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Anno XVII n° 25 - aprile 2010 Associazione Casa di Maternità La Via Lattea Via Morgantini 14 - 20148 - Milano - Tel/fax 02.890.77.589 www.casamaternita.it – E-mail: [email protected] QUESTIONI DI COPPIA ARRIVANO I FIGLI: COPPIA CHE CRESCE, CHE RESISTE O CHE SCOPPIA. RIPROGETTARE OGNI GIORNO, NIENTE È SCONTATO IL FOGLIO DELLE MAMME, DEI PAPÀ, DEI BIMBI DELLA

L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

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"Questioni di coppia"

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Page 1: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

Anno XVII n° 25 - aprile 2010

Associazione Casa di Maternità La Via Lattea Via Morgantini 14 - 20148 - Milano - Tel/fax 02.890.77.589

www.casamaternita.it – E-mail: [email protected]

QUESTIONI DI COPPIA

ARRIVANO I FIGLI: COPPIA CHE CRESCE, CHE RESISTE

O CHE SCOPPIA. RIPROGETTARE OGNI GIORNO, NIENTE È SCONTATO

IL FOGLIO DELLE MAMME, DEI PAPÀ, DEI BIMBI

DELLA

Page 2: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE,COM ’È

PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA 2

C O P P I E E F I G L I O L A N Z A

13 FARE COPPIA Stefania L.

14 EQUILIBRI DINAMICI Christian

15 UN AIRBAG TRA NOI Mario e Barbara

16 FAMIGLIA, UN’IMPRESA Sonia M.

17 PERAMORE Laura V.

18 FIGLI, QUESTIONE DI COPPIA O DI VILLAGGIO? Rossana C.

S O M M A R I O

C O P P I E A L P R I M O F I G L I O

7 OMNICOMPRENSIVO Linda A.

8 MELE Giulia A.

9 COVA SOLITARIA Tiziana M.

10 TEOREMA DI COPPIA Marta M.

11 A CIASCUNO IL SUO TEMPO Cinzia P.

12 ALTRI EQUILIBRI, ALTRI ORARI Andrea D.

C O S E D E L L ’ A L T R O M O N D O

20 L’OSTETRICA DELL’ALTRO MONDO Marina V.

21 MATRIMONI COMBINATI Marina V.

D A O G G I C I S O N O A N C H ’ I O

22 FILASTROCCA DEI NUOVI NATI

23 IN RICORDO DI ALDA

3 DUE, TRE Teresa C.

C O P P I E P R I M A D E I F I G L I

4 NOI CON LA CLAVA Laura V.

6 CAREZZE PER L’ANIMA Barbara M. A.

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GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM’È, NON CERCATEVI IL

SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE;

Teresa C. mamma

DUE, TRE

L’arrivo di un bambino nella vita di coppia è una grande gioia. Tanto desiderato, tanto atteso; e poi il gran giorno. Così dal due si passa al tre. O forse… nuovamente al due. Sì, perché nei primi mesi di vita si crea un rapporto così esclusivo tra mamma e bambino, quasi una simbiosi. Essere a disposizione per l’allattamento a tutte le ore necessarie del giorno e della notte: una gioia, ma che fatica! Rinunciare a tutto ciò che abitualmente riempiva la nostra giornata: il bambino diventa la priorità. Così si è stanche e stressate, i nervi scattano al minimo problema e nonostante qualche aiuto e la comprensione offerta dai papà le forze sembrano non bastare. Ma voi ­ sì, voi papà: non sentitevi meno importanti; per quanto pasticcioni, nei primi tempi siete fondamentali! Anche noi mamme siamo goffe e impacciate alle prime esperienze! Così, insieme, con qualche aiuto in più da parte vostra, con qualche parola di conforto e affetto, con frasi che vorremmo sentire più spesso come: “Ti vedo stanca, non preoccuparti ci penso io”, ritorna l’armonia. Dal due si ritorna al tre, verso le prime parole, i primi passi e il cammino insieme.

L’UOVO Periodico semestrale

della Associazione Casa di Maternità “La Via Lattea”

Anno XVII Numero 25 ­ aprile 2010

Direttore Responsabile

Giuliana Licini

Redazione

Cristina Balbiano ­ Simona Erotoli Judith Mangolte ­ Cinzia Paris

Laura Valugani ­ Marina Vaccaro

Supervisione

Lidia Magistrati Nadia Morello Paola Olivieri

Grafica e impaginazione

Laura Lobetti Bodoni Laura Valugani

L’Uovo Autorizzazione del Tribunale di Milano

N° 314 del 11/05/1996

Editore/Redazione

Associazione Casa di Maternità “La Via Lattea”

Via Morgantini, 14 20148 MILANO

Tel/fax 02.890.77.589 c.c.p. n° 37347200 www.casamaternita.it

E­mail: [email protected]

Stampato in proprio

Ogni prestazione in merito ad articoli, foto, disegni e varie, si intende offerta

alla rivista L’Uovo completamente a titolo gratuito. Gli autori si assumono la piena responsabilità civile e penale per le affermazioni contenute nei loro testi. È vietata ogni riproduzione,

anche parziale, di testi, foto e disegni senza autorizzazione scritta.

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4 VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO

PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA

Cosa distingue le mamme della Casa di maternità? Sono così diverse tra loro, ma qualcosa sembra accomunarle. Cos’è, vallo a capire. Un indizio però ce l’ho, vi racconto come l’ho trovato.

Mi hanno regalato una raccolta di strisce di BC (del disegnatore statunitense Johnny Hart: un amarcord di ragazzini degli anni ’70 ­ e compatite l’anacronismo). Come me lo sono trovato in mano, ho detto con slancio: io sono quella con la clava. I personaggi femminili sono due: una è la svampita e dolce biondina, l’altra è la cicciona tosta, che gira impugnando una clava. Non c’è confronto! E l’amico che mi ha regalato il fumetto, quasi a scusarsene: ma dai, non sei né brutta né aggressiva. Ci mancherebbe altro! Ma ti pare che l’identificazione proceda attraverso queste caratteristiche negative? Avrei incluso nella categoria “con la clava” anche la più attraente delle mie amiche, le mie coraggiose figlie, le mie studentesse di punta e tutte, dico tutte, le donne della Casa di maternità. Una metaforica clava: ecco l’indizio.

Guardate la donna con la clava. La impugna senza sforzo: è forte. Sorride, non sembra per il momento intenzionata ad usarla, ma ha l’aria di chi, se c’è da buttarsi nella mischia, non si tira indietro. Certo non sembra una che cerca protezione, non appare indifesa. Una con la clava è tipo che, se le prende, le dà indietro. Si fa rispettare.

In BC quella corteggiata è la biondina, la mia preferita non ha successo con gli uomini. Siamo in un’altra era, sì o no? Forse che l’alchimia dell’attrazione sessuale richiede la rappresentazione della dipendenza, un rituale simbolico di richiesta di protezione? Sarà. Ma quando si arriva al dunque, al culmine dell’atto riproduttivo, al glorioso e furibondo momento del parto, potrebbe una donna non rappresentare, anche suo malgrado, la travolgente forza, la raggiante potenza? E può l’uomo che assiste impotente non impallidire al cospetto? È un imprescindibile aspetto del femminile.

Prendo in giro il mio uomo, che da adolescente fantasticava intorno alla sua donna ideale: bionda, sottile, delicata. Poi si è innamorato di una con la clava. Guardo il mio figliolo che si è fidanzato con una bionda. Sì, “biondina” ci sta, però questa è della nostra risma, la clava ce l’ha. Forse l’era di BC è superata? Non so. Ma almeno qui da noi qualche segno c’è.

Noi con la clava

COPPIE PRIMA DEI FIGLI Laura V. mamma

I l parere delle femmine

L’aspetto fisico attraente, sicuramente.

O una grande personalità.

Le ragazze molto corteggiate sono o si atteggiano a

superficiali, non si addentrano in discorsi troppo intellettuali o

profondi. In qualche caso perché sono così di natura, in

altri perché vogliono dare l’impressione di essere carine e simpatiche ed evitare il rischio

di sembrare noiose.

Sono ragazze belle. Le timide sono fuori gioco, piacciono le estroverse. Non le aggressive,

però: ha più successo chi asseconda l’interlocutore e non lo contrasta esprimendo idee

diverse.

Le ragazze più corteggiate hanno un aspetto carino e

curato, non sono necessariamente belle. È

affascinante chi è intrigante, gentile, dolce.

Conta l’aspetto e l’abbigliamento curato, non

hanno importanza pregi caratteriali particolari. Ha la meglio chi non ha carattere forte e dà l’idea di un tipo

semplice e aggraziato.

Un conto è essere ricercate, un altro essere corteggiate.

Il corteggiamento è esclusivo. Le ragazze più corteggiate

sono interessanti: hanno forte personalità e una vita intensa,

rappresentano stabilità e sicurezza. Tra quelle ricercate, distinguo due tipi: quelle facili

e quelle coccolabili.

I l parere dei maschi

Un bell’aspetto fisico, ma non solo. Le più corteggiare sono quelle che sanno porsi nei confronti del prossimo in maniera spigliata.

Senza dubbio la bellezza, sarebbe pura ipocrisia sostenere il contrario. Poi la spigliatezza, l’intraprendenza. Anche lo stare volentieri allo scherzo: è una caratteristica che contribuisce a mettere a proprio agio il corteggiatore e che rende più scorrevole e naturale la relazione.

Un fisico attraente e un carattere remissivo.

Il fascino. Ogni maschio è suscettibile a un fascino diverso. Dal momento che possiamo considerare la bellezza come un fattore sociale, possono esservi punti in comune fra vari maschi nel valutare il fascino. Vi sono poi i gusti personali, soprattutto in relazione alla bellezza del viso, più che a quella dl corpo.

Ad attirare l'attenzione è soprattutto la bellezza fisica. Se poi dimostrano di essere persone in gamba, simpatiche, intelligenti, dolci, faranno certamente colpo. Peraltro, molti corteggiatori si limitano alla prima caratteristica.

La bellezza, principalmente. E l’apparire irraggiungibili.

Le femmine più corteggiate: cosa le caratterizza?

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5 CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE,COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA

FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN

Femmine leader in contesti sessualmente misti:

molto ricercate ma poco corteggiate. Vero o no?

I l parere delle femmine

Il fatto di essere una leader non attrae i

corteggiatori.

La donna leader attira molto l'uomo, ma in fondo

lo spaventa.

Secondo me sono meno corteggiate, sì. Perché con

loro il maschio non si sente valorizzato come elemento forte, che dà

protezione. Se si parte dal presupposto che nella

coppia ci vuole parità, una donna forte fa subito

pensare a una prevalenza, perché si distacca dai

modelli di comportamento comune.

Le femmine leader sono meno corteggiate dai ragazzi che cercano relazioni di semplice divertimento, che li

soddisfino momentaneamente.

Invece quelli che vogliono relazioni vere cercano

proprio quelle: caratteri forti su cui far conto per

una vita.

La femmina leader è molto ricercata per relazioni di amicizia, probabilmente

numerose, ma non con fini di corteggiamento. Si

cerca in loro un esempio, un consiglio, un’amicizia profonda. Ma l’occhio del corteggiatore non si posa su di loro, figure troppo

autorevoli, apparentemente meno dolci e comprensive.

Il rischio per queste donne è quello di perdere la loro

femminilità, di essere considerate alla stregua di maschi. Gli uomini che le vedono in questo modo

potrebbero esserne spaventati.

I l parere dei maschi

Meno corteggiate, sì. Un carattere troppo orgoglioso respinge.

Non ci ho mai pensato… Nei confronti di donne così c’è rispetto. Il rispetto può portare all’attrazione. Non credo che debbano essere meno corteggiate, dal momento che il loro potere può essere un elemento di attrazione...

Sono ricercate per interesse, ma non corteggiate. Il gioco non vale la candela. Il successo nel corteggiamento non porta nessun ulteriore vantaggio nel contesto di cui la femmina è leader, il fallimento rischia di pregiudicare definitivamente la posizione del maschio nel gruppo.

Probabilmente il manuale del corteggiatore ha fatto il suo tempo. Le donne hanno una parte attiva nel corteggiamento e sono diventate più esplicite di quanto non fossero nel passato: se vogliono qualcuno, stiamo sicuri che lo fanno capire in più modi. E se hanno un particolare ruolo in un determinato ambiente, attireranno sicuramente l'attenzione e ci sarà chi cercherà di affiancarle in questa posizione di leadership, che assicura anche al partner più visibilità.

Ma perché dovrebbero essere poco corteggiate? La donna potente non ha il suo fascino? Prendete la Megghi ad esempio: io la amo!

Forza o debolezza femminile: abbiamo cercato di capire cos’è che attrae di più, al momento della scelta del partner. Così rispondono i ragazzi, femmine e maschi intorno ai vent’anni

I l parere delle femmine

Chi è parecchio corteggiata avrà più possibilità di

fidanzarsi.

Secondo me ha meno possibilità. Le ragazze di quel tipo si compiacciono

dei corteggiamenti e quindi tendono a evitare le

relazioni stabili. Quelle che preferiscono una relazione

seria si riconoscono e spaventano la maggior parte dei ragazzi, che

quindi non le corteggiano.

I corteggiamenti e la formazione di coppie stabili

sono due cose diverse. Quasi modalità alternative.

Le ragazze più corteggiate sono le prime a fidanzarsi e

le ultime a trovare il fidanzato giusto e la

relazione seria.

Una ragazza che ha troppi corteggiatori non riesce a dedicarsi a una relazione

stabile, una meno corteggiata si impegna di più a mantenere salda la

relazione.

Accade che una ragazza molto corteggiata fatichi a inquadrare il tipo d’uomo

adatto a lei e che, al contrario, una ragazza poco

corteggiata abbia meno incertezze. Ma l’approdare a relazioni stabili dipende più che altro dall’idea che ciascuno dei partner ha del

proprio futuro.

I l parere dei maschi

Una ragazza molto corteggiata ha più scelte per approdare ad una relazione stabile. Ma poi tutto dipende dal caso. È possibile che una cozza arrivi ad una relazione stabile molto prima di una maliarda sirena.

Più una ragazza è corteggiata più è ampia la sua scelta, quindi alta la "tentazione" di evitare una relazione stabile. Non voglio dire che le femmine tendano a evitare le relazioni stabili, se possono ­ è un comportamento più maschile. Però, in base al numero di scelte, è statisticamente più probabile avere una relazione stabile se si ha un solo corteggiatore.

Se si è nella prima fase, cui si comincia a scoprire cosa vuol dire stare assieme a qualcuno… be’, più corteggiatori significano maggiore probabilità di fidanzarsi. Ma poi? O una è seria e fedele e non vuole solo divertirsi ma condividere qualcosa di vero col suo compagno, oppure sarà distratta facilmente dal broccolaggio di altri esseri di sesso maschile.

Una ragazza molto corteggiata ha più probabilità di approdare a una

relazione stabile?

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6 NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM ’È, NON CERCATEVI IL PELO. E

PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ

Ho sempre creduto che la gravidanza sia un momento particolare nella vita di una donna, dove entra in pieno contatto con Madre Natura e con le sue più antiche forze ancestrali. Fin dalla prima giovinezza ho sempre desiderato avere dei figli, vuoi per spirito di emulazione materno, vuoi perché lo considero un elemento vitale nell’evoluzione femminile. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui mi si è annunciata la sua presenza. Credo di aver provato in un secondo l’intera gamma delle emozioni umane perché sapersi incinta lascia senza fiato. Tutt’ad un tratto: sei madre. Prendi il volo, per un breve ed intenso momento lasci alle spalle passato, presente e futuro. Ti fondi nel completo abbraccio dell’amore incondizionato… sì, perché già sei follemente innamorata della piccola energia che sta prendendo forma nel tuo grembo. Abbiamo cercato questo miracolo per anni, e quando ho gettato la spugna e incominciato a prenderla con filosofia (se così si può definire la mancanza di uno stato di ansia e aspettativa che precede un concepimento) ecco compiersi il prodigio. Quando ritorni coi piedi per terra, incontri lo sguardo del tuo compagno e condividi con lui l’immensa felicità. Lo abbracci e senti che qualcosa in voi sta pian piano mutando, comprendi ora cosa siano le parole Famiglia e Amore. Tra pochi mesi saremo genitori. Voglio dire di quanto è accaduto dentro di me e nella coppia, di come si sono evolute certe dinamiche sia nel sociale che nel privato. Per prima cosa ho annunciato il lieto evento alle nostre famiglie, le quali con sconfinata gioia e commozione si sono rese sin da subito disponibili per qualsiasi necessità emotiva e materiale. Fin dai primi mesi, i “promessi nonni” si sono resi parte attiva di questo evento, dando molto della loro saggezza per poter fugare i

dubbi e le paure che potevamo incontrare lungo questo percorso di “promessi genitori”. Questi mesi sono trascorsi serenamente, ho avuto la possibilità di non lavorare e di dedicarmi a tempo pieno a me stessa e alla bambina. Tempo utile e necessario per metabolizzare il cambiamento interiore e affrontare la realtà che sta per annunciarsi a breve. Diventare genitori comporta un’attenta analisi interiore, guardarsi allo specchio nudi e mettere di fronte a sé le paure e i conflitti che da anni ci portiamo dietro, cercare di liberarsi da cattive abitudini del passato che possono influenzare negativamente il proprio ruolo, incentivare gli aspetti positivi della personalità, osservare con occhi diversi la realtà: perché ora non sei da sola, c’è bisogno di concentrazione e di volontà per essere mamma. Almeno questo è quello che ho sentito di fare, lavorare sul mio equilibrio sin da subito affinché sia di sostegno nella vita della mia bambina. E durante questi momenti di analisi, ecco pian piano schiudersi un orizzonte davanti ai miei occhi, inesplorato: mi scopro diversa, più forte e capace di affrontare parti oscure di me che non avevo mai preso in considerazione, un io sensibile e volitivo capace di addentrarsi nelle più remote pieghe dell’anima e con tatto terapeutico prendersi cura a livello profondo. Credo fermamente che la gravidanza sia un’occasione senza uguali, dove la donna può attingere dal famoso potere femmineo, e iniziare un percorso di crescita insieme al proprio figlio ­ per mezzo di suo figlio; perché noi daremo sì vita ad un bambino, ma è quest’ultimo che ci rende madre. Quindi non nasce solo un bambino ma nasce anche una madre in ogni parto. E già, l’uovo e la gallina! Chi nasce da chi? Mia figlia dal grembo mi ha insegnato

COPPIE PRIMA DEI FIGLI

Carezze per l’anima

Barbara M. A. mamma

molte cose, dalla pratica della pazienza alla respirazione consapevole. Ho scoperto cosa sia l’aspettare, vedendo mutare pian piano il mio corpo ed insieme il suo, ho vissuto ogni singolo momento di questa gravidanza come un grande insegnamento di rispetto dei tempi. In quest’epoca all’insegna della velocità e del qui e subito, abbiamo disimparato ad entrare in contatto con la Natura, dimenticandoci la nostra realtà sensibile. In quanto figlia a mia volta, ho cercato di risaldare il mio legame con mia madre, purtroppo venuta a mancare durante la mia adolescenza: è stato interessante approcciarsi al lutto in un momento come questo. Ho esaminato il mio dizionario emotivo cercando di capire quanto in esso ci fosse la presenza di mia madre e quanto fosse farina del mio sacco (!), nella sua lettura delle esperienze vissute fin ora... e con meraviglia ho compreso che parte di loro erano mia madre, altre erano caratteristiche della mia personalità. È stato incredibile: ho visto con chiarezza il perché e per come, in certe situazioni si svegliava in me un determinato comportamento inconscio. Ho lavorato su questa direzione perché sentivo che non avevo totalmente risolto la sua mancanza, e per essere consapevole della mia emotività. Quest’approccio al mio interiore, più dolce e introspettivo mi ha reso capace di osservare con mente serena anche gli avvenimenti del mio passato, negativi o positivi che siano, e ho realizzato il perché di certe manifestazioni. Il rapporto con mio marito ha preso slanci che non prevedevo, ho visto molta più complicità e affetto nel suo comportamento. Si è interessato alla gravidanza con ricerche e letture, ha condiviso tanto i miei pensieri e sogni… e credo fino all’estenuazione. È stato lui a parlare del Lotus Birth come tipologia di nascita per nostra

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7 GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA

RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE,COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA,

figlia, abbiamo cercato sin dall’inizio di condividere le nostre visioni per il futuro della piccola senza cercare di sovrastarci, né tantomeno opponendoci ai desideri altrui. La passione terrena ha lasciato spazio al dialogo d’amore, che in questi mesi è stato di carezze e massaggi, e cure per la nostra anima di futuri genitori. Abbiamo ritagliato momenti durante la giornata dove entrare in contatto con noi stessi, e accarezzare la piccola con i nostri pensieri d’affetto. Allo stesso modo la mia routine giornaliera ha subito un notevole cambiamento, ho smesso di allenarmi pian piano (pratico e studio kung fu da circa diciotto anni), anche se potevo optare per un training leggero di tai chi, ho preferito rilassarmi completamente. L’aumento di peso si faceva sentire e non volevo forzarmi in movimenti che potessero ulteriormente stancarmi. La mia personalità mondana, fatta di aperitivi e cene, locali e clubbing, ha lasciato spazio ad incontri con amici più intimi e sono diventata sempre più esigente nella scelta di chi mi gravitava attorno, tanto da esserne stupita. Ho voluto intorno a me persone che mi amassero sinceramente, positive; perché di altro non sapevo che farmene. Sentivo il bisogno di avere un dialogo sereno, d’incontri da tè­tisana. E devo ammettere, che sono molto felice di poter condividere con amici “pochi ma buoni “questo momento speciale. Mancano circa cinque, sei settimane alla data presunta del parto, e siamo emozionati perché finalmente potremmo conoscere la nostra piccola. Stiamo trascorrendo questi ultimi momenti, preparando il “nido” e sistemando ogni cosa affinché la nostra Mai Anh stia al meglio, parlando e organizzando la nostra vita nell’immediato futuro. Che dire d’altro… be’, ringrazio tanto la Casa di maternità e le mamme che ho conosciuto in questi mesi per la loro dolce presenza e per aver condiviso le loro esperienze con me. E naturalmente la mia piccola!

OMNICOMPRENSIVO Linda A. mamma

Ho scambiato il mio uomo per un uovo! Sembra uno scherzo, un gioco di parole, invece… Quando è nata la nostra Sofia, volevo che Mohammad fosse compagno, amante, padre, madre, fratello: volevo che fosse omnicomprensivo. Ho caricato questo uomo di tutte le aspettative del mondo e, quando sono state disattese, la crisi è stata profonda e il dolore tanto.

Mohammad ed io siamo una coppia in una famiglia grande e particolarmente complessa: noi due, i suoi due figli provenienti da un precedente matrimonio e, da quattro mesi, Sofia. Io sono Linda: prima una compagna, poi "la fidanzata di papà”, ora una mamma. Ci siamo incontrati quattro anni fa, in uno dei momenti più bui di Mohammad, alle prese con l'elaborazione di un vissuto di fallimento che coinvolgeva tutte le dimensioni della sua vita: il fallimento della sua famiglia, della coppia e persino del lavoro. Insieme abbiamo vissuto molti momenti difficili ed io ho avuto modo di innamorarmi del suo coraggio nel riaffrontare la vita e nel rimettersi in gioco in una nuova famiglia insieme a me. In questi quattro anni abbiamo camminato insieme, affrontando la ricostruzione (per lui) e la costruzione (per me) di un rapporto con i figli di sette e undici anni, l’impegno di una famiglia allargata, l’incontro/scontro con l’ex moglie e madre dei figli di Mohammad. Tutte esperienze molto faticose, ma allo stesso tempo entusiasmanti e preziose, che ci hanno permesso di vivere la sensazione di essere vicini e di poterci fidare e affidare l'uno all'altra.

Poi arriva Sofia. È in questo preciso momento che investo Mohammad del ruolo di uomo­uovo. Con la piccola in braccio, appena uscita dall’ospedale, senza la presenza di una madre al mio fianco, lui diventa il mio unico e solo punto di riferimento: ha già avuto due figli, saprà come fare! E non solo cose pratiche, come cambiare i pannolini, fare il bagnetto eccetera. Sicuramente potrà anche capire le mie paure e vedere ciò che io, alla prima esperienza, non so vedere e sentire. Mohammad per me rappresenta la conoscenza, l'esperienza, la competenza, ma anche la risposta alla solitudine, al bisogno di sentirmi capita, di sentirmi adeguata. Lui è il mio uomo­uovo da abbracciare, che protegge me e Sofia da ogni paura, come solo una madre ideale sa fare. Ma Mohammad non può essere una madre. Non può leggere il mondo come una donna e non può leggere me come una madre, non ne ha gli strumenti. Ora lucidamente lo capisco, ma in quel momento no; ed ecco quindi il mio sconforto, l’idea di una promessa non mantenuta, una delusione che cresce in me e che mette in crisi la coppia. Passiamo momenti difficili: distanza, incomprensione, silenzi carichi di troppe parole represse. Sono così in crisi da mettere molte cose in discussione e continuo a sentirmi sola senza di lui e sola senza più nessuno. Non sono in grado di capire quello che mi sta succedendo...

Nadia, l'ostetrica, proprio qui alla Casa di maternità, mi tende una mano: entra con intelligenza, ascolto, vicinanza e competenza nella mia vita e nel mio rapporto con Mohammad, dando fiducia e forza a me nei confronti del modo di gestire la piccola e l'intero periodo che sto vivendo: ecco la madre che cercavo, finalmente! Libero Mohammad dal ruolo di uomo­uovo, rileggo le mie aspettative come assolutamente irrealistiche. Solo ora lo riconosco finalmente per quello che è: un padre di tre figli che cerca di galleggiare con fatica all'arrivo dell'ultimo piccolo tornado nella sua vita: Sofia. Credo che ora sia possibile guardare al rapporto con il mio compagno con occhi nuovi e con la consapevolezza che la coppia meravigliosa ma idealizzata di prima non c'è più: non c’è più quell’idea di uomo­uovo che faceva cominciare e finire tutto intorno a Mohammad. Lascia il posto a qualcosa di più sgangherato e comune, magari, ma più vero. Un buon presupposto per una nuova esperienza di intimità nella nostra vita insieme, accanto a quella di Sofia.

COPPIE AL PRIMO FIGLIO

Page 8: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

8 FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE

CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM’È, NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO

MELE Giulia A. mamma

stato il dopo, eppure la tua presenza mi ha sempre mormorato che in quel “dopo” tu ci saresti stato, pieno di incertezze quanto me, ma certo del pilastro del tuo amore. E nel caldo estivo, all’ombra dei pioppi albanesi solleticati dal vento, l’ansia si è sciolta. L’abbiamo lasciata nella terra di un vecchio santuario, dove il dolore del passato ha preparato il terreno a una nuova piantina che aveva già iniziato a muoversi. Il sole dell’estate ha lasciato il posto alla luce autunnale, le faggete intorno alla città si sono vestite di un giallo abbacinante e i raggi ambrati pronunciavano un arrivederci ogni giorno più palpabile. Un altro saluto si avvicinava, un benvenuto sudato e temuto. Quando le acque si sono rotte, hai brandito risoluto lo spazzolone e hai pulito il pavimento allagato. Mentre io tremavo nella doccia, hai chiamato Nadia e insieme – non ho bisogno di domandare per saperlo – avete parlato della mia paura mentre io finivo di mettermi lo smalto sui piedi. E continuavo a tremare, è stata un’impresa! Ma avevo bisogno di aggrapparmi a un gesto di ordine: è questo mio ordine pandemoniaco che ti ha incantato all’inizio, ti ha preso con sé e ti ha portato anche in quella sala parto dove non ti avrei mai pensato – e mai pensato di volerti! “Va bene, entra anche tu, e stammi vicino, ma senza scherzare, e non essere ansioso, arriva o no ‘sto cappuccino? E fai come dice Nadia, e quando la bimba esce non guardare!” L’ultima richiesta l’hai ignorata e hai visto nascere tua figlia. Poi, dopo non so quanto, hanno sollevato dal mio petto quella cucciola intontita dall’odore pungente e l’hanno data a te, che l’hai tenuta in braccio con due occhi sfavillanti di felicità simili a due cuoricioni da fumetto manga… e lì, in quel momento, ho visto mia figlia, ho capito cosa stava succedendo e sono scoppiata in un pianto di gioia, furioso quanto è stato quieto quello del giorno del mio matrimonio. Ma guarda, sei presente e attore in alcuni dei momenti più belli della mia vita. Proprio ora che la luce tagliente dell’inverno lenisce la nostra stanchezza, adesso che le ore si dilatano e i giorni scappano come i minuti, non posso dimenticarlo. Nella tempesta emotiva del puerperio e nelle sfide che affronto quotidianamente, so chi sei perché ho visto ciò che sei stato. Siamo pieni di gioia e prede di occasionali ansie, ma anche con i nostri sbagli ci mostriamo l’uno all’altro per come siamo fatti. E sotto la coltre della quotidianità, avverto ancora l’odore di salsedine, il calore della battigia, e capisco il senso dello stare insieme. Il nostro amore ha dato un frutto, l’abbiamo fatto noi, e forti di questa conquista possiamo stendere le mani in avanti verso gli alberi del futuro, per arrivare a cogliere insieme

le mele argentee della luna, le mele dorate del sole.

COPPIE AL PRIMO FIGLIO

Quando ti ho detto che ero incinta, mi hai abbracciata, le mie paure contro il tuo torace. Andrà tutto bene, mi hai detto: e non so cosa mi sia stato più caro, se la tenerezza con la quale hai cercato di calmarmi o la paura che hai evitato di nascondere, lasciandola trasparire tra le pieghe delle tue rassicurazioni. In quei primi giorni, parlavamo l’uno all’altra, sì, ma anche a noi stessi. Andrà tutto bene, dicevo io, siamo giovani. Sarà divertente. Posso fare la mamma, ne sono in grado. Posso partorire. Posso prendermi cura di un essere umano – di un essere umano piccolo – per un anno, due, dieci… andrà tutto bene e anche se ora sono una teen­ager attempata, ho nove mesi per trasformarmi in ape regina. Nove mesi sono lunghi, no? Tu dicevi: ma sì, non siamo messi male. Abbiamo i soldi da parte. Venderò la moto, tu stai tranquilla e pensa al pancione, vedi, anche ‘sto mese ho guadagnato bene, vedi, dobbiamo solo stare tranquilli e andare d’accordo e al resto ci penso io. Ho venduto la moto. Con il passare dei mesi il mio sguardo si abbassava, fino a rimanere puntato all’ombelico. Tu guardavi avanti. Scrutavi il futuro mentre io, camminando a ritroso, cercavo nel mio passato il senso di avere una madre, per poterlo diventare; di avere un padre, per poterlo riconoscere. Cercavo il senso dell’essere figlia, per poterla trovare. Siamo andati al mare, in primavera. Sdraiati sullo stesso asciugamano, ci siamo abbracciati e io ho premuto il viso contro la tua pelle nuda che sapeva di salsedine e sudore. Un momento bello da non dimenticare, da riporre al sicuro nel cassetto dei ricordi, pronto a essere ripescato quando c’è bisogno di sentire ancora il suono sciabordante del mare. Quando ho chiuso gli occhi le onde parevano potermi portare via, ma tra le tue braccia calde sarei potuta essere al sicuro, come su una placida chiatta fluviale, e ho vissuto per prima quel pacifico cullare che ora addormenta mia figlia tanto facilmente. Abbiamo scoperto insieme che si può essere tranquilli pur essendo pieni di paura verso un futuro talmente improvviso da inibire qualsiasi senso di aspettativa. La nostra è stata un’attesa senza nessuna immagine di quello che sarebbe

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9 RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI

E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA

Non pensavo che avrei fatto tanta fatica a scrivere di questioni di coppia. Non è questione di difficoltà a esternare il mio vissuto, ma è come se la mia mente avesse archiviato il capitolo. Sono separata da ormai due anni, ossia sono due anni che io e Marco non viviamo più insieme. In realtà il nostro allontanamento è avvenuto molto prima, già dai primi mesi di gravidanza, una gravidanza capitata un po’ a sorpresa dopo dodici anni di matrimonio. Non che non fosse sperata da parte mia! Avevo passato da poco i quaranta e dentro di me si faceva sempre più strada il pensiero di un figlio. Speravo di rimanere incinta e al tempo stesso ne avevo paura. Sapevo che Marco era dubbioso in proposito, aveva detto di no, ma era stato anche possibilista. Be’, la cosa è successa, in quattro e quattr’otto. Destino? Forse. Così come è forse stato destino che il rapporto con Marco non abbia resistito alla forza dirompente di una nuova vita, che viene a cambiare per sempre i vecchi equilibri.

La mia gravidanza è stata difficile e io l’ho vissuta con paura, fra divano, ospedale e casa dei miei. La mia attenzione era tutta rivolta alla “cova” del prezioso “uovo”. Marco continuava con la sua vita, palestra, moto, amici. Io non me ne davo pensiero. Ero su un altro pianeta. Nell’unico incontro con i futuri papà a cui abbiamo partecipato lui era un pesce fuor d’acqua. Cosa ci faceva lì? Futuro papà? Le altre coppie parlavano delle loro aspettative, avevano probabilmente cercato il figlio insieme e ora aspettavano insieme. E noi? Ancora una volta gli ormoni della gravidanza mi hanno fatto sottovalutare la situazione: ero ottimista, tutto si

Cova solitaria Tiziana M. mamma

sarebbe sistemato, quando il piccolo sarebbe arrivato nella nostra vita avremmo ritrovato un nuovo equilibrio a tre. Invece no, il nostro allontanamento proseguiva inesorabile. Eravamo, di fatto, già separati.

Una volta nato Mirco, io mi sono immersa nel ruolo di mamma alle prese con un allattamento ad altissima richiesta. Mirco è nato a luglio, a settembre Marco mi ha detto di essere in crisi,

una crisi profonda, che è sfociata in una rottura definitiva. Tanti i sensi di colpa e i ripensamenti, ma poi abbiamo preso la decisione di andare avanti per la strada della separazione. Meglio prima che dopo, soffriamo ora noi, ma Mirco crescerà in una situazione più sana.

Inizialmente non mi è stato facile accettare quello che era successo. Non volevo che Mirco crescesse senza una vera famiglia. Mi sentivo responsabile ed incosciente per aver voluto un figlio, sapendo che il rapporto con Marco scricchiolava da sempre e che in fondo non eravamo fatti l’uno per l’altro. Ma il tempo mi ha fatto accettare lo stato delle cose ed ho capito che la nascita di Mirco ha fatto per noi quello che forse era bene: ha dato uno scossone ad un rapporto che non era

destinato a durare, almeno non felicemente.

Mirco cresce bene e sembra felice. La presenza del papà c’è ed è fortunatamente costante anche se, come spesso accade in questi casi, è limitata a ore di gioco e di svago. Io sono stanca ma serena, mi sono creata un nuovo equilibrio e amo la mia indipendenza.

COPPIE AL PRIMO FIGLIO

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10 VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO

SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE

TEOREMA DI COPPIA

Marta M. mamma COPPIE AL PRIMO FIGLIO

Teorema di coppia, ovvero considerazioni sull’energia dei suoi appartenenti, nel superamento delle regole convenzionali di calcolo.

Difficile trattare questo argomento senza trasformare le prossime righe nel momento in cui “dal vaso di Pandora uscirono tutti mali del mondo”. Chi ha avuto modo di frequentare qualche incontro mamma­ bambino insieme a me può ricordare che delle volte ero così stanca da avere parole abbastanza impietose verso Ivan, la nostra piccola Micol e nei confronti della nostra vita in genere… Insomma, ci sono momenti in cui, ancora adesso, farei volare loro due e loro cose fuori dalla finestra per avere un po’ di pace ­ metaforicamente è chiaro! ­ e prego perdonerete l’immagine perché ne avevo pensate anche di più forti e violente, che bene possono descrivere l’impeto dei miei sentimenti.

La verità è che la coppia, intesa come 1+1=2 o 1x1=1² non esiste più o è una realtà che fatica a presentarsi perché, con la nascita della nostra bimba, 1+1 darà sempre come risultato 3. Voglio dire che la relazione cambia, per fortuna o purtroppo… meglio dire inevitabilmente, con tutte le accezioni belle e meno belle che ha tale avverbio ­ ciò che è inevitabile non per forza deve essere negativo. Forse la giusta formula per affrontare la nuova vita di coppia sta nel riuscire ad adattarsi all’evoluzione che la coppia subisce. Facile a dirsi, molto meno a farsi, soprattutto per una come me…

Nella nostra vita di coppia tutto ruota sulla diversità di caratteri, ruoli, opinioni e chiavi di lettura che esiste tra me e Ivan. Che poi gli ingranaggi della nostra vita incontrino qualche ostacolo questo è, appunto, inevitabile: tutto sta nel considerare l’ostacolo nella prospettiva di un masso o di un sassolino. Se avessi un manuale d’istruzioni per un ottimale funzionamento della nostra coppia, ­ chissà come mai, quando serve davvero non si trova mai ­ ci sarebbe scritto: superare la prospettiva del “bicchiere mezzo vuoto” e del “bicchiere mezzo pieno”, in favore del sistema dei vasi intercomunicanti in cui, se uno manca d’acqua, l’altro lo riempie o, se uno sta per trasbordare, l’altro lo riporta nei suoi limiti.

Dare fiducia alla nostra coppia: sarebbe il presupposto per affrontare le nostre sfide quotidiane. Tuttavia, ancora una volta, facile a dirsi e molto meno a realizzarsi. Accettare i diversi ruoli, assumerli in modo proporzionato, non significa sempre conseguire un’equa distribuzione dei compiti e delle responsabilità. Nella pratica quotidiana, sono portata ad affrontare il ruolo di compagna con gli stessi strumenti del ruolo di mamma e spesso a confondere l’uno con l’altro. Penso che ciò accada perché l’organizzazione del mio tempo è troppo frenetica per scindere sempre la mamma dalla compagna, per cui può accadere che tratti Ivan come una sorta di bambinone, chiedendogli il resoconto quotidiano della gestione della sua persona ­ “Hai mangiato, sì ma che cosa? Lavati! Cambia il pigiama! Ti serve qualcosa?” ­ e l’elenco potrebbe continuare ancora e ancora; mentre quando Micol è un po’ noiosa per la stanchezza o, semplicemente, ha voglia di stare in braccio alla sua mamma o dormire insieme a lei, mi chiedo come mai non riesca a capire che non sono sempre e solo a sua disposizione…

Ma alla fine, nonostante ci siano questi momenti in cui voglio trovare il bambino tontolone in Ivan e la compagna comprensiva in Micol, tutto magicamente appare armonioso. Proprio lei, che è la più piccola, è serena e molto fiera di sé, guarda suo padre come fosse il migliore che ci sia, si appaga dei semplici momenti di assoluto niente in cui ci strappa un bacino sulla boccuccia una volta da me e una volta da lui per svariate volte, allora sono felice di dire a me stessa che sì, ci completiamo, ci compensiamo, ci integriamo. Ed in tutto questo la mia parte ha lo stesso peso di quella di Ivan.

Siamo una coppia che scoppia o forse è già scoppiata? Sì, ma d’amore, che delle volte vuol dire felicità e delle volte contrasto. L’importante è che lo scoppio non sia implosione ma esplosione. Bisogna evitare di rivolgere lo sguardo sempre e solo a se stessi e usare la propria sensibilità insieme a quella dell’altro. Affrontando in questo modo la vita di coppia, può accadere che 1+1 non sia più solo uguale a 2, ma anche a 3, 4, 5, 6… e così sin tanto che lo scoppio della coppia sia di moltiplicazione generatrice.

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11 AD OVULARE,COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO!

L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE

Quando ho scoperto di essere incinta, una marea di emozioni e sentimenti inondavano il mio cuore. Paura, felicità, tristezza... ero sorpresa ed incredula, come se questa assenza di mestruazioni, il dolore al seno e alla pancia non mi appartenessero. L’ho detto a mio marito. Anche lui era felice ed incredulo, non pensavamo che il nostro “angelo” ci avesse già scelto. Che fatica all’inizio essere incinta, sentirsi incinta. Non volevo rinunciare al mio lavoro a causa di questo stato fisico, ma ero costretta. Essendo un lavoro classificato come a rischio, dovevo per forza di cose allontanarmi da quello che al momento mi dava maggior soddisfazione e gioia. Poi il sentirsi quasi malata… Ti confronti con le compagne di sventura e mille esami, mille controlli, non fare questo, non fare quello. Tutti mi facevano sentire una malata, impossibilitata a svolgere la mia vita di sempre. A tutto questo ero impreparata e non lo accettavo. In questo periodo il mio uomo era quasi assente, non fisicamente o affettivamente, ma dal punto di vista delle rassicurazioni, o almeno, anche se c’era, io non lo percepivo. Mi sentivo sola e spaventata con l’idea, difficile da accettare, che dentro di me stesse crescendo una nuova vita. Poi una persona che stimo molto, a cui affiderei mio figlio senza timori, mi ha detto: “prova ad andare in Casa di maternità, anche solo per un colloquio”. Mi sono fidata. Ed è stato il più bel regalo che avessi potuto ricevere per la mia maternità: conoscere la Casa!

Ho fissato l’appuntamento. Ovviamente ho trascinato il mio compagno. Abbiamo parlato con Lidia, la colonna portante: un colloquio tranquillo, come tanti. Dopo un mese ho iniziato il corso in gravidanza, ero al quarto mese. Inizialmente titubante, in punta di piedi ho deciso di entrare veramente nella vita della Casa. Mi sono lasciata coinvolgere da quell’atmosfera calda e rassicurante, in una parola: materna! Mio marito non era contrario, ma nemmeno mi spronava in questa nuova avventura. Aveva capito ­ e me l’ha fatto bene intendere! ­ che la decisione era tutta mia, nella buona e nella cattiva sorte. Da bravo padre in attesa, partecipava agli incontri di coppia, ma la mia sensazione era di una sua estraneità, come se si fosse costruito una corazza per non far intendere i suoi sentimenti, non farsi coinvolgere. Insomma, un Ponzio Pilato.

Le settimane passavano, la pancia aumentava, il nostro “angelo” iniziava a farsi sentire... Al settimo mese sono passata di grado, entrando nel corso pre­parto. Ero diversa, i mesi precedenti mi avevano fatto crescere, maturare. Da ragazzina spaventata e timida, mi sono riconosciuta come una donna in attesa, che si stava preparando a vivere un miracolo. Io ero sempre più eccitata ed entusiasta di frequentare quel luogo per me sacro. Pian piano, in ascesa, stavo vivendo non solo un cambiamento fisico ma anche interiore, spirituale. Vivevo la mia condizione di gravida come qualcosa di speciale, di magico, di unico. Anche il mio uomo era diverso. Lo sentivo più vicino, più convinto di partecipare alle attività della Casa di maternità. Quando eravamo entrati la prima volta lui non era per niente d’accordo

con il frequentare questo posto e tantomeno pensava ad un parto solo con ostetriche, non in ospedale. Poi, sempre più uniti nel medesimo pensiero, ci siamo realmente sentiti una cosa sola nel decidere come affrontare il parto. Anche grazie alle preziose ostetriche, il nostro rapporto di coppia era migliorato. Ora non mi sentivo più sola ad essere incinta, ma era la nostra coppia ad esserlo. Insieme abbiamo messo al mondo il nostro piccolo grande amore. È stata la notte più bella della nostra vita!

A ciascuno

il suo tempo Cinzia P. mamma

COPPIE AL PRIMO FIGLIO

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12 PRENDETELO COM ’È, NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI

FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE, COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER

Coppia? Ma quale coppia? La coppia di una volta non ci sarà mai più! No tranquilli, non sono un categorico pessimista, intendo dire che volente o no tutto si trasforma alla ricerca dei nuovi equilibri che vedranno nascere la nuova famiglia, innegabilmente diversa dalla precedente, come ritmi, spazi, abitudini, modi di vedere la vita. Subito dopo i primissimi giorni, quando l’adrenalina della dirompente novità va via via scemando, l’obbiettivo principale diviene la sopravvivenza. In quel periodo, il nostro, era un rapporto di mutuo soccorso, in cui la solidarietà cameratesca tra compagni della stessa avventura vinceva facile sulla romantica sintonia che da sempre ci contraddistingueva. Le prime settimane assistono all’ascesa al trono dell’Imperatore Leonardo Francesco I. Suo il potere di dettare i tempi ed i diversi compiti dei suoi sudditi, di monopolizzarne l’attenzione, di scandirne la vita. Valentina allatta tuttora a richiesta, che in parole povere significa che, soprattutto nei primissimi mesi, fortunatamente estivi, passava tutto il giorno con le tette al vento ovunque ed in qualsiasi situazione, che di notte si dormiva in base alle poppate, in genere almeno quattro, e che bisognava essere più lesti di Lupin per rubare attimi di intimità, sempre attenti che non si svegliasse, altro che le superprestazioni di una volta… è un autosequestro di persona! … però quando ti sorride! Subito ci si rende conto che in quanto senza tette il papà non conta niente, quindi a me niente onori, cosa per altro compensata da una mole di oneri infinitesima rispetto a quelli che toccano alla madre. Quindi senza tette niente onori… e niente tette, ormai proprietà esclusiva imperiale, requisite fino a data da destinarsi. Con il passare dei mesi il sonno più profondo e duraturo di Leonardo permette assalti meno sporadici e meno inibiti. Perdura la piacevole sensazione di furtività, quel brividino che riporta

agli entusiasmi delle prime nascoste esperienze giovanili. Col passare dei mesi il ruolo del padre viene rivalutato e nonostante resti di secondo piano, passa da semplice comparsa ad intrattenitore, compagno di spericolate acrobazie aeree, collega di gattonamento sportivo, appiglio supplementare in arrampicata libera… insomma, il ruolo di socio. Anche il rapporto di coppia con il passare del tempo trova nuovi equilibri e soprattutto nuovi orari. Leonardo predilige le ore serali per i suoi fantastici show, fagocitando anche il solo ricordo delle nostre abituali sessioni serali di abbracci sonnacchiosi sul divano al suono di Montecarlo Night. Ora solo a letto a tarda ora riusciamo a concederci chiacchierate sottovoce spesso troncate dal mio prematuro collasso. Proprio la stanchezza costante, unica nota stonata, è il motivo fondamentale delle difficoltà di dialogo sereno. Già non è facile conciliare i due vissuti contrapposti, farlo da stanchi poi implica un lavoro su se stessi non indifferente. Per l’uomo non è immediato capire a fondo la frustrazione di chi ha momentaneamente azzerato la propria libertà individuale, la neomamma sottovaluta invece che se dopo dieci o dodici ore fuori di casa il marito accenna al fatto di essere un pelino stanco è probabile che non lo faccia solo per pigrizia…

Fondamentali sono anche le prime scelte comuni: la scelta del pediatra, le vaccinazioni, il dormire nel lettino, il modo di relazionarsi al patatino, la conversione della casa in parco giochi, il rapporto coi nonni, come quando e quanto tornare a lavorare. Questo è stato per noi il vero stabilizzatore di coppia, perché fin dall’inizio del nostro rapporto la cosa più importante è stata quella di rispettarci profondamente e di essere sempre gioiosamente d’accordo sulle cose importanti. Ci sarebbe poi da parlare del fatto che, con l’esperienza, noi maschietti diventiamo degli esperti sfruttatori dell’aumentata pazienza sviluppata dalle mamme… ma questa è un’altra storia.

Andrea D. papà

Altri equilibri, altri orari

COPPIE AL PRIMO FIGLIO

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13 POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME

ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM’È, NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ

COPPIE E FIGLIOLANZA

Stefania L. mamma

FARE COPPIA

Siamo stati una coppia di fidanzati, poi una coppia di sposi e, a un certo punto, l’equazione è cambiata: siamo diventati una famiglia. Con il primo figlio è stato necessario scoprire che razza di genitori potevamo essere. Diventare genitore è un po’ come riscoprire chi sei e da dove provieni. Il metro di giudizio per decidere la linea educativa di un figlio spesso prende la misura attraverso le esperienze del proprio vissuto familiare e quindi, sebbene pensasse di avere delle solide radici in condivisione, la coppia scopre che ci sono delle derivazioni nel sottosuolo che a volte non combaciano. Così nasce il confronto, talvolta lo scontro, e la discussione. Per nostra fortuna ci siamo limitati a rimanere a livello di “tua madre ti metteva sempre la maglietta di lana, si vede che sei debolino” oppure “non hai mai imparato cosa sia l’ordine; come farai ad insegnarlo a tuo figlio?”. È stato un bene riuscire a tenere l’universo familiare d’origine molto distante, all’inizio, così i fronti che si sono scontrati sono stati solo quello della mamma e del papà, senza la partecipazione di nonni e zii a complicare le cose.

Col tempo abbiamo imparato ad essere famiglia riuscendo addirittura ad integrare, ma senza esagerare, anche le famiglie di origine: ma cosa rimane della coppia? Davide ed io abbiamo difeso con i denti il nostro essere coppia fin dall’inizio. Giacomo aveva pochi mesi quando assoldammo la prima baby sitter serale, una giovane umanista chiacchierona. Uscivamo qualche ora, il più delle volte rimanendo vicino a casa; una birra, una pizza e,

ingrediente principale, la possibilità di parlare, soprattutto di quello che ci stava succedendo. Io divoravo libri su come si diventa genitori (Honneger Fresco, Montessori, ...) e li riversavo su Davide, per condividerli e spesso capirli. Perché, ho scoperto con il tempo, non c’è niente di meglio di una chiacchierata con la persona che ami per capire cosa hai in testa. Davide mi ascoltava, mi raccontava del suo lavoro e della sua vita, tutto il giorno lontano da casa. Una volta alla settimana, da cinque anni, noi usciamo. Nel frattempo è arrivato Elia e anche con lui abbiamo continuato ad uscire, senza pretese ma con regolarità. Ogni tanto qualche amico super organizzato ci chiede come mai non andiamo al cinema o a teatro. Noi, un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché non c’è niente di meglio per noi che una buona cena e una buona chiacchierata a due o con

gli amici, andiamo avanti. E la coppia cresce e si arricchisce. Il nostro rapporto è cambiato.

Oramai sono dodici anni che siamo insieme, ma non è solo il cambiamento del nucleo familiare che ha modificato il nostro rapporto. Avere dei figli ha arricchito anche la conoscenza che abbiamo uno dell’altro. Abbiamo scoperto le radici nascoste con le quali siamo cresciuti, riuscendo a condividerle, ma abbiamo scoperto anche che essere coppia vuol dire poter procreare e che un rapporto sessuale, quando pensi che forse stai generando un figlio, è una cosa unica e speciale. Davide ha visto il mio corpo cambiare, partecipando ad ogni istante di questo cambiamento, fino al dischiudersi della mia femminilità e alla nascita dei

nostri bambini. Io ho imparato a conoscere il mio corpo. Ero un frutto acerbo che aveva solo le buffe conoscenze teoriche dell’adolescenza ed ho imparato a capire i cambiamenti del mio corpo di donna. Ho compreso che esistono le pelvi e il perineo e, grazie ad una sapiente ostetrica, ora so che ci sono degli esercizi per riconoscere e governare ogni singolo muscolo. Ho imparato, con il diaframma, che la contraccezione può anche essere un esperienza di scoperta del proprio corpo o che si può inquinare di meno con una coppetta mestruale. E, chi lo avrebbe mai detto, tutte queste conoscenze, alcune delle quali credo non avrei mai raggiunto senza diventare madre, hanno fatto crescere anche il nostro rapporto sessuale. Essere madre e padre comporta anche questo: è stata una piacevole scoperta.

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14 L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE

L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA

e senza casa. L’abbiamo scelto perche ci volevamo bene e questa per noi era una certezza più importante delle altre. E per questo, ancora senza casa e un lavoro fisso, abbiamo ringraziato a cuore aperto l’arrivo della nostra prima figlia Gioia.

C’è stato poi un susseguirsi di cambiamenti e di difficoltà. Certe volte viene da chiedersi come si faccia a trovare un po’ di pace. Abbiamo cercato una vita più sostenibile in campagna, più vicino alla natura e alla terra. Ma non è sempre tutto rose e fiori, e a sostenerci non basta la semplice idea che sia bello.

Un nostro sogno era condividere le nostre scelte con altri: ecco Daniele, che ha incrociato il nostro percorso. Con lui viviamo da quattro anni, ci siamo aiutati nelle difficoltà e abbiamo condiviso bellissimi momenti. Stiamo crescendo come famiglia e come gruppo: è stato bellissimo ricevere l’altro nostro figlio, Giovanni, mentre il nostro grande fratello di vita si prendeva cura di Gioia. Tutti noi abbiamo ospitato questo nuovo arrivo a cuore aperto. L’amore è più grande di ogni altra difficoltà, economica o che altro: se c’è, tutte le incertezze spariscono. Da poco, nel piccolo borgo dove abitiamo, si sono avvicinate altre due coppie: Gabri e Luisa con la loro bimba di quattro anni, la stessa età di Gioia, e Chiara e Mathieu. Siamo in procinto di affrontare un altro cambiamento, di pensare a un'altra organizzazione!

Così quell’equilibrio tanto ricercato sembra sempre distante, e forse lo è. Credo che la vita sia sempre in movimento, se ci si irrigidisce è troppo facile cadere. Così, specialmente nelle difficoltà, cerco di tornare all’idea, che forte mi si era presentata: la pace è in noi. Se c’è, le condizioni esterne, positive o negative, non turberanno il nostro equilibrio. È la nostra stabilità a renderci elastici, capaci di affrontare le diverse situazioni.

Equilibrio: di coppia, di gruppo… forse non sono la persona più indicata per trattare questo tema. Anche se da dieci anni è sorta in me l’idea della ricerca, ancora mi sembra lunga la strada da percorrere, per raggiungere un buon equilibrio! Sarà anche perché non è facile rimanere saldi affrontando i cambiamenti, e in questi ultimi anni ne sono cambiate di cose…

Prima dei vent’anni questa parola mi era sconosciuta. Poi ho affrontato la ricerca di una stabilità personale con il viaggio: movimento e stabilità, sembrano due termini contrapposti! Ho viaggiato per diversi anni in India e mi sono fermato per lunghi periodi in un villaggio himalayano, per colmare un vuoto. Sentivo di non avere o aver perso certezze che potessero sorreggermi: il rapporto con Dio e la natura. Grazie a quei luoghi splendidi, che suscitano ricordi primordiali, e alle persone del luogo, con la loro semplicità, fedeltà e armonia, si è rianimato dentro di me qualcosa che prima era silenzioso e mi ha ricondotto alla bellezza della vita. Sono potuto allora partire alla ricerca di una felicità che solo una mente equilibrata, e non disordinata, può dare. Ed ho associato l’equilibrio mentale ad una pace spirituale, che mi ha aiutato e continua a sostenermi nelle difficoltà.

Dopo qualche anno, ecco arrivare per me un grosso cambiamento. Ho incontrato Michela e mi sono innamorato. Ci sono voluti tre anni per capire che l’amavo o forse per accettare di rompere degli equilibri che lentamente stavo costruendo. E ci sono voluti anni ancora per comprendere che rimanere stabili non significa essere rigidi, bensì accettare gli eventi, belli e brutti, in maniera pacifica e altruistica, ricordando che non siamo noi il centro dell’universo, ma solo una piccola parte di esso. Ogni cosa, positiva o negativa, termina per poi rincominciare: il nostro stato mentale può allungare o accorciare i tempi. Abbiamo scelto di sposarci: senza lavoro, ancora si viaggiava,

Christian, papà

EQUILIBRI DINAMICI COPPIE E FIGLIOLANZA

Page 15: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

15 FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE

BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO.

Cosa c’è in mezzo alla coppia? Bella domanda. Mi viene da rispondere: di fatto, un altro piccolo ostacolo. Sì perché tra me e mio marito vedo che la distanza aumenta: due figli ed un altro in arrivo.

Sono trascorsi otto mesi e come per le altre due gravidanze anche in questa si sono verificati cambiamenti importanti: il mio corpo che aumenta di volume insieme alla pancia, tanta stanchezza e irritabilità, confusione. Per quanto riguarda lui, vale la solita battuta: è regredito, cerca novità ed alternative per fuggire. Nuove passioni come concerti, sport, uscite con amici, mentre a me interessa solo andare a letto dopo una giornata piena di impegni e trascorsa con i bimbi (anche lui del resto ha avuto una giornata intensa e piena di lavoro).

Ho più volte pensato: cerca alibi per fuggire, o semplicemente cerca anche lui di entrare in contatto con se stesso. Per lui chiaramente è diverso, mentre per me è più facile perché mi sdraio, tocco la pancia ed inizio ad immaginare, a sentire, guidata dall’evento che, come uno stato di grazia, permette un profondo contatto con il proprio essere, facendo intuire e scoprire un mondo pieno di risorse e potenziali.

Nel corso della gravidanza provo di frequente un senso di gratitudine verso questa opportunità di vita, perché

rende le donne più consapevoli di se stesse.

E per un momento questa percezione mi dà stima e sicurezza, ma anche senso di potenza, quasi da farmi avvertire la distanza tra me ed il mio compagno. Mi è venuto da chiedergli un giorno: cosa c’è tra noi? La sua risposta: un airbag e due figli; sono felice della nostra famiglia, ma trovo più pratico svuotar cantine che fare figli.

Non c’è proprio nulla da fare, mio marito è l’inguaribile romantico della praticità, per lui è una questione di ruoli; nella coppia ci deve essere cooperazione, lui pensa alla capanna e a non far mancare nulla a nessuno, io a creare l’uovo.

In un momento di grande confusione dove la percezione della realtà è alterata dall’ormone, ammetto che è rassicurante il senso pratico di mio marito, è una certezza!

Mi viene un’immagine: lui sulla terraferma, io in mare vicino alla riva dove il movimento delle piccole onde è un po’ dolce e un po’ agitato. Lì, avvolta dall’acqua, perdo la percezione dei miei confini corporei e mentali… ora è così.

Mario e Barbara, papà e mamma

Un airbag tra noi

COPPIE E FIGLIOLANZA

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16 NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE, COM’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON

PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE

Eccoci qua, siamo una famiglia allargata, con cinque figli in due, e di problemi di coppia siamo abbastanza esperti. Quando ci siamo conosciuti io e il mio attuale marito, lui aveva due figli di sette e tre anni e io una di due e mezzo. Il rapporto di coppia, strettamente inteso, andava alla grande, nel senso che io e lui da soli ci divertivamo un sacco, stavamo benissimo insieme e devo dire che, nonostante i tre figli, la situazione ci permetteva di ritagliarci molti spazi per noi: i suoi due figli erano super mammoni, quindi stavano più volentieri con la madre senza patire troppo la sua assenza (cui erano peraltro già abituati, non essendo mai stato lui un padre presente e felice di essere in casa), mentre mia figlia, dato che io ero praticamente una ragazza­ madre, era abituata a stare un po’ con tutti, soprattutto con i giovani nonni paterni. I figli però c’erano e quando eravamo tutti insieme i problemi spuntavano come funghi. E giù litigi, abbandoni, pianti. La situazione a volte mi sembrava assolutamente irrecuperabile. Così abbiamo fatto un po’ di terapia di coppia, che ci è servita moltissimo; anche perché noi volevamo fortemente mantenere il nostro rapporto di coppia… e d’amore.

Quando nel 2003 è nato il nostro piccolo Andrea io ero al settimo cielo (mio marito era forse più preoccupato che felice) e, nonostante sia sempre stato un bambino molto irrequieto, la condizione della nostra coppia era più che soddisfacente. Però già si intravedevano le prime difficoltà del marito trascurato e abbandonato a sé stesso. Poi, con la nascita della nostra ultima figlia, il mio fiorellino Viola, nel 2008, le cose si sono complicate: il rapporto di coppia è diventato ormai quasi un lontano ricordo. La mia figlia grande è in piena adolescenza e, a modo suo, richiede attenzioni. Non posso lasciare che si gestisca totalmente da sola perché ha solo sedici anni e, avendo avuto un’infanzia diciamo un po’ instabile, voglio farle sentire che ci sono, seguirla, prima che magari si cacci in qualche situazione pericolosa. Andrea non ha mai smesso di essere vivace e ha sofferto più di quanto mi aspettassi la nascita della sorellina, quindi ha bisogno che io gli faccia sentire che lui è sempre il principino di casa. Viola è un amore di cozza, sempre appiccicata. Tesoro, è piccolina… In più lavoro, a tempo pieno (o quasi) perché il part­time non si trova. Secondo voi quanto tempo mi avanza per il mio compagno di vita? Alle dieci di sera crollo sul letto come narcotizzata e alle sei del mattino ho già l’occhio sbarrato pensando alla tabella di marcia della giornata. Il sesso, ma anche semplicemente una serata davanti alla TV, sono ormai un sogno. In sostanza, quello che ho capito nel corso degli anni è che

se non riesco a trovare un momento, uno spazio in cui svestirmi di tutti i miei ruoli, che mi fanno marciare da mane a sera, se mi manca il tempo per stabilire un contatto intimo, anche solo mentale, con mio marito, il rapporto di coppia si incrina parecchio. Danilo, mio marito, si sente solo, si ripiega su sé stesso e ci si allontana. Ho constatato che è una cosa che succede alla maggior parte degli uomini abituati ad essere “accuditi” dalle donne. Capisco anche il loro stato d’animo: effettivamente, trovarsi “soli” da un giorno all’altro li spiazza un po’, e voglio anche provare a capire che proprio non fa parte della loro natura accantonare sé stessi per privilegiare i bisogni di un altro essere umano totalmente dipendente. Però un piccolo sforzo me lo aspetterei! Invece la responsabilità e la gestione della famiglia restano comunque una prerogativa femminile. Dove e quando portare i figli dal dottore, di quali vestiti hanno bisogno, quale scuola fargli frequentare, quale sport, quanti soldi entrano ed escono, cosa deve fare la donna delle pulizie, cosa comprare al Super, cosa si mangia… e poi l’archivio di bollette/multe/spese/dichiarazioni redditi/documenti (Sai dov’è il contratto del mutuo?), lavare e stirare (Ma, dov’è la mia camicia azzurra? Eh, non ho più mutande. Non trovo l’interno del mio giubbotto invernale); devo continuare?

Così io, figlia di una fiera donna separata, cresciuta negli anni ’70 in una famiglia di sole donne, convinta che noi donne possiamo farcela come e meglio degli uomini, a volte mi trovo ad invidiare quelle tranquille casalinghe degli anni ’60, che potevano occuparsi serenamente della gestione della casa (che più si è e più somiglia ad un albergo) e della crescita e l’educazione dei figli (hai detto niente!), senza l’ansiogena sensazione di trovarsi sempre nel posto sbagliato: a casa quando ti aspettano in ufficio e in ufficio quando a casa i piccolini avrebbero bisogno di te. Quindi, dopo anni di convinto femminismo penso che, visto che tanto la divisione dei ruoli è inevitabile, perché non svolgere il ruolo per cui mi sento più portata? Quello di “angelo del focolare” (moderno, eh!)? In fondo gestire la famiglia è come gestire una piccola azienda no? È un ragionamento vomitevolmente antiquato? Per mio marito è quasi impossibile fare le mie veci in famiglia. Non ne è capace e nemmeno gli interessa imparare a lavare, stirare, cucinare. Lui è più portato per altre cose. Probabilmente esistono coppie in cui i compiti atavicamente femminili vengono svolti anche dall’uomo con abilità e soddisfazione, però trovo utopistico pensare che i ruoli all’interno della coppia possano essere sempre assolutamente intercambiabili. L’importante è che nessuno dei due ruoli venga considerato inferiore rispetto all’altro. O no?

Sonia M. mamma

Famiglia, un’impresa COPPIE E FIGLIOLANZA

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17 AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM ’È, NON CERCATEVI IL PELO . E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO?

NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE, COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA:

Ti colpisce. Lo si sa da sempre: Eros ha arco e frecce. Incontri uno e ti colpisce. Chissà poi perché proprio quello lì. Somiglia a qualcuna delle tue fantasie; sì, dev’essere così. Non l’hai mai visto prima, eppure ti ricorda qualcosa o qualcuno, è come se lo riconoscessi. Magari è tutto diverso da quello che pensavi essere l’uomo ideale. Ma t’accorgi d’un botto che fino a lì ti eri sbagliata. Cercare di capire il perché non ha senso: non è che puoi procedere attraverso logica e razionalità, è una cosa che ti capita, in cui ti muovi trasognata. Ma ti viene da pensare: di chi mi sono innamorata? Di quello lì davanti o di quello sfuggente riflesso, di quell’immagine che va a spasso dentro la mia testa? Innamorarsi è un po’ realtà e un po’ illusione.

Ma in fondo non importa: né di chi, né perché. Innamorate ci si sente ricolme di forza e di vita, capaci di qualunque sfida, sostenute in qualsiasi fatica, pronte ad abbassare le difese e a mettersi in gioco, a cambiare se stesse e a cambiare il mondo. Sarebbe bello procedere così nell’innamoramento, come in surf sulle onde, spinte in alto e avanti da forze potenti, da cavalcare così come vengono, senza porsi nemmeno il problema di governarle… No, non dura. Un innamoramento non dura: a un certo punto l’onda si sgonfia. Forse è perché si fiuta il pericolo di perdere contatto con la realtà. Si sente il bisogno di accertare, si vuole sapere, si è costrette a prendere atto che quello lì e l’altro in testa non sono la stessa cosa. Che bisogna rifare i conti, perché se quei due hanno qualcosa in comune, qualcos’altro invece no, e la cosa non quadra. Di frequente è un momento di delusione.

Il desiderio di restare in coppia, l’avere progetti in comune ­ magari proprio un progetto riproduttivo ­ a volte è un potente motore, capace di spingere un amore oltre la zona di turbolenza, alla ricerca di un altro e più profondo contatto, che comporta una corrispondenza più intima, ma anche il riconoscimento e il rispetto dell’alterità, quel tanto di mistero che resta per l’uno il sentire dell’altro. C’è un requisito irrinunciabile, io lo chiamo generosità. Non so definirlo meglio. Pensare, decidere di fare figli alimenta un amore? Direi di sì, perché mette in gioco, mette in moto la generosità, il desiderio di destinare risorse ed energie a qualcuno gratuitamente, senza attendere contropartita. Due genitori in questo stato di grazia, sostenuti da questo slancio di generosità, possono compiere assieme e spontaneamente anche quello sforzo di riconoscimento e di accettazione reciproca, che li aiuta a rimanere insieme, a maturare assieme un sentimento amoroso diverso, più consapevole dei pregi e dei difetti, dei punti di forza e di debolezza di ciascuno, più tollerante e ironico.

Perché allora tante coppie non reggono, perché l’arrivo dei figli costituisce un banco di prova così duro da farne saltare un buon numero? L’altro giorno cercavo di spiegare a un giovane amico, alle

prese con problemi di coppia, la decisiva importanza della generosità. E lui, di rimando: guarda, c’è un’altra parola chiave, altrettanto importante: reciprocità. Se il concedere dell’uno viene inteso dall’altro come segno di debolezza; se il recedere da una posizione viene avvertito come resa; se la gratuità viene scambiata con la sottomissione; se anziché una gara di generosità si mette in scena una trattativa; se ogni occasione è buona per misurarsi in una prova di forza… Ecco, in queste condizioni viene meno la reciprocità. Allora la generosità unilaterale non solo è inutile, ma controproducente. Dice lui.

Avrà ragione? Allora devo essere grata al destino di avere sperimentato la mia storia d’amore in una condizione di reciprocità. Abbiamo stretto un patto, il mio uomo ed io, e risolutamente: essere l’uno per l’altro, fare della famiglia il perno della nostra vita affettiva, farne un luogo accogliente per i figli e anche per tutti quegli altri che, pur esterni al nucleo, stanno a cuore a noi e a loro. Quello che è seguito ­ le esperienze condivise di gioia e dolore ­ hanno rafforzato la nostra coesione. Lo stare assieme attenendoci a quel patto continua ad alimentare l’amore. Forti di questo terreno comune, noi due abbiamo finito col conoscere e dialogare l’uno con i pensieri dell’altro senza quasi più bisogno di formulare parole. Basta che mi guardi per capire cosa penso, basta che lo guardi: so che ha le sue zone d’ombra e le rispetto ­ e lui le mie. Basta che mi tocchi perché io capisca quello che prova in quel momento, basta che lo tocchi e lui capisce. Certe volte il desiderio si assopisce, certe volte di nuovo si risveglia. È il suo a volte a chiamare il mio, altre volte è il contrario. Capita pure che l’uno chiami e l’altro non ascolti, bisogna avere pazienza. Capita anche che l’uno avverta che il desiderio dell’altro si sta volgendo altrove, e allora bisogna nuotare controcorrente: che fatica! Ma, almeno fino ad ora, abbiamo sempre poi ritrovato l’intesa e la gioia primitiva del sesso ­ e anche questa è una bellissima cosa, che ci aiuta a stare uniti. Mi piace pensare che invecchieremo assieme.

Laura V. mamma

PERAMORE COPPIE E FIGLIOLANZA

Vedi quando ci penso penso se te ne andrai ti troverò…

Vedi quando ci penso penso se me ne andrò mi troverai…

in te

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18 PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA

ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM ’È, NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA

Avere un bambino e accompagnarlo nella sua crescita, assistendo alle sue innumerevoli conquiste, è una delle cose più entusiasmanti per due genitori. Fare il genitore richiede però anche equilibrio, sensibilità, energie fisiche e una buona dose di pazienza. Eh già, la pazienza. Sin dai primi giorni, soprattutto la mamma si trova impegnata assiduamente in vari gesti di cura offerti al proprio figlioletto che sembrano, nel corso della giornata, non finire mai: allattarlo, pulirlo, cullarlo; azioni che vanno poi ad aggiungersi a quelle che riguardano già la normale routine legata alla cura della casa e al lavoro. La vita tutta d’un tratto si complica e sembra che non sia più possibile riuscire a stare dietro a tutto. La mamma, in particolare, si trova a dover rinunciare a quell’immagine di bambino ideale sognato e tanto fantasticato durante tutta la gravidanza, per lasciare posto ad un bambino in carne ed ossa che reclama per ogni bisogno. Prende forma cosi quell’amore materno, naturalmente ipersensibile ad ogni richiesta o movimento del bambino, un amore fatto di generoso altruismo, di gratuità ­ perché si dà tutto senza avere niente in cambio, almeno nell’immediato. Un amore fatto di rinunce e di sacrificio. Soprattutto nei primi anni di vita, l’amore per il proprio bambino è davvero sacrificio del proprio tempo e dei propri spazi. Si pensi alle ore di sonno che si perdono in media per notte, al fatto che fare un bagno caldo o cenare in santa pace diventa un vero e proprio miraggio, perché le urla o i rigurgiti del nostro pargoletto ci richiamano costantemente all’appello. E il corpo, quello soprattutto delle madri, sembra esporre in tutta la sua evidenza i segni di questa oblatività: appesantito, trascurato e con i segni della stanchezza sul volto. Si pensi poi, qualche mese più avanti, quando il piccolo comincia a sgambettare e a parlottare, quando “faccio io!” e “no, non voglio!” sembrano essere il grido di guerra di quella fase evolutiva del bambino che gli psicologi chiamano elegantemente “individuazione”. In questo caso ai genitori vengono richieste non solo energie fisiche, ma anche mentali. Ci si trova infatti impegnati in una nuova fatica: quella di dover fare i conti con un esserino separato, dotato di una propria

intenzionalità, che ha bisogno di essere riconosciuta e valorizzata. Chi di voi non si è mai trovato a che fare con un bambino urlante e recalcitrante che decide di non voler più camminare e pretende di essere preso in braccio, lui insieme a sacchetti della spesa che ingombrano già le vostre braccia? Qui il vostro equilibrio psichico e la vostra pazienza sono messi a dura prova.

È proprio in queste circostanze, quando la fatica comincia a farsi sentire, quando la sintonia comincia a vacillare per i più svariati motivi, l’affetto per il proprio bambino può essere assalito, contagiato da sentimenti fastidiosi, irritanti e rabbiosi. Ma l’amore materno non è cosi sacro, così devoto, così univoco? Pare di no. Chi non si e mai trovato ad alzare la voce con il proprio bambino, compiere un gesto di cura un po’ frettoloso, usare addirittura uno scappellotto più o meno tenero per arginare la sua cocciutaggine? O immaginare di poterlo… “Ninna nanna ninna oh, questo bimbo a chi lo do ­ lo darò all’uomo nero…” Già, poter almeno per un istante immaginare di farlo scomparire dalla propria vista? Le nostre bisnonne, allora, avevano trovato proprio un bell’espediente per tenere a bada le proprie ire: cantando coralmente e tramandandosi i saperi condivisi su questa delicata questione. Oggi sembra più difficile affrontare questa ambivalenza dei sentimenti, che insorge dalle inevitabili turbolenze che accompagnano la crescita di un bambino. La cultura del baby his majesty da una parte e quella di un esasperato efficientismo richiesto alle mamme (si pensi alla miriade di prodotti e prodottini per la cura del bambino messi a loro disposizione), ma anche la solitudine in cui si trovano sempre più spesso le famiglie, possono far sentire i genitori, e in particolare le mamme, sempre più imperfette, sopraffatte dai sensi di colpa e addirittura cattive. La storia, la mitologia, le fiabe popolari, con le loro matrigne e streghe cattive, da sempre ci parlano dei mille volti dell’amore materno. Oggi invece ci pensano i fatti di cronaca a far trasalire chiunque si occupi di un bambino.

Rossana C. psicologa

Figli, questione di coppia

COPPIE E FIGLIOLANZA

o di villaggio?

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19 BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI

GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME

Cosa possiamo fare noi mamme quando sembra che stia prendendo il sopravvento dentro di noi la strega di Biancaneve o la matrigna di Cenerentola? I manuali degli esperti, suggeriscono diverse cose, ed io mi unisco coralmente. Ascoltiamoci, prendiamo fiato e contiamo fino a dieci quando siamo assaliti dalla rabbia o dalla voglia di dire un no prepotente al bambino. Se non ce l’abbiamo fatta, pensiamo a quello che diceva lo psicoanalista infantile Winnicott: per crescere un bambino basta essere una madre sufficientemente buona, perché un certo grado di frustrazione è necessario al bambino per crescere. Oppure pensiamo al fatto che il conflitto serve a creare confini, serve a far sì che il bambino si senta un essere separato. Gli errori possono essere riparati ed essere un occasione di rinnovamento, anche perché fare i genitori è un mestiere che si impara con il tempo. Il monito è allora quello di accettare di essere imperfetti, che non tutto possa filare sempre liscio, compreso il fatto che la casa non sia sempre in perfetto ordine. Insomma: diamo valore più alla sostanza che alla forma delle cose; usiamo l’umorismo e l’ironia, perché ci permettono di scaricare le tensioni e assaporare l’aspetto divertente che c’è in ogni cosa; cerchiamo sempre un vantaggio reciproco quando c’è un conflitto; ricordiamoci che i capricci dei bambini a volte sono solo il modo per essere riconosciuto nel loro esistere… e allora ascoltiamoli, riconosciamo le loro intenzioni: spesso poi i bambini diventano più malleabili.

Si potrebbero individuare tanti altri piccoli stratagemmi per avere una vita più serena con i nostri bambini. Ogni genitore in questo è un vero esperto. Forse il segreto della ricetta giusta, che racchiude tutte le possibili soluzioni per affrontare la complessità dei sentimenti che attraversano l’amore materno, è riposto proprio nelle origini di quella filastrocca popolare citata più sopra. Questo vuole essere un appello alla società intera: una volta c’era l’aia che riuniva le donne e le loro famiglie, oggi c’è una famiglia isolata in una città affollata. C’è bisogno di una coppia affiatata, di un marito che accudisca e vegli la propria

moglie, che ha messo a disposizione tutta se stessa nel cura del bambino. Una madre che a volte può vacillare, perché dalle remote stanze della sua infanzia arriva la voce una bambina ferita, che reclama di essere ascoltata. Ci deve essere una rete di affetti, di amicizie, di spazi condivisibili (i tempi per le famiglie, come sono preziosi!) con cui condividere le gioie e le fatiche di crescere un bambino. Perché, come dice un proverbio africano, per crescere un bambino ci vuole davvero un intero villaggio. Allora sì che la gioia può essere restituita agli occhi della madre, occhi che possono tornare a guardare il proprio bambino con aria festante. Perché il bambino è e deve essere la luce dei

suoi occhi, che sono il primo e prezioso specchio dove il bambino può riconoscere di esistere. E i cattivi pensieri della madre possono così albergare in un luogo sicuro e rimanere tali proprio perché ascoltati, condivisi e custoditi da un’intera comunità.

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20 DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE

L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE SOLITE; VUOLE ESSERE L’UOVO FUORI DAL CESTINO. PERCHÉ VORREMMO CHE FOSSE PIENO. PIENO

dieci minuti di macchina da casa, quindici minuti in autobus! Il lunedì vado ad informarmi e mi danno tutti i moduli da compilare. Esprimo i miei dubbi alla persona che mi porge i moduli, segretaria della facoltà. Sono troppo vecchia? E lei, che ha un cognome italiano, sorridendo mi risponde: “L’età media delle studentesse di ostetricia è trentacinque anni, non le prendiamo troppo giovani, non hanno esperienza della vita.” Sono straniera? Risposta: ”In Nuova Zelanda è importante avere ostetriche di culture diverse, avranno a che fare con tantissime culture e per questo saranno empatiche con le altre donne.” Ho tre figli? Risposta: ”Avere dei figli è solo un punto a favore nella selezione. Vuol dire che saprai capire cosa provano le donne in gravidanza e nei primi mesi con i loro bambini. “ Che dire... sono io!

Quando ho iniziato la trafila della selezione sapevo che non sarebbe stato facile entrare. Le domande sono quattrocento e i posti ottanta, qui ad Auckland. La commissione guarda i curricula, chiede delle referenze, poi vi è un esamino scritto e un’intervista. E quella forza di cui parlavo prima ha fatto in modo che tutto si aggiustasse al posto giusto, ed eccomi qui. Tra sei giorni comincio la mia grande avventura. In questo spazio, sull’Uovo, vorrei aprire una finestra sul mondo delle mamme neozelandesi, su quello dell’università, sul diverso modo di guardare alla maternità e, perché no, anche su di me: mamma della Casa di maternità che si sta trasformando giorno dopo giorno, mese dopo mese.

Sto tenendo anche un diario online che trovate in http:// ostetricadellaltromondo.blogspot.com.

Io ostetrica? Chi l’avrebbe mai detto. Eppure mi sono resa conto che se passi gli anni a domandarti cosa farai da grande, a mandare questa domanda nell’universo aspettando che la risposta arrivi, ad un certo punto la risposta arriva. E sai che è la risposta giusta e sai che è la strada giusta. Sai che le distanze linguistiche e chilometriche smettono di esistere, che c’è una forza che fa in modo che tutto trovi il suo posto, che tutto si aggiusti al posto giusto. Perché la risposta è nel cuore. Lì da sempre, solo che la vita a volte è assordante e non ci lascia abbastanza silenzio per ascoltarla.

Sono una mamma della Casa di maternità. Le appartengo. Appartengo alle sue ostetriche, alle sue educatrici, all’Uovo e alle mamme che ho conosciuto e con cui ho condiviso lì dei pezzi della mia e della loro vita. Il desiderio di diventare ostetrica mi ricordo di averlo espresso una volta a Nadia e lei mi ha rassicurata, mi ha incoraggiata, nonostante sarei stata un po’ più matura delle mie coetanee. Ma poi, il tempo si dilata, vi sono stati i figli uno dopo l’altro e poi il trasferimento qui ad Auckland in Nuova Zelanda. Quel desiderio lì ha lasciato spazio alla loro richiesta di attenzione, al loro bisogno di presenza. Sono prima di tutto una mamma e poi tutto il resto. Ho ricominciato a lavorare, part time. Ho fatto tanti lavori diversi e ad un certo punto, però, mentre stanchissima tornavo da un lavoro che non mi soddisfaceva, ho di nuovo posto quella domanda fatidica: cosa farò da grande? E nel silenzio della macchina, la risposta è arrivata: devi fare l’ostetrica.

Eccola lì la risposta che non ascoltavo. Lo sapevo, ho pensato. Lo sapevo già! Sono tornata a casa, mio marito per poco cade dalla sedia. Durante il fine settimana cerco informazioni su internet. L’università che offre ad Auckland il corso di ostetricia è a COS

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L’ostetrica dell’altro

mondo Marina V.

Page 21: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

21 FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE, COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA

COME UN UOVO: DI VOCI, DI IDEE, DI PROPOSTE. PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO

Ho pensato di intervistare le mamme che conosco, che provengono da culture molto diverse dalla nostra. A proposito dei rapporti di coppia – tema di questo numero – ho intervistato Indi. Indi viene dallo Sri Lanka, è una delle maestre dell’asilo della mia piccola. È emigrata in Nuova Zelanda con suo marito e la sua unica bambina Ishra quando le Tigri Tamil hanno cominciato a dare fuoco a villaggi e case delle famiglie benestanti. Lei e suo marito si sono sposati con un matrimonio combinato dalle due famiglie. Fa parte della cultura, dice lei. Non ci si può opporre. È così, soprattutto in un certo ceto sociale. Ma lei questa cosa non l’ha vissuta bene, nonostante io conosca il marito e lui mi sembri proprio innamorato. Lei non riusciva ad accettarlo, non riusciva a fare l’amore con lui. In lei non è scattata la scintilla. Ora, mi dice, è diverso, ma all’inizio è stato difficile. Non riesco a tirarle fuori molto altro oltre un conciso difficult: è l’unica parola con cui mi descrive il suo stato d’animo. Non poteva parlarne con nessuno perché tutti sono soggetti allo stesso trattamento e nessuno si oppone. Si sentiva molto sola: se ti opponi vieni disconosciuto dalla tua famiglia e questa è una cosa che nessuno vuole. Con gli anni, anche se la sua pelle e il suo sorriso sembrano senza tempo, ha imparato ad amare l’uomo che le è stato scelto, sono anche riusciti ad avere

una bambina. Poi, mi dice, un giorno lui ha deciso che voleva un’educazione migliore, e che voleva emigrare in Nuova Zelanda. Lei in Sri Lanka aveva la sua famiglia a cui è molto legata, delle persone che le pulivano la casa, che l’aiutavano con la bambina, di colpo è arrivata qui ed era sola. Ancora la parola difficult riemerge con un tono di solitudine che conosco. È come se, quando dici che è difficile, non vuoi dire di più, per pudore o vergogna, ma speri, guardando negli occhi chi ti sta di fronte, che l’emozione venga capita senza altre parole. Che chi ti ascolta capisca quanto si è soli quando si ricomincia una nuova vita. E Indi aveva un marito che conosceva poco, una lingua che ha dovuto imparare, una bambina da accudire e una vita da ricominciare: quanta forza! Quando le chiedo di quanto lei e suo marito si siano divisi i compiti quotidiani, lei mi dice che lui ha sempre cercato di aiutarla, ma prima andava all’università e doveva studiare e poi ha cominciato a lavorare. Quando la piccola ha incominciato la scuola, lei si è messa a lavorare part time in un asilo. Aveva così tempo per andare a prendere la sua bambina a scuola e per stare con lei nel pomeriggio. Li ho visti insieme, Indi e suo marito: sembrano una bellissima coppia, affiatata e in sintonia. Che la scintilla sia scattata con gli anni? Questo lei non me l’ha confermato, mi ha solo detto che ora va meglio, molto meglio.

MATRIMONI COMBINATI Marina V.

diario neozelandese di una futura ostetrica (italiana!)

Page 22: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

22 REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM ’È, NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO

AD OVULARE,COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA: ABBIAMO FATTO L’UOVO! PRENDETELO COM ’È,

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’IO FILASTROCCA DEI NUOVI NATI

È febbraio, il sedici, e in via Morgantini giungon d’appresso due nuovi bambini.

Il primo è Matias: tra le contrazioni vanno giù i battiti e su le apprensioni. Il centodiciotto è chiamato d’urgenza, presenzia alla nascita con riverenza.

Volge la sera, ma il giorno è lo stesso, ecco, Alessandro vuol nascere adesso.

Giorni di prodromi, avvio esitante, ma ora si lancia e si affaccia festante.

La primavera si annuncia fiorita: diciassette marzo, a nascere è Anita. Il sacco che affiora, pur tra le doglie,

la mamma regge e di sua mano accoglie. Tocca e accompagna la sua bambina,

la prende da sola, la stringe vicina. Spontaneo è il gesto, ispirato e felice:

non interviene la levatrice, lascia che agisca l’innata sapienza.

E dire che è moda corrente far senza...

In forte anticipo sulla sua data, Chiara al traguardo s’è presentata.

Ventiquattro di marzo, è il suo momento, ben quattro i gatti presenti all’evento. Ad accudire la mamma si appresta, la gatta grande, partecipe e lesta.

Con questo pubblico empatico e vivo il clima è calmo e positivo.

Nasce la bimba, sorge la luna, la gatta grande è il suo portafortuna.

Aprile di marzo calca l’impronta ecco che Anna avverte ch’è pronta:

piroettando con agile mossa ha con profitto sfruttato la moxa;

tardivamente in posizione, se l’è in finale cavata benone.

Per non rischiare una figuraccia verso il tramonto anche il sole s’affaccia.

È il primo aprile, scende la sera, c’è una promessa di primavera.

Forte è il suo impegno in redazione, per questa uscita è d’eccezione:

non ha prodotto né scritto né rima, Simona ha fatto una bambina! Travaglio lento e cadenzato

da qualche pausa intervallato. Nawal s’impegna e pian piano discende

notte di vento e tempesta l’attende. Ora è mattina, si calma il vento: l’undici aprile è il lieto evento.

Qui ricomincia la filastrocca riprende slancio e sotto a chi tocca! Chi a casa propria, chi in Morgantini sbocciano i fiori dei nuovi bambini Sceglie la mamma e spesso decide: “Resti il funicolo, non si recide!”. Pulsante e fragile come uno stelo avvince il bimbo al suo mistero. Sarà tardiva, placida e lenta, la divisione dalla placenta.

Da dieci giorni è oltre scadenza, sembra esaurita la sua pazienza: la mamma accusa la sorte rea con la parlata partenopea e si lamenta: “Son fasteriata!” Poi il cinque novembre Miriam è nata. Il ventiquattro, da velocista, alle ore piccole Bianca entra in pista è in Morgantini mezz’ora all’arrivo lesto è il travaglio e l’espulsivo.

Declina rapido il duemilanove senza che s’abbiano nascite nuove. La nuova annata sia ricca e felice di nuovi parti propiziatrice! La casa è in ordine oltre misura come approntata all’evento con cura. Carponi sul letto la mamma si erge e, nel travaglio, d’acqua l’asperge. Tutto è perfetto per l’occasione: il tre gennaio nasce Leone.

Gennaio, il quindici, il sacco s’è rotto e dalle dodici alle diciotto aleggia un senso di delusione: non c’è alcun’ombra di contrazione! La mamma avverte la prima doglia quando l’ostetrica varca la soglia. Come aspettasse un segnale preciso, inizia il travaglio: parte deciso, procede avanti senza impedimenti e Chiara nasce poco oltre le venti.

Pure tentata dal parto in casa all’accompagnamento è persuasa: perché la mamma cambia opinione quando oramai prende corso l’azione? Ventun gennaio, Paola è in fermento, è il primo parto che assiste da tempo. Giunge ­ e la mamma ne è rinfrancata, ché al primo parto l’ha già accompagnata: per quanto incerta sino alla vigilia è quindi in casa che accoglie Cecilia.

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23 E COSTA POCO. PERCHÉ’ L’UOVO? PERCHÉ È UNA CELLULA GERMINALE, PIENA DI POTENZIALITÀ. PERCHÉ È IL SIMBOLO DELLA FERTILITÀ. E QUALCHE VOLTA C’È

NON CERCATEVI IL PELO. E GUSTATEVELO, ALLORA! È BUONO E COSTA POCO. PERCHÉ L’UOVO? PERCHÉ RICONOSCIAMO CON SIMPATIA NELLE SUE FORME ABBONDANTI QUELLE

Il 1 novembre 2009 è morta la poetessa Alda Merini. Una voce inquieta ed inquietante, capace di dire ciò che le donne

normalmente non dicono: la violenza dei desideri, l’ambivalenza dei sentimenti, il dolore intrecciato alla gioia della vita.

Una vita complicata, la sua; una contrastata esperienza di maternità:

“Ho avuto quattro figlie. Allevate poi da altre famiglie. Non so neppure come ho trovato il tempo per farle. Si chiamano Emanuela, Barbara, Flavia e Simonetta. A loro raccomando sempre di non dire che sono figlie della poetessa Alda Merini.

Quella pazza. Rispondono che io

sono la loro mamma e basta, che non si vergognano di me. Mi commuovono”.

In chiusura di questo numero e in tema

con esso, lasciamo che

risuonino i suoi versi, ad evocare la forza

misteriosa che unisce uomini e donne, e li spinge a generare altri uomini, altre

donne...

In ricordo di Alda

Gli inguini

Gli inguini sono la forza dell'anima, tacita, oscura, un germoglio di foglie da cui esce il seme del vivere.

Gli inguini sono tormento, sono poesia e paranoia, delirio di uomini.

Perdersi nella giungla dei sensi, asfaltare l'anima di veleno, ma dagli inguini può germogliare Dio e sant' Agostino e Abelardo, allora il miscuglio delle voci scenderà fino alle nostre carni a strapparci il gemito oscuro delle nascite ultraterrestri.

Il dodici giunge una nuova chiamata, è notte fonda e la mamma è arrabbiata: è un falso allarme, davvero? Ma va! Neanche tre ore e Leonardo è già qua. Con il suo arrivo, tra vigne e colline, precede al risveglio le sorelline. Merita particolare riguardo la nascita, il tredici, d’altro Leonardo La mamma, di Lecce, da Nadia è ospitata: Nadia ha assistito quando lei è nata!

La filastrocca, per tutti quanti, intreccia rime beneauguranti, delinea storie di parti normali pur se lontani dagli ospedali, racconta nascite in allegria senza ricorso all’anestesia.

Se su evidenze oggettive si basa fa venir voglia di nascere a casa!

Anche stavolta si va a conclusione con meritata soddisfazione.

Page 24: L'UOVO N°25 "Questioni di coppia"

DENTRO UNA SORPRESA. PERCHÉ È UNA BUONA IDEA: SEMPLICE E GENIALE COME L’UOVO DI COLOMBO. PERCHÉ VUOLE RACCONTARE STORIE UN PO’ DIVERSE DALLE

DELLE NOSTRE PANCE GRAVIDE. PERCHÉ ASPIRIAMO AD OVULARE,COM ’È GIUSTAMENTE NELLA NOSTRA NATURA, CON UNA CERTA REGOLARITÀ. PER ANNUNCIARVI CON AUTOIRONIA:

24

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Il tema del prossimo numero:

QUESTO BIMBO A CHI LO DO? A chi affidare il piccolo?

In particolare, alla ripresa del lavoro, la scelta è obbligata o vi sono alternative?

Nido, nonni, tata; ansie preoccupazioni, aspettative

E poi con i bimbi grandi o addirittura adolescenti:

protezione e controllo, qual è la giusta misura?

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