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L’ Universale 1 L’ Universale Periodico di politica, attualità e cultura 26-03-12 ANNO 2012 N. 5 LA CASTA

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L'Universale numero quattro

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L’Universale 1

L’UniversalePeriodico di politica, attualità e cultura

26-03-12ANNO 2012 N. 5

LA CASTA

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Sommario

4 LA CASTAdi Stefano Poma

6SUL LAVORO IL GOVERNO HA SBAGLIATO TRACCIA

di Gianluca Di Agresti

8 UN ANNO DI PD(ISGREGATO)

di Fabio Pittau

10“FORNERO AL CIMITERO?”“DILIBERTO AL MUSEO”

di Massimo Pittarello

12 BILANCI DI GENEREdi Marika Borrelli

14 PADANIA LIBERA LIBERA CORNOVAGLIA

di Franco Morettini

16GLI ANTIPODI DELLA SOCIETA’ DISEGNO

di Manuela De Angelis

DIRETTORE

STEFANO POMA

VICEDIRETTORE

GIANLUCA DI AGRESTI

REDAZIONE

FRANCO MORETTINIMARIKA BORRELLI

MASSIMO PITTARELLOFABIO PITTAU

BRUNA LAROSASILVIA FABBRI

LAURA FOISDENISE PUCA

VIGNETTE E DISEGNI

ROBERTO MASCILONGOMANUELA DE ANGELISU

WWW.LUNIVERSALE.COM

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di STEFANO POMAL’UniversaleEDITORIALE

LACASTA

“Dobbiamo tutti essere grati al Machiavelli e agli scrittori come lui, che ci hanno detto senza peli sulla lingua quello che gli uomini politici fanno e non quello che dovrebbero fare”, scriveva Francesco Baco-ne tra cinquecento e seicento. Nel 1513 il fiorentino indicava come il più grande freno alla crescita italiana la disunità dei suoi piccoli Stati; che, anziché coalizzarsi per un fine comu-ne, si facevano guerra, chie-dendo l’aiuto ora spagnolo ora francese . Oggi, la frammenta-zione statale, si è trasformata in frammentazione partitica. E, in soccorso ai governanti e ai politici italiani, non viene uno Stato straniero in armi, ma il contributo del ministero economico coi “rimborsi” elet-torali. Dopo millecinquecento anni di fratture, di attriti, di contese, il politico italiano è mutato. Innamorato di Spar-taco in giovane età, e di cui sogna ripercuoterne le gesta, al primo stipendio statale ripiega sul suo nuovo eroe Gamba-dilegno; e da funzionario di

partito rinnega gli ideali con cui ha preso i voti. Oppure passa da un partito all’altro, da una parte all’altra, come la pal-lina sul tavolo da ping pong. E, non avendo più elettori, ne cerca di nuovi con annunci pubblicitari in tv e sui giorna-li, come maghi, cartomanti e ciarlatani cercano l’ebete. Non s’ingegna; allo studio della materia in questione preferisce la banalità, quella del tifoso al bar sport che “per perdere uno a zero è meglio pareggiare zero a zero”. Quest’ultimo è anche il risultato finale degli scontri tra politici nei vari talk, dove alla trasparenza sull’ope-rato partitico si preferisce la venerazione del sistema. Ed è per questo che si oppongono alla privatizzazione Rai. Dap-principio l’azienda è servizio pubblico, ma in realtà è una s.p.a. di proprietà del ministe-ro dell’Economia; il quale si autotutela, con Vespa e Ferra-ra. I giornalisti che “ci hanno detto senza peli sulla lingua quello che gli uomini politici fanno” possono essere assunti

e licenziati dai politici stessi, sistema che favorisce la cresci-ta spontanea dei peli in molte lingue; e che permette a questa classe dirigente di non rinno-varsi, mostrandosi indispen-sabile, come per il tossico la droga. Il valore del giornalista in Italia ha perso il peso che non ha mai avuto; quello della Casta ne ha guadagnato. In tv, anziché alla gogna mediatica, il politico viene accompagnato ai fornelli a preparare risotti. Si dice del politico quello che dovrebbe fare, non quello che fa; col sorriso. E, mentre gli stessi che hanno causato la crisi si riuniscono al vertice notturno di Palazzo Chigi per progettare il contenuto dell’a-genda post-crisi, l’italiano, strozzato dai debiti, muore. Il suicidio per debiti non crea

più scalpore, ma solo curiosità nel fenomeno. Sono altre le cose che commuovono l’ita-liano, come l’addio alla Juve di Del Piero. Chi non ha com-petenze economiche ragiona con la pancia; non pienamen-te cosciente dell’entità della crisi da cui l’Italia sta uscendo grazie ai suoi sacrifici, spera che Berlusconi ritolga l’Ici. È frivolo questo tipo d’italiano; con la puntata di Report del 25 marzo dal titolo “Previdenza asociale” Milena Gabanelli ha compilato il vademecum del futuro pensionistico italiano: ha avuto uno share del 14,21%, battuto dal 17,96% del Grande Fratello. Ha fatto quello che ci si attende da un giornalista: ha chiesto pubblicamente al ministro Fornero di rinunciare a quelli che lei chiama privile-

gi, ma di cui beneficia, come il sistema pensionistico retri-butivo. Solo con giornalisti che fanno il loro lavoro e con italiani che se ne interessano la Casta potrà perdere quei privilegi che s’è accaparrata muovendosi nell’ombra, dietro le quinte. Anche perché se mai ci sarà una privatizzazione Rai, i rischi saranno quelli di ve-dere intrattenimento ad ogni ora. Le aziende private devono guadagnare, e guadagnano grazie alle pubblicità, che van-no dove ci sono spettatori. La programmazione, dunque, è in mano ai pubblicitari; e biso-gnerà stare attenti alla qualità dei programmi. Gli addetti ai lavori sanno che gl’italiani alle ultime elezioni hanno votato Berlusconi.

“IL VALORE DEL GIORNALISTA IN ITALIA HA

PERSO IL VALORE CHE

NON HA MAI AVUTO”

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SUL LAVORO IL GOVERNO HA

SBAGLIATO TRACCIA

di GIANLUCA DI AGRESTI

Con il disegno di legge sul mercato del lavoro il gover-no Monti ha tolto in maniera definitiva la sua maschera tecnica per mostrare il suo vol-to politico. La premiata ditta Fornero-Monti, dopo aver azzerato le pensioni, adesso ci prova, smantellando i diritti e le tutele dei lavoratori. C’è il chiaro obiettivo di demolire

per decreto le conquiste del movimento operaio, grande protagonista del Novecento. Da chi viene legittimato il governo più liberista dell’Italia repubblicana? Senza puntare il dito contro nessuno in par-ticolare, si può affermare che il primo ad accettare lo stato di cose presenti è il Presiden-te della Repubblica Giorgio

Napolitano, il quale garantisce che non ci saranno valanghe di licenziamenti. Dichiarazioni pericolose e pronte subito ad essere smentite perché le im-prese non aspettano altro che la cancellazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Da Confindustria, fresca di ele-zioni per il dopo Marcegaglia, già stappano lo champagne, aspettando che il Parlamento ratifichi il tutto. Chi veramente guarda soddisfatto l’andamen-to delle politiche industriali in Italia, però, è sicuramente l’ a.d. Fiat Sergio Marchion-ne, il quale in barba alle leggi, impone un regime di fabbrica molto rigido dove sei costretto o a subire le leggi aziendali o se provi ad opporti vieni cacciato dal posto di lavoro, come è successo a Melfi dove i 3 iscritti alla Fiom, nonostante abbiano vinto la causa contro il Lingotto, grazie all’artico-lo 18 e per amor di cronaca va detto, sono stati invitati dall’azienda caldamente a restarsene a casa. A Marchion-ne si sa piace Monti e il suo stile di governo ed il premier ricambia dicendogli: “Fai bene ad investire dove ritieni più opportuno”. Assistiamo ad un rovesciamento materiale dei principi costituzionali dove lavoro, diritti e solidarietà rappresentano basi solide, ora in declino, sulle quali si è fondata la nostra democrazia. Dov’è finito il diritto al lavoro? E dov’è finita la dignità della persona? Questa volta, però a bacchettare il governo non è solo la Fiom e la sinistra fuori dal Parlamento. Infatti, Mon-ti seppur godendo di ottima stima nel Paese, è riuscito ad

entrare nell’occhio del ciclone delle gerarchie ecclesiastiche. Tanto è vero che secondo la Cei: “il lavoro non è una merce”. Roba da festa dell’U-nità. E non stiamo parlando nemmeno della riedizione della manifestazione del Circo Massimo, dove 10 anni fa, milioni di lavoratori invasero la capitale per bloccare con la lotta le cattive intenzioni del governo Berlusconi. La ricetta che propone il ministro For-nero è tale e quale a quella del centro-destra. Ma questa volta è diverso. C’è un Pd che ap-poggia il governo ed è proprio per questo che Monti compie cose di destra senza dirlo, perché ha un grande consenso in Parlamento, dove solo l’Idv continua a fare opposizione. E ci sarebbe la Lega anche, ma quest’ultima per cultura poli-tica non è legittimata a farla. Non si può ritornare ad abba-iare come can rognosi dopo molti anni passati a belar come pecore. Maroni, nel II governo Berlusconi si occupava di temi

importanti come il lavoro, quindi potrebbe essere sicu-ramente più esauriente, così dall’essere una volta e per tutte onesto con la base leghista che da anni viene presa in giro con ritornelli populisti e irti di demagogia, buoni solo ad in-fiammare per pochi attimi una piazza, poi nulla più. Adesso il governo ha passato la palla che scotta al Parlamento, il quale, nei tempi previsti potrà appor-tare modifiche e approvare il testo. Si è deciso l’iter più lun-go ma Monti mette comunque sotto pressione gli onorevoli: “ Nessuno pensi che il testo sia suscettibile di incursioni”. Così Alfano è diventato primo tifo-so del governo, ancora di più di Casini, davvero incredibile. Il segretario del Pdl, infatti in-cita Monti e Fornero ad andare avanti accusando la Cgil, inve-ce di aver fatto perdere all’Ita-lia 10 anni. Chi ha parecchie grane in casa è il Pd con Ber-sani che vuole modifiche del testo ma Pietro Ichino, in fin dei conti non sostiene le stesse cose di Fornero e soci? La par-tita è appena iniziata anche se qualcuno la vuole chiudere in netto anticipo. Rimarrà deluso, però. Quando si gioca sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori italiani, c’è bisogno di tutto il tempo disponibile. Qualcuno lo vada a dire dalle parti di Palazzo Chigi, perché qua di creare lavoro pare che non se ne parli, anzi si tratta di come licenziare in maniera più facile in modo da andare ad ingolfare quello che Karl Marx chiamava l’esercito di riserva del proletariato, in riferimento all’opulento numero di disoc-cupati.

“DOV’è FINITO IL DI-RITTO AL LA-

VORO? E DOV’è FINITA LA DI-GNITà DELLA

PERSONA?”

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di FABIO PITTAU

UN ANNO DI PDISGREGATO

Il 2011 raccontato per sommi capi, sembrerebbe essere stato l’anno della riscossa politica per il centro-sinistra italia-no rappresentato dal Partito Democratico. Da una parte le elezioni amministrative di maggio con le grandi vittorie di Milano, Napoli, Cagliari e Torino e l’esito dei refe-rendum su nucleare, acqua, e legittimo impedimento di giugno; dall’altra la caduta a novembre del governo di centro-destra di Berlusconi e il successivo ingresso nella maggioranza parlamentare a sostegno del governo tecnico targato Monti-Fornero. Vista dall’esterno, una situazione del genere, non lascerebbe spazio ad interpretazioni ed approfondimenti: trascinato dal partito con il più grande numero di tesserati, il centro-sinistra ha messo le basi per concretizzare ciò che di buono ha fatto all’opposizione, per prendere in mano in un futuro prossimo le redini di questo paese. Ma come sa la maggior parte degli addetti ai lavori e non solo, il quadro che emerge dagli ultimi risultati elettorali e

politici, ci racconta tutt’altro. Il partito contenitore nato dalle ceneri della Margherita e dei DS, non ha ricoperto assoluta-mente un ruolo da leader per raggiungere questi traguardi. Anzi, talvolta ne è uscito con le ossa rotte e con la credibi-lità ai minimi livelli dal 2007, anno della sua fondazione. Andiamo con ordine: nelle primarie per le amministrative di maggio, i candidati del Pd, tranne a Torino roccaforte ros-sa e tradizionalista da decenni, subiscono sonore sconfitte. A Milano s’impone Pisapia e a Cagliari Zedda, entrambi sponsorizzati da Sel. A Napoli, invece s’inceppa lo strumento di voto: ai seggi arrivano cinesi ed extra-comunitari. Le pri-marie vengono annullate e il candidato viene nominato di-rettamente dal segretario, non arrivando a maggio neanche al 18% delle preferenze. Zedda e Pisapia compiono delle vere ed autentiche imprese superando i rispettivi avversari di centro-destra, mentre a Napoli, sarà De Magistris dell’Idv sup-portato dalle sue liste civiche a demolire il Pdl. Bersani

dichiara che senza l’apporto del suo partito, le vittorie non sarebbero arrivate. A giugno di vota per i referendum: duran-te la raccolta firme è lo stesso segretario a mettere in dubbio la sua adesione alle campagne referendarie, praticando un tira e molla che non cono-scerà un esito fino alla fine. Con percentuali al di sopra di qualsiasi previsione, i quesiti referendari vengono rimandati al mittente con la richiesta di abrogazione: l’acqua rimane pubblica, il nucleare non si farà e la legge ritorna ad essere uguale per tutti. Chi è il primo a presentarsi in sala stampa per commentare il risultato? Bersani, che non perde tem-po a mettere il cappello sulla vittoria. Le vicende di ottobre\ novembre che faranno saltare

B. da Palazzo Chigi, le ricordiamo in maniera più nitida. La crisi eco-nomica insostenibile fa sì che la cancelleria tede-sca pretenda un cambio di governo nei paesi che stanno facendo preci-pitare l’Europa: Grecia e Italia. Cosicché con l’arrivo di Monti il Pd, collocato verbalmente dalla parte delle classi più deboli, degli operai e delle pensioni, si ritrova a votare quotidianamen-te provvedimenti che vanno in tutt’altra dire-zione. E con le primarie di Genova e Palermo, il cerchio si chiude. Doria e Ferrandelli, il primo di Sel, il secondo ex consigliere Idv saran-

no i candidati alle prossime elezioni del centro-sinistra. In ogni paese che si rispetti, dopo un anno e più di scottan-ti sconfitte, continue incom-prensioni e frequenti sfilac-ciamenti tra la base e i vertici, un segretario di un partito si sarebbe già dimesso da tanto, mettendo nelle mani di qual-cun altro quest’entità ancora indefinita dai tanti volti e senza nessuna identità. Ad un anno dalle elezioni che ricon-segneranno il paese ai “pro-fessionisti della politica”, non se ne conoscono le alleanze, le strategie, e le linee dominanti su articolo 18, legge elettora-le e questione partiti in Rai. Quello che dovrebbe essere il primo interlocutore per Mon-ti e i suoi ministri, rischia di essere relegato nuovamente al ruolo di spettatore. Attendia-mo con ansia segni di vita.

“A Milano S’IMPONE

PISAPIA E A CAGLIARI ZEDDA,

ENTRAMBI SPONSORIZZA-

TI DA SEL”

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di MASSIMO PITTARELLO

“FORNERO AL CIMITERO?”

“DILIBERTO AL MUSEO!”

Ci sono lavoratori sottopagati, altri precari, altri che lavorano gratis. In molti sono senza fe-rie, senza malattie, senza per-messi. Ma giusto, tutto questo è niente: c’è l’articolo 18. Nodo gordiano della psiche italiana. Centro di tutti i problemi. La riforma del lavoro del governo Monti arriverà in parlamento. Dal disegno di legge si evince che la disciplina dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori subirà delle modifiche. E via giù polemiche, accuse, minac-ce. La Cgil che già proclama lo sciopero generale, l’eterna indecisione del Pd che “farà valere le sue ragioni in Parla-mento” (ah però, e se lo dice Bersani allora deve essere pro-prio vero), il compagno comu-nista sempre dalla parte degli ultimi Diliberto, già ministro della Giustizia, già comunista di vecchia data, già professore universitario di diritto costi-tuzionale, già parlamentare, e pensionato della Repubblica che, in pieno centro a Roma, si fa fotografare a fianco di una militante vestita con una maglietta nera con scritta bianca a carattere cubitale reci-tante “Fornero al cimitero”. Da politico navigato, per non dire vecchio e ammuffito, Diliberto dovrebbe conoscere il concetto di “photo opportunity”. Ma

lasciamo stare, lasciamo stare che Marco Biagi è stato assas-sinato, lasciamo stare che in Italia il terrorismo lo conoscia-mo bene, e anche i suoi effetti controproducenti nelle lotte per la giustizia sociale, lascia-mo stare che la “legge Biagi” è diventata poi “legge 30” proprio quando ha aumentato le condizioni di precarietà. Lasciamo stare Diliberto, che tutti sappiamo che ha men-tito spudoratamente quando ha detto “non avevo visto la maglietta, c’era la transenna”. Perché delle due l’una: o è cie-co, o è bugiardo. Visto che con quella signora ha parlato per 20 minuti i suoi occhiali da docente universitario non me lo fanno comunque considera-re come un non vedente. Piut-tosto, il caro Oliviero Diliberto saprebbe dire tutta questa iniquità dove la trova in que-sto disegno di legge? Saprebbe dire almeno, il compagno Di-liberto, se fosse stato in grado di fare di meglio? Il governo Monti e il ministro Fornero possono essere criticati per svariate ragioni, intanto però hanno stabilito 4 punti chiari, anzi chiarissimi: stop agli stage gratuiti, che sono una forma di sfruttamento prossima allo schiavismo; stop alle parti-te Iva che invece di lavorare

come autonomi, lavorano come subordinati, senza aver-ne i diritti e le garanzie; stop alle dimissioni in bianco per le donne neoassunte in modo da poterle licenziare se dovessero rimanere incinta; finalmente il lavoro a termine sarà pagato di più di quello a tempo indeter-minato, come avviene nel resto del mondo. Lui -sig. Oliviero Diliberto “Fornero al Cimitero”- era mi-nistro della giustizia del secon-do governo Prodi, ma l’uomo del suo partito, Paolo Ferrero, occupava proprio il posto che la Fornero occupa da 5 mesi. Lui, Paolo Ferrero, che mini-stro lo è stato per quasi due anni, invece, a parte cambiare il nome al dicastero del lavoro in un non meglio specificato “ministero della solidarietà so-ciale”, cosa ha fatto? Ferrero ha forse detto o fatto qualcosa sul lavoro sottopagato? Qualcosa sugli stage gratuiti? Qualcosa per i veri sfruttati da questo mercato del lavoro? Qualcosa su co.co.co, co.co.pro. contratti

a progetto et alii? Il sig. Ferre-ro, in cinque volte il tempo che è stato al posto della Fornero non ha saputo dire una parola che fosse una su partite Iva, sugli stage gratuiti, sul tempo indeterminato. Niente. Ec-colo Ferrero, che scrive che “la modifica all’articolo 18 è un’altra buona ragione per mandare a casa il più in fretta possibile questo governo dei poteri forti”. E certo, lui invece è stato così bravo a cambiare il nome del Ministero, è stato così bravo a… aaa….??? Cosa è stato bravo a fare in 23 mesi di governo? E poi i comuni-sti si preoccupano del fatto che non li segua più nessuno. Che non hanno nemmeno un parlamentare. Che nei quar-tieri popolari il loro appeal è pari a zero. Gli sfruttati, i poveri, i veri ultimi, i giovani precari, quelli silenziosi che lavorano per due spicci, non sanno nemmeno più cosa sia la sinistra. E a buona ragio-ne. Tranne i movimentisti, gli universitari acculturati,

gli antagonisti di professione, tutti comunque molto rumo-rosi nello scendere in piazza per lottare contro questioni di principio, ci sono centinaia di migliaia di persone lavorano al limite dello sfruttamento, senza diritti, senza garanzie, senza una prospettiva, e non hanno nemmeno il tempo di andare ad un corteo: vittime silenziose della frammentazio-ne dell’unità dei lavoratori e dell’oltranzismo conservatore della sinistra alla Diliberto. Che difendano pure, Diliberto & co, il loro bacino elettorale di impiegati pubblici e di lavo-ratori prossimi alla pensione, colpiti dalle dure misure del governo Monti. Tanto sono destinati a scomparire, come la sinistra veterocomunista radicale e conservatrice sta per altro già facendo da tempo. Per fortuna.

“da politico navigato, per non dire vec-chio e ammuf-fito, diliber-to dovrebbe conoscere il concetto di

photo oppor-tunity”

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di MARIKA BORRELLI

BILANCI DI GENERE

Il Novemarzo è un non-com-pleanno. Fu Lewis Carrol che ci introdusse alla stupenda filosofia dei non-compleanni. Ma Carrol era un fine inglese. Noi Italiani, invece, siamo più simili all’alunno del Maestro D’Orta che scrisse in un tema “L’8 Marzo la donna deve essere uguale, all’uomo!” nel senso che (solo) in quella data sarebbe stata un’azione gentile non vessarle (nel tema citato, la donna in questione rimediò un calcio il giorno dell’Otto-marzo, ndr) come quotidiana-mente, purtroppo, si fa. Ves-sare le donne è un eufemismo, visto che in Italia si arriva ad ammazzarne una ogni due o tre giorni. Dall’inizio dell’anno ne hanno fatte fuori una qua-rantina. Tutte assassinate per motivi ‘passionali’, che è un aggettivo sbagliatissimo, ma che viene utilizzato per indica-re i moventi che ricadono nella sfera affettiva. Anche le gelosia e la reazione all’abbandono in Italia, sono annoverate nell’ambito delle dimostrazioni di affetto. Bell’affetto, non c’è che dire. Le donne sono amate da morirne. La distanza tra la legislazione vigente per la pa-rità e le pari opportunità (con l’eliminazione degli ostacoli organizzativi ed economici per l’occupazione femminile) e la realtà quotidiana è am-

pia e non sarà la riforma del mercato del lavoro che col-merà il gap socio-economico o cambierà l’antropologia maschile, indelebile nel DNA mitocondriale (quello atavico e immodificabile), ovverosia quel modo di considerare le donne persone e lavoratrici di serie B, oggetto di battute e di apprezzamenti pesanti, badanti e colf. L’annuncio (l’ennesimo) di Fornero (guai a chiamarla ‘la’ Fornero) sul recupero occupazionale – così come ci aveva indicato il Trattato di Lisbona nel marzo del 2000, ponendo l’obiettivo del 60% di donne al lavoro al 2010 – non suscita entusiasmi né alimenta aspettative. Se da una parte ritorna la condan-na delle dimissioni in bianco (introdotta in diebus illis dal Governo Prodi e cassata da quello Berlusconi), dall’altra lo svuotamento dell’art.18 ufficializza un escamotage già molto utilizzato per sbaraz-zarsi di personale indesiderato (spesso le donne in età fertile): i motivi economici. Per esem-pio (mica tanto un esempio, perché riporto una pratica abusata), un’azienda decide di dismettersi o ridimensionarsi con la scusa della mancan-za di lavoro, licenziando, di conseguenza, tutti o in parte gli operai. Poi, con altro nome

e diversa ragione sociale, il titolare ne apre un’altra, as-sumendo nuovi lavoratori (o facendo transitare parte dei vecchi) con i contratti atipici, oppure usufruendo del lavoro in nero, essendosi sbarazzata dei lavoratori indesiderati, a tempo indeterminato e/o delle donne, che hanno il difetto di fare figli e di accudirli. A nulla valgono le denunce, perché chi opera con queste modalità è uso alle frodi ed anche perché una qualsiasi sentenza arriva dopo anni di tribolazioni e spesso non può essere eseguita per insolvenza (artata) delle aziende malandrine. Di solito i titolari di queste aziende ri-entrano nella compagine degli evasori totali e non ricevono mai le ispezioni della Guardia di Finanza o dell’INPS. Non sarà certo colpa degli ispet-tori, che magari devono stare

appresso a troppe cose, ma nel frattempo lavoratori e lavo-ratrici vengono stritolati in questi meccanismi delittuosi. Il cerchio si chiude ed intrap-pola le donne. Così, le donne per questi ed altri motivi, quali il carico famigliare (non solo i figli, la casa ed i mariti, ma anche i parenti quando sono malati), semplicemente, ri-nunciano a cercare un lavoro dipendente e neanche seguono il consiglio dell’ex Presidente Patonza, per il quale le belle donne (solo le belle) avrebbero fatto più fortuna a cercarsi un marito ricco, ricco come suo figlio. La donne, le belle e le brutte, preferiscono oggigior-no rimanere single e magari inventarsi un’attività autonoma con tanta fantasia. Parimenti, l’istituto del matrimonio è in netta decadenza, le separazio-ni ed i divorzi aumentano, la

demografia ne risente, ma me-glio così che rischiare di essere licenziate per prime, lavorare di più, essere ammazzate per troppo amore o perché i loro mariti&compagni non reggo-no psicologicamente bene un abbandono o la crisi econo-mica. Le donne non sono nè saranno praticamente aiutate da alcuna seppur volentero-sa legislazione italiana, così cercano di cambiare lo status quo a modo loro, reinventan-dosi, come hanno fatto due donne artiste, (l’etoile Adriana Borriello e Margherita Parrilla, direttrice dell’Accademia Na-zionale della Danza) istituen-do il primo Corso nazionale di Laurea in Coreografia presso il teatro Comunale “Gesualdo” di Avellino. Onorando il l’Ot-tomarzo tutti i giorni e senza strappare mimose dagli alberi.

“DALL’INIZIO DELL’ANNO NE

HANNO FATTE FUORI

UNA QUARAN-TINA”

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di FRANCO MORETTINI

PADANIA LIBERALIBERA CORNOVAGLIA

“Cornovaglia libera, libera Cornovaglia”, gridavano; poi un gesto di riconoscimento. Questo facevano gli indipen-dentisti della Cornovaglia dal Regno Unito, da Londra ladrona, in uno sceneggiato della RAI degli anni ‘60. Ma quello era uno sceneggiato, e gli indipendentisti erano un siparietto comico che al tempo faceva ridere. Avremmo mai potuto immaginare che negli anni 2000 con questi comici da sceneggiato “leggero” della TV occupare addirittura gli scranni del Parlamento? Poi persino del Governo (Italia-no!). Padania libera, non è molto diverso da Cornovaglia libera. Tutti è due sono slo-gan del Teatro dell’Assurdo di Beckett e di Ionesco. Ma, al-meno sulla carta geografica la Cornovaglia è sempre esistita, la Padania mai. La Padania è un’entità territoriale inventata alla fine del Novecento. Pri-ma di questo secolo la parola Padania non aveva senso, ne-anche geografico, tanto meno storico. Anzi la Battaglia di Legnano del 1176, dalla quale l’idipendentismo padano ha mutuato molti simboli, era stata presa d’esempio dai poeti

e scrittori risorgimentali, da Berchet a Carducci, da Fosco-lo a Pellico come una vitto-ria italiana contro il tedesco invasore. La storia c’insegna che non andò proprio così, ma perché entrare in dispute filologiche quando si sta co-struendo l’epopea di un nuovo popolo: i Padani. I Padani, in quanto inesistenti come sen-tire popolare, hanno bisogno di costruirsi un passato che, ovviamente non hanno. La Pa-dania, come la pensano i nuovi storici del ridicolo, deve trova-re dei simboli. Magari anche un po’ esoterici, come l’am-polla dell’acqua della sorgente del Dio Po. Diciamo il vero, questa storia del Dio Po puzza un po’ di neopaganesimo, di quelle sette stregonesche oggi di moda come Wickka e altre cose del genere. Poi ci sono le ronde, le camice verdi, tutte cose che ci riportano a vecchi modi di far politica che spera-vamo travolti dalla vergogna della storia, come del resto il razzismo. E qui la puzza è più preoccupante, usciamo dal folclore, ma entriamo nella sfera del celtismo, i simboli, le camice e il resto non possono non richiamare alla mente il

nazismo. Un appezzamento di prato a Pontida (cittadi-na altrimenti scordata fra le mille località del risorgimento italiano, ma ricordata dai poeti come simbolo del giuramento dei Comuni contro il Bar-barossa) serve da simbolico centro dell’epopea dove torna-re ogni anno a giurare fedeltà. Fedeltà a cosa? Alla Padania? Al condottiero, ormai un po’ anzianotto, dell’Armata Lon-gobarda? O forse tutte e due le cose? Altri episodi del Medioevo erano stati mitizzati dal risorgimen-to e diventati altri sim-boli dell’ansia di libertà degli italiani: la Disfida di Barletta e i Vespri Siciliani sono i più noti. Un Padano “tipo” di oggi penserà: roba da terro-ni. Eppure anche “eroi padani” parteciparono alla disfida pugliese fra gli altri cavalieri “italia-ni”, come ad esempio: Fanfulla da Lodi, Riccio da Parma e Romanel-lo da Forlì. È difficile, non considerare italiani coloro che si sono battu-ti, nel sentire risorgimentale, per l’onore dell’Italia. Legnano, oltre che in opere letterarie e poetiche, fu il simbolo della liberazione dallo straniero per Verdi nella sua opera intito-lata appunto: “La Battaglia di Legnano”. Ma il padano tradi-tore, il parmense Verdi, la fece rappresentare a Roma ladro-na durante la Repubblica del 1848. Anche un’altra opera di Verdi: “I Lombardi alla Prima Crociata” chiama in causa i lombardi a nome di tutti gli italiani. D’altronde per molto

tempo nel Medioevo la parola “lombardo” è stato sinonimo di “italiano”. Alla fine pure nell’Inno di Mameli compare un riferimento alla Battaglia di Legnano. Quindi un epi-sodio, nemmeno minimale a livello storico, che fa parte integrante dell’epopea italia-na. Non è possibile usarlo in visione particolaristica, tanto meno anti italiana. Un eroe inventato dalla fantasia popo-

lare, tale Alberto da Giussano, diventa una persona in carne e carta soltanto nel 1879, sotto la penna del toscano Carducci (quindi tutt’altro che “pada-no”). Quindi l’epopea padana è basata su di un’invenzione letteraria, antropologicamen-te lo potremmo chiamare: il bisogno di un capo. Classico delle civiltà barbariche. Rico-noscere un antenato sul quale puntare la propria adorazione come salvatore della libertà della patria. Il suo successore viene investito, come Carlo

Magno fu investito Imperatore dal Papa, nuovo condottiero verso la libertà della Lombar-dia occupata. Stavolta però da altri sovrani padani: i Savoia, e poi dai fascisti “romano-centristi”, ma nati a Milano, e infine l’arrivo della sciagurata Repubblica che ha aperto le porte all’invasione del sud. L’inno scelto dai Padani poi è un disastro, non ha certo nien-te a che vedere con la libertà

dei padani o della Padania. Il Canto degli schiavi ebrei, prigionieri a Babilo-nia, cosa ha a che fare con la Padania? I Pa-dani sono stati tratti in catene da qualche parte e ricordano con dolore le bellezze della patria lontana? Neanche per idea. “O mia patria sì bella e perduta” è un grido di dolore, quello della lontananza coatta dal “suolo natal”. Come abbiamo detto forse L’Inno di Mameli con il suo accenno alla battaglia di Legnano è

più padana di Verdi, scritto da un poeta genovese (quindi per l’assurda geografia leghista, un padano), ma ormai, per loro sfortuna e per i sonni tranquil-li del povero Mameli ovunque sia, è diventato copyright dello Stato Italiano.

“nella sfera del celtismo, i simboli, le camice e il resto non

possono non richiamare

alla mente il nazismo”

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