongono. Egli deve sapere più o meno a quali rischi lo sperimentatore può

andare incontro. Chi conduce un esperimento deve tenere conto anche della sensibilità

individuale e della ricettività dei singoli soggetti aumentando o diminuendo la dose.

• Alla fase di sperimentazione vera e propria, vengono alternati, premessi o aggiunti alla fine,

periodi in cui viene somministrato un farmaco “apparente”, il cosiddetto “placebo”; ad una

parte dei soggetti viene somministrata unicamente questa sostanza. Grazie a questi interventi

aumenta la forza delle affermazioni scientifiche conseguenti agli esperimenti. In questo modo

è possibile fare una netta distinzione tra i sintomi veri, originati dal farmaco e quelli prodotti

dalla suggestione in conseguenza dell’assunzione del farmaco. Hahnemann ha già anticipato

molti dei risultati scaturiti dalle moderne ricerche sulle sostanze “placebo”. Egli faceva ampio

uso di somministrazioni di lattulosio.

• I soggetti che si sottopongono alla sperimentazione devono essere sani, sia all’inizio che

durante l’esperimento. Si deve evitare che i sintomi vengano cancellati o alterati da disturbi

patologici. Nel caso in cui un soggetto si ammali durante l’esperimento, o si ritira dallo stesso,

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oppure viene fatta un’annotazione sul protocollo relativo all’esperimento, affinchè i suoi

sintomi vengano giudicati separatamente da quelli degli altri.

• Il gruppo dei soggetti deve essere rappresentato il più ampiamente possibile in relazione all’età

ed al sesso, per ottenere un quadro diversificato della ricettività rispetto alla sostanza in esame.

• I soggetti compilano su un protocollo giornaliero tutte le modificazioni soggettive ed obiettive.

Devono essere forniti dati quanto più precisi riguardo al luogo, i tempi, le modalità e la

dipendenza da fattori ambientali in cui il soggetto ha vissuto delle modificazioni dello stato di

salute.

• Il medico che conduce l’esperimento cerca di confermare gli effetti osservati obiettivamente

per mezzo di ricerche cliniche: parametri bioumorali, elettrocardiogramma, controllo della

temperatura corporea, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa, ecc.

• La Lega Internazionale dei Medici Omeopatici organizza esperimenti di portata mondiale in

diversi Paesi per eliminare le discordanze nei risultati dovute alle diversità di clima e di razza e

per evidenziare l’azione pura del farmaco (rimedio omeopatico), che è in definitiva uniforme

ed unitaria.

Risultati tossicologici e farmacologici

Per motivi umanitari sono state imposte delle limitazioni alla sperimentazione dei farmaci

su soggetti sani. Va da sé che è proibita una somministrazione di sostanze tossiche in dose

massiccia o per un periodo prolungato.

Nella sperimentazione dei farmaci bisogna rimanere al di sotto del livello di tossicità.

Schoeler definisce “microtossicologia” questo raggio d’azione. Essa ci fornisce soprattutto dei

sintomi soggettivi che vengono vissuti dal soggetto come alterazioni del suo stato di salute.

I segni obiettivi e le modificazioni tissutali vengono raccolti dalla tossicologia vera e dalla

farmacologia.

Dagli avvelenamenti provocati o intenzionali (medicina legale) e da quelli involontari o

accidentali (incidenti, medicina del lavoro) si possono scoprire quali siano i danni organici ed i

profondi disturbi funzionali che una sostanza è in grado di produrre.

Platone ci ha tramandato un’esatta relazione sulla morte di Socrate, avvenuta per

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avvelenamento da Conium Maculatum (Cicuta Maggiore). La sua toccante relazione descrive

forse il più antico esperimento con un farmaco a dose tossica. La paralisi progressiva dal basso

verso l’alto provocata da una dose tossica di succo di Cicuta, non è riproducibile in sede di

sperimentazione su un soggetto sano. Tutte le alterazioni dello stato di salute, dai danni funzionali

a quelli organici fino all’esito fatale, fanno parte del quadro generale delle malattie indotte

sperimentalmente “da un farmaco”. La tossicologia ci fornisce ampi dati in questo campo.

Un esempio: l’avvelenamento orale da mercurio provoca dei danni evidenti alla bocca, allo

stomaco, all’intestino retto ed ai reni. Alla bocca, in particolare, si nota una forte salivazione, alito

cattivo e maleodorante, le gengive appaiono gonfie e ulcerose; la lingua ingrossata presenta le

impronte dei denti. Le tonsille si infiammano e tendono a decomporsi in seguito ad ulcerazioni

formando delle pseudo-membrane.

Questi evidentissimi segni dell’azione di un veleno vengono usati, omeopaticamente, nella

cura della stomatite, dell’angina pseudomembranacea, eventualmente della difterite (cianuro di

mercurio). L’intestino presenta, specialmente nella parte del retto, un’infiammazione ulcerosa. Le

evacuazioni sono sanguinolenti e ricche di muco, accompagnate da un forte tenesmo. Il quadro

clinico della dissenteria e della colite ulcerosa è spesso molto simile a questo. La somiglianza dei

reperti clinici nei due diversi casi è talmente concorde, che all’autopsia (lo fece notare Virchow), è

impossibile capire, “se si tratta di un caso di grave dissenteria oppure di un caso altrettanto grave

di avvelenamento da mercurio”.

Nei casi di lesioni da mercurio a causa di esposizione prolungata nel tempo (per esempio

sul lavoro), compaiono anche disturbi psichici. Queste alterazioni spaziano inizialmente da

un’attività esagerata con agitazione motoria e psichica, fino allo stadio finale di letargo e demenza.

Spesso si ha un tremore chiaramente visibile, frequentemente si osservano pure lievi

paralisi. La pelle reagisce con multiformi efflorescenze simili a quelle della Lue secondaria. Ciò

che è sbalorditivo è la somiglianza nel suo insieme, tra i sintomi della Lue e quelli della malattia

provocata dalla somministrazione di mercurio.

Per molti secoli il mercurio è stato il mezzo che veniva usato per curare la Lue. Nel 1845 il

Prof. Zlatorowic, insegnante alla facoltà di medicina all’Università di Vienna, si rese conto della

somiglianza che esisteva tra la sintomatologia della sifilide e gli effetti che provoca l’assunzione

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di mercurio, improvvisamente, durante una lezione, mentre stava spiegando, appunto, quale era

l’azione del mercurio.

La somiglianza era tale che si sarebbe potuto scambiare una affezione con l’altra. Questa

constatazione fulminea colpì talmente il professore, che interruppe la lezione, se ne andò a casa e

si mise a studiare l’Omeopatia, di cui fino ad allora ne aveva sentito solo parlare vagamente.

Purtroppo oggigiorno si sa anche troppo sul tema “mercurio”, a causa di tutto ciò che con

leggerezza viene catalogato come “effetto collaterale”. Bisognerebbe “dire” per tempo ai farmaci

ciò che “possono” e ciò che “non possono” fare, affinchè alcune loro azioni non risultino

sconvenienti agli occhi dei farmacologi.

A proposito degli effetti collaterali che insorgono dopo la somministrazione di un farmaco,

vorrei fare delle precisazioni in tre sensi:

• gli effetti collaterali sono tanto più frequenti e tanto più forti quanto più consistente è la dose

tossica che si è deciso di somministrare;

• essi dipendono dalla sensibilità del malato (idiosincrasia, allergie, danni precedenti);

• l’azione del farmaco è per sua natura fondamentalmente più ampia di come previsto e

prefissato dalle indicazioni dell’uomo (azione curativa prevista).

Da questi fatti estremamente chiari Hahnemann per primo, ha tratto delle logiche

conclusioni:

• ha diminuito la dose, fino a renderla minima;

• la dose infinitesimale viene adeguata singolarmente alla ricettività del paziente;

• l’azione del farmaco deve corrispondere alla totalità dei sintomi e delle manifestazioni del

paziente.

Solo così si soddisfano le esigenze della Legge della Similitudine.

Una similitudine parziale è una similitudine solo apparente e perciò insufficiente per la

finalità curativa dell’Omeopatia.

Un esempio: l’aspetto visibile di un’infiammazione delle tonsille corrisponde

superficialmente a ciò che si osserva nell’infiammazione con suppurazione ed un’eventuale

formazione di pseudomembrane in un caso di intossicazione orale da mercurio.

L’aspetto grossolano nei due casi è simile; solo un approfondito esame con l’aiuto della

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sperimentazione del farmaco su soggetti sani ci dà il quadro reale della situazione e ci guida nella

scelta del farmaco. Questo procedimento è valido in quanto ci permette di distinguere caso per

caso tonsilliti apparentemente simili. Criteri indispensabili, in un caso di angina, che ci inducono a

scegliere il mercurio “omeopatico” per curarla sono:

• il reperto medico locale corrisponde all’azione tossica del mercurio;

• il soggetto avverte un dolore lancinante e la sensazione di venire stretto alla gola, sensibilità al

contatto nella zona della gola, alito cattivo;

• sudorazione abbondante ed oleosa che non apporta alcun beneficio o miglioramento dello stato

generale;

• la notte aggrava tutti i disturbi, in modo particolare inquietudine e paura;

• il calore risulta negativo per il malato; bisogna evitare gli impacchi caldi al collo e le bevande

calde, nonché il calore nella stanza; il malato è comunque, nel complesso, freddoloso, per cui

teme anche il freddo intenso. Sono, dunque, da evitare ambedue gli estremi per quanto

riguarda la temperatura.

Su questo esempio si può comprendere il valore della sperimentazione dei farmaci su

soggetti sani ed il valore dell’osservazione di un malato sotto trattamento. Solamente la conferma

ottenuta con la guarigione conferisce validità a queste due fonti di conoscenza e pone delle

limitazioni per evitare che dei grossolani sintomi di intossicazione vengano interpretati

erroneamente per la loro apparente similitudine.

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Impiego nella cura dei malati

Oltre alla verifica della capacità terapeutica e ad un chiarimento sui reali rapporti di

somiglianza, l’impiego nella cura dei malati fornisce ulteriori informazioni per la conoscenza dei

farmaci.

Un esempio: per la cura dell’acne conglobata, ad un paziente venne prescritto il bromo.

L’indicazione del bromo in determinati casi di acne deriva dalla tossicologia e dall’impiego di

bromo su soggetti malati.

In passato il bromo veniva somministrato in forti dosaggi e per periodi prolungati nei casi

di epilessia per la sua azione sedativa. In conseguenza di questa assunzione si sviluppava spesso

un’acne come “effetto collaterale”. L’acne della paziente guarì in breve tempo. Poiché il bromo le

aveva fatto così bene, per sicurezza, continuò a prenderne ancora. Dopo quattro settimane si

ripresentò lamentando dolori lancinanti al dito indice. Apparentemente il dito non aveva nulla, non

si era verificato alcun trauma, non si constatavano limitazioni nei movimenti, quindi la diagnosi

della visita risultava negativa. Ma la versione soggettiva della paziente, che era degna di fede, non

poteva essere messa in discussione.

Nel repertorio di Kent sotto il sintomo “dolore lancinante all’indice” si trova come unico

rimedio il bromo. Il nesso era chiaro: la paziente aveva involontariamente effettuato una

sperimentazione del farmaco assumendo per lungo tempo il bromo ed aveva così provocato il

sintomo del dolore all’indice; cessata la somministrazione, il dolore passò dopo otto giorni.

Impiego nella cura degli animali

I veterinari omeopatici attuano quotidianamente degli “esperimenti”, se così si può dire,

curando gli animali, naturalmente non a scopo di ricerca volta a rispondere ad un determinato

interrogativo. Se, però, confrontiamo il rapporto costo-utilità, queste cure hanno lo stesso valore di

qualsiasi esperimento e ridicolizzano ogni accenno alla suggestione.

La cura degli animali è di importanza fondamentale per la conoscenza dei farmaci, visto

che l’opinione soggettiva del “malato” può essere comunicata al massimo con uno scodinzolio

della coda.

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In questo caso è decisivo il successo obiettivo. La “droga-medico” viene messa un po’ in

disparte.

Nell’esperimento “cieco” bilaterale, Wolter riuscì a dimostrare l’azione differenziata del

Caulophyllum D 30 nel parto dei suini, mentre sui bovini riuscì ad elaborare il quadro del farmaco

Flor di Piedra. Sono già stati condotti esperimenti su animali per dimostrare l’efficacia dei farmaci

omeopatici. Molti Omeopati sono contrari a fare esperimenti sugli animali poiché, secondo la loro

opinione, l’uomo non dovrebbe abusare degli esseri indifesi.

Secondo una dichiarazione della stampa, nella Germania Occidentale vengono usati ogni

anno dai 10 ai 12 milioni di animali per esperimenti discutibili ed i responsabili tacciono.

Riepilogo

L’Omeopatia trae la conoscenza dell’azione dei farmaci da quattro fonti:

• la sperimentazione dei farmaci su soggetti sani;

• i risultati delle ricerche tossicologiche e farmacologiche;

• l’impiego nella cura dei malati;

• l’impiego nella cura degli animali, cioè dai risultati della medicina veterinaria.

2. IL QUADRO DEL FARMACO

L’espressione “quadro del farmaco” è già stata usata. Sarà sembrato strano in quanto il

connubio tra questi due termini, farmaco e quadro, non viene usato nella medicina allopatica; ma

dalla patologia clinica si conoscerà l’espressione “quadro clinico”. Con questo termine si intende

indicare la totalità della sintomatologia riscontrata in un singolo caso. Dopo aver attinto alle

quattro fonti della conoscenza dei farmaci, sappiamo quale valore ha ogni singola fonte. Con le

conoscenze tratte da queste fonti è stato riunito tutto il materiale al completo che occorre per

formulare il “quadro del farmaco”. Esso è in effetti la sintesi delle singole nozioni, ossia il tutt’uno

dell’azione di un farmaco.

Quadro, visione e totalità sono termini che appartengono al linguaggio della

fenomenologia. Per descrivere le totalità e per concepirle spiritualmente non è più sufficiente il

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modello di pensiero che ha come base il rapporto causa – effetto.

La medicina moderna conosce e tiene conto purtroppo solamente dei rapporti di causa che

vengono applicati nella sperimentazione delle scienze naturali. Ai nostri tempi risulta chiaro come

vanno perdute delle essenziali possibilità di conoscenza, quanto impoverimento vi è, poiché

vengono “dimenticati” gli sforzi millenari dell’uomo per giungere a delle intuizioni filosofiche.

L’Università è diventata un luogo di formazione dove non c’è più traccia dell’antica Universitas.

La biologia materialistica delle scienze naturali del IXX e del XX secolo ha ridotto pure la

visione della medicina a tutto ciò che è puramente materiale, spiegabile in modo causale e che è

stato fissato sperimentalmente.

A poco a poco, attraverso la “porta di servizio”, lo spirito è rientrato nella medicina

ufficiale. Tutto ciò che è anima e spirito non è spiegabile causalmente, è un fenomeno. Il rapporto

di similitudine tra quadro del farmaco e quadro clinico è altrettanto inspiegabile causalmente.

Al rapporto causa-effetto si sostituisce la deduzione logica del “se-allora”. Se tra il quadro

del farmaco ed il quadro clinico individuale sussiste una somiglianza comparabile, allora c’è il

presupposto perché quel farmaco possa guarire quel malato.

Il rapporto causa-effetto in senso stretto è praticamente quasi inesistente nel campo

biologico. Esagerando un po’, si può dire addirittura che le leggi classiche della fisica, nonostante

la loro esattezza, necessitano di parecchie condizioni marginali. Per esempio un presupposto

necessario per la validità dell’esperimento della legge sulla caduta libera è che esso avvenga in

assenza di aria. Gli esperimenti biologici, però, non possono essere condotti in ambienti privi di

aria. Ogni sforzo per ottenere la guarigione di un soggetto rappresenta un “esperimento” in

condizioni molto complesse. Queste condizioni rimangono spesso inspiegabili o poco chiare,

senza la regola del rapporto di regolazione.

Risulta evidente che lo stimolo guaritore e quello che provoca la malattia devono

assomigliarsi, perché possa avvenire una inversione di tendenza nel centro di regolazione. In

questo modo il rapporto di similitudine tra il quadro di azione del farmaco e il quadro clinico

individuale è in accordo con la logica scientifica.

L’impiego della regola della similitudine presuppone la comparazione di due insiemi,

perciò è indispensabile riunire le singole nozioni sull’azione del farmaco per formare il quadro del

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farmaco stesso.

In questo modo il farmaco diventa un’entità individuale che agisce complessivamente.

Paracelso parla del farmaco intendendo nello stesso modo un tutt’uno. Nel loro linguaggio i

medici omeopati vanno tanto in là nella identificazione immaginaria del farmaco con il malato,

che è possibile sentirli parlare di una “donna-Pulsatilla”, di un “bambino-Calcium Carbonicum”,

di una “tosse-Hyoscyamus” o di “un’ansia-Arsenicum”. La comparazione fenomenologica ci

mostra come determinate “tipologie umane” si accordano particolarmente bene al quadro di un

dato farmaco: il nome di quest’ultimo può diventare la definizione tipologica del primo.

Così si parla di un tipo “Nux-Vomica” o più semplicemente di un “Nux Vomica”, o di un

tipo “Phosphorus”, ecc. Bisogna tener presente che solamente alcuni rimedi che agiscono in

profondità possono essere comparati alle tipologie umane. Si tratta soprattutto di quelle sostanze

di cui è costituito il nostro corpo.

Nei testi di Hahnemann non compare ancora il termine quadro di un farmaco. Egli scrive

così: “La totalità di tutte le manifestazioni patologiche che un farmaco è in grado di produrre si

avvicina alla completezza appena dopo che sono state più volte studiate ed esaminate numerose e

disparate persone appartenenti ad ambedue i sessi ed idonee a questo scopo” (Organon, § 135).

“La totalità delle manifestazioni patologiche che un farmaco è in grado di produrre”!

Questo è ciò che bisognerebbe tenere incondizionatamente presente nella terapia omeopatica,

considerando contemporaneamente che significa molto di più di somma di cognizioni parziali.

Riepilogo

Il quadro di un farmaco è la sintesi di tutte le singole nozioni sull’azione del farmaco

stesso. La comparazione immaginaria dell’azione del farmaco con la sintomatologia del malato è

un processo fenomenologico. Hahnemann non usa ancora il termine del famaco. Per indicare

l’azione globale di un farmaco egli usa l’espressione: “il concetto”.

3. PROVENIENZA E PREPARAZIONE

DEL FARMACO OMEOPATICO

Hahnemann non era solamente un genio della medicina; egli era anche un eccellente

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chimico, farmacologo e farmacista. Fedele all’immagine professionale del farmacologo e del

farmacista egli era così pedantemente preciso, che le sue istruzioni per la preparazione dei farmaci

sono valide ancora oggi e tengono testa a tutti i criteri scientifici. Era preciso al milligrammo,

tanto da poter essere definito “Miligrammikus” – soprannome che usavano gli studenti nei

confronti dei loro colleghi che studiavano farmaceutica. Ma egli non era solamente esatto,

estremamente preciso. Egli creò dalle fondamenta una farmacologia completamente nuova.

Ben poco di ciò che poteva trovare a quell’epoca soddisfaceva le sue esigenze; di

conseguenza preparava da solo tutti i suoi farmaci. Per quanto era possibile, raccoglieva

personalmente le erbe medicinali, oppure preparava gli estratti. Voleva avere la certezza che i suoi

prodotti di partenza fossero puri e perfetti. Il farmaco era per Hahnemann una cosa talmente seria

che tutto ciò che era approssimazione e chiacchiere non aveva accesso al suo laboratorio. I critici

avrebbero dovuto prima prendere atto del fatto che né prima né dopo di lui, mai alcun medico si è

prodigato con tale scrupolosità, dedizione e lungimiranza alle conoscenze ed alla preparazione dei

farmaci.

La materia grezza dei medicamenti omeopatici proviene da tutti i regni della natura

(vegetale, animale, minerale); alcune sostanze sono composti chimici preparati in

laboratorio. Hahnemann stesso ha sviluppato dei nuovi procedimenti per la produzione di

determinati farmaci (per esempio il “Calcium Carbonicum Hahnemanni”, il “Mercurius Solubilis

Hahnemanni”). Egli ha scoperto per primo la solubilità colloidale di sostanze insolubili allo stato

grezzo. In tempi più recenti sono stati usati come materiali di partenza anche sostanze prodotte da

malattie chiamate Nosodi, tra cui, per esempio: la “Alt-Tuberculin”, la tossina della difterite, il

sangue del malato stesso. Da questi esempi si può capire come l’Omeopatia si sviluppi con una

metodica giovane e moderna, ricca di nuove idee e che non riposa comodamente sugli allori.

Hahnemann non è per gli Omeopati un “mostro sacro”. Fino alla fine della sua esistenza terrena,

Hahnemann ha proseguito le sue ricerche ed ha continuato a perfezionare la metodica; e così fanno

anche i suoi successori.

Il Libro dei Farmaci Omeopatici, abbreviato H.A.B., che è dal 1934 il testo legalmente

valido per la farmacopea tedesca riguardo alle prescrizioni per la preparazione dei farmaci,

acquisisce ad ogni successiva edizione nuove conoscenze. Nell’ultima, uscita nel 1979, sono stati

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inseriti, tra l’altro, nuovi metodi dimostrativi come per esempio l’analisi degli spettri di

assorbimento. Seguendo le direttive di Hahnemann, la preparazione dei farmaci procede in

maniera diversa, a seconda del materiale di partenza, che può essere un’essenza, una tintura, una

soluzione, oppure una triturazione.

L’”essenza”: la sostanza base è il succo ottenuto dalla spremitura di piante fresche intere o

di loro parti (fiori, foglie), diluito con alcool a 90°, allo scopo di conservare il prodotto.

La “tintura”: la sostanza base viene ottenuta o con il disseccamento e la polverizzazione di

una pianta oppure con lo schiacciamento di sostanze di origine animale (api, formiche, ecc.).

Successivamente viene usato dell’alcool dai 60° ai 90° e con un procedimento di macerazione o di

percolazione vengono estratte le sostanze essenziali.

La “soluzione”: la sostanza base, prevalentemente sali solubili o acidi, a seconda della sua

solubilità viene elaborata in soluzioni acquose o alcooliche.

La “triturazione”: il materiale di partenza, minerali insolubili o piante intere o parti di esse

(radici, semi, ecc.), seccate e finemente polverizzate, dopo la triturazione nel mortaio, che deve

durare almeno un’ora, vengono trattate con del lattulosio.

Le sostanze fluide (essenze, tinture e soluzioni) vengono classificate con il termine di

tintura madre. Quelle in forma solida vengono invece definite sostanza madre. Ad ambedue viene

abbinato il simbolo Ø. Per prescrivere la tintura madre di “Pulsatilla” per esempio, scriviamo:

“Pulsatilla Ø”. Per indicare invece la sostanza madre dell’oro, usando il “latino del farmacista”,

scriviamo: “Aurum Trit. Ø”. Trit. è un’abbreviazione del termine latino “trituratio”, che significa

triturazione.

I farmaci omeopatici vengono somministrati ai pazienti sotto forma di gocce, compresse,

granuli, polvere e globuli. Per l’uso esterno vengono usate pomate e misture preparate con il

farmaco e l’aggiunta di glicerina. Per la terapia per via parenterale vengono invece preparate delle

fiale.

La veste esteriore della sostanza da assumere viene scelta a seconda della sostanza base e

relativamente alle necessità del paziente. Perciò le sostanze che sono insolubili sotto forma di

sostanza madre (per esempio l’oro), per quanto riguarda le basse diluizioni (generalmente sotto la

D8), possono essere preparate solo sotto forma di compresse o granuli o triturazioni. Altre

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sostanze, invece, che sono fluide come il bromo, e che in caso di triturazione con aggiunta di

lattulosio possono diventare pericolose per il preparatore a causa dello sviluppo di calore e delle

esalazioni, vengono prescritte in diluizioni fino alla D8; per le potenze successive, invece, in

qualsiasi altra forma.

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Riepilogo

I farmaci omeopatici traggono la loro origine dal regno vegetale, animale e minerale.

Alcuni vengono prodotti in laboratorio usando la sintesi chimica. Le sostanze base prodotte dagli

stessi malati vengono definite Nosodi.

La scienza omeopatica per la preparazione dei farmaci è stata sviluppata da Hahnemann

stesso. Essa è così esatta, che ancora oggi, a parte qualche perfezionamento tecnico, il “Libro dei

Farmaci Omeopatici” (H.A.B.) come testo della Farmacopea Ufficiale segue le sue prescrizioni.

Sotto il denominatore comune di tinture madri vengono classificate le diluizioni, le essenze

e le tinture ottenute con l’aggiunta di acqua o alcool: nelle preparazioni esse vengono additivate

con lattulosio: in questi casi la materia di base viene definita sostanza madre.

Anche per queste il simbolo usato è Ø.

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4. POTENZIAMENTO DEL FARMACO

Inizialmente Hahnemann andava per tentativi e somministrava i farmaci in dosi ponderali e

senza elaborarli. Così facendo, osservò che l’impiego dei farmaci nella forma in uso dall’antichità

non era ottimale. A seconda delle diverse sostanze di base, si otteneva o una reazione troppo forte

nel malato (effetti collaterali, eccessiva reazione iniziale, aggravamento iniziale molto marcato),

oppure la reazione era insufficiente a causa della scarsa assimilazione del farmaco (soprattutto

quando si trattava di minerali insolubili).

Da queste osservazioni scaturì la logica decisione di sviluppare un metodo di preparazione

dei farmaci che facesse combinare in maniera ottimale quantità e qualità. Hahnemann aveva

inoltre osservato che la sensibilità e la prontezza di reazione nei confronti del farmaco erano

diverse a seconda del soggetto. Ma a questa maniera di reagire, diversa da individuo a individuo,

doveva corrispondere un farmaco adattato individualmente.

Questa meta chiara e concepita razionalmente fu raggiunta diminuendo la dose e

aumentando l’efficacia del farmaco, elaborandolo (triturazione e dinamizzazione). Poiché sotto

questa forma il farmaco raggiungeva “l’optimum” della sua forza medicamentosa evitando gli

effetti dannosi, Hahnemann gli diede il nome di potenza o dinamizzazione ed al procedimento di

preparazione del farmaco quello di potenziamento. Questo termine apparve comunque appena nel

1827. Questa data tardiva ha la sua motivazione nel fatto che Hahnemann sviluppò questo

procedimento dopo lunghe e attente osservazioni.

Nel 1839 scriveva: “le dinamizzazioni omeopatiche provocano un vero risveglio delle

proprietà medicamentose delle sostanze naturali, proprietà che sono latenti quando queste

sostanze si trovano allo stato grezzo”.

Preparazione e rapporto di miscelazione

Le sostanze fluide vengono portate a tutti i gradi di diluizione partendo dalla tintura madre,

semplicemente con dieci movimenti energici diretti verso il basso.

La miscelazione con il veicolo (acqua, alcool, lattulosio) avviene per ogni singolo stadio o

in rapporto 1 + 9 = 10 (scala decimale), oppure 1 + 99 = 100 (scala centesimale).

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Fino al periodo parigino Hahnemann lavorò con la scala centesimale. Negli ultimi anni

sviluppò la diluizione sotto forma di globuli, in diluizioni da 50.000 o, (in cifre romane), diluizioni

LM; Hering (un medico di origine tedesca, emigrato a Filadelfia), usò per la diluizione del veleno

di serpente la scala decimale, che fu più esattamente descritta da Vehsemeier.

Oggi vengono usate tutte le scale; in Francia la scala centesimale, nei paesi di lingua

inglese prevalentemente la scala centesimale, in Germania quasi esclusivamente la scala decimale.

Ambedue le scale hanno i loro sostenitori. Si può dire, secondo la letteratura omeopatica,

che per le diluizioni più basse fino alla D6, è migliore la scala decimale, mentre nelle diluizioni

più alte, agisce più prontamente la centesimale.

La corrente antroposofica della medicina, a ragione, dà rilievo al fatto che per variare

l’efficacia di un dato farmaco omeopatico è più decisivo il numero dei passaggi di diluizione

che il rapporto quantitativo tra sostanza di base e veicolo. Nella scala decimale il numero di

questi passaggi è il doppio rispetto alla scala centesimale.

Il confronto puramente matematico, riferito alla quantità di sostanza base, è valido

sicuramente solo per le basse diluizioni: così per esempio la C3 o 3CH corrisponde alla D6 o 6DH

e la C6 o 6CH corrisponde alla D12 o 12DH.

Il “Libro dei Farmaci Omeopatici” fornisce, in particolare, delle precise prescrizioni.

Prendiamo come esempio la diluizione di sostanze fluide (pag. 21 del H.A.B.).

“La diluizione delle sostanze fluide deve essere eseguita in una stanza protetta dalla luce

solare diretta. I recipienti di vetro che vengono impiegati devono avere una capienza tale da poter

contenere da 1/2 fino a 1/3 di sostanza in più rispetto al quantitativo di sostanza da potenziare.

Il nome del farmaco ed il numero della potenza dovranno essere scritti sia sul tappo di sughero che

sul recipiente di vetro che fungerà da contenitore; se si tratta di una diluizione centesimale la cifra

dovrà essere preceduta dalla lettera C, se invece si tratta di una diluizione decimale sarà la lettera

D a precedere la cifra. Il potenziamento avviene in caso di grossi quantitativi in base a rapporti di

peso, mentre in casi di piccoli quantitativi, in base al numero di gocce.

I recipienti di vetro, contrassegnati come precedentemente indicato, con il nome del

farmaco e le cifre da C1 a C30, vengono posti in fila su un tavolo ed in ognuno di essi, dal C2 in

poi vengono aggiunte, con l’aiuto di un misurino di vetro, 99 parti di alcool etilico. Dall’essenza,

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ossia dalla tintura o dalla soluzione, viene preparata la prima potenza centesimale secondo le

prescrizioni dei singoli paragrafi e viene posta nel recipiente con il contrassegno C1”.

I paragrafi citati regolamentano esattamente la preparazione della C1 (o D1); a seconda

della sostanza di base c’è una certa distinzione, motivata dalla diversità tra il contenuto in succo

(nelle piante) o la solubilità (nei sali), oppure l’estratto (nelle sostanze di origine animale). Così si

ottiene sempre che ogni C1 oppure D1, ha un quantitativo di farmaco rispetto all’alcool nel

rapporto di 1:99, oppure 1:9, di modo che il quantitativo totale è sempre 100 o 10.

“A questo punto dal recipiente con il contrassegno C1 viene versata una parte nel

recipiente con il contrassegno C2, dopo di che quest’ultimo viene tappato e scosso energicamente

per 10 volte verso il basso.

Da questa seconda potenza una parte viene versata nel recipiente con il contrassegno C3,

dopo di che quest’ultimo viene scosso 10 volte e ne risulta una terza potenza e così viene

continuato il potenziamento da un recipiente all’altro, fino all’ultimo, aggiungendo ogni volta una

parte dal precedente recipiente a quello che segue e scuotendo indi quest’ultimo per 10 volte”.

Quest’esempio vale come principio basilare del procedimento di potenziamento.

Conformemente ad esso si procede anche nella preparazione di potenze non liquide, ma secche,

che hanno come veicolo il lattulosio.

Per maggiore chiarezza, faccio presente che la C corrisponde a CH e la D a DH.

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Potenziamento con l’uso di uno o più recipienti

La preparazione di ogni potenza necessita di un nuovo recipiente, anche se molte delle

potenze intermedie, per la maggior parte, non vengono usate. Questo metodo, in effetti costoso,

ma corretto, che Hahnemann ha sempre usato pur trovandosi spesso in ristrettezze, fu da lui stesso

denominato “procedimento di potenziamento con l’uso di più recipienti”.

I francesi indicano correttamente queste potenze e cioè: CH1, 2, 3, ecc. o 1CH, 2, 3, ecc. =

potenza centesimale secondo Hahnemann = potenza ottenuta con l’uso di più recipienti.

Le potenze prodotte con un solo recipiente richiedono meno tempo e denaro. Hanno però

lo svantaggio di non essere precisissime; esse traggono il loro nome dall’inventore Korsakoff.

Secondo un’informazione della DHU, in Germania vengono prodotte solamente potenze secondo

il metodo Hahnemanniano. Per ora, per l’esportazione, invece, e solo per le potenze oltre la

CH1000, viene usato il metodo Korsakoff.

Questo metodo di preparazione si basa sull’esperienza secondo la quale con lo scuotimento

di un recipiente di vetro pieno di liquido, una parte di quest’ultimo rimane sulle pareti del

recipiente. Dopo averlo vuotato completamente, lasciando stare per un po’ questo recipiente, si

osserva che sul fondo si raccoglierà qualche goccia. Korsakoff, realizzando un test su questa

esperienza, notò che svuotando un bicchiere “con un energico movimento del braccio verso il

basso”, rimane nello stesso, in media, una goccia di liquido. Il quantitativo del residuo varia a

seconda della forza di adesione alla parete del vetro ed a seconda della tensione di superficie della

sostanza di base.

Hahnemann era e rimane il più preciso con il suo metodo di preparazione, ma nonostante

tutte le riserve, l’efficacia del metodo Korsakoff è assai buona. Se si parte dal presupposto che il

numero di passaggi di potenza è più importante del rapporto di quantità di contenuto della

sostanza di base, ci si può basare su questo fatto per sostenere il meno faticoso e più economico

metodo Korsakoff. Il potenziamento viene portato a termine usando continuamente lo stesso

recipiente; il liquido residuo dopo lo svuotamento del recipiente (una-due gocce circa) è la

sostanza di base per la potenza successiva; questo è un metodo indicato per la preparazione delle

potenze centesimali al di sopra della 30CH o C30. Finora, però, questo metodo non è stato inserito

nell’H.A.B.

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Riepilogo

Hahnemann constatò, con l’esperienza, che la sostanza medicinale grezza e non lavorata,

spesso non è abbastanza efficace e che il dosaggio dei medicinali impiegati fino allora era troppo

forte.

Con la lavorazione del farmaco (triturazione, dinamizzazione) e la riduzione della dose

(diluizione) gli riuscì di raggiungere “l’optimum” della qualità e quantità del farmaco. Chiamò

questo procedimento potenziamento. I medicinali così ottenuti vennero definiti potenze o

dinamizzazioni. Le potenze vennero prodotte secondo la graduazione 1 + 9 = 10 o 1 + 99 = 100 e,

a seconda del rapporto di cifre, vennero denominate potenze decimali o centesimali (D o DH -–C

o CH). Negli ultimi anni della sua vita, Hahnemann sviluppò il potenziamento sotto forma di

globuli: con diluizione 1 : 50.000 che fu denominato potenza LM. Al giorno d’oggi si usano

diluizioni ancora più alte rispetto alla 1 : 50.000.

Il “Libro dei Farmaci Omeopatici” (H.A.B.) indica esattamente il procedimento di

produzione. Ogni passaggio da una potenza inferiore alla superiore, secondo l’H.A.B., deve essere

eseguito in un nuovo recipiente: questo è il metodo classico di Hahnemann, secondo il quale,

potenze diverse si ottengono con l’uso di più recipienti.

Esiste, inoltre, un altro metodo di preparazione, non così preciso, ma assai affidabile e più

semplice: il metodo di Korsakoff. Per ottenere potenze diverse viene usato sempre lo stesso

recipiente.

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5. IPOTESI SULLE PROVE SCIENTIFICHE DELL’ATTIVITA’ DELLE

SOSTANZE

A DOSI INFINITESIMALI

E’ evidente che, a causa delle successive diluizioni, il farmaco o rimedio omeopatico, non

può agire chimicamente tramite un effetto di massa molecolare.

Si sa, con certezza, che determinati organismi animali reagiscono a dosi dell’ordine del

picogrammo (miliardesimo di grammo: 10-9 gr.) ed anche inferiori: le farfalle femmine secernono

una sostanza, alla quale i maschi sono sensibili a diluizioni di 10-20 corrispondenti ad una 10CH. I

Fisiologi assicurano inoltre che, finchè resta in una soluzione una molecola di sostanza, questa può

sempre scatenare delle reazioni a catena qualora agisca su una cellula recettrice privilegiata.

Ma cosa accade per le diluizioni nelle quali non è più possibile ritrovare molecole della

sostanza di base, in particolare per quelle in cui, tenuto conto del numero di Avogadro (6,02 x

1023), non possono esserci molecole, vale a dire per le diluizioni a partenza dalla 12CH e oltre?

Era l’argomento tipico degli avversari dell’Omeopatia, che dicevano: i rimedi omeopatici

sono vento o acqua pura ed agiscono per effetto placebo.

Solamente la ricerca scientifica poteva rispondere a tale quesito.

Si tenga presente che la ricerca, in campo omeopatico è essenzialmente una “ricerca

fondamentale” e che essa differisce dalla ricerca applicata, abituale in campo farmaceutico

ufficiale, il cui scopo è quello di evidenziare l’azione terapeutica di un prodotto o di una molecola

di nuova sintesi.

Senza voler entrare nella storia di questa ricerca e fare un’analisi esauriente di tutte le

sperimentazioni effettuate da farmacisti, farmacologi, medici, ingegneri, fisici (tra i quali,

numerosi sono i docenti di Facoltà di Medicina e di Farmacia), per chiarire alcuni aspetti, si tenga

presente che la ricerca ha tentato di dimostrare successivamente:

• che l’attività farmacologica delle diluizioni Hahnemanniane poteva essere scientificamente

dimostrata con procedimenti riproducibili e statisticamente validi;

• che l’attività di queste diluizioni dipendeva da una particolare struttura chimico-fisica e

che, conseguentemente esse non erano soluzioni vuote, “delle diluizioni in cui non c’è nulla”,

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come si è detto e si dice troppo spesso.

L’attività farmacologica delle diluizioni Hahnemanniane

Data l’impossibilità di provocare un’azione farmacodinamica diretta nei soggetti sani, la

grande idea dei ricercatori fu quella di sperimentare l’azione farmacologica dei farmaci

omeopatici su materiale animale o vegetale “sensibilizzato”. Così:

• se si intossicano dei ratti con l’arseniato di Na, si ritrova nei loro escreti, nei giorni

successivi, solo il 35% del tossico somministrato, e, parallelamente, si nota un incremento

della cronassia vestibolare che traduce precisamente questa sub-intossicazione.

Se, verso il 45° giorno dalla intossicazione iniziale, si somministrano diluizioni

Hahnemanniane di arseniato di Na, alla 7, 9 o 15CH, si nota che l’arsenico ricompare negli

escreti e la cronassia vestibolare ritorna nei limiti della norma nel giro di qualche giorno.

• Se si somministra dell’allosana a dei ratti, si provoca loro tossicologicamente un diabete

mellito sperimentale per distruzione delle isole di Langherans.

Se, però, si iniettano, prima dell’iniezione iperglicemizzante di allosana, delle diluizioni

infinitesimali della stessa sostanza, il diabete non compare.

Se si iniettano le diluizioni infinitesimali nei giorni successivi all’iniezione ponderale

iniziale, il diabete provocato è molto meno grave, così le alterazioni istologiche pancreatiche.

• Se si intossicano dei chicchi di grano con solfato di rame, si modifica considerevolmente la

loro “vitalità”, in particolare, il loro potenziale di germinazione: il peso delle radici, la

clorofillogenesi, l’attività amilasica sono estremamente diminuite rispetto ai medesimi

parametri di chicchi normali.

Se, però, si fanno germinare questi chicchi intossicati su di un substrato addizionato con

una diluizione alla 15CH di solfato di rame, tutti questi parametri sono significativamente

migliorati e si riavvicinano a quelli dei chicchi normali.

• Se si inietta tetracloruro di carbonio o fosforo a dei ratti, si provocano ad essi,

tossicologicamente, delle lesioni anatomopatologiche tipiche di epatite.

Se, dopo aver intossicato i ratti con tetracloruro di carbonio, si iniettano diluizioni di

fosforo alla 7 o 15CH, si migliorano le loro lesioni istologiche di epatite e, nello stesso tempo,

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si regolarizzano i tassi ematochimici perturbati, in particolare quello delle transaminasi

sieriche.

I primi tre gruppi di sperimentazioni provano l’azione delle diluizioni infinitesimali, anche

di quelle in cui non è più possibile ritrovare delle molecole della sostanza di base (15CH è

una diluizione situata oltre il numero di Avogadro).

Il quarto gruppo di sperimentazioni mostra anch’esso l’azione delle alte diluizioni e prova,

nel contempo, la realtà della Legge di Similitudine: l’intossicazione da tetracloruro di carbonio è

guarita da diluzioni Hahnemanniane di fosforo, metalloide in grado, da un punto di vista

tossicologico, di provocare lesioni simili a quelle indotte dal tetracloruro di carbonio.

I fatti si arrestano a questo punto: la prova dell’azione delle dosi infinitesimali

Hahnemanniane e le prove della Legge di Similitudine non sono confutabili. Sono prove

scientifiche e incontestabili, perché riproducibili.

Ma come spiegare l’azione di queste diluzioni infinitesimali quando esse non contengono

più molecole della sostanza di base? A parte il fattore della dinamizzazione, a questo punto

iniziano le ipotesi e le sperimentazioni che tentano di giustificarle.

(Io personalmente, seguendo maggiormente la scuola tedesca ed avendo approfondito la

medicina antroposofica che da anni “coltivo”, ritengo estremamente determinante anche il ruolo

delle dinamizzazioni quale fattore scatenante e fondamentale nell’azione del rimedio omeopatico).

Studio della struttura fisica delle diluizioni Hahnemanniane

Quando si diluisce una sostanza in un solvente, intervengono complessi fenomeni:

• la dispersione delle molecole: tra un grammo di NaCl in forma solida e un diluito in 1,10,100

litri d’acqua, la differenza esistente a proposito dello stato fisico, cioè della disposizione

relativa delle molecole, è evidente.

Allo stesso modo è evidente, del resto, la differenza esistente tra l’acqua allo stato liquido,

solido o gassoso, sempre per ciò che concerne la disposizione delle molecole.

In questi due esempi, nonostante la formula di base sia la stessa, le costanti fisiche, le

possibilità d’azione, di utilizzo, non sono le stesse.

Ma in una diluizione la dispersione delle molecole della sostanza diluita fra quelle del

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solvente, non è il solo fenomeno da considerarsi. Infatti, si crea pure:

• un’interazione molecolare particolare fra i due componenti. Ad esempio, in una diluizione

acquosa, ogni molecola o ogni ione della sostanza diluita si circonda di molecole d’acqua per

costituire una molecola o uno ione idratato, aventi nuove proprietà.

In seguito ad un’ulteriore diluizione, questa interazione molecolare varia, non solo per ogni

molecola della sostanza di base idratata, ma anche in rapporto alle molecole del solvente

non direttamente in contatto con la sostanza.

Ne consegue che, ogni volta che si diluisce un prodotto in un solvente, si crea una nuova

entità fisico-chimica dalle proprietà non solamente proporzionali rispetto alle quantità di

sostanze in causa.

Le molecole della sostanza diluita creano un’interazione particolare con le molecole

del solvente e ciò si traduce in un nuovo stato fisico. Questo stato fisico varia in

conseguenza delle diluizioni; ogni nuova diluizione è caratterizzata dallo stato fisico

preesistente. Accade come se il solvente conservasse la memoria, per ogni diluizione, della

struttura fisica della diluizione precedente. Questo stato può dunque perpetuarsi anche

in assenza di molecole della sostanza di base nel solvente.

Allora, come dimostrare che tale struttura esiste e che essa è, probabilmente, il supporto

dell’attività terapeutica delle diluizioni Hahnemanniane se non si può determinarla con

certezza?

L’équipe di ricerca di Jean Boiron si è posta il problema ed ha successivamente dimostrato

che:

• il valore della costante dielettrica delle varie diluizioni variava effettivamente in

funzione dell’altezza delle diluizioni.

• Recentemente LUU-D-VINH ha potuto studiare il particolare stato fisico delle

diluizioni Hahnemanniane tramite effetto Raman Laser.

Sottoponendo le diluizioni ad un raggio laser (fascio luminoso monocromatico) e

registrando allo spettrografo Raman le diffusioni prodotte, si ottengono degli spettri

particolari. Questi mostrano che le strie caratteristiche del solvente si ritrovano sempre,

ma modificate in funzione dell’altezza delle diluizioni ed in funzione della sostanza

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diluita.

Si può, dunque, pensare che è questo particolare stato fisico, oltre alla

dinamizzazione, il depositario del potenziale reattivo e terapeutico di una sostanza

diluita secondo i procedimenti ideati da Hahnemann.

Possiamo, quindi, dedurre come esposto in precedenza, che il farmaco o rimedio

omeopatico è, a causa delle successive diluizioni, sempre privo di tossicità, che agisce

in funzione di uno stato fisico particolare, è suscettibile di far reagire l’organismo

malato, agisce qualitativamente e non quantitativamente e deve essere somministrato

al di sopra di un limite minimo che rappresenta la soglia di sensibilità reattiva del

paziente: questa soglia normalmente parte dalla 3 - 4CH.

* * * * *

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POSOLOGIA DEI FARMACI

O RIMEDI OMEOPATICI

La scelta della diluizione dipende dal caso clinico ed anche, bisogna riconoscerlo, dalle

abitudini e dal temperamento di ogni Omeopata. Con l’esperienza, ognuno possiede la tastiera da

cui sa tirare fuori il meglio. Esiste, però, un insieme di regole generali che, normalmente, sono

rispettate dalla maggioranza degli Omeopati.

• Nei casi acuti si ricorre alle basse e medie diluizioni.

• Nei casi subacuti si ricorre a diluizioni medie.

• Nei casi cronici si ricorre a diluizioni elevate.

Queste regole possono riassumersi nel seguente schema:

RIMEDIO RIMEDIO MALATTIA CRONICA COSTITUZIONALE (Alte diluizioni) (Alte diluizioni)

RIMEDIO SINTOMATICO O FUNZIONALE

(Basse o medie diluizioni)

Drenaggio (eventualmente)

Quando si tratta di attaccare un sintomo o un gruppo di sintomi, quando si ricerca un’azione

organotrofica o di drenaggio, si utilizzano diluizioni basse.

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Quando si tratta di modificare il Terreno con l’aiuto di medicamenti di Costituzione o di

Temperamento, si impiegano diluizioni medie o medio-alte. Quando, infine, si deve trattare una

Diatesi, la Mentalità o lo Psichismo, si utilizzano diluizioni alte.

E’ giusto aggiungere che, alcuni Omeopati qualificati sono dei “bassi diluizionisti” ed altri,

non meno stimati, sono, quasi esclusivamente, degli “alti diluizionisti”.

Ancora una volta è da parte dell’Omeopata una questione di temperamento e di esperienza.

La regola d’oro è la giusta applicazione della Legge di Similitudine, qualunque sia il metodo al

quale si dia la preferenza.

Nella ripetizione delle dosi, esiste una regola la cui origine risale ad Hahnemann stesso e che

egli aveva dedotto dalle sue osservazioni.

Non bisogna ripetere la somministrazione di un medicamento finchè il malato resta sotto

l’effetto benefico della sua azione.

L’americano Kent ha molto insistito su questo punto.

Non si rinnova la presa di un medicamento se non quando il o i sintomi fanno la loro

comparsa. Questa regola ideale non è sempre facile da rispettare nella pratica perché il medico non

resta presso il malato ad osservare gli effetti delle sue prescrizioni.

Tuttavia, occorre regolare la condotta tenendo conto della durata d’azione presunta dei

medicamenti secondo le loro rispettive diluizioni.

L’esperienza ha permesso di stabilire una sorta di scala di valori della durata d’azione delle

differenti diluizioni. Generalmente si pensa che le basse e medie diluizioni, dall’azione

relativamente superficiale e di corta durata, debbano essere prescritte varie volte al dì (ad esempio

nelle malattie acute).

Nelle malattie subacute il rimedio omeopatico, sarà somministrato 2 – 3 volte al dì nella

misura, ad esempio, di 5 granuli alla volta.

Nelle malattie croniche o per un’azione profonda sul Terreno e sulla Costituzione del

paziente, saranno prescritti, a seconda del grado di similitudine, ad alte dosi ed a distanza di giorni

o settimane.

Quindi sono due i grandi principi fondamentali per la prescrizione e la posologia:

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• più la similitudine è grande, più la diluizione da impiegare deve essere elevata e

viceversa;

• dall’inizio del miglioramento clinico, ridurre la frequenza delle assunzioni o anche

cessarle a seconda che il caso sia più o meno cronico.

Nei casi acuti e subacuti, il potere del rimedio omeopatico si esaurisce in modo

relativamente rapido; ad esempio in una diarrea coleriforme, i medicamenti possono essere

somministrati ogni 10/15/20 minuti e in una pertosse dagli accessi molto frequenti, ogni mezz’ora

o ogni ora. D’altra parte bisogna anche tener conto che certi soggetti, in particolare gli ossigenoidi,

gli ipertiroidei, gli ipersimpaticotonici, metabolizzano rapidamente il loro farmaco omeopatico

anche se in diluizioni alte o medio-alte e quindi, con questi soggetti, si è autorizzati ad accorciare

l’intervallo di somministrazione dei rimedi. Per esempio, una donna che soffre di insonnia del tipo

dell’Ignatia o Lachesis, può assumere la dose utile, che è spesso una diluizione elevata, ogni 5/7

giorni ed oltre.

* * * * *

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LE DIFFERENTI SCUOLE

Le Scuole degli Omeopati si dividono in tre tipologie:

• Unicista,

• Pluralista,

• Complessista.

Gli Unicisti sono rigoristi esclusivi; ciò significa che essi prescrivono un solo rimedio alla

volta che si accosta il più possibile al Simillimum. Questo rimedio è somministrato e mantenuto

fino a che si sia ottenuto l’effetto ricercato, ora in diluizioni basse o medie, più frequentemente ad

alte e ad altissime diluizioni.

I Pluralisti, senza disdegnare occasionalmente il rimedio unico, prescrivono parecchi

farmaci omeopatici nel corso della giornata, ma in assunzioni separate e distanziate. Essi

modificano tutto o una parte del loro trattamento secondo l’evolversi dei sintomi.

I Complessisti sono quelli che utilizzano delle formule composte e quindi associate; più

rimedi omeopatici sono somministrati contemporaneamente. Essi si dividono in due campi che

utilizzano entrambi formule polivalenti composte mediante l’aiuto di rimedi complementari, in

generale a bassa diluizione. A questa tecnica il primo gruppo, avvicinandosi agli Unicisti ed ai

Pluralisti, aggiunge dei medicamenti del Terreno e delle Diatesi e, quindi, diluizioni alte e medie.

Il secondo gruppo di Complessisti, al contrario, non utilizza mai delle attenuazioni superiori

alla 4 – 5CH e nella maggioranza dei casi, non si serve di rimedi del Terreno e delle Diatesi.

Questi Omeopati sono, in generale, dei bassi diluizionisti.

Noi non dobbiamo giudicare se sia meglio l’una o l’altra scuola, anche se io personalmente,

sono “più vicino”, in generale, alle scuole Complessiste (primo gruppo).

Per concludere questa mia dissertazione, si può dire che in Francia il sistema di pluralismo

moderato ha prevalso e che la maggioranza degli Omeopati impiega, come detto in precedenza,

delle basse diluizioni per i rimedi dei sintomi o per il drenaggio; delle diluizioni medie per i

rimedi costituzionali; delle diluizioni medie ed alte per le Diatesi ed il Terreno. Vengono

maggiormente utilizzate diluizioni CH (centesimali Hahnemanniane).

In Germania, il complessismo ed il basso e medio diluizionismo sono dominanti. Vengono

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utilizzate, in via prevalente, diluizioni DH (decimali Hahnemanniane) in quanto viene data

estrema importanza al numero maggiore di dinamizzazioni rispetto alle CH.

In Inghilterra, l’unicismo stretto, così come l’alto diluizionismo, hanno numerosi seguaci.

Negli Stati Uniti, esistono due tendenze nettamente divergenti: gli Unicisti, alti diluizionisti,

da una parte, i Complessisti eclettici dall’altra.

In Spagna, in Italia e Paesi Latini, si nota forse una leggera tendenza che si riallaccia al

metodo francese. Recentemente, però, anche in Italia, come in Svizzera, tutte e tre le scuole

hanno preso brillantemente piede e sono ampiamente rappresentate. In particolare in Svizzera, che

siano o no Complessisti, gli Omeopati restano maggiormente fedeli all’uso delle medio-alte

diluizioni.

* * * * *

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J.T. KENT: Scritti di Clinica Omeopatica Edizioni Red Como – 1993; J.T. KENT: Materia Medica dei Nuovi Rimedi Edizioni Red – Como – 1994; J.T. KENT: Appunti di Medicina Omeopatica Edizioni Red Como – 1999; G. KÖHLER: Compendio di Omeopatia Vol. I e II Rainer Loacker – Bolzano – 1985; LODISPOTO: La Tipologia del Rimedio Omeopatico Edizioni Tecniche Nuove – Milano – 1993; S. MARCELLI: Medicine Parallele Edizioni Libreria Cortina – Torino – 1993; MASCI: Omeopatia Tradizionale e Attualità Edizioni Tecniche Nuove – Milano – 1997; ROSSI: KENT - Materia Medica Comparata Edizioni Tecniche Nuove – Milano – 1993; M. TETAU: La Materia Medica Omeopatica Clinica e Associazioni Bioterapiche Nuova Ipsa Editore – Palermo – 1995.

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