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L'Ordine dei Frati Predicatori del P. M.V. Bernadot o.p. Crediamo fare cosa graditi agli “amici domenicani” presentare a puntate l’opera di M. V. Bernadot L’Ordine dei Frati Predicatori, pubblicata in italiano dalle edizioni “IL ROSARIO”, Firenze, nel 1958. La versione che presentiamo non è più quella del P. G. Nivoli o.p., ma è stata ampiamente ritoccata. Premettiamo uno schizzo biografico del padre Bernadot, curato da p. Giorgio Carbone o.p., pubblicato congiuntamente a una recente traduzione italiana di un’altra opera del p. Bernadot: “Dall’Eucaristia alla Trinità” (ESD, Bologna 2004), che raccomandiamo a tutti coloro che desiderano trarre giovamento dalla Comunione sacramentale. Presentazione del p. Bernadot Marie Vincent Bernadot è sicuramente molto noto in Francia, ma è quasi sconosciuto in Italia. Perciò mi sembra utile presentare brevemente prima la sua personalità e poi questo suo piccolo libro che esercitò un influenza decisiva nella vita cristiana di molti francesi. Chi è Marie Vincent Bernadot Marie Vincent Bernadot nacque il 14 giugno 1883 nella diocesi di Montauban, una città a 50 Km a nord di Tolosa. Dopo essere diventato sacerdote, nel 1906, e vicario della sua diocesi, nel 1912 a ventinove anni chiese di entrare nell’Ordine dei Frati Predicatori attratto soprattutto dalla vita contemplativa. Entrò nel noviziato di san Domenico di Fiesole e poi proseguì i suoi studi teologici a Roma presso l’”Angelicum”. Ritornato nella sua provincia religiosa, cioè la Provincia Tolosana, fu assegnato al convento di SaintMaximin in Provenza, di cui fu più volte priore. Durante questi suoi primi anni di vita domenicana pubblicò, grazie all’aiuto finanziario di alcuni laici domenicani, due dei suoi più famosi libri: Dall’Eucaristia alla Trinità e L’Ordine dei Frati Predicatori. La “Vie Spirituelle” Il successo notevole di questi due libri e la triste constatazione della rapida diffusione delle dottrine materialiste e anticristiane

L'Ordine Dei Frati Predicatori

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L'Ordine dei Frati Predicatori del P. M.V. Bernadot o.p.Crediamo fare cosa graditi agli amici domenicani presentare a puntate lopera di M. V. Bernadot LOrdine dei Frati Predicatori, pubblicata in italiano dalle edizioni IL ROSARIO, Firenze, nel 1958. La versione che presentiamo non pi quella del P. G. Nivoli o.p., ma stata ampiamente ritoccata. Premettiamo uno schizzo biografico del padre Bernadot, curato da p. Giorgio Carbone o.p., pubblicato congiuntamente a una recente traduzione italiana di unaltra opera del p. Bernadot: DallEucaristia alla Trinit (ESD, Bologna 2004), che raccomandiamo a tutti coloro che desiderano trarre giovamento dalla Comunione sacramentale. Presentazione del p. Bernadot

Marie Vincent Bernadot sicuramente molto noto in Francia, ma quasi sconosciuto in Italia. Perci mi sembra utile presentare brevemente prima la sua personalit e poi questo suo piccolo libro che esercit un influenza decisiva nella vita cristiana di molti francesi. Chi Marie Vincent Bernadot

Marie Vincent Bernadot nacque il 14 giugno 1883 nella diocesi di Montauban, una citt a 50 Km a nord di Tolosa. Dopo essere diventato sacerdote, nel 1906, e vicario della sua diocesi, nel 1912 a ventinove anni chiese di entrare nellOrdine dei Frati Predicatori attratto soprattutto dalla vita contemplativa. Entr nel noviziato di san Domenico di Fiesole e poi prosegu i suoi studi teologici a Roma presso lAngelicum. Ritornato nella sua provincia religiosa, cio la Provincia Tolosana, fu assegnato al convento di SaintMaximin in Provenza, di cui fu pi volte priore. Durante questi suoi primi anni di vita domenicana pubblic, grazie allaiuto finanziario di alcuni laici domenicani, due dei suoi pi famosi libri: DallEucaristia alla Trinit e LOrdine dei Frati Predicatori. La Vie Spirituelle

Il successo notevole di questi due libri e la triste constatazione della rapida diffusione delle dottrine materialiste e anticristiane spinsero Bernadot a impegnarsi in unimpresa molto pi ampia e durevole, la pubblicazione della rivista La Vie Spirituelle, originariamente mensile. Il suo primo numero comparve il 10 ottobre 1919; nelleditoriale Bernadot delineava con precisione il suo programma: Nel momento in cui il mondo, sconvolto da spaventose sventure, si impegna a restaurare immani rovine e ognuno proclama la pressante necessit di unazione vigorosa, forse arrivata lora di volgersi ai misteri pi alti e pi intimi della fede e predicare la vita interiore? Noi abbiamo pensato di s. [...] Se la nostra generazione profondamente attratta dalle dottrine materialiste che la degradano nel disprezzo dei suoi interessi spirituali, pi che necessario ricordare costantemente il nostro fine soprannaturale e i mezzi per raggiungerlo. Bernadot vuole condurre i suoi lettori ad abbandonare la conoscenza superficiale della fede cristiana per elevarli alla conoscenza, pi approfondita possibile, precisa e pratica, di Dio e dei misteri che la sua grazia santificante compie in noi: Quanti pochi cristiani e anche quante poche persone pie si nutrono di ci che la vera vita, del senso profondo dei misteri dellIncarnazione, della Redenzione, dellEucaristia, dellinabitazione della Santissima Trinit in noi! Una conoscenza seria di Dio necessaria per il progresso spirituale. Nessuna piet profonda per chi conosce i misteri divini solo in modo superficiale senza penetrare le formule di fede. Quanto pi unanima si decide a servire Dio, tanto pi deve impegnarsi a conoscerlo. Con questa sua rivista Bernadot dar vita a una corrente di spiritualit incentrata soprattutto sulla realt della grazia santificante e ricondotta alle sue pi autentiche fonti, cio la Sacra Scrittura, i Padri della Chiesa e i testi dei grandi mistici: san Tommaso dAquino, Taulero, Susone, santa Caterina da Siena, santa Teresa dAvila. Il nostro frate domenicano riusc brillantemente in questa grande impresa grazie alla preziosa e costante collaborazione di molti confratelli, tra cui il francese Garrigou Lagrange e lo spagnolo Arintero. La Vie Intellectuelle

Un evento decisivo nella vita di padre Bernadot, quasi una seconda conversione, fu la condanna dellAction francaise, un movimento positivista fondato da Maurras che aveva largo seguito presso i cattolici francesi. Lo stesso Bernadot non aveva mai nascosto le sue simpatie per lAction franaise. Tuttavia, dopo che il Papa Pio XI condann severamente questo movimento il 29 dicembre 1926, egli apri gli occhi e ne scopri gli aspetti anticristiani. Subito si mise allopera e insieme a due suoi confratelli, Lajeunie e Doncoeur, a Maritain, Lallement e Macquart, pubblic Perch Roma ha parlato, un libro in cui veniva documentato perch le idee dellAction francaise erano inconciliabili con la fede cattolica. A partire da questo momento Bernadot ide il progetto di una nuova rivista, La Vie Intellectuelle, che prolungasse nel tempo le idee di quello scritto e che diffondesse in Francia linsegnamento del sommo Pontefice. Fin dal 1927 il Maestro dellOrdine, Garcia de Paredes, incoraggi Bernadot a inaugurare questa seconda rivista scrivendogli che: Bisogna esporre i punti della dottrina cattolica che illuminano queste questioni (quelle che la vita moderna pone in modo cos aspro) e cos risolvere alla luce della Verit sempre viva poich il Verbo di Dio i grandi problemi della vita individuale, familiare, sociale, politica, letteraria e artistica, nella soluzione dei quali generalmente si mette pi passione che logica. Jacques Maritain diede un contributo insostituibile alla fondazione di questa rivista: trov i primi collaboratori, ide le rubriche, scrisse molti articoli e soprattutto ne guid la linea editoriale nei primi anni. I preparativi per il lancio de "La Vie Intellectuelle" si svolsero tra il 1927 e il 10 ottobre 1928, data in cui apparve il primo numero. Furono mesi molto entusiasmanti e ricchi di idee, ma, come in ogni impresa voluta da Dio, non mancarono le croci, le amarezze e i contrasti. Il Papa Pio XI e il nunzio a Parigi, Mons. Maglione, futuro cardinale segretario di Stato, applaudirono il progetto. Il Maestro dellOrdine, Paredes, in un primo tempo incoraggi Bernadot, mentre successivamente sembra che non sia riuscito a garantirgli la libert di inaugurare e dirigere la rivista nel suo Convento di SaintMaximin. Probabilmente in quei mesi nacquero delle profonde divergenze su questa progettata rivista, per cui il Papa in persona trasfer Bernadot dalla Provincia Domenicana di Tolosa, che corrisponde alla Francia meridionale, a quella di Parigi. Finalmente la rivista vide la luce, inizi a guadagnare un numero crescente di lettori e soprattutto a realizzare con tenacia i suoi propositi: far conoscere il magistero pontificio, giudicare alla sua luce gli eventi, criticare alla luce del Vangelo sia il capitalismo liberale che il comunismo marxista, reintrodurre la morale nella vita politica, promuovere unazione dei cattolici che non si lasciasse corrompere da una preferenza politica e educare a una piet non individualista, ma fortemente ecclesiale. Le Edizioni Cerf

Molte tra le persone che collaborarono strettamente con padre Bernadot ammiravano in lui non solo il profondo spirito di preghiera e lo slancio apostolico, ma anche la sua tenacia, la sua perseveranza, per non parlare della sua natura sognatrice, della sua caparbiet e della sua audacia, che, se anche a uno sguardo puramente umano potevano sembrare manifestazioni di incoscienza un po infantile, si rivelano, invece, con il passare del tempo delle straordinarie qualit messe a servizio di Dio e della sua Chiesa. Infatti, allinizio del 1927 chi avrebbe mai immaginato che dopo neanche due anni il padre Bernadot avrebbe fondato addirittura una casa editrice destinata a diventare la pi grande casa editrice tra quelle cattoliche a livello mondiale? L11 ottobre 1929, a Juvisy, nella periferia di Parigi, nacque la casa editrice Cerf che nei suoi primi dodici anni di vita fu diretta e animata da padre Bernadot e che pu vantare dei grandi meriti nella promozione della cultura cristiana anche al di fuori dellarea francofona. Gli ultimi anni della sua vita

Pio XI appena deceduto. I ricordi riaffiorano nella mia memoria. Egli ha avuto uninfluenza decisiva nella mia vita almeno negli ultimi dieci anni: ecco quanto padre Bernadot scriveva nel suo diario allindomani del 10 febbraio 1939. Tutte le grandi imprese editoriali di Bernadot, infatti, furono permeate e orientate dal grande pensiero di questo Papa. Gi nel 1930 Pio XI nel corso di unudienza privata invit padre Bernadot a fondare un settimanale, raccomandando anche di fare degli articoli incisivi e corti, che colpiscono per la loro brevit e chiarezza, perch diceva il Papa nel nostro secolo lattenzione si stanca presto. Questo settimanale prender il nome di Sept e vedr la luce soltanto nel marzo del 1934. I suoi obiettivi saranno gli stessi de La Vie Intellectuelle ma trattati in modo pi giornalistico e rivolti a un pubblico pi vasto. Fin dai suoi inizi, Sept entr nel vivo delle questioni politiche e sociali pi accese suscitando numerosi dibattiti e polemiche, come quando prese posizione sulla guerra dEtiopia e sulla guerra civile spagnola. Improvvisamente, ii 27 agosto 1937, Pio XI ordin di sospendere la pubblicazione di questo settimanale. Ancora oggi gli storici discutono sulle ragioni precise di questa scelta del Papa. Tuttavia, padre Bernadot e 1quipe di Sept obbedirono con fedele umilt. Nonostante questa prova e la sua malattia, padre Bernadot continu a servire appassionatamente la Chiesa e il Papa attraverso il suo apostolato diffondendo ancora una volta le verit pi feconde della fede mediante un piccolo libro che ebbe subito un enorme diffusione, La Madonna nella mia vita, e poi con la nuova rivista La Vie Chrtienne avec Notre Dame. Intanto la sua malattia si aggravava: scoppiata la guerra, Bernadot si ritir a LabastideLveque, un piccolo villaggio nella sua regione natale. Consacr le sue ultime forze allevangelizzazione di quella zona, deciso a non rifiutare alcuna occasione pur di predicare il Vangelo di Cristo e rendere servizio a tutti con grande generosit, anche nei compiti pi semplici, come fare catechismo, sostituire per alcuni giorni un parroco assente, celebrare un battesimo. La paralisi lo colp progressivamente, facendogli perdere luso della parola e lespressivit del volto. Soltanto la sua intelligenza rimase lucida fino alla fine e con il suo sguardo luminoso pot continuare a manifestare la sua ardente comunione con la Trinit che aveva vissuto e predicato durante tutta la sua vita. Mori il 25 giugno 1941. Fu un grande spirituale e un grande uomo di azione, nonostante la malattia che lo consumava rendendolo talvolta febbricitante o suscettibile; aveva gli occhi puntati verso il cielo e, cosa rara nellOrdine di san Domenico, i piedi per terra, con una specie di buon senso appassionato che lo rendeva invincibile. DallEucaristia alla Trinit

DallEucaristia alla Trinit stato il primo libro scritto da padre Bernadot nel 1917. In esso possiamo ritrovare sintetizzate tutte le idee che saranno successivamente sviluppate dalla rivista La Vie Spirituelle. Con grande realismo e precisione teologica Bernadot propone a tutti i cristiani, anche ai laici che vivono immersi nelle occupazioni pi assorbenti del mondo, la contemplazione, che la pi autentica vita della Chiesa. Allora, come oggi, il materialismo e il paganesimo erano dilaganti sotto varie forme. Perci Bernadot avverte lurgenza di predicare attraverso i suoi scritti i misteri pi alti della fede cristiana, cio la grazia santificante, le missioni divine nellanima umana, la presenza della Trinit in noi, lunione e la trasformazione che lEucaristia produce in noi. Egli mostra come tutte queste verit non sono astratte, ma anzi, quando sono comprese nella loro stupefacente bellezza, sono in grado di orientare e trasformare la nostra vita. Sono, perci, verit altamente pratiche che ci rendono capaci di ricapitolare tutte le cose in Cristo (Ef 1, 10). Molti, a quel tempo, ritenevano che la contemplazione, lunione con Dio, e gli altri aspetti della vita mistica fossero riservati esclusivamente ai religiosi e ai sacerdoti. Bernadot, invece, insiste nellintrodurre tutti i cristiani, nessuno escluso, alla contemplazione e alle verit della vita mistica. Anzi insegna che solo la vita mistica costituisce lessenza della vita cristiana. Possiamo segnalare anche un altro grande merito di questo piccolo libro: ci fa uscire dal pericolo di vivere lEucaristia in modo intimistico o individualistico. Innanzitutto perch insegna che grazie allEucaristia entriamo in una comunione sempre pi stretta con Cristo stesso, e quindi con il suo Corpo mistico che la Chiesa. E in secondo luogo, perch lEucaristia non solo un incontro personale con Ges Cristo, Risorto, Sposo, Salvatore e Signore, ma devessere considerata in un contesto molto pi vasto, anzi infinito e grandioso, perch lincontro con tutta la Santissima Trinit. Bernadot parla sempre dellEucaristia e della comunione eucaristica, e con ci sembra riferirsi solo al rito della comunione, cio allultimo momento della Liturgia eucaristica. Non c alcun riferimento alla Liturgia della Parola, la quale insieme alla Liturgia eucaristica costituisce un solo atto di culto reso a Dio. Come anche manca qualche riferimento agli altri due momenti della Liturgia eucaristica, cio il rito delloffertorio in cui vengono preparati il pane e il vino, e la preghiera eucaristica in cui il pane e il vino sono consacrati o santificati. La riforma liturgica e la Costituzione sulla divina Liturgia del Concilio Vaticano II hanno rivalutato limportanza della presenza di Dio mediante la Liturgia della Parola e hanno messo in evidenza che tutta la celebrazione eucaristica, cio tutta pervasa dallatteggiamento del rendere grazie a Dio per i suoi doni innumerevoli, ma soprattutto per il mistero della salvezza in Cristo che si rende presente nella stessa celebrazione. Tutti i momenti della celebrazione sono altrettanto importanti perch in ognuno di essi il fedele chiamato a vivere la propria partecipazione attiva alla Messa. Infatti, la Chiesa ha una sollecitudine speciale perch i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma, comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere, partecipino allazione sacra consapevolmente, piamente e attivamente, siano istruiti sulla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore, rendano grazie a Dio, offrendo lostia immacolata, non solo per le mani del sacerdote, ma insieme con lui imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno siano perfezionati, per mezzo di Cristo Mediatore, nellunit con Dio e tra di loro, cosicch Dio sia finalmente tutto in tutti. Tuttavia, nonostante che padre Bernadot abbia concentrato la sua attenzione sullultimo momento della Liturgia eucaristica, il suo messaggio non ha perso la sua attualit. Esso pu essere facilmente applicato allEucaristia, considerata in tutti i suoi momenti, e ci educa a partecipare in modo attivo e pieno alla sua celebrazione per trovare in essa la fonte autentica e inesauribile della nostra vita spirituale e di ogni nostro impegno apostolico. Inoltre, il pensiero di Bernadot ha il grande merito di sottolineare come il fine ultimo dellEucaristia sia quello di introdurre ogni credente in quel grande ed eterno movimento di lode e glorificazione di cui Cristo Capo e Sommo Sacerdote. E infine, chi mai in cos poche pagine stato capace di introdurci al mistero di Cristo in noi, del Cristo totale costituito da Ges e dalla sua Chiesa, con una tale sicurezza dottrinale e con un tale slancio di gioia? Padre Giorgio Carbone o.p, Bologna, 22 luglio 2004 p. M.V. Bernadot o.p. L'ORDINE DEI FRATI PREDICATORI Capitolo preliminare

Le origini domenicane Prime origini

Le prime origini dellOrdine dei Predicatori risalgono allanno 1203. Durante lestate di quellanno, Alfonso IX re di Castiglia mand Diego dAzevedo, Vescovo dOsma, come ambasciatore presso il Signore della Marca (Danimarca) per chiedere la mano di sua figlia per il proprio figlio Ferdinando. Diego prese per compagno di viaggio il Priore del suo Capitolo riformato, Domenico di Guzman, al quale era stretto da una forte e santa amicizia. Appena varcati i Pirenei, i due viaggiatori si trovarono in pieno paese deresia, poich leresia albigese infestava allora il mezzogiorno della Francia. A Tolosa Domenico saccorse che lospite che li riceveva era un sostenitore della dottrina eretica. Subito, come racconta il B. Giordano di Sassonia, si dest nella sua anima apostolica il desiderio di ricondurre sul retto sentiero quel povero traviato. E non fu cosa facile, poich per una notte intera Domenico dovette discutere, confutare, esporre. Ma se leretico era profondamente radicato nel suo errore, il Priore dOsma era un santo, ed difficile cosa resistere ai santi. Quando spunt lalba, leretico aveva ceduto allincanto irresistibile delluomo di Dio e, sconfessando il suo errore, professava la fede cattolica. Domenico di Guzman aveva allora circa trentatr anni ed era figlio duna famiglia spagnola molto illustre. Ma era pi nobile ancora per le virt che praticava fin dalla pi tenera infanzia, in particolare per una raggiante purezza e per un vivo amore allo studio. Possedeva una chiara intelligenza e una volont forte. Egli era una di quelle anime nelle quali i pi ricchi doni di natura, fecondati da unalta santit, sono eccezionale strumento dei pi rari disegni della Provvidenza. Dio volle ben presto ricompensare lo zelo del suo servitore con una luce che gli fece conoscere il suo futuro, e gli mostr lopera per la quale egli laveva scelto. Infatti, come assicura Bernardo Guy, fin da quel momento, il beato Domenico nutr nel suo cuore il progetto di dedicarsi alla salute degli infedeli e di fondare un Ordine di predicatori per evangelizzare i popoli. Da quel momento tutta la vita di S. Domenico fu occupata da questo gran disegno: la fondazione dellOrdine dei Predicatori. Quando, nel 1205, al ritorno da un secondo viaggio e dopo un soggiorno nella Citt eterna, i due pii viaggiatori ritornarono nel mezzogiorno della Francia, sincontrarono alle porte di Montpellier coi Legati del Papa, Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, e i monaci Pietro e Raoul. Da parecchi anni i missionari pontifici si sforzavano di ricondurre alla Chiesa queste belle province meridionali divenute, nel centro della Cristianit, un focolare permanente di torbidi e di disordini. Ma senza risultato. I pi perseveranti sforzi dei Legati fallirono davanti alla tenacia degli eretici e davanti allindifferenza e qualche volta alla complicit del clero. LAbate di Citeaux lo confessava tristemente: Ogni volta che noi vogliamo esortare gli eretici, questi ci rinfacciano la vita colpevole degli ecclesiastici. Essi ci dicono: Correggeteli! Altrimenti non venite a predicarci. Il B. Giordano aggiunge che i Legati, per stanchezza e per disgusto, volevano rinunziare alla missione che il Papa aveva loro affidato. Larrivo del Vescovo dOsma e di S. Domenico cambi faccia alle cose. I Legati chiesero il loro consiglio sul proseguimento della missione. E il Vescovo rispose esprimendo non solo il proprio pensiero, ma anche il sentimento intimo del suo amico Domenico: Fratelli miei, non cos bisogna procedere, additando laccompagnamento magnifico dei prelati, il lusso dei loro vestiti e delle loro cavalcature. Voi non ricondurrete alla fede, con discorsi, uomini che sappoggiano su esempi. Gli eretici, per guadagnare i semplici, si coprono delle apparenze della santit, della povert e della penitenza evangelica. Lo spettacolo della vostra vita del tutto opposta alle esigenze evangeliche non edificher per nulla, anzi distrugger assai. Nessuno si arrender. Cavate un chiodo con un altro: mettete in fuga una santit di apparenza con le pratiche duna sincera religione. Quali consigli dunque ci date voi, ottimo Padre?, dissero i Legati. - Fate come faccio io, riprende il santo Vescovo. Subito lo Spirito di Dio lo invade, chiama il suo seguito e rimanda in Spagna la sua gente, i suoi equipaggi e i suoi bagagli. Tiene con s alcuni chierici, tra i quali Domenico, che egli amava duna speciale predilezione, e dichiara che intende rimanere nel territorio per predicare la fede. Diego e Domenico cominciarono subito allevangelizzazione degli eretici, accompagnandola con la pratica duna perfetta rinuncia e vita evangelica. Il grande progetto di S. Domenico cominciava a prender corpo. Ma lattuazione completa procedeva con estrema lentezza e in mezzo a difficolt che avrebbero scoraggiato una volont meno temprata della sua. Alcuni mesi dopo, il Vescovo rientr nella Spagna e mor, lasciando al suo amico la direzione della santa Predicazione. Colui che fu dallora in poi chiamato Fra Domenico si dedic per dieci anni, dal 1206 al 1216, alla conversione degli eretici. E non risparmi alcun sacrificio. Consacrando il giorno alla predicazione e la notte alla preghiera, ricorrendo alle pi aspre penitenze, per fecondare la sua parola di fuoco, egli non cess di percorrere, umile, povero e a piedi nudi, le regioni del mezzogiorno. Per meglio illuminare popolazioni ingannate da ministri scaltri e colti, organizz conferenze coi capi albigesi e disput vittoriosamente contro di essi a Servian, Bziers, Carcassonne, Pamiers, Verfeil, Montral, Fanjeaux e in altre citt in cui spesso sunivano i miracoli ad appoggiar la forza della sua parola. Apparentemente i risultati non risposero al suo zelo e alla sua eroica virt. Dovette sopportare molti oltraggi e minacce, e la sua vita fu molte volte in pericolo. Del resto la Crociata, resa necessaria dagli eccessi eretici e scatenata dal 1208 al 1215, era ben lungi dal favorire il suo ministero d pace. I cuori, esacerbati dalla dure repressione dei crociati, diventavano ancora pi ribelli. In mezzo a questingrata fatica, S. Domenico non perdeva di vista il grande progetto formato nel 1203. Da quando entr nella Linguadoca fino alla sua morte (1203-1221), non ebbe che un pensiero: la fondazione dun Ordine di Predicatori. Tutti i suoi passi, i suoi viaggi, i suoi sforzi sono guidati da questo fine, voluto e ricercato con una chiarezza dintelligenza e con una perseveranza di volont, che fecero scrivere a storici del nostro tempo che il Fondatore dei Predicatori fu un gran politico. Egli era soprattutto un Santo appassionato di amor di Dio e delle anime e questo amore, aiutato dalle rare qualit naturali, lo rese capace di concepire e di realizzare un gran disegno. Fin dai primi giorni il suo scopo fu ben definito: fondare un Ordine di Predicatori, il cui apostolato si esercitasse con lesempio della vita e della rinunzia evangelica e con la predicazione della dottrina. Nel corso dei suoi lunghi viaggi e del suo laborioso apostolato in un paese eretico, egli si era reso conto dei gravi pericoli che minacciavano allora la societ cristiana e che il clero era incapace di scongiurare. Per venir in soccorso alla fede minacciata, egli volle fondare un Ordine di apostoli. Era un progetto del tutto nuovo nella Chiesa. Fino allora i chierici regolari e i monaci si erano raggruppati attorno ad una chiesa particolare, di cui erano i ministri ordinari, e sotto lautorit immediata del Vescovo o dellAbate conducevano vita comune nella pratica della rinunzia perfetta. S. Domenico, per primo, form il progetto di un Ordine extragerarchico, e cio di una societ di religiosi che, abbracciando pienamente la vita di penitenza e di contemplazione istituita dagli Apostoli, si consacrasse allapostolato sotto la diretta giurisdizione del Romano Pontefice. Essi non sarebbero stati n i chierici di un determinato Vescovo n i monaci di un determinato Abate, ma i missionari e i teologi del Papa. Essi avrebbero fatto udire la sua voce dovunque egli avesse giudicato utile affidar loro la difesa della verit. Avrebbero formato un Ordine essenzialmente apostolico, lOrdine della predicazione universale, immediatamente soggetto al Sommo Pontefice e da lui inviato in tutto il mondo per istruire i fedeli, convertire gli eretici, difendere la fede nelle nazioni cristiane e portarla ai popoli non ancora evangelizzati. Fondazione e approvazione

cosa notevole che un progetto cos nuovo nella Chiesa sia stato concepito subito con una tale limpidezza di vedute che non ci sia stato bisogno di ritocchi in seguito. Nel medesimo periodo di tempo si formarono nella Chiesa altre societ religiose che con landar del tempo presero una parentela spiccata con lOrdine dei Predicatori. Ma nelle loro origini furono tutte fraternite laiche che, per mescolarsi utilmente al movimento ecclesiastico, dovettero evolversi pi o meno verso la forma clericale immediatamente adottata dal Padre dei Predicatori. Degli Ordini religiosi fondati in quella medesima epoca, solo quello di S. Domenico fu sin dal suo nascere costituito con gli elementi necessari allesercizio dellapostolato, cos come lo esigevano i bisogni della societ cristiana. Ci dipese senza dubbio dal genio organizzatore di S. Domenico, ma anche, impossibile dubitarne, dalla stretta unione colla Chiesa romana, con la quale il Fondatore si tenne in stretta relazione fin dai primi anni. Per il periodo di sedici anni, dal 1205 al 1221, durante i quali S. Domenico matur ed esegu il suo disegno, egli fece per ben sei volte il viaggio a Roma per tenere informati i due grandi Papi che occupavano allora la Sede di Pietro. Fino a qual punto Innocenzo III e Onorio III contribuirono a precisare il progetto del Priore dOsma? Qual la loro parte personale nellispirazione della sua opera? In assenza di documenti espliciti, impossibile verificarlo. Ma noi sappiamo, per esempio, che quando il Concilio del Laterano, vietando di fondare nuove congregazioni religiose, parve condannar a morte la fondazione domenicana, fu il Papa stesso che consigli S. Domenico di mettere i suoi progetti in armonia coi decreti del Concilio ponendosi al sicuro sotto la Regola di SantAgostino. In ogni caso il Papato approv gli sforzi di S. Domenico con una decisione e con un calore cos poco abituale alle lentezza e al riserbo romano, che evidente chesso conosceva a fondo lopera nuova e gli dava piena fiducia. Infatti Innocenzo III, fin dal 17 novembre 1206, con lettere ai suoi Legati in Linguadoca, costituisce Domenico e i suoi compagni Predicatori apostolici. Si trattava di un metodo di vita del tutto nuovo nella Chiesa. Il gruppo dei missionari era dei pi umili; Erano poco numerosi: pauci, scrive il B. Giordano di Sassonia. E ben presto S. Domenico rimase anche pressoch solo. A forza di perseveranza e solamente dopo nove anni, egli pervenne a raccogliere un piccolo numero di discepoli, una dozzina circa, che egli radun a Tolosa, fondando cos il primo convento, il 25 aprile 1215 Sembra che la Chiesa non attendesse che questa fondazione, per raccomandar pubblicamente la nuova milizia. Alcune settimane dopo, in luglio, il Vescovo Folco approva canonicamente, per la sua diocesi di Tolosa, lOrdine appena nato con lettere che ci fanno vedere come il carattere dellOrdine fosse gi formato: Noi istituiamo Fra Domenico e i suoi compagni come Predicatori, per estirpare leresia, lottare contro il vizio, insegnare la regola della Fede, diffondere i buoni costumi. Essi hanno deciso di vivere nella povert evangelica e di andare a piedi ad annunziare la parola di Dio. Nellagosto 1216, al ritorno da Roma, e per consiglio dInnocenzo III, Domenico riunisce a Prouille i suoi frati (erano allora sedici), e daccordo con loro adotta la Regola di SantAgostino, cui aggiunge delle Costituzioni pi strette riguardo al cibo, ai digiuni, ai letti e ai vestiti, il cui fondo era improntato ai costumi dei Canonici Premostratensi, che erano allora il ramo pi diffuso dellOrdine canonicale. Le nostre Costituzioni scrive il B. Umberto furono estratte dalle Costituzioni Premostratensi. E questa scelta giusta, perch i Premostratensi riformarono e perfezionarono la Regola di SantAgostino, come i Cistercensi quella di S. Benedetto. In questa religione essi tengono il primo posto per lausterit della loro vita, per la bellezza delle osservanze, per il prudente governo duna moltitudine di religiosi mediante capitoli generali e visite canoniche. Da ci viene che il beato Domenico e i primi Frati, non avendo potuto ottenere dal Papa la regola nuova e austera che il loro fervore desiderava, scelsero la Regola di SantAgostino e molto giustamente presero dalle Costituzioni di quelli cherano i primi nellOrdine canonicale ci che essi vi trovarono di austero, di bello e di prudente, che poteva convenire al loro scopo: quod arduum, quod decorum, quod discretum. Non contenti di questo, i Predicatori aggiunsero altre osservanze e nei loro capitoli annuali non cessano daggiungerne, perch essi desiderano tenere il primo posto tra coloro che seguono la regola di SantAgostino tanto per linsegnamento e per la predicazione quanto per la santit di vita. Dopo il convegno, il Fondatore riprese la via di Roma, per ricevere, questa volta, il 22 dicembre 1216, la bolla pontificia che approvava solennemente lOrdine dei Predicatori: Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai suoi cari figli Domenico, priore di S. Romano di Tolosa e suoi frati presenti e futuri che fanno professione di vita regolare... Noi acconsentiamo con gioia alle vostre giuste domande, e col presente privilegio Noi riceviamo sotto la protezione del beato apostolo Pietro e sotto la nostra, la Chiesa di S. Romano di Tolosa, nella quale vi siete consacrati al servizio divino. Noi stabiliamo che lOrdine canonicale fondato in codesta chiesa secondo Dio e la Regola di SantAgostino vi sia perpetuamente e inviolabilmente mantenuto.... Un mese dopo, il 21 gennaio 1217, una bolla molto entusiastica venne a recare a S. Domenico e ai suoi Frati un nuovo incoraggiamento e a dar loro il titolo che li distinguer nella Chiesa: Onorio, vescovo, servo dei servi di Dio, ai suoi cari figli, Predicatori nel paese di Tolosa. S. Domenico rientra in Francia e il 15 agosto 1217 riunisce una seconda volta i Frati a Prouille. Ladunanza si apre nella gioia: il dolcissimo Padre, come i suoi amavano chiamarlo, era ritornato recando le benedizioni del Padre comune dei fedeli, lOrdine era fondato, approvato, caldamente raccomandato a tutti i Vescovi in comunione colla Chiesa romana. La dispersione

Ma ladunanza termin come nessuno aveva previsto. Dopo aver di nuovo ricevuta la professione dei Frati, il beato Domenico si mise ad espor loro i grandi progetti che aveva concepiti per lestensione dellOrdine. Poi facendo sue le parole del Salvatore: Andate disse loro nel mondo intero a predicare il Vangelo ad ogni creatura! Voi ancora non siete che un piccolo gregge, ma ecco chio ho gi formato nel mio cuore il disegno di disperdervi. Voi non abiterete pi a lungo insieme in questa casa. E annunzia che sta per disperderli nel mondo. Erano sedici! Attorno al Fondatore, tutti furono concordi ad accusarlo dimprudenza. Nessuno comprese larditezza del suo disegno. I suoi migliori amici, il vescovo Folco, Simone di Monfort, gli mettevano sottocchio il pericolo che si correva a disperdere unopera che cominciava appena: dividerla era un rovinarla. Ma il beato Domenico racconta Giordano di Sassonia era fermo nei suoi disegni, e raramente gli accadeva di ritornar sopra una parola che aveva detto dopo averci maturamente riflettuto dinanzi a Dio. In quel momento agiva sotto lispirazione dello Spirito di Dio, che gli faceva gettare sopra lavvenire uno sguardo profetico: Miei Signori e Fratelli, rispose egli a Folco e a Simone non vi mettete in opposizione con me. Io so quello che faccio. Quando si conserva il grano ammucchiato, si corrompe; ma fruttifica quando si semina. E tranquillo, in nome di Dio, egli divide lEuropa tra i suoi sedici compagni: Natale e Guglielmo Claret conserveranno la direzione di Prouille. Pietro e Tommaso Cellani rimarranno a S. Romano di Tolosa. Quattro altri, suoi connazionali, Pietro di Madrid, Michele di Uzero, Domenico di Segovia, Suero Gomez ritorneranno nella Spagna. Matteo di Francia, Mannes, Michele de Fabra, Bertrando di Garriga, Lorenzo dInghilterra, Giovanni di Navarra, Oderico di Normandia andranno a Parigi. E benedicendoli, dice loro: Andate a piedi, senza danaro. Non vi curate mai del domani. Mendicate il vostro cibo. Io vi prometto che mai non vi mancher il necessario, ed ogni giorno vi sosterr colle mie preghiere. Ed egli stesso, conducendo con s come compagno Stefano di Metz, riprende ancora la via di Roma, questa volta al fine di fissarvi la sua residenza e scegliere per capitale dellOrdine il centro stesso dellunit cattolica. LOrdine dei Frati Predicatori era definitivamente fondato. M. V. BERNADOT, O.P. LORDINE DEI FRATI PREDICATORI Continua la pubblicazione dellopera del p. Bernadot. Abbiamo pensato di pubblicarne ogni settimana un punto breve ma incisivo, come voleva Pio XI, per non stancare i lettori e nello stesso tempo per fornire loro un nutrimento costante. La periodicit mensile troppo distanziata e fa dimenticare il filo del discorso. Osiamo proporre un consiglio: sarebbe cosa bella determinare giorno e ora della settimana per leggere e per meditare il testo del p. Bernadot. Diversamente c il rischio che si legga in fretta e lo si accantoni. Oppure: tira gi il testo, e poi leggilo con comodo, quando ritieni pi opportuno. Al termine ti troverai un mano un bel libro.

Parte prima LA PREPARAZIONE ALLAPOSTOLATO Introduzione 1. Il carattere apostolico dellOrdine Il Frate Predicatore, per volont di S. Domenico e per lapprovazione della Chiesa, votato al ministero apostolico. Per amor di Dio egli impiega la sua vita nel salvare le anime. Ma dovendo scegliere tra innumerevoli opere di carit spirituale, egli ne adotta una come scopo speciale della sua vocazione: la salvezza delle anime (la salus animarum) mediante la predicazione della dottrina evangelica.

Il suo primo desiderio quello di dare la verit alle anime, a tutte le anime: ai vicini, esponendo le ricchezze della fede; ai lontani, cercando di illuminarli e di ricondurli sulla via della salvezza; e anche a coloro che non hanno ancora ricevuto lannunzio del vangelo e vivono nellerrore. Il Frate Predicatore essenzialmente un apostolo. Al dire di S. Tommaso dAquino, fra tutte le opere di carit, la pi perfetta quella che si occupa della salute spirituale del prossimo. Essa ben pi utile che il soccorso ai bisogni corporali. unopera che eccelle su tutte le altre, come lanima eccelle sul corpo. Pi di tutte essa mostra la gloria di Dio, il quale nulla tanto gradisce quanto la salvezza delle anime1. LOrdine apostolico. 2. In quale senso lordine domenicano apostolico Ma bisogna intendere bene questo termine apostolico, e conservargli il senso che gli sempre stato dato. Solo a questa condizione si pu comprendere il carattere specifico dellOrdine domenicano. Da tempo invalso luso di classificare le varie societ religiose in istituti di vita attiva, dedicati, per esempio, alla cura dei malati, allinsegnamento, alla predicazione; istituti di vita contemplativa, totalmente dati alle cose divine; finalmente istituti di vita mista, il cui scopo la contemplazione che fruttifica per mezzo dellapostolato. E a questi ultimi i teologi riservano il nome di apostolici. Secondo la dottrina comune che S. Tommaso ha precisato con la sua consueta chiarezza e profondit, gli istituti dati alla contemplazione vanno collocati sopra le congregazioni di vita attiva, perch la contemplazione superiore alle opere esterne. E al di sopra di essi, vanno posti gli istituti di vita mista o apostolici. Infatti, dice langelico Dottore, come pi perfetto illuminare che splendere soltanto2. La vita mista o apostolica pi completa di quella del puro contemplativo. Essa ha insieme la perfezione della vita attiva e la perfezione della vita contemplativa. Come gi abbiamo detto, S. Domenico fond un Ordine di vita mista o apostolica. Da ci derivano importanti conclusioni: Anzitutto la predicazione e linsegnamento non sono direttamente lo scopo dellOrdine, perch se linsegnamento e la predicazione non derivano dalla pienezza della contemplazione, al dire di San Tommaso, sono opere di vita attiva e non di vita apostolica. I teologi della scuola di Salamanca dicono che la predicazione e linsegnamento dottrinale che non provengono dalla sovrabbondanza della contemplazione sono opere di vita attiva... La religione mista, pi perfetta delle altre, simile alla vita di Ges Cristo, degli Apostoli e dei Vescovi, non mette al primo posto latto della predicazione o dellinsegnamento, ma anzitutto e principalmente sapplica alla contemplazione, e poi per riflesso di questa contemplazione si dedica ad opere riguardanti il prossimo. Senza la contemplazione verrebbe a mancare molta perfezione alla predicazione e allinsegnamento dottrinale3. Ne segue che nel nostro Ordine la contemplazione non pu essere considerata come un mezzo, fosse pure il primo di tutti, per compiere perfettamente il santo ministero. Infatti proprio della vita attiva il subordinare la contemplazione allazione. Quale la congregazione di vita attiva che non ordina esercizi pii, orazioni, letture, a volte prolungate, per preparare il religioso a un serio ministero verso il prossimo? Se il religioso si applica alla preghiera e allo studio, non principalmente per la contemplazione stessa, ma in vista di unopera di vita attiva, per essere capace di predicare e dinsegnare, la sua applicazione alla contemplazione si riduce allora alla vita attiva, perch essa si propone principalmente unazione esteriore. E un simile impegno molto imperfetto, perch non avrebbe una carit perfettamente ordinata, dal momento che ci che deve essere amato come fine e prima di tutto viene solo in vista di unattivit esterna4. 3. Qual dunque il fine dellOrdine? Il fine dellOrdine la contemplazione: non per una pura contemplazione, ma la contemplazione fruttificante nellapostolato. Nellopera di S. Domenico la vita contemplativa non ordinata allazione apostolica, come un mezzo subordinato a un fine, ma essa la produce, come una causa eminente e sovrabbondante5. Tale propriamente il carattere degli ordini misti o apostolici, presso i quali lapostolato non il fine, ma leffetto della contemplazione. La religione mista - dice ancora il Passerini - caratterizzata dal fatto che si propone principalmente e direttamente la contemplazione, non perch questa contemplazione finisca in se stessa, ma perch, per la sua forza interiore, essa risplenda e simpegni nelle opere che sono pi gradite a Dio, quali sono quelle che si occupano della salvezza delle anime. In una parola, lo scopo dun Ordine misto la contemplazione che si espande e fruttifica nelle anime6. 4. Lordine domenicano si distingue dagli altri ordini Si veda il posto che lOrdine domenicano tiene nel gruppo deglistituti regolari. Dal secolo XVI, secondo una nuova concezione della vita religiosa, i fondatori delle congregazioni religiose ordinariamente le sciolsero dalle antiche osservanze. I loro discepoli non si preparano pi allapostolato, come i chierici degli antichi tempi, con la preghiera liturgica e con quellinsieme di osservanze, che fino allora aveva universalmente accompagnato la pratica dei consigli evangelici. Essi abbandonarono lascesi tradizionale e rinunziarono alla maggior parte delle sue pratiche essenziali, per esempio alla Liturgia delle Ore del giorno e della notte, ai digiuni prolungati, per attenersi su questo punto agli obblighi dei chierici secolari e dei semplici fedeli. Essi si sforzano di sostituire il soccorso, che veniva dalla salmodia corale e dal corroborante esercizio dei lunghi digiuni, con la pratica assidua della meditazione e dellesame di coscienza. Il loro scopo, nel liberarsi delle antiche osservanze, fu quello di dar maggior libert al loro ministero. Il Frate Predicatore rimase fedele al metodo primitivo di formazione apostolica. Egli si prepara al ministero colla penitenza e colla contemplazione. Lungi dal vedere una opposizione tra lapostolato e le osservanze claustrali, egli le unisce strettamente nella sua vita e, con numerose generazioni di santi, trova nellascesi tradizionale un soccorso per lazione. S. Domenico, prefiggendosi dimpiegare i suoi figli in tutte le fatiche del ministero, avrebbe potuto domandarsi, come pi tardi altri fondatori, se fosse prudente sottometterli nel medesimo tempo al rigore delle osservanze regolari. Pare che la questione non si sia affacciata alla sua mente. Non era lui stesso la soluzione vivente dellantinomia dellazione e della contemplazione? Da lunghi anni, egli univa intimamente nella sua vita lausterit, lazione e la preghiera. Pregare incessantemente, passar le notti nella contemplazione, studiare, digiunare, flagellarsi e nel medesimo tempo predicare a tutti, sostenere i fedeli, combattere leresia, era la sua vita dogni giorno. Anzich trovare un ostacolo nelle osservanze, egli attingeva da esse la sua gran forza. Ci chegli fece, lo richiese dai suoi figli. E decise che essi si sarebbero preparati allapostolato mediante le antiche osservanze, cui aggiunse lo studio. Prima dessere apostolo, il Frate Predicatore dunque asceta e contemplativo.

Come asceta, egli domanda alla penitenza di purificarlo, di prepararlo alla carit, di proteggere e di far crescere in lui luomo interiore.

Come contemplativo, nel silenzio egli domanda allo studio delle scienze divine, alla lettura assidua dei libri santi, alla preghiera privata e liturgica di riempire lanima sua di vita soprannaturale.

Solo allora egli diventa apostolo. Quando lanima sua piena di vita interiore, riboccante di carit, si rivolge verso i suoi fratelli, per far loro parte delle sue ricchezze intime. E il suo apostolato protetto dalle pratiche claustrali contro i pericoli inerenti ad ogni azione esterna, attinge dalla contemplazione unefficacia somma. Le ore pi importanti del Predicatore, le pi cariche di frutti futuri, in cui egli raggiunge il punto culminante della sua vocazione, sono quelle che egli impiega nellassimilarsi a Ges Cristo nella contemplazione. Ecco leccellenza e il punto pi alto della sua vita.

Con tre parole S. Tommaso riassume la spiritualit domenicana e ne esprime loriginalit: contemplata aliis tradere (rendere partecipi e comunicare agli altri la propria contemplazione). Anche altri Ordini antichi o pi antichi di quello dei Predicatori sono votati alla contemplazione. Essi portano i loro religiosi allunione con Dio attraverso lufficio divino della liturgia delle ore e le osservanze della regola. Essi si interessano della salvezza del prossimo soccorrendolo ordinariamente con la preghiera e con la penitenza. Ma non si dedicano, se non in modo secondario, alla opere esterne di carit fraterna. Allopposto, la maggior parte degli istituti moderni che sono direttamente consacrati allazione hanno abbandonato le antiche pratiche nelle quali i nostri padri trovavano inesauribili risorse. LOrdine di S. Domenico unisce in una sintesi superiore queste due concezioni della vita religiosa. Non n unicamente attivo, n unicamente contemplativo. Esso combina questi vari elementi e li fonde in una sintesi del tutto nuova. Nella spiritualit domenicana la contemplazione e lazione, anzich opporsi, si uniscono e si fortificano reciprocamente. La contemplazione prepara e produce lazione, lalimenta, la feconda. Lazione, secondo il pensiero di Santa Caterina da Siena, non altro che una pienezza interiore che trabocca e si espande. Verrebbe meno alla sua spiritualit il Frate Predicatore che, confondendo la sua vocazione con quella dei figli di S. Bruno o di S. Bernardo, si rinchiudesse nella sola contemplazione e cercasse esclusivamente ununione pi intima con Dio dimenticando di essere destinato alla salvezza dei suoi fratelli. Ma peggio ancora singannerebbe il Predicatore che si lasciasse trascinare da unazione febbrile verso il prossimo e lo portasse a trascurare quelle pratiche di vita conventuale che sono ordinate a dare alla sua azione una forza calma e continua, una sicurezza, unampiezza e un irradiamento soprannaturale, che sono condizioni indispensabili per un apostolato fruttuoso. In una parola, il Frate Predicatore si prepara allesercizio dellapostolato abbracciando le esigenze pi radicali del Vangelo (i consigli evangelici) e mediante la pratica della perfetta rinunzia evangelica e mediante la vita contemplativa. Capo I La radicalit evangelica 1. Lessenza della vita religiosa La Chiesa ha sempre pensato che la pratica dei consigli evangelici costituisca lo stato normale di chiunque desidera esercitare il ministero sacro. I Dottori e i Santi furono sempre daccordo nellinsegnare che questo tipo di vita praticato da Ges e continuato dagli Apostoli sia il pi conforme alla vocazione dei ministri di Dio e quello che li mette in grado di compiere pi efficacemente la loro missione soprannaturale. Secondo S. Tommaso, mediante questo stile di vita apostolica il battezzato si consacra totalmente al servizio di Dio e si offre a Lui in olocausto7. Gli Apostoli e i primi sette diaconi vissero in questo modo e dal loro esempio sono derivate tutte le forme di vita consacrata8. Questa vita viene detta perfetta perch conduce alla perfezione della carit. Non si deve dimenticare che molti sono gli ostacoli che ci impediscono di raggiungere la completa unione con Dio, in cui consiste la perfezione delluomo. Dagli autori spirituali vengono ricondotti ordinariamente a tre categorie: i beni esterni, i beni del corpo e i beni dello spirito. Essi distraggono lo spirito e dividono il cuore. Ebbene, la vita religiosa li allontana. Essa ha il compito di separare luomo da tutto ci che non Dio o di Dio. Col voto di povert, il religioso rinunzia ai beni esterni. Abbandona non solo ogni propriet personale, ma anche il libero uso dogni bene materiale. Col voto di castit, sacrifica i beni del corpo, rinunzia ad avere una famiglia terrena e si astiene da qualunque piacere carnale, legittimo in altri stati. Col voto di obbedienza va ancora pi in fondo: raggiunge lultima radice del peccato sacrificando la sua libert e sottomette la sua volont, e per ci stesso tutti gli atti della sua vita, ad un superiore rappresentante di Dio. Egli fa questa triplice rinunzia, mediante un atto magnifico che lo innalza al punto culminante della grandezza morale, non per un giorno o per un tempo della sua vita, ma per sempre. Si obbliga alla perfezione usque ad mortem, come dice la formula della professione domenicana. Cos sfugge alle intemperie legate alla fragilit e ai ritorni della stanchezza umana. Fissandosi nella carit perfetta, si lega indissolubilmente a Dio e, per quanto possibile quaggi, partecipa alla stessa immutabilit dei beati. I tre voti di povert, di castit e di obbedienza portano dunque il religioso alla santit, alla pienezza dellamore. Essi gli permettono di rendere a Dio tutto quello che egli ha da lui ricevuto: i suoi averi, i suoi piaceri, il suo cuore, il suo intelletto, la sua volont, insomma tutto se stesso. Essi fanno del religioso unostia vivente, santa e gradita a Dio (Rom 12,1). Per questo S. Tommaso dice che la professione religiosa un olocausto. I Padri della Chiesa la paragonano al martirio. I martiri e i religiosi avranno la medesima ricompensa, assicura S. Bernardo: come il martirio, cos la professione religiosa d tutto per sempre. Quando il religioso ha pronunziato queste due parole, cos brevi e cos grandi: promitto obedientiam, egli non appartiene pi a se stesso, nulla pi suo, ma tutto di Dio. S. Tommaso insegna formalmente che la professione solenne una consacrazione, cos reale e cos profonda che tutti gli atti del professo appartengono alla virt della religione e appartengono al culto divino come una specie di sacrificio. Ciascuno dei suoi atti, per umile che sia, un atto sacro e talmente sopraelevato che, come dice il nostro Venerabile Taulero, la minima opera che egli fa per ubbidienza molto pi gradita a Dio e vale incomparabilmente di pi dellazione pi grande che possa compiere, in cui lubbidienza non ha parte. Tale lessenza della vita religiosa e tale lo stato in cui la Chiesa vorrebbe impegnare tutti i suoi ministri, i quali, secondo quanto dice S. Pietro, devono essere il modello del gregge. S. Domenico, fondando lOrdine dei Predicatori, non poteva far altrimenti che basarlo su questa triplice rinunzia, poich senza di essa non potrebbe esserci vita religiosa. Ma dando ai suoi figli una missione speciale, indic anche uno speciale modo di metterli in pratica. Del resto superfluo osservare che, pur restando essenzialmente la stessa, la pratica dei consigli evangelici riveste diverse sfumature secondo lo scopo che ci si prefigge. Ad esempio, chi si dedica allinsegnamento, non praticher la povert come il Trappista che coltiva la terra. Essenzialmente apostolo, il Frate Predicatore pratica i tre voti secondo le necessit dellapostolato. Egli povero, casto e ubbidiente come tutti i religiosi ma lo cos come deve esserlo un apostolo consacrato alla salute delle anime attraverso la predicazione della dottrina. Perci, bench comune a tutti gli Ordini, la pratica dei voti nella vita domenicana ha una sua fisionomia particolare. 2. La povert

1. La povert religiosa prima di S. Domenico

Nei primi secoli della Chiesa il clero viveva nella povert evangelica. I chierici si sentivano obbligati a rinunciare ai beni della terra e ad astenersi dal matrimonio. Infatti non possibile la perfetta vita comune senza mettere in comune tutti i beni e senza vivere quella stretta dipendenza dallobbedienza nel loro uso che in fin dei conti la nota caratteristica della vita perfetta, il tratto pi rilevante che manifesta con sicurezza lappartenenza a Cristo. Ges, nato e morto povero, vuole discepoli poveri e mette la povert come prima condizione della vita perfetta: Se vuoi essere perfetto, v, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi (Mt 19,21). Per molto tempo i chierici hanno praticato alla lettera questa perfetta rinuncia e tenevano tutto in comune. Era la comunit che possedeva e che distribuiva ai chierici le povere risorse necessarie al loro mantenimento, come si faceva ai primi poveri di Cristo. Stando a quanto dice il teologo Tommasino le prime deroghe a questa disciplina primitiva sono del secolo VI. Fu il tempo in cui si cominci a tagliare una parte dallinsieme dei beni della Chiesa, che fino ad allora erano indivisi, per meglio servire unopera speciale o un chierico. Labuso inizialmente non era grave. Ma nei secoli IX e X esso si svilupp e fin con invadere tutta la gerarchia. Ad imitazione dei possedimenti feudali, si vide allora apparire e poi moltiplicarsi quello che si chiam il beneficio. Come i capi militari si dividevano i frutti delle loro conquiste, cos i ministri dellaltare si dividevano i beni della Chiesa considerati fino allora come il patrimonio dei poveri. I chierici si fecero proprietari. Quando S. Domenico fond il suo Ordine labuso si era generalizzato e radicato gi da un pezzo. La maggior parte dei Vescovi erano alti signori feudatari, spesso pi occupati dei loro ricchi domini che degli interessi spirituali del loro gregge. Il gran numero dei beneficiari si addormentava nel godimento delle proprie rendite. Divenne fatale che la sacra gerarchia cadesse nellignoranza e nel rilassamento dei costumi e che gli eretici, specialmente gli Albigesi, si ingegnassero a trarre profitto dalla sua decadenza e suscitassero lira delle moltitudini e la cupidigia dei principi contro i beni degli ecclesiastici. Papa Innocenzo III, in una lettera ai suoi Legati in Linguadoca (31 maggio 1204), scrisse: I Pastori sono divenuti dei mercenari. Pascono se stessi invece dei loro greggi. Cercano solo la lana e il latte delle pecore e poi lasciano fare al lupo. vero che nella medesima epoca la povert primitiva era ancor praticata negli Ordini monastici e in quella porzione del clero che aveva conservato le tradizioni apostoliche. E proprio per questo fu chiamato clero regolare, a differenza dellaltro, ormai secolarizzato. Questo clero fedele alla vita perfetta si espandeva in ferventi Congregazioni di canonici, di cui la pi diffusa era quella dei Premostratensi. Ma se canonici e monaci erano personalmente poveri, le loro Abbazie e priorati invece non lo erano. Le Comunit di Cluny, di Citeaux, di Prmontr e degli altri Ordini possedevano sovente vasti domini, secondo le costituzioni pi o meno strette che le reggevano.

2. Il concetto domenicano della povert

Ci voleva altro per rimediare efficacemente alla secolarizzazione del clero a motivo della ricchezza. Dio ispir il rimedio ai due grandi Patriarchi, che ben sovente la Chiesa si compiace di associare nei suoi elogi: S. Domenico e S. Francesco d Assisi. Pi o meno nel medesimo tempo e indipendentemente luno dallaltro, ebbero lispirazione di applicare pi alla lettera la regola fondamentale della vita religiosa: vendi quello che possiedi (Mt 19,21). E vollero mettere in pratica in maniera pi stretta la povert evangelica rinunciando ad ogni propriet non solo per i singoli, ma anche per gli Ordini che fondavano. Fu unispirazione generosa, che lesperienza rivel magnificamente feconda. Nata nel medesimo tempo nel cuore dei due Santi, essi la misero in atto ciascuno per conto proprio, senza essersi concertati, mossi unicamente dal triste spettacolo dei medesimi abusi e dal medesimo sentimento circa i bisogni della Chiesa. San Domenico allarg pertanto il concetto tradizionale della povert: non contento di spogliare ciascun religioso, impose alla comunit la rinunzia ad ogni ricchezza. Il convento stesso divenne povero e incapace di possedere propriet o rendite. Individui e comunit dovevano vivere di elemosine. Per questo lOrdine dei Predicatori fu chiamato Ordine mendicante. Il santo Patriarca per primo fu un raro modello di perfetta rinuncia. Sebbene non labbia espresso con parole, come fece il suo grande amico di Assisi, di fatto per anche lui, al dire di Santa Caterina, elesse per sposa la Regina povert. Era impossibile condurre una vita pi povera e pi distaccata. Aveva solo una tonaca, la pi grossolana del convento. Quando bisognava lavarla, doveva prenderne in prestito unaltra. La sua cella era la pi angusta e la pi scomoda. Mangiava solo una portata, volendo anche nel cibo regolarsi come i pi diseredati. In viaggio non usava mai cavallo o vettura, ma andava sempre a piedi, senza denaro, senza provviste, vivendo di elemosine, coricandosi sulla paglia o su una tavola, felice se era accolto male. Era, come dice il B. Giordano di Sassonia, un vero amante della povert.

3. La povert mezzo dapostolato

Ora sappiamo perch San Domenico amasse tanto la povert. Certamente trovava in questo spogliamento assoluto il mezzo di soddisfare il suo incomparabile amore per Ges povero. E sapeva pure che la stretta povert sarebbe stata per i suoi figli un efficace mezzo di santificazione personale. Ma la storia ci dice anche che nella pratica della rinuncia perfetta egli aveva delle preoccupazioni apostoliche. Va detto che San Domenico consider la povert assoluta innanzitutto come un potente mezzo di apostolato. Allinizio della sua predicazione in Linguadoca, nel 1206, si era rattristato nel vedere la grande influenza presso il popolo causata dalle apparenze di povert dei predicatori eretici. E, daccordo col Vescovo dOsma, persuase i Legati pontifici ad abbandonare il loro apparato di opulenza. Spogliatosi egli stesso di ogni lusso, inizi la predicazione con la santa povert. Appena ebbe riuniti alcuni compagni nellapostolato, fece loro condividere il suo genere di vita e li vot alla mendicit. E fece questo per dare alla parola santa una maggior efficacia. Lo spogliamento assoluto del Frate Predicatore e la pratica integrale della dottrina avrebbero toccato i cuori e avrebbero compiuto quello che la parola aveva cominciato. Gli uomini sono sempre scossi dal disinteresse. Essi sono cos attaccati ai beni materiali che, quando vendono un uomo che rinuncia a ci che essi cercano con un ardore mai soddisfatto, ne sono stupiti e ne rimangono convinti. Giovanni Joergensen racconta che, dopo la sua conversione, quando andava a trovare un Benedettino dellAbbazia di S. Bonifacio, gli bastava entrare nella povera cella, di cui tutta la mobilia si componeva di un tavolo, di un letto, di due sedie e di un inginocchiatoio, perch questo gli facesse pi effetto che interi volumi apologetici (Vita vera). La stretta povert, modellando il Frate Predicatore su Ges, sar la sicura garanzia della sua sincerit e far di lui un apostolo. Infatti lapostolo non solo un uomo che sa e insegna per mezzo della parola. Ma la sua sola presenza gi unapparizione di Ges Cristo9. Il B. Umberto de Romans espone con belle espressioni queste medesime idee e mostra in modo particolare come i beni temporali siano loccasione di uninfinit di distrazioni e di sollecitudini. Lanima ne diventa schiava e non ha pi quella libert di procedere che le permette di consacrare allopera di Dio tutte le sue energie vitali. Dice: Ne testimonio quel santo predicatore che, spogliatosi di tutto, si era per riservato un asinello per il suo servizio. Egli saccorse che quellasinello richiedeva da lui molte cure: bisognava provvedere al suo nutrimento, non smarrirlo, assicurarsi che fosse in buone condizioni. In breve, lasinello era per lui una continua preoccupazione, anche quando egli predicava. Aver abbandonato ogni cosa per esser libero e trovarsi perpetuamente in pena per un asino parve a questo santuomo unironia intollerabile. Don il suo asino e fece i suoi viaggi a piedi10.

4. La povert rimane pur sempre un mezzo

In ultima analisi, anche in questo distacco dai beni terreni, il Frate Predicatore vede la santa predicazione universale, a cui votato per volont della Chiesa. Collocato di fronte ai beni materiali, egli si domanda in che cosa possano aiutarlo nella salvezza delle anime. Prende quelli che possono esser per lui un aiuto, non gi per se stessi e per goderne, ma per servirsene come mezzi per compiere la sua missione. Egli li usa secondo lordine eterno che destina le creature inferiori a condurre luomo a Dio. Gli altri beni, quelli che sono un ostacolo al suo apostolato, li respinge. Talvolta rifiuta perfino di far uso di quelli che sono indifferenti, affinch la sua azione, pi sciolta, sia pi forte. Il lottatore si libera da tutto ci che pu legare le sue energie. Questo concetto di povert fa comprendere perch verso la met del sec. XV la Chiesa volle che lOrdine potesse possedere collettivamente le rendite necessarie alla sua sussistenza. Diminuita la fede nella gente, la loro generosit era venuta meno. E la mendicit, invece di aiutare lapostolato, ne era divenuta un ostacolo. Si pens che si rimanesse ancora fedeli al pensiero del santo Fondatore permettendo al convento la propriet collettiva. Essa dava ai religiosi, meno numerosi in una societ meno credente, la libert di attendere allo studio e alla predicazione, Del resto San Domenico stesso aveva per qualche tempo accettato alcune modeste rendite per il convento di Tolosa, dal momento che le elemosine in un paese eretico non erano sufficienti per mantenere i frati. In ogni caso, secondo linsegnamento preciso di S. Tommaso, per noi domenicani la povert non che un mezzo. Ma se il Frate Predicatore non mendica pi, nondimeno deve ricordarsi che egli personalmente tenuto alla stretta povert per il voto che ha fatto e per la fedelt al pensiero di S. Domenico. La comunit oggi pu accettare rendite, che le assicurano una sussistenza conveniente. Ma queste non possono essere accresciute indefinitamente senza andar contro il pensiero del Fondatore. Per decreto di Sisto IV il convento domenicano non divenuto unabbazia, ma resta convento di un Ordine mendicante. I Predicatori non possono dimenticare che quando la necessit obblig San Domenico ad accettare alcune rendite nella regione di Tolosa, devastata dalla guerra albigese, fu stipulato che i Frati ne usassero solo secondo la stretta necessit e distribuissero il resto ai poveri. Non vi forse un punto delle Costituzioni sul quale il nostro santo Fondatore abbia insistito maggiormente quanto questo. In molte circostanze egli ha energicamente manifestato lorrore che provava quando vedeva un religioso attaccato alle ricchezze. Il suo ultimo pensiero fu per questa santa povert, che egli tanto aveva amato, e che voleva lasciare allOrdine, come il suo onore e il pegno della sua fecondit. Disse ai suoi figli in pianto attorno al suo letto di morte: Miei amati fratelli, ecco leredit che vi lascio come a miei figli: abbiate la carit, conservate lumilt, possedete la povert volontaria.

3. La castit

1. La purezza esemplare di San Domenico

Il Beato Angelico, pittore di Fiesole, non manc mai di proiettare sulla fronte del suo padre S. Domenico una stella raggiante. Essa sta a significare la radiosa purezza del Patriarca dei Predicatori, di cui tutti i contemporanei subirono la straordinaria attrattiva. La Beata Cecilia, sua figlia spirituale, racconta che gli usciva dalla fronte e tra le sopracciglia una certa luce radiosa che attirava il rispetto e lamore. Sulla cenere in cui spir, una delle sue ultime parole fu in favore della castit: Figli miei, la misericordia di Dio mi conserv fino ad oggi una carne pura e una verginit senza macchia. la custodia di questa virt che rende il servo di Dio gradito a Cristo e che gli d gloria e credito davanti agli uomini. Perci egli organizz la vita religiosa dei suoi figli in modo da mantenerli in una perfetta purezza e renderli capaci di mescolarsi al mondo senza contrarne le lordure. La vita domenicana assale direttamente tutti i nemici della purit. Quelli che vengono dal corpo, mediante la mortificazione dei sensi, lastinenza, il digiuno, le discipline, le veglie, la durezza del letto. Quelli che vengono dallo spirito, mediante la disciplina dellimmaginazione, mediante lo studio, la preghiera e la contemplazione, che occupano tutte le ore del religioso e lo strappano alla disoccupazione. Finalmente i nemici esterni, mediante la solitudine del chiostro e il silenzio. Se lo stesso scopo dellOrdine esclude un isolamento totale, la Regola si guarda dallabbandonare il religioso nellesercizio del ministero: essa lo segue da per tutto, regolando le sue relazioni necessarie e, con la sua larga e ferma sorveglianza, cerca di avvolgere il Predicatore con i principali benefici della clausura.

2. La protezione della Madonna

S. Domenico, per la purezza dei suoi figli, fece assegnamento al di sopra di tutto sullo speciale patrocinio della Santa Vergine, Madre dogni purezza. L Ordine consider sempre questo patrocinio come il suo pi potente appoggio soprannaturale. Lantichit domenicana ricca di fatti meravigliosi che dimostrano lamabile vigilanza della Madre di Dio su coloro che Ella chiama: Mio Ordine, Ordo meus11. Vi era in Lombardia una pia donna devotissima della Vergine, che conduceva una vita solitaria. Avendo saputo che era stato fondato un nuovo Ordine di predicatori, concep un vivo desiderio di veder qualcuno di quei frati. Ora accadde che fra Paolo, predicando in quelle contrade, venisse a passare in quel luogo insieme al suo compagno. Secondo il costume si fermarono presso la religiosa e le rivolsero qualche pia esortazione. Questa donna si inform a qual Ordine appartenessero, ed essi le riposero che erano dellOrdine dei Predicatori. E considerando che essi erano giovani, belli e convenientemente vestiti, prese a disprezzarli, pensando che uomini di tal sorta, percorrendo il mondo, non potevano conservar a lungo la loro virt. Ma, la notte seguente, la Vergine le apparve con volto corrucciato e le disse: Ieri mi offendesti gravemente: credi tu che io non possa custodire i miei servitori, che corrono attraverso il mondo per salvare le anime, anche se siano giovani? Sappi che io li presi sotto la mia speciale protezione, e ti mostrer quelli che ieri disprezzasti. E, alzando il suo manto, Ella fece vedere alla pia solitaria una moltitudine di frati, e fra quelli i medesimi di cui aveva ella sospettato il giorno innanzi12.

3. La castit una grazia particolare dei domenicani

Alcuni pii autori scrissero che S. Domenico, nella cui bolla di canonizzazione si afferma che mor conservando linnocenza battesimale, ottenne dalla Madonna per il suo Ordine la grazia di manifestare specialmente la virt angelica, come altri Ordini hanno la grazia di manifestare particolarmente la povert e lubbidienza. Le Vitae Fratrum riferiscono che un religioso, avendo udito in poco tempo la confessione generale di cento Frati, ne trov pi di sessanta che avevano conservata la perfetta purezza del corpo e dellanima13. Il nostro pi gran teologo S. Tommaso dAquino, che per la sua ammirabile purezza fu soprannominato il Dottor angelico. Il nostro primo martire canonizzato S. Pietro da Verona, la cui innocenza di vita attirava nella sua cella la visita dei Santi del Cielo. Uno dei nostri pi potenti missionari, S. Giacinto, per la raggiante santit fu il favorito della Vergine. Uno dei nostri pi illustri predicatori, S. Vincenzo Ferreri fu chiamato lAngelo del Giudizio tanto per lo splendore della sua purezza quanto per la sua formidabile eloquenza14. Il primo dei nostri artisti fu chiamato Fra Angelico a causa del suo candore verginale. Infine va ricordata la serafica Vergine di Siena, il fiore della nostra numerosa scuola mistica. Tutti portano sulla fronte il segno della verginit.

4. Castitas transfusiva

Certamente tutti i veri cristiani onorano e riproducono questa virt, della quale il Padre Lacordaire diceva che caratteristica della Chiesa. Tuttavia il Frate Predicatore deve aver per lei un culto speciale: cos volle S. Domenico, cos esige la sua vocazione apostolica. Il Frate Predicatore, fu scritto, devessere lAngelo della verit. Bella parola che esprime bene la sua sublime vocazione e nel medesimo tempo il motivo per cui S. Domenico raccomand tanto ai suoi figli questa ammirabile virt. LOrdine della verit devessere lOrdine della castit. Nessuna cosa dispone meglio alla verit che la castit. Lanima che non ha mai ubbidito alle volutt carnali, assicura S. Alberto Magno, possiede per ci stesso unintelligenza pi pura e meglio disposta alle cose celesti. Inoltre va sottolineato che la castit esercita sui popoli un prestigio unico; irradia e conquista. Essa una delle pi grandi forze al servizio di una causa. per questo certamente che lo stemma dellOrdine simboleggia lideale domenicano nellirradiamento duna stella: esso dice al Predicatore che per distribuire i puri splendori della verit, deve allontanarsi dalla carne e dal mondo. Quindi il figlio di S. Domenico si sforza di praticare il suo voto di castit nella sua maggior perfezione, prima di tutto per i motivi che obbligano ogni cristiano, e di pi perch la castit guadagna i cuori a Ges Cristo. Per essere meglio apostolo, egli segue lietamente le tracce del suo beato Padre, del quale Giacomo da Varazze scriveva che la sua castit era comunicativa: castitas transfusiva. 4. L'obbedienza 1. Fondamento della vita religiosa La prima parola che disse Ges entrando in questo mondo fu una parola di piena obbedienza alla volont di Dio, suo padre: Ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volont (Ebr 10,7). Simile la prima parola di chiunque entra nellOrdine di S. Domenico, la parola che fa il Predicatore: Prometto obbedienza fino alla morte. il voto pi essenziale alla sua vita, il solo che sia enunziato nella formula della professione. Egli promette obbedienza a Dio, alla B. Vergine Maria, al B. Padre Domenico e al Maestro dellOrdine. Son presto dette queste due parole: Prometto obbedienza; ma quale pienezza di senso! Esse inquadrano tutta quanta la vita del Predicatore, simpadroniscono di tutte le sue potenze, determinano la natura e la misura del ministero da esercitare, i mezzi da usare; regolano il minimo dei suoi atti fino alla morte. 2. I grandi servizi resi a motivo dellobbedienza Indispensabile condizione e fondamento dogni vita religiosa, lobbedienza lo particolarmente della vita domenicana. Grazie a Dio, i Predicatori se ne ricordarono durante tutta la loro lunga storia. Lobbedienza stata una delle grandi forze dellOrdine. Un rapido sguardo alla storia della Chiesa dal secolo XIII in poi sufficiente per mostrare gli immensi servizi che essi hanno reso alla causa di Dio per essersi stretti unanimemente attorno al loro Maestro generale, che li faceva stare uniti al Papa. La forza dellobbedienza salv lunit del loro Ordine. Gli storici fanno notare che lOrdine di S. Domenico il solo che abbia conservato lunit del governo, mentre tutti gli ordini antichi, a motivo delle varie riforme, si sono divisi in parecchi rami. Esso si sparse per tutta la terra, senza che un solo ramo si staccasse dal tronco. La forza dellobbedienza salv ugualmente lunit nello spirito religioso, nella dottrina, nellazione. In grazia dellobbedienza, i frati predicatori effettuarono per pi secoli la santa predicazione universale cos ardentemente desiderata da S. Domenico; svilupparono nel mondo intero le Missioni intraprese fin dallinizio del secolo XIII, e ancor oggi fiorenti; fecero conoscere e praticare la preghiera del Rosario da parte di tutta la Chiesa. Dal punto di vista dottrinale, basta nominare la dottrina di San Tommaso, per dire i servizi resi alla teologia cattolica. Per lobbedienza il nostro Ordine si potrebbe definire: un carisma organizzato e servito fino alla morte da migliaia di uomini coraggiosi. 3. Caratteri dellobbedienza domenicana Come avviene per ogni elemento della vita religiosa, anche lobbedienza del Frate Predicatore ha il suo carattere speciale, facile a determinarsi, secondo la dottrina delle Costituzioni e i commenti o la pratica dei nostri Santi. Per il voto dobbedienza, il Frate Predicatore si d al suo superiore o meglio a Dio stesso, per unopera precisa: la salvezza dei suoi fratelli. Per meglio assicurare questopera egli offre la sua libert, interamente. Promette il suo tempo e le sue forze, la sottomissione sempre pronta e fiduciosa del suo corpo a tutte le pene e fatiche, della sua volont a tutti i comandi, finalmente di tutto se stesso a ci che il superiore giudicher bene di ordinare per la gloria di Dio. Il sacrificio domandato pu anche giungere fino alla morte, se la carit o la salute delle anime lo esige. Non vi obbedienza pi estesa. Nulla sfugge al suo ambito. Per caratterizzarla, il B. Umberto de Romanis scrisse che deve essere universale senza alcuna eccezione (universalis sine exceptione). Egli aggiunge: semplice senza discussione (simplex sine discussione). Il Frate Predicatore si proibisce anticipatamente ogni discussione, perch discutere il comando un diminuirlo e togliergli la sua energia, perch lopera divina richiede operai risoluti, ardenti, e il cercar dei limiti allobbedienza un allentarne e spezzarne lo slancio. Lautorit e lobbedienza confidano luna nellaltra, senza timore di eccedere la misura e saccordano reciprocamente, proprio come nella famiglia saccordano lautorit del padre e lobbedienza dei figli. Difatti lobbedienza domenicana ha un carattere familiare. Il Superiore il padre di tutti i suoi religiosi. Egli tiene il posto di Dio nel convento, compie la funzione di Cristo. Ha piena autorit, ma unautorit che cerca di farsi amare pi che farsi temere. Come il padre nella famiglia, egli deve governare mediante larmonico accordo del timore e dellamore, della forza e della dolcezza, e meritare, come S. Domenico, il doppio titolo di Consolatore dei Frati e di Zelatore della regolarit. Il nostro B. Padre puniva le colpe con energia e nondimeno imponeva le penitenze con tanta dolcezza e benignit che i frati le accettavano volentieri15. Il B. Umberto de Romans non vuole Prelati indolenti che lascino addormentare lautorit: come quei Vescovi, dice, che i pittori rappresentano seduti sulla loro cattedra, nellatto di dormire pacificamente e di lasciarsi cadere dalle mani il bastone pastorale. Lautorit sia forte. Ma aggiunge: sia nel medesimo tempo amante e paterna. Perch, se si correggono i cattivi col timore, si correggono i buoni con lamore. Lobbedienza diventa perci pi facile, e, come vuole la Regola, lieta, libera, filiale, escludendo ogni sentimento di servit. Il Frate Predicatore obbedisce, non come il servo che teme la minaccia, n come il cadavere che si lascia muovere meccanicamente, ma come il figlio amante che adatta la sua volont alla volont del padre suo. Obbedienza che non si rassegna, ma che fa amare lo stato di dipendenza, perch esso garantisce contro le deviazioni della volont propria. Obbedienza che va incontro al Superiore nel quale il religioso vede un protettore contro le cadute sempre possibili, un sostegno alla sua debolezza. Obbedienza che sacrifica di buon animo le idee e le convenienze personali e si rimette, lietamente, filialmente, a colui che Dio ha deputato per dirigerlo. Tale il carattere tradizionale dellobbedienza domenicana: essa familiare. Stretta e senza riserva, ma anche senza durezza. Essa armonizza il rispetto dellautorit e una lieta libert, la libert dei figli di Dio. Nel nostro Ordine, dice graziosamente Santa Caterina da Siena, la disciplina tutta regale; perci la nostra religione tutta larga, tutta gioconda, tutta odorifera16. 4. Lobbedienza nelle attuali costituzioni (Riteniamo utile proporre il testo delle attuali costituzioni dellOrdine domenicano sullobbedienza. Ci si accorge subito che, al di l dello stile, il contenuto lo stesso, segno questo della fedelt dellOrdine alla propria storia e al proprio carisma). n. 17 1. Agli inizi dellOrdine, san Domenico chiedeva ai suoi frati che gli promettessero vita comune e obbedienza. E lui stesso, con molta umilt, si sottoponeva alle disposizioni e specialmente alle leggi che il capitolo generale dei frati aveva stabilito dopo matura riflessione. Invece, fuori dell'ambito del capitolo generale, sia pure con modi affabili ma fermamente, esigeva da tutti una obbedienza volontaria in tutto quello che lui, come superiore dell'Ordine, ordinava dopo aver riflettuto a lungo. Difatti la vita comune, per mantenersi fedele al suo spirito e alla sua missione, deve fondarsi sul principio dell'unit che costituito appunto dall'obbedienza. II. Ed proprio per questo motivo che nella nostra formula di professione pronunciamo una sola promessa: quella di obbedire al maestro dell'Ordine e ai suoi successori secondo la legislazione dei frati predicatori; cos si salva l'unit dell'Ordine e della professione, unit che dipende dall'unit del capo a cui tutti devono obbedire. n. 18 I. Con questa professione imitiamo in modo tutto particolare Cristo che fu sempre soggetto alla volont del Padre per la salvezza del mondo, e cos ci uniamo pi intimamente alla Chiesa, alla cui edificazione ci siamo consacrati insieme con i confratelli, per il bene comune della Chiesa e dell'Ordine, sotto la conduzione dei superiori che in umano servizio rappresentano l'operare di Dio. II. Questo bene comune ci si manifesta anche nelle aspirazioni religiose e apostoliche della comunit e nella illuminazione interiore dello Spirito Santo che aiuta ad assolvere la missione dell'Ordine. III. I nostri frati sono tenuti ad obbedire ai loro superiori in tutto quello che riguarda la Regola e le nostre leggi. Al contrario, non siamo tenuti, anzi non possiamo obbedire in ci che contro i comandamenti di Dio, i precetti della Chiesa e le leggi dell'Ordine, o in quelle cose nelle quali il superiore non autorizzato a concedere dispense. Nel dubbio tutti dobbiamo obbedire. n. 19 I. Tra i consigli evangelici, il voto pi importante quello di obbedienza con cui la persona si consacra completamente a Dio e le sue azioni si avvicinano di pi al fine della professione che consiste nella perfezione della carit, senza dimenticare che nell'obbedienza incluso anche tutto ci che riguarda la vita apostolica. II. Dal momento che con l'obbedienza ci uniamo a Cristo e alla Chiesa, ogni sforzo e ogni mortificazione che facciamo per metterla in pratica come un prolungamento dell'oblazione di Cristo e acquista valore di sacrificio sia per noi personalmente che per la Chiesa: nella consumazione di questo sacrificio si compie tutta lopera della creazione. III. Lobbedienza con cui ci innalziamo interiormente al di sopra di noi stessi, utilissima per acquistare la libert interiore propria dei figli di Dio e ci dispone a donarci con la carit. n. 20 I. Il bene comune in forza del quale i frati sono vincolati all'obbedienza, esige anche che i superiori si mostrino ben disposti ad ascoltare le loro opinioni e che anzi, quando si tratta di questioni di maggior rilievo, ne discutano con loro, ferma restando la loro autorit di stabilire quello che si deve fare. In tal modo tutta la comunit, come un corpo solo, pu orientarsi verso il fine comune della carit. II. Siccome lo Spirito Santo dirige la sua Chiesa anche con speciali talenti e carismi, i superiori, nell'esercizio della loro autorit, sappiano riconoscere molto attentamente i doni particolari dei frati, giudichino e indirizzino quelli che, secondo le circostanze e le necessit, lo Spirito Santo elargisce nell'Ordine per il bene della Chiesa. Perci sia nell'intraprendere nuove opere sia nel proseguire quelle gi iniziate, entro i limiti del bene comune e secondo l'indole di ognuno, si riconosca ai frati la congrua responsabilit e si conceda loro la conveniente libert. III. Il superiore, nella ricerca della volont di Dio e del bene comune, "non si ritenga felice per la potest di comandare; ma per la sua carit messa a servizio degli altri e cerchi di ottenere non una sottomissione servile, ma un libero impegno. IV. A loro volta i frati collaborino fraternamente coi loro superiori con spirito di fede e di amore per la volont di Dio; con lealt si sforzino di entrare nel loro ordine di idee e con fattiva ponderazione facciano quello che viene loro ordinato. Nel compimento del loro dovere facciano s che la loro obbedienza sia pronta e precisa senza dilazioni, e semplice senza discussioni inutili. Tutto il nostro Ordine e i singoli religiosi sono soggetti al Romano Pontefice come a loro supremo superiore, e sono tenuti ad obbedirgli anche in forza del voto di obbedienza (Can. 499 1). n. 23 Se per il bene dellOrdine o della Chiesa necessario affidare un incarico ad un frate anche con grave pericolo della sua vita, questo non lo si faccia mai senza prima aver sentito linteressato. Dopo di che il superiore deve agire con molta prudenza non senza aver prima assunto informazioni e sentito il parere di religiosi prudenti. 5. La penitenza 1. Senza penitenza, non c azione soprannaturale sulle anime Il Frate Predicatore si dedica a praticare la penitenza per due motivi principali: Come religioso, egli cerca di riprodurre il mistero della croce, perch nello stato presente la perfezione in questo mistero: Se qualcuno vuol venire dietro a me - dice il Salvatore porti ogni giorno la sua croce. Come sacerdote e pastore danime, egli simmola con Ges per salvare il mondo e per espiare i peccati del popolo. Strana illusione laspirare ad essere degno ministro del Redentore e prestargli unefficace collaborazione senza voler associarsi alla sua Passione mediante la mortificazione universale! Io devo compiere nella mia carne - diceva lApostolo - quello che manca alla passione di Cristo per il suo corpo che la Chiesa. una legge che non ammette eccezione: senza penitenza, non c azione soprannaturale sulle anime. Nella vita del Frate Predicatore, S. Domenico diede un largo posto alla penitenza. Se ne possono distinguere le diverse pratiche in osservanze di regola e in osservanze di consiglio. 2. Le osservanze di regola Vi sono osservanze di regola che riguardano direttamente il corpo: il digiuno da sette ad otto mesi dellanno, lastinenza perpetua, luso esclusivo della lana alle carni, lalzata di notte per lufficio canonico. E vi sono osservanze di regola che sono piuttosto mortificazioni spirituali, come il Capitolo delle colpe, il silenzio e molti altri obblighi della vita regolare. Abbiamo gi riferito il testo del B. Umberto che spiega come i Predicatori presero dalla Costituzione dei Canonici Premostratensi quello che essi vi trovarono di austero (quod arduum) e come aggiunsero molte altre osservanze. Ma le forze umane hanno un limite. Come un uomo votato alle fatiche talvolta opprimenti del ministero apostolico potr abitualmente abbandonarsi a tanto dure penitenze? Come impedire che le osservanze, almeno in certi casi particolari, nuocciano allapostolato, fine essenziale dellOrdine? S. Domenico previde la difficolt. Per conciliar tutto, austerit, studio, apostolato, pose in capo alle Costituzioni la legge della dispensa: Il Superiore avr il potere di dispensare i Frati secondo che giudicher conveniente, specialmente nelle cose che potrebbero impedire lo studio, la predicazione e il bene delle anime. La vita ascetica domenicana in vista dellapostolato, e quindi da esso regolata. Spiega il B. Umberto: Gli statuti dellOrdine non devono essere osservati con una rigidezza tale da impedire allOrdine di raggiungere il suo scopo principale. Ogni volta che gli esercizi penitenziali contrarieranno lapostolato, e solo nella misura in cui saranno un ostacolo, essi cederanno il passo a un bene superiore. Questa legge della dispensa un elemento essenziale, il cui funzionamento assicura la normale attivit dellOrdine. Nella vita quotidiana essa rischiara agli occhi del Predicatore limportanza pratica di ciascuno dei suoi doveri e subordina gerarchicamente i diversi capitoli delle Costituzioni. Egli organizza i diversi elementi, salda lelemento contemplativo con lelemento apostolico e adatta le osservanze alla vita attiva. Questa legge permise a S. Domenico di innalzare lopera sua come un edificio. Egli non aveva avuto modelli precedenti da imitare e non ebbe che poche imitazioni. Tale edificio tanto ardito quanto armonico. Questo Ordine ad un tempo ascetico, contemplativo e apostolico, in cui lausterit prepara la contemplazione che si espande nellazione. Da questo si vede come la discrezione sia uno dei tratti distintivi dello spirito domenicano. Al quale nulla vi di pi avverso che quello spirito di sciocca uguaglianza, che reclama per ciascuno i medesimi diritti e richiede i medesimi doveri. Dio non ha ripartito in misura diversa i doni di natura e di grazia? La Regola vuole che il Priore si sforzi dimitare larte divina nel governo delle anime e gli mette in mano lo strumento delicato della dispensa, per il quale tutti gli elementi sono coordinati per concorrere alla pienezza dellapostolato. Il Superiore un Padre che deve reggere i suoi figli con larghezza di pensiero e di affetto e con pari fermezza, e trattar ciascuno secondo i suoi bisogni e i mezzi che ricevette da Dio. Scrive SantAgostino nella sua Regola: Venga distribuito a ciascuno di voi dal vostro superiore non in maniera uguale per tutti, perch non avete tutti la medesima salute, ma piuttosto a ciascuno secondo le sue necessit. certo che il Superiore deve far in modo che ciascuno dei suoi religiosi segua la via regia dellausterit, poich essa la via normale dei Predicatori. Ma, nellinfervorare la buona volont di tutti, egli terr conto delle differenze fisiche e morali, delle forze e dei bisogni, per misurare il lavoro e il riposo. Si guarder dal distribuire uniformemente lausterit e la dispensa. Piuttosto distinguer la vocazione particolare dei suoi figli, la loro forza e la loro debolezza, ci che hanno ricevuto e ci che danno. In una parola, egli applicher i mezzi per ricavare da ciascuno il bene particolare, che Dio da lui aspetta per la salute del mondo. 3. Pratiche penitenziali di consiglio Sono quelle che le Costituzioni non impongono strettamente ma che si contentano di consigliare con calore. Il loro uso talmente entrato nella vita domenicana che necessario parlarne per tracciar la fisionomia completa del Predicatore. Le Costituzioni raccomandano con forza al Maestro dei novizi di comunicare ai suoi discepoli lo spirito di austerit o di insegnarne loro la pratica: Il Maestro abbia diligente cura nellinsegnare a tutti i novizi di esercitarsi con zelo nella disciplina regolare, affinch imparino il modo di vincere le passioni illecite e i vizi attraverso la custodia dei sensi e la mortificazione. Inoltre che sappiano che cosa siano lausterit, i digiuni, i cilizi e le discipline. In ogni tempo queste pratiche penitenziali furono in onore nellOrdine. S. Domenico aveva dato lesempio. Camminava a piedi nudi per tutte le vie, salvo nellattraversare le citt, e mendicava il suo pane di porta in porta, beveva lacqua delle fonti, era paziente in ogni avversit, e spesso sorrideva alle ingiurie. A Segovia si venera la grotta, ove i ritirava la notte per pregare e per flagellarsi. Quando dimorava a Santa Sabina o a S. Nicol di Bologna, passava la notte in chiesa. Prostrato sui gradini dellaltare, si flagellava tre volte per notte fino a sangue e prolungava la sua veglia e la sua preghiera finch le forze glielo permettevano. Se la fatica era troppo grande e il sonno reclamava i suoi diritti, si appoggiava al muro o si coricava per un istante su una pietra sepolcrale che copriva la salma del papa Alessandro. I figli seguirono coraggiosamente lesempio del loro Padre. Quando noi celebriamo la festa di un santo dellOrdine e succede pi volte alla settimana alla lettura delle lezioni delluffizio siamo sicuri di udire ci che fu chiamato il ritornello del secondo notturno, il racconto del medesimo martirio volontario: domava la sua carne con vigilie, digiuni, flagellazioni e altri esercizi17. Questa nota dausterit una di quelle che stabiliscono lunit nellestrema variet dei Santi domenicani. Per la grazia di Dio, la storia contemporanea su questo punto richiama al pensiero quella dei tempi primitivi. Lo storico del P. Lacordaire non ebbe lardire di raccontare le segrete penitenze che simponeva lillustre Predicatore. Tuttavia il poco che ne disse colm di stupore quelli che avevano ammirato solo lincomparabile eloquenza delloratore di Notre Dame, senza sospettare lausterit del religioso. possibile qualcosa di pi commovente, nella sua semplicit, di quella croce di legno rizzata contro un pilastro della cripta dei Carmelitani, a cui il Restauratore in Francia dellOrdine domenicano si faceva appendere per ore intere, a fine di rassomigliare pi da vicino al divin Crocifisso? Uno degli uditori del P. Besson, colpito dallirradiamento della sua austerit, esclamava: E un crocifisso che parla!. Questuomo cos dolce e dalla conversazione cos soave era in realt un gran penitente: La mobilia della sua cella consisteva in una tavola di abete, su cui erano aperti alcuni libri di teologia; due rozze sedie e, in un angolo, una cassa in forma di bara che gli serviva da letto; il fondo era guarnito di pietre e di pezzi di legno; un volume in foglio di SantAgostino teneva le veci di guanciale, e una coperta di lana, distesa sul letto, celava i suoi strumenti di penitenza e lo avvolgeva durante la notte: l prendeva il suo riposo da sano e da malato18. Sicuramente non ogni Predicatore tenuto a ripetere sopra se stesso ciascuno di questi esperimenti durissimi alla natura ma soavi allanima generosa. Per dallesempio unanime dei suoi Padri, egli deve ritenere che la via normale della sua formazione interiore la via dellausterit. 4. La penitenza non il fine dellOrdine. Resta pur sempre un mezzo. La misura di tale austerit risponder alle speciali attrattive della grazia, specialmente alle indicazioni dellobbedienza. Perch queste penitenze, che il libero amore aggiunge ad osservanze gi austere, devono essere, come tutta la vita domenicana, moderate dalle necessit dellapostolato. Lobbedienza le regola e loro impone quella giusta misura, quella saggia ponderazione, che tiene i religiosi lontani tanto da un ascetismo esagerato quanto dalla mollezza. Essa li mantiene nei limiti di quellammirabile discrezione, nemica del troppo come del troppo poco, tanto raccomandata dai nostri Santi. Dice S. Tommaso: La macerazione del corpo non gradita a Dio se non in quanto viene praticata con la discrezione necessaria: essa deve padroneggiare la concupiscenza senza opprimere la natura19. Parimenti laustero S. Vincenzo Ferreri ricorda ai suoi fratelli che difficilissimo serbare la misura nella penitenza e che una delle pi temibili astuzie del demonio quella che ad un religioso fervente suggerisce delle astinenze e delle veglie esagerate, atte a indebolirlo e a renderlo inetto al ministero20. Il ministero apostolico in realt la ragione dessere del Predicatore, il supremo fine chegli non deve mai perdere di vista. La penitenza, dopo averlo liberato dai suoi legami naturali e alleggerito del suo peso umano, diventa per lui un mezzo per raggiungere questo fine. Ma se per lesagerazione o per la singolarit essa lo distogliesse, lo collocherebbe fuori della sua vocazione. Il Frate Predicatore, dopo aver espiato per se stesso, dirige appunto verso la salute delle anime lefficacia della sua penitenza, ad esempio del suo Padre S. Domenico, che faceva tre parti del suo sangue, che versava nelle sue cruente discipline: la prima per i suoi peccati, la seconda per i peccati dei vivi, la terza per i peccati dei defunti. Cos S. Pietro da Verona si flagellava per convertire pi sicuramente gli eretici. Cos il P. Lacordaire sinfliggeva o si faceva infliggere nel Capitolo di Flavigny incredibili umiliazioni o sanguinose flagellazioni, a fine di soffrire per giustizia per espiare, soffrire per amore per dar prova. Quando si tratta di salvare il mondo con Ges, il religioso potrebbe esitare di fronte alla penitenza redentrice? Le anime salvate, Dio glorificato! Ecco la ricompensa al centu