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INQUESTONUMERO
1-2-3 maggio: Meeting di arrampicataElezioni amministrativeCome è bello andar sulla biciclettaCaro diario...
INVENETOCULTURA E PROMOZIONE DEL TERRITORIO INVERNO 2010
MAGAZINE
INQUESTONUMERO
3Editoriale 4Chi ha paura di Garibaldi? 12Neve sul Nove-gno 18Che sonno! 248 luglio 1818 28Quando il vento del-l’est 31Carnevale zoldano 36Ladro di rose 40Che fine ha fatto Peter Pan? 44Trame di fantasia 48Il recuperante di memorie 52Broccoli 56Il mare d’inverno (in bicicletta)
Peri
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Invia la risposta a [email protected] precisando il luogo (via e comune). Quindi indica il tuo nome, cognome e indirizzo completo.
Tutti coloro che invieranno la risposta esatta entro il 15 gennaio 2011 riceveranno a casa il volume “Dove la terra era acqua”.
Il leone dello scorso numero - nella foto a lato - è stato fotografato a Piove di Sacco (PD), nella piazza principale. L’hanno indovinato Antonio Contin e Enrico Ciprian, en-trambi di Padova.
INVENETO MAGAZINEtrimestrale gratuito di cultura
e promozione del territorio
Reg. Per. n. 2/2009Tribunale di Bassano del Gr.
Direttore ResponsabileCristina De Rossi
Capo RedattorePaolo Perini
RedazioneSilvia Bizzotto, Manuel Campa-gnaro, Stefano Malvestio, Matteo Mocellin, Davide Pegoraro, Paolo
Perini
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
PER I TESTINico Bertoncello, Franco Bizzot-to, Silvia Bizzotto, Giuseppe (Joe) Bonato, Lorenza Faccioli, Stefano
Gasparotto, Stefano Malvestio, Chiara Masiero, Paola Milanese, Matteo Mocellin, Paolo Perini,
Nicola Sartorio
PER LE FOTOGiorgio Bertoncello, Lorenza
Faccioli, Giuseppe (Joe) Bonato, Paola Milanese, Matteo Mocellin, Stefano Gasparotto, Paolo Perini,
Nicola Sartorio
REDAZIONEC.P. 244 - Via Volpato, 50
36061 Bassano del Gr. - VI
[email protected] www.inveneto.biz
339 4173657
INVENETO MAGAZINE è stampato in dodicimi-la copie e distribuito gratuitamente in cinquecento punti del Veneto (librerie, biblioteche...).
I lettori che gradissero ricevere la rivista a casa pro-pria possono abbonarsi a 4 numeri effettuando un versamento di 10 euro (per la copertura delle spese di spedizione postale) a:
INVENETOIBAN: IT65K 05728 60169 033570 483121
oppure attraverso un vaglia postale a:
INVENETO - casella postale 24436061 Bassano del Grappa (VI)
Si prega di specificare come causale del versamen-to “abbonamento Inveneto Magazine” indicando nome, cognome e indirizzo completo.
INVENETO MAGAZINE è realizzato dall’associazio-ne Inveneto, un’organizzazione priva di finalità di lucro che ha lo scopo di far conoscere, apprezzare e tutelare il territorio della nostra regione nonché af-frontare le problematiche che lo riguardano.
Gli autori di testi, foto e disegni mettono a dispo-sizione gratuitamente tempo e materiale.
Coloro che apprezzano la rivista e desiderano collaborarvi sono invitati a mettersi in contatto con noi all’indirizzo della Redazione.
Siamo sicuri che l’aria prenatalizia ci farà accantonare presto
- se non dimenticare - l’ultima sciagura che ci è capitata, il Veneto
sott’acqua.
E’ deprimente per noi occuparci di “cultura e promozione del
territorio” - come proclama il sottotitolo di questa rivista - mentre il
territorio sparisce, viene eroso, mangiato, consumato, abbandona-
to: cosa promuoviamo, il fango?
L’uomo mette in ordine perché l’ordine ci serve - come specie
umana - ma la natura se ne frega di questa nostra esigenza. Anzi,
per lei l’equilibrio naturale è proprio il fango, e siamo noi ad aver
bisogno di acqua da una parte e terra dall’altra.
Poco serve ricordarlo: quando andremo a votare la prossima
volta - non ci vorrà molto - ci faremo infatuare dall’affascinante
slogan “paroni a casa nostra”.
Il problema è che la natura non è federalista e noi - se ci pensia-
mo - siamo “paroni de gnente”: non è federalista l’acqua dei fiumi,
che passano da una regione all’altra. Nemmeno l’aria lo è: arriva
da dove vuole e va dove vuole. Non parliamo delle correnti mari-
ne, anche loro disobbediscono alla nostra propaganda (perfino le
padanissime anguille fanno sempre di testa loro e vanno a ripro-
dursi nel Mar dei Sargassi). Meglio lasciar perdere.
Cosa fare, allora?
Niente. Abbiamo già tutto quel che ci serve - conoscenze, risor-
se, tecnologia - ma lo adoperiamo per le sagre: del mas-cio, del
bo, de’a vongola, de’a luganega, de’e trippe, dei s-ciusi, dei osèi.
Eppure cinquecento anni fa la Repubblica di Venezia - di cui ci si
riempie la bocca - finanziava i “Savi delle Acque”.
Soldi buttati via...
Paroni a casa nostra, dunque.
Del paltan...
Inveneto onlus
EDITORIALEDOVE SI TROVA IL LEONE FOTOGRAFATO IN COPERTINA?
COME RICEVERE LA RIVISTAA CASA PROPRIA
COME COLLABORARE CON NOI
3
Per inserzioni promozionali telefonare al
349 7230686
“Purtroppo agli uomini piace concentrarsi su quello di cui hanno bisogno nell’immediato. E così non rispettano le regole”.
Giorgio Napolitano
Tutti i numeri della rivista (compresi gli arretrati) sono scaricabili gratuitamente dal nostro sito www.inveneto.biz
STORIA
ChI HA PAURA DI
GAribaldi?
Se non ci fossero stati i Veneti, addio Unità d’Italia! Sono i numeri a dirlo: nel 1860 più di 150 furono i nostri corregionali che si imbarcarono nella spedizione dei Mille, nonostante la distanza - geografica e politica - dal Regno delle Due Sicilie.
Stesti e foto di paolo perini
Monumento equestre a Giuseppe Garibaldi (Rovigo).
Alla fine della Seconda Guerra d’ Indipendenza venne proclamata l’Unità d’Italia (14 marzo 1861), che si completò alla fine della Terza Guerra con l’adesione del Veneto (1866) e l’annessione di Roma (1871). Il Trentino e Trieste vennero annesse a seguito della Grande Guerra (1915/1918).
E soprattutto veneti furono i due terzi -
ben 38.000! - dei volontari che nel 1866
si presentarono a Garibaldi per l’ultimo
conflitto che avrebbe liberato la nostra
regione dal dominio Austriaco.
Che Garibaldi sia stato un grande uomo
potrebbe sembrare indiscutibile, e non
solo per le imprese che lo portarono a
guidare l’unificazione dell’Italia - suddivisa
fino ad allora in stati e dominazioni diverse
- ma anche perché egli era profondamente
libertario, atteggiamento di cui si torna ad
aver nostalgia. Inoltre Garibaldi era un
convinto anticlericale in un momento in
cui la chiesa dettava legge in ogni aspetto
della vita, dalla morale alla società fino -
naturalmente - alla politica. E ad occhio e
croce anche di laicità si sente mancanza,
oggi.
E poi il nostro condottiero fu un
grande visionario: riuscì a immaginare
quel che pochi altri pensavano
possibile, e trovare chi - con lui
- avesse voglia di concretizzare
quella sua idea di Paese che alla
fine vide compiuta.
I suoi detrattori, oggi, sostengono
invece che fosse un mercenario, che si
fosse avvalso di briganti e nullafacenti, di
persone poco raccomandabili, e che i suoi
obiettivi furono deleteri.
Che l’epopea garibaldina abbia avuto
le sue contraddizioni, questo è indubbio,
ma altrettanto indubbio è che Garibaldi fu
molto amato.
Alle fine delle sue alterne vicissitudini
L’Italia nel 1815.
L’Italia nel 1861.
5
Dietro all’aspetto piuttosto rude, Garibaldi era meticolosamente attento all’immagine, a cominciare dalla camicia rossa, il cui colore significa coraggio, scrive Paolo Rumiz nella sua indagine sull’Italia garibaldina di oggi (Repubblica, agosto 2010).
I jeans - il cui nome non è altro che la storpiatura americana della parola “Genova” - erano in dote a tutti nostri marinai per la loro praticità. Il fazzoletto al collo è uno dei simboli più popolari ed identificativi, mentre il copricapo austero e la mancanza di medaglie lo associavano alle personi comuni. Il poncho - eredità latino-americana - rappresentava la guerriglia. Il bastone - infine - rammentava le ferite di guerra e quindi l’eroismo. Il tutto, dunque, senza necessità di accessori che ne esaltassero il prestigio personale.
Ma a Garibaldi interessavano anche altre sorti, come quella degli animali. Per questo, nel 1871, costituì a Torino - assieme a Anna Winter e Timoteo Riboli - la “Società Protettrice degli Animali contro i mali trattamenti che subiscono dai guardiani e
dai conducenti”, la più antica società zoofila italiana.
Gli associati dovevano “aver diritto di ammonire i trasgressori e mano forte contro di essi a denunziare alle rispettive autorità i trasgressori”.
S u c c e s s i v a m e n t e nacquero altri enti fino alla costituzione di una federazione nazionale (R.D. 28 gennaio 1929 n. 55) che oggi è rappresentata dall’Enpa, Ente Nazionale Prote-zione Animali.
ASTUZIA E CUORE
Nel 1950, in occasione del centenario, la Edizione Panini dedicò agli Eroi del Risorgimento una storica raccolta di figurine.
e della sua rocambolesca vita, egli venne
ricordato ad ogni latitudine: ben 5500
comuni (sugli 8101 attuali) gli dedicarono
una via o una piazza, e oltre 1200 sono
state le iscrizioni marmoree che nel nostro
Paese testimoniano i luoghi - case, locande,
municipi - della sua presenza.
Un paio di foto del condottiero e un manifesto dell’ENPA.
Nel ‘900 fu il fascismo il primo a cercare
di impadronirsi della sua figura svuotandola
però del contenuto che egli rappresentava, a
cominciare dal mito libertario-socialista che
egli incarnava e che dunque ingombrava
la retorica mussoliniana. Così come non è
certo una coincidenza che oggi - nel 150°
anniversario dell’unità nazionale (1860) -
qualcuno si accanisca contro Garibaldi per
il fatto che lo stato unitario rappresenta un
ostacolo al delirio secessionista.
Il Risorgimento veneto è invece pieno
di personalità che meriterebbero altra
considerazione. E se volessimo cercare
nella storia passata qualche esempio a cui
rifarsi, avremmo solo l’imbarazzo della
scelta visto che il nostro Risorgimento
offre molti motivi d’orgoglio e di identità,
oltre che di seria riflessione, a cominciare
dai primi moti del 1848 e passando per le
varie Guerre d’Indipendenza.
Tra questi il più illustre fu senz’altro il
padovano Ippolito Nievo, giornalista e
autore de “Le confessioni di un italiano”.
Seguì la spedizione a bordo del “Lombardo”
e morì nel 1861 in un naufragio a largo di
Napoli mentre probabilmente trasferiva
documenti che denunciavano a Garibaldi
il pessimo comportamento di alcuni dei
suoi.
Una delle tante “Via dei Mille” presenti nelle città venete.
7
Garibaldi a Schio (a lato) e a Belluno (sotto).
Di maggior fama dovrebbe godere la
pressoché sconosciuta Antonia Marinello,
altro “garibaldino” che - sotto spoglie
maschili - si aggregò in camicia rossa a
Garibaldi. Un giornale di Firenze, dove
la coraggiosa Antonia - di Cervarese
Santa Croce (PD) - visse al ritorno della
spedizione, un giorno del 1862 domandava
ai lettori se avessero visto «jeri l’altro sera
quella bara che portava un cadavere all’
ultima dimora», e se sapessero che fosse
«...una Garibaldina che col suo fucile
in spalla fece tutto quel che fecero quei
generosi giovani».
Tra i garibaldini veneti, il gruppo più
numeroso - più di una trentina - proveniva
dalla provincia di Vicenza, dove i moti del
1848 erano stati particolarmente incisivi.
Tra di loro Domenico Cariolato.
Dopo aver partecipato alle prime
battaglie risorgimentali, egli si arruolò
nei Mille distinguendosi per il suo valore
così tanto che Garibaldi lo volle al proprio
quartier generale, dandogli nel 1866 il
comando dei volontari nella campagna del
Trentino a Bezzecca, in una delle battaglie
più decisive della Terza e risolutiva Guerra
di Indipendenza.
Quando poi Garibaldi ruppe gli indugi e
nel 1867 puntò su Roma (contro la volontà
dello stesso governo italiano), Cariolato
fu nominato colonnello e inviato
nella futura capitale a promuovervi -
inutilmente - l’insurrezione popolare. E
quando il comandante supremo morì nel
1882 a Caprera, il vicentino fu tra i pochi a
depositare nel feretro la salma.
Insomma: ci sono un sacco di storie
risorgimentali che ci riguardano, e non
sarebbe male approfondire.
Camicia o giubba?
Che la camicia fosse rossa, non vi è alcun dubbio. Resta da capire se si trattasse davvero di una camicia o invece di una giubba. Una visita al Museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza toglie ogni dubbio: in una’ampia vetrina, assieme ad altre divise, emerge in tutto il suo abbagliante colore - un rosso davvero insolito - l’indumento indossato da Domenico Cariolato.
Della camicia ha molto poco: il tessuto è un velluto piuttosto pesante, ed impressiona che per una spedizione condotta nel meridione d’Italia nella prima metà di maggio sia stata realizzata in questo modo.
Il colletto sembra più adeguato ad una giacca, che ad una camicia, così come l’abbottonatura in metallo.
Allora perché camicia, tanto più che le “giubbe rosse” canadesi sarebbero sorte dodici anni dopo?
La “camicia” ed il busto di Domenico Cariolato (Museo del Risorgimento - Vicenza).
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10
PER SAPERNE DI PIU’
www.museicivicivicenza.it
Museo del Risorgimento e della Resistenza.Orario: dalle ore 9:00 alle ore 13:00 e dalle ore 14:15 alle ore 17:00. Chiuso il lunedì.
Un asiaghese, nel 1848, mise insieme un corpo di volontari - la Legione Cimbrica - e insorse contro la tirannia austriaca, distinguendosi in alcune battaglie che segnarono la Prima Guerra di Indipendenza. Era Cristiano Lobbia.
Laureato in ingegneria (diresse i lavori di costruzione della strada del Costo, che sale da Piovene Rocchette ad Asiago), si arruolò nelle truppe garibaldine con alcuni vecchi compagni e nel 1867 - con Firenze capitale del Regno - venne eletto alla Camera dei Deputati tra le filea dei liberali.
Anche qui si distinse per onestà e intransigenza morale, impegnandosi nello svelare uno scandalo che coinvolgeva i potentissimi Monopoli dei Tabacchi. Per questo fu aggredito, bastonato ed accoltellato.
Una volta ristabilitosi, egli si presentò alla Camera con la bombetta che portava la sera dell’aggressione e che presentava un
incavo nel mezzo, dovuto al colpo di bastone.Fu allora che un cappellaio fiorentino si mise
a fabbricare cappelli come il suo, schiacciati nel mezzo, che ancora oggi vengono chiamati “Lobbia”.
Cristiano LOBBIA
Di grande aiuto può essere il Museo
del Risorgimento e della Resistenza di
Villa Guiccioli, a Monte Berico (Vicenza),
l’Istituto che sorge proprio sui luoghi della
più cruenta resistenza vicentina del 1848.
Custodisce materiali e documenti che
vanno dalla prima campagna d’Italia di
Napoleone nel 1796 alla lotta di liberazione
(1945), appartenenti sia alla storia d’Italia
che di Vicenza.
Il Museo del Risorgimento (Vicenza).
Il busto di Lobbianel Parco della Rimembranza ad Asiago (VI).
11
Così una limpida domenica mattina
d’inverno, quando ancora tutto dorme, io
e il mio caro amico Paolo, sempre disposto
a queste iniziative, ce ne partiamo per i
Tretti.
E’ buio, di gente fuori non c’è ombra,
solo qualche finestra accesa, il camino
già fumante di quel fumo che sa dell’acre
odore di legna appena accesa, mentre
le auto che incontriamo sono forse dei
ritardatari della notte.
Meno di un’ora e si arriva al parcheggio
NEVESUL
NOVEGNO
Tempo: di tempo ce n’é sempre poco, sempre meno... Tempo per un appuntamento, per il lavoro, il doveroso tempo per i figli e la famiglia, ma ci accorgiamo del mondo che ci circonda? E troviamo il tempo per fermarsi e ammirare? Così, senza rubare niente a
nessuno, non ci resta che rubare del tempo al nostro tempo.
Ttesti e foto di stefano gasparotto
ESCURSIONE
di Cerbaro, dove posta l’auto ci
incamminiamo sulla invitante e rilassante
carrozzabile che conduce ai monti
Novegno e Priaforà.
La neve da qualche chiazza iniziale
comincia a fare spessore sotto i nostri
scarponi e poco dopo copre ogni asperità,
livellando incavi e piccoli arbusti.
Siamo soli, noi e il freddo.
Questo mi gela le mani e anche il naso
mi dà segni di sofferenza.
Si sale con passo cadenzato, dopo aver
In salita.
Malga Davanti (Baita Novegno).
13
raggiunto Casara Vecchia deviamo subito a
sinistra abbandonando la strada che porta
al Passo di Campedello.
Su un ripido sentiero tagliamo i tornanti
della strada, accorciando il tragitto fino ad
arrivare non senza fatica al crocevia con il
sentiero n. 422.
Si cambia versante e lasciato il bosco
e la veduta sulla piana padana avvolta in
una ovattata foschia, l’ampio e cristallino
spettacolo del Pasubio e delle Piccole
Dolomiti già ci appaga del freddo provato.
Dopo una breve pausa per ammirare
il contorno delle montagne a noi care si
riparte con Paolo avanti a me, riprendendo
le tracce di qualcuno che ci ha preceduto
dopo la nevicata del giorno prima.
Il vento si fa sentire insistentemente, non
Malga Novegno.
Verso la Busa del Novegno.
Belvedere di Tezze sul Brenta (VI) - Via Nazionale, 60Tel e Fax 0424 561095 - www.suegiusport.it - e-mail:[email protected]
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ITINERARIO
Da Cerbaro (Tretto) si prende la carrozzabile per il monte Novegno/Priaforà (Sent. CAI n. 433/435) fino alla Casara Vecchia e da qui si piega a sinistra fino ad incrociare il sentiero CAI n. 422. Superata Baita Novegno ed incrociato il sentiero CAI n. 400 si tiene la destra. Raggiunto il sentiero n. 433 si piega a destra per aggirare la sommità del Novegno e poi rientrare al punto di partenza ancora attraverso Casara Vecchia.
dà tregua, soffia fuori e dentro di me.
Per il pendio arriviamo alla Malga
Davanti (Baita Novegno): è chiusa, e la
neve sembra prenderne possesso aiutata
dal vento, ammucchiandosi sulla parete e
sulle finestre del versante di ponente.
Là troviamo tre amici in sosta che stanno
sperimentando le ciaspole; sono goffi nei
loro movimenti, ma ammaliati dalla novità
li fa sembrare tre fanciulli ebbri della
giovinezza ormai lontana.
Proseguiamo e, oltrepassata una china,
Busa del Novegno si apre tutta davanti a
noi, una coltre abbondante di neve copre
ogni cosa; seppur biancastre si distinguono
le lunghe strutture della Malga Novegno e
la piccola chiesetta ne fa loro compagnia.
Senza scendere di quota facciamo il
giro della conca dove particolari prima
pressoché privi di interesse danno ora la
loro parvenza comparendo dal bianco
manto di neve.
Scendiamo nella coltre ancora intatta
per intrecciare il sentiero inferiore, qui
i segni del passaggio di un abitante della
zona tagliano il nostro cammino; dove sarà
ora? Starà scrutando senza dubbio il nostro
andare con fare attento, mimetizzato nel
suo manto.
Il percorso in quota qui si conclude
trovandosi nuovamente al bivio dei
due sentieri incontrato durante la
salita, prendiamo il tragitto del
ritorno accompagnati fino all’auto da una
quasi incessante e rumorosa colonna di
escursionisti che hanno voluto godersi
il tepore del giaciglio prima di mettersi
in cammino, all’oscuro dello spettacolo
perduto per qualche ora di sonno in più.
Alla macchina uno sguardo ancora verso
l’alto in un ultimo e profondo respiro, poi
a casa in fretta perché il tempo rubato al
nostro tempo è concluso.
Impronte.
BAITA MONTE ASOLONE0424 559000
sabato 1 gennaio 2011SULLE TRACCE DI PETER PANore 14: Da Cima Grappa alla Baita Monte Asolone con le ciaspole.ore 18: Presentazione del nuovo dvd La Prima Guerra Mondiale sul Monte Grappa (Belle Epoque).ore 19.30: Cena libera in Baita.
domenica 6 febbraio 2011SUL GRAPPA DOPO LA VITTORIAore 15: Presentazione del libro di Paolo Malaguti Sul Grappa dopo la vittoria e incontro con lʼautore.ore 17: Ciaspolata ai fifaus del Mon-te Asolone.ore 21: Cena libera in Baita.
ALBERGO FORCELLETTO0439 44149 – 349 8850800
Nei fine settimana di luna piena si organizzano escursioni guidate con le ciaspole.
con le ciaspole sulMONTE GRAPPA
Guardiamo gli alberi: quasi tutti si sono
spogliati delle foglie e solo pochi hanno
mantenuto la loro vecchia copertura. Si
tratta di strategie differenti per affrontare
lo stesso problema: conviene smettere
completamente di vegetare, riducendosi
ad un tronco spoglio ed apparentemente
morto e poi ricominciare faticosamente
- sotto il profilo energetico - da capo,
a primavera, oppure ridurre al minimo
l’attività biologica mantenendo però la
copertura fogliare e riducendo in questo
modo anche la ripartenza, nella buona
stagione?
In fondo anche noi - come specie umana
- affrontiamo la questione allo stesso modo:
come è più conveniente comportarci,
soprattutto alla luce del fatto che molti
di noi vivono in luoghi più o meno
esposti al freddo?
Ma se gli alberi dispongono
di poche possibilità - infatti
non si possono muovere da
dove sono - e noi, invece, di
possibilità infinite, che derivano
dallo sfruttamento delle risorse
energetiche, dall’ abilità di costru-
irci indumenti e di procurarci
il cibo indipendentemente dalla
sua disponibilità in loco, gli animali
hanno dovuto mettere in atto strategie
diverse.
Così alcuni di essi si sono adattati al
clima e - accontentandosi di quel che
trovano - si sono semplicemente dotati di
una folta pelliccia, come nel caso della
E’ cominciato a fare freddo, dobbiamo rassegnarci: fine dei bagni di sole, fine delle passeggiate serali in cerca del fresco; il buio arriva a metà pomeriggio e si vive per metà del nostro tempo sotto la luce artificiale. Ma è così ogni anno, giusto? Fa parte della natura.
E’volpe. Altri, invece preferiscono spostarsi
- di poco o di tanto - là dove il clima è
più mite e il cibo non manca. E’ il caso di
moltissime specie di uccelli, a cominciare
dalle rondini.
Infine, altri hanno scelto una strategia
apparentemente più semplice ed invece
biologicamente complessa e vanno in
letargo - più o meno profondamente -
dopo essersi riempiti la pancia ed aver
accumulato del grasso. Rimangono tra
noi, dunque, ma non li vediamo perché si
nascondono. Come il ghiro.
Che sonno! paper R
testi e foto di paolo periniNATURA
19
Ghiro.
Il quale si addormenta arrotolato su se
stesso con la coda ripiegata sul ventre e sul
muso, scegliendo indifferentemente una
buca tra le pietre, un albero cavo, un fienile,
un camino o una cassapanca, a seconda
della disponibilità. Ed è per questo che il
suo sonno è diventato proverbiale!
Il letargo - o ibernazione - è una
condizione biologica in cui le funzioni
vitali sono ridotte al minimo, il battito
cardiaco e il respiro rallentano, il
metabolismo si riduce e la temperatura
corporea si abbassa, aiutati da una più o
Una vipera comune (Vipera aspis).
Lucertola muraiola (Podarcis muralis).
meno alta concentrazione di sostanze nel
circolo sanguigno che impediscono al
sangue di congelare.
Durante la fase letargica, la temperatura
corporea può scendere fino a 31° gradi -
come negli orsi - oppure precipitare perfino
in prossimità dello zero.
Tra le specie che vanno in letargo
spiccano senz’altro i rettili. Trattandosi
di animali ectotermi, la cui temperatura
corporea - cioè - dipende da quella
esterna, sotto i 24° il loro metabolismo
viene alterato impedendo loro di svolgere
qualsiasi tipo di attività biologica, a
cominciare dalla predazione.
Tanto più - dunque - essi sfruttano la
quiescenza durante l’inverno - ma anche
nelle fasi notturne più fresche della
buona stagione - rifugiandosi nelle tane
a pochi centimetri nel sottosuolo, dove la
temperatura difficilmente scende sotto i
10 gradi.
Qui mantengono attiva una debole
respirazione e un ridottissimo battito
cardiaco. Dopodiché, lentissimamente,
si espongono al sole termoregolandosi, e
riuscendo in questo modo ad aumentare la
temperatura anche di 30°!
Anche le lucertole presentano le stesse
necessità.
Gli scoiattoli, invece, pur rintanandosi
nel loro “nido” sugli alberi, quando il
clima lo permette se ne escono per andare
a prelevare un po’ del cibo accumulato in
qualche cavità dei tronchi.
Anche le formiche trascorrono la stagione
fredda in una sorta di letargo, nella parte più
profonda del loro nido e formano, come le
Formiche.
Scoiattolo (Sciurus vulgaris).
21
Il capriolo e il cervo hanno escogitato un adattamento invernale che consiste in una riduzione del metabolismo e in un rinnovamento dell’intero apparato digerente, che si riduce di dimensione, dimezzando sostanzialmente i periodi di attività.
Inoltre le femmine mettono in atto la diapausa embrionale: fecondate dai maschi tra la fine dell’estate e gli inizi dell’autunno, mantengono l’embrione in uno stato di quiescenza per tutta la stagione fredda, fino alsuo risveglio all’inizio del nuovo anno, in modo che il parto avvenga tra aprile e maggio, in coincidenza dell’inizio della buona stagione. Capriolo in livrea invernale.
api, un glomere, nel quale la regina e le
larve eventualmente presenti occupano la
parte centrale, mentre le operaie occupano
la porzione periferica.
Tra gli invertebrati più comuni, vanno in
letargo anche le lumache.
Esse si nascondono in luoghi riparati e lì
si addormentano, favorite dal loro guscio -
che formano esse stesse nel corso della vita
- e che d’inverno tappano con l’epifragma,
un opercolo che chiude la loro casetta.
Alle nostre latitudini le farfalle non
sopravvivono all’inverno. D’altra parte
esse presentano un ciclo vitale molto
breve: per questo depongono le uova alla
fine dell’estate in modo che il bruco - in
coincidenza dell’inizio del
freddo - si infili sotto terra
dove si trasforma in crisalide
per sfarfallare la primavera
successiva.
Chi possiede una tartaruga
terrestre - ma in Veneto vive
anche allo stato selvatico
presso le foci del Po e del
Tagliamento - sa che, tra
ottobre e novembre, essa
scompare in qualche angolo
del giardino scavandosi una
tana 10-20 cm sotto terra.
Tocca aspettare la primavera
prima di vederla riemergere.
Cepea nemoralis. Anche le rane e i rospi vanno in
letargo, infossandosi nel fango e
aspettando il sole primaverile.
Il riccio - quando arriva l’ inverno
- si trova nei guai; il suo rivestimento,
infatti, è fatto solo di spine e non
lo ripara dal freddo. Inoltre si trova
a corto di cibo, essendo esso un
insettivoro. Perciò si appallottola
nella sua tana e il suo corpo si
raffredda fino a primavera.
Anche il pipistrello è un mammifero
insettivoro, e dunque segue la prassi:
si raccoglie con gli altri nelle grotte,
rallenta tutte le attività corporee
(respirazione e battito cardiaco
compresi) e sopravvive grazie alle
riserve di grasso accumulate.
Vanno in letargo anche il tasso,
la marmotta e l’orso. Non ci va
invece la maggior parte degli
uccelli, i quali compiono piccole o
grandi migrazioni, così pure molti
mammiferi selvatici come la volpe,
la lepre e gli ungulati (camoscio,
capriolo, cervo...).
Insomma: fanno come noi. Ma
siamo sicuri che conviene?
Testudo hermanni.
Riccio.
Si immerge in un tempo in cui grandinano
coincidenze dolorose. Ma il suo cuore
non si stanca di stillare passione ed una
giovane donna ridona gioia ai suoi occhi e
calore al suo cuore, in giorni soffocati dal
nero della morte. Sfugge per poco ad un
destino crudele, perde però un amico, lo
sfiora la disperazione e una poesia scritta
con infinito amore conferisce l’addio al
compagno, consegnandolo all’eternità.
Dolori indelebili solcano la sua mente
e una profonda lesione avvolge il suo
corpo. Rientra così in patria: rattristato,
contrariato, ostile nemico di chi si affida
alla guerra, di chi si fida della violenza, di
chi inneggia all’odio.
GRANDEGUERRA
testo e foto di paola milanese
8 luglio 1818
n uomo, un giovane, mosso dallo slancio irrazionale dei vent’anni, lascia la propria famiglia, abbandona la città, si allontana dalla propria patria e si spinge lontano, raggiungendo l’Italia. U
Fossalta di Piave: lapide commemorativa in onore di Ernest Hemingway.
Un pezzo di pietra conserva nel tempo
la traccia di quella antica ferita e la sua
presenza nel nostro suolo.
Ernest Hemingway (1899 - 1961),
scrittore americano, nel 1954 riceve il
Premio Nobel per la letteratura.
E’ un romanziere apprezzato in tutto il
mondo e tra le sue opere più importanti
ricordiamo Fiesta, Addio alle armi,
Quarantanove racconti, Per chi suona la
campana, Di là del fiume e tra gli alberi, Il
vecchio e il mare.
Le ambulanze della Croce Rossa Americana.
25
Da giovane si offre volontario per andare
a combattere in Europa. Riformato per un
difetto alla vista, nel 1918 lascia il giornale
per il quale scrive e si arruola come autista
di ambulanze della Croce Rossa.
Durante quell’estate è sul fronte italiano.
L’8 luglio, a Fossalta di Piave, viene ferito
dalle schegge di un proiettile di un mortaio
e perde un amico, in ricordo del quale
scrive una poesia, il cui testo, inciso in
ferro dallo scultore Simone Benetton, è
conservato presso l’Ossario di Fagarè della
Battaglia.
Conosce un’infermiera che lo fa
innamorare. Nel 1919 rientra in patria
osannato come un eroe. Stenta però a
ritornare alla vita civile: gli incubi della
guerra lo perseguitano e alimentano un
sano antimilitarismo. Inizia a scrivere
racconti e nel 1923 pubblica il suo primo
libro, Three Stories and Two Poems.
E’ solo l’inizio di una fitta, avvincente
e straordinaria attività letteraria. Rimase
sempre legato al Veneto e quando gli
dissero “...tu sei un ragazzo di Torcello”
rispose: “Io sono un ragazzo del Basso
Piave“, come si può leggere in Di là dal
fiume e tra gli alberi.
KILLED.PIAVE, JUNE 16
DESIRE AND ALL THE SWEET PULSING ACHES
AND GENTLE HURTINGSTHAT WERE YOU,
ARE GONE INTO THE SULLEN DARK.NOW IN THE NIGHT YOU COME
UNSMILINGTO LIE WITH ME
A DULL, COLD, RIGID BAYONETON MY HOT-SWOLLEN,THROBBING SOUL.
CADUTO.PIAVE, 16 GIUGNO
DESIDERO E TUTTE LE DOLCI PENE PULSANTI
E LE GENTILI FERITECHE TU ERI,
SE NE SONO ANDATE NELL’OSCURA TERRA.ADESSO NELLA NOTTE TU VIENI
MALINCONICOPER GIACERE CON ME
UNA TRISTE, FREDDA, GELIDA BAIONETTANELLA MIA CALDA, GIOVANE,
PULSANTE ANIMA.
TENENTE MC KEY EDWARD - MEDAGLIA D’ARGENTO
ERNEST HEMINGWAY - FOSSALTA DI PIAVE, 8 LUGLIO 1918
L’Ossario di Fagarè della Battaglia (TV).
La Parrocchiale dell’Immacolata(Fossalta di Piave - TV)
Ernest Hemingway nell’American Red Ceross.
26
La posizione geografica dell’Italia, unita
alla presenza di catene montuose e di masse
d’acqua, determina un diverso andamento
dei venti sia nel corso dell’anno che da
regione a regione. Il nostro Paese può
comunque contare, soprattutto nelle zone
meridionali e nelle isole, su venti di buona
intensità, quali il maestrale, la tramontana,
lo scirocco e il libeccio.
L’energia eolica è l’energia posseduta
dal vento e i moderni mulini a vento sono
chiamati aerogeneratori.
Il principio di funzionamento degli
aerogeneratori è lo stesso: il vento che spinge
le pale. Ma nel caso degli aerogeneratori il
i è mai capitato di viaggiare sulle strade o sulle ferrovie europee, in Danimarca, Germania ma anche in Spagna, Portogallo, e di veder spuntare nel paesaggio circostante una lunga fila di alti pali bianchi con grandi eliche che girano maestose, sospinte da venti
incessanti? Anche in Italia vi sono diversi impianti, la maggior parte nel meridione, tuttavia la quantità di energia prodotta da fonte eolica è ancora trascurabile rispetto al potenziale sfruttabile.
V
Quando il vento dell’est
movimento di rotazione delle pale viene
trasmesso ad un generatore che produce
elettricità invece che movimento.
Il Veneto possiede un solo aerogeneratore
installato nel 2007 sul Monte Pecora, a
Badia Calavena, piccolo paese ai piedi dei
Monti Lessini Veronesi.
Nella nostra regione vi sarebbero altri
luoghi idonei per questo tipo di impianti,
ma su scala locale i possibili effetti
indesiderati, quali l’occupazione del
territorio, l’impatto visivo, il rumore, gli
effetti sulla flora e la fauna e le interferenze
sulle telecomunicazioni, peraltro tutti
testo e foto di lorenza faccioli
La Parrocchiale di Badia Calavena.
ECOLOGIA
Impianto eolico a Badia Calavena (VR).
29
CARNEVALEZOLDANO
Matteo Mocellin
risolvibili, spesso frenano la diffusione di
questa energia pulita.
Badia Calavena è un bell’esempio di
Comune virtuoso nel campo delle fonti
rinnovabili poiché qui hanno preso il
via diversi progetti che sfruttano fonti
rinnovabili reperibili in loco, quali la luce
ed il calore del sole, la biomassa, l’acqua
e, di recente, il vento.
L’iter che ha portato alla realizzazione
di questo primo impianto eolico è durato
qualche anno, dalla posa di un anemometro
per rilevare i venti e quindi per verificare
se vi fossero le caratteristiche ideali per
la costruzione dell’impianto, a riunioni
pubbliche per spiegare alla popolazione il
progetto, l’organizzazione dei cantieri, le
conseguenze.
L’aerogeneratore di Badia Calavena è
composto da un generatore eolico tripala
con altezza della torre (al mozzo) di 65,0 m
e diametro di rotazione di 77,0 m (altezza
complessiva massima di esercizio pari a
103,5 m). La potenza elettrica installata
del generatore è di 1,35 MW (megawatt)
con una produzione di energia elettrica
stimata pari a 2.400 MWh (megawattora)
per anno.
Stare ai piedi di questi moderni “mulini
a vento” trasmette una sensazione di
maestosità, le pale ruotano con grazia,
il vento le accompagna a volte con
veemenza, altre con calma e altrettanta
sicurezza, mentre il rumore non è neppure
paragonabile a quello che si rileva sulle
strade che percorriamo tutti i giorni o che
circonda le nostre case.
Insomma: il futuro è a Badia Calavena!
Le fonti “rinnovabili” di energia sono quelle che, a differenza dei combustibili fossili e nucleari destinati ad esaurirsi in un tempo definito, possono essere considerate inesauribili: solare, eolica, idraulica, geotermica, moto ondoso, maremotrice (maree e correnti) e biomasse.
L’utilizzo di tali energie rappresenta una esigenza per i Paesi sia industrializzati che in via di sviluppo: i primi necessitano di un uso più sostenibile delle risorse, di una riduzione delle emissioni di gas serra e dell’inquinamento atmosferico, di una diversificazione del mercato energetico e di una sicurezza di approvvigionamento energetico; per i secondi rappresentano invece una concreta opportunità di sviluppo e di accesso all’energia in aree remote.
L’Unione Europea mira a limitare la dipendenza dalle fonti fossili convenzionali e allo stesso tempo far fronte ai pressanti problemi di carattere ambientale che sono generati dal loro utilizzo. In questo contesto l’Italia si è prefissata di raggiungere, entro il 2010, una quota pari al 22% della produzione elettrica nazionale. Vedremo se le promesse verranno mantenute. Pannelli fotovoltaici di ultima generazione.
ENERGIE RINNOVABILI
Inviate le vostre foto a INVENETO - c.p. 244 - 36061 Bassano del Grappa (VI)Per essere pubblicate dovranno essere una decina, riportare una didascalia sintetica, riguardare un
argomento omogeneo (natura, storia, manifestazioni...) e che interessi la nostra regione,essere registrate su cd in formato tiff con una definizione di almeno 300 dpi
ed un lato non inferiore a 18 cm.
foto1Attesa nella bottega
2 Ferro e legno3Maschere in concorso
4Quel che resta4Visitatore alla rassegna
CARNEVALE ZOLDANOA Fornesighe - tra Forno di Zoldo e Passo Cibiana - tutti gli anni si svolge - la prima domenica di febbraio - il carnevale della Gnaga. Si tratta di una manifestazione che coinvolge tutto il paese lungo il quale, tra gli angoli gastronomici, spiccano una serie di sculture molto suggestive - realizzate con materiali poveri a partire dal ferro - rappresentanti i mestieri tradizionali. Lungo i vicoli in salita, tra le case di larice scuro e i fogher fumanti - sfila la Gnaga, il corteo delle maschere carnevalesche che converge nella piazza davanti la vecchia latteria, vero centro di attrazione. Al piano di sopra sono esposte e premiate le maschere della Rassegna dei volti lignei dei Carnevali di Montagna.A organizzare la manifestazione è Al Piodech Zoldan.
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MUSICAtesti di paolo perini - foto di matteo mocellin
L
Lo si capisce subito dalla prima canzone
- Sogno di maggio - che si tratta di una
raccolta originale: una escalation d’amore
e di movimento, in cui il moto si amplifica
man mano che il protagonista si avvicina
all’oggetto d’amore - lei - e lo spinge per
tutto il tempo a correre, ad accelerare, a
volare così che il movimento si trasforma
magicamente in frenesìa perché l’amore è
- effettivamente - frenesia, urgenza
profonda, interiore, felice.
Ma le canzoni
di que-
adro di Rose, realizzato dalla padovana Piccola Bottega Baltazar, è un concentrato di ritmi sostenuti dalle parole e dalla musica, in cui spicca la fisarmonica. E’ una somma di storie che non finiscono mai come sembra che debbano finire perché evolvono sistematicamente
in modo curioso, sconcertante, comunque coinvolgente.
sto CD uscito da poco presentano un’altra
caratteristica evidente: la mescolanza
del tempo - ieri e oggi - intesa come
mescolanza e attrazione di estremi a cui
il nostro tempo ci ha - purtroppo o per
fortuna - abituanti.
La terza piacevole caratteristica di
queste canzoni è l’impatto quasi fisico
delle storie e dei paesaggi entro cui le
parole di Giorgio Gobbo accompagnano
l’ascoltatore, il quale viene “costretto”
a farsi accompagnare, viene condotto
a visitare una storia, un luogo, una
situazione, un sentimento e ad esserne
partecipe, qualche volta suo malgrado,
in modo emotivamente molto
intenso.
Sergio Marchesini. La copertina di Ladro di Rose.
Ladro di Rose
37
La quarta caratteristica sta nell’uso
della lingua che passa frequentemente
- ma sempre con una ragione letteraria e
musicale insieme – dall’italiano al dialetto
veneto e viceversa.
La motivazione - estetica - è quasi
necessaria e ricorda Gigi Meneghello,
le sue prose pregne di etimologia ed
etnologia, dotte innanzitutto perché dotto
è il modo di avvicinarsi all’essenza della
nostra comunità, e allo stesso tempo
divertenti perché - popolari come sono - ci
appartengono.
Le percussioni di Graziano Colella
sembrano una caldaia a vapore che spinge
avanti la canzone con grande energia,
aiutata da una chitarra molto concreta,
puntuale.
Il disco è disseminato di piccoli rumori
- quelli dei tasti della fisarmonica, della
pallina da flipper (?), quelli dei sonagli - che
poco hanno a che fare con l’accademicità
della musica e proprio per questo portano
dentro al prodotto musicale una familiare
freschezza, manifestando una indubbia
dimestichezza con l’universo della musica
da parte degli interpreti.
L’ombra del caliburo è a mio avviso la
composizione più interessante del cd, così
fantasiosa e inquietante come il momento
in cui viviamo. Ma tutte le storie di Ladro di
Rose appartengono a noi che le ascoltiamo
e soprattutto a noi che condividiamo la
terra e le radici regionali della Piccola
Bottega Baltazar.
Merita ricordare - infine - che il titolo
di questo disco rappresenta un doloroso
omaggio a Zaher Rezai, morto a Venezia
nel 2008 mentre tentava di entrare
clandestinamente in Italia dapprima na-
scosto su un mercantile, poi aggrappato
sotto un tir.
Anche questa è una storia nostra.
La Piccola Bottega Baltazar al completo.
La formazione - nata a Padova nel 2000 - è composta da Graziano Colella (batteria e percussioni), Antonio De Zanche (contrabbasso), Giorgio Gobbo (voce e chitarre), Sergio Marchesini (pianoforte e fisar-monica) e Marco Toffanin (fisar-monica).
Per l’etichetta Azzurra music ha pubblicato:
“Poco tempo, troppa fame -omaggio a Fabrizio De André” (2002);
“Canzoni in forma di fiore“ (2004);
“Il disco dei miracoli” (2007) nominato tra i 20 migliori dischi indipendenti italiani dal Premio Italiano per la Musica Indipendente;
“Ladro di rose” (2010).
Ha inoltre scritto ed eseguito musiche per spettacoli teatrali, reading e documentari tra i quali ricordiamo La Mal’ombra (Jolefilm), Come un uomo sulla terra (finalista premio David di Donatello, Gran Prix Telefrance come migliore documentario del Mediterraneo) e Magari le cose cambiano (Premio Ucca e Premio Avanti! al Torino Film Festival 2009, Premio Docucity Università di Milano 2010).
La Piccola Bottega Baltazar
PER SAPERNE DI PIU’www.lapiccolabottegabaltazar.it
Insomma, in una decina di anni dagli
esordi, la Piccola Bottega si è fatta proprio
grande ed incarna il meglio di una scuola
d’autore “veneta” che fino a qualche
decennio distribuiva artisti tra le vette
musicali italiane.
38
So che questa storia è già nota a qualcuno
ma comunque vale la pena di raccontarla.
Solo nell’estate di quest’anno ho saputo
che nel sacrario del monte Grappa, sepolto
nella parte riservata ai caduti Austriaci e
Ungheresi, c’è un loculo, il numero 107,
in cui il nome che ricorda il caduto è Peter
Pan.
Peter Pan, il bambino che non voleva
mai crescere? E come è finito quassù?
L’ossario - posto a Cima Grappa a 1.776
metri di altitudine - conserva i resti di
22.900 caduti che si sono fronteggiati tra il
1917 e il 1918. Di questi circa 10.925 sono
austro-ungarici, 10.000 senza nome.
Tra i loculi dei soldati austro-ungarici,
spesso segnati con la scritta “ignoto”,
compare dunque anche quello dedicato al
soldato Peter Pan.
Naturalmente si tratta di un omonimo
del famoso personaggio ma è anch’egli
protagonista di un piccolo mistero: ogni
giorno, davanti alla sua tomba, vengono
trovate conchiglie, fiori di campo, piccoli
sassi o pezzetti di pietra, omaggi di una
mano sconosciuta e segno di un sentimento
profondo e commovente, che però sono
vietati in tutta l’area sacra.
rovate a domandare a vostra madre se sapeva dell’esistenza di Peter Pan, quando era bambina. Lei vi risponderà “ma naturalmente, piccolo”. E proprio queste sono le parole con cui comincia la storia scritta da James M. Barrie nel 1906.
P
Che fine ha fatto Peter Pan?
testo e foto di nicola sartorio
Cima Grappa: i fronti di guerra in un bassorilievo bronzeo.
L’Ossario del Grappa nella nebbia.
41
Così gli addetti, ogni sera, rimuovono
gli oggetti ma la mattina dopo - ecco il
mistero! - altre piccole cose compaiono
davanti al suo nome.
Il soldato Peter Pan nacque nel 1897 in
Ungheria, apparteneva al 30° reggimento
fanteria Honved, 7° compagnia, e morì
sul Col Caprile il 19 Settembre del 1918, a
guerra quasi finita.
Una storia - dunque - triste ed uguale a
quella di tanti giovani come lui, arruolato
e mandato al fronte.
In verità molte analogie legano i nostri
due Peter Pan: l’anno di nascita del
soldato corrisponde all’anno della prima
stesura del libro; la migliore amica di Peter
è una capra, e il soldato muore proprio
al Col Caprile, sul massiccio del Grappa;
inoltre la radice etimologica di “Grappa”
sembra derivare dal teutonico “krapp”, che
significa “uncino”.
Non ci ricorda forse qualcosa?
E allora anche per il soldato Peter Pan
valgono le parole di Wendy, nel finale
del fantastico libro: “Sono vecchia, Peter.
Ho già molto di piu’ di vent’anni. E’ tanto
tempo che sono cresciuta”.
A LATO: Fregio dedicato ai fucilieri di Brno, a ridosso dell’area cimiteriale austrungarica.
SOTTO: il loculo di Peter Pan.
42
PER SAPERNE DI PIU’www.soldatopeterpan.com
BAITA MONTE ASOLONEsabato 1 gennaio 2011ore 18: Presentazione dvd La Prima Guerra Mondiale sul Monte Grappa. Ingresso libero
Nasce nel 1955 l’attività di Renata
Bonfanti, dopo aver studiato tessitura alla
Scuola d’Arte di Venezia e aver frequentato
un corso di perfezionamento ad Oslo.
Ma è dal design del padre architetto che
trova lo spunto per passare dal disegno
tradizionale a quello del moderno.
Nel laboratorio di Mussolente (VI) ci
sono i telai di una volta, dove arazzi e
tappeti vengono realizzati con la pazienza
di una mano che passa fili e fili, ma accanto
a questi oggi vengono usati anche telai
TRAME DI FANTASIA
meccanici, che aiutano nella produzione
ma non certo nell’arte. Per questa ci vuole
sempre il colpo di genio, l’ispirazione.
“Quando nasce l’idea di un tappeto -
dice Bonfanti - devo pensare anche a dove
sarà collocato, devo pensare al pavimento,
alla luce che lo illuminerà”.
E’ vero: nelle nostre case i pavimenti
sono sempre più uniformi; sarà il tappeto,
quindi, che darà con i suoi colori e le sue
forme quel qualcosa in più che farà bella
la casa.
E’ immerso nel verde il suo laboratorio. Troviamo la signora Renata alla scrivania, al centro dell’attività. Attorno tappeti di tutti i tipi, di tutti i colori. Non si avrebbe il coraggio di calpestarli questi gioielli, queste opere d’arte. Stanno bene anche alle pareti, tanto
sono efficaci e trasmettono emozioni.
E’testo di nico bertoncello - foto di giorgio bertoncello
Renata Bonfanti e le sue opere.
45
“Le soddisfazioni più grandi – continua
l’artista - sono l’aver vinto nel 1962 il
Compasso d’oro a Milano e sapere che
la mia attività viene continuata dai miei
nipoti Alessandro e Cristina, con le loro
idee innovative”.
Vincitrice anche del Premio Cultura
Città di Bassano (1995), Renata Bonfanti è
entrata nella storia: le sue opere si trovano
negli USA, in Giappone, Cile, Germania,
Svizzera e Francia. Tante le mostre a cui
ha partecipato, dalla Biennale di Venezia
alla Triennale di Milano fino alla Biennale
de la Tapisserie di Lousanne.
I suoi gioielli vengono confezionati
anche con fibre sintetiche e artificiali, ma
sempre di più Renata recupera l’uso della
lana, del cotone, del lino, prodotti più
sicuri ed ecologici.
A guardarsi intorno si vedono tappeti,
arazzi, tende, tovaglie, tutto creato con
genialità; non vi è posto per modelli
tradizionali e ripetitivi, e la possibilità di
spaziare nei vari colori, formati, toni e
fondi trasforma il laboratorio in una galleria
d’arte. Quadri, ecco: sono quadri più che
tappeti.
“Siamo un popolo di nomadi - conclude
la signora Bonfanti - e i figli non abitano più
nelle case dei padri; così cambiamo casa,
città, usanze, ed anche i tappeti devono
essere adeguati ai nuovi gusti”.
Quel gusto giovane e fresco che porta
Renata Bonfanti a convegni e seminari
dove la sua professione trova un numero
sempre maggiore di estimatori.
Vecchie e nuove tecnologie.
PER SAPERNE DI PIU’www.renatabonfanti.com
47
La magia di un filo.
49
Il recuperantedi memorie
Quel sabato mattina era scaduto
l’ultimatum: liberare l’angolo dello
scantinato.
Con fatica, nel corso della settimana era
riuscito a racimolare cose apparentemente
inutili per altri e poi, con una certa
sofferenza, a metterle negli scatoloni che
ogni giorno lo aspettavano sulla soglia del
garage.
Sotto l’occhio vigile della moglie, li
aveva caricati nell’auto e si era recato al
centro di raccolta differenziata.
A malincuore aveva depositato i vari
materiali negli appositi cassonetti e quando
stava per chiudere il portellone dell’auto si
era accorto di quello strano contenitore;
una cassetta di legno verniciata opaca,
tinta mogano, con maniglia.
testo e foto di giuseppe (joe) bonato
Avvicinatosi, aveva girato la chiave
brunita nella serratura d’ottone e dato
un’occhiata sommaria che aveva rivelato
il suo contenuto e una scritta in matita
blu sul coperchio interno:“1947”. Aveva
capito subito che quei libri stavano
aspettando proprio lui ed ora, sulla via del
ritorno, un piccolo, infantile senso di colpa
gli impediva di gioire.
Già, proprio così: quale gioia più grande
c’è nello scoprire piccoli tesori?
Amava i vecchi libri perché contenevano
le regole e la filosofia di coloro che
l’avevano preceduto; valori ormai in
disuso che testimoniavano l’evolvere del
pensiero con l’evolvere della storia della
nostra società.
Per questo frequentava assiduamente
on un sorriso negli occhi, leggero e come trattenuto sulle labbra, stava tornando
a casa, consapevole di non aver resistito alla tentazione, al richiamo, bensì di
avere di nuovo infranto il divieto: nel bagagliaio dell’auto c’era, infatti, una sorta
di valigia di legno piena di vecchi libri.
CRACCONTO
mercatini e fiere, andando alla ricerca
di testi antichi, vecchie foto e biografie
di scrittori misconosciuti. S’interessava
alla storia del proprio territorio fin dalle
origini più remote ricercando in vari siti
fossili e minerali. Ecco perché s’incontrava
spesso a vagare per i campi e lungo i letti
asciutti dei torrenti alla ricerca di geodi
e agate, ammoniti e pecten, armato del
suo inseparabile martello da geologo.
Altre volte accettava anche oggetti antichi
che i vicini gli offrivano in regalo pur di
disfarsene. Insomma, nell’epoca dell’“usa
e getta” egli era un raro recuperante di
memorie...
Giunto in prossimità di casa arrestò
l’auto e, cosa che non aveva mai fatto
prima, occultò accuratamente sotto una
stuoia colorata il prezioso bauletto.
Ripartì deciso e, aperto cancello e
basculante col telecomando, scivolò
intrepido lungo la rampa d’accesso al
seminterrato.
Parcheggiò nel garage vicino la
porta che saliva in cucina e, sceso con
noncuranza dall’auto, scovò subito il posto
nello sgabuzzino dove avrebbe celato il
suo “tesoro”, rinviando a dopo pranzo il
piacere della scoperta.
Era quasi mezzogiorno. Con passo
leggero salì le scale, zufolando...
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BROCCOLI
a sì, scomodiamo anche Goethe per parlare di broccoli! Sembra infatti che il famoso intellettuale tedesco, in una tappa veneta del suo Viaggio in Italia, avesse ritratto un’avvenente vicentina tra i banchi del mercato dove spiccavano i comunissimi ortaggi, e che
per questo - oggi - venga ricordato. Altro che I dolori del giovane Werther!
M
In verità ne’ Goethe ne’ il broccolo
hanno bisogno di leggende per essere
tenuti in considerazione. E tralasciando
qui di rendere omaggio al grande scrittore,
dedichiamoci alla nostra brassicacea che
in Veneto si è radicata tanto diffusamente
da originare, nel tempo, ben tre varietà:
il broccolo bassanese, quello fiolaro di
Crazzo e quello padovano.
Nel primo caso si tratta di un cavolfiore
piuttosto voluminoso; nel secondo la
specie si presenta in modo più filiforme ed
è sostanzialmente priva di fiore, nel terzo
PRODOTTITIPICI
testi di chiara masiero - foto di paolo perini
Brassica oleraceaIl broccolo (il termine “brocco” significa
germoglio) e’ una varieta’ di cavolo che si presenta sia in forma cimosa o ramosa e sia in forma “caput” (a testa).
Conosciuto e apprezzato fin dall’ antichita’, era utilizzato anche come medicamento. Sacro per i Greci, i Romani lo mangiavano crudo prima dei banchetti per aiutare l’organismo ad assorbire l’alcool, mentre con le foglie medicavano le ferite.
Nel 1500 veniva usato come lassativo e il suo succo - mescolato al miele - contro la tosse.
Più recentemente l’uso del cavolo viene indicato per curare le malattie da raffredddamento.
I principi attivi del broccolo ven-gono impiegati nei farmaci antiulcera come rinforzanti della mucosa dello stomaco.
La tradizione t e r a p e u t i c a continua ancora oggi: il broccolo - come tut te le crucifere - è c o n s i d e r a t o t ra i migl ior i antiossidanti che si trovano in natura.
Tavola di un erbario medievale in cui è illustrata la coltivazione del cavolo.Broccolo bassanese.
53
Per quattro persone: 2 broccoli di Bassano, acciughe sottolio, aceto balsamico, olio extra vergine d’oliva e pepe nero.
Mondiamo i broccoli e cuociamoli - meglio al vapore che in acqua - fino a che diventano morbidi. Mentre li lasciamo raffreddare, prepariamo la salsa: amalgamiamo almeno cinque acciughe, che verseremo in una ciotola strofinata con aglio assieme a mezzo cucchiaino di aceto balsamico. A questo punto mescoliamo il tutto con quattro cucchiai d’olio.Con la salsa così ottenuta condiamo i broccoli ormai tiepidi. Il piatto è ottimo anche freddo.Buon appetito!
BROCCOLO DI BASSANO IN SALSA
Il termine fiolaro indica i “fioi” (figli), cioè i germogli secondari che si sviluppano sull’asse principale del fusto.
Si tratta di una coltura tipica della collina di Creazzo a raccolta invernale; riesce infatti a sopportare temperature anche ben al di sotto dello zero.
E’ ricco di fosforo, potassio, calcio, ferro, zolfo e di molte vitamine essenziali.
- infine - è una varietà a sola foglia, ed è
il risultato di un plurisecolare processo di
selezione e scambi a cura dei contadini
padovani. Ma mentre quest’ultimo si
è oramai diffuso in tutta la pianura del
nord Italia, il broccolo bassanese e quello
fiolaro rimangono due ecotipi circoscritti
alle zone di coltivazione originaria.
Un tempo considerato cibo dei poveri,
oggi è stato rivalutato ed inserito tra i
prodotti De.Co., un marchio di qualità
comunale che certifica la provenienza
del prodotto e del suo territorio di
produzione.
Il broccolofiolarodi Creazzo
57
Il mare d’inverno
(in bicicletta)
testi e foto di stefano malvestio
S i, lo so, qualcuno dirà: ma dove vuoi andare con questo tempo, d’inverno, in bicicletta? Freddo, umidità, vento... E poi: cosa ti gusti, in mezzo a quella nebbia? Ma se voi state a casa, io son ben contento: meno gente c’è in giro e più me la godo...
SAnche perché uno che ha paura
del freddo, dell’umidità, del vento,
non dovrebbe neanche andare in bici;
dovrebbe starsene a casa davanti alla tivù,
magari a guardarsi la partita di calcio, sai
che godimento...
“Il mare d’inverno / è un concetto che il
pensiero non considera / è poco moderno
/ è qualcosa che nessuno mai desidera...”,
scrive Enrico Ruggeri, e infatti proprio per
questo il mare d’inverno è qualcosa che
lascia il segno.
Poi - certo - c’è mare e mare, e io mi
riferisco al nostro mare, quello della
laguna, quello morbido, metallico,
languido, ovattato. Quello che - d’inverno
- ti offre la paradossale sensazione di
infilarti dentro a un sacco a pelo con tutta
l’isola. Quello che ti permette di incontrare
le persone che al mare ci vivono, non “ci
vanno”. Ci stanno perché sono nati lì e del
mare sanno tutto, e quel che non sanno è
semplicemente perché non serve saperlo.
E mangiano pesce perché tocca, anche se
poi piace.
Si scende a Pellestrina.
ESCURSIONE
I lidi veneziani sembrano fatti apposta
per la bici: nessun dislivello, nessuna
possibilità di perdersi. L’unica difficoltà è
quella di farsi traghettare da Chioggia, dove
si lascia la macchina, fino a Pellestrina (a
Cà Roman non ti fanno scendere: i murazzi
sono pericolosi). Ma d’inverno non c’è
ressa di ciclisti (neanche d’estate, a dire il
vero) e dunque sul traghetto ci si sale senza
problemi.
Durante l’ultima glaciazione al posto della laguna si estendeva una pianura alluvionale.Con lo scioglimento dei ghiacciai, fenomeno concluso circa diecimila anni fa, il livello del mare si alzò allagando tutta la fascia costiera. Furono i sedimenti trasportati dai fiumi - che un tempo sfociavano in laguna - a creare lentamente il lungo cordone di sabbie che oggi compongono i lidi (dal greco lithos=pietra), i quali - tra il 1751 e il 1782 - vennero consolidati con opere lignee e barriere di pietra quali i murazzi.
I LIDI
Attenzione, però: una volta sbarcati sul
lido, sappiate che devete tornare indietro in
bicicletta perché da Chioggia col traghetto
potete andare dove volete, ma a Chioggia
ci tornate solo traghettando da Pellestrina.
Potenza dell’ACTV! Prima di imbarcarsi,
dunque, occhio agli orari.
La nostra ciclo-escursione ha inizio
quindi a Pellestrina, dove scendiamo e
giriamo a sx, in direzione nord. Il nostro
itinerario si sviluppa lungo la riva interna,
dalla parte della laguna.
Attraversiamo in questo modo il borgo,
distrutto nel 1300 dai genovesi e poi
ricostruito da quattro volenterose famiglie
che si divisero i compiti. Agli inizi del
1800 divenne comune autonomo fino al
1923, quando tornò sotto Venezia. Il borgo
si presenta molto suggestivo. Da visitare
la chiesa di Sant’Antonio, che troviamo a
nord del piccolo centro, e la sua piazzetta
retrostante.
Una volta raggiunto il grande cantiere
navale, più a nord, un viottolo a dx ci
permette di passare dall’altra parte del
litorale, sulla strada principale dove
consigliamo di salire sul murazzo per
andare a pedalare con bella vista sul mare
e sull’isola, qui disabitata.
La costa italiana durante l’ultima glaciazione.
Pellestrina.
Via Tempesta, 41 - 30033 NOALE (VE) 041 5802403 - 5893386 - 041 5801849 - 5828245
Quando raggiungiamo S. Piero in Volta e la
sua prima chiesa (Santo Stefano), scendiamo
dal murazzo e torniamo sulla riva sinistra, in
modo da attraversare anche questo piccolo
abitato.
S. Piero in Volta era un tempo chiamato
Albiola fino a quando nel 900, il giorno di
San Pietro, i veneziani scacciarono gli Ungari
mettendoli “in volta”, cioè in fuga. Nel 1466
il porto venne interrato e la parte meridionale
del borgo prese il nome di Portosecco.
Si prosegue pedalando lungo questa riva
anche quando la strada piega a dx; grazie ad
una pista sterrata, invece, costeggiamo la laguna
fino a Santa Maria del Mare, dove saliamo sul
traghetto che ci permette di raggiungere gli
Alberoni, estremità meridionale del Lido di
Venezia.
Scesi sulla terraferma, proseguiamo tenendo
più possibile la sx, aggirando una darsena e
proseguendo su Via Alberoni.
Raggiunta la piazza di Malamocco, merita
visitare il borgo del XII secolo. Per questo
entriamo a dx (divieto di transito), costeggiando
la chiesa. Attraversiamo un ponticello
pedonale preceduto da un arco e tenendo la
sx. (Via Bassanello) torniamo sulla principale
Via Malamocco, dove giriamo a dx.
Il mosaico sopra l’ingresso della chiesa di S. Stefano (S. Piero in Volta).
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Proseguendo, più avanti utilizziamo la
pista ciclabile ed il largo marcipiede fino
a superare un primo canale dopo il quale
svoltiamo a sx. Seguiamo sempre la riva,
aggirando un primo e poi un secondo
canale, su Riva da Spina. Svoltiamo poi a sx
sulla principale Via Gallo e raggiungiamo
Piazzale Grimani, dove svoltiamo a sx su
Via Colombo.
Risalendo la riva a dx su Via Macello,
superiamo in rapida successione tre
ponticelli fino a piegare a dx e sbucare
ancora su Via Gallo, dove svoltiamo a sx.
Mantenendoci sulla principale, dopo
qualche centinaio di metri raggiungiamo
Piazzale Santa Maria Elisabetta.
L’abitato originario era suddiviso nei due
borghi di San Nicolò e Malamocco e solo
nella seconda metà del secolo scorso si è
sviluppato turisticamente.
Dopo un giro di visita e di ristoro,
rientriamo a Chioggia in bicicletta. A
questo fine, dal Piazzale prendiamo il
Gran Viale Santa Maria Elisabetta, che ci
fa attraversare il lido verso il mare, per
sbucare sul Lungomare Marconi lungo il
quale - passando per la zona
della Mostra del Cinema
- in una dozzina di km ci
riporta agli Alberoni. Qui
riprendiamo il nostro traghetto,
e mantenendoci lungo i
murazzi rivieraschi rientriamo
a Pellestrina e quindi - sempre
con il traghetto - a Chioggia.
Abbiamo pedalato comples-
sivamente per circa 55 km.
Il Leone della Mostra del Cinema.
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La nostra regioneOH CHE BEL CASTELLO... n. 5 pag. 4PIÙ BASSI DELL’ACQUA n. 6 pag. 4BIODIVERSAMENTE n. 7 pag. 4CHI HA PAURA DI GARIBALDI? n. 8 pag. 4
Ecologia VOLONTARIATO E’ n. 5 pag. 38LAMPADINE n. 5 pag. 52PER CARITÀ!... n. 5 pag. 60AZIONI SOLIDALI n. 7 pag. 28QUANDO IL VENTO DELL’EST n. 8 pag. 28
FaunaLA CAPRA DELLE RUPI n. 5 pag. 48LA PERLA DELLE RUPI n. 6 pag. 40IL POPOLO DANZANTE n. 7 pag. 36CHI HA PAURA DELL’ORSO BRUNO? n. 7 pag. 56CHE SONNO! n. 8 pag. 18
FloraBRUSCÀNDOI n. 5 pag. 28BISI n. 6 pag. 60SALUTE! n. 7 pag. 20BROCCOLI n. 8 pag. 52
TerritorioRUOTE & MOLINI - VI n. 5 pag. 20CA’ ROMAN - VE n. 5 pag. 42IL NODO D’AMORE - VR n. 6 pag. 14NOALE: DRAPPO O SFIDA? - VE n. 6 pag. 20LA CODA DI RONDINE - BL n. 6 pag. 26TUTTO IL SILE IN BICICLETTA - TV/VE n. 6 pag. 42C’È DEL MARCIO IN ALTOPIANO - VI n. 6 pag. 50DIRÒ ORA DEGLI AMENI COLLI... - VI n. 6 pag. 56IN BRODO DI GIUGGIOLE - PD n. 7 pag. 14LEONARDO A CERVARA - TV n. 7 pag. 22L’ISOLA DEL CONCLAVE - VE n. 7 pag. 44VAL D’ASSA - VI n. 7 pag. 50NEVE SUL NOVEGNO - VI n. 8 pag. 12IL MARE D’INVERNO (in bicicletta) - VE n. 8 pag. 56
ArteL’AERODINAMICA DELLA MUSICA n. 5 pag. 24GIROVAGAR(T)E n. 5 pag. 54TRASPARENZE D’ARTE n. 6 pag. 36LADRO DI ROSE n. 8 pag. 36TRAME DI FANTASIA n. 8 pag. 44
Grande GuerraIL SOLDATO BABBUINO - VI n. 5 pag. 36LA MADONNINA DEL GRAPPA E IL MARCHESE DEL GRILLO - VI n. 6 pag. 188 LUGLIO 1818 - VE n. 8 pag. 24CHE FINE HA FATTO PETER PAN? - VI n. 8 pag. 40
Libri e raccontiL’AMORE IN BICICLETTA n. 5 pag. 13GNANCA OMO! n. 5 pag. 46BEA VITA n. 6 pag. 13 PIAVE n. 7 pag. 19IL RECUPERANTE DI MEMORIE n. 8 pag. 48
Portfolio fotografico NOTTE A VENEZIA n. 5 pag. 31BASSA MAREA n. 6 pag. 31PAESAGGIO VENETO E BIODIVERSITÀ n. 7 pag. 31CARNEVALE ZOLDANO n. 8 pag. 31
INDICE DEI NUMERI DEL 2010