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MANAGEMENT E PROTOCOLLO TERAPEUTICO DELLE OSTEONECROSI DEI MASCELLARI DA BIFOSFONATI SIDCO RESPONSABILE DEL PROGETTO: prof Carmen Mortellaro INDICE 1. Introduzione 2. Bifosfonati 3. Farmacocinetica dei bifosfonati 4. Bifosfonati e le loro applicazioni cliniche 5. Lesioni osteonecrotiche dei mascellari indotte dai bifosfonati 6. Schemi di prevenzione e trattamento delle lesioni osteonecrotiche in pazienti in terapia con bifosfonati 7. Bibliografia 1. INTRODUZIONE L’attenzione dei clinici e della comunità scientifica sugli effetti collaterali delle terapie croniche a base di bifosfonati è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni. Da stime recenti, emerge che i bisfosfonati rientrano tra i 20 farmaci più prescritti al mondo. I bifosfonati rappresentano infatti la terapia d'elezione nel trattamento e/o nella prevenzione di diverse patologie, quali il mieloma multiplo, l’ipercalcemia maligna (tumor- induced), di alcuni tumori solidi, delle metastasi ossee, nonché dell’osteoporosi e di alcuni disordini ossei, quali il morbo di Paget e l’osteogenesi imperfetta. L’osteonecrosi dei mascellari indotta dall’uso dei bifosfonati rappresenta una importante complicanza a medio e lungo termine, descritta originariamente solo a carico dei pazienti oncologici trattati con bifosfonati per via parenterale, ma riscontrata più recentemente anche in quelli trattati con il farmaco per via orale. Tuttavia, data la relativamente recente introduzione di questi farmaci nella farmacopea mondiale, i dati epidemiologici disponibili sull’osteonecrosi dei mascellari da bifosfonati sono ancora carenti.

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MANAGEMENT E PROTOCOLLO TERAPEUTICO

DELLE OSTEONECROSI DEI MASCELLARI DA

BIFOSFONATI SIDCO

RESPONSABILE DEL PROGETTO: prof Carmen Mortellaro

INDICE

1. Introduzione

2. Bifosfonati

3. Farmacocinetica dei bifosfonati

4. Bifosfonati e le loro applicazioni cliniche

5. Lesioni osteonecrotiche dei mascellari indotte dai bifosfonati

6. Schemi di prevenzione e trattamento delle lesioni osteonecrotiche in pazienti in

terapia con bifosfonati

7. Bibliografia

1. INTRODUZIONE

L’attenzione dei clinici e della comunità scientifica sugli effetti collaterali delle terapie

croniche a base di bifosfonati è cresciuta sensibilmente negli ultimi anni.

Da stime recenti, emerge che i bisfosfonati rientrano tra i 20 farmaci più prescritti al mondo.

I bifosfonati rappresentano infatti la terapia d'elezione nel trattamento e/o nella

prevenzione di diverse patologie, quali il mieloma multiplo, l’ipercalcemia maligna (tumor-

induced), di alcuni tumori solidi, delle metastasi ossee, nonché dell’osteoporosi e di alcuni

disordini ossei, quali il morbo di Paget e l’osteogenesi imperfetta.

L’osteonecrosi dei mascellari indotta dall’uso dei bifosfonati rappresenta una importante

complicanza a medio e lungo termine, descritta originariamente solo a carico dei pazienti

oncologici trattati con bifosfonati per via parenterale, ma riscontrata più recentemente

anche in quelli trattati con il farmaco per via orale. Tuttavia, data la relativamente recente

introduzione di questi farmaci nella farmacopea mondiale, i dati epidemiologici disponibili

sull’osteonecrosi dei mascellari da bifosfonati sono ancora carenti.

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Ad oggi, oltre al metodo di somministrazione parenterale, anche la dose di farmaco

cumulata nel tempo rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di lesioni

orali. A questi si aggiungono svariati fattori predisponenti, tra cui quelli più frequenti per lo

sviluppo di lesioni osteonecrotiche dei mascellari sono rappresentati da un’anamnesi

positiva per procedure di chirurgia orale, traumi dentali, oppure traumatismi cronici indotti

da manufatti protesici.

Sebbene l’incidenza di questa patologia sia tuttora relativamente bassa, in rapporto al

grandissimo numero di pazienti trattati con successo con i bifosfonati, essa non può

essere trascurabile tanto più che la gestione delle osteonecrosi è spesso difficile e non

codificabile soprattutto per le lesioni estese ed inveterate. A tal proposito, differenti

protocolli sono stati proposti, improntati soprattutto sulla prevenzione dell’insorgenza delle

lesioni orali e sul trattamento dei pazienti colpiti dall’osteonecrosi, spesso già seriamente

provati e sofferenti per la loro condizione sistemica di base.

2. BIFOSFONATI I bisfosfonati sono analoghi strutturali del pirofosfato inorganico. A causa della sostituzione

con un atomo di carbonio dell’atomo di ossigeno nell’asse principale della molecola (e

quindi la formazione del legame P-C-P), i bisfosfonati sono resistenti alla scissione

idrolitica da parte delle pirofosfatasi dell’organismo. Essi sono inoltre caratterizzati dalla

presenza di due catene laterali, R¹ e R², che ne influenzano l’affinità, la potenza relativa e

il profilo di tossicità. La catena R¹, generalmente corta, partecipa al legame con la matrice

ossea mineralizzata, mentre la catena R² è responsabile delle proprietà biologiche dei

bifosfonati e differisce notevolmente da composto a composto (Figura 1).

Figura 1: struttura chimica della molecola

Pirofosfato inorganico

Bisfosfonato

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I bifosfonati furono sintetizzati per la prima volta negli anni ’60 e l’aggiunta di catene

laterali al nucleo centrale ha consentito successivamente la sintesi di composti

farmacologicamente più attivi, tutti con spiccata affinità per il tessuto osseo. Dal punto di

vista chimico, i bisfosfonati si distinguono in non-amino bisfosfonati (bisfosfonati di prima generazione) ed in amino-bisfosfonati (bisfosfonati di seconda generazione) a

seconda dell’assenza o presenza di un atomo di azoto nella formula di struttura (Tabella

1). La sostituzione della catena laterale azotata sull’atomo di carbonio centrale della

catena aumenta la potenza e probabilmente la tossicità. I bifosfonati di I generazione,

come l'etidronato ed il clodronato, con struttura molecolare molto simile al pirofosfato,

sono metabolizzati all’interno degli osteoclasti e di tutte le cellule derivate dalla stessa

linea cellulare (monociti, macrofagi) e convertiti in un analogo non idrolizzabile dell’ATP,

che una volta incorporato in queste cellule, provocando un deficit energetico, ne causa la

morte immediata. Gli amino-bifosfonati agiscono invece sulla via del mevalonato,

inibendone l'enzima chiave, la farnesil-pirofosfato sintetasi che catalizza la biosintesi del

colesterolo a partire dal mevalonato stesso, finendo col produrre dei derivati isoprenilici

che comportano la mancata prenilazione post-traduzionale di diverse classi di proteine

GTP-asi dipendenti (Ras, Rac, Rho ecc.), le quali svolgono un ruolo fondamentale nel

mantenimento del ciclo cellulare. Esse agiscono infatti sulla trasduzione dei segnali

intercellulari, sulla morfologia e sulla proliferazione cellulare, indispensabili per la funzione

biologica e la sopravvivenza della cellula osteoclastica. L’inibizione di tale meccanismo

causa un’alterazione del citoscheletro dell’osteoclasta tale da determinarne l’impossibilità

a formare il“ruffled border”(orletto a spazzola), ed ha come effetto finale, una sua più

rapida apoptosi.

Gli amino-bisfosfonati, sono più potenti e maggiormente selettivi rispetto ai bisfosfonati di

prima generazione, e sono risultati essere in grado di inibire l’angiogenesi e la

proliferazione delle cellule tumorali sia in vivo che in vitro. Tra gli amino-bisfosfonati,

l’acido pamidronico e l’acido zoledronico si sono dimostrati i più efficaci, sia da studi in

vitro che dal punto di vista terapeutico, per il trattamento delle metastasi ossee e

dell’ipercalcemia neoplastica; tuttavia, data la maggiore percentuale di incidenza e la più

rapida insorgenza delle lesioni osteonecrotiche dopo assunzione di zoledronato, oggi si

tende ad indicare il pamidronato come bisfosfonato di prima scelta al posto dello

zoledronato, nonostante quest’ultimo sia ancora quello più prescritto.

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Dalle caratteristiche a livello molecolare dipendono le caratteristiche cliniche, quali il loro

accumulo nel tessuto osseo e la lunga emivita, che sono tra l’altro alla base degli effetti

collaterali di tali sostanze.

Tabella 1: principali molecole di bifosfonati classificati per struttura chimica ed indicazione del principale

metodo di somministrazione

I generazione • Clodronato (somministrazione per via endovensa/intramuscolare)

• Etidronato (somministrazione per via orale)

II generazione • Alendronato (somministrazione per via orale)

• Neridronato (somministrazione per via endovensa/intramuscolare)

• Pamidronato (somministrazione per via endovensa/intramuscolare)

• Ibandronato (somministrazione per via orale)

• Risedronato (somministrazione per via endovensa/intramuscolare)

• Zoledronato (somministrazione per via endovensa/intramuscolare)

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Figura 2: molecole di sintesi derivate dal bifosfonato

3. FARMACOCINETICA DEI BIFOSFONATI

In generale, i bifosfonati sono scarsamente assorbiti nell’uomo come risultato della loro

scarsa lipofilia. L’assorbimento avviene nel tratto gastrointestinale, in particolare nel

duodeno, ed è dose-dipendente. Una volta assorbiti, si legano alle proteine plasmatiche, in

particolare all’albumina, essendo completamente ionizzati a pH=7. Il legame tra la

molecola e le proteine plasmatiche è fortemente influenzato dal pH e dalla presenza di

calcio. Infatti, il calcio, presente nel latte e nei suoi derivati, forma chelati insolubili con i

bifosfonati, ed altri alimenti, quali succhi di frutta, cibi ricchi di ferro, caffè, etc, rendono

difficile l’assorbimento della molecola a libello del tratto gastro-intestinale. Per tali ragioni si

consiglia l’assunzione di questi farmaci a stomaco vuoto.

La somministrazione endovenosa, così come quella intramuscolare, garantisce una

biodisponibilità del 100%, per cui si raggiunge rapidamente una dose elevata. Per questo

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motivo tali vie si sono dimostrate più efficaci nella terapia delle ipercalcemie secondarie a

metastasi scheletriche di neoplasie solide e neoplasie dell’apparato emopoietico. La

somministrazione orale dei bifosfonati dà una bassa biodisponibilità che è condizionata

anche da una notevole variabilità individuale. I bifosfonati assunti per via orale sono

assorbiti in minima parte, ossia solo per circa lo 0,5-2%. Questa bassissima quota ha

inoltre una breve emivita. Dopo 12-24 ore infatti, solo il 20-50% di essa è captata

dall’osso, il resto viene rapidamente escreto con le urine. Per questi motivi la via orale è la

più utilizzata nel trattamento dell’osteoporosi postmenopausale, laddove dosi più basse

del farmaco sono sufficienti a controllarne il turnover osseo e ad impedire le complicanze

scheletriche.

Dopo la somministrazione, i bifosfonati si allontanano rapidamente dal plasma; la molecola

si lega fortemente all’idrossiapatite ossea e viene rilasciata nuovamente nel momento in

cui il tessuto osseo è riassorbito. I bifosfonati rilasciati durante il rimodellamento osseo

possono essere farmacologicamente attivi. La quantità di farmaco rilasciata

quotidianamente in questa maniera dopo 10 anni di trattamento è stimata in circa il 25%

della quantità assorbita. La distribuzione dei bifosfonati nel tessuto osseo non è omogenea

e si pensa sia correlata alla maggiore o minore esposizione dell’idrossiapatite nei siti che

vanno incontro al riassorbimento osseo. Ciò spiegherebbe la maggiore concentrazione dei

bifosfonati a livello delle ossa spugnose, delle estremità articolari e delle ossa mascellari.

La quota di farmaco assunto che non si lega al tessuto osseo è invece escreta

immodificata per via renale. L’escrezione avviene tramite le vie comuni di eliminazione

renale e non tramite i sistemi di trasporto renali cationici-anionici.

Gli effetti dei bifosfonati sul riassorbimento osseo possono essere considerati a tre livelli:

tissutale, cellulare e molecolare. A livello tissutale l’azione di tutti i bifosfonati attivi appare

essere simile e si esplica come una riduzione del turn-over osseo. Ciò è evidenziato da un

decremento sia nel riassorbimento che nella formazione dell’osso, come valutato grazie a

marcatori biochimici. A livello cellulare, c’è un consenso generale nel ritenere che il

bersaglio finale dell’azione dei bifosfonati sia l’osteoclasta. I bifosfonati potrebbero ridurre

il riassorbimento attraverso l’inibizione del reclutamento osteoclastico, l’inibizione

dell’attività osteoclastica, riduzione della vita media dell’osteoclasta, alterazione

dell’idrossiapatite ossea tale da causarne, mediante un meccanismo puramente

fisiochimico e non cellulare, il tasso di dissoluzione. A livello molecolare, l’azione dei

bifosfonati, atti a determinare una inattivazione o una ridotta formazione degli osteoclasti,

non è stata del tutto chiarita, sebbene sia probabile che la molecola leghi un recettore

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della superficie cellulare o interagisca con un enzima il cui effetto si ripercuote sul

metabolismo cellulare. Figura 3: farmacocinetica dei bifosfonati, assorbimento

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Figura 4: farmacocinetica dei bifosfonati, escrezione

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Figura 5: tempi di accumulo del farmaco nel tessuto osseo in base alla via di somministrazione

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4. BIFOSFONATI E LORO APPLICAZIONI CLINICHE I bifosfonati rappresentano la terapia d'elezione nel trattamento e/o nella prevenzione di

diverse patologie, quali il mieloma multiplo, l’ipercalcemia maligna (tumor-induced), di

alcuni tumori solidi (carcinoma prostatico, carcinoma mammario), delle metastasi ossee,

nonché dell’osteoporosi e di alcuni disordini ossei, quali il morbo di Paget e l’osteogenesi

imperfetta. Gli effetti positivi derivanti dall’uso di questi farmaci sono evidenti, come la

prevenzione di ulteriori danni ossei, la diminuzione del dolore e, quindi, della necessità di

antidolorifici, e la riduzione di fratture patologiche, nonché la riduzione della necessità di

eseguire trattamenti radioterapici su segmenti scheletrici ed il trattamento delle

ipercalcemie maligne.

Nel trattamento delle patologie scheletriche di tipo benigno, come l’osteoporosi e il morbo

di Paget, i bifosfonati vengono utilizzati prevalentemente in formulazioni orali con dosaggi

bassi e prolungati; in ambito oncologico, invece, per il trattamento delle metastasi ossee,

poiché sono necessarie dosi di farmaco molto più elevate, si fa ricorso quasi

esclusivamente alla somministrazione per via endovenosa piuttosto ravvicinata nel tempo,

in modo da raggiungere in breve tempo elevate concentrazioni scheletriche. Inoltre,

l’aderenza alla terapia è più elevata nel paziente oncologico rispetto a quella del paziente

con osteoporosi.

L’alendronato, il risedronato e l’ibandronato vengono comunemente somministrati per via

enterale nelle donne in post-menopausa per il trattamento dell’osteoporosi e

dell’osteopenia, mentre il pamidronato e lo zoledronato hanno specifica indicazione nella

prevenzione delle complicanze ossee e nel trattamento dell’ipercalcemia maligna

associata a mieloma multiplo o a metastasi ossee.

I bifosfonati orali, quali l’etidronato ed il tiludronato sono di elezione per la terapia del

morbo di Paget, in fase attiva. L’ibandronato è usato, invece, per il trattamento

dell’osteopenia e dell’osteoporosi. Non sono stati ancora approvati l’utilizzo del

pamidronato per il trattamento infantile di osteogenesi imperfecta grave, displasia fibrosa,

osteoporosi, malattia di Gaucher, osteoporosi da corticosteroidi, per la prevenzione di

metastasi ematiche negli adulti e per ridurre la progressione della perdita di supporto

osseo nelle donne in gravidanza.

Per quanto riguarda le metastasi ossee, infatti, questi farmaci riducono l’attività

osteoclastica ed impediscono l’accrescimento delle dimensioni tumorali ed aumentano la

sopravvivenza e la qualità di vita dei malati. Per quanto riguarda l’ipercalcemia, l’acido

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zoledronico è in grado di ridurre i valori calcemici entro i ranges fisiologici di (8.5 – 11.5

mg/dL) entro 24 ore.

L’azione antiriassorbimento e ipocalcemizzante è visibile anche nel morbo di Paget, e

aumenti della densità ossea sono stati riscontrati nel trattamento dell’osteoporosi con

alendronato.

5. LESIONI OSTEONECROTICHE DEI MASCELLARI INDOTTE DAI BIFOSFONATI La prima descrizione di una complicanza odontoiatrica in una paziente in terapia con

bifosfonati è stata riportata nel 1995. Tra i possibili effetti collaterali dell’assunzione cronica

dei bifosfonati, l’insorgenza di osteonecrosi dei mascellari è stata ampiamente riportata in

letteratura, soprattutto dopo somministrazione per via sistemica, per la terapia

dell’ipercalcemia maligna e per la prevenzione delle fratture patologiche in soggetti a

rischio, con metastasi ossee o mieloma multiplo.

L’osteonecrosi dei mascellari è definita come una patologia infettiva e necrotizzante a

carattere progressivo con scarsa tendenza alla guarigione, descritta solo recentemente in

associazione alla terapia con bifosfonati.

Studi riportano come l’incidenza dell’osteonecrosi dei mascellari da bisfosfonati

somministrati per via endovenosa vari dallo 0.8% all’1.2%, in assenza di fattori di rischio

locali, fino ad arrivare al 9% qualora siano state effettuate estrazioni dentarie in corso o al

termine della terapia con il farmaco.

È stato dimostrato come un dosaggio di 4 mg al mese di zoledronato, possa causare

esposizione ossea entro 6 – 12 mesi, mentre un dosaggio di 90 mg al mese di

pamidronato, a somministrazione regolare, può dare esposizione ossea in 10 – 16 mesi.

Più recentemente, sono stati segnalati casi di osteonecrosi dei mascellari anche in

soggetti che assumevano il farmaco in trattamento con bisfosfonati orali (ad esempio con

alendronato o risendronato) per la cura e/o prevenzione dell’osteoporosi. In uno studio di

Mavrokokki et al., l’incidenza dell’osteonecrosi dei mascellari da bisfosfonati orali varia

dallo 0,01% allo 0,34%, anche in seguito ad estrazioni dentarie; una dose di 70

mg/settimana di alendronato somministrato per via endorale potrebbe causare

esposizione ossea in almeno 3 anni. Nonostante il minor rischio relativo, legato alla

tipologia di farmaco ed alla modalità di assunzione, la larga diffusione di pazienti che sono

in terapia con bisfosfonati orali per il trattamento dell’osteoporosi, giustifica l’allarme

sociale per le lesioni dei mascellari da bisfosfonati.

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I meccanismi patogenetici dell’osteonecrosi dei mascellari non sono stati ancora

completamente compresi ed il management dei pazienti affetti si è finora basato su linee

guida cliniche redatte da opinionisti esperti e da analisi di case series.

Il meccanismo con cui i bisfosfonati determinano l’insorgenza dell’osteonecrosi dei

mascellari sembrerebbe legato alla marcata riduzione del flusso ematico che si verifica

all’interno del tessuto osseo. Inoltre, il coinvolgimento selettivo della ossa mascellari nello

sviluppo delle lesioni è correlato all’elevato turn-over delle ossa mascellari e mandibolari,

nonché alla particolarità dell’ambiente orale, in quanto tali strutture risultano

costantemente esposte a traumatismi ed a possibili infezioni.

Nel 2005 Marx, in uno studio condotto su 119 pazienti, attribuiva le presunte cause di

osteonecrosi alle estrazioni dentarie (37,8%), alla chirurgia parodontale ed endodontica

(12%), ad interventi di implantologia (3,4%), e segnalava un rapporto con le

parodontopatie nel 28,6% dei casi. Nonostante l'accertato rapporto patogenetico tra

interventi di chirurgia orale ed osteonecrosi da bifosfonati, sono stati segnalati numerosi

casi a insorgenza spontanea o idiopatica; studi più recenti riportano una percentuale più

elevata di queste forme di osteonecrosi, dal 25-30% a oltre il 40%. In tali forme non

connesse a terapia odontoiatrica non è chiaro il ruolo che giocano gli altri fattori, locali o

sistemici, nel causare, promuovere o far progredire la patologia ossea. In alcuni casi sono

riscontrabili differenti patologie odontostomatologiche quali lesioni parodontali, carie,

ascessi odontogeni, trattamenti endodontici incompleti, ed è inoltre da segnalare la

presenza di tori palatini e mandibolari; l’ipotesi è che vi sarebbe un danno all’epitelio da

bifosfonati che compromettendo la capacità di guarigione della mucosa orale ai traumi

porterebbe ad una infezione secondaria dell’osso spontanee potrebbero essere dovute a

infezioni dento-parodontali reiterate.

Le lesioni osteonecrotiche dei mascellari possono perdurare in maniera asintomatica

anche per settimane, mesi o anni, manifestandosi solo a seguito della loro esposizione

nella cavità orale, o esordire con imponente sintomatologia dolorosa. Il passaggio da una

condizione asintomatica alla comparsa della sintomatologia spesso è determinato da

sovrainfezione batterica o in presenza di un trauma dei tessuti molli. L'osteonecrosi può

anche presentarsi con disturbi blandi, spesso che il paziente riconduce a dolenzie a carico

della gengiva o della mucosa orale.

Segni e sintomi tipici, oltre all’esposizione di osso alveolare necrotico (giallo-grigio) a

livello mandibolare e/o mascellare che non ha tendenza alla guarigione, includono la

presenza di sequestri ossei e di deiscenze mucose che non cicatrizzano, ma tendono anzi

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a peggiorare, tumefazione dei tessuti molli e del volto, mobilità dentale seguita dalla

perdita degli stessi elementi dentari, alterazioni della sensibilità, sotto forma di parestesie

o disestesie, dolore alle ossa mascellari o dentale, spesso resistente ai comuni farmaci

anti-infiammatori, sovrainfezioni batteriche ricorrenti o persistenti dei tessuti molli peri-

lesionali, presenza di fistole intra ed extraorali drenanti pus, alitosi, difficoltà nella comune

igiene orale, nell’alimentazione, e nell’eloquio, calo ponderale, trisma reattivo dei muscoli

masticatori, fratture patologiche.

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Tabella 2: Revisione della letteratura effettuata da T. Van den Wyngaert e Coll. (2006)

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6. SCHEMI DI PREVENZIONE E TRATTAMENTO DELLE LESIONI OSTEONECROTICHE IN PAZIENTI IN TERAPIA CON BIFOSFONATI A seguito delle frequenti segnalazioni, si è creata una forte sensibilizzazione verso questo

raro ma severo evento avverso associato alla terapia con bisfosfonati. Tuttavia, non pochi

restano i dubbi al riguardo. È stata pubblicata una serie di raccomandazioni, rivolte allo

specialista odontoiatra e maxillo-facciale, per la gestione del paziente in trattamento con

bisfosfonati, le quali, tuttavia, presentano alcuni limiti. Il primo di tali limiti è quello di accomunare tutti i pazienti che per diverse indicazioni sono

in terapia con bisfosfonati, in quanto non sempre sono gli stessi i fattori di rischio che

incidono sul paziente mielomatoso, oncologico o osteoporotico. Il secondo limite è

rappresentato dalla scarsità di evidenze scientifiche sull’argomento; alla base di tali

argomentazioni sono pochi infatti gli studi longitudinali ed i trials randomizzati, mentre la

fanno da padrone le opinioni di singoli clinici o di gruppi di esperti. Poiché al momento non esiste una terapia efficace per l’osteonecrosi dei mascellari da

bisfosfonati, che rimane attualmente una patologia con andamento peggiorativo e

invalidante, è importante l’attuazione di protocolli di prevenzione primaria, o eseguire uno

screening sui pazienti sottoposti a terapia cronica con bifosfonati allo scopo di

intraprendere una diagnosi precoce della patologia e prevenire le potenziali complicazioni.

Prima di iniziare il trattamento con bifosfonati, i pazienti dovranno essere

adeguatamente informati sui benefici della terapia e dei possibili rischi connessi, compresa

la reale entità del rischio di osteonecrosi da bifosfonati; inoltre, essi dovrebbero essere

sottoposti ad una visita odontoiatrica per la valutazione della salute orale, per

l’impostazione di un adeguato programma di prevenzione e l’eventuale trattamento di

patologie locali.

I pazienti con patologia orale e/o coloro che per la patologia e/o la terapia in atto

presentano compromissione del sistema immunitario e/o maggior rischio infettivo, come

chi è affetto da diabete mellito non controllato, sindrome da immunodeficienza acquisita o

malattie ematologiche, chi è sottoposto a terapia immuno-soppressiva o corticosteroidea

cronica, o chi fa abuso cronico di alcool o fumo, devono essere considerati a maggior

rischio di sviluppare osteonecrosi da bifosfonati.

In tali casi, il medico specialista e/o il medico di medicina generale, dovrebbero indirizzare

ad una visita odontoiatrica i propri assistiti che devono iniziare la terapia farmacologica.

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L’odontoiatra prende in carico il paziente ed, in accordo con il medico specialista, identifica

il trattamento terapeutico di cui necessita.

Nello specifico, nei pazienti trattati dal punto di vista odontostomatologico prima dell’inizio

della terapia con bisfosfonati, la prevenzione dell’osteonecrosi dei mascellari consiste

nell’esecuzione della terapia odontoiatrica (chirurgica e non) prima della somministrazione

di questi farmaci. È necessario posticipare la terapia endovenosa di 2 – 3 mesi,

permettendo all’odontoiatria di eliminare i potenziali fattori di rischio per l’osteonecrosi. Nei

pazienti con un buon controllo di placca, la terapia endovenosa può essere fatta prima di

questo tempo. Per quanto riguarda i pazienti con scarsa igiene orale, bisogna dare priorità

ai trattamenti di terapia parodontale non chirurgica ed a quelli di tipo conservativo –

endodontici, per prevenire l’esecuzione futura di estrazioni. Occorre, inoltre, programmare

subito le estrazioni dei denti in inclusione parziale (inclusione mucosa) o di quelli con

scarsa prognosi (denti con malattia parodontale severe o non recuperabili da punto di vista

conservativo-protesico). La riabilitazione protesica non deve essere a supporto implantare

per il rischio di rimodellamento osseo, che può aversi a causa della malattia, ma deve

prevedere solo riabilitazioni con protesi fissa o mobile, anche eliminando i tori di grandi

dimensioni.

Le protesi rimovibili, laddove già presenti, andrebbero modificate, sostituite o ribasate allo

scopo di prevenire e ridurre fenomeni di decubito o compressione meccanica dei tessuti

orali

In linea generale, la terapia con bifosfonati dovrebbe essere posticipata al raggiungimento

di un adeguato stato di salute dento-parodontale. Tuttavia, per i pazienti che devono

sottoporsi a terapia odontoiatrica non chirurgica, la somministrazione di bisfosfonati può

non essere differita. Quest’ultima deve avere la priorità su qualsiasi cura odontoiatrica,

informando il paziente del rischio che le lesioni ossee possano comparire nell’arco di sei

mesi.

Nel caso di interventi chirurgici orali indispensabili per il trattamento dell'infezione e del

dolore, l'odontoiatra valuta, in accordo con il medico specialista, il possibile rischio di

osteonecrosi, adotta protocolli di trattamento specifici, utilizza tecniche che minimizzino il

trauma locale ai tessuti, ed effettua un monitoraggio postoperatorio frequente. In tali

pazienti, è opportuno che la terapia con bifosfonati venga posticipata di almeno un mese e,

comunque, fino al completo ristabilimento della continuità della mucosa gengivale

sovrastante la breccia chirurgica; sono comunque sconsigliati interventi di implantologia

orale; è necessario, inoltre, rendere meno traumatici i manufatti protesici rimovibili.

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La scelta dell’iter preventivo e terapeutico di un paziente già in terapia con bifosfonati che non presenta lesioni osteoneocrotiche dei mascellari parte innanzitutto dalla sequenza

classica: anamnesi, esame obiettivo e piano di trattamento.

Nell’anamnesi medica generale, ed in quella dentale specifica, è utile inserire domande

chiave che possano permettere di individuare i pazienti a rischio per tale patologia, ed

eventualmente le caratteristiche della sintomatologia che hanno convinto il paziente a

rivolgersi allo specialista. Soprattutto per quanto riguarda il trattamento dei pazienti che

assumono bisfosfonati per via endovenosa è importante rilevare il nome del farmaco,

l’indicazione, la via e la frequenza di somministrazione.

L’esame obiettivo, extra- ed intraorale, deve essere accurato ed accompagnato da test ed

esami radiografici appropriati, per mettere in luce le situazioni che chiaramente possono

suggerire la presenza di un’osteonecrosi o di un’osteomielite, come esposizione di osso,

fistole di dubbia origine, alitosi, presenza di tumefazioni localizzate, dolore, disestesie o

parestesie. È estremamente importante l’utilizzo dei test di vitalità, quelli per valutare lo

stato infiammatorio dei tessuti periapicali (palpazione e percussione) e l’osservazione con

mezzi d’ingrandimento di una valida radiografia endorale. Utili sono anche le

ortopantomografie (OPT) le tomografie assiali computerizzate (TC) o la RMN.

La visita di un paziente che assume bisfosfonati per via endovenosa prevede la ricerca di

aree di esposizione ossea con attenzione alla corticale linguale posteriore del mascellare

inferiore e non deve prescindere da un esame radiografico con OPT. Tale esame

evidenzia la presenza di masse osteolitiche, con attenzione al legamento parodontale, in

cui si può assistere a fenomeni di slargamento, sclerosi o perdita della lamina dura.

Alcune lesioni possono, poi, coinvolgere le forcazioni dei molari inferiori.

Al fine di formulare un corretto piano di trattamento, occorre in primo luogo cercare di

avere un rapporto diretto con gli altri specialisti coinvolti nella gestione del paziente per

quanto riguarda le patologie che hanno determinato la necessità della terapia con

bisfosfonati. Dinanzi ad un paziente oncologico, il contatto con l’oncologo o l’ematologo

che ha prescritto la terapia è utile, specialmente se questo ha consigliato al paziente di

sottoporsi ad una visita odontoiatrica prima dell’inizio della terapia. Se il paziente assume i

bisfosfonati per la cura dell’osteoporosi, il confronto con il medico di base si rivela molto

importante. Infine, il rapporto con il chirurgo maxillo-facciale è inevitabile per affrontare le

complicanze delle lesioni osteonecrotiche, quando già manifestate.

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Altro elemento importante da valutare e la durata del trattamento con i bifosfonati, dato

che tali farmaci subiscono il fenomeno dell’accumulo nel tessuto osseo a causa della

lunga emivita.

Se la durata del trattamento mediante bifosfonati per via orale è inferiore ai 3 anni, ed in

assenza di fattori di rischio locali e/o sistemiche, è necessario il raggiungimento e

mantenimento di un adeguato stato di salute dento-parodontale e di igiene orale.

In assenza di lesioni clinicamente obiettivabili, il trattamento odontoiatrico deve essere

estremamente conservativo, evitando, per quanto possibile, ogni forma di chirurgia.

Bisogna, quindi preferire la terapia parodontale non chirurgica, i trattamenti endodontici, lo

splintaggio dei denti con elevata mobilità, eliminare i fattori di rischio locali (manufatti

protesici o otturazioni incongrue, margini dentali appuntiti o taglienti), ed evitare l’utilizzo di

vasocostrittore associato all’anestetico locale.

La terapia parodontale deve essere eseguita con scaling del tartaro sopragengivale,

accompagnata dalla prescrizione di sciacqui a base di clorexidina 0,20%. La terapia

protesica prevede l’utilizzo di protesi mobili da ribasare frequentemente per evitare

decubiti.

Se è presente un elemento dentario con mobilità superiore al III grado o con un ascesso, e

l’unica terapia possibile è l’estrazione, essa deve essere eseguita sotto adeguata

copertura antibiotica. Prima di ogni procedura invasiva che comporti manipolazione delle

ossa mascellari, è consigliabile effettuare una consulenza specialistica con il medico

prescrittore del farmaco, per valutare l’eventuale sospensione della terapia (3 mesi

secondo Marx, sebbene non sussistano al momento evidenze scientifiche), o la

prescrizione di una terapia sostitutiva. È inoltre possibile effettuare la valutazione del CTX

sierico come marker di valutazione del turn-over osseo.

Nel caso di peri-implantiti, la terapia non chirurgica è da preferirsi a quella chirurgica.

Qualora si renda necessario l’approccio chirurgico, è possibile eseguire una revisione

chirurgica dei tessuti molli peri-implantari sotto copertura antibiotica (effettuando un

minimo rimodellamento dei contorni ossei, se necessario).

Per evitare il rischio di sovrainfezioni batteriche, frequenti nei pazienti oncologici, è

necessario prescrivere una terapia profilattica. La profilassi si attua con somministrazione

di una dose di amoxicillina/acido clavulanico 1000 mg, eventualmente combinata a

metronidazolo, da assumere a partire da 1-2 giorni prima della procedura odontoiatrica e

da proseguire per ulteriori 7-10 giorni dopo la procedura. Nei pazienti allergici alle

penicilline si può prescrivere levofloxacina, da somministrare in dosi di 500 mg 1 - 2 ore

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prima dell’intervento, ed una volta al giorno per i 5 giorni successivi, o in alternativa

azitromicina, in dosi di 500 mg 1 - 2 ore prima dell’intervento ed una volta al giorno per i 5

giorni successivi. La clindamicina da sola non è adeguata, perché non è attiva contro le

Eikenella e Moraxella ed ha bassa attività contro gli Actinomyces, coinvolti nelle lesioni da

osteonecrosi da mascellari.

La sospensione del bisfosfonato per un periodo di alcune settimane prima e dopo

l’intervento odontoiatrico invasivo può essere raccomandato in via cautelativa, sebbene

non esistano evidenze che tale approccio riduca il rischio di osteonecrosi da bifosfonati.

I pazienti con lesioni osteonecrotiche conclamate devono essere inviati ad un chirurgo

maxillo – facciale. L’esame clinico odontostomatologico prevede la rilevazione della

lesione, che si manifesta come osso necrotico, spiegandone al paziente la natura e le

possibili complicanze (carattere irreversibile di essa, sintomatologia, fratture). La lesione, a

causa della necrosi, si presenta generalmente non dolente, tranne quando si espone

ulteriormente e si infetta. Risulta, quindi, molto importante la terapia antisettica.

L’approccio chirurgico dovrebbe essere considerato solo in casi limitati sintomatici, quando

la gestione antimicrobica non è in grado di controllare la malattia. Terapie palliative come

la somministrazione di clindamicina e l’ossigenoterapia non sembrano essere

particolarmente efficaci. È altrettanto inutile sospendere la terapia con i farmaci, dato la

loro lunga emivita.

La terapia non chirurgica (conservativa, endodontica, protesica e parodontale) deve

essere sempre tesa al raggiungimento e mantenimento di un adeguato stato di salute

dento – parodontale e di un adeguato stato di igiene orale. La terapia farmacologica varia

in base al quadro clinico e sintomatologico.

In caso di limitata esposizione ossea ed algia moderata, è indicata una antibiotico –

terapia ciclica (ad esempio una settimana al mese) ad ampio spettro, mediante

amoxicillina/acido clavulanico 1000 mg ogni 12 ore per 15 giorni, da associare

eventualmente a metronidazolo 250 mg ogni 12 ore per 15 giorni, da effettuare anche in

caso di miglioramento clinico o completa remissione della sintomatologia algica. A tale

protocollo farmacologico va aggiunta la prescrizione di sciacqui con clorexidina più

applicazioni in gel ed eventuale associazione di antimicobatterici ed antimicotici. Vanno

inoltre valutati i pro ed i contro della sospensione della terapia ed effettuati controlli

periodici anche in caso di miglioramenti clinici.

In caso di grave esposizione ossea ed algia severa, il protocollo farmacologico

precedentemente descritto può essere sostituito con somministrazione di

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piperacillina/tazobactam i.m. (1 fl ogni 12 hh per 15 gg) oppure ampicillina/sulbactam i.m.

(1 fl ogni 12 hh per 15 gg). Può essere consigliato il courettage osseo delicato della zona

necrotica esposta e/o causa di traumi ai tessuti, evitando ulteriore esposizione di tessuto

osseo sano, sotto copertura antibiotica ad ampio spettro, oltre alla prescrizione di farmaci

analgesici per ridurre la sintomatologia algica.

In caso di esposizione ossea più severa, è indicato un debridement o la sequestrectomia

per mezzo di terminale piezoelettrico e, nei casi più gravi, resezione parziale, marginale o

segmentale dei mascellari seguita o meno da una fase ricostruttiva. In ogni caso, va

evitato l’utilizzo di vasocostrittore in associazione all’anestetico locale.

Alla luce di queste considerazioni, è importante sottolineare che molti di questi pazienti

presentano una condizione di compromissione sistemica, talvolta non compatibile con

trattamenti più radicali, così come una minore aspettativa di vita, per cui già il solo

ottenimento di una migliore qualità di vita attraverso procedure poco invasive può essere

considerato un traguardo sufficiente e favorevole.

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