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Mainoldi 2011, «Immediate viam facimus»

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[p. 153] [Questa tra parentesi quadre è la paginazione del volume a stampa]

ERNESTO SERGIO MAINOLDI

« Immediate viam facimus ».La teologia dionisiana al bivio dell’interpretazione

di Ugo di S. Vittore

Lo ps.-Dionigi Areopagita può vantare l’indiscusso primato di esse-re l’autore di lingua non latina i cui opera omnia hanno conosciuto ilmaggior numero di traduzioni in latino durante il medioevo. Cinquese ne contano da Ilduino di Saint-Denis, che tradusse il Corpus dionysia-cum nell’832, ad Ambrogio Traversari, che diede alla luce la sua versio-ne nel 1436. In età rinascimentale si aggiunsero le traduzioni di Mar-silio Ficino (1492) e Joachim Périon (1536), tra le quali si inserisce l’e-ditio princeps del testo greco prodotta da Angelo Colozio (Firenze,1516) 1. A questa edizione fece seguito quella, sempre del testo greco,di Guillaume Morel (1562), sulla quale si cimentarono ben quattrotraduttori tra il 1615 e il 1634. Impressionante poi il numero di edi-zioni, ben centoquarantasei, comparse tra la fine del XV e il XIX seco-lo. Nel Cinquecento, se ne contano novantuno, quasi una all’anno.

Tanta proliferazione di traduzioni ha costituito il fertile terreno perun confronto di vasta portata, che ha dato vita a una nutrita schiera dicommentari e a una familiarizzazione pressoché obbligata per i teologilatini con i temi dionisiani della teologia negativa, della gerarchia, deisimboli simili e dissimili, dei nomi divini e via dicendo.

Tanto interesse non si spiega solo con la fiducia riposta per die-ci secoli nella pseudo-attribuzione di questo corpus testuale al disce-polo di san Paolo menzionato negli Atti degli Apostoli, considerato

1 W.P. GRESWELL, Memoirs of Angelus Politianus, Actius Sincerus Sannazarius, Petrus Bem-bus, Hieronymus Fracastorius, Marcus Antonius Flaminius, and the Amalthei: translations fromtheir poetical works: and notes and observations concerning other literary characters of the fifteenthand sixteenth centuries, Manchester – London, 1801, p. 444n.

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come una sorta di princeps Patrum, come è dimostrato dal fatto chela fortuna dell’Areopagita non venne meno neanche quando il suoautore venne “degradato” al rango di pseudo-Areopagita dall’irrive-rente acribia filologica di Lorenzo Valla. Sicuramente la complessitàdella lingua dell’Areopagita motiva l’esigenza di una progressivaraffinazione dell’interpretazione dei suoi testi e dei sensi in essi rac-chiusi, tuttavia, in ultima analisi, non ci sbaglieremmo se additassi-mo nell’utilizzabilità dottrinale della materia dionisiana l’elementomaggiormente indiziato di essere il motore della pletora di tradu-zioni e commenti nei quali si attesta l’interesse nutrito dagli autorimedievali e post-medievali per questo corpus testuale.

La ricchezza dottrinale che caratterizza l’opera pseudo-dionisiananon manca peraltro di essere portatrice di una problematicità che hameritato e ancora merita di essere oggetto di analisi sistematiche, dac-ché essa si pone come luogo privilegiato per cercare quelle risposte –ancora latenti – circa le ragioni più profonde e paradigmatiche del di-vorzio tra la teologia occidentale latina e la teologia orientale greca,nonché sulle modalità e i limiti di assimilazione da parte degli autorimedievali di una fonte teologica tanto vicina al pensiero neoplatonico.

Gli esiti del suddetto divorzio lasciano peraltro anche tracce nelledivergenze storiografiche più recenti. Se infatti la storiografia orientalecontemporanea non ha difficoltà a riconoscere in Dionigi un autorepienamente inquadrato nel percorso della teologia ortodossa espressadai Padri, nel quale prendono sviluppo temi già stabiliti dai Cappadocie si spiana la via alle grandi opere della maturità della teologia elleno-fona, da Massimo il Confessore a Giovanni Damasceno fino a GregorioPalamas, la storiografia occidentale è stata attratta più dallo ps.-Dioni-gi filosofo formatosi alla scuola neoplatonica, assumendo come basedelle ricerche intorno a questo autore il paradigma della continuità delsuo pensiero rispetto a quello degli ultimi neoplatonici, quali Proclo oDamascio, come ben mostra un’annotazione programmatica espressanell’introduzione del più recente convegno di studi sulla ricezione diDionigi nel Medioevo: « Das sogenannte Corpus Dionysiacum ist, wiedieser Band nachdrücklich unterstreicht, ein außerordentlich ein-flußreicher Traditionsstrang des Neuplatonismus proklischer Prägungbis in die Neuzeit hinein » 2.

2 Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter. Internationales Kolloquium in Sofia vom 8. bis 11.

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Questa divergenza storiografica, se presa con la debita serietà,può essere foriera di non trascurabili implicazioni per quanto ri-guarda tanto la lettura dell’opera dionisiana, quanto la comprensio-ne delle posizioni esegetiche espresse dai suoi commentatori. Ugodi San Vittore è stato uno dei più rilevanti esegeti dionisiani delmedioevo e l’analisi della sua posizione costituisce un imprescindi-bile momento di chiarificazione dei percorsi di ricezione del Corpusdionysiacum in Occidente.

Accingendoci all’analisi di questo commento non ci inoltriamosu un terreno inesplorato, dal momento che il commento di Ugo aDionigi – e in senso lato la disamina della ricezione dionisiana nel-l’opera del maestro vittorino – ha più volte richiamato l’attenzionedi teologi e medievisti, i quali hanno saputo mettere in luce quantoil maestro vittorino abbia ripreso dallo ps.-Areopagita e in che cosase ne sia discostato, anche se forse manca ancora una lettura storio-grafica di ampio respiro a proposito di questo incontro e delle sueimplicazioni 3.

Il commento di Ugo costituisce uno dei principali episodi del-l’esegesi latina allo ps.-Areopagita e come tale si affermò già nellastoriografia medievale, come è dimostrato dall’esser stato inserito

April 1999 unter der Schirmherrschaft der Société Internationale pour l’Étude de la PhilosophieMédiévale, cur. T. BOIADJIEV – G. KAPRIEV – A. SPEER, Turnhout, 2000 (Rencontres de Phi-losophie Médiévale, IX), p. VII. Accanto a questa annotazione va ricordata la recente pro-posta di identificazione dello ps.-Dionigi con il filosofo neoplatonico Damascio: C.M.MAZZUCCHI, Damascio, autore del Corpus dionysiacum, e il dialogo PERI POLITIKHS EPI-STHMHS, in Aevum, LXXX (2006), pp. 299-334.

3 H. WEISWEILER, Die Ps.-Dionysiuskommentare « In Coelestem Hierarchiam » des SkotusEriugena und Hugo von St. Viktor, in Recherches de Théologie ancienne et médiévale, XIX (1952),pp. 26-47; D. LUSCOMBE, The Commentary of Hugh of Saint-Victor on the Celestial Hierarchy,in Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter cit., pp. 159-175; R. ROQUES, Structures théologiques.De la gnose à Richard de Saint Victor, Paris, 1962, pp. 294-364 (cap. II: « Connaissance deDieu et théologie symbolique d’après l’In Hierarchiam coelestem Sancti Dionysii de Hugues deSaint-Victor »); J. CHÂTILLON, Hugues de Saint-Victor critique de Jean Scot, in Jean Scot Érigèneet l’histoire de la philosophie, Colloques Internationaux du CNRS No. 561 (Laon, 7-12 juil-let 1975), cur. R. ROQUES, Paris, 1977, pp. 404-431; N. REALI, Né mero segno né solo simbolo,ma sacramento. Per una rilettura della categoria di sacramento nella teologia di Ugo di San Vitto-re, in Reportata. Passato e presente della teologia, VIII, 1 (2010) (http://mondodomani.org/re-portata/reali01.htm).

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nel Corpus dionysiacum dell’Università di Parigi del XIII secolo, for-mando con i commenti eriugeniani il grosso della materia esegeticache correda quello che possiamo considerare come il più importantestrumento realizzato dall’erudizione medievale al fine dello studiodel testo dionisiano 4.

La fortuna del commento di Ugo, secondo il censimento di Ru-dolf Goy 5, è attestata da 81 copie, a cui se ne aggiungono 13 tra-smettenti excerpta e 11 in cui il Commento di Ugo è inserito nellaraccolta testuale Compellit me e nei manoscritti del Corpus dionysia-cum dell’Università di Parigi del XIII secolo. Una così cospicua for-tuna rischia tuttavia – come avviene per tutte le opere che si affer-mano come riferimento in un determinato ambito – di mettere insecondo piano il contesto culturale che ne determinò la stesura e lestesse ragioni che spinsero il suo autore a realizzarla. Di fronte auno dei principali teologi di quella che possiamo considerare comel’età di mezzo dell’età di mezzo – il XII secolo –, che commentaun testo ritenuto di mano di un Padre di età apostolica, si sarebbetentati di sorvolare sulle motivazioni che possono aver determinatola scrittura di questa opera, seguendo quella che è la prima rispostache ci viene suggerita dalla storiografia dell’anodino, ossia rispon-dendo che un grande autore medievale commenta un grande autoreapostolico perché questo è il normale processo di trasmissione dellacultura. Tuttavia la cultura non si trasmette per inerzia bensì peraffinità e necessità. Bisogna dunque chiedersi perché Ugo abbia ri-tenuto necessario commentare Dionigi.

Di primo acchito potremmo rispondere che si assimila meglioun autore che si commenta: Ugo, come tanti autori medievali pri-ma e dopo di lui, non può sottrarsi al confronto con la teologiadionisiana, i cui temi giocheranno un ruolo in diverse sue opere, apartire dal De sacramentis 6.

4 Cfr. H.F. DONDAINE, Le corpus dionysien de l’université de Paris au XIIIe siècle, Roma,1953.

5 R. GOY, Die Überlieferung der Werke Hugos von St. Viktor. Ein Beitrag zur Kommunika-tionsgeschichte des Mittelalters, Stuttgart 1976 (Monographien zur Geschichte des Mittelal-ters, XIV), n° 51, pp. 181-195.

6 Cfr. REALI, Né mero segno né solo simbolo cit., passim.

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Il commento costituisce la principale modalità di assimilazionedi un testo ed è indispensabile qualora si abbia una cerchia di let-tori a cui aprirne i significati: nel caso di Ugo questa cerchia è co-stituita dai suoi discepoli, ai quali egli stesso si rivolge all’iniziodel terzo libro:

Prima vi ho detto, e qui lo ribadisco, per non tenervi in sospeso, che ho accoltola vostra richiesta di affrontare la Gerarchia [celeste] di Dionigi, non con l’idea diaddentrarmi nell’esame approfondito della materia, ma giusto per porre allo sco-perto le fondamenta e mettere in luce la superficie delle parole. Questo è infattipiù adatto a coloro che vi devono essere introdotti, soprattutto poiché consideria-mo gli argomenti che abbiamo messo in conto di trattare come troppo vasti e aldi là delle nostre possibilità 7.

Il fatto che i primi manoscritti del Commento di Ugo non ripor-tino il testo dionisiano, che entra a corredare il commentario soloin una fase successiva della tradizione 8, avvalora l’ipotesi che il la-voro esegetico ugoniano sul testo dello ps.-Areopagita nascesse inun contesto scolastico in cui si leggeva il Corpus dionysiacum, ondenon era necessario trascriverne il testo per intero nel commento, maanche dimostra come, successivamente, l’opera di Ugo avesse inizia-to a circolare al di fuori della cerchia scolare originaria, onde l’in-serzione del testo dionisiano si era resa necessaria per quei lettoriche non avevano sottomano il testo dello ps.-Dionigi.

Nella ricerca delle motivazioni che possano aver indotto Ugo inquesta impresa dobbiamo allargare le nostre considerazioni al conte-sto culturale del XII secolo, cosa che ci porta a constatare come ilmaestro vittorino non fu affatto il solo durante il suo tempo a redi-gere un commento a uno o più libri del Corpus dionisiano: tra i

7 « Primum dixi, et dico nunc, ne vos expectatione detineam, quod in hierarchiamDionysii petitionem vestram suscepi, non ut profunda rerum scrutari persequar, sed ut de-tegam solum, et in lucem exponam tecta verborum. Hoc enim introducendis primum ma-gis conveniens est: praecipue quia illa, quae disserenda censuimus, magna nimis, et supranostram possibilitatem agnoscimus » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, III, 2,P.L., CLXXV, col. 960D). In attesa di un’edizione critica aggiornata dobbiamo acconten-tarci di citare il testo secondo l’edizione offerta dalla Patrologia Latina.

8 Devo queste informazioni a Dominique Poirel, che è in procinto di dare alle stampeuna nuova edizione del commento di Ugo alla Gerarchia celeste dello ps.-Dionigi.

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principali nomi possiamo citare quelli di Guglielmo di Lucca, allie-vo di Gilberto di Poitiers, che scrisse un Commentario sui Nomi divi-ni 9 e uno, oggi perduto, sulla Gerarchia ecclesiastica, poi quello delbenedettino Erveo di Bourgdieu, di cui è segnalato un commento,anch’esso perduto, alla Gerarchia celeste, e quello di Giovanni Sarace-no, che intorno alla metà del secolo doveva rivedere la traduzioneeriugeniana del Corpus e avrebbe commentato la Gerarchia celeste inanni precedenti a Ugo; un altro commento alla Gerarchia celeste sa-rebbe infine attestato prima del 1170 per mano di Boto di Prüfe-ning, senza contare diverse altre attestazioni minori 10.

Possiamo pensare che questa proliferazione, sebbene sia del tut-to lontana dal giustificare l’ipotesi di un Dodicesimo secolo comeaetas dionysiana, valga se non altro a identificare un’aetas dionysianatrasversale al Dodicesimo secolo, che non si giustifica solo con unascontata attrazione verso l’inesauribile originalità teologica e filoso-fica dei testi di Dionigi, ma trova la sua principale motivazione inragione dei paradigmi storiografici in gioco, che ci consentono diosservare come l’opera dello ps.-Areopagita si trovò al centro di unvasto contesto di lettura e di interessi che non si erano mai verifica-ti prima del XII secolo e che possono essere ricondotti alla trasfor-mazione della cultura teologica che si verificò durante quel secolo.

La lettura del primo, introduttivo, capitolo del Commento diUgo alla Gerarchia celeste ci offre un esplicito ragguaglio circa laconsapevolezza da parte del maestro vittorino di dover intervenirecome per correggere alcuni percorsi esegetici che si erano affermatinelle recenti interpretazioni del testo dionisiano. Delineando le dif-ferenze tra la mundana theologia e la divina theologia 11 e muovendodal riferimento al luogo paolino che contrappone la ricerca della sa-pienza, da parte dei Greci, e di segni, da parte dei Giudei 12, e la

9 WILHELMUS LUCENSIS, Comentum in tertiam hierarchiam Dionisii que est de divinis nomini-bus, ed. F. GASTALDELLI, Firenze, 1983.

10 Per una rassegna esaustiva delle tracce di commenti perduti al Corpus dionisiano oflorilegi di questo cfr. D. LUSCOMBE, The Commentary of Hugh of Saint-Victor on the CelestialHierarchy, in Die Dionysius-Rezeption im Mittelalter cit., pp. 163-164.

11 Cfr. HUGO DE SANCTO VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., coll. 923B-925D.12 « Iudaei signa quaerunt, et Graeci sapientiam » (1 Cor 1, 22).

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vera sapienza costituita dal Verbo divino incarnato, Ugo arriva adaccordare un valore alla conoscenza pertinente alla « natura inferiore(natura inferior) », basata sulle artes e sulle scienze ereditate dallacultura precristiana (riferite nella loro classica divisione epistemolo-gica di logica, ethica, mathematica e physica), cioè a quelle conoscenzeper cui è sufficiente il lumen intelligentiae e l’acumen ingenii 13.

Questa divisione del sapere, che costituisce una legittimazionedell’utilizzabilità delle conoscenze degli antichi da parte dei cristia-ni, seppur in base a una netta distinzione di ambiti, secondo Ugosarebbe stata recentemente messa in questione dalla pretesa di rico-noscere nelle forme visibili (simulacra) una modalità diretta della ri-velazione divina, ricadendo dunque nell’inganno delle immagini(corruere coeperunt in mendacia figmentorum) 14. Ugo ammette sì, bibli-camente, che la natura dimostra l’esistenza del Creatore, ma essanon può darne una piena dimostrazione, instaurando al massimouna similitudo peregrina, cioè estranea e impropria 15.

L’errore a cui Ugo fa riferimento, consiste nel voler andare conla mente dalle cose che si possono conoscere e commisurare a quelleche non possono essere viste, motivo per cui questa sedicente teolo-gia, falsa ed erronea (theologia vanitatis et deceptionis), addita come ve-nerabili false immagini divine 16. Con l’intento di distinguere me-glio un soggetto così delicato Ugo ricorda che due sono gli ordini

13 Cfr. HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 925D.14 « Novissime autem theologiam pro ratione divinorum, et scrutatione invisibilium

quasi consummaturi sapientiam addixerunt, ut ipsi putaverunt, consummaturi; sed vereamissuri, et veram non inventuri. Nam, ibi corruere coeperunt in mendacia figmentorum,et assumpserunt species visibiles simulacra divinorum, ut invisibilia viderent per ea, quaevidebantur et erat ibi simile aliquid, sed de longe ostendens, quod quaerebatur, neque lu-cem ingerens oculis caligantibus » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit.,coll. 925D-926A).

15 « Natura enim ad servitutem condita Creatorem suum demonstravit; sed erat simili-tudo peregrina ad excellentem, et dominantem majestatem. Neque potuit evidentem de-clarationem invenire in iis omnibus illa, quae docenda fuerat natura, quoniam, et ipsa sananon erat, ut multum claresceret in contemplationem » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierar-chiam coelestem, ed. cit., col. 926A).

16 « Propterea erraverunt, et evanuerunt, cum transire vellent mente ea quae sola nosseacceperant et palpantes aestimationibus ad ea quae videri non poterant, caeci inventi suntqui se videre putaverunt. Haec sunt simulacra errorum, quae theologia (sic enim ipsi vo-

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di immagini (simulacra) attraverso cui gli uomini possono contem-plare le realtà invisibili: il primo è quelle delle forme visibili, chepermettono di conoscere la natura creata da Dio, il secondo è quellodella natura umana di Cristo, che ha permesso all’uomo di conosce-re la grazia divina 17. Tuttavia se Dio si mostra in entrambi gli or-dini di immagini, non in entrambi viene compreso allo stesso mo-do, dal momento che la natura si limita a mostrare, mentre la rive-lazione data da Cristo illumina i cuori degli uomini con la verità 18.

Sulla base di questi presupposti si comprende dunque il limitedella mundana theologia, la quale, avvalendosi delle immagini visibi-li, non può accedere alle verità incomprensibili, che possono esserecolte solo dalla divina theologia (quella cioè che muove dall’Incarna-zione del Verbo, o meglio dalla sua enarrabilità piuttosto che dallasua visibilità) 19.

Ugo intende porre un limite alle pretese gnoseologiche di unateologia che si avvale dell’immagine per assurgere a una conoscenzapropria del divino, cosa che sembrerebbe aver fatto breccia nelle ri-flessioni dell’epoca.

Precisando l’inquadramento epistemologico della theologia, Ugoci dice che essa è, insieme alla matematica e alla fisica, una parte

caverunt studium, quo divina scrutari crediderunt) vanitatis eorum, et deceptionis praedi-cat veneranda » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926A-B).

17 « Duo enim simulacra erant proposita homini, in quibus invisibilia videre potuisset: unum naturae, et unum gratiae. Simulacrum naturae erat species hujus mundi. Simu-lacrum autem gratiae erat humanitas Verbi » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem,ed. cit., col. 926B-C).

18 « Et in utroque Deus monstrabatur, sed non in utroque intelligebatur; quoniam na-tura quidem specie sua artificem demonstravit, sed contemplantis oculos illuminare nonpotuit. Natura enim demonstrare potuit, illuminare non potuit. Et mundus Creatoremsuum specie praedicavit, sed intelligentiam veritatis cordibus hominum non infudit »(HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 926C-D).

19 « Haec est distantia theologiae hujus mundi ab illa, quae divina nominatur theolo-gia. Impossibile enim est invisibilia, nisi per visibilia demonstrari: et propterea omnistheologia necesse habet visibilibus demonstrationibus uti in invisibilium declaratione. [...]Et idcirco mundana theologia parum evidenti demonstratione utens, non valuit incom-prehensibilem veritatem sine contagione erroris educere, cum divina noscitur theologiasimplici, ac pura assertione praedicare » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed.cit., col. 927A).

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della scienza theorica, la quale è a sua volta, insieme alla logica e al-l’ethica, parte della philosophia; arrivando a una definizione di cosasia la theologia, il maestro vittorino ribadisce l’importanza dell’exem-plar gratiae, e richiama come la conoscenza teologica proceda attra-verso una progressiva ascensione dalle cause visibili a quelle invisi-bili, verso la conoscenza delle nature invisibili, aggiungendo tutta-via che la teologia praticata dai sapienti di questo mondo non puòarrivare a una piena conoscenza di queste nature, non disponendodel modello visibile della grazia, che è il Cristo incarnato, umilenella sua parvenza, irresistibile nel suo manifestare la verità 20.

Ugo, concludendo questo primo capitolo, programmatico e me-todologico, richiama come la comprensione della Gerarchia di Dio-nigi debba innanzitutto rendere chiaro il problema teologico che sidipana dietro la sua lettura. Il preambolo relativo alla conoscenzadelle cose invisibili attraverso quelle visibili ci restituisce dunqueun indizio delle preoccupazioni che muovevano il maestro vittorinonell’esegesi del testo dionisiano, cioè l’affermarsi di un paradigmateologico che dava alle immagini visibili un ruolo conoscitivo circale realtà divine che finora la riflessione teologica non era stata di-sponibile ad accogliere 21.

La lettura del secondo capitolo del Commento è utile per com-prendere con maggiore precisione su quali aspetti si focalizzasserole preoccupazioni di Ugo. In esso infatti ritorna con forza il proble-ma del ruolo delle forme visibili nella conoscenza teologica. Chia-

20 « Per visibiles enim visibilium formas pervenitur ad invisibiles visibilium causas; etper invisibiles visibilium causas ascenditur ad invisibiles substantias, et earum cognoscen-das naturas. Hic autem summa philosophiae est, et veritatis perfectio, qua nihil altius essepotest animo contemplanti. In hac sapientes hujus mundi propterea, sicut jam diximus,stulti facti sunt; quia solo naturali documento secundum elementa et speciem mundi ince-dentes, exemplaria gratiae non habuerunt: in quibus etsi species erat humilis, sed manife-stior praestabatur demonstratio veritatis » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem,ed. cit., col. 928A-B).

21 « Haec nunc de theologia dixisse sufficiat propter hierarchiam Dionysii, in quamexplanationis gratia aliqua dicenda suscepimus. Omnis enim hierarchia theologiae suppo-nitur; et necesse erat introducendis ad lectionem hierarchiae aliqua de theologia praemit-tere, ad definiendam materiam ejus, quae tota in invisibilibus consistit substantiis, et ea-rum naturis similiter invisibilibus visibili documento utens ad demonstrationem sui »(HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 928B).

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mato a misurarsi con i concetti di simbolico e anagogico 22, ele-menti cardine del pensiero dionisiano, Ugo ribadisce l’opposizionetra la conoscenza attraverso le forme visibili e la rivelazione. Mentrein Dionigi i simboli hanno in sé un valore anagogico, Ugo si sforzadi dare ai due concetti valenza opposita: i simboli sono manifesta-zioni visibili delle cose invisibili 23, e dunque – in base a quantodetto sopra – hanno valore limitato, mentre l’anagogia è pura e in-formale rivelazione 24. Questi due concetti, nei quali si riassumono idue modi della rivelazione divina, vengono ricondotti da Ugo al co-mune denominatore delle theophaniae, definite « divinae apparitio-nes », attraverso le quali le rivelazioni vengono infuse nelle mentidei teologi e dei profeti 25.

22 Illustrando il simbolismo delle penne, Dionigi dice infatti nel XV capitolo dellaGerarchia celeste: « Propter quod et pennatos theologia sanctorum intellectuum figurauitpedes: Pennatum namque significat anagogicam uelocitatem, et caeleste sursum uersus iti-neris actiuum et ab omni humili per sursum ferens remotum; Ipsa uero pennarum leuitasnihil terrenum sed totum munde et sine grauitate in excelsum ascendens » (DIONYSIUS

AREOPAGITA secundum translationem quam fecit IOHANNES SCOTUS ERIUGENA, De caelesti hie-rarchia, in Dionysiaca, ed. Ph. CHEVALIER et al., Brügge, 1937, pag. 1008, col. 7; P.L.,CXXII, col. 1067A). Giovanni Scoto, a sua volta, concepisce i concetti di simbolico e ana-gogico come complementari: « Et hoc est quod subiunxit: ET AB IPSIS SYMBOLICE NOBIS ET

ANAGOGICE MANIFESTATAS CELESTIVM ANIMORVM IERARCHIAS, QVANTVM POTENTES SVMVS, INSPICIEMVS,hoc est: per ipsas diuinorum eloquiorum illuminationes, in mentibus propheticis a Deotraditas, non per se ipsas, uerum per symbola, hoc est per signa sensibilibus rebus similia,aliquando pura, aliquando dissimilia et confusa, et per anagogen, hoc est per ascensionemmentis in diuina mysteria, contemplabimur, quantum nobis sinitur, manifestatas cele-stium intellectuum dispositiones » (IOHANNES SCOTUS ERIUGENA, Expositiones in hierarchiamcaelestem, ed. J. BARBET, Turnhout, 1975, C.C.c.m., XXXI, I, pp. 7-8, rr. 256ss.).

23 « Symbolum est collatio formarum visibilium ad invisibilium demonstrationem »(HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941B).

24 « Cum vero puro pura et nuda revelatione ostenditur, vel plana et aperta narrationedocetur, anagogica » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941D).

25 « Anagoge autem ascensio, sive elevatio mentis est ad superna contemplanda. Notatautem hic duplicem modum revelationis divinae, quae theologorum et prophetarum men-tibus infusa est per visiones et demonstrationes, quas Graeci theophanias appellant, id estdivinas apparitiones. Quoniam aliquando per signa sensibilibus similia invisibilia demon-strata sunt, aliquando per solam anagogen, id est mentis ascensum, in superna pure con-templata. Ex his vero duobus generibus visionum, duo quoque descriptionum genera insacro eloquio sunt formata. Unum, quo formis, et figuris, et similitudinibus rerum occul-tarum veritas adumbratur. Alterum, quo nude et pure sicut est absque integumento expri-

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Anche in questo caso possiamo renderci conto della distanza traquesta interpretazione e il modo in cui Dionigi intende le theopha-niae, considerandole cioè come intrinsecamente e specificamente col-legate all’ambito formale, se non proprio alla visione 26. Sebbene inseguito Ugo ritorni sul tema della teofania, misurandosi con l’inter-pretazione dionisiana, egli cerca sempre di sforzare il concetto por-tandolo sul versante dell’illuminazione (intesa in senso metaforico)piuttosto che su quello della visione 27.

Ci sembra dunque importante soffermarci sui contorni di comeUgo affronti il tema delle theophaniae, poiché in esso il problema dimetodo teologico relativo alla gnoseologia per visionem appare emer-gere in maniera stringente.

Ritornando nel secondo capitolo sul significato di theophania,Ugo apre a un certo punto una veemente polemica contro quell’in-terpretazione di questo teologumeno che egli attribuisce a non me-glio specificati quidam, dietro i quali possiamo tuttavia riconoscereuna precisa concezione teologica, secondo la quale Dio non è cono-scibile se non attraverso theophaniae 28. Per Ugo questa posizione

mitur. Cum itaque formis, et signis, et similitudinibus manifestatur, quod occultum est,vel quod manifestum est, describitur, symbolica demonstratio est. Cum vero puro pura etnuda revelatione ostenditur, vel plana et aperta narratione docetur, anagogica » (HUGO DE

S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 941B-D).26 « Theophaniae autem sanctis factae sunt secundum decentes deum perque quasdam

sacras uidentibus proportionalium uisionum manifestationes. Ipsa igitur sapientissimatheologia uisionem illam quae in ipsa est descripta reuelauit diuinam quasi in forma in-formium similitudinem ex uidentium in diuinum reductione pulchre uocari theophaniam,quasi per ipsam uidentibus diuina facta illuminatione, et quid diuinorum ipsis sancte per-ficientibus » (DIONYSIUS AREOPAGITA secundum translationem quam fecit IOHANNES SCOTUS

ERIUGENA, De caelesti hierarchia, ed. cit., pp. 808; P.L., CXXII, col. 1047B).27 « Speculantur etiam per eamdem illuminationem intellectualia, subaudi symbola, id

est spirituales theophanias, id est divinas manifestationes, per quas eis intus occultae, etinvisibilis divinitatis natura manifestatur » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem,ed. cit., col. 1053D).

28 « Multa quidem hic dicenda fuerant de hoc contemplationis genere, quo theopha-niae, id est divinae apparitiones divinitus aspiratae mentibus illuminandis superveniunt, eteas de occultis et invisibilibus Dei miro, et abscondito, et secreto, et singulari modo eru-diendo sapientes efficiunt: praecipue quoniam et hic quoque quidam in cogitationibus suisevanuisse inveniuntur, Deum rationali animo omnino incomprehensibilem et inaccessibi-lem, praedicantes, praeterquam quod theophaniis quibusdam, id est divinis apparitionibus,

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equivarrebbe a sostenere la presenza di intermediari tra Dio e glianimi razionali, cosa che verrebbe a contraddire il principio dell’im-mediatezza tra l’intelletto umano e Dio, aspetto questo che non po-teva certo essere trascurato da un teologo fedele alla riflessione diAgostino quale fu Ugo 29. Non da ultimo questa posizione compor-terebbe l’impossibilità della conoscenza della verità in sé 30.

Ugo rifiuta dunque in modo categorico tanto questa concezionedelle theophaniae quanto la concezione apofatica della verità che vi èsottesa 31, e vi contrappone una lettura diversa, per la quale egli in-terpreta in senso allegorico la lucentezza delle teofanie, ammonendoche non si pongano intermediari tra le creature intellettuali e Dio,essendo l’immediatezza garanzia della beatificazione: « Sic ergo nonconstituimus alium inter Deum nostrum et nos, sed immediateviam facimus » 32.

vel similitudinibus divinis in contemplationem propositis, de ipso eruditur. Ipsa autemquasi quaedam simulacra absconditae Divinitatis inter rationales animos ac Deum mediaponunt, altiora quidem mente, inferiora autem Divinitate. Et hoc quidem solum de Deovideri, et in hoc solo Deum videri, utpote qui in ipso a nulla mente vel animo videri pos-sit » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 954D).

29 In merito al tema dell’immediatezza Agostino aveva espresso una posizione inequi-vocabile: « ...religet ergo nos religio uni omnipotenti deo, quia inter mentem nostram,qua illum intellegimus patrem et ueritatem, id est lucem interiorem, per quam illum in-tellegimus, nulla interposita creatura est » (AUGUSTINUS HIPPONENSIS, De uera religione, ed. K.-D. DAUR, Turnhout, 1962, C.C.S.L., XXXII, cap. 55, r. 122).

30 « Haec vero simulacra sunt eorum, et phantasmata vanitatis: in quibus dum solumDivinitatis lucem visibilem et perceptibilem conantur asserere, veram Deitatis cognitio-nem et visionem mentibus sanctis probantur auferre. Quid est enim in illis solum Deumvideri, et extra illa non videri, nisi nunquam vere videri, et verum nunquam videri? Sienim imago sola semper videtur, et veritas nunquam videtur, quoniam imago veritas non est,etiam cum de veritate est » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., coll.954D-955A).

31 « Tollant ergo phantasias suas, quibus lumen mentium nostrarum obumbrare nitun-tur; neque nobis Deum nostrum simulacris autumationum suarum intersepiant; quia nossicut satiare non potest aliquid praeter ipsum, ita nec sistere usque ad ipsum » (HUGO DE

S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 955 A).32 « Ipsas igitur theophanias alio modo, et veritati consentaneo existimemus. Sicut enim

duo sunt, lumen et quod suscipit lumen corpus: et ex his duobus unum efficitur lucens,et ipsum lucens imago quodammodo est, et similitudo luminis, in eo quod lucet sicut ip-sum lumen; ita et Deus noster lumen est, et verum lumen est, et ipsum lumen rationalesanimi mundi et puri concipiunt: et ex eo lucentes fiunt, et non sunt ipsi imago luminis

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Più oltre Ugo ribadirà che non si deve accordare alla theophanialo statuto di intermediario, aggiungendo questa volta un particolaredecisivo, cioè parlando di theophaniae come creaturae:

Et propterea quia proxima Deo est, idcirco theophaniae, id est divinae apparitio-nes, vel manifestationes, sive illuminationes primo operantes, a creatore scilicetin creaturam, non per creaturam (illae enim primae sunt operationes divinae illu-minationis in creaturam sive creatura, secundae per creaturam in creaturam) 33.

Tutti questi elementi ci guidano con un buon margine di cer-tezza a riconoscere nell’insegnamento di Giovanni Scoto Eriugenal’oggetto della critica di Ugo, in particolare la tesi per cui la veritàè inattingibile in modo diretto 34.

La preoccupazione di Ugo, che pur segue Eriugena nell’ammet-tere la creaturalità delle theophaniae, era evidentemente quella dicontrastare l’affermazione di una teologia apofatica che presupponeuna relazione tra uomo e Dio mediata da intermediari creaturali 35.

in eo quod sunt; sed in eo quod lucent ex lumine, sicut ipsum lumen lucet; et sunt ipsalucentia theophaniae luminis, in quibus lumen videtur, quoniam a nullo lumen videretur,si nullus a lumine illuminaretur. Nam et qui in se lumen videt, lucentem se videt; quiprofecto non videret, si non luceret, et se lucentem non videret. Sic ergo non constituimusalium inter Deum nostrum et nos, sed immediate viam facimus, et nobis ad ipsum, et ipsi usque adnos, ut simus in ipso, et ipse in nobis: ut non sit aliud extra ipsum, in quo beatificemur, sicutaliud esse non potuit praeter ipsum, a quo crearemur » (HUGO DE S. VICTORE, In Hierar-chiam coelestem, ed. cit., col. 955A-C).

33 Cfr. HUGO DE S. VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 1035B.34 « Ac breui sententia beatus Dionysius docet nos incunctanter, non solum humanos

animos adhuc in carne detentos per sensibilia symbola, uerum etiam angelicos intellectusomni carnali grauitate absolutos per inuisibiles significationes quas theophanias nominat,ipsam ueritatem cognoscere, quoniam per seipsam nulli creature, seu rationabili seu intelligibili,comprehensibilis est, super omnem sensum et intellectum exaltata, omni uisibili et inuisibilicreatura remota » (IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Expositiones in hierarchiam caelestem, ed. cit.,I, p. 17, rr. 596ss.).

35 Linos Siassos si sofferma sull’originalità dell’interpretazione eriugeniana delle teofa-nie rispetto a Dionigi, sostenendo l’infedeltà dell’esegesi dell’Irlandese rispetto agli intentidella teologia dionisiana: « chez Denys il n’y a pas de place pour situer une théorie desthéophanies crées » (L. SIASSOS, Des théophanies crées? Anciennes interprétations de la Ie Lettre de

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In relazione alla fortuna che l’opera di Eriugena aveva conosciutonel XII secolo, va rimarcato in particolare come proprio il temadelle theophaniae abbia ricevuto una considerevole attenzione, la-sciando ampie tracce nell’opera di autori di scuola cisterciense eporretana, quali, ad esempio, Guglielmo di Saint-Thierry 36, Isaccodella Stella 37, Alano di Lilla 38, Rodolfo Ardente 39, Guarniero diRochefort 40 o Simone di Tournai 41. Lo stesso Ugo dedicò unoscritto specifico a questo argomento, il De theophania multiplici, mavi tornò anche in altre opere, come il De unione corporis et spiritus.

In base a svariati raffronti testuali possiamo renderci conto dicome Ugo sia debitore verso l’esegesi eriugeniana: le stesse espres-sioni più ricorrenti in Ugo, come multiplex theophania o divina appa-ritio, sono infatti definizioni coniate dal maestro irlandese.

Denys l’Aréopagite, in Denys l’Aréopagite et sa posterité en Orient et en Occident. Actes du Collo-que International. Paris, 21-24 septembre 1994, Paris, 1997, p. 235). Cfr. inoltre ROQUES,Structures théologiques cit., pp. 345ss. Va peraltro detto che Eriugena non sostiene che ogniteofania debba essere necessariamente creaturale.

36 GUILLELMUS DE SANCTO THEODORICO, De natura et dignitate amoris, in Guillaume deSaint-Thierry. Deux traités sur la foi: le miroir de la foi, l’Énigme de la foi, ed. M.-M. DAVY,Paris 1953 (Bibliothèque des textes philosophiques), p. 84; ID., Expositio super CanticaCanticorum, ed. P. VERDEYEN, Turnhout, 1997 (C.C.c.m., LXXXVII), XXXII, 150.

37 ISAAC DE STELLA, Epistula de anima, P.L., CXCIV, col. 1888B.38 ALANUS AB INSULIS, Distinctiones dictionum theologicalium, P.L., CCX, col. 780A; Exposi-

tio prosae de angelis, in ALAIN DE LILLE, Textes inédits avec une introduction sur sa vie et ses oeu-vres, ed. M-Th. D’ALVERNY, Paris, 1965 (Études de philosophie médiévale, LII), p. 203;Hierarchia Alani, in ALAIN DE LILLE, Textes inédits cit., pp. 226-229; Summa « Quoniam homi-nes », ed. P. GLORIEUX, in Archives d’histoire doctrinale et littéraire du moyen âge, XX (1954), I,1, p. 138; II, 1, pp. 282-284.

39 RADULFUS ARDENS, Speculum universale, ms. Paris, Bibliothèque Nationale de France,lat. 3229, ff. 43r-v, 44r; la paternità delle citazioni viene attribuita a Iohannes Crisothonius,verosimile corruzione di Chrysostomus, epiteto con il quale non infrequentemente era indi-cato Giovanni Scoto; cfr. H.-F. DONDAINE, Cinq citations de Jean Scot chez Simon de Tournai,in Recherches de théologie et philosophie médiévales, XVII (1950), p. 308, n. 17; M. CAPPUYNS,Jean Scot Érigène. Sa vie, son oeuvre, sa pensée, Paris, 1933, p. 184, n. 6.

40 Cfr. N. HÄRING, John Scottus in Twelfth-Century Angelology, in Eriugena redivivus cit.,pp. 159-161.

41 Cfr. E.S. MAINOLDI, L’influenza eriugeniana sulla dottrina della beatitudo nel XII secolo,in « De vita beata. La felicità nel Medioevo ». Atti del XIII Convegno della Società Italianaper lo Studio del Pensiero Medievale (Milano, 12-13 settembre 2003), Leuven, 2005, pp.158ss.

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Hugo de S. Victore, De theophania multiplici

Theophania est apparitio divina. Ipsa est similitudodivina, in qua apparet et manifestatur Deus. Siquis omnem creaturam theophaniam dixerit, non erra-bit. Theophania potentiae est creaturarum magni-tudo: theophania sapientiae, creaturarum pulchri-tudo; theophania bonitatis, creaturarum utilitas.Omnis creatura aliquam similitudinem habetcum Deo. Prima similitudo creaturae ad Deum estquod est. Secunda quod una est, quia omne quodest in hoc est quod unum est 42.

Iohannes Scottus Eriugena

...multiplex theophania, in genera quidem, in spe-cies numerosque visibilium et invisibilium natu-rarum 43.In angelicis uero intellectibus earum rationum theo-phanias quasdam esse, hoc est comprehensibiles in-tellectuali naturae quasdam diuinas apparitiones, nonautem ipsas rationes, id est principalia exempla,quisquis dixerit non, ut arbitror, a ueritate errabit 44.Ideoque omnis uisibilis et inuisibilis creatura theopha-nia (id est diuina apparitio) potest appellari 45.

La dipendenza di Ugo da Eriugena si spinge dunque ben al di làdell’utilizzo della Versio Dionysi prodotta dall’Irlandese, ma affonda nel-le pieghe esegetiche delle Expositiones in Hierarchiam caelestem e del Peri-physeon. Tuttavia a fronte di una indiscutibile ricezione testuale positi-va, non altrettanto possiamo dire della ricezione dottrinale.

Le divergenze esegetiche che abbiamo riscontrato in Ugo rispetto aEriugena, ma anche allo stesso Dionigi, alle quali si affiancano glispunti polemici che il Vittorino rivolge alle scelte di traduzione effet-tuate dall’Irlandese, basandosi sulle glosse di Anastasio il Biblioteca-rio 46, ci fanno capire come uno dei principali scopi del commento diUgo sia stato quello di rettificare un’impostazione esegetica che si eradiffusa tra gli autori del suo tempo, riconducibile a Giovanni Scoto eal suo Fortleben nel XII secolo. Ci avviciniamo così a rintracciare unodei principali moventi storiografici del commento ugoniano, dei cuicontenuti non è dunque possibile arrivare a una piena comprensionesenza il riferimento a Giovanni Scoto.

Un ulteriore problema – non meno secondario – da Ugo riscon-trato nella teologia dionisiano-eriugeniana, è la trattazione della

42 HUGO DE S. VICTORE, De theophania multiplici, et in quibus est praecipua divina apparitio,P.L., CLXXVII, col. 518B-C.

43 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Versio Dionysii, Ad Karolum regem praefatio, P.L., CXXII,col. 1034C.

44 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Periphyseon, ed. É. JEAUNEAU, Turnhout, 1996 (C.C.c.m.,CLXI-CLXV), I, 446C.

45 IOHANNES SCOTTUS ERIUGENA, Periphyseon, ed. cit., III, 681A.46 Cfr. CHÂTILLON, Hugues de Saint-Victor critique de Jean Scot cit., p. 418; H.-F. DONDAI-

NE, Le corpus dionysien de l’université de Paris au XIIIe siècle cit., p. 55.

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dottrina eucaristica. Non ci possiamo qui dilungare su questo tema,perché andrebbe affrontato nel rispetto della valutazione della per-cezione del problema dopo la querelle tra Berengario e Lanfranco,nella quale il nome di Giovanni Scoto era rimasto coinvolto 47. Ciinteressa solo notare in che modo Ugo mette in critica la letturaeriugeniana della dottrina eucaristica dello ps.-Dionigi, dacché ri-troviamo analogie testuali, oltre che dottrinali, con la critica alladottrina degli intermediari e al problema della conoscenza per im-magini: anche in relazione a queste problematiche ritroviamo nelcommento di Ugo il problema dell’eucaristia come imago, e la criti-ca rivolta ancora a non meglio precisati quidam, ai quali il Vittori-no attribuisce posizioni che egli ritiene insostenibili:

« Et Jesu participationis ipsam divinissimae eucharistiae assumptionem ». Rur-sum subintellige, quod supra, arbitrans noster animus ipsam assumptionem divi-nissimae eucharistiae imaginem esse participationis Jesu. Ipsa enim assumptio di-vinissimae Eucharistiae, id est sanctissimae perceptionis corporis et sanguinis Je-su Christi, quam nunc sacramentaliter et visibiliter in altari tractamus, imago estet forma illius participationis Jesu, qua vel nunc ei in spiritu per dilectionem con-jungimur, vel postmodum in eadem forma gloriae apparentes plena similitudineuniemur. Sane hic notandum quod quidam ex hoc loco munimentum erroris suidicere putaverunt, dicentes in sacramento altaris veritatem corporis et sanguinisChristi non esse, sed imaginem illius tantum et figuram 48.

In questo passo Ugo attribuisce al termine imago un valore positivoqualora lo si intenda come metafora della partecipazione (« imago est etforma illius participationis »), ma gli attribuisce un valore negativo qua-lora venga inteso in senso stretto come forma visibile e quindi comemetafora della cosa in sé (cioè del corpo e del sangue di Cristo).

Dalle due questioni teologiche affrontate emergono tutti i contornidella critica mossa dal maestro vittorino all’interprete dionisiano per

47 Per una ricostruzione storica e dottrinale della disputa eucaristica dell’XI secolo cfr.J. DE MONTCLOS, Lanfranc et Bérenger: les origines de la doctrine de la Transsubstantiation, inLanfranco di Pavia e l’Europa del secolo XI. Nel IX centenario della morte (1089-1989). At-ti del Convegno internazionale di studi. Pavia, Almo Collegio Borromeo (21-24 settembre1989), cur. G. D’ONOFRIO, Roma, 1993 (Italia sacra. Studi e documenti di storia ecclesia-stica, LI), pp. 297-326.

48 HUGO DE SANCTO VICTORE, In Hierarchiam coelestem, ed. cit., col. 951B-C.

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antonomasia, Giovanni Scoto. In base a questi elementi è possibileevincere la sollecitudine nutrita da Ugo al fine di normalizzare entro iconfini paradigmatici della teologia latina le “eccentricità” della teolo-gia dionisiana: nel caso delle teofanie riportandosi a una gnoseologiadell’immediatezza, sulle scorte di Agostino, nel caso dell’eucaristiaescludendo ogni accenno che potesse richiamare un discostamento dalrigoroso sostanzialismo eucaristico a cui erano a approdati gli esiti del-la polemica berengariana e il concilio di Vercelli del 1050.

Cogliendo nell’insegnamento di Dionigi la distanza paradigma-tica rispetto al metodo teologico latino, Ugo si trova a fare i conticon sviluppi che approdano a risultati ancora più originali, sviluppiimbarazzanti se dovuti a un autore come Giovanni Scoto, discusso eassociato, sebbene erroneamente – come sappiamo oggi, ma Ugonon lo sapeva –, alla condanna di Berengario decretata dal conciliodi Vercelli, che per di più mostravano di aver trovato una ricezionesignificativa in molti autori del XII secolo.

Il problema principale non è tanto se la teologia dionisiana potessecondurre a fare a meno della centralità della rivelazione – perché que-sta è una lettura che non emerge dalle preoccupazioni di Ugo –, quan-to lo statuto della conoscenza formale, per immagini, e in definitiva ilrapporto tra Dio e la creazione nel processo di indagine teologica, nonnel senso di una autonomia della conoscenza della natura rispetto allarivelazione, come avverrà di lì a pochi decenni con l’affacciarsi dei Librinaturales aristotelici e ancora successivamente nei dibattiti del XIII se-colo sullo statuto epistemologico della teologia, quanto di una cono-scenza teofanica che pone seriamente in questione il problema dei rap-porti tra concetti che su base scritturistica avevano sempre avuto unagiustapposizione anodina: il creato e l’increato, nonché il visibile e l’in-visibile. Che tutto sia theophania implica una visione sofianica dellacreazione, cioè di identificazione tra la Sapienza creatrice e il prodottodella sua attività creatrice come sapienza creata, teofanica di quella maallo stesso tempo implicando un’idea di unità iperontologica tra Dio-Sapienza e mondo-sapienza.

Il realismo teofanico superava e metteva in crisi la concezionevigente dell’universitas, basata sul sistema delle substantiae, poichépresupponeva un nesso tra il creato e l’increato che illustrava unapiù profonda relazione tra gli esseri, non più basata sulle distinzionidialettico-ontologiche delle essenze, bensì racchiusa in una adunatio

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iper-ontologica. Giovanni Scoto aveva colto questa possibilità e ave-va dato seguito alle premesse dionisiane elaborando un sistema ba-sato sulla interpenetrabilità del creato e dell’increato, a partire dallequattro divisiones della natura descritte nel Periphyseon; da quanto os-servato possiamo ritenere che Ugo ebbe a sua volta consapevolezzadegli esiti a cui la teologia dionisiana poteva condurre, onde cercòdi opporvi una lettura normalizzante – dal momento che una cen-sura o un rigetto non si sarebbero addette a un autore ritenuto es-sere auctoritas apostolica. È a questo proposito significativo che Ugolegga il teologumeno della théosis, nel quale è implicato il problemadell’unità iperontologica delle nature umana e divina, alla streguadi un mero sinonimo della santificazione.

Che tra tutti i commentari a Dionigi sia stato quello di Ugo adaver incontrato la fortuna più cospicua ci suggerisce che fu proprioil Vittorino a dare un’interpretazione coincidente con le attese para-digmatiche sottese al rinnovamento della teologia latina nel XII se-colo. L’operazione di Ugo fu dunque motivata da una forte coscien-za da parte del teologo parigino circa le implicazioni comportatedal testo dionisiano, e coronata da successo, come attesta la diffu-sione del suo Commento e come possiamo leggere nei testi dellascuola vittorina a lui successivi, quali le Quaestiones in epistolas Pauli,o le opere di Riccardo e Acardo di San Vittore, o ancora in un au-tore non vittorino, ma imbevuto dell’opera eriugeniana, come Ono-rio di Ratisbona (Augustodunense).

Rileviamo quindi tutta l’importanza dell’incontro tra Ugo eDionigi, non tanto per l’arricchimento del pensiero e dell’opera delVittorino, quanto per il disinnescamento dell’opzione apofatico-so-fiologica che la teologia dionisiana comportava e che aveva iniziatoa porre, complice la mano eriugeniana, i primi ciottoli di un per-corso verso un medioevo latino non agostiniano e in definitiva voltoal superamento dell’impostazione cosmo-ousiologica ellenica.

Con il commento ugoniano il fiume dionisiano fu incanalatoentro argini capaci di contenerne lo slancio e la dirompenza, dive-nendo un punto di riferimento delle istanze di rinnovamento dellateologia che il Dodicesimo secolo aveva intrapreso, a fronte dellacrisi della teologia dialettica alto-medievale, consumatasi alla finedell’XI secolo, nella quale si era verificato il tramonto epocale delparadigma dell’unanimitas.

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La rinascita del XII secolo non potrebbe essere spiegata senzafare riferimento all’esigenza di rinnovamento della cultura teologicaa partire dall’abbandono dei propositi altomedievali di ricerca del-l’unanimitas, paradigma che aveva dominato la concezione teologicacristiana sin dall’età apostolica e patristica. Due fattori storico-poli-tici favorirono questo rinnovamento: la riforma gregoriana, che por-tò la Chiesa a smarcarsi dall’idea teorica di ricerca di una sinfoniacon il potere imperiale, sulla falsariga del modello bizantino (rinun-cia all’unanimitas politica), e alla rottura con le Chiese orientali, chesegnò la rinuncia all’unanimitas ecclesiale 49.

Se lo spirito che muove le energie intellettuali di un’epoca nonpuò emergere semplicemente da un’istanza programmatica, la rilet-tura delle fonti teologiche tradizionali fu invece condotta in base auna metodologia finalizzata alla costruzione di una teologia univer-sale che potesse esprimere il nuovo universalismo romano dellaChiesa post-gregoriana, capace di riportare a sé ogni istanza del sa-pere. La teologia dionisiana costituì una sfida e al contempo unabase autorevole nel processo di edificazione della nuova universitasteologica: essa si trovò al centro di interessi di scuole diverse e percerti versi antitetiche, come i Porretani, i Vittorini e i Cisterciensi.Ma fu con Ugo che possiamo dire Dionigi incanalato nell’alveomaggiore della teologia latina, quindi definitivamente guadagnatoalla categoria dell’utilizzabilità, attraverso l’espunzione di quelleasperità che la ricerca dell’unanimitas avrebbero reso problematiche,se non impossibili.

49 Assumendo con il Dictatus Papae la legittimazione teorica dell’estensione del poteredella Chiesa all’ambito temporale si raggiungeva un universalismo politico ecclesiocentri-co, mentre la rottura con la Chiesa di Costantinopoli nel 1054 segnava la definitiva affer-mazione storica dell’universalismo pontificio romano, che determinò la sua universitas comecattolicesimo, alla quale le Chiese orientali, allineatesi con la sede costantinopolitana, ri-sposero definendosi come ‘Chiesa ortodossa’, ribadendo così, implicitamente, il criterio pa-tristico dell’unanimitas. Per una lettura degli sviluppi teologici nell’XI secolo in relazionealle trasformazioni storiche cfr. G. D’ONOFRIO, Anselmo e i teologi moderni, in Cur Deus homo.Atti del Convegno Anselmiano Internazionale (Roma, 21-23 maggio 1998), cur. P. GIL-BERT - H. KOHLENBERGER - E. SALMANN, Roma, 1999 (Studia Anselmiana, CXXVIII), pp.87-146.