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EDIZIONE 2013

Manifesto politico Stato e PotenzaS

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Manifesto politico del movimento Stato E Potenza

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  • EDIZIONE 2013

  • "Gli antichi si dilettavano a cantar la natura: fiumi, montagne, nebbia, fiori, neve, vento, luna.

    Bisogna armare d'acciaio i canti del nostro tempo. Anche i poeti imparino a combattere"

    (Ho Chi Minh)

    La foto in copertina unimmagine dellAccademia Militare M.V. Frunze di Mosca.

  • INDICE

    PREMESSA Parte I

    Il mondo fatto a pezzi

    Note per una nuova teoria del capitalismo

    Sovranit e grandi spazi, un nuovo paradigma dialettico

    Italia, anello debole della catena imperialista

    Parte II

    lItalia: una, socialista, integrata nel Sistema-Eurasia

    Stato

    Potenza

  • PREMESSA

    Il movimento politico Stato&Potenza nasce come nuovo nucleo politico e

    militante, nel tentativo epocale di individuare in modo preciso e inequivocabile una nuova teoria del socialismo nel contesto italiano ed europeo del XXI secolo. La trasformazione dellassetto internazionale dalla struttura bipolare alla struttura unipolare, occorsa nel 1991, ha mostrato in modo sempre pi evidente la ferocia dellimperialismo, ma anche la sua capacit di nascondersi, di reinventarsi, di mimetizzarsi sotto le spoglie dellinnocenza dei diritti umani e di un falso determinismo storico, in virt del quale la dissoluzione sovietica sarebbe stata da interpretare come la fine della storia e lingresso escatologico in una nuova era politico-messianica pronta a condurci in una dimensione di prosperit e benessere globale, grazie ai supposti benefici che lumanit nel suo complesso avrebbe guadagnato dal processo di espansione mondiale dei mercati finanziari. A venti anni di distanza da quegli enfatici annunci, la realt ci mostra una situazione quasi completamente opposta rispetto a quanto ci veniva descritto.

    I conflitti nel mondo sono in aumento sia sul piano quantitativo (geopolitica del caos) che sul piano qualitativo (network-centric warfare), e non accennano alla bench minima diminuzione. Lulteriore sviluppo del capitalismo occidentale e la sua riorganizzazione nel quadro di uninedita e potentissima macchina finanziaria internazionale composta principalmente dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Federal Reserve e dalla Banca Centrale Europea, stanno distruggendo il potere dacquisto di ci che rimane del ceto medio dellera fordiana e dei suoi derivati, incrementando il divario tra le classi sociali e tra le nazioni del mondo.

  • PARTE I

    IL MONDO FATTO A PEZZI

  • NOTE PER UNA NUOVA TEORIA DEL CAPITALISMO

    raro individuare un compiuto paradigma di riflessione economica che sia in

    grado di dirsi completo e definito di tutti gli strumenti necessari. Forse tra i pi gravi limiti del nostro tempo in Europa, leconomicismo rappresenta infatti un approccio del tutto insufficiente a comprendere la portata dei problemi che affliggono il nostro Paese, lEuropa e il resto del mondo. Sebbene distante anni luce dalla prospettiva del pensiero marxista, purtroppo questo approccio ha

    inglobato quasi tutta quella invero non molto folta schiera di autori marxisti che non hanno deciso di reinventarsi un profilo da intellettuali liberali o progressisti, perfettamente ricondotto nei canoni della societ occidentale.

    Il primato assegnato alla base economica nel quadro dello schema imposto dal materialismo storico, ha senzaltro tratto in inganno intere generazioni di pensatori o semplici imitatori sul tema che non hanno saputo intravvedere nella lunga riflessione marxiana aspetti in realt fondamentali. Alla base, probabilmente, vi stato un pregiudizio storico (e dunque anche epistemologico)

    che ha impedito di trascendere il marxismo sino ad inquadrarlo e collocarlo nel suo contesto storico e politico.

    Molti sedicenti seguaci del pensiero di Marx ed Engels non hanno mai veramente preso in considerazione i presupposti storici da cui quelle riflessioni furono generate, impiantando dunque una meta-storia di natura ideologica al di

    sopra della storia reale, una dimensione irreale dove la prima era industriale (1770-1870) poteva essere pensata quale spartiacque tra due macro-ere: una

    passata (quella feudale) ed una futura (quella comunista). Questo semplicistico schema ha pagato a caro prezzo la generale confusione metodologica e contenutistica tra storicismo e storiografia, ed nei fatti imploso circa cento anni

    or sono, quando negli Stati Uniti il fordismo gett le sue basi produttive, sociali e culturali, imponendo un nuovo modello di societ democratica, populista, razionalizzata e finalizzata al costante bilanciamento tra produzione, consumo,

    domanda ed offerta attraverso una vigile e variabile regolazione tra i principali soggetti storici della modernit (Stato, forza lavoro e impresa)[1].

    La previsione storica di Marx fu in pochi anni demolita: nei Paesi a capitalismo avanzato la formazione sociale fu completamente ripensata rispetto al quadro emerso nella Gran Bretagna del XIX secolo, le condizioni sociali della classe

    operaia furono innalzate al fine di garantire una circolarit perfetta tra produzione e consumo ed il macchinismo, celebrato dal marxismo come il trionfo dellinnovazione tecnica pronto a distruggere il modo di produzione capitalistico[2], venne immediatamente riorganizzato sotto gli attenti calcoli di produzione di Taylor.

    Nel 1914, agli albori del fordismo, Vladimir Lenin, al contempo basito e affascinato da quel nuovo efficientismo, scriveva:

    Unoperazione meccanica stata filmata per un intero giorno. Dopo aver studiato i suoi movimenti, alcuni esperti di efficienza gli hanno fornito un soppalco, in modo da evitare perdite di tempo allatto di piegarsi. Gli fu assegnato un giovane aiutante. Questo ragazzo doveva tenere in mano ogni parte da assemblare. Entro pochi giorni loperaio aveva eseguito il lavoro in un quarto del tempo che aveva impiegato prima dellesperimento[3]

  • Appena quattro anni pi tardi, un anno dopo la Rivoluzione dOttobre e la proclamazione della nascita della Repubblica Socialista Sovietica Federale di

    Russia, Lenin, sempre pi attento ai prodigi del nuovo sistema di produzione capitalistico nato negli Stati Uniti, annot:

    Lultima parola del capitalismo, il sistema taylorista, racchiude in s la ferocia raffinata dello sfruttamento borghese unito a una serie di ricchissime conquiste scientifiche nellanalisi dei movimenti meccanici del lavoro [] la Repubblica Sovietica deve far suo ad ogni costo tutto ci che di pi prezioso vi nelle conquiste fatte dalla scienza e dalla tecnica in questo campo [] si deve introdurre in Russia lo studio e linsegnamento del sistema di Taylor[4]

    In piena continuit con la teoria che aveva gi decretato la Russia quale anello debole della catena imperialistica proprio in quanto Paese a capitalismo

    embrionale e non avanzato, Lenin, gi durante la fase del comunismo di guerra (1971-1921), postulava i prodromi teorici della fase successiva, ossia quella che

    dal 1921 al 1929 avrebbe introdotto la Nuova Politica Economica. Inizialmente pensata come una necessaria fase di transizione dal capitalismo al socialismo, la filosofia efficientista che ne era alla base nei fatti non abbandon mai pi la

    classe dirigente del Cremlino, da dove lo stesso Stalin, pur dichiarando chiuso quello sperimentale periodo di apertura economica, avrebbe continuato ad imporre come prioritari gli obiettivi dellindustrializzazione, della modernizzazione tecnica e dello sviluppo delle forze produttive. La Grande Guerra Patriottica, col suo altissimo prezzo in termini di vite umane, convinse ancor pi Stalin della

    stretta necessit di integrare la filiera industriale e quella militare, con tutte le conseguenze teoriche del caso. Prima fra tutte la riconsiderazione dialettica dello Stato, concepito non pi come una sovrastruttura politica intrinseca allo sviluppo

    capitalistico e destinata ad una naturale estinzione storica attraverso una fase di transizione contraddistinta dalla presenza strutturale di un semi-Stato[5], bens come il perno della rivoluzione bolscevica e la base del nuovo sistema socialista sovietico[6].

    Del resto, gi nel 1937 Stalin aveva sostenuto che, malgrado le angherie e lo

    sfruttamento contro il popolo, gli Zar una cosa buona lhanno fatta: hanno creato uno Stato enorme, sino alla Kamchatka, uno Sato che noi abbiamo ricevuto in eredit ed abbiamo reso coeso e rafforzato, unitario e indivisibile[7].

    Cosa avveniva dunque? Il tema del marxismo, riadattato da Lenin secondo i

    nuovi contesti storici del Novecento, riproponeva, evidenziandone la portata teorica, quel fattore strategico abbondantemente trascurato dalla stragrande maggioranza dei marxisti occidentali nel Novecento. Quando parliamo di questo

    fattore, chiaramente il riferimento non ipso facto al campo di studio della geopolitica dei giorni nostri ma, in senso pi ampio, allessenza strutturale fondamentale dei processi storici, politici ed economici. In questottica opportuno ancora una volta ribadire ci che il teorico italiano Gianfranco La Grassa va ripetendo da molto tempo, ovverosia che il marxismo nasce come una

    teoria scientifica della societ fondata sullanalisi storica dei rapporti di produzione e di scambio, intesi quali rapporti di forza tra centri strategici dominanti o aspiranti tali[8]. Si tratta, perci, di una teoria in cui la portata

    semantica del termine economia ben pi ampia e complessa rispetto a quanto

  • lodierno pensiero economico ne abbia invece ristretto la sfera di pertinenza. Ancora oggi, rileggere Il Capitale con un approccio strategico consente di carpire elementi di grande interesse e fondamentale importanza, a partire dalla genesi del

    capitalismo e dalle condizioni storiche che, in base allopera marxiana, ne favorirono lemergere. Proprio nel capitolo ad essa dedicata, e dopo unanalisi spietata e realista della storia coloniale olandese e britannica dei secc. XVII e

    XVIII, leggiamo:

    Il sistema coloniale fece maturare come in una serra il commercio e la navigazione [] La colonia assicurava alle manifatture che sbocciano il mercato di sbocco di unaccumulazione potenziata dal monopolio del mercato [] Il tesoro catturato fuori dEuropa direttamente con il saccheggio, lasservimento, la rapina e lassassinio rifluiva nella madre patria e qui si trasformava in capitale[9]

    Appare evidente gi in queste righe come le condizioni storiche necessarie per

    lemersione del sistema di dominio internazionale strutturato dal modo di produzione capitalistico, siano la risultante strategica di precisi rapporti di forza

    tra realt geopolitiche diverse. In questo caso realt in rapida ascesa e in conflitto tra loro quali Spagna, Portogallo, Olanda, Gran Bretagna e Francia potevano disporre di un siderale vantaggio in termini tecnologici, scientifici e militari nei

    confronti delle realt pi arretrate delle regioni sud-asiatica, oceanica, sud-americana e dellintero continente africano. La storia del capitalismo dunque, pi in generale, storia dello sviluppo e della cultura dei popoli e, pi nel dettaglio, storia delle capacit scientifico-strategiche che ogni civilt ha saputo acquisire e disporre a proprio vantaggio. La categoria storicistica della lotta di classe

    acquisisce dunque una configurazione e un aspetto apparentemente nuovi, ma in realt ben noti e quasi del tutto diversi rispetto al classico schema liturgico proposto dal (neo)marxismo occidentale, laddove appare sempre pi chiaro che

    lincapacit di fuoriuscire dagli schemi dialettici e culturali connessi al modo di produzione capitalistico fino ad oggi pi potente del pianeta lOccidente abbia ingabbiato la critica della societ allinterno di vacui e nebulosi dualismi moralistici del tipo oppressori/oppressi, lavoratori/padroni o poveri/ricchi, che hanno semplificato e persino ridicolizzato loriginale tema marxiano del conflitto e la sua nuova elaborazione leninista.

    In realt, come la storia dimostra, senza unadeguata riflessione geografica, leconomia e lo sviluppo storico della societ non possono fornirci un quadro esauriente di una realt sempre pi dinamica e sempre pi rapidamente in movimento come quella dei nostri tempi. Numerose sono le tappe fondamentali

    nella storia moderna messe in evidenza dalla geografia politica e non questa la sede per ripercorrerle tutte. Pu senzaltro bastare, per ora, un piccolo schema riassuntivo che sia in grado di connettere e, dove possibile, integrare campi di

    studio diversi secondo un approccio interdisciplinare.

    - XV-XVI secolo: la scoperta delle Americhe da parte delle prime vere e proprie potenze atlantiche (Spagna e Portogallo), impone una radicale trasformazione nel modus pensandi strategico della societ europea, inaugurando la navigazione oceanica come strumento di espansione e penetrazione commerciale e coloniale.

  • - XVI-XVII secolo: le principali innovazioni scientifiche tornano, dopo secoli di

    predominio asiatico (Cina, India e Mongolia), a concentrarsi allinterno del territorio europeo (soprattutto in Francia, in Olanda, in Italia, in Inghilterra e

    in Germania) sia per ragioni interne (secolarizzazione della societ e declino del vecchio ordine religioso) sia per ragioni esterne (incontro-scontro con le civilt sinica, mongolica ed islamica).

    - XVII-XVIII secolo: la rivoluzione industriale, fondata sullintroduzione delle macchine nellambito della produzione, senzaltro diretta conseguenza di questa affermazione navale e di questa rivoluzione scientifica, in stretta relazione con lincremento e con il rapido sviluppo delle capacit di produzione e di trasporto dei beni lavorati e dei materiali grezzi. - XVIII-XIX secolo: la competizione intercapitalistica si risolve con

    laffermazione piuttosto netta dei centri economico-strategici della Gran Bretagna, che espande il suo dominio coloniale sui tre Oceani imponendo la

    sua supremazia lungo tutti i principali sbocchi marittimi (Hormuz, Java, Ceylon, Gibilterra, Capo Horn, Malacca ecc. ).

    - XIX-XX secolo: la seconda rivoluzione industriale, fondata sullintroduzione dellelettricit e sulla meccanizzazione del trasporto, mette in evidenza limportanza di nuove materie prime, come il petrolio, il gas naturale, il carbone e il rame, provocando una frenetica corsa alla ricerca e allesplorazione di giacimenti e siti geologici che evidenzia la centralit del territorio eurasiatico

    nordorientale detto Heartland[10] ed inaugura la fase interimperialistica avviata nel 1912-14 e risolta in modo netto e definito soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale, con laffermazione degli Stati Uniti sulle potenze imperialistiche concorrenti della Germania (ad Ovest) e del Giappone (ad Est).

    - XX secolo: la Guerra Fredda produce per la prima volta nella storia un quasi perfetto bipolarismo planetario, che ridisegna radicalmente la politica dellintero globo sotto forma di un complesso e critico insieme di questioni internazionali da cui nessuno pu pi sentirsi escluso: ogni azione in ogni angolo del mondo ha effetti ed eco politiche e mediatiche in tutto il resto del

    planisfero. Il resto della storia lo conosciamo abbastanza bene ed inutile qui dilungarsi.

    Dobbiamo invece sottolineare il fondamentale intreccio storico e politico sussistente tra i campi di studio della geografia, della tecnologia, della strategia militare e delleconomia in senso stretto: un intreccio che non ci consente di soffermarci su inutili questioni che appartengono al campo del diletto, tipico dellintellettualismo libertario che vorrebbe eternamente separati e addirittura conflittuali questi campi di studio. Soltanto questo approccio interdisciplinare pu consentirci di arrivare ad individuare i principali meccanismi storici del contesto che viviamo ogni giorno, tanto pi alla luce della progressiva

    trasformazione in senso globale delle relazioni internazionali. Senza nulla togliere alla difesa legittima e necessaria dei diritti dei singoli

    lavoratori dipendenti o dei particolari raggruppamenti degli operai di fabbrica (per altro sempre pi minoritari nel mondo occidentale), in ogni caso fuorviante considerare queste problematiche particolari come slegate da un contesto pi

  • ampio e stratificato. Ogni conflitto politico va dunque considerato in relazione ai

    suoi risvolti globali e non pu avere un valore di per s positivo in modo aprioristico. Stalin affermava nei Principi del Leninismo, che il movimento nazionale dei paesi oppressi si deve considerare non dal punto di vista della democrazia formale, ma dal punto di vista dei risultati effettivi nel bilancio generale della lotta contro limperialismo, cio non isolatamente ma su scala mondiale[11].

    In questo senso va ribadito che nellidea originaria di Marx la rivoluzione socialista era ipotizzata come una presa violenta (cio militare) del potere da parte

    di un soggetto rivoluzionario sintetizzato nella figura del cosiddetto operaio coordinato/combinato, ovverosia dallinsieme delle forze mentali (tecnici, scienziati e studiosi) e delle forze esecutive (manodopera e manovalanza) del

    processo di produzione. Dal momento che questo processo non si mai realizzato, nei contesti rivoluzionari del XX secolo il concetto di proletariato fu

    trasformato nellunit tra operai di manovalanza (e poco pi) e contadini (classe produttiva di maggioranza in quasi tutto il mondo asiatico di allora), imponendo dunque la necessit di un soggetto davanguardia che fosse in grado di supplire allassenza di tecnici, scienziati ed esperti nel quadro delle forze rivoluzionarie: qui entrarono in scena il Partito e lEsercito, come strutture-guida della rivoluzione e come organi fondamentali dellapparato durante la cosiddetta dittatura del proletariato.

    Che fare dunque? Organizzare le classi lavoratrici secondo categorie di

    riferimento per un movimento politico organizzato, dotato di quadri dirigenti politici e militari inflessibili, seri e realisti, capaci di gestire uno Stato che nazionalizzi i settori strategici e i principali mezzi di produzione, garantisca un

    livello dignitoso di sostentamento per chiunque sia abile al lavoro, punisca in modo esemplare i crimini e le corruttele, rieducando la popolazione allo studio,

    alla semplicit dei costumi e al decoro pubblico, modernizzando le strutture tecniche del Paese e garantendo la difesa e ladesione ai soli interessi nazionali del popolo di riferimento. Il socialismo un risultato senzaltro ancora praticabile, a patto che queste consapevolezze siano tenute sempre in salda considerazione.

  • SOVRANITA E GRANDI SPAZI, UN NUOVO PARADIGMA DIALETTICO

    Lapproccio che abbiamo scelto una sorta di proiezione in chiave politica del paradigma di analisi che contraddistingue la geopolitica: scientifico, dialettico e multidisciplinare. C, per, chi ancora non capisce e, ottenebrato dalle ideologie della fissit (dogmatismo, formalismo democratico, nazionalismo romantico ecc. ), continua a non (volere?) capire di cosa fatta una teoria, cio di un metodo e di un contenuto.

    Una teoria presuppone alla sua base sempre unepistemologia, ovverosia una riflessione sul metodo e sulle modalit di analisi e di ricerca che si intende

    adottare. Nel nostro caso appare abbastanza logico che il paradigma di analisi pi conforme ai nostri obiettivi sia quello tipico del realismo. Evitiamo senzaltro la santificazione di pensatori quali Thomas Hobbes, Niccol Machiavelli, Karl Von

    Clausewitz, Friedrich Ratzel, Carl Schmitt, Hans Morgenthau o Paul Kennedy, ma consideriamo i loro contributi, e quelli di altri grandi autori, un patrimonio della storia dellumanit, una raccolta di riflessioni e di osservazioni che, opportunamente decontestualizzate dallepoca in cui furono elaborate, possono assurgere al rango di direttive, o perfino stimoli, per la costruzione di un nuovo

    impianto teorico capace di rispondere alle necessit dellodierna formazione sociale.

    Detto questo, appare comico che oggi vi sia qualcuno che, da sinistra si badi bene, non da destra riscopra il nazionalismo, individuandone aspetti positivi e conciliabili con principi o dettami marxisti-leninisti, evocando simultaneamente lo

    spettro del rossobrunismo nei nostri riguardi. Anzitutto, occorre specificare che letichetta, ormai di moda in Italia, di rossobruni fu creata nella Russia degli anni Novanta per screditare lopposizione popolar-patriottica scesa in strada per protestare contro il criminale regime ultraliberista di Boris Eltsin e della cricca oligarchica che lo appoggiava. Allepoca Gennadj Zjuganov, leader di ci che restava del vecchio PCUS, aveva allargato lelenco di adesione al suo Soviet di forze popolar-patriottiche includendo anche elementi riconducibili alla scuola del neoeurasiatismo russo di Dugin e al movimento nazionalista panrusso. Due cose

    vanno ricordate e chiarite. Anzitutto, il significato che il termine nazionalista assume nel mondo

    russofono (dunque non soltanto nella Federazione Russa dei nostri giorni ma

    anche nellex periferia dellImpero Zarista e dellURSS) completamente diverso rispetto al concetto che questo richiama nel contesto europeo ed occidentale.

    Come pi volte ribadito in altre sedi, diversamente dalle realt europee, il percorso di costruzione del moderno Stato nazionale in Russia ha coinciso non con la disgregazione bens col rafforzamento dellidea-forza imperiale. Dunque, ad eccezione delle derive ultranazionaliste o xenofobe (non a caso spesso fomentate o, in ogni caso, tollerate durante gli anni di Eltsin), il nazionalismo russo si pu

    solo tradurre nei termini di un patriottismo di natura imperiale fortemente ancorato ai valori spirituali della Cristianit ortodossa, reinterpretati in chiave politica (e geopolitica): primo fra tutti, il concetto di sobornost (che, per comodit, traduciamo con spirito di comunit), che non di rado trova conforto e corrispondenza politica nel progetto, mai realizzato definitivamente dal Cremlino,

    di costruire una nazionalit sovietica, superando cos la distinzione, invero

  • abbastanza odiosa, tra russkij (russi del centro imperiale) e rossiskij (russi delle aree conquistate), adottata in epoca zarista.

    In secondo luogo, il piano politico di Zjuganov era fondato proprio sul recupero

    e sulla reinterpretazione dellidea russa dello Stato, sulla base di precisi motivi ed analogie storiche, politiche e strategiche tra specifici eventi o decisioni politiche occorsi durante le cinque ere di sviluppo della storia del Paese: la Rus di Kiev,il Khanato dellOrda dOro, il Principato di Moscovia, lImpero degli Zar e lUnione Sovietica[12].

    In Europa i nazionalismi si sono invece affermati sulla spinta della Rivoluzione Francese e dei suoi ideali repubblicani, contrapposti alla concezione imperiale e monarchica della storia e della politica non solo per quanto riguarda il suo

    contenuto sociale (anzi, potremmo dire che sul piano economico e sociale, la democrazia liberale spesso ha ricalcato i peggiori caratteri reazionari dellAncien Rgime) ma anche e soprattutto per quel riguarda la sua idea di nazione. Con la Rivoluzione Francese, il concetto di patria che si afferma in Occidente diventa dunque disgregante, diventa un fattore politico che pochi anni pi tardi

    facilmente si sarebbe prestato alle peggiori interpretazioni culturali, sostanzialmente riconducibili a due grandi categorie ideologiche: il

    cosmopolitismo, unideologia borghese che se da un lato riconosce alcuni fondamentali valori universali dellumanit, dallaltro riduce ed appiattisce inevitabilmente ogni luogo del pianeta ai parametri etici, sociali e culturali decisi

    e stabiliti unilateralmente dai settori dominanti del centro egemonico del pianeta, ossia dal perno delleconomia-mondo, per dirla con Wallerstein; limperialismo, una prassi pi che unideologia, volta al potenziamento tecnico e alla sistematizzazione strategica del dominio egemonico gi sorto col colonialismo, tanto da poter affermare che limperialismo, cos come delineato da Lenin nel 1916, sia non soltanto la fase suprema del capitalismo ma anche la naturale evoluzione del colonialismo nellera della Seconda Rivoluzione Industriale.

    Da questa deriva eurocentrica sono sorti dunque i tanti mostri culturali che

    hanno regalato terreno fertile ai brutali tentativi di occidentalizzazione del pianeta: dalla colonizzazione ispanico-lusofona delle Americhe alla proiezione

    della talassocrazia britannica, dallOperazione Barbarossa allimperialismo degli Stati Uniti e della coalizione strategica della quale sono al comando, ossia la NATO. chiaro, dunque, che proprio nella cultura nazionalistica (o

    nazionalitaria) europea, si annidi il pericolo, sempre presente, di una tendenza egemonica, oseremmo dire unipolare, cui correnti religiose quali il sionismo o il calvinismo hanno sempre dato forza.

    In generale, il concetto occidentale di nazione il primo avversario di chiunque proponga oggi un progetto di smarcamento rispetto allimperialismo nordatlantico. La NATO infatti non rappresenta un impero in piena regola: ufficialmente infatti lAlleanza Atlantica rispetta la sovranit degli Stati che ne fanno parte, nei limiti dei vincoli giuridici, diplomatici e militari che ne sanciscono

    lo statuto e la struttura portante. La NATO inoltre una struttura che non assoggetta completamente lEuropa ai suoi voleri ma che delinea la posizione geopolitica dellEuropa in base alle necessit e agli interessi dei Paesi membri. La posizione degli Stati Uniti quali primi inter pares allinterno della coalizione, cos come il ruolo di Bruxelles nellambito dellUnione Europea, pongono dei seri problemi di sovranit per nazioni che, come la nostra, pagano lo scotto di unevidente arretratezza politica, economica e, dunque, anche strategica. Tutto ci senzaltro vero. Tuttavia, la questione della sovranit nazionale non isolata.

  • Essa nasce e si forma allinterno di un preciso contesto nazionale a sua volta inserito in un pi ampio quadro internazionale, che va studiato e osservato costantemente, pena lo scadimento in una becera retorica patriottarda da

    garibaldino fuori dalla storia. E opportuno, perci, cominciare a comprendere la relativit come criterio per la valutazione dei conflitti nazionali ed internazionali. Scriveva Stalin nel 1924:

    Il carattere incontestabilmente rivoluzionario dellimmensa maggioranza dei movimenti nazionali altrettanto relativo e originale, quanto relativo e originale leventuale carattere reazionario di alcuni movimenti nazionali singoli. Nelle condizioni delloppressione imperialistica, il carattere rivoluzionario del movimento nazionale non implica affatto obbligatoriamente lesistenza di elementi proletari nel movimento, lesistenza di un programma rivoluzionario o repubblicano del movimento, lesistenza di una base democratica del movimento. La lotta dellemiro afghano per lindipendenza dellAfghanistan oggettivamente una lotta rivoluzionaria, malgrado il carattere monarchico delle concezioni dellemiro e dei suoi seguaci, poich essa indebolisce, disgrega, scalza limperialismo[13]

    Il presupposto fondamentale da cui lanalisi di Stalin parte la condizione internazionale dellepoca, cio la sostanziale divisione del mondo tra un blocco di nazioni dominanti o coloniali, e una grande maggioranza di nazioni arretrate, sottoposte al dominio o alla colonizzazione. Dunque, in questo incrocio di

    interessi, il nazionalismo diventa un fattore strategico (non una fissit ideologica) attraverso cui scalzare limperialismo, anche nella misura in cui esso dovesse assumere forme politiche che Stalin, nel contesto dellepoca, descriveva come reazionarie o borghesi. Al contrario, nelle nazioni responsabili del dominio e della colonizzazione, il nazionalismo assume caratteri e connotazioni reazionarie, da

    qualunque parte esso provenga, e va perci strutturata una critica internazionalista che sostenga i Paesi dominati.

    Il centro di gravit delleducazione internazionalista degli operai nei paesi oppressori deve risiedere immancabilmente nella propaganda e nella difesa da parte loro della libert dei paesi oppressi di separarsi. Senza questo non v internazionalismo. Noi abbiamo il diritto e lobbligo di trattare da imperialista e da furfante ogni socialista di un paese oppressore che non faccia questa propaganda. Si tratta di una rivendicazione incondizionata, quantunque fino allavvento del socialismo la separazione sia possibile e realizzabile in un caso su mille[14]

    Appare un primo criterio di relativit del conflitto e del concetto di sovranit nazionale, a seguito di cui le rivendicazioni nazionalistiche assumono una diversa funzione in base alla realt geopolitica da cui provengono. Tuttavia, anche nel

    caso di una nazione colonizzata, qualunque patriota socialista dovrebbe porsi la questione dello sviluppo del movimento nazionale: limitarsi dunque al nazionalismo o distinguersi dalle diverse componenti del movimento nazionale

    per imporre un progetto pi grande? Stalin risponde cos:

  • Al contrario, il socialista di una piccola nazione deve porre il centro di gravit dellagitazione sulla seconda parola della nostra formula generale: volontaria unione delle nazioni. Egli pu, senza trasgredire i suoi doveri di internazionalista, essere e per lindipendenza politica della sua nazione, e per linclusione di essa in un vicino stato X, Y, Z, ecc. Ma in ogni caso egli deve lottare contro la grettezza delle piccole nazioni, il loro isolamento, il loro particolarismo, lottare perch si tenga conto del tutto, dellassieme del movimento, perch linteresse particolare venga subordinato allinteresse generale. Coloro che non hanno approfondito la questione trovano contraddittorio che i socialisti dei paesi oppressori insistano sulla libert di separazione e i socialisti delle nazioni oppresse sulla libert di unione[15]

    Nel riferirsi in particolare allUnione Sovietica, Stalin era stato pi chiaro gi nel 1920, quando disse che la Russia centrale, questa leva della rivoluzione mondiale, non pu sopravvivere a lungo senza la periferia che la rifornisce di materie prime, energia, prodotti alimentari [] dal canto loro, le periferie della Russia sono condannate a un inevitabile asservimento imperialistico senza il sostegno politico, militare e organizzativo della pi evoluta Russia centrale[16]. Il progetto era abbastanza evidente: ripristinare quanto prima lintegrit del territorio zarista per evitare il collasso di una struttura politica che, per quanto tenuta in piedi da una

    unione socialmente opprimente, costituiva ormai un soggetto politico unitario tra centri strategici interdipendenti, sedimentato dalla prossimit geografica e

    dalla reciprocit degli interessi politici, sociali e culturali. perci ridicolo parlare ancora oggi della Georgia o dellUcraina come se fossero regioni del tutto estranee al territorio della Russia, ed chiaro come questo tema indipendentista e

    nazionalista sia esclusivamente mantenuto in piedi dalle mire egemoniche dellimperialismo statunitense, che prova a cingere dassedio in qualunque modo, il territorio soggetto al potere centrale del Cremlino.

    Stesso discorso vale per il Tibet, dove Washington ha ormai radicato un costante ricatto morale, farneticando in merito al ritorno di unimproponibile teocrazia feudale nella regione cinese, che da un lato punta a completare, attraverso le vie terrestri, il definitivo accerchiamento geostrategico della Cina, gi praticato lungo le vie marittime della regione Asia-Pacifico, e dallaltro ambisce a distruggere i risultati ottenuti nellarea dal Partito Comunista Cinese in termini di progresso sociale e tecnologico.

    Chiunque oggi in Italia parli di nazionalismo da una prospettiva socialista, rivitalizzando in chiave paramitologica figure del Risorgimento o lotte particolaristiche come quella curda o quella sudsudanese, desta dunque pi di

    un sospetto, e dimostra ancora una volta come un progetto ideologico, slegato o persino antitetico al realismo e al paradigma danalisi della geopolitica, sia destinato semplicemente a scadere in un ridicolo folklorismo nostalgico, o, peggio, a servire il centro egemone dellimperialismo (gli Stati Uniti) coi suoi piani di frammentazione e di disgregazione dei grandi spazi subcontinentali, sempre in

    agguato tanto nella massa eurasiatica quanto nel continente africano propriamente detto.

  • ITALIA, ANELLO DEBOLE DELLA CATENA IMPERIALISTA

    Fu Lenin nel 1916 a fornire la prima descrizione scientifica dellimperialismo. Inquadrato al tempo come la fase massima (o suprema) di un capitalismo in via di

    (pi o meno prossima ventura) disgregazione o dissolvimento, limperialismo consisteva nella rapida riproduzione di capitali, e nella loro progressiva concentrazione (monopolio) allinterno dei centri strategici ed economici delle principali potenze occidentali. Cos sintetizzava il rivoluzionario russo:

    Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anzich alla libert, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni pi ricche o potenti:

    sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente. Sempre pi netta appare la tendenza dell'imperialismo a formare lo "Stato rentier", lo Stato usuraio, la cui borghesia vive esportando capitali e "tagliando cedole". Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt'altro. Nell'et dell'imperialismo i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l'una ora l'altra di quelle tendenze. In complesso il capitalismo cresce assai pi rapidamente di prima, sennonch tale incremento non solo diviene in generale pi sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell'imputridimento dei paesi capitalisticamente pi forti (Inghilterra)[17]

    La fase di transizione attraversata dallassetto internazionale tra i due conflitti mondiali aveva visto il rapido declino dellImpero Britannico centro egemonico del capitalismo lungo gran parte del XIX secolo e degli Imperi Centrali (Prussia e Austria-Ungheria), a vantaggio di due nuovi protagonisti nello scenario mondiale: uno in Occidente, gli Stati Uniti, e uno in Oriente, il Giappone. Nel grande scontro

    interimperialistico sorto tra le potenze europee dellAsse (Germania hitleriana e Italia fascista), per loccasione alleatesi col Giappone, e le potenze atlantiche (Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia), fu coinvolta anche lunica potenza socialista allora presente sullo scacchiere internazionale. Tra il 1941 e il 1945, lUnione Sovietica si trov giocoforza vittima di un accerchiamento senza precedenti sul

    fronte europeo (Germania, Italia, Finlandia, Ungheria e alleati) e sul fronte asiatico (Giappone). Questo accerchiamento era motivato non soltanto dal fatto che Mosca era capitale di uno Stato socialista evidentemente ritenuto ostile dai

    Paesi capitalisti e dai Paesi nazifascisti, ma anche centro di un ritrovato impero, sostanzialmente immutato sul piano strategico rispetto allepoca zarista: la grandissima disponibilit di materie prime, le risorse naturali e gli immensi

    giacimenti minerari di ogni genere presenti allinterno del suo vasto territorio, lo rendevano una preda prelibata agli occhi delle oligarchie occidentali.

    Questa condizione di isolamento internazionale aveva gi costretto Stalin, tra gli anni Trenta e gli anni Quaranta, come gi accennato, ad una brusca revisione teorica e pratica in relazione alla categoria dello Stato: non pi una struttura

    semiautoritaria in via di estinzione (come ritenuto da Lenin nel 1917[18]), ma un perno fondamentale per la costruzione e la difesa del socialismo. Fu proprio il leader sovietico a ricordare come, rispetto allo scenario di progressiva estinzione

  • della struttura dello Stato ipotizzato da Friedrich Engels settanta anni prima, i

    termini del confronto fossero profondamente cambiati:

    Engels parte dal presupposto che il socialismo abbia gi vinto, pi o meno contemporaneamente, in tutti i paesi o nella maggioranza dei paesi. Per conseguenza, Engels esamina qui non questo o quel concreto Stato socialista di questo o quel singolo paese, ma lo sviluppo dello Stato socialista in generale, ammettendo il fatto della vittoria del socialismo nella maggioranza dei paesi, secondo la formula: Ammettiamo che il socialismo abbia vinto. nella maggioranza dei paesi; si domanda: quali cambiamenti deve subire in questo caso lo Stato proletario, socialista?.... Soltanto questo carattere generale e astratto del problema pu spiegare perch, esaminando la questione dello Stato socialista, Engels astragga completamente da un fattore come le condizioni internazionali, la situazione internazionale. Ma da ci deriva che non si pu estendere la formula generale di Engels sulla sorte dello Stato socialista in generale, al caso particolare e concreto della vittoria del socialismo in un solo paese, preso a parte, che circondato da paesi capitalistici, che esposto alla minaccia di un'aggressione armata dall'esterno; paese che non pu, per conseguenza, fare astrazione dalla situazione internazionale e deve avere a sua disposizione anche un esercito bene istruito, degli organi punitivi bene organizzati e un forte servizio di sorveglianza; paese che, per conseguenza, deve avere un proprio Stato sufficientemente forte per poter difendere le conquiste del socialismo dall'aggressione esterna. Non si pu esigere dai classici del marxismo, che sono separati dal nostro tempo da un periodo di 45-55 anni, che essi prevedessero per un avvenire lontano tutti i casi possibili di zig-zag della storia in ogni paese, singolarmente preso. Sarebbe ridicolo esigere che i classici del marxismo avessero elaborato per noi delle soluzioni pronte per tutte le questioni teoriche immaginabili che sarebbero potute sorgere in ogni paese singolarmente preso, in 50-100 anni; affinch noi, posteri dei classici dei marxismo, avessimo la possibilit di rimanere tranquillamente coricati e rimasticare soluzioni bell'e pronte[19]

    Lo Stato diventa dunque un perno fondamentale per laffermazione del socialismo e per la difesa delle sue conquiste tecniche, politiche e scientifiche. Le strutture strategiche dello Stato, quali ad esempio lapparato militar-industriale, lintelligence e le aziende legate allestrazione mineraria, alla produzione e allo sviluppo delle materie prime, assumono un ruolo fondamentale nel progetto di

    costruzione della nuova societ. Pur legata ad una retorica ormai obsoleta e anacronistica, che ancora riteneva

    possibile pensare il socialismo ed il comunismo come le fasi di un percorso

    politico guidato e direzionato da un solo Paese rispetto a tutti gli altri movimenti e partiti comunisti o a tutti gli altri singoli Paesi socialisti, questa linea fissata da

    Stalin mantiene una sua fondamentale validit sul piano geopolitico, come sviluppo ed evoluzione di quanto gi era stato fissato da Lenin venti anni prima. Lidea-forza del leader della Rivoluzione dOttobre era infatti quella di aver inquadrato la Russia come lanello debole della catena imperialista, cio come lunico luogo di rottura e frattura allinterno del fronte delle nazioni egemoni. LImpero degli Zar, difatti, malgrado le sue conquiste e le sue partecipazioni allo

  • scontro interimperialistico in diversi teatri di conflitto europei ed asiatici tra la

    met del XIX secolo e la Prima Guerra Mondiale, era una potenza molto meno sviluppata sul piano economico-strategico rispetto ai Paesi dellEuropa Occidentale e si trovava senzaltro nella condizione subalternit rispetto alla Gran Bretagna, alla Francia o agli Imperi centrali. Va poi considerato che la conquista dei territori siberiani andata in scena tra il XVI e il XIX secolo aveva nei fatti

    coinvolto territori tanto giganteschi quanto essenzialmente disabitati e che gran parte dei pi cruenti conflitti combattuti dallo Stato russo (nelle sue diverse forme strutturali storiche) nacquero il pi delle volte da atteggiamenti volti alla

    resistenza e alla difesa del territorio piuttosto che da spinte egemoniche o da smanie di conquista. cos che Stalin pot con coerenza richiamarsi a grandi

    condottieri del passato quali Aleksandr Nevskij, Dimitrj Donskoij, Kusma Minin e Dimitrj Pozharskij, Aleksandr Suvorov e Mikhail Kutuzov, nel suo celebre appello allArmata Rossa, proprio durante i primi mesi di quella che passer alla storia come la Grande Guerra Patriottica.

    Limperialismo odierno senzaltro organizzato secondo forme e criteri strategici molto diversi da allora. Tuttavia possiamo facilmente individuare nel fronte trilaterale dei Paesi capitalistici quel gruppo di nazioni dominanti, detentrici dei principali flussi di capitale e delle risorse strategiche che ne

    consentono legemonia, la difesa dei propri interessi internazionali ed il mantenimento delle condizioni di supremazia acquisite. Allinterno di questo fronte trilaterale che comprende le nazioni del Nord America, le nazioni

    dellEuropa Occidentale e il Giappone, il ruolo egemone ovviamente rappresentato dagli Stati Uniti. Secondo quanto emerge dal rapporto SIPRI del

    2010, la spesa militare globale costituisce il 2.6% del PIL mondiale, il che equivale a 236 dollari pro capite [] dovuta, quasi interamente, agli Stati Uniti: infatti, la spesa militare nel resto del mondo aumentata solo dello 0.1% [] nel periodo 2001-2010 la spesa militare americana cresciuta dell81%, mentre quella del resto del mondo aumentata del 32%[20].

    La classifica del fondo militare degli Stati nel 2010 vedeva gli Stati Uniti al comando con 689 miliardi di dollari, la Cina al secondo posto con 78 miliardi di dollari circa e la Russia con 58 miliardi di dollari. Questa enorme sproporzione

    tra le principali potenze mondiali ci consente di osservare con facilit le dimensioni strategiche e geografiche del piano egemonico di espansione di

    Washington messo allopera allindomani della dissoluzione dellURSS. C da considerare, poi, la vasta e complessa rete di alleanze su cui il

    Pentagono pu contare, a cominciare dalla NATO, principale organismo militare

    nel mondo, che in origine raccoglieva sotto lala protettrice degli Stati Uniti buona parte dellEuropa Occidentale (distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale e ricostruita attraverso il finanziamento previsto dal Piano Marshall) ma che oggi, dopo lo sfaldamento del Patto di Varsavia, ha espanso la sua presenza anche in Europa centro-orientale (Germania riunificata, Ungheria, Repubblica Ceca,

    Polonia, Albania, Romania, Bulgaria, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Lettonia, Estonia e Lituania), accerchiando la Federazione Russa lungo gran parte dei suoi confini occidentali.

    La NATO un organismo a guida statunitense, fondato nel 1949 e regolato da precisi rapporti di forza interni: al ruolo egemone di Washington si aggiunge la

    particolare condizione privilegiata della Gran Bretagna, unico fedele alleato degli Stati Uniti sin dalle origini antesignane dellAlleanza Atlantica (Carta Atlantica del 1941). Malgrado il declino storico del suo ruolo egemonico, Londra pu infatti

  • ancora garantire a s stessa e ai suoi alleati decisivi spazi di manovra nei tre

    Oceani dal momento che, sebbene ridimensionati rispetto allepoca vittoriana e senzaltro molto meno rigidi che in passato, i reami del Commonwealth comprendono tuttoggi sedici Paesi vincolati che riconoscono come capo di Stato il monarca reggente della Corona. Tra questi vi sono Paesi di dimensioni e capacit strategiche notevoli quali il Canada, lAustralia, la Nuova Zelanda, la Giamaica e Papua Nuova Guinea.

    Un ruolo particolare allinterno dellAlleanza Atlantica poi praticato dalla Francia e dalla Turchia che, malgrado le pesanti divergenze del passato (scontro De Gaulle-NATO la prima, contesa turco-greca per Cipro la seconda), oggi sono tornate a svolgere nuovi e decisivi compiti, come dimostrato in occasione

    dellaggressione imperialista contro la Libia socialista di Gheddafi e, in generale, nellambito delle cosiddette primavere arabe, innescate e/o direzionate da azioni coordinate dalle principali intelligence occidentali. Ambedue possiedono ingenti armamenti e se la Francia ha ormai sviluppato un potente arsenale atomico, la Turchia pu contare su un esercito terrestre e su una proiezione navale

    estremamente avanzati che garantiscono allAlleanza uninfluenza di primo piano proprio lungo le rive levantine del Mediterraneo e su quel Nord Africa che, in virt

    del passato, mantiene ancora fondamentali contatti con Parigi (colonialismo francese) e con Ankara (espansione ottomana).

    Nel mezzo, tra lEuropa atlantica (Gran Bretagna, Francia e Spagna) ed il Mediterraneo, troviamo lItalia. Sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale il nostro , assieme alla Germania, il Paese che conta la pi folta presenza di basi o installazioni militari nordatlantiche e/o statunitensi sul territorio nazionale. In

    totale oggi in Italia si registrano ben 113 siti militari strategici, alcuni dei quali contenenti ordigni e missili balistici nucleari.

    La collocazione geografica dellItalia fa della Penisola una lunga protuberanza terrestre posta nel cuore del Mediterraneo secondo due direttrici geostrategiche: una che ne delinea il territorio in senso obliquo, da Nord-Ovest (Alpi e Costa

    Azzurra) verso Sud-Est (Balcani e Mar Ionio), e laltra che la attraversa in senso verticale, da Nord-Est (Austria, Slovenia e Croazia) a Sud-Ovest (Algeria, Tunisia, Mar Libico). Questa privilegiata posizione di ponte tra la Mitteleuropa e il mondo

    arabo garantirebbe a Roma unautonomia e una prosperit economica dalle grandissime prospettive. La scarsa presenza di materie prime (tra laltro tutta da verificare, specie a seguito di quanto emerso in Basilicata e al largo delle Isole Tremiti) costringe da decenni lItalia ad instaurare relazioni, spesso non facili, con realt diverse, quando non ostili in maniera esplicita, rispetto alla NATO o ad

    almeno una delle nazioni egemoni dellAlleanza. La Libia di Gheddafi e lIran di Ahmadinejad sono soltanto i due casi pi chiari in ordine di tempo: soprattutto in

    occasione dellaggressione militare contro la Libia, lItalia ha evidenziato tutta la sua condizione di subalternit rispetto agli Stati Uniti, alla Gran Bretagna e alla Francia, di fronte alle cui imposizioni il governo di Roma ha preferito rinunciare

    ai vantaggi strategici ed economici derivati dal Trattato di Amicizia siglato tra Italia e Libia nellagosto del 2008, piuttosto che astenersi dalla partecipazione alle operazioni tattiche, come altres deciso dalla Germania.

    Perch? Anzitutto perch lItalia, nelle attuali condizioni di debolezza strategica e di arretratezza industriale e produttiva, non pu permettersi una sua politica

    autonoma e dunque una propria piena sovranit. Il cambio di governo Berlusconi Monti nato come risposta, evidentemente sbagliata, alle necessit poste da questa condizione di debolezza. Come riportava gi nel 2010 unanalisi

  • dellIstituto di Affari Internazionali, a causa [ma non solo, ndr] dellenorme debito pubblico accumulato lItalia ha stanziato, per fronteggiare la crisi, risorse assai modeste rispetto a quelle messe in campo dagli altri paesi[21], evidenziando un basso tasso di crescita e di produttivit negli ultimi anni, rispetto agli standard delle altre economie europee.

    Tuttavia, larrivo di Mario Monti non ha fatto che incrementare questo scarto di competitivit del nostro sistema produttivo nazionale. Mario Monti infatti un politico non eletto, un ex dipendente della finanziaria statunitense Goldman-Sachs, finita sotto inchiesta presso la Procura della Repubblica di Milano per la grave ipotesi di reato riguardante lemissione di titoli-derivati venduti a enti pubblici (regioni e comuni) del nostro Stato, ed legato a doppio filo, attraverso la Commissione Trilaterale e una parte del mondo bancario, agli interessi strategici dei centri dominanti del capitalismo anglo-americano, che irrigidiranno talmente

    tanto i vincoli di subalternit dellItalia rispetto al centro egemone dellimperialismo (Stati Uniti e Gran Bretagna), da renderli molto simili a dei veri e propri rapporti di natura coloniale. Sono l a dimostrarlo il rafforzamento del ruolo collaborazionista delle nostre Forze Armate, ormai ridotte alla dimensione di un esercito professionale a contratto attraverso le riforme dei ministri Martino e La Russa, nel quadro delle missioni internazionali imposte dalla NATO e i provvedimenti di austerit sociale nel grottesco tentativo di diminuire un

    differenziale Bund-BTP che, stanti le fisiologiche differenze tra la potenza economica tedesca e la debolezza strategica italiana, non sar mai del tutto azzerato.

    LItalia vive dunque una situazione molto simile a quella vissuta, in un contesto senza dubbio totalmente diverso, dalla Russia zarista nel periodo 1913-1917, configurandosi come il pi debole anello di una catena imperialista di cui le

    principali forze politiche italiane sono complici e che torna nuovamente a minacciare la pace e la prosperit del mondo, attraverso guerre di conquista,

    embargo economici e sovraccumulazione di capitali.

  • Note:

    1. Si veda in particolare D. HARVEY, La crisi della modernit, Il Saggiatore, Milano, 1993. 2. Si vedano K. MARX, Il Capitale, Libro I, Sez. IV, Cap. 13, Par. 9 Legislazione sulle fabbriche, 1866 e F. ENGELS, Anti-Duhring, Terza Sezione: Socialismo, Cap. III Produzione, 1878. 3. V. LENIN, Il sistema Taylor lo schiavismo delluomo per mano della macchina, Put Pravdy, n. 35, 13 marzo 1914. 4. V. LENIN, I compiti immediati del governo sovietico, Pravda n. 83, 28 aprile 1918. 5. V. LENIN, Stato e Rivoluzione, 1917. 6. (cfr) M. MONTANARI, Saggio introduttivo a G. ZJUGANOV, Stato e Potenza, Edizioni AllInsegna del Veltro, Parma, 1999. 7. G. DIMITROV, Diario. Gli anni di Mosca (1934-1845), a cura di S. Pons, Einaudi Editori, Torino,

    2000, p. 81.

    8. Si vedano i testi di G. La Grassa, in specie Un Panorama Storico e Un Panorama Analitico, pubblicati nel sito Conflitti&Strategie, e la sua ultima pentalogia qui disponibile vai alla fonte. 9. K. MARX, Il Capitale, Libro I, Sez. VII, Cap. 24, Par. 6 - Genesi del capitalista industriale, 1866.

    10. Si vedano H. MACKINDER, The Geographical Pivot of History, in The Geographical Journal, Vol. 23, No. 4 (Apr., 1904), Royal Geographical Society, pp. 421-437 e H. MACKINDER, Democratic Ideals and Reality. A Study in the Politics of Reconstruction, Constable, London, 1919. 11. J. STALIN, Principi del Leninismo, 1924.

    12. (cfr) G. ZJUGANOV, Stato e Potenza, Derzhava, Edizioni AllInsegna del Veltro, Parma, 1999, pp. 49-61. 13. J. STALIN, Principi del Leninismo, 1924. 14. Ibidem. 15. Ibidem.

    16. J. STALIN, Sochinenija, vol. IV, pp. 31-32. 17. V. LENIN, Imperialismo, fase suprema del capitalismo, Cap. X, 1916.

    18. Si veda V. LENIN, Stato e Rivoluzione, 1917.

    19. J. STALIN, Rapporto al XVIII congresso del PC(b) dellURSS, 10 marzo 1939. 20. Istituto Archivio Disarmo, rapporto spesa militare globale, 2010. 21. G. BONVICINI A. COLOMBO, La politica estera dellItalia (edizione 2010), IAI ISPI, Il Mulino Editore, Bologna, 2010, p. 21.

  • PARTE II

    LITALIA: UNA, SOCIALISTA, INTEGRATA NEL SISTEMA-EURASIA

  • STATO Lo Stato dunque torna ad assumere una prospettiva centrale nel quadro dei

    conflitti del nuovo secolo. Il suo ruolo stato solo apparentemente indebolito dalla globalizzazione, ma resta tuttavia centrale anche nei contesti dei Paesi capitalistici. Lo Stato si pone infatti come struttura di controllo e di sviluppo

    strategico, anche laddove esso demandi il compito a corporazioni private. Lesempio fornito dalla teoria delle Tre Rappresentanze elaborata dal Partito Comunista Cinese durante lera Jiang Zemin in questo senso fondamentale per fissare un nuovo concetto di Stato che si ponga al di sopra del cosiddetto settore pubblico e del cosiddetto settore privato, superandone la spicciola dicotomia (che nei contesti liberaldemocratici assume spesso significati reazionari o meramente assistenzialistici) vincolando gran parte dei terminali economici

    della libera iniziativa agli interessi nazionali. Infatti, parlando in termini assoluti, il libero mercato non esiste. Lidea di un

    anarco-capitalismo o la vulgata relativa alla cosiddetta finanza apolide, in voga presso moltissimi movimenti e gruppi complottisti e populisti (non ultimo il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo), si sono dimostrate semplici illusioni teoriche volte a giustificare unespansione dei mercati che, in realt, non ha fatto altro che incrementare il volume egemonico degli Stati Uniti nel resto del pianeta. Al di l di rare ed isolate eccezioni i mercati, come abbiamo visto, riproducono sul

    piano finanziario conflitti e contrapposizioni gi esistenti sul piano della politica e delleconomia reale.

    Non un caso che le tre principali agenzie di rating (Standard&Poors, Moodys e Fitch), capaci di determinare equilibri politici di primo piano a livello internazionale, siano installate principalmente a New York e a Londra, cos come

    non un caso che la Cina ne abbia aperta una propria (Dagong), e che questa sia la sola ad aver seriamente (e giustamente) declassato la credibilit della situazione economica degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. La matematica non unopinione, tuttavia leconomia non soltanto matematica ma anche e soprattutto strategia: in questo caso, la strategia dei centri egemonici legati

    allapparato delle principali potenze capitalistiche, alla ricerca del mantenimento e dellincremento del volume di investimento internazionale a discapito degli Stati attualmente in condizioni di inferiorit strategica. Questi Stati in condizioni di inferiorit strategica sono anzitutto quelli socialisti come la Cina, la Corea del Nord, Cuba, il Venezuela, il Laos o il Vietnam, i quali per la loro stessa natura

    economico-politica non prevedono lespansione e lesportazione del proprio modo di produzione allestero. Vi sono poi i Paesi socialdemocratici o ad economia prevalentemente liberista ma socialmente orientata come il Brasile, il Sudafrica, il Kazakistan e lArgentina, che ricorrono allinvestimento internazionale in chiave sviluppista o comunque di avanzamento collettivo. Tra i Paesi in condizione dinferiorit, infine, vi possono essere anche quegli Stati capitalistici tout-court che tuttavia declinano il loro sistema economico in senso protezionistico o nazional-capitalistico, come la Russia o lIndia.

    In conclusione, il ruolo dello Stato cos come la questione della sovranit, daltronde va valutato in base al quadro dei rapporti di forza internazionali. LItalia, in quanto anello debole della catena imperialista, subisce un regolare e sistematico indebolimento delle sue strutture di Stato ad opera delle principali

  • potenze dominanti (in primis Stati Uniti e Gran Bretagna) o dei centri economici ad esse ricollegabili. accaduto con lassassinio di Enrico Mattei, e col continuo boicottaggio dellENI in campo internazionale, accaduto nel 1992-1993 quando linchiesta di Tangentopoli divent il paravento morale per giustificare (e coprire dalle luci dei riflettori) unintera operazione politica di distruzione dellIRI e del sistema delle partecipazioni statali (Operazione Britannia), e sembra possa

    nuovamente accadere ora nel dopo-Monti, visto che si parla sempre pi pressantemente dellipotesi di dismettere gran parte delle aziende strategiche ancora (parzialmente) rimaste di propriet statale.

    Potenziando il nostro Stato, difendendone le strutture e qualificando il personale interno (funzionari, politici, dirigenti ecc. ), sarebbe possibile costruire le basi per un potenziamento del nostro Paese sul piano economico e per una redistribuzione delle ricchezze che segua criteri di maggiore equit sociale, senza sperequazioni e senza sprechi. Al contrario, qualunque dismissione

    o qualunque illusione che il mercato (unentit che, come abbiamo visto, non mai completamente senza regole ma soggetta alla regola in base alla quale i dominanti divorano o tengono sotto scacco i subdominanti e i dominati) possa risolvere i problemi lasciati irrisolti da classi politiche incapaci ed inette, finir col distruggere ogni residuale sovranit politica dellItalia, assoggettandoci ancora di pi ai voleri di Washington e di Londra.

    Non possiamo illuderci nemmeno del fatto che questo compito sia semplice.

    LItalia oggi in una posizione cos critica da rischiare il collasso entro qualche anno. Il vero scopo del governo tecnico presieduto da Mario Monti non stato certo quello di abbassare il differenziale tra titoli di Stato italiani e Bund tedeschi, ma quello di svolgere un lavoro di ripulitura del Paese da qualunque importante presenza dello Stato nelleconomia, schiavizzando lItalia e inquadrandola come vittima prescelta, assieme alla Grecia, alla Spagna e al Portogallo, dal capitalismo internazionale che cercher in ogni modo di mantenere un altissimo flusso di capitali verso gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, tenendo la Germania (unico polo

    capitalistico europeo potenzialmente concorrenziale rispetto a Washington e Londra) bloccata dai parametri di unUnione Europea sempre pi priva di senso politico e ormai chiaramente costretta ad auto-alimentare le sue strutture tramite

    pesantissime riforme sociali che colpiranno il proletariato e le fasce pi basse del ceto medio delle economie meno stabili (PIIGS).

  • POTENZA

    La politica di potenza dello Stato dunque lunica a garantire ai Paesi sottoposti ai vincoli o agli accerchiamenti militari e/o economici dei centri egemoni del capitalismo mondiale, la possibilit di praticare un progressivo smarcamento e di

    raggiungere dunque lindipendenza nazionale. Senza queste condizioni basilari di sovranit politica, impossibile costruire una propria struttura nazionale che sia in grado di garantire la bench minima giustizia sociale.

    per questo che lItalia, in questa fase, dovrebbe richiedere maggior cooperazione alle nuove economie emergenti (BRICS), ma soprattutto rivolgersi alla Russia, alla Cina e al Medio Oriente. Non soltanto unesigenza economica, ma anche una naturale predisposizione politica del nostro Paese, pensato come ponte verso il Vicino Oriente e come parte integrante del Sistema-Eurasia.

    Con questa espressione, non intendiamo alcun particolare progetto megalomane o neoimperialista, ma semplicemente cerchiamo di utilizzare la lezione di Halford Mackinder, rigirandone i termini attraverso lopera di Lev Gumilev. Se il geografo scozzese aveva infatti contribuito, pur da un punto di vista coloniale e imperialista, a minare le basi delleurocentrismo individuando la centralit geopolitica e geostrategica di una nuova area continentale eurasiatica detta Heartland (che comprendeva la Siberia, lAsia Centrale e parte dellIran), letnografo russo passato alla storia per i suoi importanti contributi nellopera di approfondimento di stirpi e civilt fino ad allora considerate periferiche e marginali, come quelle turaniche delle steppe.

    Il contributo di Gumilev stato recuperato in epoca recente dal neoeurasiatismo russo di Aleksandr Dugin e costituisce unimportante opera teorica che, applicata agli studi geopolitici, pu facilmente smontare la

    prospettiva atlantocentrica che opprime gran parte delle cattedre delle Universit occidentali.

    La rivoluzione culturale che il contributo delleurasiatismo pu generare volta alla riscoperta geografica e politica dellantico legame che intreccia la storia dei popoli indoeuropei con la storia dei popoli asiatici. Questa consapevolezza gi

    forte in Russia, dal momento che la vicenda epocale dello Stato russo (compresa lUnione Sovietica), ha gi cementato da secoli le caratteristiche dei popoli di matrice slavo-orientale e alcune peculiarit dei popoli di matrice uralo-altaica. In

    tal senso, la Russia intesa quale forma di civilizzazione rappresenta lunico esempio cosciente di civilt eurasiatica.

    Tuttavia anche in Italia si registrarono presenze di certa origine turanica, come gli Etruschi, mentre gli stessi popoli indoeuropei mantengono una radice etnica collocata nel plesso geoantropico compreso tra la Persia e lIndia settentrionale. Il discorso si fa ancor pi complesso allorquando si introduce lanalisi dei popoli ungherese, finlandese ed estone: sistemi linguistici ugro-finnici, derivazioni centrasiatiche, tradizioni ed usanze senzaltro particolari, che ricordano molto da vicino i tradizionali costumi kazaki o turkmeni.

    Limpostazione ormai assodata nelle nostre accademie e nei nostri centri di ricerca quella di una netta divisione culturale ed etnica tra Europa ed Asia, tuttavia ogni giorno di pi ci accorgiamo di quanto tutto ci sia assurdo da un punto di vista geografico: non c alcun mare o alcun oceano a separarci dallAsia, n invalicabili catene montuose, e la perfetta continuit di spazio impone di

  • considerare lUnione Europea come unaggregazione regionale di un sistema continentale nettamente pi vasto.

    La progressiva integrazione dellItalia nel Sistema-Eurasia e nelle sue gi avviate strutture strategiche ed economiche dovr seguire percorsi tattici (nel tentativo di smarcarsi da un sistema nordatlantico in lento disfacimento e declino) ma anche strategie di ampio respiro, considerando la convenienza

    politica che deriverebbe da un migliore e pi solidale quadro di rapporti economici con lIran, con la Russia, con la Turchia, con i Paesi dellAsia Centrale e con la Cina. Specialmente la Repubblica Popolare va considerata come un

    riferimento importante a cui guardare politicamente, oltre che economicamente, per la sua capacit di proporre una nuova forma, in piena emersione, di

    socialismo da grande potenza, dopo lamara fine di quello proposto dallURSS. Proprio guardando con grande interesse alla teoria delle quattro modernizzazioni di Deng Xiaoping, importante recuperare quella filosofia dellefficienza e della modernizzazione tecnica, che furono adottate pure dal Cremlino tra gli anni Venti e gli anni Quaranta. LItalia, con le sue grandi potenzialit scientifiche e artigianali, potrebbe godere di una condizione di benessere e sviluppo molto superiore a quella di nazioni come la Gran Bretagna o la Francia, le cui capacit economiche e scientifiche sono sempre state favorite in modo decisivo da un

    parassitismo coloniale criminale molto pi prolungato ed opprimente di quello italiano, essenzialmente concentrato negli anni di Giolitti e nel Ventennio fascista.

    Va prima di tutto recuperato il primato della scienza e della tecnica al servizio

    della politica. Nulla a che vedere con la finta tecnica (in realt tecnica finanziaria e capitalistica, dunque tecnica di classe) del governo Monti. Parliamo di innovazioni e di capacit di crescita, a partire dalle fondamenta di ogni moderna economia di sviluppo: lenergia.

    Tornare al nucleare, quanto prima possibile, attraverso piani di studio e progettazione compatibilmente con il rispetto dellambiente e con la struttura morfologica del nostro Paese, consentirebbe una forte e drastica diminuzione del volume di import di materie prime, cui lItalia costretta da decenni per reperire le risorse energetiche necessarie, e diminuirebbe le emissioni nocive dei vetusti impianti a carbone che ancora alimentano la Penisola. Sconfiggere la rete delle ONG ambientaliste non sar facile sul

    piano comunicativo: anche qui, la partita tutta giocata nel campo della strategia soft-power degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, da cui partono i maggiori finanziamenti destinati alle varie sigle dellestremismo verde presenti nei Paesi sub-dominanti o dominati. La finalit chiara: impedire lo sviluppo strategico di queste nazioni, mantenendone le strutture a livello

    non avanzato e comunque pur sempre inferiore a quello dei pochi Paesi dominanti.

    poi urgente revisionare in modo generale tutto il complesso militare di cui gli Stati Uniti dispongono sul nostro territorio, richiedendo labbandono immediato del territorio nazionale a tutte le truppe di occupazione straniera, anche ricorrendo a sanzioni o penali che rendano impraticabile

    lutilizzo delle basi militari al contingente statunitense. Con la riforma del sistema di leva dovr poi essere ripristinato il vecchio servizio obbligatorio, eliminando larruolamento professionale per preparare tutti gli uomini e le donne idonei ed idonee al servizio, almeno per un anno, alla capacit di

  • difesa e alla mobilitazione totale in caso di attacco, nel quadro della

    formazione di nuove milizie popolari.

    Avviare nuove reti di viabilit ferroviaria ad alta velocit destinate principalmente al trasporto commerciale, in modo da restringere i tempi di

    percorrenza tra Nord e Sud della Penisola e da limitare drasticamente il trasporto su gomma, vero e proprio ingombro sia in termini economici sia in termini logistici.

    Favorire la ricerca e linnovazione, destinando allUniversit pubblica italiana e ai centri di ricerca italiani maggiori fondi statali, da reperire anzitutto attraverso il taglio a qualunque tipo di finanziamento pubblico

    agli atenei privati e attraverso una maggiore tassazione delle propriet private del Vaticano e delle altre comunit religiose pi consistenti presenti sul territorio dello Stato (ebraica, musulmana, evangelica ecc. ).

    Avviare un piano per il rilancio dellindustria che preveda la nazionalizzazione delle aziende strategiche e dei grandi poli di produzione

    italiani, e la registrazione presso un elenco di Stato delle piccole e medie imprese private che intendano mantenere il loro status di libera iniziativa, collaborando con lo Stato attraverso un piano di partecipazione pubblica allutile, consegnando tutti i brevetti alle autorit competenti dello Stato e garantendo loccupazione a personale italiano (o immigrato regolare, non clandestino), su livelli contrattuali fissati secondo regole nazionali collettive.

    Censire tutti i locali e i luoghi ricreativi notturni e diurni, registrandone

    ogni singola attivit in modo da verificare la presenza di attivit legali e conformi alla legge: qualunque luogo dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti, al gioco dazzardo (videopoker compresi) e/o alla prostituzione, dovranno essere posti sotto sequestro, espropriati dopo accurate indagini delle autorit e adibiti a case del popolo finalizzate ad

    iniziative di tipo sociale e culturale.

    Intensificare i controlli alla frontiera e sui principali snodi navali, per

    evitare la fuga di capitali allestero: nessun condono ai fuggiaschi del passato e del presente, che sono da considerarsi quali semplici latitanti in attesa di fermo e di giudizio sul suolo italiano. Tutti i beni illecitamente

    acquisti in Italia e trafugati nei paradisi fiscali, sono considerati beni dello Stato, soggetti a confisca non appena questi facciano rientro in Italia.

    Perseguire penalmente qualunque associazione che promuova la concentrazione oligarchica di capitali, posizioni privilegiate e beni immobili,

    confiscandone qualunque propriet e restituendola al popolo italiano. Solo cos, potremo riattivare una vera politica di piano, che sia in grado di

    rilanciare lItalia come Paese e di organizzare la trasformazione socialista della societ.