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CONVEGNO DI NEUROETICA MALATO DI ALZHEIMER, LIBERO O PROTETTO? Stefania Carrea 1 , Alessandro Sgobbi 2 1 Psicologa-psicoterapeuta cognitivista presso il Centro diurno integrato Aima-Al per malati di Alzheimer e sindromi correlate, Alessandria; 2 docente presso le scuole secondarie di secondo grado e dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano. Padova, 05 –07 Maggio 2010 ABSTRACT Questo lavoro prende in esame le difficoltà di approccio ai malati di Alzheimer (Ad) di fronte al deterioramento delle facoltà dapprima cognitive (grado lieve) e poi comportamentali (grado moderato), con un’evoluzione non definibile a priori in termini di tempistica e di intensità e con un andamento marcatamente discontinuo del processo di decadimento. Quest’ultimo aspetto in particolare comporta la necessità di elaborare specifiche strategie per garantire un’adeguata assistenza a un paziente le cui facoltà appaiono sì degenerate ma non del tutto compromesse, senza limitarne però l’autonomia e la libertà di scelta. Nell’ambito della mia attività di psicologa presso un centro di diurno per malati di Alzheimer, ho seguito un soggetto di 88 anni con diagnosi di Ad (MMSE= 22,3). In questo caso la malattia ha portato in primo piano i caratteri premorbosi della personalità, provocando fenomeni di vagabondaggio e cleptomania non preventivabili né controllabili. Nell’attesa che l’evolversi della malattia impedisca tali episodi, la situazione risulta abbandonata a se stessa e in certo modo affidata al semplice fluire del tempo. In tale frangente, come ci si deve perciò comportare per tutelare sia il malato sia le persone che per i più svariati motivi entrano in contatto con lui? Ciò rappresenta un vero e proprio enigma irrisolto per le famiglie e le strutture in cui egli si trova inserito, poiché nel confronto quotidiano con un malato di Alzheimer ci si trova impigliati a mezza via tra la volontà di aiutare chi è in difficoltà e la sensazione di limitare in modo troppo invasivo la libertà personale di chi ha in parte ancora la capacità di esprimere idee e compiere azioni autonome e liberamente scelte: ci si confronta dunque con un senso di impotenza che deriva direttamente dalla consapevolezza di un dilemma etico irrisolto. Negli ultimi decenni la tendenza ad un progressivo incremento della popolazione anziana ha posto i servizi socio-sanitari di fronte alla necessità di prestare sempre maggior attenzione alle demenze, intese non tanto come mero deficit cognitivo bensì come insieme di problematiche relazionali che coinvolgono il La famiglia d’altra parte, viste le reazioni a volte violente di fronte agli inviti a restare in casa, e notando che sarebbe un peccato impedire le molte autonomie personali non ancora compromesse dalla malattia, non riesce a intervenire in nessun modo La situazione risulta insomma abbandonata a se stessa, e in certo modo affidata al semplice fluire del tempo, poiché prima o poi l’evoluzione della malattia impedirà il vagabondaggio del malato, oggi ancora possibile poiché le abilità di orientamento spaziale sono tuttora conservate. Non si può peraltro prevedere quando un tale peggioramento si verificherà in via definitiva; e d’altra parte ci si può verisimilmente attendere che durante questa evoluzione in negativo il paziente prima o poi, pur essendo in grado di muoversi da solo, cominci a non essere troppo attento ai pericoli della strada, finendo col rappresentare un pericolo per sé e per gli altri. Nel frattempo, mentre si attende che le sue condizioni siano tali da impedire ogni movimento autonomo, come ci si deve perciò comportare per tutelare sia lui sia le persone che per i più svariati motivi entrano in contatto con lui? Si tratta di un problema di difficile soluzione, poiché il paziente di fronte ad una limitazione reagisce in modo violento, mentre di fronte a una spiegazione dei motivi per cui un determinato atto non deve essere commesso risponde negando il fatto problematiche relazionali che coinvolgono il paziente e i caregivers con un forte impatto sulle dinamiche famigliari e sui rapporti sociali. A proposito possono verificarsi anche casi di vero e proprio mutamento della personalità, per cui persone solitamente controllate e misurate diventano impulsive, intrattabili e a volte anche irruente. Il decorso della malattia è però tale che l’aggravarsi dei sintomi non è costante, ma soggetto a oscillazioni e fluttuazioni: molto spesso il declino non è perciò definibile a livello di tempistica né si può preventivamente dire in quale direzione avverrà. REFERIMENTI BIBLIOGRAFICI 1.Gambina G., Pasetti C.“Introduzione alla malattia di Alzheimer e alle altre demenze, dalla clinica alla bioetica”, Cortina editori, 2008. 2.Zanetti O., Zanieri G., Di Giovanni G., De Veerse L.P., Pezzini A., Metitieri T., Trabucchi M., “Effectiveness of procedural memory stimulation in mild Alzheimer’s disease patients: A controlled study” Neuropsychological Rehabilitation, Vol. 11, 2001, pp. 263- 272[22.11.17] 3. Cipriani G.,Bianchetti A., Trabucchi M., “Outcomes of a computer-based cognitive rehabilitation program on Alzheimer's disease patients compared with those on patients affected by mild cognitive impairment”, Archives of Gerontology and Geriatrics. [22.11.59] Archives of Gerontology and Geriatrics, Volume 43, Issue 3, November 2006, Pages 327-335 4.Heyn P., Abreu B.C., Ottenbacher K.J., “The effects of exercise training on elderly persons with cognitive impairment and dementia: a meta-analysis”, Archives of physical medicine and rehabilitation, [22.09.42] Volume 85, Issue 10, Pages 1694-1704 (October 2004). Nel frattempo il paziente rimane dunque esposto ai rischi stessi della sua condizione, costituendo un pericolo per se stesso e per gli altri. Al contempo, e proprio per le caratteristiche particolari della sua malattia, egli rappresenta un vero e proprio enigma irrisolto per le famiglie e le strutture in cui egli si trova inserito, poiché nel confronto quotidiano con un malato di Alzheimer ci si trova impigliati a mezza via tra la volontà di aiutare chi è in difficoltà e la sensazione di limitare in modo troppo invasivo la libertà personale di chi ha in parte ancora la capacità di esprimere idee e compiere azioni autonome e liberamente scelte: ci si confronta dunque con un senso di impotenza che deriva direttamente dalla consapevolezza di un dilemma etico irrisolto. In altri termini ci si interroga se con l’avanzare della malattia l’Io competente e l’Io demente possano essere considerati come due momenti tra loro coerenti all’interno del ciclo di vita della persona o se l’Io demente sia da intendersi come un nuovo Io che prende il posto dell’Io competente dando luogo a comportamenti che stravolgono la precedente immagine sociale del malato al punto da renderlo irriconoscibile. Si tratta di una questione aperta a cui la scienza non ha saputo dare risposta: un adeguato approccio etico risulta perciò tanto più difficilmente definibile quanto più labili e sfuggenti sono i termini della comprensione della malattia di Alzheimer. Questa particolare situazione di disomogeneità nel corso del pur irreversibile declino prima cognitivo e poi comportamentale dei malati di Alzheimer rende alquanto complicato l’approccio a tali pazienti, soprattutto nelle fasi iniziali della malattia, durante le quali i segnali di decadimento delle facoltà cognitive sono più discontinui. Si pone in altri termini il problema di quali siano le strategie migliori da adottare per garantire un’adeguata assistenza a un paziente affetto da un processo degenerativo delle proprie facoltà senza limitare il campo delle libere scelte del paziente stesso nel momento in cui tali facoltà appaiono non del tutto compromesse. Per riflettere sulla questione può essere d’ausilio un caso concreto. Nell’ambito della mia attività di psicologa presso un centro diurno per malati di Alzheimer, ho seguito un soggetto di 88 anni con diagnosi di demenza di Alzheimer (MMSE=22,3). Durante il giorno, la suddetta persona frequenta il centro per malati di Alzheimer con frequenza di cinque giorni la settimana, mentre nelle ore serali e notturne, e per l’intero fine-settimana è affidato alla famiglia. Egli presenta sia deterioramento della memoria a breve termine sia deficit nell’orientamento temporale. Una delle manifestazioni della malattia è nel suo caso un affiorare dei caratteri premorbosi della personalità che ha portato ad una marcata tendenza a rubare oggetti non propri. Tale fenomeno si presenta sia all’interno del centro stesso sia all’esterno. Nelle ore di permanenza dell’assistito nel centro, si sono verificati furti di denaro e sparizioni di oggetti personali di altri utenti, nonché dell’oggettistica del centro (compreso il cibo preparato prima di pranzo e quello conservato negli armadi): si è perciò provveduto a chiudere tutte le stanze deputate alla conservazione dei cibi, e gli spogliatoi che contengono oggetti personali degli ospiti. Per prevenire il ripetersi degli episodi si è anche tentato, nei limiti del possibile, di aumentare il controllo: in un’occasione, scoperto sul fatto, il signore ha negato di aver fatto alcunché, pur continuando a mangiare la refurtiva di fronte agli altri ospiti, allontanando anzi con fare aggressivo chiunque gli si avvicinasse. Nel tempo trascorso all’esterno della struttura, egli, affermando di annoiarsi a casa, passeggia per il quartiere da solo, rubando da negozi e supermercati tutto quello che gli capita a tiro. Esasperati dalla situazione, i commercianti si sono avvalsi di una guardia giurata, che lo ha scoperto sul fatto: una volto condotto alla caserma dei carabinieri è stato però riaffidato alla famiglia senza alcuna ripercussione sul suo comportamento. commesso risponde negando il fatto stesso, non ricordando di averlo commesso. L’ipotesi di un inserimento in una casa di riposo viene inoltre rigettata della famiglia perché, mantenendo il malato delle aree di autonomia, non sembra ancora inevitabile per lui il momento del ricovero. Quanto all’eventualità di una sedazione, non sembra esserci un numero sufficiente di episodi critici tale da giustificare una soluzione di questo tipo.

Malato di Alzheimer, libero o protetto?

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Poster di Stefania Carrea e Alessandro Sgobbi. Centro diurno Alzheimer "L'arcobaleno della memoria". Presentato a Padova per il convegno "Neuroetica" 3-7/06/2010. Poster relativi a lavori sperimentali, teorici, analitici e critici riguardanti le applicazioni e le ricadute filosofiche, sociali, legali e politiche della ricerca neuroscientifica.

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CONVEGNO DI NEUROETICAMALATO DI ALZHEIMER, LIBERO O

PROTETTO?

Stefania Carrea1, Alessandro Sgobbi2

1 Psicologa-psicoterapeuta cognitivista presso il Centro diurno integrato Aima-Al per malati di Alzheimer e sindromi correlate,

Alessandria; 2 docente presso le scuole secondarie di secondo grado e dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano.

Padova, 05 –07 Maggio 2010

ABSTRACT

Questo lavoro prende in esame le difficoltà di approccio ai malati di Alzheimer (Ad) di fronte aldeterioramento delle facoltà dapprima cognitive (grado lieve) e poi comportamentali (gradomoderato), con un’evoluzione non definibile a priori in termini di tempisticae di intensità e conun andamento marcatamente discontinuo del processo di decadimento. Quest’ultimoaspetto inparticolare comporta la necessità di elaborare specifiche strategie per garantire un’adeguataassistenza a un paziente le cui facoltà appaiono sì degenerate ma non del tutto compromesse,senza limitarne però l’autonomia e la libertà di scelta.Nell’ambito della mia attività di psicologa presso un centro di diurno permalati di Alzheimer,ho seguito un soggetto di 88 anni con diagnosi di Ad (MMSE= 22,3). In questo casola malattiaha portato in primo piano i caratteri premorbosi della personalità, provocandofenomeni divagabondaggio e cleptomania non preventivabili né controllabili.Nell’attesa che l’evolversi della malattia impedisca tali episodi, la situazione risultaabbandonata a se stessa e in certo modo affidata al semplice fluire del tempo.In tale frangente, come ci si deve perciò comportare per tutelare sia il malato sia le persone cheper i più svariati motivi entrano in contatto con lui?Ciò rappresenta un vero e proprio enigma irrisolto per le famiglie e le strutture in cui egli sitrova inserito, poiché nel confronto quotidiano con un malato di Alzheimer ci si trova impigliatia mezza via tra la volontà di aiutare chi è in difficoltà e la sensazione di limitare in modo troppoinvasivo la libertà personale di chi ha in parte ancora la capacità di esprimere idee e compiereazioni autonome e liberamente scelte: ci si confronta dunque con un senso di impotenza chederiva direttamente dalla consapevolezza di un dilemma etico irrisolto.

Negli ultimi decenni la tendenza ad unprogressivo incremento della popolazioneanziana ha posto i servizi socio-sanitari di frontealla necessità di prestare sempre maggiorattenzione alle demenze, intese non tanto comemero deficit cognitivo bensì come insieme diproblematiche relazionali che coinvolgono il

La famiglia d’altra parte, viste le reazioni a volte violente di fronte agliinviti a restare in casa, e notando che sarebbe un peccato impedire le molteautonomie personali non ancora compromesse dalla malattia, non riesce aintervenire in nessun modoLa situazione risulta insomma abbandonata a se stessa, e in certo modoaffidata al semplice fluire del tempo, poiché prima o poi l’evoluzione dellamalattia impedirà il vagabondaggio del malato, oggi ancorapossibile poichéle abilità di orientamento spaziale sono tuttora conservate. Non si puòperaltro prevedere quando un tale peggioramento si verificherà in viadefinitiva; e d’altra parte ci si può verisimilmente attendere che durantequesta evoluzione in negativo il paziente prima o poi, pur essendo in gradodi muoversi da solo, cominci a non essere troppo attento ai pericoli dellastrada, finendo col rappresentare un pericolo per sé e per gli altri.Nel frattempo, mentre si attende che le sue condizioni sianotali da impedireogni movimento autonomo, come ci si deve perciò comportare per tutelaresia lui sia le persone che per i più svariati motivi entrano incontatto con lui?

Si tratta di un problema di difficilesoluzione, poiché il paziente difronte ad una limitazione reagisce inmodo violento, mentre di fronte auna spiegazione dei motivi per cuiun determinato atto non deve esserecommessorispondenegandoil fattoproblematiche relazionali che coinvolgono il

paziente e i caregivers con un forte impatto sulledinamiche famigliari e sui rapporti sociali.A proposito possono verificarsi anche casi divero e proprio mutamento della personalità, percui persone solitamente controllate e misuratediventano impulsive, intrattabili e a volte ancheirruente. Il decorso della malattia è però tale chel’aggravarsi dei sintomi non è costante, masoggetto a oscillazioni e fluttuazioni: moltospesso il declino non è perciò definibile a livellodi tempistica né si può preventivamente dire inquale direzione avverrà.

REFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

1.Gambina G., Pasetti C.“Introduzione alla malattia di Alzheimer e alle altre demenze, dalla clinica alla bioetica”,Cortina editori, 2008.2.Zanetti O., Zanieri G., Di Giovanni G., De Veerse L.P., Pezzini A., Metitieri T., Trabucchi M., “Effectiveness of procedural memorystimulation in mild Alzheimer’s disease patients: A controlled study” Neuropsychological Rehabilitation, Vol. 11, 2001, pp. 263-272[22.11.17]3. Cipriani G.,Bianchetti A., Trabucchi M., “Outcomes of a computer-based cognitive rehabilitation program on Alzheimer's diseasepatients compared with those on patients affected by mild cognitive impairment”, Archives of Gerontology and Geriatrics. [22.11.59]Archives of Gerontology and Geriatrics, Volume 43, Issue 3,November 2006, Pages 327-3354.Heyn P., Abreu B.C., Ottenbacher K.J., “The effects of exercise training on elderly persons with cognitive impairment and dementia: ameta-analysis”, Archives of physical medicine and rehabilitation, [22.09.42] Volume 85, Issue 10, Pages 1694-1704 (October 2004).

Nel frattempo il paziente rimane dunque esposto ai rischi stessi della suacondizione, costituendo un pericolo per se stesso e per gli altri. Alcontempo, e proprio per le caratteristiche particolari della sua malattia, eglirappresenta un vero e proprio enigma irrisolto per le famiglie e le strutture incui egli si trova inserito, poiché nel confronto quotidianocon un malato diAlzheimerci si trova impigliati a mezza via tra la volontà di aiutare chi è in difficoltà ela sensazione di limitare in modo troppo invasivo la libertàpersonale di chiha in parte ancora la capacità di esprimere idee e compiere azioni autonomee liberamente scelte:ci si confronta dunque con un senso di impotenza che deriva direttamentedalla consapevolezza di un dilemma etico irrisolto. In altri termini ci siinterroga se con l’avanzare della malattia l’Io competentee l’Io dementepossano essere considerati come due momenti tra loro coerenti all’internodel ciclo di vita della persona o se l’Io demente sia da intendersi come unnuovo Io che prende il posto dell’Io competente dando luogo acomportamenti che stravolgono la precedente immagine sociale del malatoal punto da renderlo irriconoscibile.Si tratta di una questione aperta a cui la scienza non ha saputo dare risposta:un adeguato approccio etico risulta perciò tanto più difficilmente definibilequanto più labili e sfuggenti sono i termini della comprensione della malattiadi Alzheimer.

Questa particolare situazione di disomogeneità nel corso del pur irreversibiledeclino prima cognitivo e poi comportamentale dei malati diAlzheimer rendealquanto complicato l’approccio a tali pazienti, soprattutto nelle fasi iniziali dellamalattia, durante le quali i segnali di decadimento delle facoltà cognitive sono piùdiscontinui. Si pone in altri termini il problema di quali siano le strategie migliori daadottare per garantire un’adeguata assistenza a un paziente affetto da un processodegenerativo delle proprie facoltà senza limitare il campodelle libere scelte delpaziente stesso nel momento in cui tali facoltà appaiono nondel tutto compromesse.Per riflettere sulla questione può essere d’ausilio un casoconcreto.Nell’ambito della mia attività di psicologa presso un centro diurno per malati diAlzheimer, ho seguito un soggetto di 88 anni con diagnosi di demenza di Alzheimer(MMSE=22,3). Durante il giorno, la suddetta persona frequenta il centro per malatidi Alzheimer con frequenza di cinque giorni la settimana, mentre nelle ore serali enotturne, e per l’intero fine-settimana è affidato alla famiglia. Egli presenta siadeterioramento della memoria a breve termine sia deficit nell’orientamentotemporale. Una delle manifestazioni della malattia è nel suo caso un affiorare deicaratteri premorbosi della personalità che ha portato ad una marcata tendenza arubare oggetti non propri. Tale fenomeno si presenta sia all’interno del centro stessosia all’esterno. Nelle ore di permanenza dell’assistito nel centro, si sono verificatifurti di denaro e sparizioni di oggetti personali di altri utenti, nonchédell’oggettistica del centro (compreso il cibo preparato prima di pranzo e quelloconservato negli armadi): si è perciò provveduto a chiuderetutte le stanze deputatealla conservazione dei cibi, e gli spogliatoi che contengono oggetti personali degliospiti. Per prevenire il ripetersi degli episodi si è anche tentato, nei limiti delpossibile, di aumentare il controllo: in un’occasione, scoperto sul fatto, il signore hanegato di aver fatto alcunché, pur continuando a mangiare larefurtiva di fronte aglialtri ospiti, allontanando anzi con fare aggressivo chiunque gli si avvicinasse. Neltempo trascorso all’esterno della struttura, egli, affermando di annoiarsi a casa,passeggia per il quartiere da solo, rubando da negozi e supermercati tutto quello chegli capita a tiro. Esasperati dalla situazione, i commercianti si sono avvalsi di unaguardia giurata, che lo ha scoperto sul fatto: una volto condotto alla caserma deicarabinieri è stato però riaffidato alla famiglia senza alcuna ripercussione sul suocomportamento.

commessorispondenegandoil fattostesso, non ricordando di averlocommesso.L’ipotesi di un inserimento in unacasa di riposo viene inoltre rigettatadella famiglia perché, mantenendo ilmalato delle aree di autonomia, nonsembra ancora inevitabile per lui ilmomento del ricovero. Quantoall’eventualità di una sedazione, nonsembra esserci un numerosufficiente di episodi critici tale dagiustificare una soluzione di questotipo.