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Ma dove sono i vigili?

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Apologo semiserio sulla xenofobia casereccia.

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Tratto dal libro COME QUADRI DI UNA ESPOSIZIONEStorie minime II -(Prossima pubblicazione)di Alberto Gianfranco Baccelli©2014

MA DOVE SONO I VIGILI?

Mario pensa beatamente ai cavoli suoi, mentre passeggia con le mani

sprofondate nelle tasche dei pantaloni ed il sigaro in bocca, per i vicoli

stretti della sua vecchia città.

L’afa estiva si sta appena stemperando nell’aria del crepuscolo ed a lui

piace immensamente camminare senza meta a quell’ora.

Poca gente transita per le anguste vie ed alcuni negozi, per lo più bot-

teghe artigiane, stanno per chiudere, ma a Mario questo non interessa,

anzi meno persone incontra più è contento. Per questo prova disappunto

nel vedere ancora capannelli di ragazzi nella sua piazzetta preferita.

Stanno tutti al centro, attorno alla piccola fontana di pietra, sormontata

da una statua rappresentante una donna a seno nudo con una brocca tra

le braccia.

Man mano che si avvicina a quei gruppetti, comincia a capire perché

se ne stanno tutti lì ammucchiati. Alcuni venditori hanno steso delle

coperte a terra e sopra hanno disposto le loro cianfrusaglie a buon mer-

cato, per lo più cd musicali e dvd, rigorosamente falsi.

Scuotendo il capo in segno di disapprovazione, passa oltre velocemen-

te.

Tra una boccata e l’altra del suo sigaro, con le mani sempre sprofondate

nelle tasche, s’infila in una stradina laterale dove l’odore d’umido si

percepisce anche in piena estate.

“Questi neri sono dappertutto ormai…” ragiona tra sé ripensando alla

scena vista in piazza.

“Ma, purché non vadano a rubare, poveracci, è meglio che si arrangi-

no.” Continua, poi quasi fermandosi ha un altro pensiero: “Che dico,

anche così stanno rubando. Certo. Vendendo quella roba contraffatta

tolgono incassi ai venditori autorizzati e per di più non pagano le tasse

e neppure i diritti agli autori.”

A questo punto si ferma e si volta indietro, come volendo tornare sui

propri passi.

“Quando servono i vigili non ci sono mai. Devono impedire questo

abuso. Ci mancano anche gli immigrati ad evadere le tasse e a truffare i

diritti dei cittadini onesti.”

Scuotendo di nuovo il capo riprende la sua strada, aspirando ancor più

avidamente il suo amato sigaro.

Fatti pochi metri, incrocia due uomini che con passo svelto si dileguano

svoltando per una stradina buia.

“Mamma mia che ceffi, meno male che sono subito andati via… Mette-

vano paura.” commenta in cuor suo rassicurandosi gettando uno sguar-

do alle spalle.

“ Questi erano albanesi, non c’è dubbio, si riconoscono lontano un mi-

glio. Con quello sguardo gelido e torvo, con quel fare sospetto e furtivo.

Sicuramente architettano qualcosa di poco pulito.”

Così pensando e scuotendo la testa, ancora una volta, prosegue la sua

passeggiata.

“Ormai s’incontrano più extracomunitari che concittadini… Ce ne sono

di tutti i tipi poi e che tipi, te li raccomando.” Continua a ragionare, un

po’ disturbato da quegl’incontri.

Il piccolo ed angusto vicolo sfocia in uno slargo, deserto.

Rasserenato da quella visione Mario alza lo sguardo verso i tetti ancora

illuminati dal sole del tramonto. Nuvole di fumo denso escono da un

angolo della sua bocca, mentre estasiato osserva con attenzione i riflessi

rossastri su alcune finestre. Proseguendo con passo leggero imbocca

una stradina laterale, poco illuminata.

Scorge subito una figura appoggiata all’angolo di una casa, proprio in

fondo a quel vicolo oscuro, all’incrocio con una via più ampia e traffi-

cata.

Pare una donna, con una lunga gonna, che in attesa se ne sta appoggiata

al muro ed ogni tanto si discosta, proprio quando passa qualcuno nella

via.

Ancora alcune decine di metri separano Mario da quella persona, ma

già ha il presentimento che non si tratti di una persona normale.

La figura immobile ora è a pochi passi e capisce subito che quella è una

zingara che chiede l’elemosina ai rari passanti. Tutti fanno finta di non

vederla e proseguono spediti nel loro cammino, lei muta china il capo e

protende un piattino di plastica verde. Dentro alcuni spiccioli. Nessuno

però allunga un centesimo.

Mario capisce che aveva ragione, quella non era una persona normale.

“Ci risiamo, un’altra sfruttatrice! Ma è possibile che nel ventunesimo

secolo ci sia ancora gente come questa in giro in una città civile? Ma

come fanno, nessuno li vede? Perché non li scacciano e li rimandano

nei loro rispettivi paesi? Che ci stanno a fare qui? Ma i vigili urbani

dove sono?” Pensa in un turbine di emozioni. Poi si ferma davanti alla

donna che se ne sta supplichevole con un braccio teso verso di lui. La

guarda negli occhi e lei speranzosa con un filo di voce dice:

- Signore dammi qualcosa… Ho fame, non mangio da due giorni… Dio

te ne renderà merito! -

Visto che l’uomo che ha davanti non accenna a nessuna reazione, né ad

andarsene, né a dargli un’offerta, la zingara insiste:

- Signore, ti prego… Mi basta poco denaro, mi accontento di quello che

mi puoi dare.-

Mario ha come un sussulto, si toglie una mano dalla tasca e lentamente

afferra con due dita il sigaro fumante che ha tra le labbra. Poi con gesto

meccanico porta la mano sopra il piattino della zingara e vi scuote la

cenere dentro, sempre guardando fisso negli occhi la donna.

Quest’ultima colta di sorpresa se ne resta a bocca aperta e, mentre l’uo-

mo si allontana sghignazzando, riesce solo a pronunciare qualche in-

comprensibile parola sottovoce.

Orgoglioso del suo gesto Mario se la ride.

“Così impara a dare fastidio alla gente. Io in fondo ho solo fatto quello

che gli altri non hanno coraggio di fare. Se tutti avessimo più coraggio,

in giro non ci sarebbero certo questi individui. Comunque basterebbe

che i vigili fossero un po’ più presenti…”

In breve, con la testa piena di questi propositi, giunge al termine della

sua consueta passeggiata.

E’ quasi arrivato al parcheggio dove ha lasciato la sua auto nuova, alla

quale tiene più d’ogni altra cosa.

Acquistata con un pesante finanziamento ed a costo di sacrifici,

quell’auto è un simbolo per lui. Super accessoriata, sempre in ordine e

pulita. Al suo interno lui non fuma e sta sempre attento a non graffiarla.

Appena giunge a casa comincia a lucidarla con un panno e dentro è

sempre profumata e senza un granello di polvere.

Superate le prime file di auto, ordinatamente parcheggiate dentro gli

spazi delimitati, scorge una pattuglia di Vigili intenta a rilevare multe.

“Ecco dove se ne stavano…” pensa dentro di sé Mario.

Poi, accorgendosi che gli agenti sono proprio in direzione del posto

dove lui ha lasciato la sua adorata vettura, ha un sussulto ed affretta il

passo. Giunto a pochi metri, molto preoccupato, vede uno dei Vigili

strappare dal blocchetto delle contravvenzioni un foglietto azzurrogno-

lo e lo pone sotto il parabrezza di un’auto in sosta fuori dagli spazi.

“Ma quella è la mia automobile…” realizza infine.

- Scusate, agenti! Vado via subito, solo due minuti, sono stato…- cerca

di giustificarsi.

- Mi spiace, ma siamo qui da un quarto d’ora e la sua auto, oltre ad

essere fuori dagli spazi, è parcheggiata in parte sul marciapiedi.- gli

contesta l’agente con ancora in mano la penna ed il blocchetto.

- Sì, magari il tempo mi è volato, ma sono dovuto andare in farmacia

per la mia anziana madre sofferente e non avendo trovato posto, data

l’urgenza, ho lasciato un attimo l’auto qui. Ma sono tornato subito. Ec-

comi, ora la tolgo e me ne vado. Per favore toglietemi la multa. Abbiate

comprensione.- cerca di convincere i due agenti, impietosendoli con la

prima frottola che gli è passata per la mente.

- Ah, sì? E la farmacia era chiusa?- gli chiede con tono ironico l’altro

vigile, che nel frattempo si era avvicinato.

- Perché?- fa Mario, visibilmente sorpreso da quella domanda impor-

tuna.

- Perché lei non ha nessuna medicina con sé.- gli fa osservare il primo

agente.

- Uh?… Eh?- balbetta interdetto Mario, poi prosegue – Sì, sì, era pro-

prio chiusa, per questo non ho nulla con me.-

- Senta, conosciamo i tipi come lei, pur di non pagare una multa chissà

cosa è capace di inventarsi!.-

- Se non ricordo male la farmacia più vicina è proprio dalla parte op-

posta da dove lei è venuto, guardi, da qui si vede l’insegna illuminata.

E’ anche aperta, vede?-

Ammutolito e tutto rosso dalla vergogna Mario, prende il foglietto del-

la contravvenzione e sale in auto, mentre gli agenti lo congedano con

dei sorrisi sarcastici.

“ Maledetti, invece di proteggere i cittadini dagli invasori evasori, se

la prendono con chi sgarra appena… L’auto poi non dava fastidio a

nessuno, escluso chi doveva uscire dall’altra parte, ma quante saranno

state mai le auto che passano di là a quest’ora…” Assorto in questi

pensieri, Mario entra in strada senza rispettare lo stop e centra in pieno

una grossa e lussuosa vettura che stava sopraggiungendo.

Subito scende e comincia ad imprecare.

Dall’altra automobile scende un ragazzone alto, ben vestito e con uno

sguardo un po’ accigliato.

Guardandolo con meraviglia e disappunto, Mario pensa tra sé: “ Que-

sto è un ladro di sicuro, vedrai che ora scappa…”

Invece il giovane si avvicina e guardandolo dall’alto, gli fa:

- Spero che lei sia assicurato, ha fatto un bel danno, signore.-

- Io assicurato? Lei piuttosto come fa a girare con questo macchinone?-

- Cosa intende scusi?-

- Intendo ciò che ho detto… Dove lo ha preso?-

- Ma a lei cosa importa? Lei la sua dove l’ha presa, allora?-

- Cosa c’entra? Io non sono mica un…un…- s’impappina Mario, visi-

bilmente adirato.

- Un negro, vuol dire per caso?- Taglia corto l’altro.

In quel mentre arrivano i Vigili, che avendo notato la scena dell’inci-

dente sono subito accorsi.

- Di nuovo lei?- osserva uno dei due, rivolto a Mario.

- Controllate subito che questa Mercedes non sia rubata, presto.- li

esorta, con tono deciso lui.

- Ma che dice, è pazzo?- sbotta il giovane di colore.

- Calma, calma…- fanno entrambi gli agenti.

- Mostrateci innanzitutto i rispettivi documenti, forza.-

Sia Mario che il giovane si apprestano a fornire quanto richiesto. In

breve i vigili effettuano il controllo, collegandosi alla Centrale Opera-

tiva e restituiscono i documenti.

- Ma come, non lo arrestate?- chiede sgomento Mario.

- Ma perché lo dovremmo arrestare, scusi?-

- Avete visto che razza di auto ha quello lì?-

- Innanzitutto un po’ di rispetto…- fa presente il giovane, alzando

l’indice della mano destra.

- Giusto. Tanto per farle sapere, - dice col solito sorriso ironico uno

degli agenti, - quello lì come lo ha chiamato lei, è uno dei più grandi

industriali della città.

- Della nostra città, intende?- chiede Mario visibilmente turbato.

- Della nostra.- sentenzia il vigile.

- Cioè anche della mia…- sottolinea con un sorrisone a trentadue denti,

il giovane.

Mario si fa bianco in volto. E’ confuso, non riesce a crederlo. Forse non

vuole credere che sia possibile ciò che ha udito.

- Bene, ora occupiamoci dell’incidente.-

Mentre gli agenti fanno i rilievi e stendono il verbale, il giovane in-

dustriale conversa al cellulare con uno dei suoi collaboratori e Mario

seduto nella propria auto, attonito, aspetta la fine di questa brutta av-

ventura, pensando a come possa essere possibile che nella sua vecchia

città, esistano anche degli immigrati che non siano ladri od accattoni.

Illustrazione di bag

alberto gianfranco baccellion facebook