Luso Pubblico Della Resistenza

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Luso pubblico della Resistenza: il caso Pansa tra vecchie e nuove polemiche La storia e la memoria della Resistenza sono sempre state al centro del dibattito ideologico, politico e culturale italiano, sia in ambito scientifico-storiografico, sia in ambito pubblico (quotidiani, riviste, televisione, radio, cinema). Esse si sono caratterizzate, quindi, come oggetto di un conflittuale uso pubblico della storia: non un caso se nelle raccolte di articoli degli storici che pi si sono occupati di questo tema, la vicenda resistenziale occupa un posto di primissimo piano, sia a livello qualitativo, sia a livello quantitativo.

La vicenda resistenziale, da episodio storico definito e storicamente concluso, diventata uno strumento della battaglia politica quotidiana: la Resistenza e la liberazione dal regime fascista e dalloccupazione nazista hanno segnato un punto di rottura fondamentale nella storia italiana del Novecento e la nascita di un nuovo sistema politico. Laver preso parte e il modo in cui ci era avvenuto o laver contrastato la Resistenza stato, fino ai primi anni 90, un fattore discriminante nella legittimazione o meno a governare il paese. Si parla, si polemizza, si discute sulla Resistenza perch essa costituisce un fulcro intorno a cui ruotano o, per meglio dire, a lungo hanno ruotato la legittimazione e legittimit politica, oltre che la creazione di una nuova identit nazionale.

In quanto questione politica (in senso lato), anche la memoria e limmagine della Resistenza sono mutate, negli anni, in relazione ai cambiamenti del sistema politico italiano, spesso influenzato e agitato dal contesto internazionale. Nellimmediato dopoguerra, dopo la rottura dellunit antifascista (1947-48) e con lavvio della fase pi acuta della guerra fredda, alla coppia fascismo/antifascismo si contrappose quella comunismo/anticomunismo: le letture plurime e identitarie della Resistenza risentirono fortemente di questa impostazione dicotomica e reciprocamente delegittimante (i socialcomunisti si consideravano come i veri fautori della liberazione nazionale; i democristiani ne condannavano, invece, la violenza e la prospettiva rivoluzionaria; i neofascisti si ponevano in questo dibattito non riconoscendo la Resistenza come momento legittimante della storia italiana). Questa contrapposizione si affievol allinizio degli anni 60, quando la Resistenza, spogliata delle sue contraddizioni interne, fu rivisitata in chiave pacificata e celebrativa: nei due decenni successivi si afferm cos il cosiddetto paradigma antifascista e lepopea resistenziale fu legittimata come mito di fondazione della Repubblica italiana. Tale lettura rimase quasi invariata fino agli anni 80, quando si apr una stagione in cui si affermarono da un lato il silenzio o il disinteresse storiografico dellarea della sinistra laica e cattolica e dallaltro il potenziamento (non lavvio, che data almeno la met degli anni Settanta) di una svalutazione e in alcuni casi di un vero e proprio ripudio dellesperienza resistenziale nel discorso pubblico.Negli ultimi venti-venticinque anni, infatti, si assistito ad un nuovo graduale slittamento del senso comune e delle memoria pubblica della Resistenza, su cui molti storici si sono interrogati e hanno scritto. Questo slittamento iniziato gi negli anni 80, quando si cominci a manifestare la crisi del sistema politico che era uscito dalla seconda guerra mondiale ha avuto una grandissima cassa di risonanza mediatica sui giornali e nelle trasmissioni televisive e ha subito unaccelerazione a partire dal 2003, anno di pubblicazione del Sangue dei vinti, il romanzo storico di Giampaolo Pansa che, con il suo enorme successo, ha sollevato un acceso dibattito e una serie di polemiche che oggi, a quasi dieci anni di distanza, non si sono ancora sopite.

Uscito nellottobre 2003, Il sangue dei vinti fu accolto dai media e soprattutto dai quotidiani con recensioni entusiaste, ma anche con unondata di critiche. Gi il 10 ottobre (il volume usc in libreria il 14), sulla Stampa, Pierluigi Battista annunci limminente pubblicazione, presentando il libro come una lettura che lascia sgomenti e senza fiato. una galleria degli orrori, un museo di atrocit, un campionario di innominabili ferocie. Ma non un libro del genere horror, o un prodotto del filone pulp il cui carattere cruento possa avere un effetto catartico sul lettore. No, una rilettura di una delle pagine cruciali della nostra storia, il negativo della fotografia luminosa che ha immortalato nella nostra memoria le giornate successive alla Liberazione, quelle della riconquista della democrazia in Italia. Nellarticolo di Battista tuttavia si riconosceva che si trattava di argomenti gi trattati in alcune ricerche storiografiche (citava La resa dei conti di Gianni Oliva) e che qualche volta il dibattito sugli eccessi di vendetta sui vinti fascisti ha occupato l'attenzione pubblica, come accaduto con le rivelazioni sul triangolo della morte dellEmilia. Sul Corriere della sera e sugli altri giornali, a partire dall11 ottobre, fu riportato linizio delle accese polemiche che sarebbero poi proseguite anche negli anni successivi: sul quotidiano di via Solferino, esse ebbero una particolare eco nella rubrica della posta dei lettori, allora curata da Paolo Mieli. In prima fila, nella critica a Pansa, ci fu Giorgio Bocca, che durante la Resistenza aveva combattuto nelle formazioni di Giustizia e libert: il giornalista cuneese defin, gi l11 ottobre, il libro di Pansa pi che un libro-inchiesta [] una vergognosa operazione opportunista. Nel 2004, Bocca ridiede poi alle stampe per Feltrinelli il libro Partigiani della montagna. Vita delle divisioni Giustizia e Libert del Cuneese (Feltrinelli), che gi aveva pubblicato nel 1945, mentre nel 2006 pubblic linedito Le mie montagne. Gli anni della neve e del fuoco (Feltrinelli), un libro di memorie con cui, in qualche modo, sperava di controbattere a Pansa.Pi caute furono invece le reazioni dellAnpi che, non negando che al momento della Liberazione vi furono violenze e uccisioni originate dallenorme somma di sofferenze e di orrori dovuti alloccupazione nazista e ai collaborazionisti di Sal, attribu lo scalpore e le strumentalizzazioni suscitate dal Sangue dei vinti al momento particolare che il nostro Paese sta attraversando.

Reazioni diverse provennero anche dal mondo degli storici. Sempre l11 ottobre, infatti, furono pubblicate le opinioni di Giovanni Sabbatucci E assurdo scandalizzarsi: o si sostiene che tutti questi fatti sono falsi oppure se sono accaduti semplicemente ridicolo starsi a chiedere se qualcuno ne deve scrivere o no e di Denis Mack Smith, che sottoline che se ci sono stati dei delitti commessi da partigiani giusto che gli storici facciano chiarezza, pur avvertendo che indagare va bene, sarebbe assurdo criticare a posteriori senza tenere conto della difficilissima situazione di allora. Le polemiche non si sopirono negli anni successivi, anche perch Pansa diede alle stampe altri sei volumi (Prigionieri del silenzio nel 2004, Sconosciuto 1945 nel 2005, La grande bugia nel 2006, I gendarmi della memoria nel 2007, I tre inverni della paura che pi propriamente un romanzo nel 2008, I vinti non dimenticano nel 2010), tutti con lo stesso argomento: essi hanno cos costituito una vera e propria saga, il ciclo dei vinti. Sempre in prima fila, anche negli anni successivi, nella critica a Pansa fu Giorgio Bocca, che nellottobre 2006, commentando una contestazione del giornalista casalese durante una presentazione della Grande bugia, rilasci unintervista in cui si spingeva a dire che non gli sarebbe dispiaciuto veder vietati per legge libri come quelli di Pansa:

Ma che razza di democrazia questa, dove ci sono dei democratici che prendono le parti di Pansa?. Non pensa che comunque abbia il diritto che i fatti da lui proposti, e le sue interpretazioni, vengano discusse con serenit? La risposta in crescendo: S, come quelli che negano lOlocausto, o la strage degli armeni. Io sono daccordo coi francesi, robe simili vanno proibite per legge. Chi contesta la Resistenza in Italia nelle sue linee generali uno che nega la verit, la realt Nega l'unica guerra dove i combattenti erano dei volontari. Nega persino l'apporto della popolazione: ma come si fa. E anche il sangue dei vinti, se vogliamo essere precisi.... Non stato sparso? Va ridimensionato. Ci sono stati molti delitti, molte uccisioni per fini personali. I delinquenti sfruttavano la situazione per ammazzare e rapinare, ma una cosa erano i delinquenti, un'altra i partigiani.

Il ciclo dei vinti costituisce un caso di scuola esemplare di uso pubblico della storia, sia in senso positivo, sia un senso negativo: attraverso esso, la storia della Resistenza cos diventata o meglio tornata ad essere, ma in una direzione completamente diversa da quella delle precedenti fasi della storia repubblicana strumento della battaglia politica quotidiana, secondo dinamiche di legittimazione e delegittimazione.

In questa polemica presero parola moltissimi storici, che pubblicarono non saggi se si esclude il libello di Guido Crainz Lombra della guerra. Il 1945, lItalia (Donzelli, 2007), infatti, non mi sembra che ci siano stati, nel post-Pansa, studi innovativi sulla resa dei conti scritti da storici: e, anche laddove ci siano stati, non hanno certo ricevuto lattenzione mediatica che ci si aspetterebbe dopo anni di polemiche sulle verit nascoste ma articoli sui principali quotidiani nazionali: tra essi vanno ricordati, senzaltro, Sergio Luzzatto, Angelo DOrsi (che, a proposito delloperazione culturale di Pansa, ha coniato il termine rovescismo), Guido Crainz, Giovanni De Luna, Massimo Storchi (che, con il libro Il Sangue dei vincitori. Saggio sui crimini fascisti e i processi del dopoguerra, 1945-56, Aliberti, del 2008 ha anche richiamato polemicamente, con la scelta del titolo, lopera di Pansa). Ma perch le opere di Pansa hanno provocato un tale vespaio di polemiche? Quali sono le loro caratteristiche? Cosa contengono di cos tanto esplosivo ed innovativo?

Sono queste le domande a cui cercher di risponder in questo contributo: proceder dapprima analizzando le caratteristiche peculiari delle opere di Pansa che sono andate a costituire un vero e proprio nuovo modello stilistico-narrativo e poi mi interrogher sul carattere innovativo o meno di quanto vi viene narrato. Nonostante i libri del ciclo dei vinti siano sei, mi concentrer soprattutto sul Sangue dei vinti, il primo pubblicato e, certamente, quello che ha avuto uneco maggiore nel dibattito pubblico: da esso, tra laltro, stata tratta una versione cinematografica (con una variante breve, come film, e una pi lunga, come fiction per la Rai), diretta nel 2008 da Michele Soavi.Come si costruisce un caso editoriale

Innanzitutto bisogna evidenziare che i sei libri di Pansa che costituiscono il cosiddetto ciclo dei vinti, al contrario dei saggi scritti dagli storici, sono stati letti da centinaia di migliaia di persone: gi nel 2006, lo stesso Pansa afferm, accusando quanti lo criticavano di essere invidiosi del suo successo, che Il sangue dei vinti aveva venduto 400 mila copie. Il libro ha quindi raggiunto un pubblico ampissimo, composto principalmente da non specialisti, ignari della storiografia sullargomento.

Alla straordinaria diffusione di queste opere ha contribuito certamente il fatto di essere scritte da un giornalista e romanziere di successo, con uno stile vivace e scorrevole e, soprattutto, di essere presentante sotto la forma di romanzo a sfondo storico: quelli che scrive Pansa, infatti, non sono saggi, ma si collocano a met tra il pamphlet e il romanzo. Al loro interno vi sono alcuni personaggi (femminili) inventati Livia nel Sangue dei vinti, Emma nella Grande Bugia che accompagnano il giornalista attraverso la sua scoperta dei fatti, ponendogli domande, a cui egli risponde: Sergio Luzzatto ha osservato che si tratta dello stile del catechismo per bambini.Questo modello narrativo mette in seria discussione la scientificit dellopera: nessun libro di Pansa contiene note o apparati bibliografici, nessuno fondato su una qualsiasi ricerca archivistica e, anzi, spesso il racconto degli eventi tratto esclusivamente dalla pubblicistica e dalla memorialistica (neo)fasciste sullargomento. Pansa, per quanto sia un giornalista, conosce bene anche il metodo storico in giovent, infatti, fu un ricercatore che, in materia di Resistenza, giunse anche ad alcune acquisizioni storiografiche importanti: relatore finale della sua tesi di laurea fu Guido Quazza, uno dei maggiori storici della Resistenza e, quindi, la scelta di non utilizzare le note e di semplificare e alleggerire la sua narrazione deliberata, non dettata da una presunta scarsa competenza professionale con il metodo storico.

Queste carenze metodologiche sottraggono i testi di Pansa ad ogni tipo di verifica critica, ma alleggeriscono di molto la loro lettura, avvicinando ad essi il pubblico dei non specialisti, agevolati nellacquisto anche dalla possibilit di comprare lopera in circuiti generalmente non destinati alla vendita di libri di storici, quali i supermercati e gli autogrill. Lessere a met tra un saggio e unopera di letteratura costituisce, inoltre, un alibi per il giornalista: qualora lo si accusasse di aver scritto un saggio privo di scientificit, infatti, egli potrebbe rispondere che si tratta di un libro che non ambisce ad essere unopera storiografica e che, per questo, pu lasciare spazio ad una libera ricostruzione.

La commistione con la fiction permette a Pansa di inserire nellopera delle descrizioni partorite dalla sua fantasia: quando afferma che dura da immaginare questa scena interminabile: il buio, le grida, i pianti, il crepitare delle armi, leccitazione dei giustizieri, il sangue, chiaro che egli effettivamente non sa nulla della scena descritta, che tuttavia si radica nella mente del lettore, dove si costruisce limmagine di partigiani sanguinari e crudeli. Limmaginazione e il sentito dire riempiono tutte quelle parti della storia che rimangono oscure, contribuendo a far radicare nel lettore ricostruzioni e convinzioni non suffragate da alcuna fonte:

Qualcuno sostiene che ci fu un intervento pesante del vertice del Pci. [...]. Naturalmente, di questo intervento lei non ha nessuna prova, dissi a Livia. S, sono senza prove, ammise lei.

Ho sentito di fascisti scaraventati vivi nei forni delle acciaierie [] Ma non si sono mai trovati prove o testimoni credibili;

Qualcuno sostenne che Arpinati era stato tolto di mezzo per ordine del Cln di Bologna, perch poteva diventare il perno di una coalizione moderata da opporre allespansione dei comunisti e dei socialisti. Ma non esiste nessuna prova di questo.

Immagino che in quel mattatoio siano state parecchie le ausiliarie a perdere la vita. Ma ho trovato una traccia precisa per tre soltanto;

La forma letteraria, infine, permette a Pansa di toccare profondamente lemotivit dei suoi lettori, spendendo molte parole nella descrizione di fatti orrendi (nel Sangue dei vinti, il termine orrendo, variamente declinato, compare undici volte, orribile cinque, mattatoio otto) e degli ultimi momenti di vita dei personaggi coinvolti, indugiando sul racconto, chiaramente fantasioso, dei loro stati danimo nei momenti precedenti la loro morte. La storiografia non deve, ovviamente, tacere sugli orrori, ma se la descrizione degli orrori diventa fine a se stessa, al punto di presentarsi come un catalogo di carneficine, provoca solo confusione e reazioni emotive.

Il fatto che Pansa sia un prestigioso giornalista e si sia presentato come un uomo di sinistra, come un antifascista, viene interpretato dal grande pubblico come un certificato di qualit di ci che scrive: la mancanza di riferimenti e di note, unico modo per accertare la veridicit delle affermazioni contenute in un saggio, viene cos compensata dalla fiducia che si nutre per leroico autore che, pur appartenendo ideologicamente ad un certo schieramento politico, ha sfidato la storiografia dominante, che avrebbe nascosto per anni gli eventi immediatamente successivi alla Liberazione.

Dal punto di vista contenutistico, tutte le vicende narrate si concentrano sulla descrizione minuziosa del lato umano, personale e individuale dei vinti: la loro morte violenta inquadrata pi che nel contesto politico e storico in cui si concretizz in una sfera umana e affettiva. Dei personaggi presi in esame, raramente si analizza lagire politico che li condusse alla morte: vengono descritti, invece, i loro sentimenti, i loro familiari, le loro attitudini personali, i loro pregi e, infine, il dolore e lo smarrimento con cui affrontarono i loro ultimi istanti, quando non di rado misero comunque in luce coraggio, coerenza ideale e determinazione. I vinti ovvero persone colluse col regime fascista e con loccupante nazista, o almeno accusati di ci vengono cos completamente depoliticizzati e rappresentati in un eterno presente a-storico in cui i valori di oggi vengono presi a modello anche del passato.

Le opere di Pansa, inoltre, rispondono alla generale tendenza in atto verso una riconciliazione nazionale e verso il superamento delle antiche divisioni e quindi dei valori dellantifascismo e della Resistenza per la creazione di una memoria condivisa. Questo filone rafforzato da libri che, come Il Sangue dei vinti e i suoi omologhi, da un lato propongono una parificazione tra partigiani e repubblichini, in nome del comune valore e della comune fedelt e dedizione alla propria causa e al proprio concetto di difesa della patria, mentre dallaltro rappresentano i partigiani come dei violenti vendicatori assetati di sangue (il termine vendetta, nel Sangue dei vinti, compare ventitr volte). In questo modo viene meno ogni forma di contestualizzazione degli avvenimenti, che non vengono posti in una dimensione di storia lunga, mentre vengono presentati una serie di orrori che portano il lettore a formulare, a livello pi o meno conscio, un giudizio morale su di essi.

Pansa riduce la storia ad uno scontro di opinioni, come quello che prende forma nei salotti televisivi in cui le sue opere vengono discusse. Non un caso che egli, scrivendo, senta continuamente la necessit di dichiarare le opinioni politiche degli autori che cita. Ad esempio, al momento di citare un libro di Antonio Serena, scrive: Devo dirle che la mia fonte principale la minuziosa inchiesta di un ricercatore di destra, Antonio Serena, oggi deputato di Alleanza nazionale, autore di I giorni di Caino, pubblicato nel 1990 dalla Panda Edizioni. una fonte di parte? Certo, come tutte le fonti. Ma non per questo, nel caso di Serena, meno credibile. Pansa non spiega, per, perch consideri credibile ci che scrive Serena.

Infine necessario mettere in luce che, per tematiche e per modalit di trattazione, il racconto che Pansa fa degli eventi ripercorre molti topoi della pubblicistica neofascista sullargomento, a partire dalla retorica della bella morte evocata dal titolo del famoso romanzo di Carlo Mazzantini , dalla descrizione del coraggio e della serenit dimostrati davanti ad essa (Solaro mor bene, con lo sguardo rivolto al cielo, sul viso unespressione indecifrabile. La definirei tra il sereno e il rassegnato, ma capisco di addentrarmi su un terreno che non mi spetta) e dalla sottolineatura dellamore per lItalia e del patriottismo dei repubblichini (in una decina di casi vengono riportante le presunte ultime parole, che sono sempre Viva lItalia!), che secondo i fascisti (neo e non) li avrebbero spinti ad aderire alla Rsi per salvare il paese dalla vendetta di Hitler e dalle razzie che i tedeschi avrebbero potuto commettere. Probabilmente questa conformit dovuta al fatto che Pansa ha travasato nel suo libro moltissima pubblicistica fascista e neo-fascista da Pisan a Serena e che, per questo, ha assorbito alcuni aspetti di essa.

Questa consonanza di temi e linguaggi lo rende compatibile e funzionale alla propaganda neofascista. Non un caso, quindi, se nel 2008, in piena campagna elettorale, lopera di Pansa fu citata, durante la trasmissione Matrix, dal leader di Forza nuova Roberto Fiore che, dichiarando che non aveva pi molto senso celebrare la Resistenza e che bisognasse superare la contrapposizione fascismo/antifascismo dopo essere venuti a conoscenza delle migliaia di vittime fasciste, disse che in generale lItalia sta cambiando e sta iniziando a valutare quel periodo in modo pi sereno. C stato un Pansa di mezzo in questi due anni. C stato un sano revisionismo storico. questa funzionalit, pi o meno consapevole, che rende lopera di Pansa idonea a prestarsi ad un uso politico della storia.

indicativo dellintento politico delle opere di Pansa il fatto che egli, in pi di unoccasione, abbia fatto delle affermazioni che sottintendono un paragone se non unidentificazione allinsegna della comune matrice terroristica tra lesperienza partigiana e quella delle Brigate rosse, in un momento storico in cui questultime erano tornate in prima pagina dopo gli omicidi di Massimo DAntona (20 maggio 1999) e Marco Biagi (19 marzo 2002) e luccisione dellagente della Polizia ferroviaria Emanuele Petri durante uno scontro a fuoco con alcuni brigatisti (2 marzo 2003): Ma sa che cosa mi ricordano i delitti di Pistola Silenziosa? Gli agguati delle Brigate rosse, di trentanni dopo; Agguati selettivi, diremmo oggi, che anche a me ricordano [] quello che sarebbe accaduto trentanni dopo, con le Brigate rosse; Per la politica conta [] lesempio. Come recita quel motto adottato dalle Brigate rosse? Colpirne uno per educarne cento. Si voleva dare un esempio di pugno di ferro. Per i lettori diventa in questo modo facile identificare, pi o meno consciamente, la Resistenza e il terrorismo, categoria allinterno del quale vengono ricondotti quasi tutti gli eventi degli anni 70, anche essi soggetti ad un uso pubblico della storia spesso superficiale.

La stessa operazione fu condotta da Pansa anche nei suoi libri successivi: davvero singolare che solo nellottobre 2010, con luscita del nuovo romanzo I vinti non perdonano, il giornalista del Corriere della sera Dino Messina, che fino ad allora aveva sempre riservato parole di elogio per lo scrittore casalese, si sia accorto di questa tendenza e abbia affermato di non esservi daccordo.Una porta chiusa che nasconde una pagina orrenda del passato? Polemiche, rimozioni, oblioIl sangue dei vinti e i suoi omologhi successivi sono stati polemicamente presentati dallautore come una novit: nella nota introduttiva di Pansa si legge, infatti, che egli vuole mettere in luce fatti che la storiografia antifascista ha quasi sempre ignorato di proposito, per opportunismo partitico o per faziosit ideologica e contribuire a spalancare una porta rimasta sbarrata per quasi sessantanni; alla fine del libro, inoltre, Pansa afferma di essersi proposto di sbirciare al di l della porta chiusa che nasconde una pagina orrenda della storia italiana del Novecento.

Questa prospettiva fu fatta propria con evidenti fini propagandistici anche da altri giornalisti e storici: il caso, ad esempio, di Ernesto Galli della Loggia, che parlando nel novembre 2003 delle uccisioni indiscriminate di fascisti e non commesse dai partigiani dopo il 25 aprile afferm che anche qui valsa fino ad oggi la regola che bisognava negare che quelle uccisioni fossero avvenute, per lo meno che fossero avvenute su larga scala e assai spesso con efferatezza e gratuit spaventevoli. [] Finch con il recente libro di un noto e bravo giornalista di sinistra, Giampaolo Pansa (Il sangue dei vinti), il divieto stato tolto, sicch ora siamo tutti finalmente autorizzati a conoscere e a discutere liberamente gli avvenimenti di quei terribili giorni.Lo stesso presidente del Senato Marcello Pera, nel dicembre 2003, durante la presentazione del libro di Pansa, ha affermato che fosse ormai ora che in Italia si abbandonasse lantifascismo e si rammaricato di appartenere ad una generazione che, per sapere cosa fosse avvenuto in Italia dopo la Liberazione, aveva dovuto aspettare per cinquantanni, mentre prima aveva dovuto credere alla storiografia ufficiale della sinistra.

In realt, in ambito storiografico, gli eventi raccontati da Pansa hanno cominciato ad essere studiati con assiduit almeno un decennio prima della pubblicazione del Sangue dei vinti (del resto, non si capirebbe altrimenti come il giornalista che non ha fatto alcun tipo di ricerca darchivio possa aver scritto i suoi libri, basati su fonti di seconda mano), soprattutto dopo la pubblicazione di Una guerra civile di Claudio Pavone: gi negli anni precedenti, tuttavia, in ambito locale, alcune ricerche nate allinterno degli Istituti storici per la Resistenza dislocati in tutta avevano messo in luce la complessit e le contraddizioni della guerra civile, oltre che i suoi strascichi nel dopoguerra.

Da Massimo Storchi a Mirco Dondi, da Gabriele Ranzato a Cesare Bermani, da Silvano Villani a Nazario Sauro Onofri, da Gianni Oliva a Sarah Morgan, da Guido Crainz a Roy Palmer Domenico a Marco Rossi a Hans Woller, nel decennio precedente alla pubblicazione del Sangue dei vinti in molti avevano scritto sulle uccisioni sommarie di fascisti nel dopoguerra, ad opera sia dei partigiani sia della popolazione civile. Davvero significativo che in un libro del 2002, quindi precedente al Sangue dei vinti, Sarah Morgan scrisse, a proposito degli atti di violenza del dopoguerra, che ora presentati come un fenomeno omogeneo e utilizzati per attaccare la sinistra, ora attaccati e negati per timore di sminuire il valore morale e politico della Resistenza, soltanto in epoca recente essi hanno cominciato a essere analizzati e valutati nella loro diversit. Analisi e valutazione che, dunque, in ambito specialistico era in gi in corso alla vigilia della pubblicazione del primo libro del ciclo dei vinti. Si tratta, tuttavia, di opere che, per quanto in gran parte edite delle maggiori case editrici italiane, hanno avuto una divulgazione assai ridotta nel pubblico dei non specialisti. Il fatto che il grande pubblico sia poco interessato alle opere degli storici, tuttavia, non pu portare ad accusare la storiografia antifascista e quindi, in particolare, gli storici che hanno fatto ricerca su questi temi di aver deliberatamente taciuto su alcuni aspetti.

A questo proposito mi sembrano piuttosto pertinenti alcune parole di Guido Crainz del 2006 che, in un articolo sulla Repubblica, scrisse:

Sin dai primi anni Novanta ho scritto diversi saggi sul protrarsi delle violenze contro ex fascisti (ma non solo contro di loro) ben oltre il 25 aprile del 1945 e ho seguito quindi con un crescente disorientamento il dibattito suscitato dai volumi di Giampaolo Pansa (con cui discussi questi temi gi nel 1995, presentando assieme a lui un bel volume di Massimo Storchi sul triangolo della morte nel Modenese). In quegli anni altri storici italiani affrontavano in varie forme quel denso nodo, sin l rimosso. [] Vi furono anche molte ricerche locali, atti di convegni, fascicoli di riviste. Sullo sfondo vi erano le riflessioni storiografiche ed etiche sulla Resistenza proposte da Claudio Pavone (Una guerra civile, Bollati Boringhieri, 1991) e mi difficile quindi riconoscermi nellimmagine degli storici italiani proposta, in buona sostanza, da Pansa e da molti giornali: una congrega chiusa e presuntuosa, incapace di ricerca, abbarbicata a stereotipi vetero-comunisti e a visioni oleografiche. Mi difficile soprattutto - ed questo il punto centrale - accettare limmagine riduttiva dell' Italia del 1945 e dei suoi drammi che sembra consolidarsi. Essa rischia di immiserire le lacerazioni di un paese che usciva piagato in modo profondo da ventanni di fascismo, da quella guerra, e da una Resistenza che fu anche guerra civile: i drammi di quella Italia non sono riducibili alle ferocie di partigiani comunisti n possono esser dissolti in un indistinto e indecifrabile mattatoio.

A queste pubblicazioni si deve, inoltre, aggiungere la vasta pubblicistica neofascista: tra tutti i libri pubblicati dai neofascisti, vanno certamente ricordati quelli di Giorgio Pisan e, in particolare, Sangue chiama sangue (1962), la sua Storia della guerra civile in Italia, 1943-45 in tre volumi (1965-66) e Il triangolo della morte. La politica della strage in Emilia durante e dopo la guerra civile (1992, scritto con Paolo Pisan e pubblicato da Mursia). Si trattava certamente di opere dirette ad un pubblico di nicchia, ma la loro pubblicazione mostra come non vi fosse alcuna dittatura antifascista a vigilare sul buon nome della Resistenza.Dal punto di vista del dibattito pubblico sui giornali e sugli altri media intorno a questi argomenti, invece, il discorso ben pi complesso e difficilmente sintetizzabile: in linea generale, tuttavia, si pu ritenere accettabile laffermazione di Nicola Gallerano secondo cui la critica dellantifascismo e della Resistenza ha attraversato lintera storia italiana del dopoguerra. Nellimmediato dopoguerra, e soprattutto a partire dal 1947-48, con lacuirsi della contrapposizione tra i blocchi (sia in campo internazionale, sia in campo interno), infatti, le polemiche sulle uccisioni degli ex-fascisti dopo la fine della guerra diventarono oggetto di dibattito e di scontro pubblico: il Pci neg a mio avviso colpevolmente lesistenza di questi eventi o li attribu ad infiltrati, provocatori e sabotatori, prestando cos il fianco ad ogni futura accusa di aver mistificato unimportante parte di storia italiana. Secondo Sarah Morgan, nellimmediato dopoguerra, il problema della violenza e dellillegalit, che il Pci fece di tutto per eliminare dalla propria rappresentazione della Resistenza, fu inevitabilmente sfruttato dai suoi oppositori per indebolire il partito. La campagna mirante a delegittimare il Pci conquist slancio nel periodo precedente le prime elezioni generali dellaprile del 1948, e si svolse con i toni pi accesi sulle pagine dei quotidiani nazionali. [] Le testate indipendenti si servirono sempre pi spesso delle notizie di cronaca per attaccare o difendere determinate posizioni politiche; i giornali di partito della sinistra replicavano con veemenza. La creazione della questione triangolo della morte fu una chiara espressione di questa polarizzazione politica. [] Sui giornali indipendenti cominciarono allora ad apparire articoli sugli episodi di violenza del passato in cui erano stati coinvolti i partigiani. Avvenimenti che risalivano a uno o due anni prima, se non di pi, occupavano adesso un posto importante sui giornali e venivano presentati e riproposti sulla base di prove poco significative. A questi articoli, lUnit reag con veemenza, affermando che si trattava di menzogne e montature.Tra la fine degli anni 40 e linizio degli anni 50, furono inoltre celebrati processi contro migliaia di ex partigiani, anche per gli episodi di violenza di cui si resero responsabili a conflitto concluso: la Resistenza comunista fu messa sotto accusa e criminalizzata. Come ha scritto Mario G. Rossi nella prefazione ad un lavoro di Michela Ponzani, il triangolo della morte e tanti altri casi di violenze e di rappresaglie legate alla guerra civile e alle sue ripercussioni nellimmediato dopoguerra non sono venuti alla luce, dopo un silenzio pluridecennale, col Sangue dei vinti e altri apporti alla letteratura antiresistenziale di questi anni, ma costituiscono loggetto privilegiato di una sistematica campagna giudiziaria scatenata contro le forze partigiane gi lindomani della fine della guerra.Se negli anni dellaffermazione del paradigma antifascista questo tipo di polemiche si affievolirono, esse ripresero piede nella seconda met degli anni 80, agitate da un lato dalle note interviste che Renzo De Felice, inaugurando una stagione di uso pubblico della storia sempre pi mediatico, rilasci a Giuliano Ferrara sul Corriere della sera e, dallaltro, dalla pubblicazione delle tesi di Claudio Pavone sulla guerra civile. Entrambi gli storici, con le loro interpretazioni storiografiche, si trovarono infatti al centro di un nuovo dibattito pubblico sulla Resistenza, che riaccese antiche polemiche.La questione delle uccisioni sommarie di molti fascisti dopo la Liberazione, torn alla ribalta nellagosto 1990, quando lex-partigiano ed ex-parlamentare del Pci Otello Montanari sul Resto del Carlino lanci lappello Chi sa parli, accusando il Pci di aver coperto le violenze del dopoguerra e invitando chi conosceva questi fatti a prendere una posizione pubblica: la polemica politica italiana si infuoc per giorni e giorni. Particolarmente significativa, in quei giorni, fu la presa di posizione di un gruppo di (allora) giovani storici degli Istituti per lo studio della Resistenza emiliani, che polemizzarono col mondo politico che avevano accusato la storiografia italiana di aver nascosto alcuni fatti e alcuni argomenti:

Loro, gli storici misconosciuti, hanno taciuto disgustati e offesi per quindici giorni. Poi non ce lhanno pi fatta. E in ventitr (da Modena, Reggio, Parma) hanno sottoscritto un durissimo documento contro la superficialit e il dilettantismo della classe politica. Nessun nome, ma facile capire chi sono gli ex funzionari di partito improvvisatisi storici con cui se la prendono. Strillano bisogna scavare, sapere la verit, ma cosa credono che stiamo facendo da almeno tre anni?, sarrabbia Massimo Storchi, responsabile scientifico dellIstituto Cervi. Contro gli stereotipi trascorsi e abusati, contro il massacro del concetto di storia come scienza sfoderano una bibliografia di 60 titoli che nessuno in questi giorni s' preso la briga di sfogliare, elencano le indagini in corso: a Bologna si stanno raccogliendo tutti gli atti dei processi contro gli ex partigiani, a Modena e a Reggio sono quasi pronte due ricerche sui problemi dell' ordine pubblico dal 45 al 51. Ricerca storica, non poliziesca aggiunge Storchi non chiedano a noi i nomi dei morti e degli assassini. Quanto agli archivi da aprire, nella loro polvere i giovani storici sono immersi da anni. Ma qualcuno forse crede che gli archivi siano come un supermercato, entri col carrello ed esci col pacchetto morti, assassini... ironizza Antonio Canovi invece un lavoro lungo, faticoso. E molti di questi archivi, per esempio quelli vescovili, o di fabbrica, sono impenetrabili. Se fosse loccasione per aprirli....

In questa polemica, lo stesso Pansa si distinse per un articolo su la Repubblica in cui accus gli ex-dirigenti comunisti che stavano riportando alla luce lesistenza dei triangoli della morte di essere dei coccodrilli a scoppio ritardato che per interesse personale rivelavano quello che sapevano solo quaranta anni dopo i fatti. Pochi giorni dopo, nella sua rubrica sullEspresso, accus Montanari di comportarsi come un fesso doro e di essere strumento di una campagna del Psi di Craxi per delegittimare il Pci, costretto ad indossare la maschera di ferro che gli stanno preparando, quella di un partito di assassini o di complici di assassini.

Un anno e mezzo dopo, nel 1992, Guido Crainz anticip in un articolo sulla Stampa i risultati dello studio dei documenti che riportano le violenze postbelliche che stava conducendo presso lArchivio centrale dello Stato. Documenti che, come scrisse Enrico Deaglio sul quotidiano torinese, sono conservati l, esattamente nel posto in cui dovrebbero essere, come la lettera rubata di Poe. Consultabili da quindici anni, eppure nessuno in un anno e mezzo di roventi polemiche politiche aveva pensato di andarli a studiare.

Il dibattito sulla resa dei conti continu anche negli anni successivi: in un articolo dellaprile 1994, ad esempio, Nicola Gallerano parl del riflesso puramente difensivo della sinistra nei confronti di una disinvolta riscrittura del passato (dallidentificazione, gi ricordata, della Resistenza con il sistema dei partiti e i suoi vizi alle polemiche sul triangolo della morte allinvito a purgare la Carta costituzionale dal pregiudizio antifascista).

Nel 1995, Massimo Storchi pubblic Uscire dalla guerra. Ordine pubblico e forze politiche, Modena 1945-46 (FrancoAngeli): ma, al di l di un articolo sulla Repubblica di qualche mese prima in cui aveva presentato il risultato delle sue ricerche (Si colpisce il nemico di guerra, non il nemico di classe. Si uccide lo sconfitto, si vendicano gli eccidi. Dunque non era il terrore rosso, leliminazione dei nemici del proletariato, preti e padroni, prologo della rivoluzione comunista, come hanno sostenuto tanti processi alla Resistenza, anche quello che esplose sui giornali nellagosto 91, a ricerca appena avviata. Era semplicemente, tragicamente, la guerra che continuava), suscit ben poco scalpore. Come, nonostante la nuova presentazione su Repubblica, poco scalpore suscit il suo libro del 1998 sulla provincia di Reggio Emilia (Combattere si pu vincere bisogna. La scelta della violenza fra Resistenza e dopoguerra, Marsilio): lo storico Gabriele Ranzato, che scrisse questa presentazione sul quotidiano, sottoline per giustamente che solo nell' area storico-culturale degli Istituti della Resistenza - Storchi presidente di quello reggiano - sono in corso seri studi sulla violenza partigiana. Per quanto si aguzzi lo sguardo non si scorge alcuno storico di opposta prospettiva occuparsi di questi temi. Domina invece il campo una pubblicistica ansiosa di annegare la Resistenza in un minestrone di violenza. Ansiosa di giudicare senza comprendere.Polemiche e ricostruzioni storiche che andarono avanti per anni, tanto che il 25 aprile 2003 Adriano Sofri scrisse sulla Repubblica che lo strascico di violenze, vendette politiche e personali, crimini comuni, che insanguinarono ancora per anni certe regioni, e specialmente il triangolo rosso, stato raccontato dai testimoni e ricostruito dagli studiosi cos da offrire a tutti la verit, e alla sinistra uno specchio deformante e rivelatore. Qualche mese prima della pubblicazione del Sangue dei vinti, quindi, sul quotidiano pi letto in Italia, si affermava tranquillamente che ormai la verit sulle violenze post-belliche era nota. Ma, come scrisse lo stesso Sofri in un articolo del febbraio 2004 sul conflitto arabo-israeliano, si appena ripetuto in Italia con il successo del libro di Pansa rispetto ai molti studi storici precedenti [che] il contenuto delle ricerche storiche conti meno dellascolto che riscuotono.Anche nel campo letterario, negli anni 90 furono pubblicati alcuni romanzi che avevano al centro le convulse vicende postbelliche, che tra laltro gi avevano fatto da sottofondo ad alcuni romanzi neorealisti, come La ragazza di Bube (1960) di Carlo Cassola. Nel 1995 usc, per Garzanti, Le ragioni del sangue di Alessandro Gennari, mentre nel 2000 il romanzo di Alberto Bevilacqua La polvere sullerba, che vinse anche il Premio Stresa 2000. Questultimo fu allora pubblicato nella sua versione originale, molto diversa da quella che, invece, dalle Prove dautore pubblicate nel 1955 da Leonardo Sciascia, che aveva temuto le reazioni che avrebbe provocato la cornice di quello scottante Triangolo Rosso. Alluscita del romanzo, nel 2000, il giornalista del Corriere della sera Giovanni Pacchiano, riprendendo le parole dello stesso Sciascia riportate in una nota di Bevilacqua in calce al romanzo, comment cos i motivi per cui, per quarantacinque anni, non aveva potuto vedere la luce:

Forse, soprattutto, anche troppo radicalmente negativo, per lepoca, nei confronti dellItalia dellimmediato dopoguerra, in apparenza pacificata e pulita, a rischio di suscitare un subisso di polemiche. La menzogna di unItalia pulita. Mentre sporco, disperato, senza mete (se non forse - per i pochi eroi positivi del romanzo - quella della fantasia come strumento vitale e poetico delluomo), appare il mondo di quei due anni - tempi terribili, dal 1946 al 1948 - rappresentati nel romanzo. Quando il cosiddetto triangolo rosso, o triangolo della morte, vide i tumulti di una vera e propria guerra civile. Rossi contro neri, che, come racconta lautore, continuarono a scannarsi, dopo la Liberazione; detenuti evasi dal carcere a centinaia, bande di rapinatori, ex militari coi giubbotti della Quinta Armata. Disertori, giustizieri senza giustizia, malviventi senza bandiere o con troppe bandiere. In un clima collettivo di odio e paura. Un triangolo, quello che il Po forma con lamazzonia del suo Delta e i paesi di riva avamposti delle citt. Che fu rosso non per unidea e una fede, ma per il sangue che fu versato. Troppo sangue e troppo odio, ricorda questo giovane Bevilacqua nel libro, che comparendo per la prima volta oggi, nella stesura di allora (senza aggiunte o rimaneggiamenti), appare anche profetico.

Queste affermazioni, per, non tengono conto del fatto che lo stesso Bevilacqua a scrivere che gli editori, negli anni, gli avevano spesso chiesto di pubblicare il romanzo, ma che lui aveva scelto per motivi personali di non farlo, n che il testo nonostante quanto dichiarato dallautore era stato rimaneggiato almeno in alcune parti.

Si tratta, a mio avviso, di un romanzo molto bello che, credo, anche al di l della questione del triangolo rosso trattato comunque in modo problematico in quanto si afferma che nelle Corti dAssise straordinarie si condannavano i rossi e i neri, molto pi i rossi che i neri, che hanno continuato a scannarsi, dopo la Liberazione, nel Triangolo della Morte (p. 75) , sarebbe probabilmente incappato nelle maglie della censura dellItalia degli anni 50 per le scene sessualmente molto esplicite che vi vengono narrate.Significativo poi, un articolo, sempre pubblicato sul Corriere della sera della primavera del 2003. Commentando una nuova edizione del romanzo Disonora il padre di Enzo Biagi (gi uscito nel 1975), che da l a pochi giorni sarebbe stata venduta col quotidiano, il giornalista Ranieri Polese scrisse che si trattava di un romanzo che non nascondeva nulla:

A guerra finita, sempre Biagi ci racconta di un amico tornato con i partigiani dai monti che si trova coinvolto nelle esecuzioni del cosiddetto Triangolo Rosso. Niente taciuto, con buona pace di quanti negli anni 90 dicevano e scrivevano che in Italia ci si era fermati a una versione accomodata degli anni del fascismo e della guerra, a una storia miope e di parte che dopo il crollo delle ideologie e del Muro di Berlino appariva in tutta la sua insufficienza. In forma di romanzo, o di autobiografia, Biagi gi nel 75 non aveva fatto nessuna concessione a obblighi di partito o a imperativi ideologi.

Pochi mesi dopo, dalle pagine dello stesso quotidiano, fu invece celebrata lassoluta novit di quanto scritto da Pansa, anche attraverso penne autorevoli come quelle di Ernesto Galli Della Loggia.

Alla luce di ci, chiaro come laccento posto da Pansa sulla presunta novit della divulgazione dei fatti presentati sia strumentale e mirante ad esaltare il suo coraggio etico [] contro lassolutismo del potere politico e accademico per avere una maggiore visibilit sul piano mediatico e per gettare discredito sulla storiografia antifascista. Di nuovo, per, non c nulla: si tratta, piuttosto, di un caso di quella storia sempre nuova dei quotidiani, secondo la fortunata espressione coniata da Giovanni De Luna. Significativo che, nel novembre 2003, nel pieno della polemica anti-Pansa, la Repubblica ripubblic un vecchi articolo scritto dal giornalista Mario Pirani nel 1990 per esporre la posizione del quotidiano circa il Chi sa, parli di Montanari senza specificare, se non nelle ultime righe, che non si trattava di un inedito. Nellarticolo, si legge:

Una volta ancora esce confermata la vecchia massima giornalistica secondo cui niente pi inedito della carta stampata: cos tutto questo stupore su veli che si alzano, bocche che si aprono e armadi da svuotare, a proposito degli omicidi politici avvenuti nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione, andrebbe quanto meno temperato da un minimo di bibliografia e dalla rilettura della pubblicistica in proposito. Si vedrebbe allora che, sia pure senza sufficiente approfondimento, l' imputazione per quei delitti stata sempre, fin dall' inizio, fatta risalire ad una frangia settaria del movimento partigiano comunista che pu essere, di pieno diritto, considerata la matrice genetica delle Br.

Nel doveroso aggiornamento, Pirani aggiunse che

Or bene, come se nulla di tutto questo fosse avvenuto, se per quasi cinquant' anni non se ne fosse mai discusso, se nessun libro fosse stato scritto, se nessun articolo, intervista, dibattito televisivo avesse mai affrontato il tema, ecco che luscita del libro di Giampaolo Pansa, Il sangue dei vinti, quel che accadde in Italia dopo il 25 aprile (Sperling & Kupfer) torna a suscitare l' osanna dell' insperata riscoperta e le lamentazioni accorate di quanti s' inventano una persecuzione, che, fin qui, avrebbe loro chiuso la bocca, impedito la ricerca storica, minacciato bastonate (lo si detto in Tv) a chi si fosse azzardato a parlare di quella sanguinaria stagione.

Se, a livello contenutistico, non contengono novit, le opere di Pansa sono piuttosto state pubblicate in una temperie politica e culturale adatta a fargli avere una grande eco nellopinione pubblica. E, sicuramente, lo stile scorrevole e romanzesco e recensioni entusiaste come quelle di Ernesto Galli Della Loggia citata sopra hanno contribuito a facilitargli il compito. Il fatto che la polemica intorno alle azioni di violenza commesse dagli ex partigiani dopo la Liberazione non sia nuova, ma anzi ricalchi quella che si svilupp in un momento delicato della politica italiana dellimmediato dopoguerra, mostra per un fatto incontrovertibile: ovvero che laddove storici, politici e polemisti hanno voluto affrontare un argomento, nella storia dellItalia repubblicana, non gli mai stato impedito dal Pci. Il partito comunista, anzi, ha sempre subito passivamente e colpevolmente il ritorno in auge delle polemiche sulla Resistenza. Nei sei decenni precedenti alla pubblicazione del Sangue dei vinti sono esistititi politici, giornalisti e storici liberali, socialisti, socialdemocratici, democristiani, neofascisti: se non hanno affrontato alcuni argomenti stato evidentemente perch li ritenevano poco interessanti, poco stimolanti, poco accattivanti. Cfr., ad esempio, N. Gallerano, Le verit della storia. Scritti sulluso pubblico del passato, Manifestolibri, Roma 1999 e S. Luzzatto, Sangue dItalia. Interventi sulla storia del Novecento, Manifestolibri, Roma 2008.

Cfr. Gallerano, Le verit della storia, cit., pp. 111-112, F. Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 ad oggi, Laterza, Roma-Bari 2005; M. Ponzani, Leredit della Resistenza nellItalia repubblicana tra retorica celebrativa e contestazione di legittimit, Olschiki, Firenze 2005; G. Orsina, Quando lAntifascismo sconfisse lantifascismo. Interpretazioni della Resistenza nellalta cultura, in P. Craveri, G. Quagliariello, La seconda guerra mondiale e la sua memoria, Rubbettino, Soveria Mannelli 2006; C. Winterhalter, Raccontare e Inventare. Storia, memoria e trasmissione storica della Resistenza armata in Italia, Peter Lang, Bern 2010, pp. 17-19, 49-79

e G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di unItalia divisa, Feltrinelli, Milano 2011.

Focardi, La guerra della memoria, cit., pp. 40-53.

Ivi, p. 112.

Cfr. G.E. Rusconi, Resistenza e postfascismo, Il Mulino, Bologna 1995; N. Tranfaglia, Un passato scomodo: fascismo e postfascismo, Laterza, Roma-Bari 1996; S. Luzzatto, La crisi dellantifascismo, Einaudi, Torino 2004; Focardi, La guerra della memoria, cit.; V. Romitelli, Lodio per i partigiani: come e perch contrastarlo, Cronopio, Napoli 2007; De Luna, La Repubblica del dolore, cit.

Nel 1993, Mario Isnenghi, in un commento sul Corriere della sera, parl di una comunicazione storica sempre pi sottratta agli storici e in mano agli addetti alla comunicazione di massa: Sono questi che dettano lordine del giorno, le priorit, le amnesie e, in maniera devastante, gli approcci e lo stile; che giudicano e mandano; che danno e tolgono visibilit a un qualsiasi argomento (fascismo, comunismo, Togliatti, il triangolo della morte, Gladio ecc.) (M. Isnenghi, C modo e modo per parlare di storia, Corriere della sera, 17 novembre 1993). In una relazione ad un convegno nel 1995, Nicola Gallerano afferm che la Resistenza non godeva, in quegli anni, di buona stampa, in quanto si era affermato in luogo comune secondo cui il cinquantennio repubblicano sarebbe per intero contrassegnato dallideologia dei vincitori: un compatto e unanime schieramento dei partiti dellarco costituzionale e dei loro intellettuali a difesa di unimmagine mitica e celebrativa della Resistenza e la conseguente damnatio memoriae nei confronti dei loro avversari (N. Gallerano, La Resistenza tra storia e memoria, in Id., Le verit della storia, cit., pp. 110, 112).

G. Pansa, Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile, Milano, 2003.

Una ricostruzione in A. DOrsi, Dal revisionismo al rovescismo. La Resistenza (e la Costituzione) sotto attacco, in A. Del Boca (a cura di), La storia negata. Il revisionismo e il suo uso politico, Neri Pozza, Vicenza 2009.

P. Battista, Pansa, i giorni della vendetta, la Stampa, 10 ottobre 2003.

L. Fuccaro, Scontro sul libro di Pansa: Falsi i crimini partigiani, Corriere della sera, 11 ottobre 2003; R.I, polemica sul libro di Pansa, la Stampa, 11 ottobre 2003; N. Campini, Ricci si infuria con Pansa. La storia non si fa cos, la Repubblica, 13 ottobre 2003; U. Intini, P. Mieli, Bene ha fatto Pansa a pubblicare ora Il sangue dei vinti, Corriere della sera, 14 ottobre 2003.

Fuccaro, Scontro sul libro di Pansa, cit.

Ibidem.

Ibidem.

Nel caso dei Gendarmi della memoria si passa completamente ad un discorso meta-storico: Pansa non parla pi degli eventi storici, ma delle polemiche che i suoi libri precedenti avevano suscitato. Ai sette libri del ciclo si aggiunge, inoltre, il libro autobiografico intitolato Il Revisionista (Rizzoli, Milano 2009): esso mostra come il revisionismo sia diventato non pi mezzo, ma fine stesso dellattivit di Pansa. Anche Luca Telese, giornalista fino ad allora sempre indulgente nei confronti di Pansa, nel 2010, con luscita di I vinti non dimenticano, giunto ad invitare Pansa a fermarsi: Cercando di rincorrere tuti i fili e tutte le storie, Pansa abbandona dichiaratamente La Storia. Sublima il suo revisionismo orgogliosamente proclamato in un paradosso relativistico in cui ci sono solo le atrocit dei Vincitori. E arriva a paragonare i partigiani ai terroristi: Cosa sarebbe accaduto se il partito clandestino di Curcio e Moretti avesse potuto contare su centinaia di uomini disposti a sparare e ad uccidere in tutte le regioni italiane?. Forse adesso sarebbe ora che Pansa fermasse il timone, schiodasse dallalbero maestro il doblone che ha inchiodato, mettesse da parte il nonno fascista di Franceschini e il fratello nero di Prodi e smettesse di inseguire la balena bianca della Resistenza (L. Telese, Il Pansa convertito che vede il mondo il nero, Il fatto quotidiano, 5 ottobre 2010).

M. Baudino, Bocca: Ci vuole una legge come per gli armeni, la Stampa, 18 ottobre 2006.

Sulluso pubblico della storia, cfr. N. Gallerano (a cura di), Luso pubblico della storia, FrancoAngeli, Milano 1995; G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, La Nuova Italia, Milano 2001, pp. 71-101 e J. Habermas, Luso pubblico della storia, in G.E. Rusconi (a cura di), Germania, un passato che non passa. I crimini nazisti e lidentit tedesca, Einaudi, Torino 1987, pp. 98-110.

Sarebbe tuttavia un errore isolare Pansa: ormai si deve parlare di tutta una categoria di rovistatori della Resistenza, che grattano il fondo del barile per vedere dove si annidi (eventualmente) il marcio, e anche se non c, lo si inventa, lo si amplifica, e lo si sbatte in prima pagina. Che questa operazione sia fatta senza alcun criterio storico, senza le cautele minime di qualsivoglia studioso, poco importa. Se gli autori di libri di tal fatta, vendono, troveranno editori disposti a scommettere su di loro, media pronti a parlarne (e come si fa a non parlarne?), e un pubblico via via pi incuriosito. Ma anche i rovistatori della Resistenza rientrano in una categoria pi ampia, che sembra inesauribile e dalla quale ci dobbiamo aspettare altre puntate, sempre pi clamorose. Noi sappiamo bene che esiste una differenza essenziale tra la revisione, momento irrinunciabile del lavoro del ricercatore storico, e il revisionismo, che possiamo definire come l'ideologia e la pratica della revisione programmatica. [] Ma il revisionismo vuole invece pregiudizialmente rivedere, possibilmente in modo drastico, le conoscenze acquisite, partendo dal presupposto che quello che abbiamo appreso finora siano bugie: sintomatico in tal senso il titolo dell'ultimo Pansa (La grande bugia) o quello del recente pamphlet di Melograni (Le bugie della storia), nel quale apprendiamo una serie di comiche rivelazioni partorite tutte dalla fertile inventiva dell'autore: da Marx che ignorava il mondo del lavoro a Hitler che non voleva la guerra. Con questi due esempi - non sono certo gli unici - siamo oltre il revisionismo: siamo in pieno rovescismo. Che pu essere definito come la fase suprema del revisionismo stesso. Volete assicurarvi il successo in un pubblico vasto e ingenuamente appassionato di storia? Bene. Basta prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un personaggio importante, un episodio che ha costituito un momento variamente epocale. Poi si afferma che tutto quello che sappiamo in merito una menzogna, o perch fondata sulla falsit, o perch basata sull'occultamento; di solito, responsabili delle menzogne e dei nascondimenti della verit, sono i comunisti, da Gramsci fino ai suoi pronipoti, con un particolare accanimento su Togliatti. Che viene presentato, spesso e volentieri, egli stesso come un soggetto storico su cui esercitare l'arte speciosa del rovesciamento, e come ispiratore delle trame storiografiche negatrici della verit, infine rimessa a posto dai Pansa e sodali. Dunque, se quello che si sa menzogna, si tratta di costruire una verit alternativa (A. DOrsi, Rovescismo, fase suprema del revisionismo, la Stampa, 18 ottobre 2006).

G. Pansa, La grande bugia, Sperling & Kupfer, Milano 2006, p. 279.

S. Luzzatto, Piace al ventre molle dellItalia ignava, Corriere della sera, 20 ottobre 2006.

Pansa, Il sangue dei vinti, cit., p. 201.

Ivi, p. 160.

Ivi, p. 164.

Ivi, p. 274.

Ivi, p. 355.

Cfr. S. Fiori, Quei fascisti uccisi dopo il 25 aprile, la Repubblica, 10 ottobre 2003: Sono un ex ragazzo di sinistra, ho un pedigree antifascista, leroe per antonomasia il partigiano che liber la mia citt, Casale Monferrato. [.] Ho voluto raccontare quel che accaduto nel mio campo. Negli anni successivi, tuttavia, le sue posizioni politiche si sono fatte pi sfumate ed ha affermato di non essere pi di sinistra, in quanto la sinistra non esiste pi (cfr. A. Cazzullo, Lo strappo di Pansa: non sono pi di sinistra, Corriere della Sera, 27 maggio 2007).

Questa operazione iniziata nel 1996 con il discorso di insediamento alla presidenza della Camera di Luciano Violante: Mi chiedo se lItalia di oggi e quindi di noi tutti non debba cominciare a riflettere sui vinti di ieri; non perch avessero ragione o perch bisogna sposare [] una sorta di inaccettabile parificazione tra le parti, bens perch occorre sforzarsi di capire, senza revisionismi falsificanti, i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Sal e non dalla parte dei diritti e delle libert ( HYPERLINK "http://legxiv.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed001/s100.htm&source=/organiparlamentari/ufficiopresidenza/leg13/presidente_violante_biografia.asp"http://legxiv.camera.it/chioschetto.asp?content=/_dati/leg13/lavori/stenografici/sed001/s100.htm&source=/organiparlamentari/ufficiopresidenza/leg13/presidente_violante_biografia.asp, consultato il 28 marzo 2012). Questa tendenza stata rafforzata da un discorso tenuto dal presidente della Repubblica Ciampi a Lizzano in Belvedere il 14 ottobre 2001: Abbiamo sempre presente, nel nostro operare quotidiano, limportanza del valore dellunit dellItalia. Questa unit che sentiamo essenziale per noi, quellunit che, in fondo oggi, a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che anim molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero credendo di servire ugualmente lonore della propria Patria ( riportato in Focardi, La guerra della memoria, cit., pp. 333-335).

Guido Crainz, a questo proposito, ha parlato di archeologia della violenza. Oltre agli studi gi citati, cfr. G. Crainz, Padania, Donzelli, Roma 2007, in cui ne ha dato parzialmente conto, e Id., Lombra della guerra: il 1945, lItalia, Donzelli, Roma 2007.

Pansa, Il sangue dei vinti, cit., p. 187. Pochi giorni dopo la pubblicazione di Il sangue dei vinti, nel novembre 2003, Antonio Serena, non nuovo a dichiarazioni antisemite e anti-antifasciste, fu espulso da Alleanza nazionale per aver distribuito a tutti i deputati una videocassetta contenente unintervista a Erich Priebke, uno dei responsabili della strage delle Fosse Ardeatine, intitolata Vae Victis (Guai ai vinti). La videocassetta era accompagnata da un messaggio in cui si affermava che essa conteneva un documento di eccezionale valore non solo storico; soprattutto un messaggio dallincommensurabile valore umano (cfr. F. Alberti, Il prof diviso tra destra e Lega con un mito: il ventennio, Corriere della sera, 20 novembre 2003 e M. Bracconi, Priebke, Haider e i Serenissimi. La carriera del deputato Serena, la Repubblica, 19 novembre 2003).

Sui caratteri della pubblicistica neofascista, cfr. F. Germinario, Laltra memoria: lestrema destra, Sal, la Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1999.

C. Mazzantini, A cercar la bella morte, Mondadori, Milano 1986.

Pansa, Il sangue dei vinti, cit., pp. 97-98.

Fu lo stesso Pansa ad affermare di aver coperto una pubblicistica sterminata: inchieste, spesso di matrice fascista, ma serissime, affidate a editori marginali, minoritari (E. Mannucci, Macch revisionismo. Questa la storia da sempre vietata al grande pubblico, Corriere della sera, 10 ottobre 2003).

Giorgio Pisan, ufficiale della X Mas fino alla fine della guerra, stato un giornalista (Oggi, Gente) ed un senatore missino (1972-92), oltre che autore di molte opere sugli anni del fascismo e della guerra civile.

Roberto Fiore, nato a Roma nel 1959, stato nel 1976 uno dei fondatori di Terza posizione, organizzazione extraparlamentare dellestrema destra fascista: molti suoi esponenti sono stati autori di azioni armate e terroristiche e alcuni sono poi confluiti nei Nar. Latitante a Londra, nel 1997 ha dato vita con Massimo Morsello a Forza nuova, partito che si richiama al fascismo storico e al cattolicesimo integrale. Cfr. U.M. Tassinari, Naufraghi. Da Mussolini alla Mussolini: 60 anni di storia della destra radicale, Immaginapoli, Pozzuoli 2007.

Matrix, 2 aprile 2008.

Queste azioni furono tra laltro condotte non dalle Brigate rosse dagli anni 70-80, ma da una nuova formazione i Nuclei comunisti combattenti che ad esse di richiamavano idealmente, pur senza avere rapporti diretti con quellesperienza.

Pansa, Il sangue dei vinti, cit., pp. 160, 327, 367.

G. Pansa, I vinti non perdonano. I crimini ignorati della nostra guerra civile, Rizzoli, Milano 2010.

Giampaolo Pansa torna a parlare da grande giornalista e polemista quale egli del sangue dei vinti, cio delle vendette partigiane dopo la Liberazione e in genere del periodo 1945-46 con una nuova opera, I vinti non dimenticano (Rizzoli). Ma secondo me questa volta fa due affermazioni discutibili. La prima: I killer delle Br si consideravano gli eredi dei terroristi della guerra civile. E con ragione penso io. Credo che considerare le azioni partigiane al pari delle azioni terroristiche sia riduttivo (Giampaolo Pansa torna sul sangue dei vinti e fa uno scoop sul fratello di Prodi soldato repubblichino, post del 1 ottobre 2010 su HYPERLINK "http://lanostrastoria.corriere.it/2010/10/giampaolo-pansa-torna-sul-sang.html" http://lanostrastoria.corriere.it/2010/10/giampaolo-pansa-torna-sul-sang.html ; consultato il 29 marzo 2012). Larticolo stato pubblicato solo nella parte del sito del Corriere della sera curato da Messina, mentre sulledizione cartacea il giudizio sul libro stato meno critico. Cfr. D. Messina, Memoria dei vinti e vittime civili, Corriere della sera, 22 ottobre 2010.

Pansa, Il sangue dei vinti, cit., p. IX.

Ivi, p. X.

Ivi, pp. 365-366.

E. Galli Della Loggia, I padroni della memoria, Corriere della Sera, 1 novembre 2003.

Cfr. D. Martirano, Pera: lItalia non ha pi bisogno di dirsi antifascista, Corriere della sera, 16 dicembre 2003.

C. Pavone, Una guerra civile: saggio storico sulla moralit nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991.

Cfr. M. Storchi, Uscire dalla guerra. Ordine pubblico e dibattito politico a Modena, 1945-1946, FrancoAngeli, Milano 1995; M. Dondi, La lunga liberazione: giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 1999; G. Ranzato, Il linciaggio di Carretta. Roma 1944: violenza politica e ordinaria violenza, Il Saggiatore, Milano 1997; C. Bermani, Storia e mito della Volante Rossa, Nei, Milano 1995; H. Woller, I conti con il fascismo: lepurazione in Italia, 1943-1948, Il Mulino, Bologna 1997; S. Villani, Leccidio di Schio. Luglio 1945: una strage inutile, Mursia, Milano 1999; N.S. Onofri, Il triangolo rosso, 1943-1947. La verit sul dopoguerra in Emilia-Romagna attraverso i documenti darchivio, Sapere 2000, Roma 1994; G. Oliva, La resa dei conti, Mondadori, Milano 1999; S. Morgan, Rappresaglie dopo la Resistenza: leccidio di Schio tra guerra civile e guerra fredda, Mondadori, Milano 2002; G. Crainz, Il conflitto e la memoria. Guerra civile e triangolo della morte, in Meridiana, 13, 1992, pp. 17-55; Id., La violenza postbellica in Emilia tra guerra civile e conflitti antichi, in P. Pezzino, G. Ranzato (a cura di), Laboratorio di storia. Studi in onore di Claudio Pavone, FrancoAngeli, Milano 1994, pp. 191-205; Id., Il dolore e la collera: quella lontana Italia del 1945, in Meridiana, 22-23, 1995, pp. 249-273; Id., Fra dovere di memoria e diritto alloblio, in I viaggi di Erodoto, 28, 1996, pp. 123-126 (si tratta degli Atti del Convegno Rivolta, violenza e repressione nella storia dItalia dallOttocento a oggi, Belluno, 6-7 ottobre 1994); Id., La violenza armata dopo la liberazione: problemi storici e storiografici in P.P. Poggio, B. Micheletti (a cura di), La guerra partigiana in Italia e in Europa, Atti del convegno, Brescia, 22-24 marzo 1995, Brescia, 2001; Id., La giustizia sommaria in Italia dopo la seconda guerra mondiale, in M. Flores (a cura di), Storia, verit, giustizia. I crimini del XX secolo, Mondadori, Milano 2001; R.P. Domenico, Processo ai fascisti, Rizzoli, Milano 1996; Marco Rossi, Il conto aperto. Lepurazione e il caso Codevigo: appunti contro il revisionismo, in Materiali di storia del movimento operaio e popolare veneto, 13, 1999, pp. 3-56.

Morgan, Rappresaglie dopo la Resistenza, cit., p. 41.

G. Crainz, LItalia era piena di sangue, la Repubblica, 8 novembre 2006.

N. Gallerano, Antifascismo. Come eravamo, come siamo, in Gallerano, Le verit della storia, cit., p. 292.

Morgan, Rappresaglie dopo la Resistenza, cit., pp. 80, 83-84.

Cfr., ad esempio, Si smonta la montatura del triangolo della morte, lUnit, 9 ottobre 1948.

Tra gli anni 40 e gli anni 50 furono migliaia i partigiani, per lo pi appartenenti a formazioni di sinistra, processati con le accuse di associazione a delinquere, rapine, furti, estorsioni, omicidi. I procedimenti si conclusero generalmente con alcuni anni di carcerazione preventiva: in alcuni casi non si arriv al processo e la maggior parte dei condannati venne prosciolti in appello. Cfr. M. Ponzani, I processi ai partigiani nellItalia repubblicana. Lattivit di Solidariet democratica (1945-1959), in Italia contemporanea, 237, 2004, pp. 611-646; Ead., I processi contro i partigiani nel dopoguerra. La contestazione della legittimit della Resistenza nellItalia repubblicana (1945-953), in Il presente e la storia, 71, 2007, pp. 243-272; Ead., Loffensiva giudiziaria antipartigiana nellItalia repubblicana (1945-60), Aracne, Roma 2008.

M.G. Rossi, Prefazione, in Ponzani, Loffensiva giudiziaria antipartigiana nellItalia repubblicana, cit., p. 7.

Esse furono pubblicate il 27dicembre 1987 e l8 gennaio 1988.

Focardi, La guerra della memoria, cit., pp. 56-93.

M. Smargiassi, Reggio, storici contro politici. Facciano il loro mestiere, la Repubblica, 16 settembre 1990.

G. Pansa, Coccodrilli senza pudore, la Repubblica, 12 settembre 1990.

G. Pansa, Scheletri al garofano, LEspresso, 16 settembre 1990.

E. Deaglio, Seicento ammazzati in Emilia dopo la liberazione, la Stampa, 17 gennaio 1992.

Gallerano, Antifascismo, cit., p. 293.

M. Smargiassi, 25 aprile guerra continua, la Repubblica, 16 dicembre 1994.

G. Ranzato, Aprile 1945. Perch ci fu la resa dei conti, la Repubblica, 7 luglio 1998.

A. Sofri, Il 25 aprile sulle magliette, la Repubblica, 25 aprile 2003.

Id., Europa e Israele, paure parallele, la Repubblica, 10 febbraio 2004.

C. Fiori, E il partigiano divent assassino, Corriere della sera, 8 novembre 1995.

A. Bevilacqua, La polvere sullerba, Einaudi, Torino 2000, p. 169.

G. Pacchiano, Bevilacqua, amore e menzogna nel triangolo rosso, Corriere della sera, 3 giugno 2000.

Bevilacqua, La polvere sullerba, cit., p. 170.

Perch, altrimenti, non sarebbe stato possibile scrivere brani come questo, che sembra stato messo nel romanzo solo per inserirsi in una polemica aperta: Stava studiando il modo di far cadere, sul caso di don Pessina, quel velo di silenzi ostinati e colpevoli omert, che sarebbe durato per oltre quarantanni, fino alla svolta del 1990, lanno del Chi sa, parli, a causa di Otello Montanari: luomo che, col suo jaccuse, avrebbe giocato un ruolo decisivo perch si riaprisse una pagina di storia che in tanti volevano sepolta. Quasi mezzo secolo per saperne davvero qualcosa sul Triangolo della Morte (Ivi, pp. 84-5).

R. Polese, Biagi, autobiografia di una generazione, Corriere della sera, 20 aprile 2003.

G. De Luna, Resistenza: hanno vinto i revisionisti, La Stampa, 9 novembre 2006.

Id., La storia sempre nuova dei quotidiani e la costruzione del senso comune, in Passato e presente, 44, 1998, pp. 5-14.

M. Pirani, La memoria delle vendette partigiane, la Repubblica, 7 novembre 2003.

Ibidem.

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