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Alfredo Tradigo
L’UOMODELLA
CROCEUna storia per immagini
Introduzionedi GIANFRANCO RAVASI
«Il volume di Tradigo, che attraversa duemila anni di storia, lascia parlare l’arte e la spiritualità dei credenti dei vari tempi, mostrando come la Croce abbia plasmato non solo la fede cristiana ma l’intera cultura occidentale, con buona pace di coloro che oggi vorrebbero cancellare il Crocifi sso».
S.E. Card. Gianfranco Ravasi
In oltre duemila anni di cristianesimo, pittori, scultori, orafi e incisori hanno contribuito con la loro arte e sensibilità religiosa a tenere viva nella memoria dei contemporanei l’immagine del crocifi sso e della crocifi ssione. Tra le tante “prove d’autore” che il tempo ha conservato e i restauri hanno restituito al loro primitivo splendore abbiamo scelto oltre duecento opere, confrontandole e catalogandole poi dal punto di vista iconografi co e teologico in quattro grandi suddivisioni tematiche: la storia dell’iconografi a del crocifi sso, il popolo del Golgota, il rapporto mistico dei santi con Gesù crocifi sso, il simbolismo della croce.
PARTE PRIMA. LA STORIA DEL CROCIFISSO
Un viaggio nel tempo alla scoperta di come l’immagine della croce si è sviluppata nel tempo:
da simbolo di vittoria a strumento di dolore e di tortura, fi no ai capolavori del Rinascimento in cui si rappresentava
Cristo come “il più bello dei fi gli dell’uomo”.
Ogni capitoloOgni capitolo presenta i vari tipi presenta i vari tipi iconografi ci secondo un andamento iconografi ci secondo un andamento temporale, dal più antico al più recente. temporale, dal più antico al più recente. Un confronto verticale tra i vari capitoli Un confronto verticale tra i vari capitoli consentirà poi di vedere come consentirà poi di vedere come nel medesimo periodo coesistessero nel medesimo periodo coesistessero interpretazioni diverse interpretazioni diverse dell’iconografi a del crocifi sso.dell’iconografi a del crocifi sso.
PARTE SECONDA. L’UMANITÀ AI PIEDI DEL GOLGOTA
Maria e Giovanni, il Cireneo, Veronica, i soldati, gli aguzzini, gli amici: un popolo intero partecipa all’evento unico e irripetibile della morte dell’Uomo della Croce. Un tema che ha ispirato i più grandi artisti dell’umanità, da Michelangelo a Chagall.
PARTE TERZA. L’ABBRACCIO DELLA CROCE
Intorno al corpo dell’Uomo della Croce si sono sviluppate iconografi e particolari e originali, spesso poco note.
Il corpo del Crocifi sso diventa oggetto di meditazione eucaristica e di preghiera,
fi no ad ispirare sentimenti di devozione e di imitazione.
Un’esperienzaUn’esperienza non solo estetica non solo estetica ma anche emotiva per il lettore ma anche emotiva per il lettore che viene accompagnato a scoprire che viene accompagnato a scoprire sempre nuovi signifi cati sempre nuovi signifi cati nelle opere presentate. Ogni soggetto nelle opere presentate. Ogni soggetto artistico è messo a confronto con testi artistico è messo a confronto con testi di teologia, poesia e liturgia di teologia, poesia e liturgia che ne aiutano la lettura.che ne aiutano la lettura.
PARTE QUARTA. IL SIMBOLO DELLA CROCE
Bilancia di giustizia, albero della vita, torchio di legno, la Croce diventa simbolo capace di illustrare i contenuti della fede cristiana in tutte le epoche della nostra civiltà.
«Questo patrimonio immenso di immagini ci raggiunge come «Questo patrimonio immenso di immagini ci raggiunge come un quinto vangelo “non scritto”, vangelo silenzioso in cui pro-un quinto vangelo “non scritto”, vangelo silenzioso in cui pro-tagonista è l’immagine e lo sguardo dell’Uomo della Croce. Lo tagonista è l’immagine e lo sguardo dell’Uomo della Croce. Lo guardiamo e ci accorgiamo di essere guardati da Lui: “Tu mi guardiamo e ci accorgiamo di essere guardati da Lui: “Tu mi guardi dalla croce ogni giorno, o mio Signore”». guardi dalla croce ogni giorno, o mio Signore”».
Alfredo TradigoAlfredo Tradigo
Volume di grande formatoOltre 200 opere d’arte Riproduzioni di alta qualitàConfezione con cofanetto
CDU 05A 36EAN 9788821573309
Alfredo TradigoL’Uomo della croce19,50x28 cm - pag. 512Rilegato con sovraccoperta
Nel convento di San Marco a Firenze, affi dato ai domenicani osservanti, il monaco pittore
Beato Angelico aff resca la sala capitolare, i locali comuni e le 45 celle disposte al piano
superiore. Nel lato sud le celle dei novizi sono tutte aff rescate con un santo domenicano in at-
teggiamento di preghiera davanti a un grande e solitario crocifi sso. Ma la crocifi ssione più bella
è senz’altro quella che appare in fondo allo scorcio del chiostro del convento dove, nell’arco di
una cornice più tarda, dipinta a fi nti marmi e dall’intenso e prezioso fondo blu lapislazzulo,
biancheggia un misericordioso Cristo. Il paesaggio intorno è essenziale: un cratere lunare, bigia
creta da cui si stacca appena il saio di san Domenico, in ginocchio ai piedi della croce, le mani
abbracciate allo stipes percorso da rivoli di sangue che scorrono paralleli. La venatura del legno
si riga abbondantemente di sangue rosso scuro e il volto di Domenico, emaciato e teso, la barba
non rasata, si alza appena, lo sguardo contratto, soff erente, partecipe. Il perizoma che cinge i
fi anchi di Cristo svolazza, segno della presenza dello Spirito e biancheggia luminoso mentre
il corpo del morente sembra percorso da un brivido di risurrezione. Le gambe del Redentore
sembrano scolpite nella creta del Golgota. Una luce bianca vibra purissima fi no a scaldare il
nimbo radioso che circonda il Suo Volto, bellissimo e dolente. Il colore della croce e quello del
nimbo richiama il colore del sangue che scorre dalle ferite dei chiodi. Due gocce sul costato
di Gesù stillano sottili a formare una �, ultimo segno lasciato dal pittore e confratello Ange-
lico, che tutti già chiamavano “beato” quattro secoli prima della sua beatifi cazione uffi ciale
avvenuta il 3 ottobre 1982 per volontà di Giovanni Paolo
II. Il Beato Angelico soleva aff ermare che «chi faceva
quest’arte aveva bisogno di quiete e di vivere senza
pensieri; e chi fa le cose di Cristo, con Cristo deve
stare sempre». La bellezza di quest’opera sta nella
sua atemporalità e quindi nel suo valore universa-
le: pura visione spirituale in cui un uomo del XIII
secolo, Domenico di Guzmán, sta davanti a un
uomo crocifi sso molti secoli prima. Dimostran-
do che la stessa esperienza è possibile in qualunque
momento della vita e della storia. A patto di «stare
sempre con Cristo».
Guarda le ferite di colui che è appeso, contempla
il sangue del morente, il prezzo pagato da colui
che ti redime, l’atteggiamento generale di colui
che è attaccato alla croce. Infatti tiene il capo chinato
per baciarti, le braccia stese per abbracciarti,
le mani aperte per largire doni, il costato aperto
per amarti, i piedi inchiodati per attenderti,
tutto il corpo immolato per redimerti.
Antonino Pierozzi (1389-1459),
priore del convento di San Marco a Firenze
Stare sempre con Cristo
Beato Angelico, Cristo adorato da san Domenico, 1441-1442 circa,
affresco, 340 x 206 cm, Chiostro, Museo-Convento di San Marco, Firenze.
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Ai piedi della croce
DIDASCALIA
informazioni
essenziali
e complete
sull’opera
La grande pala, fi rmata semplicemente Lotus 1531, fu pagata al suo autore 100 fi orini d’oro e
una quantità di olio d’olive ascolane. Il critico Robert Berenson la defi nì «la più bella e inten-
sa rappresentazione del Golgota del Rinascimento». E non poteva essere altrimenti per un artista
come Lorenzo Lotto (1480-1556), ingiustamente vissuto all’ombra di Giorgione e di Tiziano.
Un artista che nella vita – spinto da una profonda inquietudine e profonda sensibilità spirituale –
aveva scelto Cristo fi no a pronunciare i voti a Loreto l’8 settembre del 1554 presso la Santa Casa
come oblato della Vergine di cui era devotissimo. Lotto visse il travaglio di un’epoca di passaggio
tra Riforma protestante e Controriforma cattolica, interpretando la spiritualità inquieta del suo
tempo in maniera originalissima, da profondo indagatore della psicologia dei suoi personaggi.
«Egli vedeva quello che agli altri sfugge per dare un volto ai pensieri dell’uomo e una forma alla
segretezza delle cose» (Pietro Aretino). Lotto viveva la professione di pittore come vocazione cri-
stiana e, come ha scritto la critica Anna Banti nel 1953, era intento «a cercare con aff anno i motivi
umani di fedeltà al dogma cattolico». In primo piano un nodo di dolore stringe in un groviglio
inestricabile i corpi delle pie donne e Maria sostenuta da Giovanni. La fi gura del giovane in se-
condo piano, con le braccia aperte e la mano tesa fa da raccordo allo sfondo dove i soldati sono
raccolti ad anfi teatro sotto le tre croci. Dietro precipita il fondale buio del cielo in cui si staglia
la croce di Cristo tra i due ladroni, piantata come una spada nel cuore della terra. Dal punto di
vista simbolico quella croce centrale sembra piantata nel petto stesso di Maria, precipita su di lei
come un lampo, la colpisce al petto come una ferita. E lei si piega e viene meno. Si tratta di una
scena tipicamente teatrale, in cui il dolore di Maria è portato sul limite prospettico del quadro
come sul limitare di un palco, per “tirare dentro” lo spettatore, coinvolgerlo nella ragione di tanto
dolore: la morte salvifi ca di Cristo. Le braccia tese e aperte del centurione a cavallo sulla sinistra
sembrano volere abbracciare Cristo. Non più il grido: «Discendi dalla croce e ti crederemo!», ma
l’esclamazione: «Veramente costui è il fi glio di Dio!». Il tema devozionale riprende quello della
crocifi ssione di Gaudenzio Ferrari e delle altre grandi crocifi ssioni dell’epoca tridentina. L’artista
dimostra di volere tradurre i moti e turbamenti dell’anima in un luminismo espressionistico. La
selva di lance, tra cui si distingue al centro quella di Longino, segna la distanza tra il popolo e
i tre corpi innalzati nell’aria come farfalle crocifi sse. Il committente della grande pala, il legato
apostolico Nicolò Bonafede, vescovo di Chiusi e originario di Monte San Giusto, è rappresentato
inginocchiato in basso a sinistra con un angelo che lo invita a partecipare al dolore di Maria.
La semplice memoria o meditazione della passione di Cristo vale più che il digiunare per un anno
intero a pane e acqua o colpirsi con verghe e fl agelli ogni giorno fi no allo spargimento del sangue.
Agostino d’Ippona (354-430), Sermones
E anche a te una spada trafi ggerà l’anima, anche a te.
Charles Péguy (1873-1914)
Il dramma sacro risuona nella carne umana
Lorenzo Lotto, Crocifissione, 1531, 450 x 250 cm,
Monte San Giusto, Santa Maria della Pietà in Telusiano, Macerata.
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Il popolo del Calvario
COMMENTO
artistico e interpretativo
dell’opera
Una scultura moderna di mille anni fa
Questo antichissimo crocifi sso, che, come il crocifi sso di Numana, per tradizione si ritie-
ne sia giunto direttamente dalla Terra Santa, ha subito interventi da parte del tempo e
dell’uomo che lo hanno trasformato in una emozionante scultura che sembra uscita dalle mani
di un artista contemporaneo. Esso sembra riassumere nel volto le soff erenze del XX secolo. Il
volto di Cristo rasato assomiglia a quello di un ebreo deportato in un lager. In realtà, fi no al
1442, il crocifi sso si trovava all’esterno della chiesa ligure in una nicchia, esposto al vento, alla
salsedine (il convento di Santa Maria di Castello guarda sul mare) e alle intemperie che l’hanno
consumato. Ne fu anche fatta una copia prima di eliminare a colpi di scalpello i capelli intagliati
nel legno per potervi aggiungere, secondo l’uso del tempo, una chioma di capelli veri che – si
diceva – sembrava crescessero da soli, facendo parere vivo il crocifi sso. Nel Seicento la scultura
fu “baroccata”, coperta cioè interamente di stucco e colorata, ma i restauri del 1974, a opera
dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, ci hanno restituito la sua leggera policromia origi-
nale che rivela gocce di sangue sul capo in corrispondenza della corona di spine. Il volto esprime
un’intensa ma non disperata soff erenza, così come la posizione leggermente rannicchiata del
corpo e le gambe raccolte nello spasmo. Il colore scuro del crocifi sso è in realtà dovuto – come
in tante sculture di Madonne cosiddette more – all’esposizione al fumo delle candele e dei ceri.
Fino agli anni Sessanta il Cristo Moro di Santa Maria di Castello era particolarmente venerato
a Genova: i frati ricordavano che alle porte della chiesa i carabinieri ogni giorno regolavano lo
straordinario affl usso di fedeli alla cappella del Cristo Moro. La sua effi gie è anche aff rescata nella
nicchia esterna del convento dove un tempo si trovava il crocifi sso rivolto verso il porto, affi nché
le navi in arrivo lo potessero salutare con un colpo di cannone a salve. Dal Cinquecento una col-
lezione di ex voto raccolta nel museo del monastero di Santa Maria di Castello testimonia le nu-
merose grazie ricevute per intercessione del Cristo Moro. L’analogia con il Volto Santo di Lucca
evocata da alcuni autori è unicamente riferita al fatto che anche il Cristo Moro di Genova veniva
in alcune ricorrenze liturgiche “vestito” con una tunica argentea. Il miracolo che ne promosse il
culto dopo il trasferimento all’interno della chiesa ha moltiplicato la devozione popolare.
Anche lei era salita, salita / Nella ressa, un po’ indietro / Salita al Golgotha,
Sul Golgotha. / Sulla cima. / Fino alla cima. / Dove egli era adesso crocifi sso.
Con le quattro membra inchiodate. / Come un uccello notturno sulla porta d’un granaio.
Charles Péguy (1873-1914), Il mistero della carità di Giovanna d’Arco
Caro Gesù, che sul duro tronco della croce
erigesti un trono di misericordia infi nita,
concedi a me misero di comprendere
tutta l’immensità del tuo Cuore misericordioso…
Pio esercizio ad onore del SS. Crocifi sso di Castello
Crocifisso moro, fine XIII secolo, Santa Maria di Castello, Genova.
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Uomo dei dolori
ANTOLOGIA
testi letterari
e spirituali
in relazione
all’opera
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