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L MAGAZINE PER CHI VIAGGIA NELLA LUISS nno 2 n.1 - settembre 2010

Louise settembre

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Louise settembre

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I L M A G A Z I N E P E R C H I V I A G G I A N E L L A L U I S S

Anno 2 n.1 - settembre 2010

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di Giuseppe Castelli L’editoriale

DOVE SIAMO, DOVE ANDREMO

MADAMALouise settembre 2010

E’opinione personale del sottoscritto che il pri-mo numero dell’anno, per via della funzionedi presentazione e di raccordo che esso rivestecon il mondo-Luiss in generale e con MadamaLouise in particolare sia il più difficile ed al tem-

po stesso il più importante. Anche quest’anno MadamaLouise continuerà a svolgere il proprio ruolo fatto di propo-sizione di idee e critiche costruttive, per un giornale univer-sitario scritto con lo spirito di chi legge! Continueremo afare tutto ciò nonostante un ridimensionamento forzato che,al tempo stesso vede i periodici universitari soggetti ad untrattamento disomogeneo tra loro, il che mal si concilia conil concetto del pluralismo dell’informazione. Chiusa questaparentesi, a titolo di precisazione e non di polemica, pas-serò ad affrontare più compiutamente il tema di questo edi-toriale. Il titolo “Dove siamo, dove andremo” ad avviso del-lo scrivente esprime un rapporto di causa – effetto tra laLuiss, luogo dei nostri studi e per certi versi palestra di vita,e quello che nel linguaggio comune viene chiamato “sboc-co”, professionale o lavorativo che sia. Dato per assodatoche ognuno è artefice del proprio destino e che “mamma –Luiss” non si è ancora attrezzata per i miracoli (specie intempo di crisi), fa piacere ed è giusto notare e sottolinearecome per noi “luissini” le premesse per fare bene ed emer-gere non manchino. Tengo a precisare che quanto seguenon è una “sviolinata” del sottoscritto al nostro ateneo,bensì una serie di riflessioni scaturite dal combinato di unaesperienza personale di cinque anni e dall’analisi dell’in-dagine CENSIS 2010. Consultando quest’indagine misono accorto che quelle che in questicinque anni sono state mie impressionipersonali, si sono rivelate essere datireali; infatti i dati Censis valutano chenel periodo che va dal 2006 ad oggila LUISS ha avuto una crescita espo-nenziale nella classifica degli ateneiitaliani. Ma a cosa è dovuta questacrescita? I dati sono imperniati in misu-ra rilevante sulla produttività sotto gliaspetti della didattica (tasso laureati incorso,tasso di abbandono, ecc.) e del-la qualità (es.: numero posti aula periscritto). Date le peculiarità del nostroateneo, è chiaro che tutto ciò altro nonè che il frutto della sinergia tra l’aspet-to didattico e quello direzionale –amministrativo; circa quest’ultimoaspetto, da notare come la poderosascalata iniziata nel 2006 corrisponda

all’insediamento dell’attuale direzione generale e con ciòad una diversa visione dell’università sotto il profilo umanoe sotto quello prettamente manageriale. Riassumendo irisultati della graduatoria Censis riguardanti gli atenei pri-vati, la LUISS per quanto concerne la facoltà di Economiasi posiziona seconda dietro la Bocconi, invece sia lafacoltà di Giurisprudenza che quella di Scienze Politicheguidano al primo posto le rispettive graduatorie. Bisognaaltresì sottolineare che il dato più interessante lo si ricavaallorquando si va ad analizzare la classifica delle univer-sità pubbliche, infatti nonostante esse si trovino in classifi-che distinte rispetto agli atenei privati, effettuando unacomparazione dei punteggi basati sui medesimi coefficien-ti, è possibile redigere una sorta di “classifica assoluta”;graduatoria che ci fa acquisire: un terzo posto assoluto adEconomia (104.5 p.) a solo un punto di distanza dalle pri-me due posizioni e davanti a Pavia (97.8 p.); e ben dueprimi posti assoluti grazie alla facoltà di Giurisprudenzache con 105.8 p. (si pensi che nel 2006 ne aveva 88.3!!)precede Trento (99.8 p.), ed alla facoltà di Scienze politi-che prima con 108.5 p. rispetto a Bologna seconda con104.8 p..Tutto ovviamente è migliorabile ed è risaputo che confer-marsi ad alti livelli è difficile quanto il raggiungerli ma,come si suol dire: “chi ben comincia è a metà dell’opera”;per questi motivi tocca a noi studenti l’impegno più gravo-so, quello cioè di far seguire al nostro “dove siamo” unpercorso coerente e degno di tale inizio. Coraggio colle-ghi miei, ANDREMO lontano!

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Pannunzio. La famiglia della madre apparteneva alla aristocra-zia nera della città. Il padre era un avvocato abruzzese, mili-tante comunista. Pannunzio aveva studiato e si era formato aRoma, frequentando, fin da giovanissimo, gli ambienti lettera-ri e artistici degli anni Trenta ai quali si era accostato fonden-

do lo spirito critico e il tono aristocratico della madre e la passionepolitica del padre. Fu fra i principali frequentatori della celebre salet-ta del caffè Aragno, dove si raccoglieva l’intellighenzia antifascistadell’epoca e dove il giovane Mario si distingueva per il suo ecletti-smo. Si sarebbe tentati di dire che le influenze contrastanti dei geni-tori avessero gettato il seme per un figlio con chiaro orientamentoliberale, fermezza di carattere, disinteresse assoluto, eccezionalediscrezione, naturale riservatezza e amabilità di modi. Qualità acui si aggiunsero un innato gusto artistico, un rigore morale e di stileche trasparivano chiaramente nei giornali e nelle riviste che fondò ediresse. In età giovanile si era dedicato anche alla pittura e al cine-ma come regista, critico e sceneggiatore, attività che gli permiserodi venire a contatto con i più celebri intellettuali d’Europa del tempo.Tuttavia le sue passioni ed inclinazioni principali furono di caratterepolitico, culturale e giornalistico. Nel 1932 fondò, con l’esperto eal tempo più famoso collega Arrigo Benedetti, il settimanale "Oggi"che dovette chiudere dopo pochi numeriper questioni politiche. Collaborò quindicon Leo Longanesi alla redazione del pri-mo rotocalco italiano "Omnibus", prestosoppresso dalla censura fascista. Dopol'armistizio dell'8 settembre del '43, nelperiodo clandestino partecipò alla resisten-za e insieme ad altri militanti fondò il Parti-to Liberale; nel dicembre 1943 fu anchearrestato e imprigionato a Regina Coeliper alcuni mesi, sfuggendo per un purocaso di fortuna alle Fosse Ardeatine. Lapolitica, sia pure espressa con i mezzi chegli erano propri, rimase per Pannunzio l’impegno preminente. Dopola liberazione diresse il "Risorgimento Liberale", che fu consideratoil più bel quotidiano politico del dopoguerra, fino alla sua uscita dalpartito. Nel febbraio del 1949 l’intellettuale toscano dava alla luceil suo capolavoro. Siamo nell’anno della fondazione de “Il Mondo”,che s'impose come uno dei giornali più innovativi del panoramagiornalistico italiano. Il settimanale era ispirato ai valori della demo-crazia laica, riformatrice, europea. «Una cultura laica - diceva Pan-nunzio - è una cultura senza aggettivi». La cultura è semplicementecultura, fine. Non ha aggettivi e casematte di appartenenza. Il diret-tore si dichiarava laico e avere una visione laica, in questo paese,vuol dire essere tout court anti-ideologico, anzi «a-ideologico». Ciòcomporta la possibilità di vincere sul piano culturale e di perderetotalmente sul piano politico. Com'è successo a Mario Pannunzio ea tanti altri uomini di cultura che rappresentano quel fiume carsicoche di tanto in tanto riemerge per depositare materiali di modernitàe di onestà intellettuale. Pannunzio chiamò a collaborare al Mondoirregolari e non allineati, diede voce a tutti gli spiriti liberi, non

inquadrati nelle chiese comunista e democristiana, ponendo al cen-tro la libertà di parola e il senso delle istituzioni e dello Stato. Unritrovo di naufraghi sopravvissuti ad un doppio fallimento politico:quello del Partito d'Azione e quello del Partito Liberale. Il primo siera sciolto, l'altro si era scisso in seguito alla deriva monarchica.C'era qualcuno che simpatizzava con il Partito Repubblicano di LaMalfa, qualcuno che guardava alle vicende dei socialisti, altri conti-nuavano a sentirsi vicini ai liberali. Ad ogni modo politicamenteerano tutti dei «dispersi», come ha scritto Mario Ferrara. Nessunoaveva più una casa politica. Il Mondo divenne la loro unica dimora.Pannunzio fu intransigente verso ogni totalitarismo. Furono anni dibattaglie laiche, liberali e riformatrici in un'Italia pasticciona, buro-cratica, conservatrice, socialcomunista e clericale. Gli anni del Mon-do, animati da spiriti liberi, da «pazzi malinconici», da liberali,repubblicani, socialisti e laici senza tessera, furono forse gli anni più«utopici» proprio perché realistici e concreti nell'Italia del dopoguer-ra. Ma cosa rappresentava Il Mondo per i propri lettori? Era il gior-nale dei ribelli, di chi non accettava supinamente il metodo mani-cheo, di chi respingeva le soperchierie e le storture della vita italia-na e si riconosceva nelle battaglie che il settimanale conduceva peri diritti civili contro il malcostume, le speculazioni, il sottogoverno.

Un giornale indubbiamente di èlites, mache esercitò un grande fascino anche fra igiovani. Il grande prestigio del giornalespiega il numero e la qualità di collabora-tori italiani e stranieri. Grandi firme e since-re amicizie che il direttore Pannunzio ave-va coltivato con discrezione e premura.Apparvero sul Mondo, oltre a quella diBenedetto Croce e dei crociani Carlo Anto-ni e Vittorio De Caprariis, le firme di LuigiEinaudi, Ernesto Rossi, Carlo Sforza, Iva-noe Bonomi, Thomas Mann, WilhelmRoepke, Stephen Spender, Angelo Tasca,

Evelyn Waugh, Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, RiccardoBacchelli, Vitaliano Brancati, Corrado Alvaro, Tommaso Landolfi,Alberto Moravia, Truman Capote, Arturo Carlo Jemolo, EugenioScalfari e moltissimi altri scrittori, studiosi, politici, letterati. E ancora,titolari di rubriche furono Antonio Cederna, Nicola Chiaromonte,Aldo Garosci, Guido Calogero, Giorgio Vigolo, Carlo Falconi,Marco Cesarini Sforza. Nel dicembre del 1955 Pannunzio fu tra ifondatori del Partito radicale, inizialmente denominato Partito Radi-cale dei Democratici e dei Liberali Italiani. La sua esperienza politi-ca, come già detto, non fu fortunata. Il Mondo chiuse per questionieditoriali l’8 marzo 1966. Mario Pannunzio morì in solitudine il 10febbraio del 1968. Ancora oggi è aperta la questione sulla raccol-ta dell’eredità della lezione pannunziana. Si discute se sia stato ildinamico leader radicale Marco Pannella a raccoglierne il testimo-ne o piuttosto un giornalista a vocazione imprenditoriale comeEugenio Scalfari. Tuttavia preferiamo pensare che Mario Pannunziofu un unicum irripetibile , e per certi aspetti irraggiungibile, nella sto-ria degli intellettuali italiani.

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RITRATTI di Lorenzo Castellani

IL MONDO DI MARIO PANUNZIO

MADAMALouise

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5MADAMALouise settembre 2010

Dalla prospettiva delle generazioni giovani, e perchi abbia a cuore il futuro dell’Italia, gli ultimicomunicati dall’Istat assomigliano sempre di piùa dei bollettini di guerra. Quello diramato, peresempio, alla vigilia della festa della Repubbli-

ca racconta che la disoccupazione sta ormai riguar-dando quasi un giovane su tre nel nostro paese, concifre che crescono a ritmi dieci volte superiori rispettoalla disoccupazione media. Le ragioni sono evidenti: i primi contratti di lavoro adessere colpiti dalla riduzione di risorse causata dallacrisi sono quelli a tempo determinato, o atipici di varianatura. Questi contratti riguardano quasi esclusivamen-te persone giovani che, inoltre, non beneficiano dialcun sostegno al reddito o alla formazione. E’ ormai urgente porre un freno alla sperequazionegenerazionale in cui questo paese si sta esercitando daquasi vent’anni. Se non lo si volesse fare per ragioni digiustizia ed equità, lo si dovrebbe fare per ragioni dimera sopravvivenza nazionale, perché un paese chemantiene nell’inattività forzata e nell’assenza di oppor-tunità le sue generazioni più giovani si sta costruendoun futuro di (ulteriore) declino.Durante gli anni ’90, quando era necessario compieredelle riforme economiche severe per rispondere allepressioni della globalizzazione, si è deciso di interve-nire con importanti interventi di flessibilizzazione del

merca to de llavoro e d iriduzione dellaspesa pensioni-stica che hannoriguardato solamente le generazioni giovani. Oggi,anche per effetto di quelle riforme che hanno ristretto lerisorse e le tutele senza tuttavia aumentare le opportu-nità e stimolare la crescita, le giovani generazioni stan-no pagando i prezzi maggiori alla crisi economica. Nel frattempo continuano ad aumentare i giovani pre-parati che decidono di lasciare il paese: l’Italia è ilpaese Europeo in cui il maggior numero di dottoratidecidono di lavorare altrove, con dati di perdita dicapitale umano peggiori anche di paesi come la Polo-nia o la Repubblica Ceca. Aumentano anche i giovaniscoraggiati, quelli che perdono la speranza e smettonodi cercare lavoro. Tecnicamente sono gli “inattivi”, chenon si considerano nemmeno disoccupati, dato che illavoro non lo cercano più. E’ un quadro molto cupo epreoccupante, che meriterebbe interventi urgenti emirati.Articolo scritto da Marco Simoni, membro del ComitatoPromotore di Italia Futura, insegna economia politicaalla London School of Economics, dove è coordinatoredel Master in Public Administration in European Publicand Economic Policy.

SENZA GIOVANI IL PAESE NON CRESCE

Il 2009 anno della svolta è alle spalle, nel frattempo il progetto iniziale è cresciuto e ora la squadra è pronta adaffrontare per il secondo anno consecutivo la sfida del calcio dilettantistico nel campionato di Terza Categoria (gironelaziale).Con l’entusiasmo, la correttezza e la grinta che da sempre contraddistinguono chi negli anni ha fatto parte di questainiziativa! Nessuna paura di confrontarci: l’obiettivo è puntare al massi-mo, nello sport come nello studio.Per la nuova stagione 2010/2011, le sfide sono ancora più affascinanti.Con uno staff ormai rodato e tante energie in più pronte a sostenere lanostra avventura, dentro e fuori dal campo!Siamo pronti ad un anno di grande impegno e …successi!Il calcio in Luiss nasce nel 2003, dall’iniziativa di alcuni studenti, conl’intento di imitare il percorso intrapreso alcuni anni prima dal Basket,replicando il modello americano delle squadre universitarie. Entra anchetu a far parte del nostro gruppo!! Info: [email protected]

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POLITICALLY UNCORRECT

MADAMALouise

Bye Bye Silvio. Un arrivederci, forse un addio. Un"patto di legislatura", quello chiesto da Fini, che perqualcuno ha il sapore delle elezioni e per qualcunaltro rappresenta un ibrido poco convincente. Il pre-sidente della Camera ha posto fine ad una torrida

estate di polemiche politiche (e gossippare) con il discorsodi Mirabello. Direttamente dal palco della festa Tricolore,Gianfranco Fini ha spianato la strada alla svolta finiana,rispondendo alle critiche, levandosi qualche sassolino(neanche troppo piccolo) e proponendo il nuovo manifestoall'insegna di "Futuro e libertà". L'ex numero 1 di An non siè fatto problemi a mettere una croce sul Pdl ("non c'è più")e sugli ex colonnelli ("hanno cambiato generale"). L'exsegretario dell'Msi ha preteso la svolta, quella che noncostringesse lui e i suoi a rimanere intrappolati in una sco-moda parentesi dello strapotere berlusconiano. Fini ha volu-to emanciparsi una volta per tutte dal premier per prosegui-re il cammino politico, a maggior ragione dopo esser statoliquidato alla stregua di un avversario qualsiasi. In barbaalla qualifica di cofondatore. D'altronde la breve (e disgra-ziata) esperienza nel Pdl ha mostrato che il progetto di reu-nion popolare del centrodestra non è possibile. Non per tut-ti, almeno."Eravamo sinceramente convinti – scrive Filippo Rossi, diret-tore di Farefuturo Web magazine – che le nostre posizionipotessero scorrere nei canali dellademocrazia interna..(…) certo, Berlu-sconi aveva tante questioni personalie aziendali (quante se ne potrebberoelencare) ma era comunque un lea-der con un sogno, una lucida fol-lia; Berlusconi, insomma, nonera come lo descrivevano isuoi nemici. Ed è in base aqueste cer tezze che loabbiamo difeso per anni,sperando nella sua capa-cità di spiccare il volo ediventare un grande politi-co, uno statista". E invece

qualcosa è andato storto, i finiani si sono sentiti mancare laterra sotto i piedi e le loro posizioni sono state messe all'an-golo, con qualche esuberanza di troppo da ambo le parti."Ammettiamolo: ci abbiamo creduto", rivela Flavia Perina,direttrice del Secolo d'Italia (da cui è sparita la dicitura"quotidiano nel Pdl"). "L’errore da non compiere mai più -conclude la deputata Fli - è pensare che, chiuso il Novecen-to, esistano ancora uomini della Provvidenza".Ma adesso che ne sarà di loro? I finiani assicurano chenon ci sarà nessun "ritorno ad An", ma si andrà "oltre". Unpartito? Inevitabile, anche se il presidente della Cameranon ne ha fatto menzione a Mirabello. Strade diverse, que-sto è sicuro. Alla ricerca di una destra nuova che però devefare i conti con numeri, elezioni e ipotetiche alleanze. Alcentro Rutelli e Casini strizzano l'occhio, a sinistra qualcu-no ammicca. A destra sostano anche diversi cattolici delusi(e sono più di quanti sembrano) che tentennano davantialla laicità (dal sapore laicista) di talune posizioni finiane.La sfida più grande è rappresentata proprio dalla sostanzavaloriale e programmatica che formerà il battagliero grup-po finiano, ormai deciso a volare con le proprie ali. Maga-ri intercettando tanti ex berlusconiani redenti, anche se, adoggi, bisogna capire quali.Nel frattempo Farefuturo guarda ai mesi che verranno elancia una "scherzosa" richiesta a Santa Claus. "Caro Bab-bo Natale, fai dimettere Minzolini", scrive Federico Brusa-

delli che auspica "un telegiornale tutto nuovo,degno di questo nome, che conosca dove sta

di casa il pluralismo". Il tutto poche ore pri-ma dell'apparizione di Gianfranco Fini altg di La7 condotto da un grande EnricoMentana. A proposito di richieste, già da

diverse settimane "Il Giornale", oraaffiancato dagli stati generali del Pdle da Bossi, invoca a gran voce ledimissioni di Fini, con tanto di fir-me raccolte tra i lettori nel caldotorrido di agosto. Caro BabboNatale, quest'anno non t'invidioper niente.

IL FUTURO DEI FINIANI TRA L'ELETTORATO CATTOLICO E BABBO NATALE

di Marco Fattorini

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di Daniele UrciuoloOUTSIDER

“TRA MOGLIE E MARITO NON METTERE ILCOGNATO PARASSITA…(e neanche l’ex vecchio compagno latitante)”

MADAMALouise settembre 2010

“Lui, lei, il fratello di lei, e l’altro”, al cinema, noa Montecitorio! Scherzi a parte, questopotrebbe essere un ottimo titolo per un film ori-ginale tutto all’italiana: un mix tra un modernospaghetti-western in salsa “pop” e un appas-

sionante thriller alla C.S.I., con tanto di scandalo nazionalee omicidio con movente passionale. Gli ingredienti per unapellicola di successo ci sono tutti, e anche di più. CarloVanzina, in un’intervista ad “A” ha fotografato, come sem-pre, molto bene la nostra realtà, dicendo che siamo un“popolo di santi, poeti, navigatori e cognati”. Viviamo diapparenza, tv, gossip, futilità, denaro, fama, escamotages,spintarelle, e il Tulliani-Gate è tutto questo e temo che cifarà compagnia ancora per molto, molto tempo. Ma andia-mo con ordine, anche se qui l’ordine ha decisamente persola via di casa. Eh si, perché se avessimo seguito un ordinein Italia, adesso non staremo a parlare di Giancarlo Tullia-ni. Giancarlo è un giovane belloccio di 34 anni, attualmen-te nullatenente, ma vive a Montecarlo in un appartamentosulla Rue Princess Charlotte, al civico 14, lasciato in ereditàal partito di Alleanza Nazionale dalla contessa Colleoni, egira in Ferrari. Per niente strano, se pensate che nella sua“vita da cognato”, è stato presidente della società calcisti-ca della Viterbese a soli 23 anni, grazie a Gaucci e ora fail produttore televisivo con la azienda di titolarità dellamadre, la Absolute television media,e strappa contrattimilionari alla Rai, grazie alle telefonate di Fini. Un succes-so ottenuto grazie ad altri. Gli altri si chiamano Fini, Gauc-ci, ma soprattutto Ely, “The sister”. Elisabetta Tulliani, lasorella di Giancarlo. Se Iva Zanicchi è l'Aquila di Ligon-chio, Mina è la Tigre di Cremona e Milva la pantera diGoro, Elisabetta è senza dubbio la volpe di Roma. Infatti labella avvocatessa, che con Elisabetta Canalis ed ElisabettaGregoraci non ha in comune solo il nome, cosa ha fatto?Prima si è fidanzata con Big Luciano, non Pavarotti, maGaucci. Il simpatico, paffuto e già allora attempato expatron del Perugia Calcio, che, prima di fuggire per unalunga latitanza a Santo Domingo, per scampare alle accu-se giudiziarie di bancarotta fraudolenta e altri vari reatifiscali legali al fallimento della sua società, le ha intestatola proprietà di immobili, regalato gioielli preziosi e pureuna vincita miliardaria al Superenalotto. Era il 1998. Poi lagiovane, non sazia di arrampicarsi, decide di puntareancora più in alto, e durante la sua scalata sociale si

imbatte in personaggi interessanti come Vittorio Sgarbi, ilMinistro la Russa, tenta anche la carriera politica ma ottie-ne solo il rinnovo dell’abbonamento alla Freccia alata del-l’Alitalia. Un bel giorno però, la folgorazione: incontraGianfranco Fini, grande statista, professionista nel lavoro enella vita privata (era sposato da anni). Ma nulla spaventala volpe laziale che, in poco tempo lo ammalia, lo addo-mestica e lo conquista con la sua “intelligenza”. E locostringe a separarsi. Oggi, Fini è il Presidente dellaCamera, viaggia con aerei di Stato e lei, da first lady, hasfornato due figli e non ha più bisogno della Freccia alata.Intanto Gianfry, ai ferri corti col premier Berlusconi (che vain giro a siglare contratti milionari con Gheddafi e Ibrahi-movic), e, in disaccordo con il PDL, ha deciso di fondareun nuovo movimento politico, dal nome “Futuro e Libertà”,ma altro che libertà; il nostro si è trovato con le mani lega-te, al centro di uno scoop senza precedenti. Altro che Clin-ton-Lewinsky, il Fini-Tulliani è molto più avvincente. E chissàcosa ci riserverà il futuro. Io sono sempre più convinto cheSilvio e i suoi scagnozzi (Feltri e Belpietro) avessero già datempo il dossier Tulliani tra le mani e stessero solo aspettan-do il momento giusto, per prendersela con Guida traditoree scaraventarli tutto ciò e scatenare un vero e proprio infer-no, e senza bisogno di scomodare Luca Ward, il doppiato-re di Russel Crowe, per fargli pronunciare la celebre frasede Il Gladiatore: “Al mio segnale scatenate l’inferno!”. Maper saperne di più ci toccherà aspettare le prossime punta-te della soap Tullianiful!

Daniele Urciuolo, blogger: www.danieleurciuolo.com.

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STORIE

Un sognatore idealista, un pazzovisionario, un corruttore incorruttibi-le e un grande patriota: EnricoMattei è l’architetto dell’espansionedel settore petrolifero in Italia e uno

dei protagonisti indiscussi del “boom eco-nomico” italiano. Il “petroliere senza petrolio” nasce il 29 Aprile1906 a Acqualagna, nella provincia marchigiana, da un’umile fami-glia. Il padre Antonio, sottufficiale dei Carabinieri, data la sua pocainclinazione e scarso successo negli studi lo fece assumere in unaazienda marchigiana di letti metallici a Matelica, dove nel frattempola famiglia si era trasferita. Nel 1929, fallita l’azienda a causa dellacrisi economica, Mattei si trasferì a Milano, dove cominciò una nuovaattività come rappresentante della Max Meyer, una ditta di colori asmalto e solventi. Il suo carattere da leader, il suo spirito imprenditoria-le e le conoscenze maturate nel settore chimico lo spinsero ad aprire,con capitali modesti, all’età di trent’anni, l’”Industria chimica lombar-da grassi e saponi”, che rappresenterà per tutta la sua la sua princi-pale fonte di reddito. Con l’avvento della seconda guerra mondialeMattei chiuse la sua fabbrica, per evitare che fosse confiscata daitedeschi e riconvertita ad uso bellico, e si unì alla resistenza tra le filacattoliche. Da partigiano giocò un importante ruolo di collegamentofra le varie milizie del Comitato Alta Italia, tanto da meritarsi la testadel corteo che sfilò a Milano il 25 Aprile, giorno della Liberazione.Cessate le ostilità a Mattei fu affidato, da De Gasperi, il compito diliquidare l’AGIP, considerato un “vecchio carrozzone” retaggio dellapolitica economica delle aziende di stato fasciste; le autorità politichespingevano per una rapida vendita alle società petrolifere americaneche offrivano 250 milioni. Insospettito per la “generosità” dell’offertaper una scatola vuota, Mattei fu persuaso a non liquidare dall’ex diri-gente dell’AGIP, Carlo Zanmatti, dopo avergli mostrato il pozzo diCaviaga, occultato durante la guerra. Mattei intuì subito le possibilitàche una rinascita dell’Agip avrebbe offerto e cominciò , da un lato, aprocrastinare la firma degli atti della cessione, dall’altro a cercare ifondi necessari per operare e per tappare i terrificanti buchi del bilan-cio AGIP,e lo fece ipotecando la sua azienda lombarda. Ottenute lerisorse che gli servivano, si lanciò in un audace opera di distribuzionedel metano nel Nord, fondamentale per l’approvvigionamento delleindustrie, che necessitavano di energia a basso costo per svilupparsi:chilometri e chilometri di tubature vennero distese in tutta la Lombar-dia. Il suo metodo non era certo ortodosso: scavando quasi sempresenza autorizzazioni (egli stesso si vantava di aver violato più di otto-mila ordinanze) i sindaci delle varie città venivano messi sempre difronte al fatto già compiuto, così da non fargli perdere tempo per otte-nere i permessi. La svolta arrivò nel 1949: a Cortemaggiore vennetrovato il petrolio. In verità si trattava di greggio di qualità mediocre ea quantità esigue ma Mattei, sfoderando le sue capacità di comunica-tore e di venditore, sedusse l’opinione pubblica nazionale facendolecredere davvero che fosse giunta l’era del petrolio. Il bluff riuscì, e fuun successo. Nel 1952 fu fondata l’ENI (Ente Nazionale Idrocarburi),come logo fu scelto il cane a 6 zampe, rappresentative delle sei

società del gruppo, con una fiamma, la fiamma era lui. Nel giro dipochi anni l’ENI disseminò l’Italia di aree di sosta, introdusse sullenostre strade i motel, costrui uffici, alloggi per i dipendenti, scuole, stra-de, villaggi turistici: la crescita del gruppo non poteva che passareattraverso lo sviluppo del Paese. Ma il petrolio di Cortemaggioreormai non bastava più per inseguire la locomotiva dello sviluppo; Enri-co Mattei decise allora di intraprendere la battaglia della sua vita, leconcessioni di ricerca e sfruttamento sarebbero state il suo terreno discontro, in Italia e all'estero, la sua chimera a sei zampe avrebbedovuto aggirare il cartello delle “sette sorelle”, le grandi compagnieanglo-americane che rappresentavano tutta l’offerta del mercato delgreggio. Per ingraziarsi il consenso dell’opinione pubblica fondò ilquotidiano il Giorno e non esitò a finanziare partiti politici (fonti gior-nalistiche sostengono con fondi neri), egli li definiva come dei“taxi”:“Salgo, pago la corsa, scendo” . In seguito cominciò a nego-ziare accordi direttamente con i Paesi ricchi di petrolio, ma poveri,presentandosi come contropotere agli interessi delle grandi compa-gnie. Mattei offriva il 75% sugli utili, invece del 50% delle “Sette Sorel-le”, aiuti allo sviluppo economico e sociale, in ossequio al suo idealedi “Capitalismo etico”, ma soprattutto, e fu questo il successo del “mat-teismo”, trattò i suoi interlocutori alla pari. Ad uno ad uno Persia,Libia, Egitto, Giordania, Tunisia, Libano, Marocco, e Algeria, che siimpegnò a costruire un oleodotto, sottoscrissero accordi con colui chesi atteggiava sulla scena internazionale col piglio di un capo di Stato.Ma proprio quando il progetto di indipendenza energetica aveva pre-so piede, la sera del 27 ottobre 1962, nei pressi di Bascapè, l’aereosu cui viaggiava il presidente dell’ENI, di ritorno da Catania, esplosein volo. Con lui perirono il pilota, Irnerio Bertuzzi, e il giornalista ame-ricano William McHale. La pista dell’attentato sembrò subito la piùpalese: nei suoi anni alla guida dell’Eni, Mattei aveva collezionatouna lunga lista di nemici interni ed esterni, in primis le compagniepetrolifere americane, il gruppo terroristico francese dell’Oas, che glifece recapitare minacce di morte per aver appoggiato il Fronte di libe-razione algerino, nemici in Parlamento e pare poi che i suoi metodiper la costruzione del petrolchimico di Gela non fossero stati troppoapprezzati in Sicilia...L’ inchiesta presieduta dal generale dell’Aero-nautica Ercole Savi, si concluse ben presto dichiarando l’impossibilitàdi “accertare la causa” del disastro, ma nuove scottanti rivelazioniemersero trent’anni più tardi, quando il pentito di mafia GaetanoIannì dichiarò che ci fu un accordo tra non meglio identificati “ameri-cani” e Cosa Nostra per eliminare Mattei. La nuova indagine giudi-ziaria portata avanti con nuove tecniche, iniziata nel 1997 e conclu-sasi nel 2005, ha accertato la presenza di esplosivo sull’aereo eammettendo che esso venne “dolosamente abbattuto”. Molto proba-bilmente la verità, come spesso accade in questo Paese, non la sapre-mo mai, ma la memoria dell’operato di Mattei non può essere insab-biata allo stesso modo. Nel corso della sua vita egli combatté per libe-rare il suo Paese dal totalitarismo prima, e dalla schiavitù energeticapoi, il suo spirito indomito lo fece protagonista nell’Italia del miracoloeconomico, ma ne decretò anche la fine. Infrangersi al suolo per avervoluto troppo distaccarsene è stato il destino di Enrico Mattei.

di Antonello Frasca

LA SFIDA DI ENRICO MATTEI

MADAMALouise

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Cari Direttori, cari Lettori, stanno riprendendo in

queste settimane le numerose attività dell’Asso-

ciazione Cultura Democratica, un’organizzazio-

ne di persone e valori il cui scopo è quello di

informare, valorizzare e responsabilizzare il cit-

tadino riguardo i principali temi di dibattito politi-

co, filosofico e scientifico in Italia e nel mondo

promuovendo il libero sviluppo della coscienza

storica e sociale del singolo attraverso confe-

renze, dibattiti, pubblicazioni e ogni altro mezzo

di libera manifestazione del pensiero.

Cultura Democratica nasce come risposta alla

crescente indifferenza che i giovani nutrono nei

confronti della politica e, quindi, nel futuro del

nostro Paese. L’ambizione di questa Associazio-

ne, infatti, è quella di riempire il vuoto democra-

tico lasciato dagli onesti cittadini con nuove

idee, nuova energia e nuove speranze. Se

vogliamo un’Italia migliore dobbiamo vivere

questa democrazia, ma viverla coscientemente

e responsabilmente. La nostra è una passione

di libertà sempre illuminata dalla ragione. Nel-

l’estate del 1981, Enrico Berlinguer, intervistato

da Eugenio Scalfari, denunciava la trasforma-

zione dei partiti in macchine di potere e poneva

al centro del dibattito politico italiano la questio-

ne morale: “I partiti di oggi sono soprattutto

macchine di potere e di clientela: scarsa o misti-

ficata conoscenza della vita e dei problemi della

società e della gente; idee, ideali, programmi

pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero.

Gestiscono interessi, i più disparati, i più con-

traddittori, talvolta anche loschi, comunque sen-

za alcun rapporto con le esigenze e i bisogni

umani emergenti, oppure distorcendoli, senza

perseguire il bene comune”. Oggi, dopo quasi

trent’anni, quella famosa intervista conserva

ancora tutta la sua drammaticità e ci comunica

nuovamente, con forza, la necessità di un cam-

biamento. Mai come in questo momento, infatti,

il nostro Paese è chiamato a fare i conti con le

colossali inadempienze storiche che gli impedi-

scono una presa di coscienza del proprio ruolo

in Europa e nel mondo. L’elenco delle sfide da

affrontare e risolvere è sterminato, quasi ango-

sciante. C’è un problema di unità del Paese. C’è

un problema di laicità dello Stato. C’è un proble-

ma di preservazione dello Stato di diritto. C’è un

problema di separazione tra interessi privati e

interesse pubblico. C’è un problema di ceto poli-

tico mediocre e autoreferenziale. C’è un proble-

ma di politica industriale. C’è un problema di

priorità nelle politiche delle istituzioni scolasti-

che e formative. C’è un problema di difesa del-

l’ambiente. C’è un problema di ricerca scientifi-

ca e di buona cultura. Ma per affrontare queste

sfide c’è bisogno di un cambio di passo. Occor-

re una classe politica seria e onesta, preparata

e lungimirante; ma ancora di più una società

civile cosciente e attiva che dia il proprio contri-

buto in termini culturali e ideali. Il nostro Paese

necessita di un umanesimo politico, una risco-

perta di quella vocazione all’impegno civile e

quel senso di responsabilità collettiva nei con-

fronti della società che è andato in gran parte

smarrito. Tutte le forze migliori della società ita-

liana devono inserirsi nel dibattito pubblico,

anche al di fuori dei partiti, facendosi portatrici

di un nuovo ideale di politica, una politica che

affondi le proprie radici nella cultura europea e

nei valori di cui essa è espressione. Solo così

potremo avere una politica delle idee e non del-

le ideologie, della convinzione e non del consen-

so, del confronto e non dello scontro; una politi-

ca che riscopra la forza costruttiva del dialogo

in vista di un’Italia migliore, più moderna, più

giusta. Il principale obiettivo della nostra Asso-

ciazione, pertanto, è quello di riavvicinare la

società civile ai grandi temi della politica e, con-

temporaneamente, diffondere un’ideale di poli-

tica più alto, volto al bene comune e non asser-

vito a ciechi particolarismi. La vera sfida, dun-

que, è una sfida culturale, perché anche i pro-

blemi in apparenza più immediati, e che per

loro natura sembrerebbero confinati sul piano

delle ideologie e degli interessi e delle lotte di

partito, hanno in realtà connessione con i pro-

blemi più vasti e universali che l’uomo è chia-

mato a risolvere. Al di là delle convinzioni politi-

che, tra i cittadini di una democrazia ci deve

essere una base comune che è quella del

rispetto dei diritti e dei principi sanciti nella

Costituzione, dei valori della legalità e della

meritocrazia. Noi di Cultura Democratica voglia-

mo contribuire a ricreare tra gli italiani questa

base comune, andata negli anni in gran parte

smarrita, dalla quale solo può nascere una dia-

lettica costruttiva tra le forze sociali e politiche

all’insegna della lungimiranza e della serietà. La

democrazia è la forma di Stato più impegnativa

perché necessita della nostra fiducia, delle

nostre energie e del nostro coraggio. Ma la

democrazia è anche l’unica forma statale che

rispetta la nostra dignità e ci riconosce capaci di

discutere e decidere sulla vita pubblica del

nostro Paese. Quello che chiedo a tutti voi, per-

tanto, è di essere lungimiranti: noi giovani dob-

biamo fare un investimento per il futuro, dobbia-

mo investire su noi stessi. Dobbiamo essere noi

a cambiare questo Paese divenendone una

classe dirigente seria e onesta. Siamo noi che

dobbiamo portare i valori di legalità e meritocra-

zia al primo posto nella società del domani. Sia-

mo noi che oggi ci troviamo di fronte a una scel-

ta: trascinarci accidiosamente sul sentiero trac-

ciato da questa classe politica oppure incammi-

narci coraggiosamente per la via della libertà, la

via della democrazia. Cultura Democratica vuo-

le essere un laboratorio di idee per il futuro, un

luogo di dialogo e confronto dove, senza sterili

pregiudizi ideologici, si discuta con serietà e lun-

gimiranza in merito alle questioni su cui oggi si

gioca la sfida alla modernità che il nostro Paese

è chiamato ad affrontare. Ciò di cui più andia-

mo orgogliosi noi ragazzi di Cultura Democrati-

ca sono le conferenze che organizziamo presso

la sede della Fondazione Lelio Basso, appena

dietro Palazzo Madama. In queste meravigliose

occasioni filosofi, storici, giuristi, economisti,

scienziati, giornalisti e altri illustri esponenti del-

la società civile intervengono e discutono con

noi in merito alle questioni di maggior interesse

e attualità nel panorama politico italiano e inter-

nazionale. In questo luogo dove presente e pas-

sato dialogano per costruire un futuro migliore

noi scorgiamo ogni volta quegli ideali di politica

e democrazia che rappresentano l’apporto più

originale e vero che l’Europa abbia dato alla sto-

ria del pensiero umano. A nome di tutti i ragazzi

di questa Associazione, che anche quest’anno

proseguirà il suo percorso di riavvicinamento tra

politica e cultura, lancio dunque un invito a tutti

i lettori di questo giornale a incuriosirsi, parteci-

pare e cogliere questa opportunità nata dall’ini-

ziativa di cinque studenti di diverse Università

romane ma aperta a tutti coloro che hanno il

futuro negli occhi e la Costituzione nel cuore.

Noi abbiamo scelto di essere il cambiamento

che vogliamo vedere nel mondo e forse, per

questo, possiamo essere considerati dei sogna-

tori, ma meno di cinquant’anni fa, quando Mar-

tin Luther King diceva che un giorno bianchi e

neri sarebbero saliti sullo stesso autobus e

avrebbero frequentato le stesse scuole, veniva

additato come un folle. La verità è che solo colo-

ro che sono abbastanza folli da credere di poter

cambiare il mondo, lo cambiano davvero.

Il Presidente dell’Associazione Cultura Demo-

cratica

Federico Castorina

[email protected]

www.culturademocratica.org

di Federico Castorina CULTURA

L’ASSOCIAZIONE CULTURA DEMOCRATICA E LA NECESSITÀ DI UN UMANESIMO POLITICO

MADAMALouise settembre 2010

Page 10: Louise settembre

settembre 201010 MADAMALouise

UNIVERSITASdi Giuseppe Castelli

Per l' inizio di questo nuovo anno accademico MadamaLouise ha scelto di intervistare Francesco Mattia Sgura,neoeletto Consigliere Nazionale degli Studenti Universi-tari. Gli abbiamo chiesto informazioni riguardo il CNSUe le attività da esso svolte.

Consigliere, innanzitutto ben ritrovato e com-plimenti per la vittoria di queste elezioni.Raccontaci un po' della tua campagna eletto-rale.«Ti ringrazio, devo dire che è stato un successo impor-tante sia per il sottoscritto che per la LUISS, che ancorauna volta può vantare un suo esponente fra i 30 delCNSU. E' stata una campagna elettorale lunga ed impe-gnativa in quanto la circoscrizione “Italia Centrale” all'interno della quale sono stato eletto comprendeva le uni-versità di ben quattro regioni: Lazio, Umbria, Toscana eAbruzzo. E' stato un grande successo che dedico a tuttigli amici che in questa sfida si sono battuti senza sostaper far valere un certo modello di politica universitaria».Vale a dire?«Senza etichette, decisa a risolvere i veri problemi dellostudente italiano, una politica senza fronzoli, concreta ecostruttiva».Analizziamo meglio i tuoi compiti, molti stu-denti non conoscono bene il ruolo del CNSU.«Il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari è unorgano consultivo che rappresenta tutti gli universitariitaliani in seno al Ministero dell' Istruzione Università eRicerca. Formuliamo al Ministro pareri e proposte diqualunque contenuto, didattiche, infrastrutturali, ammini-strative, legislative. A tal riguardo siamo concentrati in

questo momento sulla riforma dell' Università, attualmen-te al vaglio del Parlamento».Quali sono i tuoi programmi politici futuri?«Ho sempre creduto che l' Università italiana avesse del-le importanti carenze sotto il profilo del diritto allo stu-dio .Il mio impegno in questi mesi si concentrerà su duetemi in particolare che devono essere affrontati subitoper la loro importanza, mi riferisco alle carenze nei set-tori delle borse di studio e dell'edilizia universitaria».Proprio da questo giornale lo scorso anno haicurato una inchiesta sull'edilizia universitariain Italia e nel Lazio in particolare, da cui risul-tarono le gravi carenze di questa regione inmerito. Come pensi di agire?«Dal lavoro svolto con Madama Louise in questi mesi sievince che il problema centrale dell' edilizia universita-ria non è quello del reperimento fondi per la costruzionedegli alloggi, anzi, diverse sono state le case dello stu-dente aperte o ristrutturate nell' ultimo anno.Il nodo fon-damentale è la gestione di questi impianti che una voltaaperti vengono abbandonati al loro destino senza unminimo controllo o manutenzione, trasformandosi in cen-tri di degrado studentesco, una situazione intollerabileper il nostro Paese. Mi impegnerò assieme agli Atenei eal C. d. A. di LAZIODISU ( ente che gestisce il dirittoallo studio nel Lazio) per una gestione efficiente di que-sto patrimonio immobiliare».Al riguardo qual' è la situazione della nostrauniversità?«Devo dire che la LUISS sotto questo punto di vista è unesempio di virtuosità ed efficienza ; gli alloggi universi-tari sono raddoppiati nel giro di un anno, le strutturesono all'avanguardia e si punta ad ampliare ulterior-mente il numero dei posti letto».Cosa vuoi dire alle nuove matricole?«Innanzitutto do loro un caloroso benvenuto, consiglioa tutti di godersi questi anni perché saranno i più inten-si della loro vita, di sfruttare a pieno le opportunità chela nostra università ci offre e soprattutto di non perderemai di vista l' obiettivo principale: laurearsi!!!Per il resto sono a loro completa disposizione per qual-siasi eventualità».

Grazie, buon lavoro«Grazie a voi, un forte abbraccio alla “mia” redazio-ne».

INTERVISTA A FRANCESCO SGURA NEOELETTO MEMBRO DEL CNSU

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SOCIETAS

MADAMALouise settembre 2010

Oltre che guida spirituale più influente del buddhismo tibe-

tano, il Dalai Lama è anche, per tradizione, il capo di stato

del Tibet con potere decisionale. Il 17 novembre 1950 Ten-

zin Gyatso venne incoronato come guida temporanea del

Tibet. In quello stesso anno la Repubblica Popolare Cinese

invase il Tibet; l’invasione e l’occupazione di questo Stato costituirono

un’inequivocabile atto di aggressione e di violazione della legge inter-

nazionale. Inizialmente il Dalai Lama tentò una pacifica convivenza

con i cinesi ma con il passare del tempo le mire colonialiste della Cina

divennero sempre più evidenti. Il 10 Marzo 1959, il risentimento dei

tibetani sfociò in un’aperta rivolta nazionale che fu brutalmente

repressa dall’Esercito di Liberazione Popolare Cinese con l’uccisione di

ben 87.000 civili. A quel punto il Dalai Lama fu costretto a fuggire e,

seguito da 100.000 tibetani, chiese asilo politico in India dove fu

costruito un governo tibetano in esilio fondato su principi democratici.

Malgrado la figura del Dalai Lama sia secolare e rappresenti un capo-

saldo per tutta la cultura buddhista tibetana, la Cina ha deciso di arro-

garsi il diritto di nominare in futuro le nuove reincarnazioni di questa

importante carica religiosa, prerogativa che spetta invece a soli lama

tibetani. Il primo passo da parte dei cinesi in questa direzione è stato

compiuto nel 1995, quando rapirono la supposta reincarnazione del

decimo Panchen Lama: il Panchen Lama è la seconda autorità spiritua-

le del Tibet, sottoposta solo a quella del Dalai Lama e determinante

per il ritrovamento della sua reincarnazione. Il potenziale undicesimo

Panchen Lama fu identificato dall’attuale Dalai Lama nella persona di

Gedhun Choekyi, ma dal 1995 non si hanno più notizie né di lui,né

della sua famiglia, che ufficialmente sono posti sotto la “tutela protet-

tiva” del governo di Pechino. Nel settembre del 2007, la Cina ha affer-

mato che tutti gli alti monaci tibetani dovranno essere nominati dal

suo governo e che, in futuro, questi dovranno eleggere il 15° Dalai

Lama.

La fuga di Sua Santità il Dalai Lama e le successive misure repressive

militari in Tibet divennero titoli sulla stampa internazionale. La bru-

tale repressione incontrata dai tibetani coinvolti nell’insurrezione con-

tro il dominio cinese e l’intolleranza comunista cinese violentemente

espressa contro il Buddismo tibetano, spinse L’Assemblea delle Nazioni

Unite a passare tre diverse risoluzioni nel 1959, 1961 e 1965, condan-

nando le violazioni da parte delle autorità cinesi dei diritti dell’uomo e

delle libertà fondamentali del popolo tibetano, compreso il loro diritto

all’auto-determinazione. Nella risoluzione del 1961, l’Assemblea

Generale rinnovò la sua richiesta per la cessazione di tutte le pratiche

che privano il popolo tibetano dei diritti umani e delle libertà fonda-

mentali di cui hanno sempre goduto. Malgrado il documento governa-

tivo cinese sostenga che da allora ci sia stato un miglioramento cumu-

lativo della situazione dei diritti umani in Tibet, La Sottocommissione

delle Nazioni Unite sulla prevenzione della discriminazione e protezio-

ne dei diritti delle minoranze, che

ha sede a Ginevra, esprime preoc-

cupazione per le continue violazio-

ni delle libertà e dei diritti umani

fondamentali che minacciano la

distinta identità culturale, religiosa

e nazionale del popolo tibetano, e

invita la Cina a rispettare piena-

mente i fondamentali diritti umani e le libertà del popolo tibetano. Al

contrario di quanto riconosce il governo cinese, il Tibet consiste nella

Cholka-sum, ovvero le tre province di U-Tsang, Kham ed Amdo ed era

un paese indipendente de jure e de facto quando la Cina lo invase;

questa acquisizione di controllo militare costituisce l’invasione di uno

stato sovrano in chiara violazione del diritto internazionale e l’odierna

continuata occupazione del Tibet, rinforzata da una forte presenza

militare,costituisce una perdurante violazione di tale diritto.

Invece di pubblicare inutili documenti governativi a proprio uso e con-

sumo, è assolutamente necessario che la Cina smantelli la sua struttura

coloniale in Tibet. Tutti nel mondo, tranne la dirigenza intransigente

di Pechino, considerano che questa politica sia miope e si dimostrerà

disastrosa a lungo termine; lo stesso Melvyn C. Goldstein, un erudito

del Tibet citato con approvazione dall’ultimo documento governativo

cinese, afferma:” il nocciolo della questione è che è improbabile che i

tibetani restino seduti ancora molto a lungo a guardare Pechino tra-

sformare la loro patria impunemente. Il sentimento nazionalistico

combinato con la rabbia e la disperazione fa un potente fermento e ci

sono tibetani, all’interno e all’esterno, che favoriscono una campagna

di violenza mirata”. Nonostante tutto il Dalai Lama continua ad essere

un simbolo e una guida non solo politica ma soprattutto spirituale per

questo popolo che si è visto privato ingiustamente delle proprie libertà

e della propria terra. L’ultimo incontro dell’Assemblea Generale Tibe-

tana, tenutosi a Bylakuppe, India l’1 settembre e presenziato da ben

trecento tibetani provenienti da tutto il mondo ha espressoall’unani-

mità la sua totale fiducia nel leader tibetano al quale ha chiesto di

non abbandonare la carica ma di continuare a svolgere il ruolo di gui-

da spirituale e temporale. Tuttavia il Dalai Lama ha definito “inevita-

bile”, a tempo dovuto, il suo ritiro dalla scena politica. “Verrà il

momento in cui lascerò ogni responsabilità di governo” – ha dichiara-

to –, “nella nostra democrazia, la mia presenza non è indispensabile”.

Egli ha lasciato intendere che il trasferimento dei poteri e delle

responsabilità di governo al Primo Ministro è già in atto. Ha assicurato

comunque il suo popolo affermando che continuerà a lavorare per il

Tibet fino alla morte ma con impegni diversi.

Sembra, dunque, che prima o poi il Tibet dovrà rinunciare a una figura

secolare quale il Dalai Lama, a meno che il governo cinese non fosse

così “gentile” da provvedere personalmente alla sua nomina.

di Lina Morcavallo

IL DALAI LAMA: UNA FIGURA SECOLAREDESTINATA A SCOMPARIRE (?)

Page 12: Louise settembre

Noi la generazione dei reality, dei talent show, delle piccole star-lette e dei giovani calciatori prodigio. Noi, la generazione “spre-cata” che vive in modo dissoluto una vita viziata, fatta di eccessie di perdizioni, di corse in auto, di violenze, di droghe pesanti eleggere, di serate peccaminose. Noi, descritti dalle tv come lagenerazione che si prostituisce per le ricariche al telefono, che fanotizia solo per lo spaccio di droga e l’ abuso di alcolici. Noi,che non conosciamo le parole grazie, per favore, educazione erispetto. Noi, che siamo il sudore sprecato dei nostri genitori, lapreoccupazione dei nostri nonni, il fallimento dei nostri insegnan-ti. Cari colleghi è a voi che oggi rivolgo la mia provocazione:siamo realmente cosi o forse è un modo comodo utilizzato dalle“vecchie generazioni” per tenerci fuori dai giochi? Citando unnoto brano degli Articolo 31 direi che possiamo definirci come“Gente che spera, cercando qualcosa di più. Gente che passa eche va, cercando la felicità”. Noi che sogniamo un futuro diver-so, una realtà meno scomoda dove crescere inostri figli, senza la necessità di doverli “spedi-re” all’ estero come pacchi postali per la man-canza di lavoro. Noi che sogniamo davvero l’integrazione. Noi che abbiamo scelto di studia-re per cambiare un paese statico. Noi checome sociologicamente è predisposto, cerchia-mo di migliorare il nostro futuro, non emulandoi nostri padri, ma imparando da loro e anchedai loro errori. Poi però la speranza si cancella. La sveglia suonae ci si desta dai piacevoli sogni. La felicità e la motivazione sidisgregano quando ci viene detto che “siamo i ragazzi della cri-si dei valori e che è colpa di noi selvaggi con i tatuaggi se que-sto mondo sta cedendo”. Noi, costretti a vivere come spettatorida una generazione passata che ha scelto di non lasciarci spa-zio, di non concederci nemmeno il beneficio del dubbio e darcioccasione di provare, di sbagliare, di imparare. Noi costretti avivere secondo la filosofia “Trainspotting”, letteralmente dedicarsia contare i treni che passano in stazione. Il trainspotter è un indi-viduo noioso e inconcludente, un perditempo, che si limita acontare i treni, senza salirci, né domandarsi dove vanno, chi eche cosa trasportano. Si resta spettatori ipnotizzati della realeesistenza che scorre dinanzi a noi. Emarginati dalla realtà rivol-giamo il nostro sguardo al cielo e sogniamo, sogniamo la stradapiù semplice per emergere e per fare notizia. Una disperatarichiesta di attenzione e di spazio proprio in quei settori in cuisappiamo che di posto “gli adulti” non possono trovarne. Così,ci sono più aspiranti tronisti e corteggiatrici che ricercatori e inge-gneri. In questo modo si presentano più giovani ai provini di “Xfactor” che ai test di ammissione alle Università. La mia provoca-zione però non finisce qui. Non può essere solo una lamentela,un semplice capriccio. È una vera richiesta di attenzione. Chie-diamo di essere realmente considerati. Chiediamo solo di trova-re qualcuno disposto a passarci l’ esperienza e il sapere accu-mulato negli anni. Chiediamo agli “adulti” di non essere gelosi espaventati del fatto che potremmo fare meglio, perché quel

miglioramento sarà di giovamento ai loro stessi nipoti. Chiedia-mo ai nostri padri di darci quella chance che meritiamo, quell’occasione che oggi ci è negata. Chiediamo di non essereappiattiti e sottovalutati. Chiediamo soprattutto di sudare, di lavo-rare, di fare gavetta, di essere ripresi: ma chiediamo di non esse-re più la parte negativa dei giornali e dei tg. È d vero, vogliamofare notizia, ma per aver scoperto una medicina contro il can-cro, per aver condotto con successo le relazioni di pace in Pale-stina, per essere i nuovi giudici della corte costituzionale o glieconomisti di questo secolo. Vogliamo essere i nuovi “Falcone eBorsellino” e combattere per le nostre idee, i nostri valori, i nostricredo. Quello di cui sto parlando oggi è la responsabilità. Laresponsabilità che la società dovrebbe assumersi nei nostri con-fronti. Parlo della responsabilità che gli insegnanti dovrebberoavere nel motivarci all’apprendimento, ispirandoci e invogliando-ci allo studio. Mi riferisco alla responsabilità dei nostri genitori,

che dovrebbero tenerci sulla giusta strada. Del-la responsabilità dello stato che dovrebbe daremezzi adeguati alle scuole che non funziona-no, aiutando i ragazzi che pur avendo le capa-cità non hanno le opportunità per sfruttarle. Del-la responsabilità dei datori di lavoro chedovrebbero farci fare esperienza, insegnandocisul campo i trucchi del mestiere e non utilizzarenoi giovani per portare i caffè.

Cari colleghi e colleghe tra voi molti sono dei veterani a cui man-ca solo un anno per concludere gli studi. Per molti altri invecequesto è il primo giorno di università, il primo passo in un cam-mino che vi porterà diretti in questo difficile mondo del lavoro.Non importa a quale anno siete iscritti. Non importa quanto lun-go è il cammino che vi separa da questo nostro ostico futuro incui dovremmo sgomitare senza tregua. Quello che vi chiedo è dirispondere onestamente, non tanto a me quanto a voi stessi, aduna semplice domanda. Possiamo chiedere a tutti una mano pernon affogare, possiamo affidarci alle raccomandazioni, allespintarelle e alle preghiere. Ma il 50 % del nostro futuro dipendeda noi: siete disposti a non arrendervi per perseguire i sogni cheavete? Siete pronti ad apprendere e a sudare per lavorare ecogliere dalla vita quello che realmente meritate? Possiamo ave-re gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuolemigliori del mondo: nulla basta se noi stessi non teniamo fedealle nostre responsabilità. Andando a lezione ogni giorno, pre-stando attenzione a questi professori, dando ascolto ai genitori,ai nonni e agli altri adulti e ovviamente, lavorando sodo dimo-strando cosi di essere pronti, pieni di voglia di fare e di nuoveidee. Questo è quello che voglio sottolineare oggi: la responsabi-lità di ciascuno di noi nel raggiungere gli obiettivi del futuro: laresponsabilità verso noi stessi, il dovere che abbiamo verso ilnostro essere donne e uomini, il rispetto in quanto individui nelsapere di aver avuto il successo che ci spetta. Poter camminare atesta alta con dignità, sapendo di aver dato tutto per ottenere ilmassimo.

GENERAZIONETRAINSPOTTING

di Antonio Amadei