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5/20/2018 Ludovico Ariosto - Satire
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Ludovico Ariosto
Satire
Op.Grande biblioteca della letteratura italiana
ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
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Edizioni di riferimentoelettroniche
Liz, Letteratura Italiana Zanichelli
a stampaLudovico Ariosto,Le Satire, a cura di C. Segre, in L.A., Opere minori, Mila-no-Napoli, Ricciardi, 1954
DesignGraphiti, Firenze
ImpaginazioneThsis, Firenze-Milano
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Op.Grande biblioteca della letteratura italiana
ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Ludovico Ariosto Satire
Sommario
Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno ................................................. 5Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello ................................................................................ 13
Satira III A messer Annibale Malagucio .......................................................................................... 21Satira IV A messer Sismondo Malegucio ......................................................................................... 30Satira V A messer Annibale Malegucio ............................................................................................ 37Satira VI A messer Pietro Bembo .................................................................................................... 46Satira VII A messer Bonaventura Pistofilo ducale secretario ............................................................ 53
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Op.Grande biblioteca della letteratura italiana
ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
Satira I
A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
Io desidero intendere da voi,Alessandro fratel, compar mio Bagno,sin corte ricordanza pi di noi;
se pi il signor me accusa; se compagno5 per me si lieva e dice la cagione
per che, partendo gli altri, io qui rimagno;o, tutti dotti ne la adulazione
(larte che pi tra noi si studia e cole),laiutate a biasmarme oltra ragione.
10 Pazzo chi al suo signor contradir vole,se ben dicesse cha veduto il giornopieno di stelle e a mezzanotte il sole.
O chegli lodi, o voglia altrui far scorno,di varie voci subito un concento
15 sode accordar di quanti nha dintorno;
e chi non ha per umilt ardimentola bocca aprir, con tutto il viso applaudee par che voglia dir: anchio consento.
Ma se in altro biasmarme, almen dar laude20 dovete che, volendo io rimanere,
lo dissi a viso aperto e non con fraude.Dissi molte ragioni, e tutte vere,
de le quali per s sola ciascunaesser mi dovea degna di tenere.
25 Prima la vita, a cui poche o nessunacosa ho da preferir, che far pi brevenon voglio che l ciel voglia o la Fortuna.
Ogni alterazione, ancor che leve,chavesse il mal chio sento, o ne morei,
30 o il Valentino e il Postumo errar deve.Oltra che l dicano essi, io meglio i miei
casi de ogni altro intendo; e quai compensimi siano utili so, so quai son rei.
So mia natura come mal conviensi35 co freddi verni; e cost sotto il polo
gli avete voi pi che in Italia intensi.
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
E non mi nocerebbe il freddo solo;ma il caldo de le stuffe, cho s infesto,che pi che da la peste me gli involo.
40 N il verno altrove sabita in cotestopaese: vi si mangia, giuoca e bee,e vi si dorme e vi si fa anco il resto.
Che quindi vien, come sorbir si deelaria che tien sempre in travaglio il fiato45 de le montagne prossime Rifee?
Dal vapor che, dal stomaco elevato,fa catarro alla testa e cala al petto,mi rimarei una notte soffocato.
E il vin fumoso, a me vie pi interdetto50 che l tsco, cost a inviti si tracanna
e sacrilegio non ber molto e schietto.Tutti li cibi son con pepe e canna
di amomo e daltri armati, che tutticome nocivi il medico mi danna.
55 Qui mi potreste dir chio avrei ridutti,dove sotto il camin sedria al foco,n piei, n ascelle odorerei, n rutti;
e le vivande condiriemi il cuococome io volessi, et inacquarmi il vino
60 potre a mia posta, e nulla berne o poco.Dunque voi altri insieme, io dal matino
ala sera starei solo alla cella,solo ala mensa come un certosino?
Bisognerieno pentole e vasella65 da cucina e da camera, e dotarme
di masserizie qual sposa novella.Se separatamente cucinarme
vor mastro Pasino una o due volte,quattro e sei mi far il viso da larme.
70 Sio vor de le cose chavr tolteFrancesco di Siver per la famiglia,potr matina e sera averne molte.
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
Sio dir: Spenditor, questo mi piglia,che lumido cervel poco notrisce;
75 questo no, che l catar troppo assottigliaper una volta o due che me ubidisce
quattro e sei mi si scorda, o perch temeche non gli sia accettato, non ardisce.
Io mi riduco al pane; e quindi freme80 la colera; cagion che alli dui mottigli amici et io siamo a contesa insieme.Mi potreste anco dir: De li tuoi scottifa che l tuo fante comprator ti sia;mangia i tuoi polli alli tua alari cotti.
85 Io, per la mala servitude mia,non ho dal Cardinale ancora tantochio possa fare in corte losteria.
Apollo, tua merc, tua merc, santocollegio de le Muse, io non possiedo
90 tanto per voi, chio possa farmi un manto.Oh! il signor tha dato...io ve l conciedo,
tanto che fatto mho pi dun mantello;ma che mabbia per voi dato non credo.
Egli lha detto: io dirlo a questo e a quello95 voglio anco, e i versi miei posso a mia posta
mandare al Culiseo per lo sugello.Non vuol che laude sua da me composta
per opra degna di merc si pona;di merc degno lir correndo in posta.
100 A chi nel Barco e in villa il segue, dona,a chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschinel pozzo per la sera in fresco a nona;
vegghi la notte, in sin che i Bergamaschise levino a far chiodi, s che spesso
105 col torchio in mano addormentato caschi.Sio lho con laude ne miei versi messo,
dice chio lho fatto a piacere e in ocio;pi grato fra essergli stato appresso.
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
E se in cancellaria mha fatto socio110 a Melan del Constabil, s cho il terzo
di quel chal notaio vien dogni negocio,gli perch alcuna volta io sprono e sferzo
mutando bestie e guide, e corro in frettaper monti e balze, e con la morte scherzo.
115 Fa a mio senno, Maron: tuoi versi gettacon la lira in un cesso, e una arte impara,se beneficii vuoi, che sia pi accetta.
Ma tosto che nhai, pensa che la caratua libert non meno abbi perduta
120 che se giocata te lavessi a zara;e che mai pi, se ben alla canuta
et vivi e viva egli di Nestorre,questa condizion non ti si muta.
E se disegni mai tal nodo sciorre,125 buon patto avrai, se con amore e pace
quel che tha dato si vor ritorre.A me, per esser stato contumace
di non voler Agria veder n Buda,che si ritoglia il suo s non mi spiace
130 (se ben le miglior penne che avea in mudarimesse, e tutte, mi tarpasse), comeche da lamor e grazia sua mi escluda,
che senza fede e senza amor mi nome,e che dimostri con parole e cenni
135 che in odio e che in dispetto abbia il mio nome.
E questo fu cagion chio me ritennidi non gli comparire inanzi mai,dal d che indarno ad escusar mi vienni.
Ruggier, se alla progenie tua mi fai140 s poco grato, e nulla mi prevaglio
che li alti gesti e tuo valor cantai,che debbio far io qui? poi chio non vaglio
smembrar su la forcina in aria starne,n so a sparvier, n a can metter guinzaglio?
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
145 Non feci mai tai cose e non so farne:alli usatti, alli spron, perchio son grande,non mi posso adattar per porne o trarne.
Io non ho molto gusto di vivandeche scalco io sia; fui degno essere al mondo
150 quando viveano gli uomini di giande.
Non vo il conto di man trre a Gismondo;andar pi a Roma in posta non accade,a placar la grande ira di Secondo;
e quando accadesse anco, in questa etade,155 col mal chebbe principio allora forse,
non si convien pi correr per le strade.Se far cotai servigi e raro trse
di sua presenza de chi doro ha sete,e stargli come Artofilace allOrse;
160 pi tosto che arricchir, voglio quiete:pi tosto che occuparmi in altra cura,s che inondar lasci il mio studio a Lete.
Il qual, se al corpo non pu dar pastura,lo d alla mente con s nobil sca
165 che merta di non star senza cultura.Fa che la povert meno mincresca,
e fa che la ricchezza s non amiche di mia libert per suo amor esca;
quel chio non spiro aver, fa chio non brami,170 che n sdegno n invidia me consumi
perch Marone o Celio il signor chiami;
chio non aspetto a mezza estade i lumiper esser col signor veduto a cena,chio non lascio accecarmi in questi fumi;
175 chio vado solo e a piedi ove mi menail mio bisogno, e quando io vo a cavallo,le bisaccie gli attacco su la schiena.
E credo che sia questo minor falloche di farmi pagar, sio raccomando
180 al principe la causa dun vasallo;
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
o mover liti in benefici, quandoragion non vabbia, e facciami i pievaniad offerir pension venir pregando.
Anco fa che al ciel levo ambe le mani,185 chabito in casa mia commodamente,
voglia tra cittadini o tra villani;
e che nei ben paterni il rimanentedel viver mio, senza imparar nova arte,posso, e senza rossor, far, di mia gente.
190 Ma perch cinque soldi da pagarte,tu che noti, non ho, rimetter vogliola mia favola al loco onde si parte.
Aver cagion di non venir mi doglio:detto ho la prima, e sio vuo laltre dire,
195 n questo baster n un altro foglio.Pur ne dir anco unaltra: che patire
non debbo che, levato ogni sostegno,casa nostra in ruina abbia a venire.
De cinque che noi sin, Carlo nel regno200 onde cacciaro i Turchi il mio Cleandro,
e di starvi alcun tempo fa disegno;Galasso vuol ne la citt di Evandro
por la camicia sopra la guarnaccia;e tu sei col signore ito, Alessandro.
205 Ecci Gabriel; ma che vuoi tu chei faccia?che da fanciullo la sua mala sortelo imped de li piedi e de le braccia.
Egli non fu n in piazza mai, n in corte,et a chi vuol ben reggere una casa
210 questo si pu comprendere che importe.Ala quinta sorella che rimasa
nera, bisogna apparecchiar la dote,che le sin debitori, or che se accasa.
Let di nostra matre mi percuote215 di piet il core; che da tutti un tratto
senza infamia lasciata esser non puote.
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
Io son de dieci il primo, e vecchio fattodi quarantaquattro anni, e il capo calvoda un tempo in qua sotto il cuffiotto appiatto.
220 La vita che mi avanza me la salvomeglio chio so: ma tu che diciotto annidopo me tindugiasti a uscir de lalvo,
gli Ongari a veder torna e gli Alemanni,per freddo e caldo segui il signor nostro,225 servi per amendua, rifa i miei danni.
Il qual se vuol di calamo et inchiostrodi me servirsi, e non mi tr da bomba,digli: Signore, il mio fratello vostro.
Io, stando qui, far con chiara tromba230 il suo nome sonar forse tanto alto
che tanto mai non si lev colomba.A Filo, a Cento, in Ariano, a Calto
arriverei, ma non sin al Danubbio,chio non ho piei gagliardi a s gran salto.
235 Ma se a voglier di novo avessi al subbioli quindici anni che in servirlo ho spesi,passar la Tana ancor non starei in dubbio.
Se avermi dato onde ogni quattro mesiho venticinque scudi, n s fermi
240 che molte volte non mi sien contesi,mi debbe incatenar, schiavo tenermi,
ubligarmi chio sudi e tremi senzarispetto alcun, chio moia o chio me nfermi,
non gli lasciate aver questa credenza;245 ditegli che pi tosto chesser servo
torr la povertade in pazienza.Uno asino fu gi, chogni osso e nervo
mostrava di magrezza, e entr, pel rottodel muro, ove di grano era uno acervo;
250 e tanto ne mangi, che lepa sottosi fece pi duna gran botte grossa,fin che fu sazio, e non per di botto.
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Ludovico Ariosto Satire Satira I A messer Alessandro Ariosto et a messer Ludovico da Bagno
Temendo poi che gli sien pste lossa,si sforza di tornar dove entrato era,
255 ma par che l buco pi capir nol possa.Mentre saffanna, e uscire indarno spera,
gli disse un topolino: Se vuoi quinciuscir, trtti, compar, quella panciera:
a vomitar bisogna che cominci260 ci chai nel corpo, e che ritorni macro,altrimenti quel buco mai non vinci.
Or, conchiudendo, dico che, se l sacroCardinal comperato avermi stimacon li suoi doni, non mi acerbo et acro
265 renderli, e tr la libert mia prima.
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Satira II
A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Percho molto bisogno, pi che voglia,desser in Roma, or che li cardinalia guisa de le serpi mutan spoglia;
or che son men pericolosi i mali5 a corpi, ancor che maggior peste affliga
le travagliate menti de mortali:quando la ruota, che non pur castiga
Ission rio, si volge in mezzo Romalanime a cruciar con lunga briga;
10 Galasso, appresso il tempio che si nomada quel prete valente che lorecchiaa Malco allontanar fe da la chioma,
stanza per quattro bestie mi apparecchia,contando me per due con Gianni mio,
15 poi metti un mulo, e unaltra rzza vecchia.
Camera o buca, ove a stanzar abbia io,che luminosa sia, che poco saglia,e da far fuoco commoda, desio.
N de cavalli ancor meno ti caglia;20 che poco gioveria chavesser pste,
dovendo lor mancar poi fieno o paglia.Sia per me un mattarazzo, che alle coste
faccia vezzi, o di lana o di cottone,s che la notte io non abbia ire aloste.
25 Provedimi di legna secche e buone;di chi cucini, pur cos ala grossa,un poco di vaccina o di montone.
Non curo dun che con sapori possade vari cibi suscitar la fame,
30 se fosse morta e chiusa ne la fossa.Unga il suo schidon pur o il suo tegame
sin alorecchio a ser Vorano il muso,venuto al mondo sol per far lettame;
che pi cerca la fame, perch giuso35 mandi i cibi nel ventre, che, per trarre
la fame, cerchi aver de li cibi uso.
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Il novo camerier tal cuoco inarre,di pane et aglio uso a sfamarsi, poiche riposte i fratelli avean le marre,
40 et egli a casa avea tornati i boi;chor vl fagiani, or tortorelle, or starne,che sempre un cibo usar par che lannoi.
Or sa che differenzia da la carnedi capro e di cingial che pasca al monte,45 da quel che lElisea soglia mandarne.
Fa chio truovi de lacqua, non di fonte,di fiume s, che gi sei d vedutonon abbia Sisto, n alcun altro ponte.
Non curo s del vin, non gi il rifuto;50 ma a temprar lacqua me ne basta poco,
che la taverna mi dar a minuto.Senza molta acqua i nostri, nati in loco
palustre, non assaggio, perch, puri,dal corpo tranno in gi che mi fa roco.
55 Cotesti che farian, che son ne duriscogli de Corsi ladri o dinfedeliGreci o dinstabil Liguri maturi?
Chiuso nel studio frate Ciurla se libea, mentre fuori il populo digiuno
60 lo aspetta che gli esponga gli Evangeli;e poi monti sul pergamo, pi di uno
gambaro cotto rosso, e rumor faccia,e un minacciar, che ne spaventi ogniuno;
et a messer Moschin pur dia la caccia,65 al fra Gualengo et a compagni loro,
che metton carestia ne la vernaccia;che fuor di casa, o in Gorgadello o al Moro,
mangian grossi piccioni e capon grassi,come egli in cella, fuor del refettoro.
70 Fa che vi sian de libri, con che io passiquelle ore che commandano i prelatial loro uscier che alcuno entrar non lassi;
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
come ancor fanno in su la terza i frati,che non li muove il suon del campanello,
75 poi che si sono a tavola assettati.Signor, dir (non susa pi fratello,
poi che la vile adulazian spagnolamesse la signoria fin in bordello)
signor, (se fosse ben mozzo da spuola)80 dir fate, per Dio, che monsignorereverendissimo oda una parola.
Agora non si puede, et es meioreche vos torneis a la magnana. Almeno,fate chei sappia chio son qui di fuore.
85 Risponde che l patron non vuol gli sinofatte imbasciate, se venisse Pietro,Pavol, Giovanni e il Mastro Nazereno.
Ma se fin dove col pensier pentro,avessi, a penetrarvi, occhi lincei,
90 o muri trasparesser come vetro,forse occupati in cosa li vedrei
che iustissima causa di celarsiavrian dal sol, non che da gli occhi miei.
Ma sia a un tempo lor agio di ritrarsi,95 e a noi di contemplar sotto il camino
pei dotti libri i saggi detti sparsi.Che mi mova a veder Monte Aventino
so che voresti intendere, e dirolti: per legar tra carta, piombo e lino,
100 s che tener, che non mi sien tolti,possa, pel viver mio, certi baiocchiche a Melan piglio, ancor che non sian molti;
e proveder chio sia il primo che mocchiSanta Agata, se avien chal vecchio prete,
105 supervivendogli io, di morir tocchi.Dunque io dar del capo ne la rete
chio soglio dir che l diavol tende a questiche del sangue di Cristo han tanta sete?
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Ma tu vedrai, se Dio vorr che resti110 questa chiesa in man mia, darla a persona
saggia e sciente e de costumi onesti,che con periglio suo poi ne dispona:
io n pianeta mai n tonicellan chierca vuo che in capo mi si pona.
115 Come n stole, io non vuo chanca annellami leghin mai, che in mio poter non tengadi elegger sempre o questa cosa o quella.
Indarno , sio son prete, che mi vengadisir di moglie; e quando moglie io tolga,
120 convien che desser prete il desir spenga.Or, perch so come io mi muti e volga
di voler tosto, schivo di legarmidonde, se poi mi pento, io non mi sciolga.
Qui la cagion potresti dimandarmi125 per che mi levo in collo s gran peso,
per dover poi sun altro scarricarmi.Perch tu e gli altri frati miei ripreso
mavreste, e odiato forse, se offerendotal don Fortuna, io non lavessi preso.
130 Sai ben che l vecchio, la riserva avendo,inteso di un cost che la sua mortebramava, e di velen perci temendo,
mi preg cha pigliar venissi in cortela sua rinuncia, che potria sol trre
135 quella speranza onde temea s forte.
Opra feci io che si volesse porrene le tue mani o dAlessandro, il cuiingegno da la chierca non aborre;
ma n di voi, n di pi giunti a lui140 damicizia fidar unqua si volle:
io fuor de tutti scelto unico fui.Questa opinion mia so ben che folle
diranno molti, che a salir non tentila via chuom spesso a grandi onori estolle.
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
145 Questa povere, sciocche, inutil genti,sordide, infami, ha gi levato tanto,che fatti gli ha adorar dai re potenti.
Ma chi fu mai s saggio o mai s santoche di esser senza macchia di pazzia,
150 o poca o molta, dar si possa vanto?
Ogniun tenga la sua, questa la mia:se a perder sha la libert, non stimoil pi ricco capel che in Roma sia.
Che giova a me seder a mensa il primo,155 se per questo pi sazio non mi levo
di quel ch stato assiso a mezzo o ad imo?Come n cibo, cos non ricevo
pi quiete, pi pace o pi contento,se ben de cinque mitre il capo aggrevo.
160 Felicitade istima alcun, che centopersone te accompagnino a palazzoe che stia il volgo a riguardarte intento;
io lo stimo miseria, e son s pazzochio penso e dico che in Roma fumosa
165 il signore pi servo che l ragazzo.Non ha da servir questi in maggior cosa
che di esser col signor quando cavalchi;laltro tempo a suo senno o va o si posa.
La maggior cura che sul cor gli calchi170 che Fiammetta stia lontana, e spesso
causi che lora del tinel gli valchi.
A questo ove gli piace andar concesso,accompagnato e solo, a pi, a cavallo;fermarsi in Ponte, in Banchi e in chiasso appresso:
175 piglia un mantello o rosso o nero o giallo,e se non lha, va in gonnelin liggiero;n questo mai gli attribuito a fallo.
Quello altro, per fodrar di verde il nerocapel, lasciati ha i ricchi uffici e tolto
180 minor util, pi spesa e pi pensiero.
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Ha molta gente a pascere e non moltoda spender, che alle bolle gi ubligatodel primo e del secondo anno il ricolto;
e del debito antico uno passato,185 et uno, e al terzo termine si aspetta
esser sul muro in publico attaccato.
Gli bisogna a San Pietro andar in fretta;ma perch il cuoco o il spenditor ci manca,che gli sien dietro, gli la via interdetta.
190 Fuori la mula, o che si duol duna anca,o che le cingie o che la sella ha rotta,o che da Ripa vien sferrata e stanca.
Se con lui fin il guattaro non trotta,non pu il misero uscir, che stima incarco
195 il gire e non aver dietro la frotta.Non il suo studio n in Matteo n in Marco,
ma specula e contempla a far la spesas, che il troppo tirar non spezzi larco.
Duffici, di badie, di ricca chiesa200 forse adagiato, alcun vive giocondo,
che n la stalla, n il tinel gli pesa.Ah! che l disio dalzarsi il tiene al fondo!
Gi il suo grado gli spiace, e a quello aspirache dal sommo Pontefice il secondo.
205 Giugne a quel anco, e la voglia anco il tiraalalta sedia, che daver bramatatanto, indarno San Georgio si martira.
Che fia savr la catedra beata?Tosto vorr gli figli o li nepoti
210 levar da la civil vita privata.Non penser dAchivi o dEpiroti
dar lor dominio; non avr disegnode la Morea o de lArta far despti;
non cacciarne Ottoman per dar lor regno,215 ove da tutta Europa avria soccorso
e faria del suo ufficio ufficio degno;
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
ma spezzar la Colonna e spegner lOrsoper trgli Palestrina e Tagliacozzo,e darli a suoi, sar il primo discorso.
220 E qual strozzato e qual col capo mozzone la Marca lasciando et in Romagna,trionfer, del crestian sangue sozzo.
Dar lItalia in preda a Francia o Spagna,che sozzopra voltandola, una parte225 al suo bastardo sangue ne rimagna.
Lescomuniche empir quinci le carte,e quindi ministrar si vederannolindulgenzie plenarie al fiero Marte.
Se l Svizzero condurre o lAlemanno230 si dee, bisogna ritrovare i nummi,
e tutto al servitor ne viene il danno.Ho sempre inteso e sempre chiaro fummi
chargento che lor basti non han mai,o veschi a cardinali a Pastor summi.
235 Sia stolto, indtto, vil, sia peggio assai,far quel chegli vuol, se posto insiemeavr tesoro; e chi baiar vuol, bai.
Perci li avanzi e le miserie estremefansi, di che la misera famiglia
240 vive affamata, e grida indarno e freme.Quanto pi ricco, tanto pi assottiglia
la spesa; che i tre quarti si delibrapor da canto di ci che lanno piglia.
Da le otto oncie per bocca a mezza libra245 si vien di carne, e al pan di cui la veccia
nata con lui, n il loglio fuor si cribra.Come la carne e il pan, cos la feccia
del vin si d, cha seco una punturache pi mortal non lha spiedo n freccia;
250 o chegli fila e mostra la paurachebbe, a dar volta, di fiaccarsi il collo,s che men mal saria ber lacqua pura.
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Ludovico Ariosto Satire Satira II A messer Galasso Ariosto, suo fratello
Se la bacchetta pur levar satollolasciasse il capellan, mi starei cheto,
255 se ben non gusta mai vitel n pollo.Questo dirai pu un servitor discreto
patir; che quando monsignor suo accresce,accresce anco egli, e nha da viver lieto.
Ma tal speranza a molti non riesce;260 che, per dar loco alla famiglia nuova,pi dun vecchio dufficio e donor esce.
Camarer, scalco e secretario truovail signor degni al grado, e nhai buon pattoche dal servizio suo non ti rimova.
265 Quanto ben disse il mulatier quel trattoche, tornando dal bosco, ebbe la seranuova che l suo padron papa era fatto:
Che per me stesse cardinal meglio era;ho fin qui auto da cacciar dui muli,
270 or navr tre; che pi di me ne spira,comperi quanto io nho daver dui iuli.
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
Satira III
A messer Annibale Malagucio
Poi che, Annibale, intendere vuoi comela fo col duca Alfonso, e sio mi sentopi grave o men de le mutate some;
perch, sanco di questo mi lamento,5 tu mi dirai cho il guidalesco rotto,
o chio son di natura un rozzon lento:senza molto pensar, dir di botto
che un peso e laltro ugualmente mi spiace,e fra meglio a nessuno esser sotto.
10 Dimmi or cho rotto il dosso e, se l ti piace,dimmi chio sia una rzza, e dimmi peggio:insomma esser non so se non verace.
Che sal mio genitor, tosto che a ReggioDaria mi partor, facevo il giuoco
15 che fe Saturno al suo ne lalto seggio,
s che di me sol fosse questo pocone lo qual dieci tra frati e serocchie bisognato che tutti abbian luoco,
la pazzia non avrei de le ranocchie20 fatta gi mai, dir procacciando a cui
scoprirmi il capo e piegar le ginocchie.Ma poi che figliolo unico non fui,
n mai fu troppo a miei Mercurio amico,e viver son sforzato a spese altrui;
25 meglio sappresso il Duca mi nutrico,che andare a questo e a quel de lumil volgoaccattandomi il pan come mendico.
So ben che dal parer dei pi mi tolgo,che l stare in corte stimano grandezza,
30 chio pel contrario a servit rivolgo.Stiaci volentier dunque chi la apprezza;
fuor nuscir ben io, sun d il figliuolodi Maia vorr usarmi gentilezza.
Non si adatta una sella o un basto solo35 ad ogni dosso; ad un non par che labbia,
allaltro stringe e preme e gli d duolo.
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
Mal pu durar il rosignuolo in gabbia,pi vi sta il gardelino, e pi il fanello;la rondine in un d vi mor di rabbia.
40 Chi brama onor di sprone o di capello,serva re, duca, cardinale o papa;io no, che poco curo questo e quello.
In casa mia mi sa meglio una rapachio cuoca, e cotta sun stecco me inforco,45 e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,
che allaltrui mensa tordo, starna o porcoselvaggio; e cos sotto una vil coltre,come di seta o doro, ben mi corco.
E pi mi piace di posar le poltre50 membra, che di vantarle che alli Sciti
sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.Degli uomini son varii li appetiti:
a chi piace la chierca, a chi la spada,a chi la patria, a chi li strani liti.
55 Chi vuole andare a torno, a torno vada:vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;a me piace abitar la mia contrada.
Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,quel monte che divide e quel che serra
60 Italia, e un mare e laltro che la bagna.Questo mi basta; il resto de la terra,
senza mai pagar loste, andr cercandocon Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
e tutto il mar, senza far voti quando65 lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
verr, pi che sui legni, volteggiando.Il servigio del Duca, da ogni parte
che ci sia buona, pi mi piace in questa:che dal nido natio raro si parte.
70 Per questo i studi miei poco molesta,n mi toglie onde mai tutto partirenon posso, perch il cor sempre ci resta.
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Parmi vederti qui ridere e direche non amor di patria n de studi,
75 ma di donna cagion che non voglio ire.Liberamente te l confesso: or chiudi
la bocca, che a difender la bugianon volli prender mai spada n scudi.
Del mio star qui qual la cagion si sia,80 io ci sto volentier; ora nessunoabbia a cor pi di me la cura mia.
Sio fossi andato a Roma, dir alcuno,a farmi uccellator de benefici,preso ala rete navrei gi pi duno;
85 tanto pi chero degli antiqui amicidel papa, inanzi che virtude o sortelo sublimasse al sommo degli uffici;
e prima che gli aprissero le portei Fiorentini, quando il suo Giuliano,
90 si ripar ne la feltresca corte,ove col formator del cortigiano,
col Bembo e gli altri sacri al divo Appollo,facea lessilio suo men duro e strano;
e dopo ancor, quando levaro il collo95 Medici ne la patria, e il Gonfalone,
fuggendo del Palazzo, ebbe il gran crollo;e fin che a Roma se and a far Leone,
io gli fui grato sempre, e in apparenzamostr amar pi di me poche persone;
100 e pi volte, e Legato et in Fiorenza,mi disse che al bisogno mai non eraper far da me al fratello suo differenza.
Per questo parr altrui cosa leggierache, stando io a Roma, gi mavesse posta
105 la cresta dentro verde e di fuor nera.A chi parr cos far risposta
con uno essempio: leggilo, che menoleggerlo a te, che a me scriverlo, costa.
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Una stagion fu gi, che s il terreno110 arse, che l Sol di nuovo a Faetonte
de suoi corsier parea aver dato il freno;secco ogni pozzo, secca era ogni fonte;
li rivi e i stagni e i fiumi pi famositutti passar si potean senza ponte.
115 In quel tempo, darmenti e de lanosigreggi io non so si dico ricco o grave,era un pastor fra gli altri bisognosi,
che poi che lacqua per tutte le cavecerc indarno, si volse a quel Signore
120 che mai non suol fraudar chi in lui fede have;et ebbe lume e inspirazion di core,
chindi lontano troveria, nel fondodi certa valle, il desiato umore.
Con moglie e figli e con ci chavea al mondo125 l si condusse, e con gli ordegni suoi
lacqua trov, n molto and profondo.E non avendo con che attinger poi,
se non un vase picciolo et angusto,disse: Che mio sia il primo non ve annoi;
130 di mgliema il secondo; e l terzo giustoche sia de figli, e il quarto, e fin che cessilardente sete onde ciascuno adusto:
li altri vo ad un ad un che sien concessi,secondo le fatiche, alli famigli
135 che meco in opra a far il pozzo messi.
Poi su ciascuna bestia si consigli,che di quelle che a perderle pi dannoinanzi allaltre la cura si pigli.
Con questa legge un dopo laltro vanno140 a bere; e per non essere i sezzai,
tutti pi grandi i lor meriti fanno.Questo una gazza, che gi amata assai
fu dal padrone et in delizie avuta,vedendo et ascoltando, grid: Guai!
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
145 Io non gli son parente, n venutaa fare il pozzo, n di pi guadagnogli son per esser mai chio gli sia suta;
veggio che dietro ali altri mi rimagno:mor di sete, quando non procacci
150 di trovar per mio scampo altro rigagno.
Cugin, con questo essempio vuo che spacciquei che credon che l Papa porre inantimi debba a Neri, a Vanni, a Lotti e a Bacci.
Li nepoti e i parenti, che son tanti,155 prima hanno a ber; poi quei che lo aiutaro
a vestirsi il pi bel de tutti i manti.Bevuto chabbian questi, gli fia caro
che beano quei che contra il Soderinoper tornarlo in Firenze si levaro.
160 Lun dice: Io fui con Pietro in Casentino,e desser preso e morto a risco venni.Io gli prestai danar, grida Brandino.
Dice un altro: A mie spese il frate tenniuno anno, e lo rimessi in veste e in arme,
165 di cavallo e dargento gli sovenni.Se, fin che tutti beano, aspetto a trarme
la volunt di bere, o me di sete,o secco il pozzo dacqua veder parme.
Meglio star ne la solita quiete,170 che provar se gli ver che qualunque erge
Fortuna in alto, il tuffa prima in Lete.
Ma sia ver, se ben li altri vi sommerge,che costui sol non accostasse al rivoche del passato ogni memoria absterge.
175 Testimonio sono io di quel chio scrivo:chio non lho ritrovato, quando il piedegli baciai prima, di memoria privo.
Piegossi a me da la beata sede;la mano e poi le gote ambe mi prese,
180 e il santo bacio in amendue mi diede.
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
Di mezzo quella bolla anco cortesemi fu, de la quale ora il mio Bibienaespedito mha il resto alle mie spese.
Indi col seno e con la falda piena185 di speme, ma di pioggia molle e brutto,
la notte andai sin al Montone a cena.
Or sia vero che l Papa attenga tuttoci che gi offerse, e voglia di quel semeche gi tanti anni i sparsi, or darmi il frutto;
190 sie ver che tante mitre e diadememi doni, quante Iona di Cappellaala messa papal non vede insieme:
sia ver che doro mempia la scarsella,e le maniche e il grembio, e, se non basta,
195 mempia la gola, il ventre e le budella;ser per questo piena quella vasta
ingordigia daver? rimarr saziaper ci la sitibonda mia cerasta?
Dal Marocco al Catai, dal Nilo in Dazia,200 non che a Roma, ander, se di potervi
saziare i desiderii impetro grazia;ma quando cardinale, o de li servi
io sia il gran Servo, e non ritrovino ancotermine i desiderii miei protervi,
205 in chutil mi risulta essermi stancoin salir tanti gradi? meglio frastarmi in riposo o affaticarmi manco.
Nel tempo chera nuovo il mondo ancorae che inesperta era la gente prima
210 e non eran lastuzie che sono ora,a pi dun alto monte, la cui cima
parea toccassi il cielo, un popul, qualenon so mostrar, vivea ne la val ima;
che pi volte osservando la inequale215 luna, or con corna or senza, or piena or scema,
girar il cielo al corso naturale;
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
e credendo poter da la supremaparte del monte giungervi, e vederlacome si accresca e come in s si prema;
220 chi con canestro e chi con sacco per lamontagna cominciar correr in su,ingordi tutti a gara di volerla.
Vedendo poi non esser giunti pivicini a lei, cadeano a terra lassi,225 bramando in van desser rimasi gi.
Quei chalti li vedean dai poggi bassi,credendo che toccassero la luna,dietro venian con frettolosi passi.
Questo monte la ruota di Fortuna,230 ne la cui cima il volgo ignaro pensa
chogni quiete sia, n ve n alcuna.Se ne lonor si trova o ne la immensa
ricchezza il contentarsi, i lodereinon aver, se non qui, la voglia intensa;
235 ma se vediamo i papi e i re, che distimiamo in terra, star sempre in travaglio,che sia contento in lor dir non potrei.
Se di ricchezze al Turco, e sio me agguagliodi dignitate al Papa, et ancor brami
240 salir pi in alto, mal me ne prevaglio;convenevole ben chi ordisca e trami
di non patire alla vita disagio,che pi di quanto ho al mondo ragion chio ami.
Ma se luomo s ricco che sta ad agio245 di quel che la natura contentarse
dovria, se fren pone al desir malvagio;che non digiuni quando vorria trarse
lingorda fame, et abbia fuoco e tettose dal freddo o dal sol vuol ripararse;
250 n gli convenga andare a pi, se astretto di mutar paese; et abbia in casachi la mensa apparecchi e acconci il letto,
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
che mi pu dare o mezza o tutta rasala testa pi di questo? ci misura
255 di quanto puon capir tutte le vasa.Convenevole ancor che sabbia cura
de lonor suo; ma tal che non divengaambizione e passi ogni misura.
Il vero onore chuom da ben te tenga260 ciascuno, e che tu sia; che, non essendo,forza che la bugia tosto si spenga.
Che cavalliero o conte o reverendoil populo te chiami, io non te onoro,se meglio in te che l titol non comprendo.
265 Che gloria ti vestir di seta e doro,e, quando in piazza appari o ne la chiesa,ti si lievi il capuccio il popul soro;
poi dica dietro: Ecco che diede presaper danari a Francesi Porta Giove
270 che il suo signor gli avea data in difesa?Quante collane, quante cappe nuove
per dignit si comprano, che sonopublici vituperii in Roma e altrove!
Vestir di romagnuolo et esser bono,275 al vestir doro et aver nota o macchia
di baro o traditor sempre prepono.Diverso al mio parere il Bomba gracchia,
e dice: Abbio pur roba, e sia lacquistoo venuto pel dado o per la macchia:
280 sempre ricchezze riverire ho vistopi che virt; poco il mal dir mi nce:se riniega anco e si biastemia Cristo.
Pian piano, Bomba; non alzar la voce:biastemian Cristo li uomini ribaldi,
285 peggior di quei che lo chiavaro in croce;ma li onesti e li buoni dicon mal di
te, e dicon ver; che carte false e daditi dnno i beni chai, mobili e saldi.
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Ludovico Ariosto Satire Satira III A messer Annibale Malagucio
E tu di lor da dirlo, perch radi290 pi di te in questa terra straccian tele
doro e broccati e veluti e zendadi.Quel che devresti ascondere, rivele:
a furti tuoi, che star dovrian di piatto,per mostrar meglio, allumi le candele:
295 e di materia chogni savio e mattointender vuol come ville e palazzidentro e di fuori in s pochi anni hai fatto,
e come cos vesti e cos sguazzi;e rispondere forza, e a te avviso
300 esser grande uomo, e dentro ne gavazzi.Pur che non se lo veggia dire in viso,
non stima il Borna che sia biasmo, sodemormorar dietro che abbia il frate ucciso.
Se bene stato in bando un pezzo, or gode305 lereditate in pace, e chi gli agogna
mal, freme indarno e indarno se ne rode.Quello altro va se stesso a porre in gogna
facendosi veder con quella aguzzamitra acquistata con tanta vergogna.
310 Non avendo pi pel duna cuccuzza,ha meritato con brutti servigila dignitate e l titolo che puzza
a spirti umani, alli celesti e a stigi.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Satira IV
A messer Sismondo Malegucio
Il vigesimo giorno di febraiochiude oggi lanno che da questi monti,che dnno a Toschi il vento di rovaio,
qui scesi, dove da diversi fonti5 con eterno rumor confondon lacque
la Trrita col Serchio fra duo ponti;per custodir, come al signor mio piacque,
il gregge grafagnin, che a lui ricorsoebbe, tosto che a Roma il Leon giacque;
10 che spaventato e messo in fuga e morsogli lavea dianzi, e lavria mal condottose non venia dal ciel iusto soccorso.
E questo in tanto tempo il primo mottochio fo alle dee che guardano la pianta
15 de le cui frondi io fui gi cos giotto.
La novit del loco stata tantacho fatto come augel che muta gabbia,che molti giorni resta che non canta.
Maleguzzo cugin, che tacciuto abbia20 non ti maravigliar, ma maraviglia
abbi che morto io non sia ormai di rabbiavedendomi lontan cento e pi miglia,
e da neve, alpe, selve e fiumi esclusoda chi tien del mio cor sola la briglia.
25 Con altre cause e pi degne mi escusocon gli altri amici, a dirti il ver; ma tecoliberamente il mio peccato accuso.
Altri a chi lo dicessi, un occhio biecomi volgerebbe a dosso, e un muso stretto:
30 Guata poco cervel!poi diria secodegno uom da chi esser debbia un popul retto,
uom che poco lontan da cinquanta annivaneggi nei pensier di giovinetto!
E direbbe il Vangel di san Giovanni;35 che, se ben erro, pur non son s losco
che l mio error non conosca e chio nol danni.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Ma che giova sio l danno e sio l conosco,se non ci posso riparar, n truovirimedio alcun che spenga questo tsco?
40 Tu forte e saggio, che a tua posta muoviquesti affetti da te, che in noi, nascendo,natura affige con s saldi chiovi!
Fisse in me questo, e forse non s orrendocome in alcun cha di me tanta cura45 chi non pu tolerar chio non mi emendo;
e fa come io so alcun, che dice e giurache quello e questo becco, e quanto lungosia il cimer del suo capo non misura.
Io non uccido, io non percuoto o pungo,50 io non do noia altrui, se ben mi dolgo
che da chi meco sempre io mi dilungo:perci non dico n a difender tolgo
che non sia fallo il mio; ma non s graveche di via pi non me perdoni il volgo.
55 Con manco ranno il volgo, non che lavemaggior macchia di questa, ma soventetitolo al vizio di virt dato have.
Ermilian s del dannaio ardentecome dAlessio il Gianfa, e che lo brama
60 ogni ora, in ogni loco, da ogni gente,n amico n fratel n se stesso ama:
uomo dindustria, uomo di grande ingegno,di gran governo e gran valor si chiama.
Gonfia Rinieri, et ha il suo grado a sdegno;65 esser gli par quel che non , e pi inanzi
che in tre salti ir non pu si mette il segno.Non vuol che in ben vestire altro lo avanzi;
spenditor, scalco, falconiero, cuoco,vuol chi lo scalzi, chi gli tagli inanzi.
70 Oggi uno e diman vende un altro loco;quel che in molti anni acquistar gli avi e i patrigetta a man piene, e non a poco a poco.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Costui non chi morda o che gli latri,ma liberal, magnanimo si noma
75 fra li volgar giudici oscuri et atri.Solonnio di facende s gran soma
tolle a portar, che ne saria gi mortoil pi forte somier che vada a Roma.
Tu l vedi in Banchi, alla dogana, al porto,80 in Camera apostolica, in Castello,da un ponte allaltro a un volgier docchi sorto.
Si stilla notte e d sempre il cervello,come al Papa ognor dia freschi guadagnicon novi dazii e multe e con balzello.
85 Gode fargli saper che se ne lagnie dica ognun che allutil del padronenon riguardi parenti n compagni.
Il popul lodia, et ha di odiar ragione,se di ogni mal che la citt flagella
90 gli ver chegli sia il capo e la cagione.E pur grande e magnifico se appella,
n senza prima discoprirsi il capoil nobile o il plebeo mai gli favella.
Laurin si fa de la sua patria capo,95 et in privato il publico converte;
tre ne confina, a sei ne taglia il capo;comincia volpe, indi con forze aperte
escie leon, poi cha l popul seduttocon licenze, con doni e con offerte:
100 liniqui alzando, e deprimendo in luttoli buoni, acquista titolo di saggio,di furti, stupri e domicidi brutto.
Cos d onore a chi dovrebbe oltraggio,n sa da colpa a colpa scerner lorbo
105 giudizio, a cui non mostra il sol mai raggio;e stima il corbo cigno e il cigno corbo;
se sentisse chio amassi, faria un visocome mordesse allora allora un sorbo.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Dica ogniun come vuole, e siagli aviso110 quel che gli par: in somma ti confesso
che qui perduto ho il canto, il gioco, il riso.Questa la prima; ma moltaltre appresso
e moltaltre ragion posso allegarte,che da le dee mha tolto di Parmesso.
115 Gi mi fur dolci inviti a empir le carteli luoghi ameni di che il nostro Reggio,il natio nido mio, nha la sua parte.
Il tuo Maurician sempre vagheggio,la bella stanza, il Rodano vicino,
120 da le Naiade amato ombroso seggio,il lucido vivaio onde il giardino
si cinge intorno, il fresco rio che corre,rigando lerbe, ove poi fa il molino;
non mi si pu de la memoria trre125 le vigne e i solchi del fecondo Iaco,
la valle e il colle e la ben posta trre.Cercando or questo et or quel loco opaco,
quivi in pi duna lingua e in pi dun stilerivi traea sin dal gorgoneo laco.
130 Erano allora gli anni miei fra aprilee maggio belli, chor lottobre dietrosi lasciano, e non pur luglio e sestile.
Ma n dAscra potrian n di Libetrolamene valli, senza il cor sereno,
135 far da me uscir iocunda rima o metro.
Dove altro albergo era di questo menoconveniente a i sacri studi, vuotodogni iocundit, dogni orror pieno?
La nuda Pania tra lAurora e il Noto,140 da laltre parti il giogo mi circonda
che fa dun Pellegrin la gloria noto.Questa una fossa, ove abito, profonda,
donde non muovo pi senza saliredel silvoso Apennin la fiera sponda.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
145 O stiami in Rocca o voglio allaria uscire,accuse e liti sempre e gridi ascolto,furti, omicidii, odi, vendette et ire;
s che or con chiaro or con turbato voltoconvien che alcuno prieghi, alcun minacci,
150 altri condanni, altri ne mandi assolto;
chogni d scriva et empia fogli e spacci,al Duca or per consiglio or per aiuto,s che i ladron, cho dogni intorno, scacci.
Di saper la licenzia in che venuto155 questo paese, poi che la Pantera,
indi il Leon lha fra gli artigli avuto.Qui vanno li assassini in s gran schiera
chunaltra, che per prenderli ci posta,non osa trar del sacco la bandiera.
160 Saggio chi dal Castel poco si scosta!Ben scrivo a chi pi tocca, ma non tornasecondo chio vorrei mai la risposta.
Ogni terra in se stessa alza le corna,che sono ottantatre, tutte partite
165 da la sedizion che ci soggiorna.Vedi or se Appollo, quando io ce lo invite,
vorr venir, lasciando Delfo e Cinto,in queste grotte a sentir sempre lite.
Dimandar mi potreste chi mha spinto170 dai dolci studi e compagnia s cara
in questo rincrescevol labirinto.
Tu di saper che la mia voglia avaraunqua non fu, chio solea star contentodi quel stipendio che traea a Ferrara;
175 ma non sai forse come usc poi lento,succedendo la guerra, e come volseil Duca che restasse in tutto spento.
Fin che quella dur, non me ne dolse;mi dolse di veder che poi la mano
180 chiusa rest, chogni timor si sciolse.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Tanto pi che lufficio di Melano,poi che le leggi ivi tacean fra larmi,bramar gli affitti suoi mi facea invano.
Ricorsi al Duca: O voi, signor, levarmi185 dovete di bisogno, o non vi incresca
chio vada altra pastura a procacciarmi.
Grafagnini in quel tempo, essendo frescala lor rivoluzion, che spinto fuoriavean Marzocco a procacciar daltra sca,
190 con lettere frequenti e imbasciatorireplicavano al Duca, e facean frettadaver lor capi e lor usati onori.
Fu di me fatta una improvisa eletta,o forse perch il termine era breve
195 di consigliar chi pel miglior si metta,o pur fu appresso il mio signor pi leve
il bisogno de sudditi che il mio,di chobligo gli ho quanto se gli deve.
Obligo gli ho del buon voler, pi chio200 mi contenti del dono, il quale grande,
ma non molto conforme al mio desio.Or se di me a questi omini dimande,
potrian dir che bisogno era di asprezza,non di clemenzia, allopre lor nefande.
205 Come n in me, cos n contentezza forse in lor; io per me son quel galloche la gemma ha trovata e non lapprezza.
Son come il Veneziano, a cui il cavallodi Mauritania in eccellenzia buono
210 donato fu dal re di Portogallo;il qual, per aggradir il real dono,
non discernendo che mistier diversivolger temoni e regger briglie sono,
sopra vi salse, e cominci a tenersi215 con mani al legno e cosproni ala pancia:
Non vuseco dicea che tu mi versi.
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Ludovico Ariosto Satire Satira IV A messer Sismondo Malegucio
Sente il cavallo pungersi, e si lancia;e l buon nocchier pi allora preme e stringelo sprone al fianco, aguzzo pi che lancia,
220 e di sangue la bocca e il fren gli tinge:non sa il cavallo a chi ubedire, o a questoche l torna indietro, o a quel che lurta e spinge;
pur se ne sbriga in pochi salti presto.Rimane in terra il cavallier col fianco,225 co la spalla e col capo rotto e pesto.
Tutto di polve e di paura biancosi lev al fin, dal re mal satisfatto,e lungamente poi si ne dolse anco.
Meglio avrebbe egli, et io meglio avrei fatto,230 egli il ben del cavallo, io del paese,
a dir: O re, o signor, non ci sono atto;sie pur a un altro di tal don cortese.
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ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Ludovico Ariosto Satire Satira V A messer Annibale Malegucio
Satira V
A messer Annibale Malegucio
Da tutti li altri amici, Annibale, odo,fuor che da te, che sei per pigliar moglie:mi duol che l celi a me, che l facci lodo.
Forse mel celi perch alle tue voglie5 pensi che oppor mi debbia, come io danni,
non lavendo tolta io, saltri la toglie.Se pensi di me questo, tu te inganni:
ben che senza io ne sia, non per accusose Piero lha, Martin, Polo e Giovanni.
10 Mi duol di non lavere, e me ne iscusosopra varii accidenti che lo effettosempre dal buon voler tennero escluso;
ma fui di parer sempre, e cos dettolho pi volte, che senza moglie a lato
15 non puote uomo in bontade esser perfetto.
N senza si pu star senza peccato;che chi non ha del suo, fuor accattarne,mendicando o rubandolo, sforzato;
e chi susa a beccar de laltrui carne,20 diventa giotto, et oggi tordo o quaglia,
diman fagiani, uno altro d vuol starne;non sa quel che sia amor, non sa che vaglia
la caritade: e quindi avien che i pretisono s ingorda e s crudel canaglia.
25 Che lupi sieno e che asini indiscretimel dovreste saper dir voi da Reggio,se gi il timor non vi tenesse cheti.
Ma senza che l dicate, io me ne aveggio;de la ostinata Modona non parlo,
30 che, tutto che stia mal, merta star peggio.Pigliala, se la vuoi; fa, se di farlo;
e non voler, come il dottor Buonleo,ala estrema vecchiezza prolungarlo.
Quella et pi al servizio di Lieo35 che di Vener conviensi: si dipinge
giovane fresco, e non vecchio, Imeneo.
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Ludovico Ariosto Satire Satira V A messer Annibale Malegucio
Il vecchio, allora che l desir lo spinge,di s prosume e spera far gran cose;si sganna poi che al paragon si stringe.
40 Non voglion rimaner per le sposenel danno; sempre ci mano adiutriceche soviene alle pover bisognose.
E se non fosse ancor, pur ognun diceche gli cos: non pn fuggir la fama,
45 pi che del ver, del falso relatrice,la qual patisce mal chi lonor ama;
ma questa passion debole e nulla,verso unaltra maggior, ser Iorio chiama.
Peggio dice vedersi un ne la culla,50 e per casa giocando ir duo bambini,
e poco prima nata una fanciulla:et esser di sua et giunto a confini,
e non aver che doppo s lor mostri
la via del bene, e non li fraudi e uncini.55 Pigliala, e non far come alcuni nostri
gentiluomini fanno, e molti fro,chor giaccion per le chiese e per li chiostri:
di mai non la pigliar fu il lor pensiero,per non aver figliuoli che far pezzi
60 debbian di quel che a pena basta intiero.Quel che acerbi non fr, maturi e mzzi
fan poi con biasmo: truovan ne le villee ne le cucine anco a chi far vezzi.
Nascono figli e crescon le faville,
65 et al fin, pusillanimi e bugiardi,sinducono a sposar villane e ancille,
perch i figli non restino bastardi.Quindi falsificato di Ferrarain gran parte il buon sangue, se ben guardi;
70 quindi la giovent vedi s rara che le virtudi e li bei studi, e moltache degli avi materni i stili impara.
Cugin, fai bene a tr moglier; ma ascolta:pensaci prima; non varr poi dire
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75 di non, savrai di s detto una volta.In questo il mio consiglio proferire
ti vuo, e mostrar, se ben non lo richiedi,quel che tu di cercar, quel che fuggire.
Tu ti ridi di me forse, e non vedi80 come io ti possa consigliar, chavuto
non ho in tal nodo mai collo n piedi.Non hai, quando dui giocano, vedutoche quel che sta a vedere ha meglio spessoci che sha a far, che l giocator, saputo?
85 Se tu vedi che tocchi, o vada appressoil segno il mio parer, dgli il consenso;se non, riputal sciocco, e me con esso.
Ma prima chio ti mostri altro compenso,tavrei da dir che, se amorosa face
90 ti fa pigliar moglier, che segui il senso.Ogni virtude in lei, sella ti piace:
so ben che n orator latin, n greco,saria a dissuadertilo efficace.
Io non son per mostrar la strada a un cieco;95 ma se tu il bianco e il rosso e il ner comprendi,
essamina il consiglio chio te arreco.Tu che vuoi donna, con gran studio intendi
qual sia stata e qual sia la madre, e qualisien le sorelle, salonore attendi.
100 Sin cavalli, se n boi, se n bestie taliguardian le razze, che faremo in questi,
che son fallaci pi chaltri animali?Di vacca nascer cerva non vedesti,
n mai colomba daquila, n figlia105 di madre infame di costumi onesti.
Oltre che il ramo al ceppo sassimiglia,il dimestico essempio, che le aggirapel capo sempre, ogni bont sgombiglia.
Se la madre ha duo amanti, ella ne mira110 a quattro e a cinque, e spesso a pi di sei,
et a quanti pi pu la rete tira:
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e questo per mostrar che men di leinon leggiadra, e non le fur del donode la belt men liberali i di.
115 Saper la balia e le compagne buono:se appresso il padre sia nodrita o in corte,al fuso, allago, o pur in canto e in suono.
Non cercar chi pi dote, o chi ti portetitoli e fumi e pi nobil parenti
120 che al tuo aver si convenga e alla tua sorte;ch difficil sar, se non ha venti
donne poi dietro e staffieri e un ragazzoche le sciorini il cul, tu la contenti.
Vorr una nana, un bufoncello, un pazzo,125 e compagni da tavola e da giuoco
che tutto il d la tengano in solazzo.N tr di casa il pi, n mutar loco
vorr senza carretta; ben chio stimi,
fra tante spese, questa spesa poco:130 che se tu non la fai, che sei de primi
e di sangue e daver ne la tua terra,non la far gi quei che son degli imi.
E se mattina e sera ondeggiando erracon cavalli a vettura la Giannicca,
135 che far chi del suo li pasce e ferra?Ma se laltre nhan dui, ne vuol la ricca
quattro; se le compiaci, pi che l conteRinaldo mio la te aviluppa e ficca;
se le contrasti, pon la pace a monte,140 e come Ulisse al canto, tu lorecchia
chiudi a pianti, a lamenti, a gridi et onte;ma non le dir oltraggio, o tapparecchia
cento udirne per uno, e che ti pungapi che punger non suol vespe n pecchia.
145 Una che ti sia ugual teco si giunga,che por non voglia in casa nuove usanze,n pi del grado aver la coda lunga.
Non la vuo tal che di bellezze avanzelaltre, e sia in ogni invito, e sempre vada
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150 capo di schiera per tutte le danze.Fra bruttezza e belt truovi una strada
dove gran turba, n bella n brutta,che non tha da spiacer, se non te aggrada.
Che quindi esce, a man ritta truova tutta155 la gente bella, e dal contrario canto
quanta bruttezza ha il mondo esser ridutta.Quinci pi sozze, e poi pi sozze quantotu vai pi inanzi; e quindi truovi i visipi di bellezza e pi tenere il vanto.
160 Sove di tr la tua vuoi chio te avisi,o ne la strada, o a man ritta nei campidir, ma non di l troppo divisi.
Non ti scostar, non ir dove tu inciampiin troppo bella moglie, s che ognuno
165 per lei damor e di desire avampi.Molti la tenteranno, e quando ad uno
repugni, o a dui, o a tre, non star in spemeche non ne abbia aver vittoria alcuno.
Non la tr brutta; che torresti insieme170 perpetua noia; mediocre forma
sempre lodai, sempre dannai le estreme.Sia di buona aria, sia gentil, non dorma
con gli occhi aperti; che pi lesser scioccadogni altra ria deformit deforma.
175 Se questa in qualche scandalo trabocca,lo fa palese, in modo che d sopra
li fatti suoi facenda ad ogni bocca.Laltra, pi saggia, si conduce allopra
secretamente, e studia, come il gatto,180 che la immondizia sua la terra copra.
Sia piacevol, cortese, sia dogni attodi superbia nimica, sia gioconda,non mesta mai, non mai col ciglio attratto.
Sia vergognosa; ascolti e non risponda185 per te dove tu sia; n cessi mai,
n mai stia in ozio; sia polita e monda.
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De dieci anni o di dodici, se faiper mio consiglio, fia di te minore;di pare o di pi et non la tr mai:
190 perch passando, come fa, il meglioretempo e i begli anni in lor prima che in noi,ti parria vecchia, essendo anco tu in fiore.
Per vorrei che l sposo avesse i suoitrentanni, quella et che l furor cessa195 presto al voler, presto al pentirse poi.
Tema Dio, ma che udir pi duna messavoglia il d non mi piace; e vuo che bastisuna o due volte lanno si confessa.
Non voglio che con gli asini che basti200 non portano abbia pratica, n faccia
ogni d trte al confessore e pasti.Voglio che se contenti de la faccia
che Dio le diede, e lassi il rosso e il biancoala signora del signor Ghinaccia.
205 Fuor che lisciarsi, uno ornamento mancodaltra ugual gentildonna ella non abbia;liscio non vuo, n tu credo il vogli anco.
Se sapesse Erculan dove le labbiapon quando bacia Lidia, avria pi a schivo
210 che se baciasse un cul marzo, di scabbia.Non sa che l liscio fatto col salivo
de le giudee che l vendon; n con tempredi muschio ancor perde lodor cattivo.
Non sa che con la merda si distempre215 di circoncisi lor bambini il grasso
dorride serpi che in pastura han sempre.Oh quante altre spurcizie a dietro lasso,
di che sungono il viso, quando al sonnose acconcia il steso fianco, e il ciglio basso!
220 S che quei che le baciano, ben ponnocon men schivezza e stomachi pi saldibaciar lor anco a nuova luna il conno.
Il sollimato e gli altri unti ribaldi,
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di che ad uso del viso empion gli armari,225 fan che s tosto il viso lor saffaldi;
o che i bei denti, che gi fur s cari,lascian la bocca fetida e corrotta,o neri e pochi restano, e mal pari.
Segua le poche, e non la volgar frotta;
230 n sappia far la tua bianco n rosso,ma sia del filo e de la tela dotta.Se tal la truovi, consigliar ti posso
che tu la prenda; se poi cangia stile,e che se tiri alcun gallante a dosso,
235 o faccia altra opra enorme, e che simleil frutto, in tempo del ricor, non escaai molti fior chavea mostrato aprile;
de la tua sorte, e non di te tincresca,che per indiligenza e poca cura
240 gusti diverso alapetito lsca.Ma chi va cieco a prenderla a ventura,
o chi fa peggio assai, che la conosce,e pur la vuol, sia quanto voglia impura,
se poi pentito si batte le cosce245 altro che s non de imputar del fallo,
n cercar compassion de le sue angosce.Poi chio tho posto assai bene a cavallo,
ti voglio anco mostrar come lo guidi,come spinger lo di, come fermallo.
250 Tolto che moglie avrai, lascia li nidi
degli altri, e sta sul tuo; che qualche augello,trovandol senza te, non vi si annidi.
Falle carezze, et amala con quelloamor che vuoi chella ami te; aggradisci,
255 e ci che fa per te paiati bello.Se pur tal volta errasse, lammonisci
sanza ira, con amore; e sia assai penache la facci arrossir senza por lisci.
Meglio con la man dolce si raffrena260 che con forza il cavallo, e meglio i cani
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le lusinghe fan tuoi che la catena.Questi animal, che son molto pi umani,
corregger non si dn sempre con sdegno,n, al mio parer, mai con menar de mani.
265 Chella ti sia compagna abbi disegno;non come in comperata per tua serva
reputa aver in lei dominio e regno.Cerca di sodisfarle ove protervanon sia la sua domanda, e, compiacendo,
270 quanto pi amica puoi te la conserva.Che tu la lasci far non te commendo,
senza saputa tua, ci chella vuole;che mostri non fidarti anco riprendo.
Ire a conviti e publiche carole275 non le vietar, n, ali suoi tempi, a chiese,
dove ridur la nobilt si suole:gli adlteri n in piazza n in palese,
ma in case de vicini e de commatri,balie e tal genti, han le lor reti tese.
280 Abbile sempre, ai chiari tempi e agli atri,dietro il pensier, n la lasciar di vista:che l bel rubar suol far gli uomini latri.
Studia che compagnia non abbia trista:a chi ti vien per casa abbi avvertenza,
285 che fuor non temi, e dentro il mal consista;ma studia farlo cautamente, senza
saputa sua; che si dorria a ragione
sin te sentisse questa diffidenza.Lievale quanto puoi la occasione
290 desser puttana, e pur se avien che sia,almen che ella non sia per tua cagione.
Io non so la miglior di questa viache gi tho detta, per schivar che in predaad altri la tua donna non se dia.
295 Ma sella navr voglia, alcun non credadi ripararci: ella sapr ben comefar chal suo inganno il tuo consiglio ceda.
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Ludovico Ariosto Satire Satira V A messer Annibale Malegucio
Fu gi un pittor, Galasso era di nome,che dipinger il diavolo solea
300 con bel viso, begli occhi e belle chiome;n piei daugel n corna gli faccea,
n faccea s leggiadro n s adornolangel da Dio mandato in Galilea.
Il diavol, riputandosi a gran scorno305 se fosse in cortesia da costui vinto,gli apparve in sogno un poco inanzi il giorno,
e gli disse in parlar breve e succintochegli era, e che venia per render mertode laverlo s bel sempre dipinto;
310 per lo richiedesse, e fosse certodi subito ottener le sue domande,e di aver pi che non se gli era offerto.
Il meschin, chavea moglie dadmirandebellezze, e ne vivea geloso, e nera
315 sempre in sospetto et in angustia grande,preg che gli mostrasse la maniera
che savesse a tener, perch il maritopotesse star sicur de la mogliera.
Par che l diavolo allor gli ponga in dito320 uno annello, e ponendolo gli dica:
Fin che ce l tenghi, esser non puoi tradito.Lieto chomai la sua senza fatica
potr guardar, si sveglia il mastro, e truovache l dito alla moglier ha ne la fica.
325 Questo annel tenga in dito, e non lo muovamai chi non vuol ricevere vergognada la sua donna; e a pena anco gli giova,
pur chella voglia, e farlo si dispogna.potr guardar, si sveglia il mastro, e truova
330 che l dito alla moglier ha ne la fica.Questo annel tenga in dito, e non lo muova
mai chi non vuol ricevere vergognada la sua donna; e a pena anco gli giova,
pur chella voglia, e farlo si dispogna.
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
Satira VI
A messer Pietro Bembo
Bembo, io vorrei, come il commun disiode solliciti padri, veder lartiche essaltan luom, tutte in Virginio mio;
e perch di esse in te le miglior parti5 veggio, e le pi, di questo alcuna cura
per lamicizia nostra vorrei darti.Non creder per chesca di misura
la mia domanda, chio voglia tu faccilufficio di Demetrio o di Musura
10 (non si dnno a par tuoi simili impacci),ma sol che pensi e che discorri teco,e saper dagli amici anco procacci
sin Padova o in Vinegia alcun buon greco,buono in scienzia e pi in costumi, il quale
15 voglia insegnarli, e in casa tener seco.
Dottrina abbia e bont, ma principalesia la bont: che, non vi essendo questa,n molto quella alla mia estima vale.
So ben che la dottrina fia pi presta20 a lasciarsi trovar che la bontade:
s mal luna ne laltra oggi sinesta.O nostra male aventurosa etade,
che le virtudi che non abbian mistivici nefandi si ritrovin rade!
25 Senza quel vizio son pochi umanistiche fe a Dio forza, non che persuase,di far Gomorra e i suoi vicini tristi:
mand fuoco da ciel, chuomini e casetutto consumpse; et ebbe tempo a pena
30 Lot a fugir, ma la moglier rimase.Ride il volgo, se sente un chabbia vena
di poesia, e poi dice: E` gran periglioa dormir seco e volgierli la schiena.
Et oltra questa nota, il peccadiglio35 di Spagna gli dnno anco, che non creda
in unit del Spirto il Padre e il Figlio.
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
Non che contempli come lun procedada laltro o nasca, e come il debol sensochuno e tre possano essere conceda;
40 ma gli par che non dando il suo consensoa quel che approvan gli altri, mostri ingegnoda penetrar pi su che l cielo immenso.
Se Nicoletto o fra Martin fan segnodinfedele o deretico, ne accuso45 il saper troppo, e men con lor mi sdegno:
perch, salendo lo intelletto in susoper veder Dio, non de parerci stranose talor cade gi cieco e confuso.
Ma tu, del qual lo studio tutto umano50 e son li tuoi suggetti i boschi e i colli,
il mormorar dun rio che righi il piano,cantar antiqui gesti e render molli
con prieghi animi duri, e far soventedi false lode i principi satolli,
55 dimmi, che truovi tu che s la menteti debbia aviluppar, s trre il senno,che tu non creda come laltra gente?
Il nome che di apostolo ti dennoo dalcun minor santo i padri, quando
60 cristiano dacqua, e non daltro ti fenno,in Cosmico, in Pomponio vai mutando;
altri Pietro in Pierio, altri Giovanniin Iano o in Iovian va riconciando;
quasi che l nome i buon giudici inganni,65 e che quel meglio tabbia a far poeta
che non far lo studio de molti anni.Esser tali dovean quelli che vieta
che sian ne la republica Platone,da lui con s santi ordini discreta;
70 ma non fu tal gi Febo, n Anfione,n gli altri che trovaro i primi versi,che col buon stile, e pi con lopre buone,
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
persuasero agli uomini a doversiridurre insieme, e abandonar le giande
75 che per le selve li traean dispersi;e fr che i pi robusti, la cui grande
forza era usata alli minori trreor mogli, or gregge et or miglior vivande,
si lasciaro alle leggi sottoporre,80 e cominciar, versando aratri e glebe,del sudor lor pi giusti frutti accrre.Indi i scrittor fro allindotta plebecreder chal suon de le soavi cetrelun Troia e laltro edificasse Tebe;
85 e avesson fatto scendere le petredagli alti monti, et Orfeo tratto al cantotigri e leon da le spelonche tetre.
Non , sio mi coruccio e grido alquantopi con la nostra che con laltre scole,
90 chin tutte laltre io non veggia altretanto,daltra correzion che di parole
degne; n del fallir de suoi scolari,non pur Quintillano che si duole.
Ma se degli altri io vuo scoprir gli altari,95 tu dirai che rubato e del Pistoia
e di Petro Aretino abbia gli armari.Degli altri studi onor e biasmo, noia
mi d e piacer, ma non come sio sentoche viva il pregio de poeti e moia.
100 Altrimenti mi dolgo e mi lamentodi sentir riputar senza cervelloil biondo Aonio e pi leggier che l vento,
che se del dottoraccio suo fratelloodo il medesmo, al quale un altro pazzo
105 don lonor del manto e del capello.Pi mi duol chin vecchiezza voglia il guazzo
Placidian, che gioven dar soleva,e che di cavallier torni ragazzo,
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
che di sentir che simil fango aggreva110 il mio vicino Andronico, e vi giace
gi settantanni, e ancor non se ne lieva.Se mi detto che Pandaro rapace,
Curio goloso, Pontico idolatro,Flavio biastemator, via pi mi spiace
115 che se per poco prezzo odo Cusatrodar le sentenzie false, o che col tscomastro Battista mescole il veratro;
o che quel mastro in teologia chal tscomesce il parlar fachin, si tien la scroffa,
120 e gi nha dui bastardi chio conosco;n per saziar la gola sua gaglioffa
perdona a spesa, e lascia che di famelangue la madre e va mendica e goffa;
poi lo sento gridar, che par che chiame125 le guardie, chio digiuni e chio sia casto,
e che quanto me stesso il prossimo ame.Ma gli error di questi altri cos il basto
di miei pensier non gravano, che moltolasci il dormir o perder voglia un pasto.
130 Ma per tornar l donde io mi son tolto,vorrei che a mio figliuolo un precettoretrovassi meno in questi vizii involto,
che ne la propria lingua de lautoregli insegnasse dintender ci che Ulisse
135 sofferse a Troia e poi nel lungo errore,
ci che Apollonio e Euripide gi scrisse,Sofocle, e quel che da le morse frondepar che poeta in Ascra divenisse,
e quel che Galatea chiam da londe,140 Pindaro, e gli altri a cui le Muse argive
donar s dolci lingue e s faconde.Gi per me sa ci che Virgilio scrive,
Terenzio, Ovidio, Orazio, e le plautinescene ha vedute, guaste e a pena vive.
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
145 Omai pu senza me per le latinevestigie andar a Delfi, e de la stradache monta in Elicon vedere il fine;
ma perch meglio e pi sicur vi vada,desidero chegli abbia buone scorte,
150 che sien de la medesima contrada.
Non vuol la mia pigrizia o la mia sorteche del tempio di Apollo io gli apra in Delo,come gli fei nel Palatin, le porte.
Ahi lasso! quando ebbi al pegseo melo155 let disposta, che le fresche guancie
non si vedeano ancor fiorir dun pelo,mio padre mi cacci con spiedi e lancie,
non che con sproni, a volger testi e chiose,e me occup cinque anni in quelle ciancie.
160 Ma poi che vide poco fruttuoselopere, e il tempo invan gittarsi, dopomolto contrasto in libert mi pose.Passar venti anni io mi truovavo, et uopoaver di pedagogo: che a fatica
165 inteso avrei quel che tradusse Esopo.Fortuna molto mi fu allora amica
che mi offerse Gregorio da Spoleti,che ragion vuol chio sempre benedica.
Tenea dambe le lingue i bei secreti,170 e potea giudicar se meglior tuba
ebbe il figliuol di Venere o di Teti.
Ma allora non curai saper di Ecubala rabbiosa ira, e come Ulisse a Resola vita a un tempo e li cavalli ruba;
175 chio volea intender prima in che avea offesoEnea Giunon, che l bel regno da leigli dovesse dEsperia esser conteso;
che l saper ne la lingua de li Acheinon mi reputo onor, sio non intendo
180 prima il parlar de li latini miei.
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Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
Mentre luno acquistando, e diferrendovo laltro, lOccasion fugg sdegnata,poi che mi porge il crine, et io nol prendo.
Mi fu Gregorio da la sfortunata185 Duchessa tolto, e dato a quel figliuolo
a chi avea il zio la signoria levata.
Di che vendetta, ma con suo gran duolo,vide ella tosto, ahim!, perch del falloquel che pecc non tu punito solo.
190 Col zio il nipote (e fu poco intervallo)del regno e de laver spogliati in tutto,prigione andar sotto il dominio gallo.
Gregorio a prieghi dIsabella induttofu a seguir il discepolo, l dove
195 lasci, morendo, i cari amici in lutto.Questa iattura e laltre cose nve
che in quei tempi successeno, mi froscordar Talia et Euterpe e tutte nve.
Mi more il padre, e da Maria il pensiero200 drieto a Marta bisogna chio rivolga,
chio muti in squarci et in vacchette Omero;truovi marito e modo che si tolga
di casa una sorella, e unaltra appresso,e che leredit non se ne dolga;
205 coi piccioli fratelli, ai quai successoero in luogo di padre, far luffizioche debito e piet avea commesso;
a chi studio, a chi corte, a chi essercizioaltro proporre, e procurar non pieghi
210 da le virtudi il molle animo al vizio.N questo sol che alli miei studii nieghi
di pi avanzarsi, e basti che la barca,perch non torni a dietro, al lito leghi;
ma si truov di tanti affanni carca215 allor la mente mia, chebbi desire
che la cocca al mio fil fsse la Parca.
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ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Ludovico Ariosto Satire Satira VI A messer Pietro Bembo
Quel, la cui dolce compagnia nutriresolea i miei studi, e stimulando inanzicon dolce emulazion solea far ire,
220 il mio parente, amico, fratello, anzilanima mia, non mezza non, ma intiera,senza chalcuna parte me ne avanzi,
mor, Pandolfo, poco dopo: ah ferascossa chavesti allor, stirpe Ariosta,225 di chegli un ramo, e forse il pi bello, era!
In tanto onor, vivendo, tavria posta,chaltra a quel n in Ferrara n in Bologna,onde hai lantiqua origine, saccosta.
Se la virt d onor, come vergogna230 il vizio, si potea sperar da lui
tutto lonor che buono animo agogna.Alla morte del padre e de li dui
s cari amici, aggiunge che dal giogodel Cardinal da Este oppresso fui;
235 che da la creazione insino al rogodi Iulio, e poi sette anni anco di Leo,non mi lasci fermar molto in un luogo,
e di poeta cavallar mi feo:vedi se per le balze e per le fosse
240 io potevo imparar greco o caldeo!Mi maraviglio che di me non fosse
come di quel filosofo, a chi il sassoci che inanzi sapea dal capo scosse.
Bembo, io ti prego insomma, pria che l passo245 chiuso gli sia, che al mio Virginio porga
la tua prudenza guida, che in Parnasso,ove per tempo ir non seppi io, lo scorga.
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ACTA G. DAnna Thsis Zanichelli
Ludovico Ariosto Satire Satira VII A messer Bonaventura Pistofilo ducale segretario
Satira VII
A messer Bonaventura Pistofilo ducale secretario
Pistofilo, tu scrivi che, se appressopapa Clemente imbasciator del Ducaper uno anno o per dui voglio esser messo,
chio te ne avisi, acci che tu conduca5 la pratica; e proporre anco non resti
qualche viva cagion che me vi induca:che lungamente sia stato de questi
Medici amico, e conversar con lorocon gran dimestichezza mi vedesti,
10 quando eran fuorusciti, e quando frorimessi in stato, e quando in su le rossescarpe Leone ebbe la croce doro;
che, oltre che a proposito assai fossedel Duca, estimi che tirare a mio
15 utile e onor potrei gran pste e grosse;
che pi da un fiume grande che da un rioposso sperar di prendere, sio pesco.Or odi quanto acci ti rispondo io.
Io te rengrazio prima, che pi fresco20 sia sempre il tuo desir in essaltarmi,
e far di bue mi vogli un barbaresco;poi dico che pel fuoco e che per larmi
a servigio del Duca in Francia e in Spagnae in India, non che a Roma, puoi mandarmi:
25 ma per dirmi chonor vi si guadagnae facult, ritruova altro cimbello,se vuoi che laugel caschi ne la ragna.
Perch, quanto allonor, nho tutto quellochio voglio: assai mi pu parer chio veggio
30 a pi di sei levarmisi il capello,perch san che talor col Duca seggio
a mensa, e ne riporto qualche graziase per me o per li amici gli la chieggio.
E se, come donor mi truovo sazia35 la mente, avessi facult a bastanza,
il mio desir si fermeria, chor spazia.
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Sol tanta ne vorrei, che viver sanzachiederne altrui mi fsse in libertade,il che ottener mai pi non ho speranza,
40 poi che tanti mie amici podestadehanno avuto di farlo, e pur rimasoson sempre in servitude e in povertade.
Non vuo pi che colei che fu del vasode lincauto Epimeteo a fuggir lenta45 mi tiri come un bufalo pel naso.
Quella ruota dipinta mi sgomentachogni mastro di carte a un modo finge:tanta concordia non credo io che menta.
Quel che le siede in cima si dipinge50 uno asinello: ognun lo enigma intende,
senza che chiami a interpretarlo Sfinge.Vi si vede anco che ciascun che ascende
comincia a inasinir le prime membre,e resta umano quel che a dietro pende.
55 Fin che de la speranza mi rimembre,che coi fior venne e con le prime foglie,e poi fugg senza aspettar settembre
(venne il d che la Chiesa fu per mogliedata a Leone, e che alle nozze vidi
60 a tanti amici miei rosse le spoglie;venne a calende, e fugg inanzi agli idi),
fin che me ne rimembre, esser non puoteche di promessa altrui mai pi mi fidi.
La sciocca speme alle contrade ignote65 sal del ciel, quel d che l Pastor santo
la man mi strinse, e mi baci le gote;ma, fatte in pochi giorni poi di quanto
potea ottener le esperienze prime,quanto and in alto, in gi torn altrotanto.
70 Fu gi una zucca che mont sublimein pochi giorni tanto, che copersea un pero suo vicin lultime cime.
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Il pero una matina gli occhi aperse,chavea dormito un lungo sonno, e visti
75 li nuovi frutti sul capo sederse,le disse: Che sei tu? come salisti
qua su? dove eri dianzi, quando lassoal sonno abandonai questi occhi tristi?
Ella gli disse il nome, e dove al basso80 fu piantata mostrolli, e che in tre mesiquivi era giunta accelerando il passo.Et io larbor soggiunse a pena ascesia questa altezza, poi che al caldo e al gielocon tutti i vnti trenta anni contesi.
85 Ma tu che a un volger docchi arrivi in cielo,rendite certa che, non meno in frettache sia cresciuto, mancher il tuo stelo.
Cos alla mia speranza, che a staffettami trasse a Roma, potea dir chi avuto
90 pei Medici sul capo avea la cettao ne lessilio avea lor sovenuto,
o chi a riporlo in casa o chi a crearloleon dumil agnel gli diede aiuto.
Chi avesse avuto lo spirito di Carlo95 Sosena allora, avria a Lorenzo forse
detto, quando sent duca chiamarlo;et avria detto al duca di Namorse,
al cardinal de Rossi et al Bibiena(a cui meglio era esser rimaso a Torse),
100 e detto a Contessina e a Madalena,ala nora, alla socera, et a tuttaquella famiglia dallegrezza piena:
Questa similitudine fia induttapi propria a voi, che come vostra gioia
105 tosto mont, tosto sar distrutta:tutti morrete, et fatal che muoia
Leone appresso, prima che otto voltetorni in quel segno il fondator di Troia.
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Ma per non far, se non bisognan, molte110 parole, dico che fur sempre poi
lavare spemi mie tutte sepolte.Se Leon non mi di, che alcun de suoi
mi dia, non spero; cerca pur questo amocoprir daltrsca, se pigliar me vuoi.
115 Se pur ti par chio vi debbia ire, andiamo;ma non gi per onor n per ricchezza:questa non spero, e quel di pi non bramo.
Pi tosto di chio lascier lasprezzadi questi sassi, e questa gente inculta,
120 simile al luogo ove ella nata e avezza;e non avr qual da punir con multa,
qual con minaccie, e da dolermi ogni orache qui la forza alla ragione insulta.
Dimmi chio potr aver ozio talora125 di riveder le Muse, e con lor sotto
le sacre frondi ir poetando ancora.Dimmi che al Bembo, al Sadoletto, al dotto
Iovio, al Cavallo, al Blosio, al Molza, al Vidapotr ogni giorno, e al Tibaldeo, far motto;
130 tr di essi or uno e quando uno altro guidapei sette Colli, che, col libro in mano,Roma in ogni sua parte mi divida.
Qui dica il Circo, qui il Foro romano,qui fu Suburra, e questo il sacro clivo;
135 qui Vesta il tempio e qui il solea aver Iano.
Dimmi chavr, di ci chio leggo o scrivo,sempre consiglio, o da latin quel trrevoglia o da tsco, o da barbato argivo.
Di libri antiqui anco mi puoi proporre140 il numer grande, che per publico uso
Sisto da tutto il mondo fe raccorre.Proponendo tu questo, sio ricuso
landata, ben dirai che triste umoreabbia il discorso razional confuso.
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145 Et io in risposta, come Emilio, fuoreporger il pi, e dir: Tu non sa dovequesto calciar mi prema e dia dolore.
Da me stesso mi tol chi mi rimoveda la mia terra, e fuor non ne potrei
150 viver contento, ancor che in grembo a Iove.
E sio non fossi dogni cinque o seimesi stato uno a passeggiar fra il Domoe le due statue de Marchesi miei;
da s noiosa lontananza domo155 gi sarei morto, o pi di quelli macro
che stan bramando in purgatorio il pomo.Se pur ho da star fuor, mi fia nel sacro
campo di Marte senza dubbio menoche in questa fossa abitar duro et acro.
160 Ma se l signor vuol farmi grazia a pieno,a s mi chiami, e mai pi non mi mandipi l dArgenta, o pi qua del Bondeno.Se perch amo s il nido mi dimandi,io non te lo dir pi volentieri
165 chio soglia al frate i falli miei nefandi;che so ben che diresti: Ecco pensieri
duom che quarantanove anni alle spallegrossi e maturi si lasci laltro ieri!
Buon per me chio me ascondo in questa valle,170 n locchio tuo pu correr cento miglia
a scorger se le guancie ho rosse o gialle;
che vedermi la faccia pi vermiglia,ben che io scriva da lunge, ti parrebbe,che non ha madonna Ambra n la figlia,
175 o che l padre canonico non ebbequando il fiasco del vin gli cadde in piazza,che rub al frate, oltre li dui che bebbe.
Sio ti fossi vicin, forse la mazzaper bastonarmi piglieresti, tosto
180 non mi lasci da voi viver