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APAT Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati APAT Manuali e linee guida 43/2006

Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati

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Page 1: Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati

APATAgenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici

Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati

APATManuali e linee guida 43/2006

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Informazioni legaliL’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici o lepersone che agiscono per conto dell’Agenzia stessa non sono responsa-bili per l’uso che può essere fatto delle informazioni contenute in questapubblicazione

Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi TecniciVia Vitaliano Brancati, 48 – 00144 Roma www.apat.gov.it

Dipartimento Difesa del SuoloServizio Tecnologie del Sito e Siti Contaminati

© APAT, Manuali e linee guida 43/2006

ISBN 88-448-0234-1

Riproduzione autorizzata citando la fonte

Elaborazione grafica APATGrafica di copertina: Franco IozzoliFotografie di copertina: Fabio Pascarella

Coordinamento tipografico e distribuzioneOlimpia Girolamo, Simonetta TurcoAPAT - Servizio Stama ed EditoriaUfficio Pubblicazioni

StampaI.G.E.R. srlViale C.T. Odescalchi, 67/A - 00147 Roma

Stampato su carta TCF

Finito di stampare nel mese di marzo 2007

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Autori

Nicoletta Calace, Michele Fratini, Maurizio Guerra, Fabio Pascarella, FrancescoZampetti

Responsabile del Servizio Tecnologie del sito e siti contaminati: Luciano Bonci

Si ringrazia Federico Araneo per il contributo alla stesura finale e Domenico Ligatoper i preziosi suggerimenti.

Si ringraziano per le immagini fornite:Pierangelo Alesina, Giancarlo Ciotoli, Matteo Cobuccio, Giuseppe Etiope, PieraGambino, Roberto Mazzitelli, Valeria Sassanelli, Maurizio Scarapazzi.

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Presentazione

Questa pubblicazione arricchisce la già numerosa collana dei "Manualie linee-guida" con un volume che per la prima volta tratta i temi legatiai siti contaminati, in particolare le indagini da condurre per la determi-nazione delle caratteristiche delle matrici ambientali, con particolareriguardo al suolo, sottosuolo e alle acque sotterranee.

La pubblicazione della direttiva europea sulle acque sotterranee e lapresentazione della proposta di direttiva europea per la protezione delsuolo fanno da sfondo temporale e tematico a questo manuale eviden-ziando l'attualità dei temi trattati.

Il "Manuale per le indagini ambientali nei siti contaminati" coniuga icompiti istituzionali propri dell'Agenzia in materia di redazione di lineeguida, con le esperienze maturate dall'Agenzia stessa anche nel corsodella collaborazione con il Ministero dell'Ambiente, della Tutela delTerritorio e del Mare e con le ARPA. L'obiettivo è quello di illustrare lostato dell'arte delle attività per la caratterizzazione di un sito potenzial-mente contaminato, fungendo anche da base per la redazione di lineeguida da sviluppare con il sistema agenziale.

Mi piace infine sottolineare come la pubblicazione, rivolgendosi a tuttigli enti e professionalità coinvolti nel tema dei siti contaminati, favoriscela diffusione dell'informazione in campo ambientale, mettendo in prati-ca un altro dei principali compiti istituzionali dell'Agenzia.

Giancarlo ViglioneCommissario Straordinario

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Premessa

La pubblicazione del "Manuale per le indagini ambientali nei siti conta-minati" nasce dalle esperienze maturate dall'Agenzia nel corso delleproprie attività istituzionali nel campo di siti contaminati, condotte anchein collaborazione con il Ministero dell'Ambiente, della Tutela delTerritorio e del Mare e con le Agenzie regionali.

L'utilizzo di numerose illustrazioni, diagrammi, tabelle e fotografie,segue l'impostazione delle precedenti linee guida realizzate dalDipartimento Difesa del Suolo. Questo allo scopo di meglio illustrare iconcetti espressi nel testo ed anche di rendere gradevole la lettura. Taleimpostazione, insieme all'esperienza di campo degli Autori, dà un tagliomolto pratico al testo, fornendogli le caratteristiche vere e proprie di"manuale" da utilizzare sia per quanto riguarda gli aspetti teorici sia perquelli pratici che si incontrano nella gestione dei siti contaminati.

Un secondo aspetto che accomuna questo manuale con quelli già editidal Dipartimento Difesa del Suolo è lo spettro di persone alle quali ci sirivolge; la pubblicazione, infatti, è indirizzata ai Professionisti, alleSocietà di consulenza ed ai Funzionari dei numerosi enti tra cui, in pri-mis, quelli del Sistema Agenziale (APAT - ARPA - APPA) coinvolti nellatematica dei siti contaminati.

Il terzo punto che mi preme evidenziare è che il "Manuale per le inda-gini ambientali nei siti contaminati" tratta un'attività ritenuta spessocome meramente introduttiva alla bonifica di un sito, mentre le indaginiambientali relative alle matrici suolo, sottosuolo, acque sotterranee esuperficiali e sedimenti, costituiscono il primo e basilare tassello per losviluppo del modello concettuale e quindi dell'iter progettuale di bonifi-ca. Tale contributo, quindi, non poteva venire che dal Dipartimento cheho l'onore di dirigere.

Leonello ServaDirettore del Dipartimento Difesa del Suolo

(Servizio Geologico d'Italia)

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1. GAS DEL SUOLO 111.1 Caratteristiche della matrice 111.2 Criteri di indagine 121.3 Tecniche di campionamento 13

1.3.1 Campionamento passivo 131.3.2 Campionamento attivo 151.3.3 Installazione dei punti di monitoraggio 181.3.4 Prelievo dei campioni di gas del suolo 20

2. SUOLO 252.1 Caratteristiche della matrice 252.2 Criteri di indagine 26

2.2.1 Scelta dei composti da ricercare 262.2.2 Scelta dei punti di campionamento 282.2.3 Scelta della profondità di campionamento 292.2.4 Scelta del metodo di scavo o perforazione 302.2.5 Rilievi e analisi di campo 402.2.6 Prelievo dei campioni per analisi granulometrica 48

2.3 Tecniche di campionamento 512.4 Chiusura delle attività di cantiere 54

3. ACQUE SOTTERRANEE 553.1 Caratteristiche della matrice 553.2 Criteri d'indagine 57

3.2.1 Piezometri di monitoraggio 583.2.2 Installazione del piezometro 593.2.3 Rilievi di campo 75

3.3 Tecniche di campionamento 79

4. ACQUE SUPERFICIALI 874.1 Caratteristiche della matrice 874.2 Criteri d'indagine 88

4.2.1 Laghi 884.2.2 Fiumi 90

4.3 Tecniche di campionamento 92

5. SEDIMENTI FLUVIALI E LACUSTRI 955.1 Caratteristiche della matrice 955.2 Criteri d'indagine 975.3 Tecniche di campionamento 98

5.3.1 Campionamento con benna 985.3.2 Campionamento con box corer 1005.3.3 Campionamento con carotiere a gravità 1025.3.4 Campionamento manuale 103

Indice

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Indice

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6. RILIEVO TOPOGRAFICO 105

7. IL SISTEMA DELLA QUALITÀ 1097.1 Introduzione 1097.2 Il piano della qualità 1107.3 Concetti base dei controlli di qualità 1127.4 Controlli di qualità in campo 113

7.4.1 Manutenzione e calibrazione degli strumenti 1137.4.2 Decontaminazione dell'attrezzatura 1157.4.3 Campioni di controllo 1177.4.4 Conservazione e gestione dei campioni 120

7.5 Elementi di controllo qualità in laboratorio 124

8. CARATTERISTICHE DEI CONTAMINANTI 1298.1 Introduzione 1298.2 I contaminanti 131

8.2.1 Metalli 1318.2.2 Boro 1358.2.3 Cianuri 1368.2.4 Anioni 1378.2.5 Amianto 1408.2.6 Idrocarburi aromatici 1448.2.7 Idrocarburi policiclici aromatici 1488.2.8 Alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni 1508.2.9 Alifatici alogenati cancerogeni 1528.2.10 Nitrobenzeni 1548.2.11 Clorobenzeni 1558.2.12 Fenoli non clorurati 1568.2.13 Fenoli clorurati 1588.2.14 Ammine aromatiche 1598.2.15 Fitofarmaci 1618.2.16 Policlorobifenili 1638.2.17 Diossine e furani 1658.2.18 Idrocarburi 167

9. IL PIANO DI CARATTERIZZAZIONE 1739.1 Introduzione 1739.2 Raccolta e sistematizzazione dati esistenti 1759.3 Caratterizzazione del sito 1819.4 Piano d'investigazione iniziale 1829.5 Modello concettuale definitivo del sito 192

BIBLIOGRAFIA 195

GLOSSARIO 199

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Capitolo 1Gas del suolo

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1.1 Caratteristiche della matriceLa struttura elementare del terreno è quella di un aggregato di particel-le solide tra le quali esistono dei vuoti. In una situazione naturale talivuoti sono riempiti di aria e/o acqua. Il termine gas del suolo si riferisceall'aria presente nei vuoti del terreno. Quando nel terreno o nella faldaè presente un contaminante volatile questo tende a generare una fasegassosa che va ad occupare una parte o la totalità dei vuoti del terre-no. La tendenza del contaminante ad evaporare è misurata dalla ten-

sione di vapore, cioè dalla pressione che il vapore esercita quando è inequilibrio con la sua fase liquida o solida. Maggiore è la tensione divapore, più forte risulta la tendenza del costituente ad evaporare. Se ilcontaminante è disciolto nell'acqua di falda o nell'umidità del terreno sideve anche tenere conto della costante della legge di Henry che misu-ra il modo in cui un composto si ripartisce tra la fase acquosa e quellavapore. La costante di Henry per un qualunque composto, a pressioneatmosferica e temperatura nota, è data dal rapporto all'equilibrio tral’abbondanza nella fase vapore e l’abbondanza in acqua. I composticon una maggiore tendenza ad esistere nella fase vapore hanno unvalore della costante di Henry >1, quelli con tendenza ad esistere infase acquosa hanno costante di Henry <1.

Il principale fattore di regolazione del moto dei gas nei vuoti del terrenoè la permeabilità, misura della propensione di una roccia, suolo o sedi-mento ad essere attraversata da un fluido. Essa è direttamente collega-ta alla dimensione dei granuli (e quindi dei vuoti intergranulari) edall'umidità del terreno. Minore è la dimensione dei granuli, minore risul-ta la permeabilità; le argille, avendo granulometria finissima, ostacola-

Figura 1.1 - La struttura fisicadel suolo. Le particelle solide(s) costituite da minerali osostanza organica formanouna “intelaiatura” porosa. Ipori possono essere total-mente, parzialmente o nonriempiti dall’acqua (l). I volu-mi non saturati di acqua con-tengono una fase gassosa(g) la cui composizione èlegata a numerosi fattori, sianaturali (es. attività biologica,gas di origine profonda) cheantropici (es. a seguito disversamento accidentale disostanze volatili o di inquina-mento della falda). Il riscontrodi specie gassose non pro-dotte naturalmente (se non incasi eccezionali) può costitui-re un buon punto di partenzaper identificare delle aree sucui concentrare l’attenzionecon indagini piu accurate(campionamento del suolo edell’acqua di falda)

Tabella 1.1 - Composizioneindicativa di gas del suolo incondizioni naturali. Per ilmetano i valori sono espressiin parti per milione (ppm)

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no fortemente la migrazione dei gas del suolo e, laddove non risultinofratturate o rimaneggiate, sono virtualmente impermeabili.L'umidità del terreno diminuisce la permeabilità alla fase gassosa poi-ché l'acqua pellicolare che aderisce alle particelle solide e quella intrap-polata nei vuoti può impedire il flusso del gas.Molti altri fattori possono interferire con la migrazione dei gas nel suolo.Fungono da percorsi preferenziali per la migrazione dei gas i sistemi difratture di origine carsica o tettonica, gli apparati radicali degli alberi, isottoservizi, i terreni abbancati, mentre rappresentano un ostacolo gliorizzonti argillosi, le fondazioni, le pavimentazioni, gli acquiferi sospesi.

1.2 Criteri di indagineNon essendo, ad oggi, definite da alcuna normativa le concentrazionilimite di contaminanti nel gas interstiziale, il campionamento dei gas delsuolo (soil gas survey) è generalmente utilizzato come metodo per lamappatura preliminare della contaminazione nel terreno e nelle acquesotterranee e per il monitoraggio della tenuta di serbatoi sotterranei.Infatti, rispetto ai metodi di indagine invasiva tradizionali (carotaggi,pozzi di monitoraggio), il campionamento dei gas del suolo offre il van-taggio di un costo estremamente inferiore e di una grande rapidità di

Figura 1.2 - La tensione divapore delle sostanze liquideè un’indice della loro tenden-za ad evaporare. Maggiore èla tensione di vapore (misura-ta in unità di pressione: milli-bar, mmHg o più propriamen-te Pa) maggiore è la tenden-za ad evaporare. Solitamentela tensione di vapore è forte-mente dipendente dalla tem-peratura. Nel grafico sonoriportate a titolo di esempio letensioni di vapore di duesostanze altamente volatiliquali toluene e benzene con-frontate con quella dell’ac-qua. Quando la tensione divapore supera 1 atmosfera(101 kPa) il liquido entra inebollizione (e infatti la lineadell’acqua raggiunge questovalore a 100°C).Le sostanze organiche che atemperatura ambiente pre-sentano elevata tensione divapore e bassa solubilità inacqua sono comunementedette “composti organici vola-tili” (COV)

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Gas del suolo

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esecuzione. Ciò si traduce, in pratica, nella possibilità di effettuare este-se campagne di rilevamento all'interno dell'area di studio, i cui risultaticonsentono di selezionare i criteri per le successive, più impegnative,indagini su terreni e acque.

Tipici impieghi di tale metodo riguardano:

• l'identificazione dei composti volatili e semivolatili presenti in un sito• l'individuazione delle sorgenti e dei pennacchi di contaminazione• l'ubicazione di punti di campionamento delle matrici suolo e acqua

(sondaggi, pozzi di monitoraggio)• l'ubicazione di punti permanenti di monitoraggio.

Questi obiettivi sono raggiunti attraverso due tipi di campionamento:

• il campionamento passivo, in cui i campionatori vengono lasciati insito per un periodo di tempo sufficientemente lungo (settimane),dopodiché il gas adsorbito al loro interno viene recuperato perdesorbimento e analizzato in laboratorio

• il campionamento attivo, in cui il gas viene estratto dal terreno permezzo di una pompa e quindi direttamente analizzato o conservatoin idonei contenitori per successive analisi.

Il campionamento passivo è generalmente adatto a tutti i tipi di terreno;tuttavia, condizioni di scarsa permeabilità e forte umidità possono limi-tare la quantità di gas che entra in contatto col campionatore e la quan-tità di gas che viene adsorbito su di esso. Nonostante tali limitazioni ilmetodo risulta più efficace del campionamento attivo.D'altra parte, il campionamento attivo, pur risultando più rapido, è inap-plicabile in terreni argillosi compatti e nei terreni con umidità superioreall'80-90% a causa della mancanza di vuoti interconnessi in seno allamatrice solida del terreno.La tabella sotto riportata indica le condizioni necessarie per un campio-namento di tipo attivo.

1.3 Tecniche di campionamento1.3.1 Campionamento passivoI campionatori passivi sono costituiti da un materiale adsorbente (resi-ne polimeriche o carbonatiche) sigillato all'interno di una membrana dipolitetrafluoroetilene (PTFE) microporosa, idrofobica e chimicamente

Figura 1.3 - Schema di cam-pionamento passivo dei gasdel suolo. Il dispositivo, costi-tuito da un vial in vetro conte-nente il materiale adsorben-te, è solitamente lasciato insitu da qualche giorno a qual-che settimana, in funzionedei composti ricercati e dellaloro concentrazione nei poridel suolo.1) materiale di riporto, 2) vialin vetro, 3) cartuccia adsor-bente costituita da resinepolimeriche o carboni attivi

Tabella 1.2 - Condizioninecessarie per l’utilizzazionedel campionamento attivo deigas del suolo

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inerte. La struttura porosa del PTFE consente ai vapori del contaminan-te di migrare dagli interstizi del terreno al materiale adsorbente, bloc-cando al contempo le particelle di terreno e l'acqua eventualmente pre-sente. La struttura descritta viene adagiata all'interno di fori praticati nelterreno mediante trivelle manuali fino alla profondità massima di 1 mcirca e lasciata in posto per un periodo variabile da 3 a 21 giorni dopoaver sigillato il foro in superficie. Altri apparati sono costituiti da carboniattivi racchiusi entro celle di flusso che vengono adagiate sulla superfi-cie del terreno e mantenute in posizione per il tempo necessario.Trascorso tale periodo, il campionatore viene rimosso e inviato al labo-ratorio per le analisi sui composti organici volatili (COV). I risultati ven-gono espressi come quantità di contaminante rilevato per ogni campio-natore. Non è infatti possibile determinare la concentrazione di conta-minante poiché non è nota la quantità di gas del suolo entrata in con-tatto con il materiale adsorbente. La concentrazione relativa dei varicomposti rilevati è infatti più riconducibile all'affinità dei singoli compostiper il materiale adsorbente e alla velocità di flusso del gas che alla con-centrazione di ciascun composto nel gas del suolo. A tale limitazione siaggiunge il fatto che il campionamento passivo è una tecnica di rileva-zione essenzialmente puntuale, non adatta all'interpretazione delladistribuzione tridimensionale della contaminazione.

I sistemi semi-passivi utilizzano la stessa tecnologia dei passivi ma iltempo di esposizione del materiale adsorbente in foro è molto più breve(da ore a giorni). Il materiale adsorbente può essere posto a varie pro-fondità all'interno dello stesso foro.

Figura 1.4 - La tecnica della“scatola inversa” consente distimare il flusso delle speciegassose che sfuggono versol’atmosfera. Noti i coefficientidi forma della scatola (areadella superficie coperta,altezza) si misura l’aumentonel tempo della concentrazio-ne all’interno della scatolapoggiata sulla superficie e,attraverso semplici calcoli, siottiene una stima del flusso digas dal terreno in esame

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Figura 1.5 - Una semplicepompa a mano consente difar flussare una quantità notadi gas campione attraversouna fiala colorimetrica (vedifigura 1.14). Ognuna di que-ste fiale è specifica per unparametro in un determinatorange. L’esito dell’analisi èimmediatamente leggibilesulla scala graduata dellafiala

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1.3.2 Campionamento attivoNel campionamento attivo i gas interstiziali vengono prelevati inseren-do il campionatore nel foro tramite un carotiere manuale o un sistema“direct push” (vedi Cap. Suolo, par. 3). La maggior parte dei campiona-tori consiste in tubi fessurati infissi nel terreno o direttamente o all'inter-no di aste cave che vengono successivamente rimosse. I gas del suolovengono aspirati attraverso le fessure mediante una pompa da vuoto e,risalendo lungo tubazioni in plastica (polietilene o teflon), vengono con-vogliati in recipienti di raccolta o direttamente agli strumenti di misura. Uno dei vantaggi principali del campionamento attivo è la possibilità diacquisire i dati a diverse profondità per ottenere un profilo verticaledella contaminazione. Il metodo è usato generalmente per la ricerca diCOV e garantisce una rapida acquisizione del campione dalla profondi-tà desiderata.

Tabella 1.3 - Vantaggi e svan-taggi dell’applicazione delmetodo di campionamentopassivo

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In generale, è possibile rilevare composti con costante di Henry >0,1 seanche la pressione di vapore è sufficientemente elevata e le condizionigeologiche a contorno sono favorevoli. Composti con valori di pocoinferiori sono rilevabili solo se le concentrazioni iniziali sono elevate.Benché si possa affermare che i metodi di campionamento passivi sonoin grado di rilevare composti con costante di Henry più bassa, risultaimpossibile fissare un limite di rilevabilità tra le due tecniche a causadelle condizioni specifiche del sito e dei tempi di esposizione.

Per procedere con il campionamento attivo dei gas del suolo è neces-sario seguire scrupolosamente alcune regole per assicurare che i cam-pioni siano rappresentativi delle condizioni del sottosuolo. Tra questecitiamo:

• tutte le indagini sui gas del suolo in un sito devono seguire identi-che procedure

• il campionamento deve essere completato nel minor tempo possibi-le (ore, giorni) per minimizzare l'influenza delle variazioni climatiche(temperatura, umidità, pressione atmosferica, pioggia) sulla con-centrazione dei gas nel suolo

• si devono attuare procedure di decontaminazione del materiale dicampionamento

• la tubazione entro cui fluisce il gas dal terreno al contenitore o allostrumento di misura deve essere priva di umidità e di aria, cosa chesi ottiene mediante spurgo prima del campionamento

• se si campiona direttamente dalle aste cave di perforazione assicu-rarsi della tenuta dei giunti

• lo spazio anulare tra il foro e l'equipaggiamento di perforazionedeve essere sigillato in superficie con bentonite o materiali simili

• è richiesto il prelievo di campioni di bianco per valutare la bontàdelle procedure di decontaminazione e di campioni in doppio pervalutare la riproducibilità del dato.

Tabella 1.4 - Vantaggi e svan-taggi dell’applicazione delmetodo di campionamentoattivo

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Il prelievo di campioni da più punti lungo la stessa verticale consente diricostruire un modello tridimensionale della contaminazione.Per la grande varietà di vantaggi e limiti che ciascun equipaggiamentopresenta, è bene che nella scelta del più adatto siano chiari i fini del-l'analisi. L'installazione di un punto di monitoraggio può essere esegui-ta a mano o con l'ausilio di mezzi meccanici.

Nel primo caso, un'asta metallica cava viene infissa a percussione nelterreno utilizzando una massa battente (martello) coassiale all'astastessa. L'estremità inferiore dell'asta è dotata di una punta e, poco al disopra di questa, di alcuni fori praticati nel corpo dell'asta che consento-no l'ingresso del gas interstiziale. Una valvola con tappo in gomma atenuta posta sull'estremità superiore dell'asta consente di prelevare ilgas mediante una siringa o, in alternativa, un raccordo consente di col-legare all'asta lo strumento di misura tramite un tubicino in plastica. Perla modalità di infissione nel terreno, l'equipaggiamento descritto risulta

Figura 1.6 - Sistema manuale di infissione per il prelie-vo dei gas del suolo. Questo metodo estremamenterapido ed economico può essere utilizzato solo in pre-senza di terreni non litoidi e per profondità inferiore a 1,5m. I gas del suolo vengono aspirati attraverso le fessu-re mediante una pompa da vuoto collegata all’asta dauna tubazione in plastica (polietilene o teflon) e vengo-no poi convogliati in recipienti di raccolta o direttamenteagli strumenti di misura

Figura 1.7 - Schema costruttivo di una sonda manualeper il campionamento dei gas del suolo:a) asta metallica cava; b) punti di contrasto della massabattente; c) massa battente o “martello”, coassialeall’asta e azionato a mano; d) fori o fessure per l’ingres-so del gas nella sonda; e) punta metallica per l’infissio-ne nel terreno

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utilizzabile solo in terreni privi di ciottoli o materiali duri e consente una profondità massima di investigazione di 1,5-2 m. D'altro canto la facili-tà di trasporto e leggerezza di tutta l'attrezzatura consentono una gran-dissima produttività giornaliera anche con un solo operatore in campo.In aree pavimentate o asfaltate è necessario praticare un preforo finoalla superficie del terreno.

Nel secondo caso, le aste cave vengono infisse a spinta o percussionemediante mezzi meccanici (sistemi direct push). Dopo aver infisso labatteria di aste cave dotata di punta fino alla profondità d'investigazio-ne si inserisce al suo interno un tubo in materiale plastico sufficiente-mente lungo da giungere in superficie e consentire comodamente leattività di prelievo del gas.

1.3.3 Installazione dei punti di monitoraggioNel caso che il punto di monitoraggio sia temporaneo, ossia debbadurare il tempo del campionamento, tutta l'attrezzatura viene sfilata dalforo nel terreno e questo viene sigillato con bentonite e cementato insuperficie o, in aree non pavimentate, richiuso col terreno estratto. Seinvece l'installazione è di tipo permanente, rimane cioè disponibile perfuture campagne di monitoraggio dei gas, si deve provvedere al suocompletamento e alla rimozione della batteria d'aste. Lo spazio anula-re tra le pareti del foro e il tubo finestrato viene riempito con materialedrenante (ghiaietto, palline di vetro) in corrispondenza della finestratu-

Figura 1.8 - Sistema mecca-nizzato di infissione dell’ap-parecchiatura per il prelievodi gas del suolo. In funzionedelle caratteristiche litologi-che del terreno, si possonoraggiungere i 5-6 m di profon-dità

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ra in modo da realizzare una zona di richiamo dei gas che al tempostesso impedisca alle particelle di terreno di intasarne le fessure; al disopra di questo dreno viene invece realizzata una sigillatura con bento-nite. La parte sommitale viene cementata e protetta da un pozzetto.

Comunque sia avvenuta l’installazione del punto di monitoraggio, primadi dare inizio al campionamento è necessario eseguire lo spurgo delletubazioni per eliminare l'aria che vi è contenuta. Nell'effettuare lo spur-go, volume e portata d'aria dovrebbero essere scelte in funzione dellecaratteristiche di permeabilità del terreno. A tale scopo sarebbe beneeseguire delle prove per ottimizzare il volume di spurgo e la portata,variando questi parametri mentre si monitorano i campioni via via rac-colti. Le condizioni ottimali per lo spurgo e il campionamento si ottengo-no quando le concentrazioni di contaminanti si stabilizzano. Da questicontrolli è anche possibile determinare quali portate non inneschino nelsottosuolo fenomeni di “corto circuito” con l'atmosfera (quando ciòaccade si hanno rapide diminuzioni delle concentrazioni di contaminan-te e aumenti delle concentrazioni di gas atmosferici, specialmente ossi-geno).

Lo spurgo può avvenire con pompe da vuoto manuali o meccaniche oanche sfruttando le pompe interne degli strumenti analitici. In quest'ul-timo caso, però, non è possibile scegliere una specifica portata opera-tiva e l'unico parametro che può essere variato è il volume totale estrat-to, funzione del tempo di pompaggio.

Figura 1.9 - Schema di unpunto di monitoraggio perma-nente. Lo spazio anulare trale pareti del foro e il tubo fine-strato viene riempito conmateriale drenante qualeghiaietto o palline di vetro (1)in corrispondenza della fine-stratura in modo da realizza-re una zona di richiamo deigas che al tempo stessoimpedisca alle particelle diterreno di intasarne le fessu-re; al di sopra di questo drenoviene invece realizzata unasigillatura con bentonite (2).La parte sommitale vienecementata e protetta da unpozzetto (3)

Figura 1.10 - Pozzetto di pro-tezione per punto di prelievopermanente

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1.3.4 Prelievo dei campioni di gas del suoloIl campionamento dei gas del suolo può essere eseguito con la stessaapparecchiatura usata per lo spurgo. I campioni prelevati possonoessere analizzati sul posto mediante apparecchi portatili di facile utiliz-zo come i rivelatori di vapori organici totali (fotoionizzatori o ionizzatoria fiamma o a infrarossi), le fiale colorimetriche, oppure mediante piùsofisticati gascromatografi portatili, di utilizzo meno immediato ma cheforniscono determinazioni analitiche molto più precise anche su singolicomposti. Se l'analisi deve essere svolta in laboratorio i campioni di gasvengono conservati in contenitori appositi (in acciaio, vetro o Tedlar)oppure adsorbiti su carboni attivi entro fiale di vetro.

L'applicazione di sistemi meccanizzati tipo direct push per la realizza-zione del foro di sondaggio ha reso assai rapida la fase di installazionedell'apparato di campionamento, rendendo possibile l'acquisizione dinumerosi campioni al giorno. Come conseguenza di questa migliorataefficienza operativa, si è diffusa la pratica di analizzare i campioni diret-tamente sul campo con il duplice scopo di eliminare i problemi dovutiallo stoccaggio e conservazione dei campioni e di avere un ritornoimmediato sulla distribuzione dei contaminanti nell'aria interstiziale.L'analisi chimica dei gas direttamente in campo è possibile grazie alaboratori mobili equipaggiati di gascromatografi da banco attrezzatiall'interno di furgoni o grazie all'uso di strumentazione portatile.

Figura 1.11 - In funzione dellaportata della pompa e dellapermeabilità del suolo, siinstaura una zona di richiamoverso la parte finestrata dellasonda (a). Per portate troppoelevate, ovvero in caso di ele-vata permeabilità dei livelli diterreno più superficiali, l’ariaatmosferica può essererichiamata verso la zona dipompaggio, determinandouna sorta di cortocircuito (b).In questo caso i valori di O2,

ovvero il rapporto O2/N2 ten-

dono ad approssimarsi aquelli atmosferici

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I dati analitici ottenuti dall'indagine sui gas del suolo possono essereutilmente riportati in mappa mediante programmi di calcolo in grado dimostrare la distribuzione areale della contaminazione mediante linee diisoconcentrazione (contouring) che evidenziano le aree di maggior pre-senza di contaminante da cui trarre indicazioni per il posizionamento dipunti di prelievo di terreni e acqua di falda.

Figura 1.12 - Valvola percampionamento gas delsuolo

Figura 1.13 - Campiona-mento attivo dei gas. Alcunistrumenti portatili di misurasono dotati di una pompainterna per l’aspirazione deigas del suolo; in tal caso lostrumento (nella foto un ana-lizzatore per CO2, CH4 e O2)

si collega direttamente al-l’asta cava mediante unatubazione in PE o Teflon

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Gas del suolo

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Figura 1.14 - Fiale colorime-triche per la misura in campodelle concentrazioni di deter-minati composti volatili

Figura 1.15 - Misura incampo dei gas interstizialimediante collegamento diret-to dello strumento portatilealla sonda precedentementeinfissa mediante sistemameccanico

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Gas del suolo

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Figura 1.16 - Il processo dicontouring. A partire dal setoriginale dei dati, caratteriz-zati dalle coordinate latitudi-ne, longitudine e valore misu-rato (in rosso nella figura),viene ricostruita una griglia(gridding) ad ogni nodo dellaquale è assegnato un valoresecondo algoritmi matematici(es. inverso della distanza,inverso del quadrato delladistanza, kriging). A partiredai nuovi valori di griglia sonocostruite le contour lines, checostituiscono un’andamentoipotetico del parametro inesame. Tale rappresentazio-ne infatti è ovviamente in fun-zione della densità di campio-namento e soprattutto del“comportamento” spazialedel parametro ricercato. Seun parametro varia moltoanche in punti di campiona-mento molto vicini, se nonadiacenti (effetto nugget opepita) sarà molto difficileavere una rappresentazionesufficientemente affidabiledella distribuzione spaziale diquel parametro.Analogamente, ai bordi del-l’area indagata i valori asse-gnati alla griglia “soffrono”della mancanza di dati ester-ni all’area stessa; in talesituazione si possono deter-minare distorsioni delle isoli-nee poco rappresentativedella distribuzione spazialedel parametro in studio

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Capitolo 2Suolo

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2.1 Caratteristiche della matriceCon il termine suolo si definisce lo strato superiore della crosta terrestreformato da particelle minerali, materia organica, acqua, aria e organismiviventi. (Comunicazione della Commissione al Consiglio e alParlamento Europeo, al Comitato Economico e Sociale e al Comitatodelle Regioni: Verso una strategia tematica per la protezione del suolo.Bruxelles, 16.4.2002).Capace di sostenere la vita delle piante, il suolo è caratterizzato da unaatmosfera interna, da una flora e da una fauna determinate e da unaparticolare economia dell'acqua. Rappresenta il mezzo di interazionedinamica tra atmosfera, litosfera, idrosfera e biosfera. Si suddivide inorizzonti aventi caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche proprie.

I processi che portano alla formazione del suolo hanno origine con ladegradazione della roccia affiorante. La degradazione meteorica dellerocce rappresenta il fattore principale del primo stadio di formazione diun suolo: essa raggruppa tutti i processi di degradazione chimico-fisicacui sono soggette normalmente le rocce in affioramento e che, come ènoto, variano al variare del clima e della composizione della roccia stes-sa. La temperatura gioca un ruolo fondamentale nei processi di altera-zione fisica attraverso i fenomeni di termoclastismo e di crioclastismo,quest'ultimo più accentuato nelle rocce argillose o a cemento argillosoper la loro facilità ad assorbire e trattenere acqua.

Con il termine sottosuolo si intende comunemente la porzione di terre-no posta al di sotto della “pellicola che risente più direttamente dei pro-cessi di pedogenesi”. Da questa definizione scaturisce che non sempreè possibile individuare un limite netto fra suolo e sottosuolo. Ai fini dellapresente trattazione i due termini non sono differenziati e generalmen-te ci si riferisce al complesso suolo/sottosuolo.

Figura 2.1 - Evoluzione di unsuolo. La progressiva rimo-zione dei minerali solubili, ladisgregazione della roccia,l’accumulo di sostanza orga-nica, la riorganizzazione delleparticelle in aggregati e laridistribuzione dei prodottigrazie all'incessante azionedell'acqua portano alla forma-zione degli orizzonti e delprofilo. (da Lippi D. e De PolisM.R., Modulo 6: Aspetti chi-mico-fisici e biologici dell'am-biente suolo, modificata)

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Suolo

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2.2 Criteri di indagineL'indagine ambientale sul suolo e sottosuolo è mirata alla conoscenzadiretta del loro stato qualitativo tramite l'analisi chimica di campioniappositamente raccolti.

Il raggiungimento di tale scopo avviene attraverso una serie di passag-gi che possono essere riassunti, in estrema sintesi, come segue:

• acquisizione della migliore conoscenza possibile del sito indagatotramite la raccolta di tutte le informazioni disponibili sulle attività pre-senti e passate in esso svolte, sul tipo e quantità delle sostanze chi-miche che tali attività hanno coinvolto e di tutti gli studi riguardantila geologia e l'idrogeologia dell'area indagata

• sintesi dei dati raccolti per la migliore comprensione del possibilestato di contaminazione e per la pianificazione della attività di veri-fica in campo

• scelte operative per giungere ad un esito positivo dell'indagine otti-mizzando tempi e costi

• studio dei risultati ottenuti e conseguenti decisioni.

Nel presente capitolo saranno illustrati i criteri tramite cui selezionare lamigliore modalità operativa tra quelle possibili relativamente alle variefasi d'indagine in campo, mentre si rimanda al capitolo sul Piano dicaratterizzazione (Cap. 9) per un maggior dettaglio sugli altri punti.

Le scelte che sarà necessario fare sulla base delle conoscenze del sitoda indagare riguardano essenzialmente:

• i composti da ricercare• i punti di campionamento• la profondità di campionamento• il metodo di scavo/perforazione

2.2.1 Scelta dei composti da ricercareBasandosi sulle informazioni raccolte circa l'uso del sito da indagare, sideve operare una prima scelta di quali composti chimici ricercare nelgran numero di quelli esistenti. A secondo dei casi tale scelta può esse-re semplice o estremamente complicata. Se, per esempio, l'indagine sisvolge su un sito adibito a discarica di RSU, si dovranno ovviamentericercare tutti quei composti che tipicamente sono presenti nel percola-to di discariche di questo tipo.

Se il sito ospita o ha ospitato un'attività industriale, i composti da ricer-care saranno quelli contenuti nelle materie prime di lavorazione e gli

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Suolo

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eventuali sottoprodotti che da esse si generano, ma anche le sostanzeche possono accidentalmente fuoriuscire da apparecchiature e impian-ti non direttamente coinvolti nella produzione (trattamento acque, cabi-ne elettriche, parchi serbatoi, aree di stoccaggio materie prime, aree distoccaggio prodotti finiti, officine di manutenzione mezzi movimentazio-ne merci, ecc.).

Tanto più dettagliate saranno le informazioni sulle attività condotte insito e le notizie su eventuali incidenti che abbiano disperso sostanzechimiche nelle matrici ambientali, tanto più sarà possibile restringere ilcampo dei composti da ricercare, tenendo presente che, quasi sempre,il costo delle analisi chimiche rappresenta la voce di spesa più consi-stente in un'indagine ambientale.

A parte casi specifici in cui può essere necessario ricercare una sostan-za in particolare, nella maggior parte dei casi la scelta deve essere fattasu famiglie di composti (metalli, idrocarburi totali, idrocarburi policicliciaromatici, alifatici clorurati, fitofarmaci, ecc.) alle quali quasi semprecorrisponde un "pacchetto" analitico offerto dai laboratori chimici.

Figura 2.2 - I composti dacercare nelle diverse matricisono tutti quelli correlati allafonte di contaminazione ipo-tizzata o accertata. Se, peresempio, il sito ospita o haospitato un'attività industriale,i composti da ricercare saran-no tutte le sostanze apparte-nenti a quel ciclo produttivo(materie prime, prodotti, sot-toprodotti, scarti) e agliimpianti accessori (trattamen-to acque, cabine elettriche,serbatoi combustibili)

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2.2.2 Scelta dei punti di campionamentoRisulta indispensabile in fase di pianificazione della campagna di cam-pionamento avere chiaro il quadro della situazione del sottosuolo perubicare sondaggi e campioni laddove si sospetta che un eventuale rila-scio di contaminante possa trovare condizioni favorevoli al suo passag-gio o accumulo.L'ubicazione dei sondaggi nell'area di studio deve basarsi sulla cono-scenza di dati riguardanti:

• l'assetto morfologico, geologico, idrogeologico• la presenza, sia attuale, sia nel passato, di opere, impianti e instal-

lazioni, il loro utilizzo e i loro possibili impatti sull'ambiente• la presenza di percorsi favorevoli alla migrazione dei contaminanti• la presenza di potenziali bersagli della contaminazione.

La conoscenza degli elementi suddetti serve a costruire il cosiddettomodello concettuale preliminare del sito, ossia la raccolta organizzatadelle informazioni che consente una più efficace previsione e localizza-zione delle aree di possibile pericolo, con conseguente ottimizzazionedei tempi e delle risorse impiegate per l'indagine diretta.

Qualora tali informazioni non siano disponibili o sufficienti a pianificareun campionamento specifico per un determinato sito, si usa distribuirei punti di campionamento in modo tale da coprire tutta l'area di studio,focalizzando in un secondo momento l'attenzione laddove i risultati evi-denziano la presenza di aree contaminate. La distribuzione preliminaredei punti può avvenire seguendo diversi criteri:

• sistematico o a griglia, in cui i punti ricadono sui vertici o all'internodelle celle di un reticolo immaginario a maglia quadrata o triangola-re, risultando quindi equispaziati

• casuale, in cui i punti sono disposti liberamente nell'area da investi-gare

Figura 2.3 - Esempi di ubica-zione di punti di campiona-mento:a) e b) Sistematica o a gri-glia: i punti di campionamen-to sono ubicati al centro o aivertici di una maglia ideale erisultano equispaziati; la den-sità di campionamento è di 1campione /cella su tuttal’area;c) Casuale: i punti di campio-namento sono distribuiti acaso e/o in funzione dell’ac-cessibilità dei siti e la distan-za fra due punti è variabile;d) Sistematico-casuale: inogni cella della maglia è ubi-cato un punto di campiona-mento in posizione casuale: ipunti non sono piu equispa-ziati ma la densità di campio-namento (campioni/cella) èuniforme su tutta l’area inda-gata;e) Stratificato: l’area è suddi-visa orizzontalmente e/o ver-ticalmente in sub-aree sullabase di un determinato crite-rio o caratteristica (per es:litologia, grado di permeabili-tà, presenza di pavimenta-zione, tipologia di contami-nanti, operatività dell’area) ead ogni sub-area viene appli-cato il criterio di ubicazionedei punti di campionamentopiù opportuno

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• sistematico-casuale, in cui all'interno di una maglia quadrata o trian-golare le singole celle contengono ciascuna un punto ma in posizio-ne variabile da cella a cella

• stratificato, in cui i punti vengono distribuiti casualmente all'internodi sub-aree individuate col criterio della maggiore omogeneitàrispetto ad un parametro prescelto (ad esempio, stessa litologia ostesso grado di umidità o stessa profondità o stessa sorgente inqui-nante, ecc.).

Giova ricordare che l'analisi dei gas del suolo (vedi Cap. 1) è un utilestrumento conoscitivo in fase di pianificazione della campagna di cam-pionamento.

2.2.3 Scelta della profondità di campionamentoLa scelta della profondità di prelievo lungo la verticale del sondaggiorappresenta un altro punto cruciale nella strategia di campionamento.Infatti, in conseguenza dei fattori sopradetti, è facile riscontrare grossedifferenze di concentrazione di contaminanti anche tra punti vicini postia diverse profondità.

A titolo di esempio è possibile citare le seguenti frequenti situazioni incui la contaminazione varia fortemente con la profondità:

• presenza di strati impermeabili (argilla, limo argilloso) che determi-nano l'accumulo dei contaminanti impedendone la percolazioneverso il basso

• presenza di cavità sotterranee che rappresentano zone di richiamoe accumulo di contaminanti

• presenza di radici, trincee, canalette, tubazioni perdenti che fungo-no da percorsi preferenziali per la migrazione dei contaminanti

• presenza di barriere impermeabili interrate sia verticali (muri, fonda-

Figura 2.4 - Suddivisione delsuolo in base al suo contenu-to di acqua. Dall’alto è possi-bile distinguere una zona dievapotraspirazione, in cui ilgrado di umidità del terreno,assai variabile, è regolatodalle precipitazioni e dall’ef-fetto congiunto dell’evapora-zione e della traspirazionedelle piante. Più in profondità(nella frangia capillare) il con-tenuto di acqua nei pori delsuolo comincia a risentiredella presenza della faldasottostante, attraverso i feno-meni di capillarità. La frangiacapillare ha un andamentovariabile nello spazio e neltempo in funzione rispettiva-mente della granulometria edelle oscillazioni della falda.Sia nella zona di evapotraspi-razione che nella frangiacapillare il terreno è insaturoe il moto dell’acqua al suointerno è prevalentementeverticale (verso il basso pergravità, verso l’alto per risali-ta capillare). Al di sotto dellasuperficie piezometrica l’ac-qua occupa completamente ipori del terreno; nella zonasatura che costituisce la faldapropriamente detta l’acqua simuove per lo più orizzontal-mente

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zioni a nastro) sia orizzontali (platee in cemento armato, pavimen-tazioni)

• presenza di serbatoi o cisterne interrati e relative tubazioni.

Il prelievo di più campioni lungo la stessa verticale consente di definireverticalmente l'estensione della contaminazione e di verificare quantoquesta si sia avvicinata ad una eventuale falda acquifera superficiale.Va infatti tenuto conto della profondità a cui l'acqua è eventualmentepresente nel sottosuolo. A questo riguardo, si usa comunemente suddi-videre concettualmente il sottosuolo in zone sovrapposte denominate,a partire dalla superficie:

• suolo superficiale (top soil)• zona insatura• frangia capillare• zona satura.

Le prime tre sono oggetto di indagine mediante il prelievo di campionidi terreno, mentre nella quarta (vedi Cap. 3) si preferisce in genere pre-levare campioni di acqua, essendo questa la matrice che conferisce allesostanze contaminanti maggiore mobilità e, quindi, pericolosità nei con-fronti di recettori ambientali o umani.

2.2.4 Scelta del metodo di scavo o perforazioneLe indagini sul suolo e sottosuolo che mirano a definirne spazialmentelo stato di contaminazione mediante il prelievo di campioni di terrenosono dette di tipo diretto. Il prelievo dei campioni può riguardare tanto ilsuolo quanto il sottosuolo e richiede pertanto metodi che si adattino alle diverse esigenze dell'indagine.

Nel caso di campionamento di suolo superficiale o subsuperficiale siricorre a metodi di scavo manuale o meccanizzato quali:

• scavo per mezzo di utensili manuali• scavo per mezzo di trivella o carotatore manuale• scavo per mezzo di pala meccanica

Nel caso in cui si debbano invece prelevare campioni in profondità siricorre alla perforazione del terreno. Fra i numerosi metodi di perfora-zione esistenti, si usa fare una prima distinzione fra due grandi famiglie:

• sistemi di perforazione a rotazione• sistemi di perforazione a percussione

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Nei sistemi a rotazione la perforazione viene eseguita per mezzo di unutensile avvitato all'estremità inferiore della batteria di perforazionecostituita da un certo numero di aste pesanti: l'utensile viene sottoposto ad una spinta adeguata e, ruotando sul fondo del foro, consente l'avan-zamento del sondaggio. I detriti di scavo vengono portati alla superficiefacendo circolare nel foro dei fluidi (acqua, miscela acqua-bentonite,aria).

Nei sistemi a percussione la perforazione è ottenuta infiggendo l'uten-sile di scavo nel terreno mediante una massa battente lasciata caderesulla sommità della batteria d'aste oppure viene effettuata alzando efacendo cadere ripetutamente un attrezzo perforante pesante sul terre-no.

Non tutti i metodi di perforazione comunemente utilizzati nei settori geo-tecnico, edile, di ricerca idrica o petrolifera sono adatti allo studioambientale dei terreni e delle acque di falda. Infatti, come nel caso delloscavo superficiale, l'obiettivo principale della perforazione è quello di

Figura 2.5 - Scavo realizzatocon pala meccanica.Consente di prelevare cam-pioni fino a circa 3 m di pro-fondità, di osservare lasequenza litologica sullepareti dello scavo stesso e diverificare la presenza di unafalda superficiale. Il terrenoportato in superficie con lapala meccanica deve essereselezionato per eliminare tuttii corpi estranei alla matrice

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ricostruire la stratigrafia locale e di prelevare campioni di terreno rap-presentativi dello stato qualitativo di quella matrice.

Qualsiasi tecnica di perforazione adottata deve rispettare le seguenticondizioni:

• la perforazione deve essere eseguita in maniera tale da preservarele proprietà naturali del sottosuolo

• durante la perforazione devono essere evitate le contaminazionidelle acque e delle formazioni litologiche costituenti l'acquifero

• il metodo di perforazione utilizzato deve consentire la raccolta dicampioni rappresentativi di roccia, materiali sciolti e suolo.

La scelta del metodo di perforazione da adottare nella realizzazione disondaggi ambientali dipende sostanzialmente dai seguenti fattori:

• geologia ed idrogeologia del sito• versatilità del metodo di perforazione• costo della perforazione• natura dei campioni da estrarre (suolo, materiali sciolti, roccia)• disponibilità di attrezzatura necessaria per la perforazione• accessibilità del sito su cui effettuare le perforazioni• capacità della tecnologia di perforazione di preservare le condizioni

naturali.

Ove possibile, le tecniche di perforazione utilizzate non dovrebberorichiedere l'utilizzo di acqua o di altri fluidi per evitare di introdurre nel

Figura 2.6 - Quando non èpossibile operare a secco, laperforazione può essere age-volata mediante l’uso diacqua di qualità nota (megliose potabile). Tutta l’acquarisultante dalle operazioni diperforazione e alesaggio delforo di sondaggio deve esse-re raccolta in appositevasche, analizzata e, all’oc-correnza, trattata adeguata-mente prima dello scarico

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foro sostanze estranee al terreno e/o di veicolare altrove l'eventualecontaminazione del terreno stesso (fenomeno spesso indicato col ter-mine anglosassone di cross-contamination, ovvero contaminazioneincrociata).

Tuttavia, quando l'utilizzo di fluidi di perforazione risulta inevitabile,come ad esempio nella perforazione di pavimentazioni in asfalto ocemento o di strati di roccia litoide, questi dovrebbero provocare il minorimpatto possibile sulla qualità dei campioni successivamente prelevati.Quasi sempre si ricorre all'acqua, possibilmente potabile o di qualitànota, approvvigionata direttamente dalla rete o grazie a cisterne. Amaggiore garanzia di qualità è buona regola far analizzare in laborato-rio un campione dell'acqua che verrà usata durante il lavoro.Tra i metodi di perforazione esistenti, quelli generalmente utilizzati nelcampo della geologia ambientale sono:

• carotaggio continuo (rotazione)• direct push (percussione).

Quando l'esigenza primaria non sia quella del campionamento del ter-reno né della ricostruzione della stratigrafia, ma quella di installarepozzi di grande profondità e diametro o piezometri in grande quantità,ai metodi suddetti vengono preferiti metodi di perforazione che, sacrifi-cando il materiale scavato, risultano più veloci nell'avanzamento delforo e sono chiamati per questo "a distruzione di nucleo".

Figura 2.7 - Carotiere sempli-ce (a sinistra) e batteria diaste cave di perforazione

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Tra questi metodi, che come detto non si utilizzano a scopo di campio-namento e possono fornire solo una sommaria ricostruzione dellasequenza litologica attraversata, citiamo la:

• percussione a cavo.

Nel seguito vengono sinteticamente descritti i metodi e le operazioni dasvolgere in cantiere durante le attività di perforazione.

Sistemi a carotaggio continuoLa perforazione a carotaggio continuo è un metodo di perforazione arotazione di aste cave in cui l'utensile di scavo è un carotiere, ovvero untubo munito al fondo di una scarpa tagliente (corona). Le dimensioni deicarotieri variano a seconda delle esigenze del lavoro ma normalmenteil diametro è di 101 mm. Lo scavo realizzato ha sezione anulare e ilcilindro centrale di terreno o roccia, detto carota, rimane intatta. Lecorone possono essere di vario tipo: a diamante, al widia, a granaglia,a denti.Come fluido di perforazione si può usare l'acqua o il fango, a secondadel tipo di terreno da attraversare e che si utilizzi o meno una tubazio-ne di rivestimento provvisorio. In genere viene utilizzata acqua chiarama, se il terreno è a granulometria fine, si può operare a secco.Si possono utilizzare carotieri semplici o doppi: nel primo caso la caro-ta di terreno viene dilavata dall'acqua di circolazione, nel secondo casociò non avviene perché l'acqua circola nell'intercapedine tra le paretiesterne ed interne del carotiere.Se la perforazione avanza in terreni coerenti o lapidei è possibile ope-rare senza rivestire il foro, ossia eseguendo la perforazione con il caro-tiere ed eventualmente allargando il foro (alesaggio) fino al diametrodesiderato mediante tubazioni di diametro maggiore.

Figura 2.8 - Particolare dicorona con denti al widia(carburo di tungsteno) monta-ta su carotiere semplice daldiametro di 101 mm

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Se, al contrario, i terreni sono incoerenti, è necessario proteggere lepareti del foro da crolli utilizzando un rivestimento costituito da tubi inacciaio con estremità filettate da montare in sequenza fino alla profon-dità del fondo foro.

Tale metodo presenta i seguenti vantaggi:

• si estraggono campioni di terreno ben rappresentativi della strati-grafia locale

• si può localizzare con precisione la quota del livello d'acqua e levarie falde, ove presenti

• è possibile prelevare campioni d'acqua a diverse quote, poiché latubazione di rivestimento sigilla le falde più superficiali

• se si opera a secco, il campione di terreno non viene alterato o dila-vato dal fluido di perforazione

• alcuni operatori lavorano da anni solo nel settore delle perforazioniambientali ed hanno acquisito una buona conoscenza delle criticitàlegate a questo tipo di lavorazioni.

Per contro, il metodo presenta anche i seguenti svantaggi:

• in presenza di inquinanti fortemente volatili e se si opera a grandevelocità di rotazione, c'è il pericolo che questi volatilizzino a causadel surriscaldamento della carota di terreno

• non è possibile operare con grandi diametri (>178 mm)• senza l'adozione di alcuni accorgimenti, non è possibile isolare

idraulicamente gli strati superficiali

Figura 2.9 - Estrazione asecco da un carotiere sempli-ce. Una volta estratto dal forodi sondaggio, il carotiereviene percosso con un mar-tello mentre è tenuto sospesoin verticale dalla fune dimanovra della trivella e lacarota, cadendo per effettodella gravità, viene raccolta inun alloggiamento concavoprima di essere adagiatanella cassetta catalogatrice

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• non sempre, per inesperienza o esperienza troppo generica nelcampo delle perforazioni, gli operatori hanno sviluppato sufficienteconsapevolezza delle corrette modalità di lavoro in campo ambien-tale e richiedono perciò un attento e assiduo controllo in tutte le fasidel lavoro.

Sistemi direct pushTali sistemi utilizzano una strumentazione a percussione in cui l'avan-zamento avviene a secco e consente il campionamento di terreno, gasinterstiziale e acqua di falda. Il principio di funzionamento consiste in unmartello battente che spinge in profondità una batteria di aste recanti alfondo un campionatore per la matrice di interesse. Talvolta il martellobattente è sostituito da un sistema oleodinamico che fornisce una spin-ta statica alla batteria di aste. Nel caso di terreni il recupero della caro-ta dipende dal tipo di campionatore: in quelli di tipo chiuso la carotaviene espulsa dalla base del campionatore tramite un pistone, in quellidi tipo aperto la carota viene estratta lateralmente attraverso una aper-tura longitudinale. Quando il diametro della perforazione è <2" (50,8mm) è possibile utilizzare un carotiere al cui interno è posta una fustel-la in materiale plastico trasparente; in questo modo il campione, rac-chiuso entro la fustella, non entra in contatto con le pareti interne delcampionatore né con l'atmosfera e può essere ispezionato visivamen-te. Inoltre, la fustella può essere sigillata alle estremità con tappi e tra-sferita ad un laboratorio analitico oppure essere tagliata per estrarre ilcampione alla profondità desiderata.

I vantaggi dei metodi direct push consistono in:

• qualità del campione prelevato

Figura 2.10 - Carotaggiomediante infissione a percus-sione di carotiere. Un allesti-mento come quello in figuraconsente di spostarsi agil-mente da una postazioneall'altra e di raggiungerepostazioni in spazi moltoristretti o di difficile accessibi-lità (ad es. all'interno dei baci-ni di contenimento dei serba-toi o all’interno di edifici). Ilcarotiere utilizzato con questisistemi può essere del tipofinestrato o con fustella

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• buona ricostruibilità della sequenza litologica• rapidità di esecuzione del sondaggio• costi ridotti• facilità di raggiungere postazioni in aree ristrette grazie al modesto

ingombro dei macchinari• operatori qualificati, ben equipaggiati e con conoscenza diretta delle

criticità ambientali legate alla perforazione ed al campionamento.

Gli svantaggi sono individuabili in:

• scarsa riproducibilità del campione• impossibilità di perforare a profondità > 20-30 m• impossibilità di perforare con diametri > 2"• scarsa quantità di campione prelevabile dalla carota di terreno• difficoltà ad operare in terreni molto consistenti o con presenza di

ciottoli lapidei.

Percussione a cavoIl sistema trova applicazione soprattutto per la costruzione di pozzi di uncerto diametro (> 8") e a grande profondità. Un utensile tagliente digrosso peso viene sollevato mediante una fune d'acciaio manovrata daun argano a frizione e lasciato cadere ripetutamente nel punto da per-forare. Ad intervalli regolari si provvede alla rimozione del materiale discavo tramite un raccoglitore cilindrico dotato di una valvola di fondo,anch'esso manovrato dall'argano.

Figura 2.11 - I sistemi directpush, grazie alle ridottedimensioni dell’apparecchia-tura, possono operare age-volmente all’interno di edifici

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Alcuni utensili assolvono nel contempo alla funzione di scavo e raccol-ta dei detriti essendo muniti, all'estremità inferiore, di un sistema di lamemobili che sono in posizione di taglio durante la caduta libera dell'uten-sile mentre si richiudono durante la risalita per impedire il deflusso delmateriale prima dello scarico. Anche in questo caso è possibile opera-re con o senza rivestimento, a seconda del tipo di materiali attraversa-ti.

Tale metodo presenta i seguenti vantaggi:

• è possibile operare con grandi diametri (> 178 mm) e a grandi pro-fondità

• è sempre possibile operare "a secco"• si può localizzare con precisione la quota del livello d'acqua e le

varie falde, ove presenti.

Per contro, il metodo presenta anche i seguenti svantaggi:

Figura 2.13 - Sonda a percussioneFigura 2.12 - Sistema di percussione a cavo. Nella foto èvisibile la sonda all’atto dell’immissione nel tubo di rivesti-mento (L = 6 m, Φ = 1 m). Quest’ultimo è manovrato dauna gigantesca morsa detta giratubi che, con lenti movi-menti semicircolari alternati, ne provoca l’avanzamento nelterreno di pari passo con l’azione di scavo della sonda

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• non è possibile una ricostruzione esatta della stratigrafia a causadel rimescolamento del terreno estratto

• non è possibile prelevare campioni di terreno indisturbati e rappre-sentativi

• le macchine operatrici hanno un ingombro molto superiore alle tri-velle a rotazione

• gli operatori provengono quasi sempre dal settore della ricerca idri-ca e non sono sufficientemente edotti sulle procedure di perforazio-ne in campo ambientale.

Figura 2.14 - Trivella sugomma al lavoro al di sotto diun “rack” con servizi aerei

Figura 2.15 - Trivella montatasu cingoli

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2.2.5 Rilievi ed analisi di campoUna volta che sia stata decisa l'ubicazione di massima dei sondaggisulla base degli scopi dell'indagine e della conoscenza dell'area inda-gata, è necessario ispezionare in campo ogni singola postazione perverificare che sussistano le condizioni di agibilità in relazione al dispo-sitivo di perforazione prescelto e di sicurezza degli operatori e degliimpianti prima di procedere con le perforazioni.

Per prima cosa si dovrà controllare l'accessibilità delle postazioni: lamacchina perforatrice, detta trivella, può avere ingombri anche conside-revoli a seconda del tipo di perforazione che deve eseguire e della tipo-logia di terreni presenti. Tali macchine possono essere cingolate o gom-mate: le prime sono da preferire in aree non pavimentate o il cui fondosia irregolare ed accidentato ma risultano lente negli spostamenti e rovi-nano il fondo su cui si muovono; le seconde, più agili e veloci negli spo-stamenti da una postazione all'altra, non rovinano le aree asfaltate opavimentate (ad es. all'interno di stabilimenti) ma, non potendo ruotaresu se stesse come le cingolate, necessitano di spazi di manovra piùampi. Oltre all'ingombro della trivella si deve poi considerare quellodella attrezzatura di perforazione (batteria di aste, carotieri, cassettecatalogatrici, ecc.) e lo spazio necessario agli operatori per effettuare lemanovre di assemblaggio e disassemblaggio della batteria di aste e diestrazione della carota dal carotiere.

Una volta posizionata, la trivella in assetto da lavoro ha anche uningombro verticale di cui si deve tener conto qualora nei pressi dellapostazione vi siano linee di servizi aeree. Le trivelle normalmente usateper perforazioni fino a 50-60 m di profondità con diametro di 152-168mm hanno un'altezza di 4-6 m.Stabilito che la postazione garantisce accessibilità e manovrabilità allasquadra di lavoro per operare in sicurezza, occorre assicurarsi che ilsottosuolo lungo la verticale del punto prescelto sia libero da serviziinterrati (linee elettriche, del gas, dell'acqua, fognature). Questo puntoè cruciale per la sicurezza dei lavoratori e per non provocare danni allelinee e interruzioni nella fornitura dei servizi. Il primo passo da compie-re è la consultazione, ove possibile, delle mappe dei sottoservizi, tenen-do però conto che spesso queste non vengono aggiornate di pari passocon le modifiche apportate nel corso del tempo. Il grado di attendibilitàdelle mappe dovrebbe perciò sempre essere verificato con personaledel sito in cui si svolge l'indagine durante una apposita ricognizione ditutte le postazioni. Infine, prima di stabilire con precisione il punto in cuioperare, è assolutamente consigliabile un'indagine con cercaservizi.

Figura 2.16 - Cercaservizi.Manovrato in superficie dal-l'operatore, consente di rile-vare la presenza di conduttu-re metalliche e cavi elettriciinterrati

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Il cercaservizi è un apparecchio in grado di segnalare la presenza nelsottosuolo di cavi elettrici e tubazioni metalliche mediante allarmi sono-ri e visivi. Dotato di un apparato trasmittente e di uno ricevente, il cer-caservizi può operare in maniera passiva, rilevando il campo elettroma-gnetico prodotto da un cavo elettrico in tensione, o in maniera attiva,fornendo tensione ad un cavo disalimentato o ad una tubazione metal-lica e rilevando il campo indotto. La massima profondità di investigazio-ne consentita non supera i 2 m ed è poco influenzata dal tipo di terreni,mentre rappresentano fonte di disturbo del segnale le reti elettrosalda-te, gli elettrodotti e le linee ad alta tensione.

Quando all'incognita dei sottoservizi si aggiunge la possibile presenzadi cavità sotterranee o di corpi interrati di dimensioni ignote, è opportu-no affiancare al cercaservizi una indagine con il georadar, uno strumen-to che, attraverso l'utilizzo di onde elettromagnetiche, consente la defi-nizione delle caratteristiche strutturali del mezzo indagato. In particola-

Figura 2.17 - Schema di uti-lizzo del cercaservizi. Ognipostazione va indagata effet-tuando un percorso chesegua una ideale griglia

Figura 2.18 - Esecuzione diun’indagine del suolo tramitegeoradar. I dati acquisiti dal-l’antenna (in rosso) vengonotrasmessi ad un computerche provvede all’elaborazio-ne e alla restituzione graficain forma di sezione verticale(profilo georadar)

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re, è possibile identificare interfacce tra diversi materiali, determinandoanche variazioni dei parametri legati a fattori fisici quali grado di com-pattazione e umidità. L'apparecchiatura è composta di un'antenna cheviene trascinata sul terreno lungo transetti fra loro perpendicolari chedefiniscono una griglia regolare e da un monitor che visualizza il profilogeoradar lungo ciascun transetto.

Talvolta, quando non è possibile escludere con sufficiente sicurezza lapresenza di sottoservizi o corpi interrati con l'ausilio di mappe o sistemiindiretti, si ricorre al prescavo manuale o, con le dovute cautele, ad unprescavo con l'ausilio di piccoli mezzi meccanici.

Figura 2.19 - Profilo geora-dar. Consente di individuarele caratteristiche del mezzoindagato tramite l'interpreta-zione del modo in cui vengo-no riflesse le onde elettroma-gnetiche generate da un'ap-posita antenna fatta avanzaresulla superficie del terrenolungo direzioni perpendicolarifra loro. E' possibile indivi-duare passaggi litologici, pre-senza di acqua di falda, corpimetallici interrati o abbanca-menti di materiali inerti discarto

Figura 2.20 - Linee di serviziinterrate. La loro presenzanel sottosuolo di siti industria-li deve essere accertataprima che abbiano inizio leperforazioni.I sottoservizi più comuni sonorappresentati da cavidotti,oleodotti, gasdotti, acquedot-ti, reti fognarie

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Durante lo svolgimento delle perforazioni necessarie per prelevare icampioni di terreno idonei alla definizione dello stato ambientale diquella matrice, è necessario svolgere una serie di attività parallele il cuiscopo è quello di fornire conoscenze aggiuntive a quelle che verrannofornite dall'analisi chimica dei campioni stessi.

Tali attività sono essenzialmente:

• redazione di log stratigrafici• screening dei composti volatili• campionamento per analisi granulometrica• rilievo topografico.

I log stratigrafici sono la registrazione su carta della successione litolo-gica incontrata durante la perforazione. Essi vengono redatti di normasu appositi moduli in cui le informazioni vengono inserite dal geologo dicampo. Trattandosi di un documento che costituisce la memoria visivadell'intera attività di perforazione, esso deve contenere informazionidettagliate e complete.Le informazioni che non devono mancare per ciascuna perforazionesono:

• nome e/o codice del progetto/lavoro• nome della ditta di perforazione• ubicazione del sondaggio (coordinate o schema semplificato del

luogo) con assegnazione di un nome o codice identificativo• data di inizio e ultimazione• metodo di perforazione e tipo di avanzamento (a secco, ad acqua,

con fango, ecc.)• profondità e diametro di perforazione, diametro finale del foro• sequenza litologica incontrata con descrizione delle caratteristiche

(granulometria, colore, umidità, presenza di materiale organico,ecc.)

• proprietà organolettiche del terreno e evidenze di sostanze inqui-nanti

• presenza e profondità della falda acquifera, rapporti idraulici tra levarie litologie e individuazione delle unità idrogeologiche

• profondità di esecuzione di prove idrauliche in foro• profondità di ubicazione dei punti di screening sui gas interstiziali• profondità di prelievo dei campioni per analisi granulometriche• profondità di prelievo dei campioni per analisi chimiche di laborato-

rio.

A queste si aggiungono tutte le informazioni che caso per caso sono

Figura 2.21 - (Pagina succes-siva): Il log stratigrafico, ostratigrafia, consente di tene-re traccia di tutte le attività edi tutte le informazioni impor-tanti che riguardano una per-forazione. Non segue unoschema rigido ma deve adat-tarsi alla tipologia di lavoroche si esegue di volta involta. Nel caso in cui alla per-forazione segua l'installazio-ne di un pozzo o piezometro,una sezione deve esserededicata alle informazioniriguardanti le caratteristichetecniche di questi

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ritenute utili per meglio descrivere le attività condotte. I log stratigraficisono redatti via via che le carote di terreno vengono estratte dal caro-tiere e adagiate in apposite cassette catalogatrici rispettando la sequen-za originaria. L'esame della carota deve avvenire in tempi brevi, affin-ché siano valutabili correttamente elementi di grande importanza comegrado di umidità, presenza di odori sospetti, ecc. E' buona prassi corre-dare i log stratigrafici di fotografie delle carote di terreno.

Lo screening dei composti volatili viene eseguito dal geologo di camposu campioni di terreno estratti dalla carota ad intervalli regolari di pro-fondità (in genere ogni 50-100 cm). In questa maniera è possibile rico-struire un profilo verticale della presenza di composti volatili la cui valu-tazione è, insieme ad altri, criterio di selezione dei punti da cui preleva-

re i campioni destinati all'analisi chimica di laboratorio. Lo strumentocomunemente utilizzato per lo screening di campo è un fotoionizzatoreportatile (comunemente detto PID - PhotoIonization Detector) in gradodi individuare un gran numero di composti organici volatili (COV).

Attraverso un tubicino posto sull'estremità dello strumento, una pompaaspira il gas e lo trasporta in una camera interna allo strumento nellaquale è situata una lampada a raggi UV che emette fotoni. Questi col-piscono il gas provocando l'allontanamento di elettroni e trasformandocosì le molecole in ioni carichi positivamente. Gli ioni, immersi nelcampo elettrico generato dagli elettrodi di una batteria, creano una cor-rente che viene misurata e rapportata alla concentrazione dell'inquinan-

Figura 2.22 - Cassetta catalo-gatrice con carota di terreno.Può essere di legno o mate-riale plastico e serve a riporrela carota per tutto il temponecessario al geologo dicampo per effettuare il prelie-vo di campioni di terreno ogas interstiziali, l'analisi delleproprietà organolettiche, levalutazioni sul tipo di granulo-metria e grado di umidità e,da ultimo, le foto. Le cassettedevono recare, oltre al codicedel sondaggio di provenien-za, l'indicazione dell'intervallodi profondità carotato (ad es.da 0 a 4 m) e, possibilmente,delle profondità parziali diciascuno spezzone di carotacontenuto. Nel caso nonvenga espressamente richie-sto di conservare la carota,questa può essere impiegataper riempire il foro di sondag-gio o smaltita secondo quan-to previsto dalle norme

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te presente nell'aria aspirata. Sulla base del principio descritto, il PIDriesce a rilevare solo le molecole di quei composti che hanno un poten-ziale di ionizzazione inferiore al valore della lampada montata sullo stru-mento. È per questo motivo che, in alcuni strumenti disponibili in com-mercio, è possibile montare lampade con differenti energie di ionizza-zione (in genere 9,8-10,6-11,7 eV).

La calibrazione dello strumento viene effettuata fissando due concen-trazioni note. Per l'utilizzo dello strumento nell'ambito di indaginiambientali, la calibrazione di "zero" viene fatta facendo aspirare ariaatmosferica, avendo cura di posizionarsi lontano da potenziali centri diemissione di contaminanti. Per utilizzi che necessitano di una calibra-zione di zero estremamente puro è possibile utilizzare un fiala a carbo-ni attivi da montare in testa allo strumento in modo che l'aria possaessere depurata da eventuali contaminanti.Una volta fissato lo zero, il secondo punto della retta di calibrazione siottiene mediante un apposito standard detto span gas (generalmenteisobutiliene al 100%). La soluzione migliore per questa operazione pre-vede che il PID sia collegato ad un sacchetto in Tedlar riempito con ilgas di calibrazione e lasciando che il gas venga aspirato direttamentedallo strumento.

Sebbene un PID non possa effettuare misure dirette nelle matrici suoloe acqua, può misurare indirettamente i vapori emessi da queste. E'infatti provato che esiste una correlazione lineare tra la risposta del PIDe la concentrazione nel suolo di composti aromatici o clorurati.

Figura 2.23 - Fotoionizzatoreportatile (PID). La dotazionedello strumento è compostada filtri per trattenere l’umiditàe le polveri e da bombolettadi gas (in genere isobutilene)per la taratura dello strumen-to

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La concentrazione in fase gassosa, misurata dal PID in parti per milio-ne (ppm), non è uguale alla concentrazione nel terreno o in acqua misu-rata, rispettivamente, in mg/kg o mg/l. La concentrazione nella fasegassosa dipende da diversi fattori quali il rapporto volumetrico tra terre-no e spazio occupato dalla fase gassosa, la permeabilità del suolo, latemperatura, il tempo necessario all'equilibrio tra le fasi e la diluizioneoperata durante la misura. E' perciò necessario che questi fattori sianostrettamente controllati se si vuole ottenere una misura quantitativadella concentrazione di COV nel terreno o in acqua.

Il metodo utilizzato per eseguire la misura delle concentrazioni di COVè detto analisi dello spazio di testa (head space analysis). Esso preve-de che un campione di terreno o acqua venga posto in un recipientefino ad occuparne circa la metà del volume, lasciando sufficiente aria(lo spazio di testa) sopra al campione stesso. La bocca del recipienteviene chiusa con un foglio di alluminio tenuto fermo da un elastico. Ilrecipiente ed il suo contenuto vengono portati a temperatura ambienteed agitati per mescolare il campione con l'aria dello spazio di testa. Lacannula di aspirazione del PID viene quindi inserita nel recipiente attra-verso il foglio di alluminio per consentire la misura dei COV nello spa-zio di testa.

Per facilitare le operazioni in campo, la stessa procedura può essereseguita usando una busta di plastica invece del recipiente ma in questocaso, essendo il volume dello spazio di testa meno riproducibile, i risul-tati ottenuti non sono altrettanto affidabili dal punto di vista quantitativo.

Un sistema più rapido, ma certamente meno rigoroso, consiste nellamisura dei COV direttamente dalla carota di terreno dopo averne rimos-so la parte esterna.

Figura 2.24 - Analisi dellospazio di testa in campo.Appena prelevato, il terreno èmesso in una busta di plasti-ca. Trascorso qualche minu-to, la cannula di aspirazionedel PID viene inserita nellabusta consentendo di effet-tuare una misura “semiquan-titativa” dei COV rilasciati dalterreno nello spazio di testa

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Benché il PID sia in grado di rilevare la presenza di un gran numero diCOV, esso non consente di determinare quali siano effettivamente pre-senti nel terreno ma fornisce una misura della concentrazione totale deiCOV presenti.

2.2.6 Prelievo dei campioni per analisi granulometricaL'analisi granulometrica determina la composizione dimensionale deiterreni campionati, con la ripartizione in peso dei granuli secondo deter-minate classi dimensionali. Viene eseguita mediante vagliatura o sedi-mentazione di un campione rappresentativo del terreno.

Il metodo della vagliatura consiste nella determinazione della distribu-zione granulometrica di un campione di terreno trattenuto al setaccioASTM n° 200. L'espressione in percentuale del peso delle singole fra-zioni trattenute dai diversi setacci rispetto al peso totale del campionevagliato consente di tracciare su un grafico la curva, detta curva gra-nulometrica, che rappresenta la composizione granulometrica di ognisingolo aggregato. La forma della curva granulometrica riportata suopportuni diagrammi fornisce informazioni su classazione, uniformità ecaratteristiche di permeabilità dei depositi analizzati.

Il metodo della sedimentazione consiste nella determinazione delladistribuzione granulometrica della frazione di terreno passante al setac-cio ASTM n° 200.

Figura 2.25 - Misura dei COVsu una carota di terrenomediante PID.La misura deve essere ese-guita appena la carota vieneestratta per limitare la perditadelle sostanze più volatili

Tabella 2.2 - Corrispondenzatra mesh (numero di maglieper pollice lineare nella codi-fica ASTM) e dimensionedelle maglie espresse in mm(codifica ISO)

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L’analisi granulometrica per sedimentazione dovrà essere condotta effettuando letture della densità e della temperatura di una sospensio-ne, preparata con 50 g di materiale passante al setaccio ASTM n° 200,125 ml di soluzione disperdente e acqua distillata fino ad ottenere unvolume pari a 1000 ml, dopo 1’, 2’, 4’, 8’, 15’, 30’, 60’, 120’, 240’, 480’e 1440’ dal termine dell’agitazione preliminare; l’analisi potrà conside-rarsi conclusa solo quando le densità della sospensione sono prossimea quella dell’acqua pura (circa 48 ore per i terreni francamente argillo-si). Le letture di densità saranno effettuate con densimetro calibrato.

Figura 2.27 - L’analisi granu-lometrica delle frazioni di ter-reno minori di 0,075 mm èeffettuata per sedimentazio-ne (metodo aerometrico). Ilpassante al setaccio più pic-colo è mescolato in acqua,ottenendo una sospensioneche viene lasciata decantare.Misurando di tanto in tanto ladensità della sospensione(con l’aerometro, in figura) enota la legge di Stokes chedetermina la velocità di sedi-mentazione in funzione deldiametro della particella, siottiene il diametro delle parti-celle ancora in sospensione equndi la ricostruzione dellacurva granulometrica dei fini

Figura 2.26 - Setacci utilizza-ti per la determinazione dellacurva granulometrica delcampione. I setacci vengonoimpilati in ordine decrescente(le maglie più larghe sopra,quelle più strette verso ilbasso) e sistemate su unapiastra vibrante. Il terrenoviene quindi suddiviso nellediverse frazioni e pesato. Ilrapporto fra peso dell’aliquo-ta di terreno trattenuto in ognisetaccio e il peso totale delcampione, espresso in per-centuale viene riportato sullacurva granulometrica

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Figura 2.28 - Esempio dicurva granulometrica. Dallacurva si evince la percentua-le delle componenti argillose,limose, sabbiose, ciottoloseche costituiscono il campionedi suolo o di sedimento.Questi parametri sono impor-tanti perche sono indicatori diproprietà complessive del ter-reno quale permeabilità,compressibilità

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I risultati delle analisi granulometriche sono utili per la taratura delleinformazioni acquisite nel corso dei sondaggi e permettono di ricostrui-re con maggiore precisione il modello geologico e idrogeologico delsito.

2.3 Tecniche di campionamentoIl campione deve rappresentare la matrice da cui proviene in modo taleda poter offrire, mediante l'analisi chimica, un quadro esaustivo dellostato qualitativo di quest'ultima. Tuttavia, la natura prevalentemente nonuniforme dei terreni rende difficile estendere le caratteristiche chimichee fisiche di un singolo campione ad una porzione estesa della matricedi provenienza. Al contrario, ogni campione è rappresentativo esclusi-vamente di una porzione di terreno nell'intorno del punto di prelievo lecui dimensioni dipendono da molteplici fattori quali la dimensione deigranuli di terreno, la loro natura, le discontinuità stratigrafiche laterali everticali, l'omogeneità e l'isotropia della matrice, la presenza di acqua(grado di saturazione), la natura e concentrazione di eventuali contami-nanti, le discontinuità dovute a presenza di elementi estranei al terreno,sia naturali (resti vegetali, apparati radicali attivi) sia antropici (abban-camenti di materiali di riporto, interramenti di materiali di scarto o rifiuti,fondazioni, linee di servizio), ecc.

Da quanto detto appare chiaro che l'efficacia di un campionamentodipende strettamente dalla quantità di campioni prelevati: maggiore ilnumero dei campioni, maggiore la sua rappresentatività.

I campioni di terreno possono essere puntuali o compositi:

• i campioni puntuali provengono da singoli prelievi, ogni aliquota diterreno, cioè, rappresenta un campione

• i campioni compositi sono costituiti da due o più aliquote di terrenoprovenienti da punti diversi che vengono miscelate a formare ununico campione.

Affinché un campione, specialmente se composito, non presenti essostesso una distribuzione non uniforme delle sue caratteristiche è neces-sario omogeneizzarlo. L'omogeneizzazione si realizza tramite rimesco-lamento, avendo cura di evitare che il campione entri in contatto conmateriali contaminati.

L'omogeneizzazione si rende indispensabile quando da un determinatoquantitativo di terreno si devono ricavare più campioni (duplicati di con-trollo, campioni per analisi in contraddittorio, campioni di riserva).

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Nel caso di campioni da prelevare in superficie si ricorre alla raccoltadel terreno mediante spatola o paletta metallica. Il campionamentosuperficiale si attua soprattutto quando si cercano sostanze poco misci-bili in acqua (ad esempio diossine e PCB) che, se rilasciate sulla super-ficie del suolo, hanno scarsa tendenza a penetrarvi come soluzioneacquosa. Anche la presenza di suolo argilloso favorisce il permaneredei contaminanti sulla superficie.

Nel caso di campioni profondi provenienti da carota si dovrà primarimuovere la parte esterna della carota stessa, che è quella che hasubito le maggiori alterazioni dovute al contatto con il carotiere, quindiprelevarne il nucleo avendo cura di eliminare tutto il materiale estraneoal terreno e la sua parte più grossolana. L'operazione va eseguita conspatola metallica.

Discorso a parte meritano i composti volatili. Già in fase di esecuzionedel sondaggio, come detto in precedenza, si deve prestare attenzionea non surriscaldare la carota di terreno per evitare che tali compostivolatilizzino a causa dell’aumento di temperatura. In questo senso èpreferibile adottare tecniche di perforazione tipo direct push piuttostoche il carotaggio a rotazione.

Anche in fase di campionamento i COV richiedono particolari attenzio-ni. Il campione dovrà essere prelevato immediatamente dopo l’estrazio-ne della carota e non dovrà subire procedimenti di omogeneizzazioneo quartatura, pena la dispersione dei composti volatili. Lo stesso prelie-

Figura 2.29 - Campiona-mento con utensili manuali. Ilterreno superficiale, spessoindicato come top soil, vieneprelevato mediante palette ospatole e posto nel campio-natore. Talvolta può esserenecessario rimuovere lo stra-to più superficiale qualoraquesto sia costituito da ele-menti estranei alla matrice(vegetazione, sassi, materialidi scarto, ecc.)

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vo e conservazione richiedono particolare cura. Per il prelievo dallacarota si utilizzano degli appositi campionatori somiglianti ad una sirin-ga: sono infatti costituiti da un cilindro metallico con un’estremità aper-ta che viene inserita nella carota di terreno e l’altra estremità dotata diuno stantuffo per l’estrazione del campione direttamente nel contenito-re di conservazione. Questo è di regola costituito da una piccola fiala(vial) dotata di tappo ermetico da sigillare con apposita pinza.

Figura 2.30 - Prelievo di ter-reno per analisi di COV.Si utilizza una “siringa” metal-lica che viene infissa nellacarota di terreno per preleva-re il campione. L’espulsionedi quest’ultimo avviene permezzo dello stantuffo dellasiringa direttamente nel con-tenitore di vetro (vial)

Figura 2.31 - Chiusura di unavial con tappo ermetico. Iltappo è costituito da un settoin gomma che assicura latenuta dei gas e da un corpometallico che viene bloccatosulla testa della fiala. L’opera-zione viene eseguita permezzo di un’apposita pinza

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2.4 Chiusura delle attività di cantiereAl termine delle operazioni di perforazione e campionamento sarànecessario ritombare i fori di sondaggio per garantire le condizioni disicurezza del piano di calpestio e, soprattutto, per impedire che il foropossa costituire un accesso diretto al sottosuolo e alla falda acquiferaper eventuali contaminanti superficiali o materiali estranei.Per il ritombamento potrà essere utilizzato il terreno precedentementescavato a patto che questo non abbia subito contaminazione durante leoperazioni di perforazione o durante la sua permanenza in superficie.Nel caso contrario si dovrà provvedere con terreno non contaminato diprovenienza nota.L’ultimo tratto del foro sarà sigillato con bentonite mentre in superficieverrà ricostituita la pavimentazione originaria (asfalto, cemento, tappe-to erboso o altro).

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Capitolo 3Acque sotterranee

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3.1 Caratteristiche della matriceSi intende per acquifero una formazione o gruppo di formazioni costitui-te da roccia e/o terreno sciolto i cui vuoti all'interno della matrice solidasono saturati da acqua in grado di muoversi in funzione della permea-bilità dell'acquifero stesso. Tale acqua costituisce la falda. Lo stato e laquantità dell'acqua contenuta nel terreno permettono di distinguere,lungo un profilo verticale, tre zone che sono, dall'alto verso il basso:

• zona insatura• frangia capillare• zona satura o acquifero.

La zona insatura è la porzione di sottosuolo subito al di sotto dellasuperficie in cui le fessure della roccia o gli spazi vuoti compresi tra igranuli di terreno non sono completamente pieni d'acqua e questa è ingrado di spostarsi verso il basso per effetto della gravità.

La frangia capillare costituisce una zona di passaggio tra la zona insa-tura e la falda; in essa i pori sono quasi interamente occupati dalla faseliquida, che qui è trattenuta per capillarità ad una pressione crescentecon la profondità ma sempre inferiore a quella atmosferica. Il suo spes-sore varia notevolmente con la granulometria del terreno passando daqualche centimetro nella ghiaia fino a un paio di metri nell'argilla.

La zona satura o acquifero contiene la falda acquifera, il cui limite conla frangia capillare è la superficie piezometrica, definita come lasuperficie lungo la quale la pressione dell'acqua di falda è pari a quellaatmosferica. All'interno della falda tutti i pori o le fessure sono saturid'acqua e questa si muove in direzione prevalentemente orizzontale

Figura 3.1 - Quando la super-ficie della falda non è vincola-ta fisicamente da livelli imper-meabili si ha un acquiferolibero (b), la cui superficiepiezometrica coincide con lasuperficie libera dell’acqua(B).Se uno strato impermeabile(c) chiude in alto l’acquifero,questo si dice confinato (d) ela sua superficie piezometri-ca (A) si trova ad una quotapiù alta della superficie dellafalda. Nella realizzazione dipozzi di monitoraggio diacquiferi confinati si dovràattraversare completamentelo strato confinante imper-meabile (pozzi 1 e 3); in casocontrario, sebbene la perfora-zione abbia raggiunto lasuperficie piezometrica, ilpozzo non incontrerà l’acqui-fero (pozzo 4).Se si intercetta un acquiferoconfinato la cui superfie pie-zometrica è più alta dellasuperfie topografica, l’acquacomincerà a fluire sponta-neamente (pozzo 1): in que-sto caso si dice che l’acquife-ro (e il pozzo) è artesiano,nome che deriva dalla regio-ne francese dell’Artois in cuitale fenomeno è stato studia-to la prima volta

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per effetto di un gradiente di pressione. La porzione di terreno interes-sata dalle fluttuazioni della falda e che quindi si trova ad essere orasatura ora insatura è detta zona di oscillazione della falda (in termineanglosassone smear zone).

Alla base dell'acquifero è sempre presente un substrato impermeabileo a scarsa permeabilità che sostiene la falda e ne impedisce o limita ildeflusso verso il basso. Si definisce acquifero non confinato o libero (intal caso si preferisce usare il termine di falda freatica o libera) quello incui la superficie piezometrica coincide con la superficie libera dell'ac-qua, detta superficie freatica, la quale può liberamente oscillare in fun-zione delle condizioni di alimentazione.

Si dice invece acquifero confinato quello che è limitato anche superior-mente da una formazione con bassa permeabilità e in cui la superficiepiezometrica si trova ad una quota superiore a quella della formazioneconfinante. In pratica, quando un piezometro viene realizzato in un taleacquifero, si assiste ad una risalita dell'acqua nel tubo piezometrico finoad un livello superiore al tetto dell'acquifero stesso: ciò accade perchéla pressione dell'acqua in ogni punto del corpo idrico è maggiore delvalore della pressione atmosferica. Se la pressione dell'acqua è suffi-ciente ad ottenere una risalita nel piezometro al di sopra del piano cam-pagna, l'acquifero confinato viene definito artesiano. La condizione diacquifero artesiano, tuttavia, può essere dipendente dal tempo, sia infunzione di assestamenti naturali del mezzo, sia in funzione del gradodi sfruttamento idrico di cui l'acquifero è oggetto.

In un sito industriale o, più in generale, antropizzato si deve tener contodelle modificazioni che l'uomo ha introdotto nell'ambiente e delle intera-zioni che queste hanno con gli acquiferi. Ad esempio, la presenza di un

Figura 3.2 - Modifiche indotteda opere di captazione (es.:un campo pozzi) o da altrimanufatti (palificate, fonda-zioni profonde, ecc.) sull’an-damento della superficie pie-zometrica. La realizzazione ditali opere può in taluni casiincidere in maniera significati-va sui livelli piezometrici esulla direzione delle linee diflusso, alterando ad esempiole portate delle sorgenti o lacapacità portante dei terreni

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pozzo di approvvigionamento idrico ad uso sia industriale che civileabbassa notevolmente il livello della falda nei pressi del pozzo stessocreando una zona di richiamo (detta cono di emungimento) per even-tuali contaminanti presenti in acqua sia in soluzione che in fase libera;le variazioni del regime di pompaggio, giornaliere o settimanali o occa-sionali in funzione del fabbisogno idrico che il pozzo deve soddisfare,creano inoltre condizioni di deflusso mutevoli e di difficile comprensio-ne. Ulteriori complicazioni al modello di deflusso sono poi introdottedalla possibile presenza di più pozzi nella stessa area con gli effetticumulativi dovuti ai rispettivi coni di emungimento. Altre opere possonopoi interferire col naturale deflusso di una falda acquifera. Basti pensa-re alla presenza di opere di fondazione che rappresentano veri e propriostacoli o barriere al deflusso, o alla presenza di linee di servizi interra-te (fognature, canalette per passaggio cavi, ecc.) che fungono da viepreferenziali per lo scorrimento delle acque fornendo alimentazione odrenaggio alla falda superficiale a seconda dei rapporti idraulici che siinstaurano e che possono variare nel tempo.

3.2 Criteri di indagineLa prima fase dell'indagine ambientale è di carattere conoscitivo eserve a definire il modello idrogeologico dell'area in esame. Vi giocaquindi un ruolo preminente lo studio idrogeologico, il cui scopo è quellodi fornire gli elementi indispensabili per la comprensione delle modalitàdi alimentazione e deflusso delle falde presenti nell'area di studio edelle modalità di migrazione degli inquinanti.Esso prende avvio dall'acquisizione ed interpretazione dei dati esisten-ti e prevede l'identificazione, tramite prove dirette, dei parametri idro-geologici che regolano il flusso di falda. La tipologia e l'ubicazione delleprove da eseguire sono stabilitite sulla base della ricostruzione dellastruttura e della geometria di livelli acquiferi e orizzonti impermeabili.

Figura 3.3 - Stralcio di unacarta idrogeologica.Questi elaborati hanno loscopo di riassumere le carat-teristiche geometriche e dina-miche degli acquiferi presentinell’area indagata medianteapposito simbolismo (presen-za di pozzi e sorgenti con lerelative portate, individuazio-ne delle unità idrogeologiche caratterizzate da parametriidrologici e idrogeologiciomogenei, direzioni di flussodelle falde, linee isopieze).

Legenda: a) depositi alluvio-nali; d) complesso detritico; t)complesso dei travertini; mc)complesso marnoso-calcare-nitico; p) dominio della sedi-mentazione pelagica; pc)dominio di piattaforma carbo-natica.(Tratto da “Carta idrogeologi-ca dell’alta e media valle delfiume Velino”, Boni et al.1995)

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I metodi di indagine sono quelli consueti dell'idrogeologia e consistonoprincipalmente in rilievi piezometrici, prove idrauliche e prove di portatada pozzi. Il presente testo non ha lo scopo di illustrare tali metodi, mavuole approfondire quei temi che maggiormente differenziano l'indagi-ne idrogeologica tradizionale da quella inserita nel contesto di una inda-gine ambientale finalizzata alla caratterizzazione ambientale di un sito.Primo fra tutti la ridotta scala delle aree oggetto di studio, ben diversada quella cui si è soliti riferirsi in idrogeologia, e la presenza di elemen-ti antropici che complicano ulteriormente il quadro idrogeologico.In questa ottica, risulta indispensabile fornire informazioni a riguardo diquello che è lo strumento principale per il controllo della qualità delleacque sotterranee: il piezometro di monitoraggio.

3.2.1 Piezometri di monitoraggioIl termine piezometro, letteralmente "misuratore di pressione", nelcampo dell'idrogeologia sta ad indicare un pozzo di osservazione aven-te lo scopo di misurare il carico idraulico di una falda ad una certa pro-fondità. L'uso di piezometri consente di ricostruire la superficie piezo-metrica della falda, ossia la superficie lungo la quale la pressione del-l'acqua è pari a quella atmosferica. In pratica, la superficie piezometri-ca viene ricostruita interpolando le misure effettuate in più piezometripresenti nell'area investigata. La ricostruzione della superficie piezome-trica consente di definire la pendenza, detta gradiente idraulico, e ladirezione del flusso di falda.

L'utilità dei piezometri nel campo della geologia ambientale è anchelegata alla possibilità che essi offrono di effettuare misure e rilevazionidirette della falda e di prelevarne campioni d'acqua a diverse profondi-tà. Rispetto ai pozzi, i piezometri presentano diametri più piccoli e mino-re profondità e solo occasionalmente sono equipaggiati con una pompaper il prelievo dell'acqua di falda.

A seconda che il piezometro o la rete di piezometri installati servano almonitoraggio periodico o occasionale della falda, essi sono detti perma-nenti o temporanei: i primi sono costruiti con accorgimenti tali da garan-tire la loro durata nel tempo e impedire la loro interazione con gli equi-libri chimici e idrologici propri della falda; i secondi vengono installati peril tempo necessario all'acquisizione dei parametri chimico-fisici,ambientali e idrogeologici e vengono poi abbandonati previa sigillaturadella tubazione o estratti con ritombamento del foro. Per tale motivoessi sono quasi sempre di diametro assai piccolo (<2") e di rapidainstallazione.

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3.2.2 Installazione del piezometroData la loro importanza ai fini di una corretta acquisizione dei dati idro-geologici e ambientali, la costruzione dei piezometri richiede una parti-colare cura in tutte le fasi del lavoro. Le competenze del personale cheprogetta, installa ed utilizza un piezometro o pozzo a fini ambientalisono differenti da quelle richieste per la costruzione di pozzi per acquao per perforazioni geotecniche. L'ubicazione dei piezometri di monito-raggio e le loro caratteristiche costruttive devono tener conto tanto delmodello idrogeologico (contesto geologico e morfologico dell’area, stra-tigrafia locale, parametri idrodinamici dell’acquifero e rapporti tra acqui-fero e reticolo idrografico), quanto delle caratteristiche della contamina-zione (tipologia di contaminante, potenziali sorgenti attive o inattive,possibili percorsi di migrazione, presenza di potenziali bersagli).

Ove possibile, le tecniche di perforazione utilizzate non dovrebberorichiedere l'introduzione di acqua o di altri fluidi nel foro. Tuttavia, quan-do l'utilizzo di fluidi di perforazione risulta inevitabile, questi dovrebberoprovocare il minor impatto possibile sui futuri campioni d'acqua edessere comunque di qualità tale da non pregiudicarne la rappresentati-vità.

La scelta del metodo di perforazione da adottare nella realizzazione dipozzi di monitoraggio dipende sostanzialmente dai seguenti fattori:

• geologia ed idrogeologia del sito• versatilità del metodo di perforazione• costo relativo della perforazione• disponibilità di attrezzatura necessaria per la perforazione• accessibilità del sito su cui effettuare le perforazioni• tempo necessario all'installazione ed allo sviluppo del pozzo• capacità della tecnologia di perforazione nel preservare le condi-

zioni naturali dell'acquifero• capacità di installare pozzi del diametro e profondità prescelti.

In riferimento ai metodi brevemente illustrati nel capitolo riguardante icarotaggi del terreno, si tenga presente che, nella larga maggioranzadei casi, il metodo di perforazione utilizzato per l'installazione dei piezo-metri è quello a rotazione con carotaggio continuo. Come visto in pre-cedenza (Cap. 2), tale metodo assicura la necessaria precisione nellaricostruzione della successione stratigrafica e consente il prelievo dicampioni di gas del suolo e/o terreno.

Per la costruzione di pozzi con diametro maggiore di 6", invece, si ricor-re a sistemi a distruzione di nucleo o a percussione.

Figura 3.4 - Esecuzione di unpozzo con avanzamento adistruzione di nucleo

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La struttura di un piezometro per il monitoraggio della falda è quella diun tubo, in parte cieco e in parte fessurato, con le estremità chiuse datappi (quello superiore amovibile) che viene inserito in un foro di son-daggio precedentemente predisposto fino ad intercettare la falda o laporzione di falda che si vuole esaminare.

Nel caso in cui ci si trovi in presenza di un acquifero multifalda, ossiacomposto da falde acquifere sovrapposte, e si ritenga necessarioacquisire informazioni da ciascun livello sarà possibile operare in unodei seguenti modi:

• installare un gruppo di piezometri a distanza ravvicinata fra loro,uno per ogni falda che si intende indagare

• eseguire un unico foro di diametro tale da poter ospitare vari pie-zometri, ognuno finestrato in corrispondenza di una falda.

La seconda tipologia pone diversi problemi pratici, tra cui quello di unaperforazione di grosso diametro fino alla base della prima falda e richie-de la massima precisione nella messa in opera dei vari componenti delpiezometro per evitare di mettere in comunicazione le diverse falde.Nella pratica risulta in genere più conveniente procedere con l’installa-zione di piezometri indipendenti per ciascuna falda presente.

Figura 3.5 - Schema di piezo-metro in acquifero multifalda.Il dispositivo consente di veri-ficare nello stesso punto illivello piezometrico dellafalda superficieale e di quella(o quelle) confinate da livelliimpermeabili. Durante la rea-lizzazione di questo tipo dipiezometri (“nested wells”nella letteratura anglosasso-ne) è importante garantirel’isolamento idraulico dellefalde intercettate al fine dievitare possibili contamina-zioni reciproche.

Legenda: 1) sigillatura concemento; 2) sigillatura conbentonite; 3) dreno in ghiaiet-to calibrato

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Figura 3.6 - Fasi della realiz-zazione di un piezometro.a) realizzazione del foro;b) posa in opera del tubo dirivestimento, finestrato in cor-rispondenza della falda,cieco nei tratti rimanenti;c) realizzazione del dreno incorrispondenza del trattofinestrato;d) realizzazione del settoimpermeabile e cementazio-ne;

Legenda: 1) sigillatura concemento; 2) sigillatura conbentonite; 3) dreno in ghiaiet-to calibrato; 4) tratto finestra-to del piezometro 5) faldafreatica; 6) letto impermeabi-le dell’acquifero

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I principali elementi costituenti il piezometro sono:

• rivestimento (tubazione cieca)• filtro (tubazione fessurata)• fondello• tappo di fondo• dreno• sigillatura• cementazione• pozzetto• boccapozzo.

Grande importanza riveste la scelta del materiale da utilizzare per ilcompletamento del pozzo o del piezometro, il cui scopo è di garantirela durata nei confronti di processi di attacco e degradazione chimico-fisica da parte dei contaminanti. Infatti, in presenza di soluzioni acquo-se chimicamente reattive, alcuni componenti potrebbero essere rila-sciati nei campioni che vengono prelevati, i quali, pertanto, non sareb-bero più rappresentativi. Quindi è necessario scegliere i materiali delletubazioni tenendo presente le potenziali interazioni con le sostanze pre-senti in falda.

Le tubazioni comunemente utilizzate per il rivestimento possono esse-re schematicamente suddivise in tre tipologie:

• in acciaio: al carbonio, inossidabile, galvanizzato• a base di fluoropolimeri: politetrafluoroetilene (PTFE) o Teflon®,

Tab. 3.1 - Principali precau-zioni da seguire nella sceltadei materiali dei tubi di rivesti-mento per pozzi di monito-raggio (da USEPA, 1991)

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fluoroetilene (TFE), etilen propilene fluorato (FEP)• in materiali termoplastici: cloruro di polivinile (PVC), acrilonitrile

butadiene stirene (ABS), polipropilene (PP), polietilene ad altadensità (PEAD).

Il costo di ciascuna tipologia di materiale potrà essere anch'esso un cri-terio di scelta vincolante.

Le tubazioni in acciaio hanno grande resistenza meccanica: quelle alcarbonio sono soggette a corrosione che può essere ritardata da unazincatura a caldo; l'acciaio inossidabile è più sicuro, ma anche piùcostoso e, in particolari condizioni, può liberare ioni di Ni e Cr provocan-do contaminazione delle acque.

Tab. 3.2 - Rivestimenti inPTFE, acciaio inossidabile ePVC: caratteristiche a con-fronto

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I fluoropolimeri sono più inerti e stabili e sono inattaccabili anche dagliacidi più forti; per contro tali materiali, difficilmente reperibili in Italia,risultano molto costosi e presentano scarsa resistenza meccanica.

I materiali più versatili e maggiormente utilizzati sono i materiali termo-plastici, che possiedono una buona resistenza meccanica, anche seminore degli acciai, e una buona resistenza all'attacco chimico, adeccezione di alcuni solventi organici, quali chetoni, aldeidi, ammine,alcheni ed alcuni clorurati.

Nella quasi totalità dei casi in cui il piezometro debba avere diametro<5" si utilizzano piezometri in PVC alimentare. Questi, infatti, presenta-no le seguenti qualità che ne rendono diffuso l'impiego:

• facile reperibilità sul mercato• costi contenuti• grande versatilità legata alla disponibilità di numerose misure stan-

dard tanto per il diametro (1", 2", 3", 4", 6", 8") che per la lunghez-za (0,5, 1, 2, 3 m)

• facilità di montaggio grazie alla leggerezza del materiale, alla pre-senza di filettature per la giunzione dei pezzi e dei tappi di testa edi fondo, alla possibilità di adattare la lunghezza totale del piezo-metro secondo necessità mediante semplici tagli a freddo.

La porzione di piezometro che consente all'acqua di falda di penetrareal suo interno è detta filtro. Esso è costituito da una serie di piccoleaperture (finestratura) omogeneamente distribuite sulla superficie deltubo la cui funzione è quella di lasciar passare l'acqua trattenendo leparticelle di terreno senza, nel contempo, indebolire la struttura del pie-zometro.

Figura 3.7 - Rivestimento inPVC

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Benché esista una vasta gamma di filtri con finestratura di varia formae dimensione, quelli più utilizzati sono i filtri Johnson in abbinamento atubazioni in acciaio e filtri in PVC con tubi dello stesso materiale.Entrambi presentano una serie di finissime fessure (slot) praticate sullaparete del tubo la cui larghezza è variabile e deve essere stabilita sullabase della granulometria dell'acquifero.

Il posizionamento del filtro rispetto all'acquifero è fattore essenzialeaffinché il piezometro assolva correttamente ai compiti per cui è statoinstallato. Vengono detti piezometri (o pozzi) completi quelli che attra-versano l'intero spessore dell'acquifero fino ad intestarsi nel suo livellodi base.Viceversa, sono detti incompleti quei piezometri che intercettano solouna porzione dell'acquifero. L'esigenza di avere un piezometro comple-to o incompleto è strettamente legata al tipo di contaminanti da campio-nare. Le sostanze ad alta miscibilità in acqua tendono ad occupare tuttolo spessore dell'acquifero. Quelle immiscibili o poco miscibili, dopo aversaturato l'acqua della falda, tendono a formare fasi separate il cui posi-zionamento in seno all'acquifero dipende dalla loro densità. In via gene-rale, dette sostanze (indicate in letteratura con l'acronimo NAPL, dall'in-glese Non-Aqueous Phase Liquids, cioè liquidi in fase non acquosa)hanno valori della concentrazione a saturazione in acqua estremamen-te bassi, motivo per cui quantità anche esigue di contaminante satura-

Figura 3.8 - Particolare degli“slot” della parte finestrata diun piezometro

Figura 3.10 (a destra) -Particolare di un filtroJohnson in acciaio

Figura 3.9 (a sinistra) - Tubi inPVC fessurati

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no la fase acquosa (la falda) e cominciano a segregarsi da questa for-mando una fase propria o fase libera o separata. Quando la densità ditali sostanze è inferiore a quella dell'acqua (LNAPL, Light-NAPL, cioèNAPL leggeri) queste galleggiano sulla falda, se è maggiore (DNAPL,Dense-NAPL, ovvero NAPL densi) si adagiano al di sopra del lettoimpermeabile che sta alla base dell'acquifero.

Nel caso di presenza accertata di DNAPL in quantità significative è con-sigliabile installare piezometri completi, in modo da poterne verificare llapresenza lungo la verticale dell’acquifero.Nel caso più generale, la porzione filtrante deve interessare tutta lazona satura estendendosi parzialmente anche nella zona insatura perpoter intercettare le fluttuazioni verso l'alto del livello piezometrico (flut-tuazioni stagionali e giornaliere, tanto naturali quanto indotte da attivitàantropiche).

Figura 3.11 - Comportamentoin falda dei contaminanti infase separata.In caso di sversamento dicomposti immiscibili o pocomiscibili, quelli a densitàminore dell’acqua (LNAPL,light non aqueous phaseliquid) tenderanno a galleg-giare sulla superficie piezo-metrica formando un pennac-chio (plume) nella direzionedi scorrimento della falda(verde); vicevesa, i compostia densità maggiore dell’ac-qua (DNAPL, dense nonaqueous phase liquid) tende-ranno a raggiungere la basedell’acquifero.Se all’interno della falda esi-stono dei livelli a minore per-meabilità, possono formarsidegli accumili sospesi diDNAPL, spesso non facilem-te rinvenibili durante il cam-pionamento

Figura 3.12 - Schema di pie-zometro con errato posizio-namento del filtro: la fase ingalleggiamento sulla falda(colore viola) non può essereindividuata perché si trova incorrispondenza del trattocieco del rivestimento

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Un errato posizionamento del tratto filtrante, inoltre, può comportarel’impossibilità di rilevare la presenza di una eventuale fase separata.

Per consentire al filtro di svolgere efficacemente la sua funzione ènecessario creare al suo intorno una zona che abbia la duplice funzio-ne di far affluire l'acqua e di impedire ai granuli del terreno di addensar-si alla sua superficie intasandolo. Tale zona, rappresentata dall'interca-pedine tra il foro di sondaggio e il filtro, viene riempita di materiale per-meabile e prende il nome di dreno.

Nei pozzi perforati in roccia il dreno, e talvolta addirittura il filtro, nonrisultano necessari. Tuttavia, ciò rappresenta un'eccezione; nella mag-gior parte delle formazioni geologiche, il dreno risulta necessario ed inparticolare quando:

• la formazione attraversata è poco gradata• è necessario un filtro molto lungo e il pozzo passa attraverso forma-

zioni stratificate con grani di svariate dimensioni• la formazione attraversata è costituita da sabbia fine uniforme, limo

o argilla• la formazione attraversata è sottilmente stratificata• la formazione attraversata è costituita da arenaria poco consolidata• la formazione attraversata è molto fratturata ed attraversata da

canalicoli di grandi dimensioni• la formazione attraversata è formata da scisti o carbone, che pos-

sono provocare una costante torbidità dei campioni d'acqua.

Il dreno deve essere chimicamente inerte e pulito. Garanzie sull'assen-za di contaminanti nel dreno possono ottenersi mediante analisi chimi-ca. I migliori dreni sono costituiti da ghiaia silicea o sferette di vetro lecui dimensioni vanno scelte in base alla granulometria dell'acquifero ealla dimensione della finestratura del filtro. Secondo alcuni autori(Borniez, 1956) il diametro del materiale drenante dovrebbe essere

Figura 3.13 - Ghiaietto siliceocalibrato utilizzato per la rea-lizzazione dei tratti drenanti dipozzi e piezometri

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almeno 6 volte più grande dell'ampiezza delle fessure del filtro ecomunque mai inferiore ai 2 mm. Nella pratica vengono utilizzati ghia-etti del diametro di 2,5 mm indipendentemente dalla granulometria del-l'acquifero. E' importante che il materiale costituente il dreno riempiacompletamente l'intercapedine tra foro e piezometro al momento dellasua immissione per evitare assestamenti successivi che potrebberointerrompere la continuità del dreno stesso.

Ogni tipo di pozzo o piezometro deve essere cementato nella sua partesuperiore con prodotti sigillanti quali cemento puro, cemento mescola-to con bentonite, argilla, affinché l'acqua o contaminanti superficiali nontrovino una via preferenziale per infiltrarsi nel sottosuolo. I materialisigillanti devono essere chimicamente inerti rispetto ai costituenti che cisi aspetta di trovare in falda; inoltre devono essere caratterizzati da uncoefficiente di permeabilità di almeno due ordini di grandezza minoredel materiale naturale a contatto.

Esistono due tipi di sigillatura: la sigillatura dell'intercapedine e quelladella superficie.La sigillatura dell'intercapedine forma un tappo di materiale densosopra il dreno che impedisce l'infiltrazione verticale dell'acqua esternanel sistema acquifero. In genere è costituita da materiali quali cementoo bentonite, che vengono pompati o colati nell'intercapedine andando aricoprire il dreno per almeno 1-1,5 metri, in modo da garantire un'oppor-tuna protezione del pozzo.La bentonite, disponibile in commercio in forma di palline, granuli (pel-lets) e polvere, è un silicato idrato di alluminio, composto prevalente-

Figura 3.14 (da F.G. Driscoll,Groundwater and Wells,1986) - Immagine di un filtroinstallato all’interno di unpozzo. Il materiale più gros-solano a ridosso delle paretifiltranti è il cosiddetto dreno, ilmateriale più fine è quelloche causa i problemi di ostru-zione dei filtri

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mente da montmorillonite. Oltre ad essere chimicamente inerte rispettoal cemento, possiede due proprietà che la rendono adatta per la sigilla-tura:• quando idratata, espande il suo volume di 10-15 volte;• ha una bassa conducibilità idraulica (da 1x10-7 a 1x10-9 cm/s).

Inoltre, essa è caratterizzata da un pH elevato (8,5-10,5) e da un'altacapacità di scambio di cationi. Per tale motivo potrebbe alterare lecaratteristiche chimiche dell'acqua per rilascio di alluminio, sodio omanganese. Al fine di evitare qualunque interferenza di tale prodottocon la falda si ribadisce la necessità di prolungare il dreno al di sopradel tratto filtrante per non meno di 50 cm.

La sigillatura superficiale evita l'infiltrazione dell'acqua meteorica che,dalla superficie del suolo, può giungere nell'intercapedine del pozzo. Ingenere viene realizzata con una leggera pendenza centrifuga rispetto alpozzo. Per la realizzazione della sigillatura superficiale si usa solita-mente il cemento per la sua resistenza agli agenti esterni. La profondi-tà di tale sigillatura può essere di qualche metro.

Ultima ad essere effettuata è la sistemazione della testa del piezome-tro, detta anche boccapozzo. Questa va protetta adeguatamente affin-ché non venga danneggiata né manomessa. Contro il danneggiamentosi usa installare dei pozzetti di protezione, contro le manomissioni sidotano i boccapozzi di tappi con sistema di chiusura lucchettabile.

Una volta che sia predisposto il foro (vedi Cap. 2) può avere inizio l'in-stallazione vera e propria del piezometro, detta anche condizionamen-to del foro.

Figura 3.15 - Bentonite in pel-lets usata per realizzare riem-pimenti impermeabili neipozzi (ed es. orizzonti traacquiferi distinti, sigillaturasuperficiale)

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E' buona prassi che a fondo foro si costruisca un tappo in bentonite perisolare il soprastante tratto finestrato dai livelli sottostanti. Su tale stra-to isolante poggerà il piezometro che viene calato assemblando via viatra loro i vari spezzoni di tubo a partire dal tappo di fondo e dal fondel-lo. Prima di essere assemblati, tutti gli spezzoni di tubo, il filtro e i tappidevono essere decontaminati con getti di vapore bollente ad alta pres-sione, operazione facilmente eseguibile con le idropulitrici in commer-cio, con motore elettrico o a scoppio. L’uso di queste ultime all’internodi alcuni stabilimenti industriali, per esempio le raffinerie, potrebbeessere interdetto o consentito solo in alcune aree e dopo l’installazionedi opportuni dispositivi parafiamme. In ogni caso si dovrà fare attenzio-ne durante le operazioni di rifornimento, sia perché il motore potrebbeessere caldo, sia per il pericolo di contaminare l’attrezzatura.

Poiché i rivestimenti in PVC e quelli in acciaio di piccolo diametro sonoprovvisti di filettature per l'accoppiamento delle parti, tale operazione

Figura 3.16 - Sigillaturasuperficiale di un piezometrodi monitoraggio: è visibile lasigillatura finale con cementoe la predisposizione delloscavo per il pozzetto carrabi-le prefabbricato

Figura 3.17 (a sinistra) -Testa pozzo racchiusa inchiusino carrabile e dotata ditappo lucchettabile a chiusu-ra ermetica

Figura 3.18 (a destra) - Tappolucchettabile a chiusuraermetica

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risulta semplice e veloce. Le uniche attenzioni vanno poste alla sequen-za degli spezzoni di tubo che costituiranno il piezometro (in particolareper far sì che il filtro vada a posizionarsi in corrispondenza della interafalda o di parte di essa, come deciso in fase progettuale) ed al fatto chenon vengano utilizzati lubrificanti per agevolare lo scorrimento dellefilettature. Durante l'assemblaggio, la parte di tubazione già calata nelforo dovrà essere sostenuta con le morse della macchina perforatrice.

Man mano che vengono aggiunti i vari segmenti, la colonna viene cala-ta con l'aiuto dell'argano. Non appena l'intera colonna del piezometrosia stata completata e poggiata sul fondo deve avere inizio il riempi-mento dell'intercapedine tra il rivestimento ed il foro. Di pari passo conla posa del dreno in ghiaia si deve provvedere alla rimozione della tuba-zione di rivestimento per evitare che questa resti bloccata nel foro:alternando le due operazioni si ha la possibilità di eseguire un correttoposizionamento del dreno.Come visto in precedenza, attorno al filtro verrà creato un dreno costi-tuito da materiale inerte e grossolano, in genere ghiaietto siliceo; inalternativa, quando l'approvvigionamento di ghiaia silicea induca costi otempi d'attesa non sostenibili, si utilizza ghiaia di altra natura provenien-te da cave situate nelle vicinanze di cui sia accertata, con apposita ana-lisi chimica, la non contaminazione. Per minimizzare il rischio che ilmateriale drenante non occupi tutto lo spazio a disposizione si usageneralmente calarlo nel foro a poco a poco, scuotendo il rivestimentodel piezometro fintanto che esso risulta libero di muoversi. Nei piezo-

metri di maggiori dimensioni, dove lo spessore dell'intercapedine loconsente, è buona pratica costituire il dreno a partire dal basso calan-do il materiale tramite tubi che vengono fatti risalire di pari passo con il

Figura 3.19 (a sinistra) -Installazione del rivestimentoin PVC di un piezometro ver-ticale. Durante la fase didiscesa in foro il rivestimentoè trattenuto dalle ganascedella trivella

Figura 3.20 (a destra) -Installazione del rivestimentodi un piezometro inclinato

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livello superiore del dreno. Un dreno efficace dovrà estendersi per tuttala lunghezza del filtro più almeno 50-100 cm al di sopra di esso per pre-venire l'afflusso dall'alto del soprastante materiale di sigillatura. Risultaparticolarmente importante che il dreno non sia mai a cavallo di livelliacquiferi differenti, onde evitare di metterli in comunicazione idraulica edi trasferire l'eventuale contaminazione da uno all'altro.

Al di sopra del dreno dovrà essere disposto uno strato sigillante costi-tuito da materiale impermeabile. Una sigillatura ideale dovrebbe poteressere installata rapidamente, riempire perfettamente l'intercapedinetra il tubo di rivestimento e le pareti del foro, essere chimicamente iner-te, duratura e resistente al deterioramento. Non è indicato utilizzare perla sigillatura i materiali di risulta della perforazione, i quali potrebberoessere contaminati o aver subito una contaminazione durante l’estra-zione. Come detto, il materiale più utilizzato è la bentonite. Se in polve-re, la si può pompare attraverso opportuni tubi posti nell'intercapedinedopo averla miscelata con acqua; se in granuli o palline, la si versadirettamente nell'intercapedine aggiungendo in seguito quel poco diacqua pulita sufficiente a provocarne il rigonfiamento. Il tappo di bento-nite non dovrebbe mai avere una lunghezza <1 m.La parte sommitale dello spazio anulare tra tubo di rivestimento e foroviene chiusa con una gettata di cemento che ingloba, in corrisponden-za della superficie del suolo, il pozzetto posto a protezione del bocca-pozzo.

Possono presentarsi due casi: boccapozzo interrato o fuori terra.Nel caso di boccapozzo interrato la parte sommitale del piezometro èospitata in una cameretta o pozzetto di cemento, plastica o acciaio didimensioni adeguate a garantire un comodo accesso e una facile ope-rabilità sul piezometro. La cameretta viene collocata in posizione all'in-terno di uno scavo e cementata in maniera tale che la sua faccia supe-

Figura 3.21 - Sigillaturasuperficiale e tubo protettivodi un pozzo di monitoraggio

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riore risulti di 2-3 cm al di sopra della superficie del terreno; il dislivellocosì creato, necessario a minimizzare la raccolta di acqua all'internodella cameretta, viene quindi raccordato al terreno circostante colcemento. Sulla base della cameretta è opportuno praticare un foro perlo smaltimento di eventuale acqua raccolta. Il pozzetto è chiuso da untappo in ghisa o plastica o acciaio a seconda del tipo.

L'uso di pozzetti in cemento con tappo in ghisa è necessario tutte levolte che il piezometro si trovi in aree carrabili mentre il pozzetto di pla-stica può essere utilizzato in aree pedonali o verdi.In alternativa al pozzetto di cemento, qualora sia richiesto un pozzettocarrabile può esserne installato un tipo costituito da un cilindro contappo, entrambi in acciaio, da annegare in una gettata di cemento al disopra del boccapozzo.

Figura 3.22 - Esempio di pro-tezione di testa pozzo fuoriterra

Figura 3.23 - Effetti di unacattiva sigillatura superficiale:la bentonite scollata dallaboccapozzo ha creato unvuoto attraverso il quale puòinfiltrarsi acqua piovana oaltre sostanze

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Nel caso di boccapozzo fuori terra, tipico ad esempio di aree coperte davegetazione, il tratto sommitale del piezometro e il boccapozzo vengo-no racchiusi in un cilindro metallico reso solidale al terreno dalla cemen-tazione superficiale e dotato di tappo lucchettabile. E' opportuno rende-re ben visibile tale pozzetto verniciandolo con colori appariscenti eaffiancandogli una palina sufficientemente alta che ne segnali la pre-senza.

Al termine della posa in opera e dell'esecuzione delle cementazionisarà necessario effettuare il cosiddetto sviluppo del piezometro perassicurare una corretta connessione idraulica con l’acquifero. Durantel’installazione, infatti, potrebbero introdursi nell’acquifero circostantefluidi estranei (ad es. il fango durante una perforazione a rotazione). Purcon l’impiego di sistemi ad aste cave che non utilizzano fluidi di perfo-razione, la frazione argillosa degli strati attraversati potrebbe venir“spalmata” lungo le pareti del foro durante la perforazione. Anche unsottile strato di argilla spalmato lungo i filtri del piezometro diminuisce lapermeabilità di quel tratto filtrante e altera la risposta idraulica del pie-zometro. Lo scopo dello sviluppo è di migliorare le caratteristiche fisichedell’acquifero nell’intorno del piezometro così da permettere che l’ac-qua vi penetri più facilmente. Lo sviluppo rimuove i sedimenti fini lungoil contatto filtro-acquifero e per un certo tratto all’interno della formazio-ne.I metodi di sviluppo differiscono per il tipo di apparato utilizzato e per iltipo di movimento impresso all’acqua attraverso i filtri. In generale, unflusso alternato verso e dal pozzo è preferibile rispetto ad un flusso uni-direzionale che porta alla creazione dei cosiddetti “ponti di sabbia”.

I metodi di sviluppo, da scegliere in funzione della struttura del piezo-metro e delle caratteristiche dei terreni in cui esso è installato, sono:

• pompaggio• pistonaggio• spurgo con aria compressa (air lift).

Nel caso di superpompaggio si utilizza una normale elettropompa som-mersa o una pompa ad asse verticale priva della valvola di fondo. Siopera avviando la pompa a bassa portata per una decina di minuti e poioperando una serie di fermi pompa. In tal modo l'acqua contenuta nellatubazione di mandata torna nel pozzo creando una contropressionenella falda ed il conseguente lavaggio controcorrente dei filtri e deldreno per prevenire la formazione dei ponti di sabbia. Dopo un certonumero di cicli di avvio e stop si mette in pompaggio continuo il pozzoa portata costante fino ad ottenere acqua limpida o comunque con una

Figura 3.24 - I “ponti di sab-bia” sono strutture instabilicostituite dall’aggregazionedelle particelle più fini che sidispongono fra i granuli dimaggiori dimensioni fino adostacolare il passaggio del-l’acqua. Tuttavia, al variaredelle condizioni di deflussodell’acqua queste struttuepossono collassare traspor-tando all’interno del pozzo ilmateriale fine di cui sonocostituite. (da F. G. Driscoll,Groundwater and Wells,1986)

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torbidità accettabile e costante. Tutta l'operazione viene quindi ripetutapiù volte con portate crescenti. La portata massima durante lo sviluppodeve essere maggiore della portata di normale funzionamento (di qui iltermine superpompaggio con cui il metodo è a volte designato). Nelcaso di piezometri di monitoraggio questa è la portata di campionamen-to, nel caso di pozzi di emungimento è la portata di esercizio.

Nello sviluppo mediante pistonaggio viene utilizzato un pistone costitui-to da un cilindro fornito di guarnizioni di gomma, il cui diametro deveessere un po' più piccolo del diametro interno della tubazione di rivesti-mento. Sul pistone viene avvitata un'asta pesante (20-300 kg) in mododa conferirgli maggiore peso. Calato il pistone qualche metro sopra il fil-tro, si imprime un movimento alternato di sali-scendi, creando così unflusso alternato dell'acqua attraverso il filtro. Tale operazione viene suc-cessivamente ripetuta a quote sempre più basse, fino all'estremità infe-riore del filtro. È necessario porre molta attenzione nella fase iniziale delpistonaggio in quanto, se viene sollevato il pistone troppo rapidamente,si può causare lo schiacciamento del filtro ed il suo intasamento. Adintervalli regolari si estrae il pistone dal pozzo e si provvede alla puliziamediante una sonda. Nel caso in cui il pozzo sia munito del cosiddetto"fondello", cioè uno spezzone di tubo chiuso costituente la parte termi-nale del tubo di rivestimento, la pulizia può essere effettuata diretta-mente alla fine del pistonaggio. Questo tipo di sviluppo è indicatosoprattutto in terreni sabbiosi che richiedono la formazione di un drenoartificiale.

Tra i metodi di sviluppo che utilizzano aria compressa (air lift) è spessoprescelto per la facilità e rapidità di attuazione il sistema a tubo aperto:un tubo acqua-aria viene calato fino alla base del filtro e un tubo del-l'aria circa un metro più in alto. Tramite quest'ultimo si immette ariacompressa nel pozzo la quale genera una miscela aria-acqua chedurante la sua risalita trascina con sé le particelle solide presenti all'in-terno del pozzo. Iniziando con piccole portate d'aria ed aumentandoleman mano che diminuisce la sabbia estratta con l'acqua si ottiene losviluppo desiderato.

Tutta l’acqua che deriva dalle operazioni di sviuppo di un pozzo o pie-zometro deve essere raccolta e smaltita in accordo con la vigente nor-mativa sui rifiuti.

3.2.3 Rilievi di campoUn piezometro permette di misurare la profondità della falda rispetto alpiano di calpestio, di misurare alcuni parametri chimico-fisici dell'acquadi falda e di prelevare campioni di tale acqua, di monitorare il funziona-

Figura 3.25 - Schema di svi-luppo mediante pistonaggio:1) asta pesante; 2) rivesti-mento; 3) filtri; 4) pistone

Figura 3.26 - Impianto per lospurgo ad aria compressa apozzo aperto. 1: tubo del-l'aria; 2: tubo aria-acqua; 3:rivestimento; 4: filtri; 5: uscitaacqua di spurgo

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mento di un pozzo in emungimento nelle immediate vicinanze, diimmettere in falda sostanze traccianti o reagenti.

E’ detta soggiacenza della falda la profondità della sua superficie rispet-to alla superficie topografica. Se la misura della soggiacenza è relativaad una falda indisturbata, il livello dell’acqua misurato nel piezometro èdetto livello statico e rappresenta la profondità della superficie piezome-trica della falda “a riposo”. Il livello statico è soggetto a cicliche fluttua-zioni dovute a cause naturali (variazioni della pressione atmosferica,del regime di alimentazione della falda, ecc.).Se la misura della soggiacenza si riferisce ad una falda perturbata (adesempio da un pozzo in pompaggio), il livello dell’acqua nel piezometroè detto dinamico.

Indipendentemente dal fatto che si voglia conoscere il livello statico odinamico di una certa falda, la misura della soggiacenza va effettuataprima di ogni altra operazione per evitare di alterare il livello dell’acquanel piezometro, in particolare prima di quelle operazioni (spurgo e cam-pionamento) che richiedono la rimozione di acqua.

Affinché le misure di soggiacenza eseguite in un dato piezometro intempi diversi siano confrontabili fra loro è indispensabile che venganoeffettuate rispetto ad un punto fisso ed immutabile. Per comodità, èprassi consolidata individuare tale punto sulla boccapozzo medianteuna marcatura indelebile (vernice, pennarello, tacca).La misura della soggiacenza si effettua per mezzo del freatimetro. Ilfreatimetro è uno strumento costituito da una sonda di lettura alimenta-ta a batteria che viene calata all'interno del piezometro per mezzo di uncavo millimetrato o centimetrato. Il circuito elettrico si chiude nelmomento in cui la sonda viene a contatto con la superficie dell'acqua.

Figura 3.27 - La soggiacenza(S) è la profondità dellasuperficie piezometrica dalpiano campagna misurata alboccapozzo; la quota piezo-metrica (P) è l’elevazionedella superficie piezometricarispetto ad uno “0” di riferi-mento quale, ad esempio, illivello medio del mare; lospessore della falda (H) è ladifferenza di quota tra il limitesuperiore della zona saturaed il letto dello strato acquife-ro: in una falda libera talelimite è rappresentato dallasuperficie freatica, in unafalda confinata coincide conla base dello strato imper-meabile che sovrasta la falda

Figura 3.28 - Schema di uti-lizzo del fratimetro

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Un suono, spesso abbinato all'accensione di un led, avverte dell'avve-nuto contatto con l'acqua e che si può procedere con la lettura dellaprofondità.

Una evoluzione del freatimetro, chiamata sonda d'interfaccia, è unostrumento del tutto simile a questo tranne per la capacità di segnalarel'attraversamento di due distinte interfacce utilizzando suoni diversi (ingenere uno continuo, l'altro intermittente) e/o appositi led luminosi. In talmodo è possibile misurare la profondità di una eventuale interfacciaaria/olio in galleggiamento e della sottostante interfaccia olio/acqua. Ladifferenza di profondità tra le due interfacce esprime lo spessore dellafase in galleggiamento.

Alcuni strumenti utilizzano l'azione combinata di due sensori posti sullaestremità della sonda per determinare la presenza di una interfaccia tradue diverse fasi: il primo, un emettitore/ricevitore IR, misura la rifrazio-ne ottica, il secondo misura la conducibilità elettrica e permette la distin-zione tra gli idrocarburi (non conduttivi) e l'acqua (conduttiva). Quandola sonda viene calata all'interno del pozzo e giunge all'interfacciaaria/prodotto, il sensore ottico rileva la presenza del liquido e lo stru-mento emette un segnale luminoso e acustico continuo.

Continuando a far scendere la sonda, il sensore elettrico raggiunge l'in-terfaccia prodotto/acqua e quando entra in contatto con il liquido con-duttivo (cioè l'acqua), chiude un circuito elettrico che esclude il circuitodell'IR, e lo strumento emette una luce ed un segnale acustico intermit-tente. Utilizzando questo principio, lo stesso tipo di strumento è in gradodi rilevare anche la presenza di fase separata pesante (DNAPL).Pur essendo in genere più precisi, questi strumenti non consentono dioperare in determinate condizioni. Un caso comune è quello di unafalda molto superficiale, il cui pelo libero non può essere identificato se

Figura 3.29 - Sonda d'inter-faccia: consente la misuradella profondità della falda edello spessore di una even-tuale fase liquida separata(NAPL)

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nel piezometro entra luce dall'ambiente circostante. Un altro caso fre-quente è quello in cui un prodotto idrocarburico abbia una densità taleda rimanere adeso alle pareti della sonda impedendo a questa di rile-vare il passaggio dall'olio all'acqua.

In determinate circostanze, ad esempio quando la rete di piezometri damonitorare sia molto estesa, oppure durante le prove di portata di unpozzo che richiedono frequenti misure freatimetriche nei piezometri dicontrollo, la misura della profondità di falda è affidata a piccole sondecon funzionamento automatico e dotate di memoria per l'immagazzina-mento dei dati i quali possono essere poi scaricati su computer e dia-grammati per l'interpretazione.

I parametri chimico-fisici della falda richiedono una misura il più possi-bile rapida per evitare che essi subiscano variazioni in seguito al con-tatto con l'atmosfera. Ove possibile, è consigliabile la misura diretta nelpiezometro mediante l'introduzione di sonde collegate a strumenti ingrado di rilevare temperatura, pH, ossigeno disciolto, salinità, conduci-bilità elettrica, potenziale di ossidoriduzione. In alternativa, la misura deisuddetti parametri va effettuata durante lo spurgo con l'ausilio di unacella di flusso. Questa è costituita da un contenitore munito di uningresso e una uscita per l'acqua e di alloggiamenti per i sensori deglistrumenti di misurazione. Facendo fluire l'acqua di spurgo all'internodella cella questa viene a contatto degli elettrodi senza entrare in con-tatto con l'aria.

La misura dei parametri chimico-fisici viene effettuata mediante stru-menti portatili di facile utilizzo quali termometri, pH-metri, conduttimetri,

Figura 3.30 - Sonda peracquisizione in continuo deidati freatimetrici collegata alpc per la programmazionedel funzionamento. La sondametallica a destra del compu-ter viene calata nel piezome-tro al di sotto del livello stati-co dell’acqua e tenuta sospe-sa con una corda ad una pro-fondità nota rispetto al puntodi misura (in genere il bocca-pozzo). I dati vengonomemorizzati nella sonda che,periodicamente, viene recu-perata per lo scaricamentodati. La sonda contiene, oltrealla memoria per i dati e allabatteria per l’alimentazione,un trasduttore di pressionecapace di misurare la pres-sione della colonna d’acquasovrastante e convertirla inmisura dell’altezza del pelolibero dell’acqua sopra lasonda

Figura 3.31 - Cella di flussoper la misura dei parametrichimico-fisici dell'acqua

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misuratori di ossigeno disciolto. Alcuni strumenti, detti multiparametrici,consentono la misura simultanea di più parametri collegando vari elet-trodi allo stesso strumento. Pur non avendo la stessa precisione e sen-sibilità di uno strumento da banco, gli strumenti portatili presentano ilvantaggio di poter misurare le caratteristiche chimico-fisiche dell'acquaquasi in tempo reale. Come tutti gli apparecchi di misura, necessitanodi una buona manutenzione degli elettrodi (pulizia dopo ogni impiego,conservazione con soluzioni adatte secondo quanto specificato dalcostruttore) e di una periodica taratura che ne assicuri il corretto funzio-namento. Alcuni strumenti attualmente in commercio sono dotati di unsistema di autodiagnosi che avverte l'utilizzatore della necessità dieffettuare una nuova taratura.

3.3 Tecniche di campionamentoCon il termine campionamento si riassumono una serie di operazioni dacondurre in campo.Obiettivo del campionamento è quello di rendere disponibile per le ana-lisi chimiche un'aliquota dell'acqua appartenente all'acquifero di cui sivuole conoscere lo stato chimico-fisico in un dato momento. Ciò è pos-sibile a patto che tale aliquota, il campione, sia rappresentativo delsistema acquifero di provenienza o, almeno, di una sua porzione pros-sima al punto di prelievo.E' quindi essenziale che le procedure di prelievo, conservazione, tra-sporto, preparazione e analisi del campione siano idonee a mantenereintatta la sua rappresentatività.

Prima di prelevare un campione di acqua è necessario assicurarsi cheesso rappresenti effettivamente la falda nell'intorno del piezometro.Infatti, all'interno del piezometro l'acqua potrebbe rimanere intrappola-ta, specie quella che eventualmente dovesse trovarsi al di sopra deltratto filtrante, e quindi essere soggetta a fenomeni chimico-fisici chenon riguardano invece l'acquifero. Inoltre, è possibile che si verifichino

Figura 3.32 - Misura dei para-metri chimico-fisici della faldamediante cella di flussodurante le operazioni di spur-go

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perdite di composti volatili dalla colonna d'acqua, o miscelazioni conl'ossigeno atmosferico o adsorbimento di sostanze sulle pareti del pie-zometro o sul dreno, o interazioni chimiche con la bentonite o infiltrazio-ni dalla superficie. Per ovviare a questi inconvenienti, ogni operazionedi campionamento deve essere preceduta da un corretto spurgo delpiezometro che consiste nella rimozione di un adeguato volume diacqua e dell'eventuale materiale solido presente.

L'operazione di spurgo viene di regola svolta con pompe a bassa por-tata (qualche litro al minuto) che permettano di rimuovere l'acqua dalpiezometro e dal suo intorno senza mobilizzare particelle di terreno chefinirebbero nel campione rendendolo torbido.Esistono diverse procedure di spurgo basate su criteri differenti.

Un primo criterio è quello del volume del piezometro: esso suggeriscedi rimuovere una quantità di acqua compresa tra 3 e 5 volte il volumedi acqua presente in condizioni statiche all'interno del piezometro.Questa procedura è quella in genere più seguita (vedi Cap. 9).

Un secondo criterio consiste nel monitorare alcuni parametri chimico-fisici dell'acqua di spurgo (ossigeno disciolto, conducibilità elettrica, pH,temperatura, Eh) fino ad osservare la loro stabilizzazione. Il monitorag-gio deve avvenire mediante sonde multiparametriche inserite diretta-mente nel piezometro o abbinate all'uso di celle di flusso.

Altro criterio è quello detto low flow purging o spurgo a basso flusso ,dove il termine basso flusso si riferisce alla velocità con cui l'acquaentra nella pompa, cioè la velocità che viene imposta all'acqua presen-te nei pori del terreno nelle immediate vicinanze del filtro, piuttosto chealla portata d'acqua in superficie.L'applicazione di questo metodo consente di ridurre i volumi di spurgo,

Figura 3.33 - Spurgo a bassoflusso.La tecnica consiste nell'effet-tuare lo spurgo riducendo alminimo il disturbo apportatoal sistema. Ciò si realizza conportate d'esercizio che sononell'ordine di 0,1-0,5 l/min econsentono di generareabbassamenti piezometriciminimi (<0,1 m), riuscendocosì a prelevare l'acqua dallafalda senza il rischio dimiscelazioni con l'acqua sta-gnante all'interno del piezo-metro. La pompa deve esse-re posizionata a metà circadella lunghezza del filtro opoco al di sopra, comunquelontano dal fondo del piezo-metro in modo da evitare larimozione delle particelle soli-de che vi si sono raccolte inseguito allo sviluppo delpozzo, ai precedenti spurghie alla naturale deposizionecolloidale (da Puls andB a r c e l o n a , " L o w - F l o w(Minimal Drawdown) Ground-Water Sampling Procedures",USEPA 1995)

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le perturbazioni al sistema acquifero, la mobilizzazione di particelle diterreno e lo strippaggio di sostanze contaminanti eventualmente pre-senti. In particolare, la riduzione dei volumi di acqua prodotta dallo spur-go riduce le problematiche connesse al suo smaltimento, essendo que-sto un tema che spesso crea non poche difficoltà durante il lavoro. Altermine dello spurgo può avere inizio il campionamento, che saràanch'esso del tipo a basso flusso.Per realizzare lo spurgo secondo i criteri suddetti si possono utilizzarepompe o bailer. Taluni costruttori di pompe, tuttavia, ne sconsiglianol'uso in fase di spurgo per evitare possibili danni meccanici (usura dellegiranti, dei cuscinetti) o elettrici (surriscaldamento) dovuti alla presenzadi sedimenti o corpi estranei nell'acqua del pozzo.

Gli strumenti comunemente adoperati per prelevare campioni di acquasotterranea sono i campionatori (bailer), le pompe sommerse, le pompeaspiranti, le pompe inerziali.

I bailer sono campionatori puntuali costituiti da un recipiente cilindricoche viene calato nel piezometro tramite un cavo o una corda. Il mate-riale di cui sono costituiti è per lo più acciaio inox, PEAD o PVC per laloro inerzia chimica. I bailer sono dotati di una valvola di fondo costitui-ta da una sfera libera di scorrere all'interno del campionatore.

Questa consente l'ingresso dell'acqua dal basso in fase di immersionee garantisce la tenuta durante la fase di risalita. Inoltre, facilita le ope-razioni di svuotamento del bailer consentendo all'acqua di fuoriusciredal basso per essere immessa nel recipiente di raccolta senza eccessi-va aerazione. Il diametro del bailer deve essere tale da consentire lasua introduzione nel piezometro, mentre la lunghezza può essere qua-lunque. Da qualche anno si sono andati affermando sul mercato dei bai-ler monouso in PVC trasparente, PEAD o Teflon con lunghezza di 1 me diametro di 1⁄2", 3⁄4" o 1,5" che, grazie al basso prezzo di acquisto, offro-no il vantaggio di poter essere gettati dopo l'uso evitando le lunghe ecomplesse operazioni di decontaminazione prima del riutilizzo. L'usodilagante di attrezzatura monouso, se da un lato offre maggiori garan-zie di igiene, dall'altro pone un problema di gestione della ingente quan-tità di rifiuti prodotti, spesso contaminati. Nel caso di campagne di moni-toraggio da ripetere nel tempo, ad esempio, si può valutare la possibili-tà di lasciare ciascun bailer nel pozzo in cui è stato impiegato per riuti-lizzarlo al successivo campionamento.

Figura 3.34 - Bailer monouso.E’ visibile l’anello sommitaleper il collegamento ad unacorda, la sfera che funge davalvola, libera di scorrere nelcorpo del bailer, e due tipi diraccordo per lo svuotamentodel bailer: uno più grande peril riempimento di bottiglie digrande capacità e uno piùpiccolo per il riempimento difiale di piccole dimensionicon minima esposizione delcampione all’aria (da WaterraPumps Ltd.)

Figura 3.35 - Bailer appenaestratto da un pozzo.E’ visibile, nella parte inferio-re, l’acqua di falda particolar-mente torbida sovrastata dauno strato di prodotto idrocar-burico in galleggiamento(NAPL)

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Nel campo delle pompe sommerse, ossia quelle il cui apparato di pom-paggio dell'acqua è calato all'interno del pozzo, segnaliamo le pompecentrifughe poiché sono quelle più largamente diffuse. Queste sonocostituite da un corpo cilindrico in acciaio al cui interno è alloggiata unaserie di eliche (dette giranti) con il compito di sollevare l'acqua fino insuperficie. Le più evolute fra queste sono dotate di dispositivi elettroni-ci che consentono di regolare con precisione la portata agendo diretta-mente sulla velocità delle giranti e di ottenere portate estremamentebasse, adatte al campionamento low flow. L'uso delle pompe centrifu-ghe è possibile in piezometri di diametro >2" e con falda anche profon-da (la profondità massima consentita per il campionamento dipendedalla prevalenza della pompa). Alcuni modelli più semplici ed economi-ci hanno il corpo di plastica e sono alimentate da tensione a 12V anchedalla batteria dell'auto. Per aumentare la prevalenza, alcune di essehanno la possibilità di essere collegate in serie, mentre rimane assentela regolazione della portata. Entrambi i tipi di pompe si prestano a cam-pionamenti a fini ambientali, anche di composti volatili, e a brevi spur-ghi pre-campionamento ma non risultano adatte a spurghi di acqueeccessivamente torbide a causa della tendenza ad intasarsi e alla deli-catezza delle parti interne.Tra le pompe sommerse si va diffondendo l’uso delle pompe a soffietto(bladder pump) perché facilmente trasportabili e particolarmente adatteal campionamento a bassa portata ed in piezometri di piccolo diametro(1"). Il corpo pompa contiene un soffietto (bladder) che, mediante unaserie di cicli di compressione-decompressione generati da un flussointermittente di aria o gas compressi, provoca una spinta verso l'altodell'acqua. Regolando la pressione dell'aria (o gas) compressa è pos-sibile ottenere portate anche estremamente basse; inoltre, l'acqua nonentra mai in contatto con l'atmosfera e vengono evitati i problemi didegasaggio del campione.

Figura 3.38 - Schema di fun-zionamento di una bladderpump

Figura 3.36 - Pompa som-mersa con alimentazioneelettrica da batteria 12V

Figura 3.37 - Pompa a soffiet-to (bladder pump)La foto mostra il soffiettointerno al corpo pompa, azio-nato dal gas in pressionecontenuto in una bombola

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Tra le pompe aspiranti si segnalano le peristaltiche, costituite da unatubazione di mandata in gomma calata nel piezometro e collegata adun rotore che, mediante dei cilindretti, comprime la tubazione stessacreando una pressione negativa capace di richiamare acqua dal piezo-metro. Sistemi come quello descritto sono detti “a depressione” e hannoun limite fisico di funzionamento che è in teoria prossimo ai dieci metridi colonna d'acqua ma in pratica difficilmente superiore agli otto. Imodelli più economici prevedono il funzionamento manuale del rotoretramite una manovella, mentre quelli più sofisticati posseggono unmotore alimentato elettricamente (da rete o batteria) e dotato di poten-ziometro per la regolazione di fino della velocità di rotazione e, di con-seguenza, della portata. L'uso di pompe peristaltiche consente il cam-pionamento di acque superficiali (<8-9 m) da piezometri anche di picco-lo diametro (2") ma, a causa del funzionamento a depressione, è scon-sigliato nel campionamento di composti volatili poiché ne favoriscel'estrazione dall'acqua.

La tipologia più semplice è la pompa inerziale. Costituita da una tuba-zione in polietilene ad alta o bassa densità (PEAD o PEBD) la cui estre-mità sommersa è fornita di una valvola di non ritorno, funziona impri-mendo, di solito manualmente, movimenti alternati dal basso in alto eviceversa. Il sistema si dimostra assai economico e consente il campio-namento a discrete profondità. Di contro, l'agitazione provocata dal fun-zionamento tende ad intorbidire l'acqua che risale. Per consentire mag-giore prevalenza e costanza alla portata fornita, è possibile applicare aqueste pompe un meccanismo manuale o a motore.

Figura 3.39 - Pompa peristal-tica motorizzata con alimen-tazione elettrica da rete o dabatteria 12V

Figura 3.40 - Esempi di tuba-zioni e valvole per pompeinerziali (da Waterra PumpsLtd)

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La scelta del tipo di pompa da utilizzare deve basarsi sulla conoscenzadella profondità della falda, del diametro del piezometro, del tipo di con-taminazione esistente in falda (quando sia già noto).

La tabella seguente evidenzia vantaggi e svantaggi per i tipi di pompapiù utilizzati nel campo della geologia ambientale.

Il numero dei campioni da prelevare in ciascuna campagna di indagineva stabilito di volta in volta in base alle esigenze del lavoro e alla dispo-nibilità di una rete di monitoraggio. Affinché i dati di una campagnasiano confrontabili con quelli delle precedenti e delle successive è pre-feribile che ciascuna campagna interessi gli stessi piezometri e chevengano seguite le medesime metodologie di campionamento.

Operata la scelta dei piezometri da campionare, si procede al prelievodei campioni dopo aver concordato con il laboratorio di analisi la quan-tità di acqua necessaria a formare ciascun campione e la tipologia dicontenitore da utilizzare per le varie analisi. E' prassi comune, a questoproposito, che la vetreria necessaria venga preparata ed inviata dallaboratorio incaricato delle analisi, il quale assicura anche la perfettasterilità di tutto il materiale inviato. E' bene richiedere al laboratorio diinviare assieme alla vetreria un campione di controllo di natura notadenominato trip blank (bianco di trasporto) in contenitore sigillato sul

Tabella 3.3 - Vantaggi e svan-taggi dei vari tipi di pompe

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quale il laboratorio stesso eseguirà analisi di controllo per verificare chenon vi sia stata contaminazione della vetreria durante il trasporto versoe dal sito d'indagine.Prima di iniziare il riempimento del recipiente o dei recipienti destinati aciascun campione, questi devono essere "avvinati", ossia sciacquaticon l'acqua proveniente dal piezometro (in genere l'acqua di spurgoimmediatamente prima del campionamento): questa operazione assi-cura che il campione non venga in contatto con sostanze estraneeeventualmente presenti nel recipiente o non venga diluito dai liquidi dirisciacquo utilizzati per la sua pulizia. L'avvinamento avviene di normasciacquando energicamente il recipiente per tre volte. L'avvinamentonon va operato nei contenitori che contengono conservanti per non per-derne il contenuto.

Figura 3.41 - Diverse tipolo-gie di contenitori per campio-namento di matrici ambienta-li: fiala da 20 cc con setto sili-conico per il campionamentodi terreno o acqua per analisidi composti volatili; bottigliada 1 litro in vetro scuro percampionamento di acqua

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Capitolo 4Acque superficiali

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4.1 Caratteristiche della matriceIl campionamento delle acque superficiali interne (fluviali, lacustri, palu-stri, sorgive) ha assunto negli ultimi anni una rilevanza notevole anchein riferimento all'evoluzione normativa che ha imposto obiettivi di quali-tà dei corpi idrici superficiali.

Il campionamento delle acque superficiali ai fini ambientali può riguar-dare:

i) la caratterizzazione della qualità del corpo idrico. I prelievi e leanalisi sono protratte anche per un lungo periodo di tempo (mini-mo 1 anno) e interessano l'intero corpo idrico. L'obiettivo è di otte-nere un quadro complessivo dello stato qualitativo dell'acqua edelle variazioni stagionali cui è soggetto

ii) il monitoraggio dello stato qualitativo. Il campionamento, protrattonel tempo con cadenza da valutare nel singolo caso, interessauno o più punti specifici del corpo idrico, specie in corrisponden-za delle prese di utilizzo delle acque

iii) problemi specifici; tra questi citiamo: valutazione dei carichi inqui-nanti anche in funzione delle variazioni stagionali di portata, valu-tazione dell'efficacia di lungo periodo degli interventi di risana-mento effettuati, verifica del comportamento dei corpi idrici e piùin generale del bacino in possibili situazioni anomale di contami-nazione.

Figura 4.1 - Corso d’acquacontaminato da metalli

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Acque superficiali

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4.2 Criteri d’indagineLa strategia di campionamento delle acque superficiali è funzione dinumerosi aspetti quali gli obiettivi della campagna, la conformazionefisica del corpo idrico in esame, la disponibilità di risorse economiche edi tempo.Allo scopo di ottenere delle misurazioni rappresentative del corpo idri-co in esame è necessario predisporre un campionamento che tengaconto delle possibili "stratificazioni", verticali e/o orizzontali, cui il corpoidrico può essere soggetto.

4.2.1 LaghiLaghi e bacini artificiali sono solitamente caratterizzati da una stratifica-zione verticale legata a variazioni della densità dell’acqua che si regi-strano in presenza di gradienti di temperatura e salinità. Alle diversemasse d’acqua lungo la colonna corrispondono differenti caratteristichechimico-fisiche e biologiche. Questo fenomeno è maggiormente evi-dente nei periodi estivi quando il gradiente di temperatura risulta piùmarcato mentre nei periodi invernali l’idrodinamica della colonna d’ac-qua porta ad un totale miscelamento. Per questo motivo è necessarioprelevare più campioni lungo la verticale la cui profondità è funzionedello scopo e delle circostanze locali. Per una corretta valutazione delleprofondità di campionamento è consigliabile utilizzare, in via prelimina-re, delle sonde multiparametriche per la misura in continuo dei principa-li parametri chimico-fisici (temperatura, ossigeno disciolto, pH, conduci-bilità, torbidità) che consentano di ricostruire dei profili su cui basare lascelta.

Figura 4.2 - Profilo verticaledella temperatura e delladomanda di ossigeno in unbacino lacustre

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Acque superficiali

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La presenza di una morfologia molto articolata dei fondali o delle costepuò indurre notevoli eterogeneità dei parametri chimico-fisici ancheall’interno dello stesso intervallo di profondità, per valutare le qualioccorre effettuare una campagna preliminare con un numero adeguatodi campioni. I punti di campionamento debbono essere ben marcatimediante boe o univocamente identificati mediante georeferenziazione.

Per le campagne di controllo qualità i campioni saranno prelevati in cor-rispondenza dei punti di presa per l'utilizzo delle acque o dei maggioriimmissari del lago.

Per le campagne finalizzate a motivi specifici i campioni verranno pre-levati in corrispondenza dei punti in cui si è registrato il fenomeno spe-cifico e, se necessario, ripetuti nel tempo per monitorarne l'evoluzione. Per quanto riguarda la frequenza di campionamento non esiste unaregola determinata per il campionamento delle acque di un lago; essa

Figura 4.3 - Stratificazionelongitudinale di un ipoteticobacino lacustre. Dall’am-biente fluviale, caratterizzatoda un bacino stretto e cana-lizzato, da flusso relativa-mente elevato, da solidisospesi e torbidità elevati escarsità di luce si passa pro-gressivamente, attraversouna zona di transizione,all’ambiente lacustre s.s.Questo è caratterizzato da unbacino ampio e profondo, davelocità e solidi sospesi ridot-ti e da maggiore limpiditàdelle acque con conseguenteaumento della luce disponibi-le

Figura 4.4 - Miscelamentodelle acque di due aste fluvia-li. I campioni di acqua saran-no prelevati immediatamentea monte della confluenza(punti m) e ad una certadistanza a valle della stessa(punto v) evitando un tratto incui il miscelamento dei duecorsi d’acqua è incompleto

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Acque superficiali

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infatti dipende dalle finalità dell’indagine e dal periodo dell’anno in cuiessa si svolge.

4.2.2 FiumiNormalmente in un fiume non è necessario effettuare profili verticalianche se, in condizioni di corrente estremamente debole, si possonoverificare stratificazioni indotte da differenti valori di densità.

La scelta del punto di campionamento è strettamente vincolata all'obiet-tivo prefissato ed anche agli aspetti logistici e di accessibilità. Nel casoin cui l’obiettivo fosse quello di valutare la qualità dell’intero corso d’ac-qua, ad esempio, si può scegliere per comodità una sezione in prossi-mità di un ponte, sempre a patto che immediatamente a monte non visia una confluenza perchè si potrebbe non avere il necessario miscela-mento.

Quando si voglia valutare gli effetti di un affluente sulla qualità delleacque di un fiume si effettueranno almeno 2 campioni uno immediata-mente a monte della confluenza, una a valle della stessa ma ad unadistanza tale da permettere il miscelamento delle acque. Le caratteristi-che geometrico-fisiche dell'alveo e la velocità dell'acqua influiscononotevolmente sulle distanza richiesta per ottenere un tale miscelamen-to completo (verticale, laterale, longitudinale). Tecniche di tracciamentocon traccianti, o più semplicemente le misura di conducibilità possonoaiutare nel determinare la distanza minima. Generalmente entro un chi-lometro si ottiene un miscelamento verticale completo.

Figura 4.5 - Alla confluenza ilmiscelamento completo diacque con differenti caratteri-stiche chimico-fisiche puòrichiedere percorsi anche didiversi chilometri, in funzionedelle caratteristiche geometri-che, delle portate in gioco,ecc.

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Acque superficiali

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La distanza per un miscelamento laterale completo dipende dalla pre-senza di curve relativamente strette e può richiedere anche diversi chi-lometri. Per ottenere campioni rappresentativi un corso d'acqua dovreb-be quindi essere campionato su due o piu transetti a valle della con-fluenza. Indicativamente, la distanza per il miscelamento idoneo è datadalla relazione:

in cuil è la lunghezza del tratto di miscelamento; b è la larghezza media del tratto di corso d'acqua a valle della confluen-za;c è il coefficiente di Chezy, compreso fra 15 e 50;g è l'accelerazione di gravità, pari a 9,8 m/s2

d è la profondità media del tratto di corso d'acqua a valle della confluen-za.

Sperimentalmente si è osservato che la suddetta formula sottostima lelunghezze di miscelamento per corsi d'acqua larghi meno di 5 m e lasovrastima per i corsi d'acqua larghi più di 50 m.In determinate circostanze può essere utile conoscere la velocità dellacorrente del fiume per predisporre il piano di campionamento (es. cono-scere il pattern di trasporto di un contaminante rilasciato da una sorgen-

Figura 4.6 - L’imissione ditraccianti colorati in un corpoidrico permette di determinar-ne facilmente le velocità discorrimento. Questo datopuò essere importante quan-do si ricercano dei compostiinstabili

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te puntiforme oppure per determinare i tassi di abbattimento di conta-minanti instabili); in questo caso possono essere utilizzati materialigalleggianti, traccianti colorati, misure di portata su sezioni fluviali.

Le tecniche di prelievo e di conservazione del campione fino al con-ferimento nei laboratori per le analisi devono garantirne la rappresen-tatività e l'integrità.

Le acque, sia superficiali che di falda, una volta prelevate possonoessere soggette a reazioni fisiche, chimiche o biologiche che altera-no, in alcuni casi in maniera determinante, le concentrazioni deglianaliti. L'entità di queste variazioni dipende dalle caratteristiche chi-miche e biologiche del campione, dalla temperatura, dall’esposizionealla luce e dal tempo di conservazione prima delle analisi.

Questi processi sono dati da:

• presenza di batteri alghe ad altri organismi che "consumano”alcuni costituenti nel campione producendone degli altri (special-mente parametri quali O2 disciolto, CO2, composti di N, P, sostan-za organica)

• reazioni di ossidazione del materiale organico, del ferro ridotto,dei solfuri, ecc. a carico dell’ossigeno disciolto

• reazioni di precipitazione sotto forma di carbonati, idrossidi dialcuni costituenti (es. metalli pesanti) e/o volatilizzazione (ossige-no, cianuri, mercurio)

• adsorbimento dei metalli in forma ionica o in forma colloidale o dialcuni composti organici sulle pareti del campionatore o sulle fra-zioni solide presenti nel campione

• scomposizione di alcuni composti polimerici e, viceversa, polime-rizzazione di composti semplici.

4.3 Tecniche di campionamentoPer il prelievo di campioni di acqua di superficie è sufficiente immer-gere il contenitore appena al di sotto della superficie dell'acqua.A seconda delle condizioni in cui si effettua il prelievo, si può ricorre-re all'ausilio di un "braccio" di adeguata lunghezza o di corde, ovverola bottiglia per il campionamento può essere direttamente immersanel corpo idrico. Prima di effettuare campionamento è buona norma"avvinare", cioè sciacquare 2-3 volte con l'acqua da analizzare il con-tenitore con cui si opera il prelievo. In determinate situazioni si deveevitare di immergere attrezzatura e/o campionatori se questo puòinfluenzare analisi successive (ad es. analisi di olio e grassi o analisibatteriologiche in corpi idrici fermi).

Figura 4.7 - Bottiglia Niskinper il campionamento in pro-fondità delle acque di laghi,mari, lagune. Una volta posi-zionata la bottiglia alla pro-fondità desiderata, si lasciapartire dalla superficie unmessaggero (un peso diqualche etto) che corre lungoil cavo cui è ancorato il corpodella bottiglia. Il messaggero,colpendolo, apre un anelloliberando i tappi postiall’estremita della bottigliache sono richiamati in posi-zione di chiusura da unamolla (o elastico). Nella aper-tura dell’anello può ancheessere liberato un secondomessaggero che può rag-giungere un’altra bottigliaposta a maggiore profondita,determinandone la chiusura

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Acque superficiali

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Per il prelievo di campioni d’acqua in profondità i dispositivi di prelie-vo (es. bottiglia di Dussart) vengono immersi mediante cavo fino allaquota desiderata, quindi è fatto scattare il meccanismo di aperturacon conseguente riempimento del contenitore. In alternativa possonoessere utilizzati dei tubi aperti con due sistemi di chiusura a tenutaazionati dalla superficie attraverso un peso (messaggero) che, cor-rendo sul cavo che tiene il tubo stesso (es. dispositivo Kemmerer,Van Dorn, bottiglia Niskin), attiva le molle di chiusura. Nei corpi d'ac-qua caratterizzati da elevati flussi può rendersi necessario uno zavor-ramento del sistema per consentire al dispositivo di campionamentodi scendere verticalmente.

In alternativa, è possibile prelevare il campione attraverso pompesommerse, pompe ad aspirazione o pompe peristaltiche. Le pompesommerse generalmente sono le più indicate; qualora esistano pro-blemi connessi alla contaminazione si possono utilizzare le pompeperistaltiche che utilizzano materiali plastici o silicone "inerti".

E' importante annotare se il campione è stato soggetto a filtrazione omeno perché in fase analitica il risultato sarà pertinente, nel primocaso, alle sole forme solubili degli analiti, nel secondo caso sia alleforme solubili sia a quelle presenti in fase sospesa (solidi dispersi).Nel caso si debba proceda a filtrazione, questa viene generalmenteeseguita in linea mediante filtri in polietere sulfone (PES) aventi dia-metro dei pori di 0,45 μm.

Al fine di stabilizzare alcuni costituenti chimici si possono aggiungereal campione delle sostanze "conservanti": in alcuni casi, ad esempio,è necessario stabilizzare il campione procedendo tramite acidificazio-ne per evitare l’adsorbimento dei metalli pesanti sulle pareti del con-tenitore e/o la precipitazione sotto forma di idrossidi.E' generalmente preferibile evitare la decantazione del campionequale alternativa alla filtrazione.

Il tipo di contenitore è funzione degli analiti di interesse e delle meto-dologie analitiche impiegate. E’ quindi necessario contattare il labora-torio incaricato delle analisi. In ogni caso i contenitori devono impedi-re qualsiasi fenomeno di adsorbimento sulle pareti, perdite di mate-riale, contaminazioni da sostanze esterne, esposizione alla luce. Altrifattori da considerare sono la resistenza alla rottura, la capacità disostenere sbalzi termici, la trasportabilità (dimensioni, forma, materia-le), la facilità di reperimento, riutilizzo ed i costi.

Nel caso il campionamento sia finalizzato ad analisi microbiologiche

Figura 4.8 - Filtro monousocon membrana in PES da0,45 μm per la filtrazione inlinea dei campioni di acqua

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Acque superficiali

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i contenitori devono possedere gli stessi requisiti di quelli utilizzati peril campionamento delle acque potabili. Generalmente è lo stessolaboratorio di analisi che fornisce i contenitori adeguatamente prepa-rati.

Nel Capitolo 7 sono sintetizzati, in funzione del parametro cercato, imateriali, le tecniche di preservazione dei campioni e l'intervallo ditempo entro cui devono essere analizzati.

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Capitolo 5Sedimenti fluviali e lacustri

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5.1 Caratteristiche della matriceCon il termine sedimento si indica il materiale proveniente dalla disgre-gazione di rocce e ridepositato dopo un trasporto più o meno lungo dalluogo di origine.

La disgregazione delle rocce affioranti sulla superficie terrestre è cau-sata dall’alterazione delle sue caratteristiche originarie ad opera difenomeni di tipo fisico (forti variazioni di temperatura, erosione eolica,glaciale), chimico (carsismo, lisciviazione) e biologico che agiscono perlo più in concomitanza fra loro. Come risultato di queste azioni si forma-no detriti solidi e materiale in soluzione nell’acqua.

Il materiale detritico così formato viene trasportato via per gravità o perazione dei ghiacciai, dei fiumi, dei venti.Dal momento della deposizione il sedimento subisce una serie di pro-cessi chimici e fisici (compattazione, cementazione, dissoluzione, ecc.)noti come diagenesi che portano alla sua trasformazione in roccia (liti-ficazione).

Gli ambienti sedimentari possono essere raggruppati in diversi tipi:

• marino (scarpata continentale, piana abissale, reef o scogliera)• transizionale (spiaggia, delta, estuario, laguna costiera)• continentale (fluviale, lacustre, palustre, desertico, glaciale).

I corsi d'acqua superficiali rappresentano il principale veicolo di traspor-to e deposizione di sedimenti. Quando sulla superficie delle particelle disedimento sono adsorbite sostanze chimiche inquinanti, ecco che que-ste possono essere trasportate per lunghe distanze ed accumulateinsieme al sedimento stesso, andando a costituire una sorgente secon-daria di inquinamento ed un pericolo per l'ambiente. Per tale ragione

Figura 5.1 - I sedimenti sonogeneralmente costituiti dauna componente inorganicaovvero da depositi clastici(es. sabbie e argille) derivan-ti dall’erosione e dal trasportodelle rocce, e da una compo-nente organica costituita damateria organica legata alleattività metaboliche di anima-li e piante, e dai resti organiciderivanti dalla decomposizio-ne degli organismi morti. Unafrazione secondaria sia dellacomponente inorganica cheorganica può inoltre derivaredalla deposizione di partico-lato (polveri, pollini) di origineatmosferica. La composizio-ne del sedimento è stretta-mente legata alle caratteristi-che idrodinamiche, morfogi-che e chimico-fisiche dell’ambiente di deposizione

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Sedimenti fluviali e lacustri

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l'interesse nei confronti dei sedimenti sia lacustri che fluviali è andatovia via crescendo nel tempo. Gli inquinanti associati alla fase solidapossono infatti essere sottratti ad essa in seguito a cambiamenti dellecondizioni ambientali sia naturali (attività della biosfera, condizioni cli-matiche, risospensione del sedimento) che di origine antropica (attivitàdi dragaggio, ecc.). Tali cambiamenti possono indurre una variazionedei parametri chimico fisici (pH, potenziale di ossido riduzione, salinità,temperatura, ecc.) provocando la mobilizzazione degli inquinanti.

La tendenza a passare da una fase immobile ad una mobile dipendedalla diversa affinità per le due fasi del contaminante. Inoltre la determi-nazione di parametri quali pH e potenziale redox mediante l'uso dei dia-grammi Eh-pH possono rappresentare un punto di partenza per la valu-tazione dell'impatto che contaminanti presenti nel sedimento possonoavere sull'ecosistema.

La determinazione di questi parametri rappresenta in molti casi un valo-re aggiunto alle classiche analisi che vengono eseguite durante il con-trollo ambientale (contenuto in metalli pesanti, IPA, PCB, idrocarburi ali-fatici, ecc.). D'altra parte i fenomeni chimici a cui sono soggetti i conta-minanti nei sedimenti possono essere messi bene in evidenza anchedai profili di distribuzione dei vari analiti in funzione della profondità(generalmente la scelta dell’intervallo di profondità dipende dalle infor-mazioni che si hanno del sito a monte dell'intervento, ad esempioambiente di sedimentazione, velocità di sedimentazione, ecc.).

Figura 5.2 - Diagramma distabilità delle forme chimicheche può assumere il manga-nese in funzione del poten-ziale redox e del pH. Inambiente acquatico metallipesanti come ad esempiomanganese e ferro possonoessere distribuiti tra le variefasi (acqua, sedimento) informe chimiche diverseall’equilibrio tra di loro in fun-zione di parametri chimico-fisici quali pH e Eh. Questimetalli possono essere pre-senti nei sedimenti comeossidi e/o idrossidi (ad esem-pio Mn2O3, Mn(OH)2), ma al

variare del pH o del potenzia-le redox possono solubiliz-zarsi come ioni Fe2+ e Mn2+

e quindi passare in soluzione.Nella figura l’ossido di man-ganese MnO2 presente nel

sedimento è ridotto a Mn2+

solubile, in seguito ad unariduzione di potenziale redox(Eh) dovuta ad esempio aduna carenza di ossigenodurante il seppellimento delsedimento

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Sedimenti fluviali e lacustri

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5.2 Criteri d’indagineQuando sia necessario un approfondimento dell'indagine ambientalepuò essere opportuno eseguire separatamente analisi delle due fasi,solida e liquida (acqua interstiziale), costituenti il sedimento. Infatti, leinformazioni ricavabili dalle analisi sulla fase liquida possono essere uti-lizzate per prevedere fenomeni di rilascio del contaminante nell’acquasovrastante il sedimento.

Figura 5.3 - Esempio di profi-lo relativo alla concentrazio-ne di manganese in una caro-ta di sedimento prelevata inambiente non antropizzato.Si può notare come l'anda-mento sia differente tra laquantità presente nella fasesolida (a sinistra) e quellarelativa alla fase liquida(quantità di analita mobile, adestra)

Figura 5.4 - La migrazione diun contaminante in un mezzoporoso (es. sedimento) è gui-data da forze gravitative (dal-l’alto verso il basso) e da dif-fusione. In questo caso lamigrazione del contaminanteè legata a gradienti di con-centrazioni che determinanola direzione del flusso.In figura è schematizzato ilprocesso secondo il quale uncontaminante (frecce gialle)presente nello strato 1 migraper diffusione attraverso lostrato 2 verso lo strato 3.In funzione delle condizionichimico-fisiche, nell’attraver-sare lo strato 2 la quantità dicontaminante che giunge allostrato 3 può aumentare (casoa) rimanere inalterata (casob) o diminuire (caso c).Questi meccanismi possonospiegare l’andamento vertica-le della concentrazione di ungenerico contaminante

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Le informazioni riguardanti le caratteristiche litologiche e chimico-fisi-che del sedimento sono fondamentali per avere un quadro esaustivodell’ecosistema acquatico, tuttavia possono rivelarsi insufficienti quan-do non si abbia conoscenza della presenza di sorgenti di contaminazio-ne puntuali. In questi casi risulta indispensabile conoscere la morfolo-gia dei fondali (batimetria). Questa viene ricostruita mediante l'utilizzo disonar più o meno sofisticati. Il metodo è basato sulla misura delladistanza tra il trasmettitore di onde sonore ed il fondo ottenuta che per-mette di calcolare la profondità. Alla distanza misurata possono essereapportate, in tempo reale, anche le correzioni necessarie a compensa-re il movimento dell'imbarcazione e le variazioni della velocità del suononell'acqua.Alcuni sistemi di rilevazione sono caratterizzati dall'accoppiamento diun Sonar con un Sub Bottom Profiler. Quest’ultimo dispositivo consen-te di rilevare lo spessore del sedimento al di sopra della roccia madre,di investigarne la natura e la stratificazione e di individuare la presen-za di sacche di gas ed altre proprietà di interesse.

5.3 Tecniche di campionamento5.3.1 Campionamento con bennaLa benna è uno strumento di campionamento costituito da ganasce inacciaio inossidabile che consentono il prelievo di sedimenti dal fondo dilaghi, fiumi ed altre acque aperte.Il principio di funzionamento è semplice. In superficie le ganasce ven-gono mantenute aperte con un gancio, e vengono poi calate ad unavelocità costante e non troppo alta. Le ganasce sono dotate di fori chepermettono all'aria di fuoriuscire durante l'immersione. Una volta tocca-to il fondo, il gancio di tenuta si disinserisce e, all'atto del sollevamento,le ganasce fanno presa nel sedimento grazie al sistema di leveraggi.

Figura 5.5 - Carta batimetricadi un fondale lacustre.I colori indicano la profonditàdei fondali. Queste carte siottengono utilizzando la stru-mentazione di bordo, anchein movimento. L’acquisizionedella batimetria tramite l’uti-lizzo di un sonar è basata sul-l’emissione di fasci di ondeacustiche che vengono rifles-se dalla superficie del fondo;l’analisi dei tempi di ritornodelle onde riflesse permetto-no la ricostruzione della bati-metria

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Tale strumentazione deve essere calata nella stazione di campiona-mento mediante un verricello montato su una imbarcazione o su ponto-ne. Nel momento in cui lo strumento arriva sul fondo l'operatore devesegnare le coordinate geografiche o chilometriche visualizzate sulmonitor del DGPS.

ImpiegoQuesto metodo può essere impiegato per sedimenti a diverso grado dicompattezza, ed è limitato al prelievo di sedimenti superficiali (0-30cm). La benna più diffusa è la Benna Van Veen adatta a campionarequalsiasi tipo di sedimento mentre esclusivamente nel caso di sedimen-ti molli si può utilizzare la Benna Eckman-Birge. In commercio esistonovarie dimensioni di benna, quindi la quantità di materiale prelevatodipenderà sia dalla compattezza del fondo e che dalla dimensione epeso del modello selezionato. Il campione prelevato mediante benna èun campione disturbato nel senso che non mantiene la stratigrafia delsedimento.

Procedura operativa1) armare il sistema di campionamento secondo le istruzioni del fab-

bricante e ancorarlo al verricello (se di grandi dimensioni)2) mettere in mare lo strumento e farlo scendere alla velocità ade-

guata (meccanicamente o manualmente)3) arrivare al fondo e chiudere il sistema per raccogliere il campione4) iniziare la risalita avendo l'accortezza di non impartire una veloci-

tà troppo elevata5) una volta risalito in superficie aprire le ganasce e rovesciare il

campione su di un piano precedentemente preparato e pulito6) omogeneizzare il campione mescolando ripetutamente utilizzan-

Figura 5.6 - Esempio dibenna utilizzata per il cam-pionamento di sedimentisuperficiali. La benna cam-piona del sedimento mesco-lato e quindi non permettel'analisi stratigrafica dellamatrice

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Sedimenti fluviali e lacustri

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do un attrezzo pulito (cucchiaio, paletta o spatola)7) raccogliere il campione travasandolo nell'appropriato contenitore

e sigillarlo. Controllare che contenitore, tappo e sottotappo sianodel materiale e del volume previsto per le determinazioni da ese-guire

8) identificare il contenitore del campione con l'apposita etichetta esigla identificativa. Assicurarsi che l'etichetta sia scritta in manie-ra leggibile, indelebile e che sia saldamente fissata al contenito-re. Completare tutte le trascrizioni di dati sui registri dei campionie delle attività in campo

9) decontaminare l'attrezzatura di prelievo secondo la proceduraprescritta per la specifica attività, in funzione dei parametri daanalizzare.

InterferenzeIl sistema è adatto per praticamente tutti i parametri da determinare ese correttamente impiegato non presenta interferenze significative. Unalunga esposizione all'aria del sedimento prima che sia richiuso nei con-tenitori può causare l'evaporazione dei costituenti volatili e/o l’ossida-zione di coomposti presenti in forma ridotta.

5.3.2 Campionamento con box corerIl box corer è una "scatola" a base quadrata o rettangolare, zavorrata ein grado di penetrare il fondale; il recupero del sedimento è assicuratoda una chiusura basale. Tale strumentazione deve essere calata nellastazione di campionamento mediante un verricello montato su un’im-barcazione o su pontone. Nel momento in cui lo strumento arriva sulfondo l'operatore deve segnare le coordinate geografiche o chilometri-che visualizzate sul monitor del DGPS.

ImpiegoIl box corer permette di ottenere un ampio volume di sedimento con unaprofondità di penetrazione di circa 30 cm. Tale strumento consente siail campionamento del livello superficiale (0-3 cm) sia quello di livelli piùprofondi e può essere impiegato per sedimenti a diverso grado di com-pattezza.Date le modalità di campionamento e di recupero, il campione, ed inparticolare la sua parte centrale, può essere considerato indisturbato.Permette quindi di effettuare una accurata descrizione del sedimento(variazioni fisiche e cromatiche laterali e verticali, strutture sedimenta-rie ecc.) lungo tutto lo spessore recuperato.

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Sedimenti fluviali e lacustri

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Procedura operativa1) armare il sistema di campionamento secondo le istruzioni del fab-

bricante e ancorarlo al verricello2) mettere in mare lo strumento e farlo scendere alla velocità ade-

guata (meccanicamente o manualmente)3) arrivare al fondo e lanciare il messaggero in modo da farlo pene-

trare nel fondale4) iniziare la risalita avendo l'accortezza di non impartire una veloci-

tà troppo elevata5) una volta risalito in superficie aprire la scatola e subcampionare

carote di sedimento dal diametro variabile. I liner utilizzati per taleoperazione dovranno essere stati precedentemente lavati secon-do le necessità richieste dalla determinazione

6) possibilmente tagliare la carota in diversi strati oppure conservar-la intatta possibilmente in frigo

7) se si è effettuata l'operazione di taglio della carota, raccogliere ivari strati di campione nell'appropriato contenitore e sigillarlo.Controllare che contenitore, tappo e sottotappo siano del materia-le e del volume previsto per le determinazioni da eseguire.

8) identificare il contenitore del campione con l'apposita etichetta esigla identificativa. Assicurarsi che l'etichetta sia scritta in manie-ra leggibile, indelebile e che sia saldamente fissata al contenito-re. Completare tutte le trascrizioni di dati sui registri dei campionie delle attività in campo.

9) decontaminare l'attrezzatura di prelievo secondo la proceduraprescritta per la specifica attività, in funzione dei parametri daanalizzare.

Figura 5.7 Esempio di boxcorer utilizzato per il campio-namento di sedimenti profon-di fino a 50-60 cm. Il boxcorer permette il campiona-mento di sedimento stratifica-to. Esso consiste in una sca-tola (figura a destra) didimensioni variabili che vienemontata sul supporto mostra-to nella figura a sinistra

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InterferenzeIl sistema è adatto per praticamente tutti i parametri da determinare ese correttamente impiegato non presenta interferenze significative. Unalunga esposizione all'aria del sedimento prima che sia richiuso nei con-tenitori può causare l'evaporazione dei costituenti volatili.

5.3.3 Campionamento con carotiere a gravitàIl carotiere a gravità è ancorato ad un telaio in acciaio dotato di pesiche, in caduta libera, consentono la penetrazione negli strati sommersi.All'interno del tubo campionatore può essere alloggiato un liner traspa-rente (policarbonato), che consente immediatamente una prima valuta-zione del materiale prelevato, oltre che della profondità raggiunta,oppure, un liner in polietilene (PLT) inerte. La testa del carotiere vienechiusa con un naso, termine con cui si intende il componente postoall'estremità inferiore del tubo carotiere che ha la funzione di agevolarel'ingresso del sedimento lungo il liner e trattenere il sedimento median-te lamelle convergenti verso l'interno del liner. I liner possono variare inlunghezza tra 1 e 4 metri i pesi possono variare fra 100 e 1000 kg. E'necessario segnalare che, nel corso del prelievo, i materiali possonovenire compressi fino ad un fattore 2. Tale strumentazione deve esserecalata nella stazione di campionamento mediante un verricello montatosu una imbarcazione o su pontone. Nel momento in cui lo strumentoarriva sul fondo l'operatore deve segnare le coordinate geografiche ochilometriche visualizzate sul monitor del DGPS.

ImpiegoIl carotiere a gravità consente il prelievo di strati superficiali di sedimen-ti sommersi, anche consolidati. La profondità di penetrazione dipendedalla natura del sedimento, passando dai 30 cm circa nei fondi sabbio-si agli 80 cm nei fondi più melmosi.Date le modalità di campionamento e di recupero, il campione, ed inparticolare la sua parte centrale, può essere considerato indisturbato.Permette quindi di effettuare una accurata descrizione del sedimento(variazioni fisiche e cromatiche laterali e verticali, strutture sedimenta-rie, ecc.) lungo tutto lo spessore recuperato.

Procedura operativa1) armare il sistema di campionamento secondo le istruzioni del fab-

bricante e ancorarlo al verricello2) mettere in mare lo strumento e farlo scendere alla velocità ade-

guata (meccanicamente o manualmente)3) una volta raggiunto il fondo iniziare la risalita avendo l'accortezza

di non impartire una velocità troppo elevata4) una volta risalito in superficie aprire la testa del carotiere e sfilare

Figura 5.8 - Discesa in acquadi un carotiere a gravità (inalto). Il carotiere è in grado dicampionare anche diversimetri di sedimento non per-turbato dal punto di vista stra-tigrafico

Figura 5.9 - Particolare del“naso” del carotiere ovverodel sistema di chiusura cheassicura di non perderedurante la risalita del carotie-re il sedimento campionato

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Sedimenti fluviali e lacustri

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il liner in cui è contenuta la carota di sedimento5) possibilmente tagliare la carota in diversi strati oppure conservar-

la intatta possibilmente in frigo6) se si è effettuata l'operazione di taglio della carota, raccogliere i

vari strati di campione nell'appropriato contenitore e sigillarlo.Controllare che contenitore, tappo e sottotappo siano del materia-le e del volume previsto per le determinazioni da eseguire

7) identificare il contenitore del campione con l'apposita etichetta esigla identificativa. Assicurarsi che l'etichetta sia scritta in manie-ra leggibile, indelebile e che sia saldamente fissata al contenito-re. Completare tutte le trascrizioni di dati sui registri dei campionie delle attività in campo

8) decontaminare l'attrezzatura di prelievo secondo la proceduraprescritta per la specifica attività, in funzione dei parametri daanalizzare.

InterferenzeIl sistema è adatto per praticamente tutti i parametri da determinare ese correttamente impiegato non presenta interferenze significative. Unalunga esposizione all'aria del sedimento prima che sia richiuso nei con-tenitori può causare l'evaporazione dei costituenti volatili.

5.3.4 Campionamento manualeIl campionamento con sessola o cucchiaio metallico può essereeseguito nel caso d’acqua poco profonda e spessore dei sedi-menti modesto. L’utilizzo di prolunghe può permettere il prelievodi campioni anche nel caso di un maggior battente idrico.

Figura 5.10 - Prelievo deicampioni da una carota disedimento.L’analisi delle carote di sedi-mento permette una ricostru-zione di dettaglio della strati-grafia e della sequenza depo-sizionale dei contaminanti

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Figura 5.11 - Qualora il bat-tente d’acqua sia nell’ordinedi qualche decina di metri ilprelievo del sedimento puòanche essere effettuatomanualmente da subacqueomunito di carotiere

Sedimenti fluviali e lacustri

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Deve essere posta particolare cura nella fase di risalita della spa-tola/sessola per minimizzare la perdita della frazione fine del sedi-mento.Nei casi in cui il battente d’acqua sia limitato a qualche decina dimetri è possibile procedere al campionamento di sedimento conun carotiere manovrato manualmente da un subacqueo.

Figura 5.10 - Campiona-mento con cucchiaio metalli-co

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Capitolo 6Rilievo topografico

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Il rilievo topografico è una attività finalizzata a stabilire l'esatta posizio-ne spaziale delle informazioni ricavate dai sondaggi così da consentirela costruzione di profili interpretativi dell'assetto stratigrafico locale edella piezometria. Particolare cura va posta nella determinazione dellaposizione planimetrica e soprattutto della quota dei piezometri che deverasentare una precisione centimetrica. Su tali dati, infatti, si basa la rico-struzione della superficie piezometrica che spesso è caratterizzata dagradienti molto bassi ed è variabile nel tempo. Per queste determinazio-ni nella pratica comune si sceglie il bordo del boccapozzo come puntodi riferimento per l'attribuzione delle coordinate al piezometro. Tale scel-ta è consigliata dal fatto che è dal boccapozzo che normalmente ven-gono effettuate le misure di profondità della falda. Nel caso in cui il boc-capozzo non sia perfettamente liscio e orizzontale è bene individuare emarcare (ad esempio con un pennarello indelebile) un punto su di essoda cui effettuare le successive misure, compreso il rilevo topografico.Le coordinate possono essere assolute o relative in dipendenza del tipodi lavoro che si deve svolgere. Nella maggioranza dei casi è richiestoche le coordinate siano riferite ad un sistema cartografico nazionale(Roma 40 - Gauss Boaga, ED 50 - UTM) o globale (UTM-WGS 84) ela quota sia determinata rispetto al geoide (quota ortometrica os.l.m.m).Il rilievo topografico può essere effettuato con sistemi ottici (stazionetotale, livello) o mediante strumentazione satellitare (GPS) in funzionedella precisione e della situazione logistica dei punti da rilevare.

Figura 6.1 - Il teodolite è unostrumento ottico a cannoc-chiale per la misurazionedegli angoli azimutali (sulpiano orizzontale) e zenitali(sul piano verticale) usato perrilievi geodetici e topografici.Attualmente sono stati quasicompletamente sostituiti dallastazione totale, in cui al teo-dolite è accoppiato un distan-ziometro; lo stesso distanzio-metro puo' essere del tipotradizionale e cioè ha biso-gno del prisma riflettente pereffettuare la misura distanzio-metrica oppure del tipo lasere rileva la distanza senzal'ausilio del prisma, moltoutile in caso di punti inacces-sibili.

Figura 6.2 - Rilevamentomediante teodolite e palina.

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Rilievo topografico

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Il rilievo topografico effettuato con tecniche classiche (stazione totale epalina con prisma riflettente, livellazione geometrica) è tuttora quello piùutilizzato poiché offre una grande precisione dei risultati sia per quelche riguarda il posizionamento planare sia, in particolare, per l'attribu-zione della quota. Necessita di una squadra di almeno due personecomposta da un topografo, dalla cui esperienza dipendono fortementei risultati ottenuti, ed un aiutante che sostiene la palina graduata. Il metodo, pur richiedendo la intervisibilità tra strumento e punto damisurare, è, adottando specifiche tecniche di rilievo (es. poligonali, livel-lazione frazionata, ecc.) praticamente sempre applicabile, anche in sitiestremamente articolati (presenza di edifici, strutture varie, aree indo-or), ma è necessario che ci si possa appoggiare a capisaldi di coordi-nate note per inquadrare il rilievo nella cartografia nazionale.

Figura 6.3 - Stazione GPS.Sul treppiedi è innestata l’an-tenna che riceve i segnali daisatelliti e li invia ad una inter-faccia

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Rilievo topografico

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Per contro, il GPS (Global Positioning System) è una strumentazionead elevata tecnologia che può essere utilizzato da un singolo opera-tore, non richiede l'intervisibilità tra i punti e può essere utilizzato inqualsiasi ora del giorno e della notte e con qualsiasi condizione atmo-sferica. Tuttavia non è utilizzabile al chiuso e in presenza di ostacoliche impediscono la visibilità dei satelliti. Il campo di applicabilità del GPS in un'area come può essere un sitoindustriale risulta, quindi, limitato dalla presenza di tutti quei fattoriche interferiscono con la comunicazione satellite/ricevitore, quali areeindoor, edifici molto alti, linee di alta tensione, rack aerei al di sopradel punto di misura. Esso fornisce coordinate assolute (WGS84) calcolando la propriaposizione rispetto ad una costellazione di satelliti dedicati senza ilbisogno di un caposaldo di riferimento ma con precisione di alcunimetri, essendo le misure stesse influenzata da vari fattori quali ilnumero e dalla posizione dei satelliti (DOP), la precisione dell'orolo-gio del ricevitore, il ritardo ionosferico e atmosferico, il multipath el'A/S.La precisione delle coordinate ottenibili con il GPS può, tuttavia,essere aumentata utilizzando tecniche di misura differenziali quali la

Figura 6.4. - Il rilievo topogra-fico con sistemi ottici (sopra)consiste nella misurazione diangoli azimutali, zenitali edistanze (stazione totale)rispetto ad un caposaldo dicoordinate note “ancorato” alsistema cartografico. Note ledistanze e le quote rispetto alriferimento vengono determi-nate le coordinate e le quotedei punti “battuti”.Nel rilievo topografico tramiteGPS (sotto), utilizzando unsolo ricevitore vengono forni-te le coordinate assolute(WGS84) calcolate rispettoad una costellazione di satel-liti (almeno 4) e con un erroredell’ordine dei metri. Utilizzando contemporanea-mente due ricevitori (un rice-vitore base posizionato su unpunto di coordinate note -b- euno sul punto da misurare -a)è possibile raggiungere preci-sioni planari di 5-20 mm. Aifini delle indagini idrogeologi-che è necessario determina-re la quota ortometrica (quotas.l.m.) dei boccapozzo e dellafalda piuttosto che la quotaellissoidica, infatti è in basealla prima che si regola il flus-so idrico sotterraneo.Pertanto noto lo scostamentolocale tra ellissoide e geoidecosì come modellizzato dal-l’IGM, si può correggere laquota fornita dal GPS, che èriferita alla superficie dell'el-lissoide.Anche applicando questecorrezioni, la precisione otte-nuta non sempre è accettabi-le ai fini della ricostruzionedella superficie di falda

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correzione differenziale di codice o di fase fino a raggiungere preci-sioni centimetriche o anche subcentimetriche. Queste tecniche richie-dono però l'uso contemporaneo di due ricevitori (un ricevitore baseposizionato su un punto di coordinate note che ed un ricevitore"rover" sul punto da misurare) o di un ricevitore capace di ricevere lecorrezioni differenziali trasmesse da apposite reti di riferimento GNSSche vari Enti stanno realizzando sul territorio nazionale. Con appa-recchi del costo di alcune migliaia di euro e facilmente trasportabili amano è possibile raggiungere precisioni planari di 5-20 mm a secon-da del metodo impiegato, mentre la quota fornita dal GPS, dettaquota ellissoidica, è riferita alla superficie geometrica dell'ellissoide enon è quindi immediatamente utilizzabile per gli scopi topografici.Per poter calcolare la quota s.l.m. (quota ortometrica) occorre cono-scere lo scostamento tra ellissoide e geoide. L'Istituto GeograficoMilitare (IGM) rende disponibile un modello dello scostamento trageoide ed ellissoide calcolato insieme con il politecnico di Milano lacui precisione, tuttavia, difficilmente scende al di sotto della decina dicentimetri. Valore non sempre accettabile quando si deve effettuareuna ricostruzione della superficie di falda e misurare il gradienteidraulico in situazioni in cui l'ondulazione geoidica è più evidente eper le quali restano, quindi, ancora insostituibili le tecniche classichedi livellazione. Per tali motivi, spesso può risultare necessario associare l'uso si stru-mentazione GPS per il calcolo delle coordinate planimetriche conmetodologie topografiche classiche per il calcolo della quota.

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Capitolo 7Sistema della qualità

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7.1 IntroduzioneI dati acquisiti nel corso di una campagna di caratterizzazione ambien-tale sono condizionati dagli errori o dalle imprecisioni che si commetto-no, volontariamente o accidentalmente, nelle diverse fasi dell'indagine(prelievo, conservazione e trasporto del campione, analisi in laborato-rio, interpretazione dei dati e redazione dei rapporti tecnici).

La conoscenza della attendibilità dei risultati ottenuti può aiutare l’utiliz-zatore a prendere decisioni corrette, ad esempio nella valutazione dellaconformità a leggi, specifiche tecniche o norme.

I controlli finalizzati a stimare l'affidabilità dei risultati possono esserepiù o meno approfonditi con un conseguente diverso impatto sui costi esui tempi di realizzazione delle indagini. È proprio per questo motivoche il primo aspetto che occorre affrontare è la definizione di quale"grado di qualità" è necessario raggiungere, in altre parole, definire gli"obiettivi di qualità".

A titolo di esempio, una campagna di indagini ambientali finalizzate aconfrontare con i limiti normativi la concentrazione di un inquinantemisurata nel terreno, potrebbe richiedere una qualità differente rispettoa quella di dati da utilizzare nell'ambito di un processo di certificazioneambientale. Allo stesso modo, la qualità dei dati ambientali acquisiti conlo scopo di ottenere informazioni di screening sui livelli regionali diinquinamento, potrebbe essere differente da quella necessaria per datida utilizzare a supporto di dispute legali.

Figura 7.1 - Nella redazionedi un piano qualità di unaindagine ambientale, il gradodi qualità del dato dipendeanche dalla finalità ultimadella campagna. Ad esempio,obiettivi più “severi”, e quindipiù costosi, potrebbero esse-re pertinenti ad un confrontocon i limiti normativi di unamatrice ambientale piuttostoche uno screening a largascala o finalizzate alla certifi-cazione ambientale

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In sintesi, è necessario definire in fase progettuale la qualità dei dati chesi intende ottenere, tenendo presente gli obiettivi del progetto, le risor-se economiche disponibili e le conseguenze che possono derivare dalprendere la decisione sbagliata utilizzando dati il cui margine di incer-tezza non è noto.

7.2 Il Piano della qualitàUno degli "strumenti" che si utilizzano per far si che un'indagineambientale risponda ai requisiti di qualità è il “Piano della Qualità”, defi-nito con la terminologia anglosassone come Quality Assurance ProjectPlan (QAPP), documento da predisporre in fase di progettazione delleindagini, contenente le procedure di verifica e controllo della qualità(QA/QC).

L'Assicurazione di Qualità (o meglio, secondo la definizione anglosas-sone, Quality Assurance - QA) si riferisce alla gestione del progetto nelsuo insieme, dalla pianificazione, al campionamento, all'analisi, alreporting. La QA assicura che i dati acquisiti siano conformi ai requisitidel progetto.

Gli obiettivi di qualità si raggiungono attraverso Controlli di Qualità (QC)aventi lo scopo di individuare gli eventuali errori che possono verificar-si durante le fasi di attuazione del progetto in modo da poter intrapren-dere le necessarie azioni correttive.

Figura 7.2 - Una tipica appli-cazione di indagini ambienta-li a supporto di dispute legaliè quello della individuazionedel responsabile di uno sver-samento di petrolio in mare.Per confrontare la composi-zione del petrolio sversatocon quella di idrocarburi pre-senti nei sedimenti e quindistabilire un nesso fra sversa-mento e contaminazione deisedimenti, sono richiesteanalisi estremamente detta-gliate sulla tipologia degliidrocarburi (fingerprinting,biomarkers). L’utilizzo in usoforense dei cromatogrammi(a, petrolio sversato, b e cmiscele di idrocarburi presen-ti nei sedimenti) deve esseresostenuto da controlli di qua-lità di estremo dettaglio, talida escludere, ad esempio,contaminazioni esterne delcampione e in grado di quan-tificare le incertezze delmetodo analitico utilizzato

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Il Piano della Qualità non riguarda solo la qualità del dato analitico mainteressa tutti gli aspetti del progetto definendone obiettivi, responsabi-li, cronoprogramma, “tempestività” (cioè velocità con cui i dati sonodisponibili) e accessibilità dei dati.

Gli aspetti di cui si deve tener conto nella redazione di un piano di qua-lità associato ad indagini ambientali, riguardano solitamente:

Figura 7.3 - Schema guidaper la redazione di un Pianodella qualità

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i) la gestione del progettoii) il controllo su tutta la catena di acqusizione dei dati (dal campio-

namento alla analisi) comprendendo gli “strumenti di controllo”della qualità del dato

iii) le procedure di reporting al management e di audit interni per veri-ficare il rispetto delle procedure stabilite

iv)la validazione dei dati.

Anche in questo caso, la completezza e il grado di dettaglio potrannoessere differenziati in funzione dello scopo dell'indagine.

7.3 Concetti base dei controlli di qualitàPer definire la “qualità del dato” ovvero il suo grado di accettabilità sipossono utilizzare alcuni indicatori quali: accuratezza, precisione, rap-presentatività, completezza, comparabilità.

L’accuratezza rappresenta la differenza tra il valore della media deirisultati e il valore vero della quantità misurata. L'accuratezza è unamisura dell'errore sistematico di una misura ed è legata a due fattori: ilmetodo di analisi e le modalità di utilizzo del metodo stesso nel labora-torio. L'accuratezza di un metodo di analisi può essere valutata conprove interlaboratorio e quella delle sue modalità di utilizzo con tecni-che di controllo di qualità (ad esempio confrontando i risultati di analisicondotte sui campioni di indagine con quelli ottenuti dall’analisi di cam-pioni della stessa matrice caratterizzati da un valore noto).

La precisione totale è la misurazione della variabilità della misura dovu-ta sia alle operazioni di campo (prelievo, conservazione, trasporto), siaalle operazioni di laboratorio (preparativa ed analisi). Il calcolo della pre-cisione viene eseguito confrontando i risultati ottenuti da analisi di cam-pioni “duplicati” generati al livello di interesse (campo, laboratorio, ana-lisi).

La rappresentatività esprime il grado di accuratezza con cui un set dicampioni rappresenta la matrice nell’area di campionamento; essa siottiene sulla base di un appropriato programma di prelievo dei campio-ni, da realizzare con tecniche e procedure ben definite. La rappresen-tatività può essere influenzata dall'omogeneità del sito, dall'omogeneitàdel campione rispetto ad un punto preciso dell'area campionata e dallacompletezza delle informazioni sulle quali è preparato il piano di cam-pionamento stesso.

La completezza esprime il numero delle misure valide rispetto all'inte-ro set di misure prodotte.

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Figura 7.4 - Accuratezza eprecisione nella misura diuna grandezza.Supponendo che il centro delbersaglio sia il valore vero, aindica una serie di misurazio-ni precise ma non accurate.Esse sono caratterizzate daun piccolo errore casuale (ilbraccio del tiratore era fermo)e da un apprezzabile erroresistematico fonte di unabassa accurartezza (il mirinodell’arma funzionava male).b al contrario rappresentadelle misure accurate (sonoben disposte attorno al valorevero) ma poco precise. Inquesto caso fattori casualifanno disperdere i colpi intor-no al centro del bersaglio. ced m rappresentamo rispetti-vamente misure accurate eprecise e misure né accuratené precise

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La comparabilità esprime la confidenza con la quale un set di dati puòessere comparato con un altro set di dati. Due set di dati risulterannoconfrontabili quando vengono standardizzate le procedure di campio-namento, metodi analitici, unità di misura, ecc.

7.4 Controlli di qualità in campoIl numero e la tipologia dei controlli, così come il dettaglio nella defini-zione delle procedure, può essere più o meno articolato e completo,secondo gli scopi del progetto. In generale, gli aspetti da tener presen-te ai fini della verifica di qualità nel corso di una indagine ambientaleriguardano:

• manutenzione e calibrazione degli strumenti e delle apparecchiatu-re

• procedure di decontaminazione dell'attrezzatura• campioni di controllo• norme di conservazione e trasporto dei campioni• documentazione di campionamento.

Alcuni di questi aspetti sono stati descritti nei precedenti capitoli di que-sto manuale, nel seguito sono trattati gli aspetti più specificamente con-nessi ai controlli di qualità.

7.4.1 Manutenzione e calibrazione degli strumentiNello svolgimento di una campagna di monitoraggio ambientale sonoutilizzate attrezzature (sonde, campionatori, pompe, ecc.) per il prelie-

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vo di campioni, e strumenti (fotoionizzatori, sonde multiparametriche,ecc.) per l'esecuzione di prove e test di campo.

In fase di pianificazione delle indagini è necessario individuare il nume-ro e la tipologia di apparecchiature necessarie per gli scopi del proget-to e accertarsi che tale attrezzatura sia disponibile ed efficiente.

Come suggerimento di carattere generale, può essere opportuno predi-sporre un programma di manutenzione periodica, da concordare con ilfornitore al momento dell'acquisto, in modo che tutta la strumentazionesia sempre funzionante e in ordine.

Prima di iniziare la campagna di indagini, è poi importante verificare lataratura della strumentazione, con le modalità descritte nel libretto diistruzioni. È importante ricordare che la verifica della calibratura dovràessere effettuata ogni qual volta sorgessero dubbi sulle prestazionidello strumento utilizzato o, in ogni modo, nel caso in cui lo strumentofosse stato utilizzato in condizioni limite. Un tipico esempio è la verificadella calibrazione del fotoionizzatore PID, dopo aver eseguito la misurasu campioni molto contaminati.

Ne consegue pertanto la necessità di avere sempre in campo un kit perla pulizia e la calibrazione di ciascuno strumento.Per garantire l'efficienza dell'attrezzatura nel tempo e per ridurre i costidi manutenzione, è importante che le operazioni di pulizia e calibrazio-ne della strumentazone siano ripetute al termine delle indagini, chequalsiasi guasto o malfunzionamento sia segnalato tempestivamente eche la stessa strumentazione sia riposta in conformità alle specifichefornite dal fornitore.

Figura 7.5 - Kit di calibrazionedel fotoionizzatore. Il kit ècostituito da una bombola diisobutilene (100 ppm) e unaTedlar bag. Durante le fasi diacquisizione dati in campa-gna è molto importante verifi-care periodicamente la puli-zia e la risposta dello stru-mento, specialmente se sisospetta l’inquinamento dellostrumento con campionimolto contaminati che po-trebbe alterare le misure suc-cessive

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Un'ulteriore verifica da effettuare in fase di progettazione delle indaginiè quella della compatibilità dei materiali di cui è costituita l'attrezzaturadi prelievo e conservazione dei campioni con i contaminanti ricercati (adesempio tipologia dei campionatori, degli accessori, dei contenitori perla conservazione dei campioni eccetera).

Per questa verifica, oltre alle indicazioni fornite nelle tabelle presentatenel paragrafo 7.4.4, potrà essere di aiuto un confronto con i tecnici dellaboratorio incaricato di effettuare le analisi e la consultazione delleschede contenenti le specifiche tecniche dei materiali che si intende uti-lizzare.

7.4.2 Decontaminazione dell’attrezzaturaNel corso delle attività di prelievo di campioni di terreno o acqua puòaccadere che, utilizzando attrezzatura non perfettamente decontamina-ta e seguendo procedure poco appropriate, si favorisca il trasferimentodi sostanze inquinanti da un campione all'altro, dando luogo a fenome-ni di contaminazione incrociata (cross contamination).

Per garantire la rappresentatività del campione ed evitare errori dovutia contaminazioni indotte è possibile utilizzare attrezzatura monouso.Come spunto di riflessione, si fa notare che l'utilizzo di materiale usa egetta può comportare la produzione di quantitativi di rifiuti tali che, nelbilancio globale dei potenziali impatti associati all'attività di caratterizza-zione e bonifica, i reali benefici all'ambiente indotti dalle attività di risa-namento possono essere in qualche modo ridimensionati.

Per ciò che riguarda l'attrezzatura "non monouso" e per la strumenta-zione utilizzata, è necessario procedere ad una accurata pulizia, ognivolta che ci si sposta da un punto di prelievo al successivo. Anche inquesto caso, la complessità delle procedure di decontaminazione puòvariare in funzione dello scopo dell'indagine, di condizioni sito specifi-che, del tipo di attrezzatura utilizzata e del tipo di contaminanti poten-zialmente presenti.

Per la pulizia dell'attrezzatura "pesante" (aste di perforazione, carotieriecc.), è buona norma svolgere l'attività all'interno di un'area pavimenta-ta in modo da poter raccogliere e smaltire in maniera adeguata le acquedi lavaggio. La pulizia è in genere effettuata con acqua calda in pressio-ne per mezzo di un'idropulitrice, utilizzando una spazzola per rimuove-re residui di fango o sporcizia. Quando disponibile, sarà utilizzata acquapotabile o, nel caso in cui non ci fossero punti di approvvigionamento,saranno prelevati campioni dell'acqua utilizzata da sottoporre ad anali-si di laboratorio (vedi campioni di controllo qualità).

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Per il lavaggio dell'attrezzatura "leggera" (spatole, bailer, pompe, ecc.),una procedura sufficientemente rigorosa, che non comporti un eccessi-vo dispendio di tempo e di risorse e garantisca altresì risultati soddisfa-centi, prevede i passaggi di seguito riportati:

• lavare con una soluzione detergente non fosfatica, strofinando conuna spazzola

• risciacquare con acqua di rubinetto• risciacquare con acqua deionizzata• disporre l'attrezzatura in un contenitore inerte o in plastica pulita o

in un foglio di alluminio per l'immagazzinamento ed il trasporto.

Nel caso in cui, per la presenza di elevate concentrazioni di contami-nanti, la procedura descritta non garantisse un'adeguata pulizia, sipotrà prevedere l'utilizzo di solventi, ponendo chiaramente la massimaattenzione all'accurato risciacquo degli stessi per evitare contaminazio-ni indotte.

Questa attività sarà condotta in un luogo distante da sorgenti di conta-minazione, in un area appositamente attrezzata, se il caso posizionan-do un telo di plastica pulito per evitare il contatto con il terreno poten-zialmente inquinato.

Un aspetto da tener presente in fase di progettazione, che andrà adincidere soprattutto sui costi dell'indagine, è la raccolta e lo smaltimen-to dei reflui derivanti dalle operazioni di pulizia in accordo alle normati-ve vigenti.

Figura 7.6 - La scarsa manu-tenzione della sonda può pro-vocare la perdita di olio daicircuiti idraulici che può com-promettere il risultato finaledel campionamento

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Da ricordare infine che, per limitare la possibilità di false contaminazio-ni dei campioni, è buona norma procedere al campionamento partendodalle aree che si prevedono meno contaminate procedendo progressi-vamente verso quelle che si presume siano più contaminate.

7.4.3 Campioni di controlloLa necessità di analizzare alcuni campioni di controllo nasce dalla pos-sibilità che nel corso delle fasi di prelievo, conservazione e trasporto, siverifichi la contaminazione indotta dei campioni oppure la degradazio-ne di alcuni composti, per eventi accidentali o per scarsa cura nell'ese-cuzione delle indagini.Il numero e la tipologia dei campioni di controllo, definiti in fase di pro-gettazione della campagna di prelievi, è funzione degli obiettivi del pro-getto, della fase di indagine (di screening, di dettaglio, di conferma deidati) e delle risorse economiche disponibili.

Nei successivi paragrafi sono descritte alcune tipologie di campioni dicontrollo in campo della qualità, di più largo utilizzo nell'esecuzionedelle indagini di caratterizzazione.

Bianco ambientale (ambient blank)I campioni di controllo per l’ambiente di campionamento (in inglese,ambient blank) sono costituiti da una matrice pulita (acqua ultrapura peranalisi di matrici acquose e sabbia di Ottawa per analisi di matrici soli-de), libera da analiti e travasata in un contenitore da campionamentonel punto di prelievo dei campioni di indagine. Devono essere analizza-ti nel caso di analisi di COV e di idrocarburi leggeri (C<12).

Bianco di trasporto (trip blank)I campioni di controllo per il trasporto sono preparati e analizzati conl'obiettivo di misurare eventuali effetti di contaminazione indotta nellefasi di trasporto come, ad esempio, nel caso di campioni non perfetta-mente sigillati, trasportati in ambienti in cui siano presenti contaminantivolatili (es.: vapori di benzina o gas di scarico del mezzo di trasporto).

Si tratta di fiale (in inglese vials) contenenti "acqua pura", preconfezio-nate dal laboratorio analitico, che vengono inserite all'interno dei conte-nitori utilizzati per il trasporto dei campioni (frigo box). Questi campionidi controllo sono spediti dal laboratorio sul luogo di campionamentoinsieme alla vetreria da utilizzare per la conservazione dei campioni diacqua/terreno e, senza essere aperti o maneggiati, sono nuovamenteinviati al laboratorio al termine dei prelievi. Generalmente, i bianchi ditrasporto sono utilizzati quando vengono prelevati campioni per l'anali-si di COV e di idrocarburi leggeri.

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Il bianco dell'attrezzatura (equipment blank)Il bianco dell’attrezzatura serve a valutare l'efficacia delle procedure didecontaminazione dell'attrezzatura usata per il campionamento el'eventuale rilascio di contaminanti da parte d'attrezzatura "usa e getta"utilizzata. L'equipment blank si ottiene facendo scorrere acqua, potabi-le o deionizzata, attraverso la strumentazione utilizzata per il prelievo ela conservazione dei campioni. Questi campioni di controllo devonoessere preparati dopo aver eseguito il lavaggio e la decontaminazionedell'attrezzatura.

Nel caso d'indagini sui terreni, si può prevedere di preparare il campio-ne di controllo facendo scorrere l'acqua attraverso il carotiere e racco-gliendola dopo averla messa in contatto con tutta l'attrezzatura utilizza-ta (spatola, guanti, ecc.). Nel caso d'indagini sulle acque sotterranee, ilcampione di controllo potrà essere preparato facendo scorrere l'acquaattraverso il campionatore (pompa o bailer) e raccogliendola dopo aver-la messa in contatto con l'attrezzatura utilizzata durante il prelievo(guanti, cavetto di sospensione della pompa/bailer, ecc.).

Come detto in precedenza, il numero e la frequenza dei campioni dicontrollo da analizzare dipendono dagli obiettivi del lavoro e dalle risor-se economiche disponibili. Generalmente, per contenere i costi analiti-ci viene inserito un campione di controllo in ciascun frigo box ma vieneanalizzato solo quello contenuto nella spedizione finale. In caso d'incer-tezza dei risultati è possibile procedere all'analisi degli altri campioni intempi successivi (compatibilmente con l'holding time dei composti ricer-cati).

Tabella 7.1 - Informazioni for-nite dai campioni di controllopreparati in campo e in labo-ratorio

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Nel caso in cui un analita fosse rilevato nei campioni di controllo, la con-centrazione rilevata deve essere riportata nei certificati analitici in modoche l'informazione possa essere utilizzata nella interpretazione dei risul-tati.

Duplicato di campo (field duplicate)Si tratta di due campioni identici ottenuti, nel caso di terreni, con opera-zioni d'omogeneizzazione e quartatura da sottoporre allo stesso proto-collo analitico con lo scopo di verificare la precisione dei risultati e leprestazioni di un laboratorio.Particolare cura deve essere posta, soprattutto nel caso di campioni diterreno, nella preparazione dei due campioni, poiché eventuali disomo-geneità in questa fase potrebbero indurre errate interpretazioni dei risul-tati.

Si deve notare che, nel caso di campioni da sottoporre ad analisi per ladeterminazione di VOC, per i quali si dovrebbe evitare qualsiasi formadi omogeneizzazione, eventuali differenze dei risultati possono esseredovute anche a un'intrinseca disomogeneità del campione prelevato(N.B.: i campioni sarebbero da considerarsi a tutti gli effetti delle repli-che e non dei duplicati).

Per la verifica della correttezza delle procedure analitiche utilizzate èpossibile sottoporre uno o più campioni duplicati ad analisi presso unsecondo laboratorio.

Figura 7.7 - Procedure diomogeneizzazione dei cam-pioni di terreno per la prepa-razione di duplicati

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È questo il tipico esempio di verifica effettuato dagli enti preposti al con-trollo delle attività di caratterizzazione. Le indicazioni fornite in sede diconferenza di servizi dei siti di interesse nazionale prevedono che il10% dei campioni analizzati nel corso delle indagini effettuate in un sitosia analizzato anche presso i laboratori dell'ente pubblico di controllo(ARPA, APPA, AUSL).

Dal confronto dei risultati analitici relativi a campioni duplicati, analizza-ti da due differenti laboratori possono emergere profonde difformità.Con lo scopo di chiarire e semplificare l'interpretazione dei risultati,l'Istituto Superiore di Sanità ha proposto un protocollo, acquisito dalMinistero per l'Ambiente e la Tutela del Territorio (prot. 5522/RIBO/B del3 giugno 2003).

Duplicato cieco (blind duplicate)Si tratta di una tipologia particolare di "duplicato", rappresentato da duecampioni identici raccolti in due differenti contenitori, etichettati con duedifferenti identificativi senza che il laboratorio incaricato di effettuare leanalisi ne sia a conoscenza. Tali campioni servono a verificare la preci-sione delle procedure analitiche adottate dal laboratorio.

Campione d'acqua (source water blank)Si tratta di un campione dell'acqua utilizzata per le operazioni di puliziadell'attrezzatura o eventualmente, utilizzata nel corso delle perforazio-ni. Nel caso d'utilizzo di differenti fonti d'approvvigionamento è opportu-no prelevare un campione di controllo da ciascuna fonte.

A conclusione delle attività di laboratorio si procede ad una revisionedei dati in relazione a tutti i controlli qualità abbinati e una qualificazio-ne di ciascun risultato analitico, che permette immediatamente di capi-re la bontà del risultato esaminato.

7.4.4 Conservazione e gestione dei campioniDopo il prelievo è necessario adottare tutte le precauzioni per evitareche le analisi vengano falsate dall'alterazione del campione. A questoproposito si rende necessario adottare specifiche procedure di conser-vazione dei campioni che devono essere riposti in contenitori di mate-riali adeguati alla matrice ambientale prelevata ed alla tipologia di con-taminante da analizzare.

I campioni di terreno vengono generalmente conservati ad una tempe-ratura di 4°C. Per quanto riguarda i campioni di acqua, vengono utiliz-zate tecniche di conservazione più sofisticate che comprendono:

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• addizione di sostanze chimiche• protezione dal contatto con l’atmosfera• protezione dalla luce.

Le caratteristiche chimico-fisiche dell'acqua, infatti, cominciano a modi-ficarsi subito dopo che il campione viene prelevato; i processi chimico-fisico-biologici che alterano la qualità e la rappresentatività del campio-ne comprendono:

• adsorbimento e desorbimento• formazione di complessi• reazioni acido-base• reazioni di ossidoriduzione• precipitazione• degradazione biologica• fotodegradazione• stripping e dissoluzione di gas.

L'idonea tecnica di preservazione per ciascun parametro e per ciascu-na matrice ambientale deve essere identificata dal laboratorio di anali-si. Nella tabella che segue vengono fornite alcune linee guida per lascelta del tipo di contenitore e della tecnica di preservazione per cam-pioni di acqua e di terreno.

Ai fini della assicurazione della qualità dei dati acquisiti è molto impor-tante che tutte le attività svolte in campo siano opportunamente anno-tate in modo da poter ricostruire tutte le fasi della campagna e avereelementi utili per la interpretazione di eventuali anomalie.

Nel corso delle attività di prelievo, per ciascun campione, può essereutile compilare una scheda di campionamento, comprendente una seriedi informazioni tra cui la data e l'ora, le modalità di prelievo, eventualiproblemi o anomalie riscontrate nel corso del campionamento e ognialtra informazione o indicazione che può risultare utile nella interpreta-zione dei risultati.

Tutti i campioni prelevati saranno identificati in modo chiaro e univocodal personale in campo: l'etichetta conterrà i dati essenziali del campio-ne, quali l'identificativo del campione e del sito, la data e l'ora del pre-lievo e la sigla del tecnico che ha effettuato il prelievo.

I campioni dovranno essere riposti all'interno di frigo box portatili, aven-do cura di evitare l'esposizione a fonti di calore o a sorgenti di contami-nazione (ad esempio i gas di scarico della sonda).

Tabella 7.2 (pagina seguen-te) - Tipo di contenitore,quantità di campione diacqua da prelevare, procedu-ra di conservazione riferiti adalcuni analiti di interesseambientale. Prima di proce-dere al campionamento è tut-tavia consigliabile stabilire leprocedure di stoccaggio epreservazione dei campionicon il laboratorio cui sarannoinviati i campioni. (Da NormaISO 5667/3 2003)

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Si provvederà quindi a compilare la documentazione di trasporto dettacatena di custodia (chain of custody), nella quale saranno nuovamenteannotate tutte le informazioni relative al batch di campioni contenuto nelfrigo box.

Figura 7.9 - Esempio dimodulo per il trasporto deicampioni ("Chain of Custodyform"). L'esame delle date diprelievo, spedizione e analisidi campioni potrebbe fornireindicazioni utili nella interpre-tazione di concentrazionianomale di un particolarecomposto e nella verifica dieventuali errori introdotti nelcorso di una delle fasi, ilrispetto degli holding time deivari composti, ecc.

Figura 7.8 - Esempio dimodulo per il prelievo di cam-pioni di sedimento

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7.5 Elementi di controllo qualità in laboratorioAnche nella fase di laboratorio dovranno essere adottate tutte le misu-re necessarie a tenere sotto controllo gli errori, sistematici o casuali,che possono essere commessi e la cui entità influenza la qualità finaledel risultato.

È quindi opportuno che le analisi siano svolte in laboratori pubblici o pri-vati che garantiscano una elevata capacità e la rispondenza a requisitidi qualità. In questo senso, una prima valutazione, può riguardare ilpossesso di accreditamento ai sensi della norma UNI CEI EN ISO/IEC17025, che è la norma contenente i requisiti che devono essere soddi-sfatti da un laboratorio per dimostrare di attuare un sistema di qualità,di essere tecnicamente competente e di poter produrre risultati validi.

In Italia, l'organismo di accreditamento che attraverso verifiche tecnicheperiodiche accerta la conformità rispetto alla norma UNI CEI ENISO/IEC 17025 è il SINAL. Questo Ente, essendo indipendente e rap-presentativo di tutte le parti interessate, garantisce sulla competenza edimparzialità dei laboratori nell'effettuazione delle prove accreditate.

Si fa notare che un laboratorio, pur essendo accreditato SINAL, potreb-be non possedere l'accreditamento per le metodiche che devono esse-re utilizzate in una specifica campagna: è quindi opportuno verificare irequisiti del laboratorio e l'esperienza maturata nello svolgimento diprogrammi analitici analoghi a quelli previsti nel piano d'indagine.

Il fatto di rivolgersi a laboratori accreditati non costituisce di per se unagaranzia per la fornitura di dati scientificamente difendibili. Tale garan-zia è data esclusivamente dal fatto che siano stati eseguiti un numeroadeguato di controlli di qualità e che i risultati dei controlli siano residisponibili insieme, se necessario ai dati grezzi (es.: cromatogrammi,file generati dai software di interpretazione delle procedure analitiche,ecc.).

È importante quindi che il Piano della qualità sia elaborato congiunta-mente agli esperti del laboratorio selezionato, in particolare per le fasicomprese tra il prelievo dei campioni e la restituzione dei risultati anali-tici.

In generale, gli aspetti finalizzati a garantire l’acquisizione di dati rispon-denti agli obiettivi di qualità previsti in fase progettuale,comprendono:

• l'utilizzo di procedure di controllo interno al laboratorio - la verificadei requisiti dei materiali di consumo (vetreria, ecc.), la verifica dei

Figura 7.10 - Logo SINAL.In Italia il SINAL èl'Organismo di Accredita-mento che verifica la compe-tenza dei laboratori nellaeffettuazione delle proveaccreditate, rispetto allanorma UNI CEI EN ISO/IEC17025. Lo schema dell'accre-ditamento è stato messo apunto dall'Unione Europea alfine di permettere la libera cir-colazione di merci e prodottisul territorio comunitario,senza necessità di controlliripetitivi da parte delle autori-tà dei vari Paesi

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requisiti dei materiali certificati, la manutenzione degli strumenti edelle apparecchiature, l’adozione di procedure di calibrazione dellastrumentazione, il numero e della tipologia di campioni di controllo

• l'utilizzo di metodi analitici validati• la partecipazione a programmi di interconfronto• la dimostrazione della riferibilità dei risultati delle misurazioni.

Una trattazione esauriente delle procedure di controllo da adottare inlaboratorio è riportata nel documento redatto da APAT attraverso il CTNSSC "Guide tecniche su metodi di analisi e di monitoraggio: Propostadi Guida Tecnica sui Metodi di Analisi dei Suoli Contaminati" RTICTN_SSC 3/2002, Aprile 2003, al quale si rimanda per gli approfondi-menti (http://ctntes.arpa.piemonte.it/html/PUBBLICAZIONI.htm).

L'aspetto che si vuole sottolineare, perché rappresenta il punto di par-tenza per la valutazione dei risultati e le conclusioni riguardanti il gradodi inquinamento di un sito, è il contenuto del rapporto di prova fornitodal laboratorio.Il grado di dettaglio delle informazioni contenute nei rapporti di labora-torio dipende, anche in questo caso, dagli scopi del progetto. Un rap-porto sufficientemente completo dei risultati delle analisi dovrebbeincludere:

• denominazione del laboratorio di analisi• numero di identificazione del rapporto• denominazione del cliente o destinatario• data di ricevimento dei campioni• data di esecuzione dell’analisi• metodologia di analisi• riferimenti all’accreditamento della metodica specifica• risultati analitici e incertezza• dati sul recupero dell’analita• limiti di rivelabilità• firma dell'analista e data del rapporto.

Mentre il significato di alcune delle informazioni contenute in un certifi-cato analitico risultano di comprensione immediata, altre sono suscetti-bili di interpretazione e, pertanto, si ritiene utile proporre alcuni appro-fondimenti.

Si osserva, ad esempio, che non esiste una definizione univoca di “limi-te di rivelabilità” e che differenti enti e istituzioni - IRSA, EPA, IUPAC,ecc. - attribuiscono significati differenti a tale grandezza (si rimanda perapprofondimenti al citato documento APAT-CTN).

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Secondo l'EPA, il "limite di rivelabilità del metodo" (MDL) è definitocome la minima concentrazione di sostanza che può essere misurata eriportata con livello di confidenza del 99% che la concentrazione di ana-lita sia maggiore di zero.

In pratica, il MDL dipende dalla matrice, dalla metodologia adottata,dalla strumentazione e dall'operatore che esegue le misure: laboratoridiversi produrranno MDL diversi anche usando la stessa metodica. Èimportante dunque che ogni laboratorio verifichi periodicamente, attra-verso una ripetizione della procedura di misurazione e di calcolo, il limi-te che è in grado di ottenere.

Per far comprendere la complessità dell'argomento, si osserva poi che,nello stesso laboratorio, utilizzando la stessa procedura, è possibileottenere limiti di rilevabilità differenti. Due differenti campioni analizzatidallo stesso laboratorio possono presentare limiti differenti in funzione,tra l'altro, anche dei quantitativi di campione, del volume finale estratto,dei valori di pH, oppure della presenza di contaminanti diversi da quel-li di interesse, ecc.

Vista la varietà delle definizioni e dei metodi di calcolo, è importantequindi, quando si riporta un limite di rivelabilità, indicare in che modo èstato calcolato.

A volte è utile dichiarare la concentrazione al di sotto della quale il meto-do analitico non può fornire una precisione accettabile. Si utilizza allorail limite di quantificazione (Limit of Quantitation, LOQ o Reporting Limit,RL ). Questo può essere descritto (anche in questo caso non esistonodefinizioni univoche) come il valore corrispondente al punto inferioredella retta di calibrazione e non deve essere mai inferiore a un multiplodel MDL (2-3 volte l’MDL).

Si osserva inoltre che non è corretto riportare zero come risultatodi un’analisi ma è necessario indicare che la grandezza misurataè inferiore al limite di rilevabilità.

Figura 7.11 (pagina a fianco)- Rapporto di prova.E’ il certificato ufficiale, firma-to da un chimico abilitato,emesso dal laboratorio chimi-co che ha svolto l’analisi

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Capitolo 8Caratteristiche dei contaminanti

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8.1 IntroduzioneCon il termine contaminazione si intende l’introduzione nelle matriciambientali (acqua, aria, suolo) di una qualsiasi sostanza, composto oagente in concentrazioni tali da rendere quella matrice non idonea alsuo utilizzo, effettivo o potenziale. Inoltre, la presenza di contaminantinelle diverse matrici ambientali oltre certi livelli comporta una serie diconseguenze negative per la catena alimentare e quindi per la saluteumana e per tutti i tipi di ecosistemi e di risorse naturali. Per valutarel’impatto potenziale dei contaminanti, è necessario non solo determi-narne la concentrazione, ma anche il relativo comportamento e il mec-canismo di esposizione per la salute umana. In generale un contami-nante può essere di natura fisica, chimica, biologica o radioattiva. Nellamaggior parte dei casi, le indagini ambientali descritte in questo testoriguardano la contaminazione chimica originata dall’attività umana (es.da processi industriali, incidenti, discariche mal realizzate) o da proces-si naturali legati a fattori geologici, chimici, fisici e biologici. Spesso sidistingue una contaminazione del suolo derivante da fonti localizzate(contaminazione locale o puntiforme) e quella derivante da fonti diffuse. Figura 8.1 - L'albero dei con-

taminanti è una rappresenta-zione sintetica dei "rapporti diparentela" fra le classi di con-taminanti così come definitenell'attuale normativa. Siosserva che i contaminantiorganici sono di fatto tuttiidrocarburi, ovvero molecoleanche molto complessecostituite da atomi di carbo-nio e di idrogeno. Que-st'ultimo è sostituito in molticasi da atomi di Cl, F, gruppiNO2, CH3, OH, ecc. Gli idro-carburi alifatici sono caratte-rizzati da catene lineari oramificate di atomi di C, men-tre gli idrocarburi aromaticisono caratterizzati dalla pre-senza di uno o più anelli ben-zenici (rispettivamente monoe poli-ciclici). Il gruppo deifitofarmaci è stato posiziona-to a cavallo fra gli aromaticipoliciclici e gli alifatici poichédi esso fanno parte compostiappartenenti alle due classi. Ilgruppo dei BTEX è compostoda benzene, toluene, etilben-zene, xileni (più stirene).PCDD e PCDF indicano, ri-spettivamente, diossine efurani, PCB sono i policlorobi-fenili

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Caratteristiche dei contaminanti

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La contaminazione locale o puntiforme può dipendere da attività indu-striali, da attività minerarie, dalla presenza di discariche, ecc. e puòessere generata sia durante le fase di funzionamento che dopo la chiu-sura dell’attività. L’inquinamento diffuso è in genere associato a feno-meni che hanno un’impatto areale rilevante quali la deposizione atmo-sferica, determinate pratiche agricole e inadeguate operazioni di tratta-mento di rifiuti o di acque reflue. Determinate condizioni geologichepossono giustificare la presenza di contaminanti (metalli) in concentra-zioni anche molto elevate, che costituiscono il “fondo naturale” del-l’area.Gli elementi ed i composti, di origine naturale e non, che possono esse-re considerati dei contaminanti sono numerosissimi; solitamente nelleindagini volte a determinare lo stato di contaminazione di una matriceambientale si indirizza la ricerca su quelli che hanno attinenza con leattività produttive (correnti o del passato) del sito, con particolare rife-rimento a quelli considerati nella normativa vigente. Per le specie chi-miche non presenti nelle tabelle e comunque potenzialmente contami-nanti ci si può riferire alle indicazioni fornite dagli organi competenti (es.ISS). La maggior parte delle metodiche analitiche prevede che il cam-pione sia trattato, ad esempio sia estratto o “digerito”, prima della deter-minazione strumentale. Tali trattamenti sono sempre necessari nel casodi analisi delle matrici solide (suoli e sedimenti) ma in molti casi risulta-no necessari anche per le analisi delle acque. I tipi di trattamento daoperare consistono genericamente in: digestione acida nel caso delladeterminazione di metalli pesanti; estrazione con soluzione acquosenel caso di composti inorganici; estrazione con solvente organico nelcaso di composti organici semivolatili o non volatili; volatilizzazione oestrazione con solvente organico per i composti organici volatili. Perogni categoria sono possibili più modalità operative (ad esempio estra-zione con soxhlet, con ultrasuoni, in fase supercritica, ecc.). Le tecnichestrumentali adoperate per la determinazione dei vari analiti si suddivi-dono in tecniche spettroscopiche di assorbimento o emissione per ladeterminazione dei metalli o tecniche cromatografiche che a loro volta

Figura 8.2 - Schema indicati-vo delle possibili procedureanalitiche e delle tecnichestrumentali comunementeimpiegate per la determina-zione delle specie chimichedi interesse ambientale

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Caratteristiche dei contaminanti

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comprendono la cromatografia ionica per la determinazione dei compo-sti inorganici, la cromatografia liquida per la determinazione di compo-sti organici semivolatili o non volatili e la gas-cromatografia per i com-posti volatili.

8.2 I contaminantiL’attuale normativa suddivide i contaminanti in numerose classi all’inter-no delle quali essi non necessariamente mostrano caratteristiche chimi-co-fisiche o di comportamento ambientale omogeneo. Nonostante ledifficoltà di sintesi derivanti da questo assunto, nel seguito oltre alladescrizione di ogni classe, si riportano anche delle informazioni, deltutto indicative e non certo esaustive, circa l’origine ed il “destino”ambientale dei contaminanti, ovvero la loro attitudine a degradarsi/per-sistere nell’ambiente, o a passare da una matrice all’altra. Per ogniclasse sono indicate le tecniche analitiche più comunemente impiegatee i principi su cui esse si basano.

8.2.1 MetalliSecondo quanto riportato nella normativa vigente, con il termine “metal-li” sono identificati, oltre ai metalli veri e propri - che comprendonoanche gli elementi di transizione - i metalloidi B, As, Sb, e Se. Gli ele-menti di transizione possono presentarsi in diversi stati di ossidazione,a seconda delle condizioni chimico-fisiche dell’ambiente in cui si trova

Figura 8.3 - Tavola periodicadegli elementi chimici. Sonoevidenziati i non metalli(arancio), i metalli (verde) e imetalloidi (viola). Gli elemen-ti di maggior rilevanzaambientale sono evidenziaticon la scritta rossa. Si osser-va che alcuni elementi, purritrovandosi molto comune-mente nei minerali che costi-tuiscono le rocce (es. Fe, Al)sono riconosciuti, secondo lanormativa vigente, comepotenzialmente contaminantinelle acque sotterranee

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Caratteristiche dei contaminanti

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no. Generalmente sono presenti in forma ionica ai più bassi stati di ossi-dazione ed in forma covalente ai più elevati. Tale comportamento rendeparticolarmente difficile generalizzare le loro proprietà chimico-fisichenell’ambiente.

OrigineI metalli possono essere di origine naturale (geologica) o di origineantropica. In quest’ultimo caso, l’immissione nell’ambiente può avveni-re in seguito alla presenza di sorgenti di contaminazione puntuale(smaltimento di rifiuti, attività industriali, aree intensamente urbanizza-te, ecc.) oppure a fenomeni di inquinamento diffusi (pratiche agricole edi allevamento, traffico veicolare, ecc.). Molti metalli oltre a trovarsinaturalmente nelle rocce possono essere immessi nelle matrici ambien-tali attraverso le polveri e i gas vulcanici; alcuni di essi costituisconoinoltre gli oligoelementi utilizzati nei processi metabolici di animali epiante.

Presenza e mobilità nell’ambienteLe proprietà chimico-fisiche dei metalli, come ad esempio la solubilità,sono fortemente influenzate da parametri chimico-fisici quali pH, tem-peratura e potenziale redox ma anche dalla presenza di diverse formeorganiche ed inorganiche nelle matrici ambientali. I metalli infatti posso-no partecipare a diverse reazioni quali dissoluzione/precipitazione,complessazione, riduzione/ossidazione e, a seconda del tipo di formachimica in cui vengono a trovarsi, possono avere maggiore o minoreimpatto sull’ambiente. In acqua possono trovarsi disciolti, quindi in

Figura 8.4 - La contaminazio-ne da metalli può derivare dadiverse attività, non ultima ildrenaggio acido di miniera.Durante le fasi di estrazionedei minerali si deve procede-re al drenaggio dei condotti diminiera. Le acque drenatepossono avere un pH moltobasso ed un contenuto inmetalli elevatissimo

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Caratteristiche dei contaminanti

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forma solubile, oppure presenti nel particellato sospeso. Nelle matricisolide (suolo e sedimenti) possono trovarsi in forme più o meno mobilie quindi disponibili ad interagire con diversi recettori. In atmosfera, nonessendo volatili, ad eccezione del mercurio che è liquido a temperatu-ra ambiente, possono trovarsi associati alle polveri (PM ParticulateMaterial, materiale particolato).

Metodi analiticiNella fase di prelievo i campioni, sia solidi che liquidi, da analizzare peril contenuto di metalli devono essere posti in recipienti di polietilene econservati ad una temperatura di 1-5°C. Se la matrice è liquida, è pre-

Figura 8.5 - Spettrofotometrodi assorbimento atomico afiamma (FAAS)

Figura 8.6 - Spettrometria diassorbimento atomico conatomizzazione a fiamma(FAAS) o con fornetto di gra-fite (GFAAS). Nella spettro-metria FAAS la soluzione daanalizzare viene nebulizzataed avviata verso una fiamma(bruciatore) che atomizza isingoli elementi presenti nellasoluzione stessa. Nel casodella GFAAS il bruciatore ècostituito da un cilindro digrafite, riscaldato elettrica-mente, a temperature nell'or-dine dei 2800°C. Per ognielemento da analizzare unraggio luminoso monocroma-tico dotato di una energia ini-ziale attraversa il bruciatore eintercettando gli atomi vienein parte assorbito. Il rapportofra energia posseduta dalraggio luminoso in entrata ein uscita dal bruciatore è pro-porzionale alla concentrazio-ne dell'elemento da determi-nare. La determinazionedella concentrazione è quindiottenuta attraverso la costru-zione di una retta di calibra-zione con opportune soluzio-ni standard

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Caratteristiche dei contaminanti

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feribile acidificare debolmente il campione con HCl diluito. Nel caso sidebbano eseguire analisi per determinare la forma chimica in cui ilmetallo è presente nella matrice è necessario conservare il campione a-20°C per preservare le forme organiche del metallo, avendo cura dievitare la presenza di ossigeno che può causare variazioni dello statodi ossidazione. Un possibile trattamento del campione per la determina-zione dei metalli prevede una digestione acida mediante acqua regia(HNO3/HCl in rapporto volume/volume 1:3) preceduta da un pretratta-mento con perossido di idrogeno (acqua ossigenata). La digestione delcampione è da operarsi a caldo o su piastra riscaldante o con forno amicroonde. Per la determinazione analitica dei metalli si possono utiliz-zare sia la spettroscopia di assorbimento atomico a fiamma (FAAS), siala spettroscopia di emissione a plasma ad accoppiamento induttivo(ICP-AES) come anche la spettroscopia di assorbimento atomico confornetto di grafite (GF-AAS) o ancora la spettroscopia di emissione aplasma con il sistema di rivelazione costituito da uno spettrometro dimassa (ICP-MS). Il confronto fra le diverse tecniche è riassunto inTabella 8.1.

Figura 8.7 - Spettrometria diemissione al plasma, ICP(Inductively Coupled Pla-sma). Nella spettrometria diemissione al plasma la solu-zione da analizzare vienenebulizzata ed avviata versoun plasma di argon che ecci-ta gli atomi dei vari elementi.Nel caso il rivelatore sia ditipo ottico (OES, OpticalEmission Spectro-meter) leradiazioni emesse, caratteri-stiche per lunghezza d'ondae intensità di ogni elementoeccitato sono determinatequantitativamente attraversola costruzione di rette di cali-brazione con opportune solu-zioni standard. Nel caso delICP-MS il rivelatore consistein uno spettrometro di massain grado di separare unamiscela di ioni in funzione delloro rapporto massa/caricatramite campi magnetici stati-ci o oscillanti

Tabella 8.1 - Confronto fra letecniche analitiche utilizzateper la determinazione deimetalli

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.2 BoroIl boro è un metalloide ovvero un elemento avente proprietà intermedietra i metalli e i non metalli. Esso può presentarsi in natura in diverseforme, la più comune delle quali è quella del boro amorfo, una polverescura, non reattiva con ossigeno, acqua, acidi e basi.

OrigineIn natura non si trova mai in forma elementare ma legato in compostiquali borace, acido borico, minerali (chernite, ulexite, colemanite) eborati. A volte l’acido borico può essere presente nelle acque di sorgen-te di origine vulcanica. La fonte principale di immissione antropica delboro nell’ambiente è rappresentata dallo scarico di effluenti domestici,a causa del suo impiego nei formulati di alcuni detergenti, e di effluentiindustriali, considerato l’ampio utilizzo nella sintesi organica, nella fab-bricazione del vetro borosilicato, come conservanti per il legno e nell’in-dustria cosmetica e ospedaliera.

Presenza e mobilità nell’ambienteI tempi di permanenza e le modalità di diffusione del boro nelle matriciambientali non sono state ad oggi pienamente comprese. Non sembrache abbia la tendenza ad accumularsi negli organismi animali mentresembrerebbe avere la tendenza ad accumularsi nei vegetali.L’esposizione degli esseri umani al boro può avvenire quindi attraversoil consumo di frutta e verdura oltre che attraverso acqua, aria e prodot-ti di consumo specifici quali cosmetici e di lavanderia.

Metodi analiticiDopo la fase di prelievo i campioni, siano essi solidi o liquidi, vanno con-servati in recipienti di polietilene e conservati a 4°C fino all’analisi chedovrà essere effettuata entro una settimana dal prelievo. La determina-zione del boro nelle matrici solide si ottiene operando un’estrazione conacqua a caldo. La procedura analitica permette pertanto di determinarela frazione idrosolubile. Il boro in soluzione viene fatto reagire con uncomposto organico (curcumina) al fine di ottenere un composto di colo-re rosso (rosocianina) che può essere determinato per via spettrofoto-metrica UV-visibile.

Figura 8.8 - La spettroscopiaUV-visibile è basata sull'irrag-giamento del campione conun intervallo più o menoampio di lunghezze d'onda; lelunghezze d'onda assorbite,aventi energia sufficiente apromuovere cambiamenti alivello elettronico nella mole-cola, corrispondono ai gruppifunzionali (ovvero a caratteri-stici gruppi di elementi pre-senti nella molecola) dellemolecole. La risposta è visibi-le sotto forma di spettro diassorbimento. Negli spettro-metri a doppio raggio si hainvece un sistema che inviadue raggi, identici per fre-quenza e intensità, uno attra-verso il campione e l'altroattraverso il bianco, per cui siha un confronto continuo tral'assorbanza del campione equella del bianco. Gli spettro-fotometri UV-visibile sonomolto diffusi per la loro sem-plicità di utilizzo e versatilità eper il basso costo; quasi tuttele sostanze organiche pre-sentano assorbimenti nelrange strumentale (180-800nm)

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8.2.3 CianuriCon il termine cianuri sono indicati i composti che contengono il gruppoCN, formato da un atomo di azoto e uno di carbonio legati tra loro. Ilgruppo CN mostra la tendenza a combinarsi con molte altre molecolesia organiche sia inorganiche, formando composti semplici o comples-si. Esempi di cianuri semplici sono l’acido cianidrico (HCN) e i cianuri disodio e di potassio (NaCN e KCN). A temperatura ambiente, l’acido cia-nidrico è un liquido volatile incolore, mentre i sali si presentano comesolidi di colore bianco. La tossicità dei cianuri è funzione del tipo dimolecola in cui sono presenti: in genere, i composti più complessi sonomeno pericolosi rispetto a quelli più semplici. Alcuni composti comples-si, poco tossici, possono però essere convertiti in forme molto tossichequando sono dissociati. La frazione di cianuri presenti nelle varie matri-ci ambientali in forma dissociata o facilmente dissociabile e quindipotenzialmente tossica rappresenta i cosidetti cianuri “liberi”, per la cuideterminazione non è stata ancora definita una metodologia condivisa.

OrigineIn natura i cianuri sono presenti in una gran quantità di piante, dettepiante cianogenetiche, che appartengono a diversi generi e contengo-no nelle loro foglie, nei loro semi e nelle loro radici dei glicosidi ciano-genetici capaci di liberare, per idrolisi, l’HCN. Anche altri organismi,quali batteri, funghi e alghe hanno la capacità di produrre questi com-posti nel loro ciclo vitale. Gran parte dei cianuri immessi nell’ambientedall’uomo sono scorie e residui originati da processi industriali (centralielettriche, impianti per la produzione di alluminio, raffinerie). L’acido cia-

Figura 8.9 - Elettrodo ionose-lettivo per misure potenzio-metriche. Immergendo lasonda nella soluzione cam-pione, la membrana ionose-lettiva risponde in modo spe-cifico (in termini di permeabi-lità o anche in termini reazio-ni che "sviluppano" carichenella soluzione elettrolitainterna) in presenza di deter-minati ioni. Esistono diversitipi di membrana; per i cianu-ri, fluoruri, bromuri solfati siutilizzano le membrane astato solido, costituite da salia bassa solubilità in cui ilpotenziale si sviluppa sullasuperficie della membrana aseguito di processi di scam-bio ionico. Per altri ioni es.cloruri e nitrati le membranesono costituite da scambiato-ri organici di ioni. Un voltme-tro misura la differenza dipotenziale fra la cella di misu-ra ed una cella di riferimento.La differenza di potenziale èdirettamente proporzionalealla concentrazione delloione "selezionato" dallamembrana

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Caratteristiche dei contaminanti

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nidrico è impiegato come reagente intermedio nella sintesi di numerosicomposti chimici quali materie plastiche, coloranti, esplosivi, farmaci.Altri processi di finitura nella lavorazione dei metalli utilizzano sali di cia-nuro, che seppure a bassa tossicità come composti tal quale, quandoesposti alla luce solare possono decomporsi e originare acido cianidri-co in forma gassosa. La modalità di rilascio più comune dei cianuri nel-l’ambiente è attraverso gli scarichi industriali.

Presenza e mobilità nell’ambienteIn genere i cianuri non presentano caratteristiche di persistenza nel-l’ambiente, non hanno la tendenza ad accumularsi negli organismi esono rapidamente decomposti dai microrganismi. Non possiedono inol-tre una particolare tendenza a legarsi alle particelle di terreno e sonolisciviati dalle acque di infiltrazione. Si hanno comunque esperienze incui è stata rilevata la presenza di elevate concentrazioni di questi com-posti nei terreni e nelle acque.

Metodi analiticiIl metodo EPA 9013A descrive la procedura da utilizzare per estrarre icianuri solubili da matrici solide (terreno, sedimenti e rifiuti) ed è basa-ta su un’estrazione in ambiente acquoso a pH=10 o superiore, al fine dipoterli analizzare utilizzando le metodiche previste per le matrici acquo-se. Il metodo si basa sulla reazione con un composto clorurato cheporta alla formazione di cianogeno di cloro (CNCl, cianuri reattivi con ilcloro) che a sua volta verrà determinato per via spettrofotometrica dopola formazione di un composto colorato (EPA 9014), oppure per viapotenziometrica mediante elettrodo ionoselettivo (EPA 9213). Il metodoEPA 9010 prevede l’estrazione dei cianuri mediante distillazione inambiente fortemente acido. L’HCN formatosi viene catturato medianteuna soluzione alcalina. In questo caso i cianuri che verranno determi-nati rappresentano i cianuri totali. Il metodo IRSA proposto per l’analisidei cianuri nelle acque è basato sugli stessi principi del metodo EPA9014 ovvero sulla determinazione dei cianuri che reagiscono con ilcloro.

8.2.4 AnioniAppartengono a questa categoria elementi e/o composti che hannoacquistato una o più cariche elettriche negative (elettroni). Gli anioni piùcomuni (cloruri, fluoruri, nitriti, nitrati e solfati) sono solubili in acqua emolti composti contenenti fluoro possono essere volatili.

OrigineI nitrati sono composti inorganici estremamente solubili la cui presenzanell’ambiente è legata sia a processi naturali quali la degradazione dellasostanza organica contenente azoto (urea, concimi e ammendanti

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Caratteristiche dei contaminanti

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organici) ad opera di microrganismi in presenza di ossigeno, sia ad atti-vità industriali quali quelle di produzione della carta, munizioni, combu-stione di combustibili fossili. I nitrati rappresentano pertanto un conta-minante estremamente diffuso nei terreni e nelle acque, la cui origine èlegata a fonti diffuse (fertilizzanti agricoli) e a sorgenti puntuali (alleva-menti intensivi, scarichi domestici). I nitriti (NO2

-) possono avere origi-ne da processi di riduzione dei nitrati ad opera di batteri (denitrificazio-ne), oppure da reazioni secondarie sui prodotti di emissione del trafficoveicolare. I cloruri, i solfati e i fluoruri possono avere una origine natu-rale legata alla normale interazione acqua di falda roccia (es. solubiliz-zazione di gessi e anidridi), all’attività vulcanica o all’intrusione delcuneo salino (cioè dell’acqua di mare) nelle aree costiere. L’apportoantropico è invece dovuto all’attività dell’industria chimica e petrolchimi-ca (cloruri, floruri, solfati), farmaceutica, dei refrigeranti, cartaria (solu-zioni sbiancanti a base di cloro) dei propellenti e a reazioni secondariesui prodotti di emissione del traffico veicolare (solfati). Il fluoro si ritrovacome impurezza (0,5-4,0% in peso) nei fertilizzanti a base di fosfati edè rilasciato anche a seguito di processi produttivi di alluminio, acciaio,vetro.

Presenza e mobilità nell’ambienteNella maggior parte dei casi il rilascio di composti anionici nell’ambien-te avviene nei corpi idrici superficiali e nell’atmosfera; essi possonoprendere parte a reazioni che coinvolgono composti inorganici o orga-nici. I cloruri disciolti nelle acque riescono ad attraversare la maggiorparte dei terreni (esclusi quelli con una elevata presenza di mineraliargillosi) senza partecipare in maniera significativa a reazioni di scam-bio o di adsorbimento. Il comportamento dei floruri nelle matrici suolo eacque sotterranee dipende dai parametri chimico-fisici delle matricistesse; essi possono partecipare a processi di adsorbimento, diffusio-ne ed interazioni con i minerali argillosi (a valori di pH bassi questi pos-

Tabella 8.2 - Concentrazionitipiche dei principali ioni inacqua di mare.Le concentrazioni sonoespresse in mg/l e in meq/l. Incolore sono riportati i rapporticaratteristici riferiti ai meq/l

Figura 8.11 - Nelle zoneposte in prossimità dellacosta l'acquifero d'acquadolce può essere sospesoverso il basso sull'intrusione(nota come "cuneo salino") diacqua marina. La differenzadi densità legata alla salinitàdei due acquiferi e le condi-zioni idrodinamiche regolanola posizione dell'interfacciaacqua dolce/salata la cuiposizione muta con il tempo.Un abbassamento dellasuperficie piezometrica indot-ta da pompaggio determinaun richiamo verso l'alto diacqua marina ricca in anioniquali cloruri, solfati e fluoruri.In campo la posizione dell'in-terfaccia può essere facil-mente riconosciuta misuran-do la conducibilità delleacque campionate

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Caratteristiche dei contaminanti

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sono attaccare la frazione minerale del suolo) generalmente sono sog-getti ad una scarsa lisciviazione da parte delle acque di infiltrazione emostrano una bassa biodisponibilità per la vegetazione. Il fluoro costi-tuisce un elemento importante nella struttura delle ossa e dei denti degliorganismi superiori; a causa dei possibili effetti di una eccessiva assun-zione di fluoro sull’apparato dentario umano (fluorosi), il contenuto difluoro nelle acque destinate al consumo umano e più in generale nelleacqua di falda è stato ampiamente studiato già a partire dagli anni ‘30.I solfati mostrano una elevata mobilità nei suoli, pertanto sversamentisuperficiali hanno elevate probabilità di impattare anche l’acquifero sot-tostante dove, a causa della solubilità molto elevata, possono raggiun-gere anche concentrazioni elevate.

Metodi analiticiPer la determinazione dei fluoruri, nitriti e solfati da matrici solide unaprocedura analitica di trattamento è quella riportata nel metodo IRSA 14che prevede un’estrazione in acqua (due estrazioni successive conacqua a freddo). Pertanto questa procedura permette di determinare lafrazione idrosolubile: tale frazione tuttavia coincide con quella più dispo-nibile e quindi potenzialmente più pericolosa per l’ambiente. Per quan-to si riferisce alla determinazione strumentale, il metodo EPA 9056 pre-vede la determinazione degli anioni inorganici mediante cromatografiaionica. Nel caso della determinazione dei fluoruri essa può essere effet-tuata anche per via potenziometrica con il metodo EPA 9214. Sempreper i fluoruri, il metodo IRSA 14 prevede una misura potenziometricacon elettrodo ionoselettivo a membrana solida.

Figura 8.10 - La cromatogra-fia ionica è basata sul princi-pio della separazione dei varianaliti da determinare (adesempio anioni tipo cloruri,solfati, fosfati, nitriti etc.). Ilcampione liquido viene iniet-tato in una colonna riempitacon un materiale solido ingrado di trattenere gli analitidi interesse. Attraverso il pas-saggio di un eluente (es.soluzione di carbonato-bicar-bonato) in colonna, i vari ana-liti trattenuti vengono eluiticon tempi diversi e trasporta-ti ad un rivelatore (general-mente un conduttimetro) cheè in grado di "vederli". Laconcentrazione viene deter-minata confrontando l'areadel picco con la curva di cali-brazione dell'analita costruitamediante una serie di solu-zioni di riferimento a diverseconcentrazioni. Prima di rag-giungere il rivelatore, lamiscela campione/eluentepassa attraverso il soppres-sore, un dispositivo un gradodi eliminare gli ioni dell'eluen-te che altrimenti interferireb-bero con gli analiti. La sepa-razione dei diversi analiti puòessere migliorata variando lacomposizione dell'eluente ela velocità di flusso. Gli anali-ti caratterizzati da tempi diritenzione molto vicini posso-no interferire producendo deipicchi in parte giustapposti

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.5 AmiantoIl termine “amianto” o “asbesto” indica genericamente un gruppo di sili-cati (minerali contenenti silicio) in forma fibrosa, resistenti al calore,all’umidità e agli agenti chimici. I principali minerali si possono dividere,in base alla struttura cristallina, in due gruppi:

• le fibre serpentine presentano una struttura a foglio o a strato esono più facilmente intercettate dai bronchi e bronchioli. Il crisotilo(“amianto bianco”) rappresenta circa il 95% di tutto l’amianto estrat-to nel mondo

• le fibre anfiboliche sono di forma lineare e penetrano fino agli alveo-li polmonari. Tra queste la crocidolite (“amianto blu”) è la più corta epertanto è ritenuta la più pericolosa.

L’amianto si trova in natura unito ad altri minerali costituenti la rocciamadre dalla quale le fibre devono essere asportate; viene quindi estrat-to in miniera, per successive frantumazioni della roccia che lo contiene.Le rocce che possono contenere minerali sono prevalentemente meta-morfiche quali serpentiniti, prasiniti, anfiboliti, oficalciti, ecc. Per le sueottime caratteristiche, chimiche e meccaniche, la resistenza agli agentichimici e biologici, la non infiammabilità e flessibilità, è stato ampiamen-te impiegato nell’edilizia, soprattutto per l’isolamento acustico o termi-co. Dall’inizio degli anni’90 l’impiego dell’amianto è stato bandito.

OrigineL’amianto ha avuto largo impiego nell’edilizia, nell’industria, nei prodot-ti di uso domestico e nei mezzi di trasporto. Nell’edilizia è stato utilizza-to sotto forma di Eternit (miscela cemento-amianto) in lastre o pannelli,tubazioni, serbatoi e canne fumarie; mescolato a resine sintetiche (vinil-amianto) come pavimentazione. Inoltre è stato impiegato, spruzzato,per il rivestimento di strutture metalliche e travature e nella mescola di

Figura 8.12 - Minerali checostituiscono le fibre del-l'amianto. Il crisotilo(Mg3(OH)4[Si2O5]) è un fillo-silicato in cui gli strati sonostrettamente arrotolati su sestessi fino a formare dellevere e proprie unità tubulariche spiegano le proprietàfibrose del crisotilo. Gli anfi-boli sono degli inosilicati (dalgreco einò, fibra) costituiti dacatene doppie di unità tetrae-driche SiO4

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Caratteristiche dei contaminanti

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intonaci. Nei prodotti di uso domestico è stato utilizzato in molti elettro-domestici, strumenti e tessuti che richiedono un buon isolamento dafonti di calore (asciugacapelli, forni e stufe, ferri da stiro, elementi fran-gifiamma, guanti da forno, teli da stiro, ecc.). In campo industriale èstato impiegato come isolante termico nei cicli industriali ad alte ebasse temperature e come materiale fonoassorbente, mentre nel setto-re dei trasporti si ritrova nei sistemi di coibentazione di treni, navi eautobus, nelle componenti soggette ad attrito (freni e frizioni) e nelleguarnizioni.

Presenza e mobilità nell’ambienteLa presenza dell’amianto in sé non è necessariamente pericolosa; tuttodipende dalla mobilità delle fibre che possono disperdersi nell’aria equindi essere inalate, provocando potenzialmente anche gravi patolo-gie quali l’asbestosi, il mesotelioma (un tumore che colpisce la pleura,il peritoneo e il pericardio) e il carcinoma polmonare. A oggi, invece, nonsembra abbiano effetti nocivi le fibre di amianto eventualmente ingerite(magari per contaminazione delle acque potabili che scorrono in tuba-ture realizzate con amianto). Questo significa che qualora le fibre nonpossano liberarsi nell’aria, perché imprigionate nell’impasto del cemen-to o di altre sostanze (per esempio le resine), oppure semplicementeperché racchiuse in intercapedini sigillate (come nel caso dei vagoniferroviari in buono stato) il pericolo può essere ragionevolmente esclu-so. Il problema nasce quando i manufatti che contengono l’amianto sideteriorano. Oggi la principale fonte di esposizione sono i tetti in Eternitche, col passare degli anni, per effetto delle intemperie, sono andatiprogressivamente deteriorandosi con la possibilità, quindi, di liberare lefibre. Queste non evaporano, non si dissolvono in acqua; le fibre più

Figura 8.13 - Fibre di crisotilo

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Caratteristiche dei contaminanti

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piccole possono rimanere sospese in aria per molto tempo ed esseretrasportate per lunghe distanze. Le fibre di amianto non sono in gradodi muoversi attraverso il suolo. Esse sono chimicamente e mineralogi-camente stabili a parte alcune alterazioni cui è soggetto il crisotilo inambiente acido mentre possono essere fisicamente “rotte” in fibre piùpiccole.

Metodi analiticiLa determinazione del contenuto di amianto nelle matrici ambientalicostituisce un problema analitico complesso; semplificando si possonodistinguere due campi di indagine: la determinazione quantitativa del-l’amianto in campioni di massa (terreni, materiali, rifiuti); la determina-zione quantitativa della concentrazione delle fibre di amianto aerodi-sperse. Il campionamento dei suoli interessa prevalentemente lo stratopiù superficiale (il cosiddetto top soil, tra 0 e 10 cm di profondità). Aseguito del campionamento, la determinazione dell’amianto in campio-ni di massa prevede un controllo del campione per la verifica della pre-senza di una componente fibrosa mediante stereomicroscopio, MOCF(microscopio ottico a contrasto di fase), SEM (microscopia elettronica ascansione). Se l’analisi preliminare ha dato esito positivo, il campioneviene macinato e quindi viene data una stima approssimativa dellaquantità di materiale fibroso presente mediante MOCF o SEM. Per con-centrazioni di amianto maggiori di 300.000 fibre per mg di materiale, ladeterminazione definitiva potrà essere effettuata tramite diffrattometriaa raggi X (DRX), in caso contrario si utilizzerà l’analisi in SEM o in spet-trometria IR in trasformata di Fourier. Per la determinazione della con-centrazione delle fibre di amianto aerodisperse i metodi analitici preve-

Figura 8.14 - Immagine almicroscopio elettronico(SEM) di fibre di crisotilo

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Caratteristiche dei contaminanti

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dono il filtraggio di un dato volume di aria (480-2000 l), e il conteggiodelle fibre raccolte sul filtro tramite MOCF o SEM.

Figura 8.15 - Schema di fun-zionamento del microscopioa scansione elettronica(SEM). Una sorgente al tun-gsteno produce un fascio dielettroni che viene collimatoattraverso un sistema di"lenti" elettromagnetiche(dette anche condensatoreed obiettivo). Un sistema dibobine (generatore dellascansione) muove il fasciosulla superficie del campionepunto per punto fino a coprirel'area di interesse. Tutto ilsistema è sotto vuoto. Ilfascio elettronico ad altaenergia che interagisce conla superficie del campionegenera una serie di segnali(elettroni secondari, elettroniretrodiffusi, raggi x) che sonorilevati dall'apposito detectored inviati, attraverso unamplificatore, ad un sistemache permette di ricostruire unimmagine della superficie delcampione che può essereosservata su un monitor

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.6 Idrocarburi aromaticiGli idrocarburi aromatici sono composti caratterizzati dalla presenza diun anello aromatico ovvero un anello di sei atomi di carbonio con trelegami doppi delocalizzati. Questi composti sono detti aromatici perchéspesso sono caratterizzati da odori molto intensi. Partendo dal benze-ne che costituisce il capostipite degli idrocarburi aromatici in generale sidifferenziano sulla base del tipo di gruppo sostituente presente sul-l’anello. Nelle normali condizioni ambientali (pressione di 1 atm e tem-peratura di 20°C) gli idrocarburi aromatici sono allo stato liquido.

OrigineGli idrocarburi aromatici possono essere sia di origine naturale (presen-ti in tracce a seguito di processi di degradazione della sostanza organi-ca) che antropica. In particolare, la loro immissione nell’ambiente èdovuta a molteplici attività industriali (ad esempio i settori farmaceutico,cosmetico, automobilistico, ecc.) e, più in generale, a tutte le attività cherichiedono l’impiego di solventi organici.

Tabella 8.3 - Schema rias-suntivo delle potenziali sor-genti dei contaminanti inorga-nici. L'immissione nell'am-biente dei metalli è legata adun gran numero di attivitàantropiche; nella maggiorparte dei casi è molto difficileassociare la provenienza diun singolo metallo ad unafonte specifica. Per taleragione i metalli sono riporta-ti in tabella come classe enon come singolo elemento

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Caratteristiche dei contaminanti

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Presenza e mobilità nell’ambienteQuesti composti sono caratterizzati da una volatilità piuttosto elevata, inparticolare il benzene ed il toluene, e quindi tendono a passare dallematrici contaminate all’atmosfera, dove reagiscono e si degradano inpochi giorni. Nell’acqua e nei suoli la degradazione di queste specie èsolitamente più lenta. Gli organismi animali non sono soggetti normal-

Figura 8.17 - Caratteristichechimico-fisiche degli idrocar-buri aromatici. Questi compo-sti hanno una densità inferio-re a quella dell'acqua; il ben-zene ed il toluene mostranouna solubilità e pressione divapore (volatilità) piuttostoelevate

Figura 8.16 - Formule strutturali di alcuni idrocarburi aromatici. L'elemento comunedi questa famiglia è la presenza di un anello benzenico costituito da 6 atomi di car-bonio e da 6 atomi di H. Ogni atomo di carbonio "satura" i suoi 4 legami con un lega-me semplice con H, un legame semplice con C ed un legame doppio con C. In real-tà l'anello benzenico, secondo la teoria della risonanza, è descritto come un ibridoche può essere rappresentato dalle due forme limite di risonanza (in rosso). La mole-cola vera non corrisponde a nessuna delle due strutture, ma è una via di mezzo traqueste (ibrido di risonanza) e, in ogni caso, è più stabile di ciascuna.Convenzionalmente l'anello benzenico è rappresentato da un esagono al cui internovi è un cerchio che rappresenta i legami doppi. Rispetto al benzene, le altre speciedi aromatici differiscono perché sostituiscono ad un atomo di H uno o più gruppi fun-zionali (es. OCH3, CH3). Spesso in letteratura questo gruppo è denominato BTEXS

dalle iniziali delle specie che lo compongono (Benzene, Toluene, Etilbenzene, Xilene,Stirene)

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Caratteristiche dei contaminanti

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mente ad accumulo di idrocarburi aromatici in quanto essi sono coinvol-ti in reazioni di trasformazione e di espulsione. Le vie di esposizioneprincipali sono l’inalazione o l’ingestione e secondariamente il contattodermico.

Metodi analiticiPer la determinazione degli aromatici esistono diversi metodi analitici.In generale dopo la fase di prelievo, i campioni siano essi solidi cheliquidi, vanno conservati in recipienti di vetro a -20°C fino al momentodell’analisi che dovrà essere effettuata entro 15 giorni dal campiona-mento. Nel caso in cui siano utilizzati metodi estrattivi, gli estratti, otte-nuti sempre entro 15 giorni dal prelievo, potranno essere analizzatientro 40 giorni successivi all’estrazione. La determinazione strumenta-le si effettua mediante analisi gas-cromatografica. Il gascromatografopuò essere dotato di un rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID) oppu-re interfacciato ad uno spettrometro di massa (GC-MS).

Figura 8.18 - Il principio dellacromatografia si basa sullaseparazione dei compostipresenti allo stato gassoso(gascromatografia) o discioltiin fase liquida (cromatografiaionica) operata selettivamen-te da una matrice solida pre-sente nella colonna cromato-grafica (non rappresentata infigura). Solitamente il cam-pione immesso nella colonnacromatografica è trascinatoda un "carrier" cioè un fluidoneutro nei confronti dell'ana-lizzatore. Nella figura, lamiscela di molecole diverserappresentata dai diversicolori, viene "scomposta" neltragitto dentro la colonna cro-matografica grazie alla diver-sa velocità con cui le moleco-le si muovono attraverso lacolonna stessa. I parametriche determinano l'efficacianella separazione dei compo-sti di una data miscela sono:il materiale di riempimentodella colonna, la temperatu-ra, la velocità del flusso delcarrier (solitamente imposta-ta come pressione del car-rier) e la lunghezza dellacolonna cromatografica

Figura 8.19 - La colonna cro-matografia è posta all'internodi una camera riscaldata alloscopo di tenere in fase gas-sosa i costituenti della misce-la da separare. Tramite l'iniet-tore s'introduce il campionenella colonna; le variesostanze che fuoriescono intempi diversi dalla colonnasona avviate al rivelatore. Ilsegnale registrato genera uncromatogramma

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Caratteristiche dei contaminanti

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Figura 8. 21 - Una volta ottenuto il tracciato cromatografico, ogni picco, rappresentativo di un determinato analita viene"integrato", cioè ne viene determinata l'area; da questa, attraverso le rette di calibrazione si determina la quantità disostanza. Le rette di calibrazione sono a loro volta realizzate, una per ogni analita, utilizzando soluzioni a concentra-zione nota

Figura 8.20 - I tipi di rivelatoripiù comuni per la gas croma-tografia sono: FID (flame ioni-zation detector), ECD (elec-tron capture detector) e MS(mass spettrometry). Il FIDpuò rivelare qualsiasi tipo dianalita; esso si basa sullamisura della conducibilitàelettrica di una fiamma in uncampo elettrico. Il FID è sen-sibile a tutti i composti conte-nenti legami C-C e C-H (perquesto si tratta del rivelatorepiù utilizzato), la sua sensibi-lità è buona ed è un sistemadistruttivo. L'ECD è selettivoper i composti alogenati (es.organici clorurati). Il principiosi basa sulla misura della cat-tura degli elettroni emessi daun isotopo radioattivo (63Ni)da parte dei gruppi funziona-le elettronegativi (cioè i com-posti alogenati) presenti nelcampione; l'abbassamentodella corrente che ne conse-gue è quindi proporzionalealla concentrazione di questicontaminanti. La spettrome-tria di massa è in grado dirivelare qualsiasi tipo di anali-ta ma con una sensibilità eselettività di gran lunga supe-riore a quella del FID. Il gas inuscita dal GC viene ionizzatoe sottoposto all'azione di uncampo magnetico capace dideflettere le cariche che sono"contate" da un'apposito rive-latore

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.7 Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono dei composti costituiti uni-camente da atomi di carbonio e idrogeno (idrocarburi) in cui gli atomi dicarbonio costituiscono più anelli (poli-ciclici) uniti tra loro. La classifica-zione degli IPA è basata sul numero e sulla disposizione relativa deglianelli. Il loro numero varia fra 2 e 5 anelli e possono essere costituiti dastrutture lineari, piegate ecc. Nelle normali condizioni ambientali (pres-sione di 1 atm e temperatura di 20°C) gli IPA sono allo stato solido.

OrigineGli idrocarburi policiclici aromatici possono avere un’origine naturalelegata a incendi dei boschi, emissioni gassose durante le eruzioni vul-caniche, biosintesi ad opera di batteri, funghi ed alghe. Gli IPA possonocostituire i componenti minori in alcuni giacimenti petroliferi. L’origineantropica degli IPA è invece connessa ad attività industriali di diversanatura quali produzione/lavorazione di combustibili (particolarmentegasolio ed oli combustibili), cokerie, produzione e lavorazione grafite,trattamento del carbon fossile. Le principali sorgenti sono individuabilinelle emissioni da motori diesel, da motori a benzina, da centrali termi-che alimentate con combustibili solidi e liquidi pesanti; essi possonoderivare anche da reazioni secondarie a carico della sostanza organicanei processi di smaltimento dei rifiuti solidi (discariche e inceneritori).

Presenza e mobilità nell’ambienteGli IPA mostrano una elevata affinità con la sostanza organica e vice-versa una solubilità in acqua relativamente bassa (<1 mg/l). Questecaratteristiche spiegano la loro tendenza a rimanere adsorbiti al suoloe sottosuolo, e a formare legami con le particelle in sospensione nelleacque o a depositarsi nei sedimenti ricchi di carbonio organico. Le stes-se caratteristiche fanno si che gli IPA abbiano la tendenza ad accumu-

Figura 8.22 - Formula struttu-rale di alcuni idrocarburi poli-ciclici aromatici.In questi idrocarburi gli anellibenzenici (e talora anellicostituiti da 5 atomi di C)risultano "condensati" ovverodue anelli contigui sono sem-pre caratterizzati dall'avereun legame C-C in comune

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Caratteristiche dei contaminanti

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larsi nel particolato aeriforme organico ed inorganico che sotto l’azionedegli agenti atmosferici può essere diffuso anche in ambienti lontanidall’attività industriale principale responsabile della loro produzione.Un’altra caratteristica degli IPA è quella di essere sostanze lipofile, cioètendenti ad accumularsi nei grassi degli organismi viventi. Questo rap-presenta un grave problema ecotossicologico poiché, pur mostrandobassa tossicità acuta, alcuni IPA si sono rivelati degli agenti canceroge-ni e genotossici.

Metodi analiticiPer la loro determinazione in campioni solidi esistono metodi differentitutti basati su processi di estrazione. Nel caso di campioni liquidi ladeterminazione è direttamente eseguita sul campione. Dopo la fase diprelievo i campioni vanno conservati secondo le stesse modalità ripor-tate per i composti aromatici. Le tecniche strumentali utilizzabili per laloro determinazione sono molteplici. Ad esempio la procedura riportatanel metodo EPA 8270C prevede l’utilizzo di un gas-cromatografo inter-facciato ad uno spettrometro di massa (GC/MS). L’identificazione èeffettuata per confronto dello spettro di massa con quello degli stan-dard. L’analisi quantitativa utilizza gli standard interni. Vengono rilevatianaliti nell’ordine dei ppb (μg/l). La procedura riportata nel metodo EPA8310 prevede invece una separazione tramite HPLC seguita da unarivelazione fluorimetrica o spettrofotometrica (UV-vis) e la successivaanalisi quantitativa previa costruzione di rette di calibrazione. Un altrometodo EPA (8100), generalmente consigliato per la rivelazione degliIPA in matrici solide, prevede la quantificazione degli IPA mediante gas-cromatografia dotata di rivelazione a ionizzazione di fiamma (FID).Anche in questo caso l’analisi quantitativa viene effettuata mediante lerette di calibrazione.

Figura 8.23 - Caratteristichechimico-fisiche degli idrocar-buri policiclici aromatici (IPA).Si osservano le densità mag-giori di quella dell'acqua, e,rispetto agli aromatici mono-ciclici, essi mostrano valori disolubilità e pressione di vapo-re molto più bassi

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.8 Alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeniI composti alifatici clorurati cancerogeni sono costituiti da atomi di car-bonio disposti in catene lineari e circondati da atomi di idrogeno e dicloro. Tali composti sono definiti “saturi” quando ogni atomo di carbonioè legato a quattro atomi distinti, “insaturi” quando lungo la catena esisteuno o più doppi legami C-C. Partendo dal clorometano che costituisceil composto più semplice con un atomo di carbonio, tre di idrogeno eduno di cloro, i composti alifatici clorurati in generale si differenziano inbase alla lunghezza della catena (data dal numero di atomi di carbo-nio), dal grado di sostituzione di H da parte di Cl, dalla posizione degliatomi di Cl nella struttura. Nelle normali condizioni ambientali (pressio-ne di 1 atm e temperatura di 20°C) i composti alifatici clorurati sono allostato liquido tranne il clorometano ed il triclorometano che sono presen-ti allo stato gassoso.

OrigineI composti alifatici clorurati sono essenzialmente di origine antropica. Inparticolare la loro immissione nell’ambiente è dovuta sia ad attività indu-striali (settori farmaceutico, cosmetico, automobilistico, ecc.), sia a pra-tiche agricole.

Figura 8.25 - Alcuni esempi distruttura di alifatici clorurati.Questi composti sono costi-tuiti da idrocarburi in cui unoo più atomi di H sono sostitui-ti da atomi di Cl

Figura 8.24 - CromatografoHPLC utilizzato per le analisi diroutine nei laboratori chimici.La cromatografia HPLC (HighPressure Liquid Chromatogra-phy) si basa sulla differente affi-nità che i diversi componenti delcampione manifestano nei con-fronti della fase mobile (un sin-golo solvente o una miscelaopportuna) che viene fatta cor-rere attraverso la colonna in cuiè posta la fase stazionaria.All'uscita della colonna un rive-latore (basato sulla spettrosco-pia di fluorescenza, UV-visibilee MS) segnala il passaggio deidiversi componenti della misce-la ad un sistema di elaborazionedei segnali che restituisce il cro-matogramma

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Caratteristiche dei contaminanti

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Presenza e mobilità nell’ambienteIn genere questi organo-clorurati mostrano una particolare stabilitàindotta dal legame carbonio-cloro; la presenza del cloro, infatti, riducenotevolmente la reattività degli altri legami presenti nelle molecole orga-niche e di conseguenza la biodegradabilità ed il potenziale di attenua-zione naturale. Questo fa si che, una volta penetrati nell’ambiente, gliidrocarburi alogenati vengano degradati in tempi lunghi con il conse-guente loro accumulo nell’ambiente stesso. Ciò è ancora più aggrava-to dal fatto che la maggior parte di essi risultano idrofobi, cioè non sisciolgono facilmente in acqua, ma diventano solubili solo se immersi inmezzi idrocarburo-simili come oli o tessuti adiposi (lipofilia). Anche secomunque poco solubili, la loro bassa solubilità è tale da essere assaimaggiore del limite di tossicità, per cui sono inquinanti assai pericolosiper i potenziali recettori. Alcuni di questi composti quando presenti inatmosfera sono degradati dalla luce solare formando composti a basedi cloro (HCl, acido tricloroacetico) e CO2. I composti alifatici cloruratimostrano una volatilità variabile ed una densità solitamente maggiore aquella dell’acqua (eccetto il clorometano e il cloruro di vinile); essendo

Figura 8.27 - Caratteristichechimico-fisiche degli idrocar-buri alifatici clorurati non can-cerogeni.Si osserva che generalmentela densità della sostanza èdirettamente proporzionalealla presenza degli atomi dicloro

Figura 8.26 - Caratteristi-chechimico-fisiche degli idrocar-buri alifatici clorurati cancero-geni. Si osserva che general-mente la densità dellasostanza è direttamente pro-porzionale alla presenzadegli atomi di Cl

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Caratteristiche dei contaminanti

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poco miscibili con essa, tendono a depositarsi nelle porzioni più bassedell’acquifero come fluidi in fase propria (NAPL). Empiricamante ci sipuò aspettare la formazione di una fase propria quando la concentra-zione di questi composti in acqua raggiunge dei valori pari a circa l’1%della solubilità effettiva. Un inquinante più denso dell’acqua, oltre a spo-starsi lateralmente, tende infatti ad “affondare” verso la base dell’acqui-fero, andando a riempire le depressioni eventualmente presenti. Talicomposti rientrano infatti in quel gruppo di elementi definiti dalla lettera-tura DNAPLs (Dense Non Aqueous Phase Liquids) la cui rimozionedalle acque falda è spesso piuttosto difficile. Composti alifatici cloruratiquali il dicloroetilene (DCE), il cloroetilene e il cloroetano possono deri-vare dai processi di degradazione anaerobica che avvengono, pur len-tamente, a carico del percloroetilene (PCE, detto anche tetracloroetile-ne), il tricloroetilene (TCE) e l’1,1,1-tricloroetano (TCA). La conoscenzadi tali catene di degradazione è essenziale per determinare lo spettrodelle sostanze da ricercare. Ad esempio poiché è noto che il cloroetile-ne si può formare come degradazione di tricloroetilene in ambienteanaerobico, nei percolati di discariche si dovranno ricercare entrambi icomposti.

Metodi analiticiPer la loro determinazione esistono differenti metodologie analitiche.Dopo la fase di prelievo i campioni vanno conservati secondo le stessemodalità riportate per i composti aromatici. I composti alifatici clorurativengono determinati mediante analisi gas-cromatografica (vedi aroma-tici). Il gas-cromatografo è dotato di rivelatore a cattura di elettroni(ECD) specifico per i composti alogenati oppure è interfacciato ad unospettrometro di massa (GC-MS).

8.2.9 Alifatici alogenati cancerogeniRispetto al precedente gruppo, i composti alifatici alogenati canceroge-ni contengono anche uno o più atomi di Br e conseguentemente sonocaratterizzati da densità molto elevate (maggiori o uguali a 2 g/cm3). Incondizioni normali sono allo stato liquido.

Figura 8.28 - Struttura di duemolecole di idrocarburi alifati-ci alogenati. In questi compo-sti, gli atomi di idrogeno pos-sono essere sostituiti dabromo o cloro

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Caratteristiche dei contaminanti

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OrigineL’immissione nell’ambiente dei composti alifatici alogenati è dovutaprincipalmente alle attività antropiche. Essi infatti sono utilizzati qualisolventi per cere, grassi, olii, nella preparazione di prodotti chimici resi-stenti alle fiamme, di prodotti agrochimici, di agenti polimerizzanti edancora nei settori cosmetico, ospedaliero, farmaceutico, fotograficoecc. Il dibromoclorometano può essere disperso accidentalmente nel-l’ambiente durante il trattamento di clorinazione delle acque. Piccolequantità di bromoformio e dibromoclorometano possono essere sinte-tizzate da diverse specie di alghe.

Presenza e mobilità nell’ambientePoiché questi composti sono caratterizzati da una volatilità piuttostoelevata, quando sono rilasciati nel suolo e nelle acque superficiali ten-dono ad evaporare nell’atmosfera. Qui sono soggetti ad una degrada-zione chimica nella troposfera (reazione con i radicali idrossile) e, al disopra dello strato di ozono, a fotolisi piuttosto lente e tali da permettereun trasporto atmosferico anche su lunghe distanze. Nel suolo, la frazio-ne non soggetta ad evaporazione, è interessata da degradazione adopera dei batteri ed in parte può migrare in falda (in particolare il cloro-dibromometano). In falda i processi dominanti che agiscono su questicomposti sono principalmente legati alla biodegradazione anaerobicaladdove altri processi (ossidazione, idrolisi acquatica, bioaccumulo) nonsono significativi.

Metodi analiticiPer la loro determinazione esistono metodi differenti. Anche per questaclasse di composti valgono le procedure di conservazione riportate peri composti aromatici. I composti alifatici alogenati cancerogeni vengonodeterminati mediante analisi gas-cromatografica. Il gascromatografo èdotato di rivelatore a cattura di elettroni specifico per i composti aloge-nati (vedi alifatici clorurati) oppure interfacciato ad uno spettrometro dimassa.

Figura 8.29 - Caratteristichechimico-fisiche degli idrocar-buri alifatici alogenati cance-rogeni. Essi sono caratteriz-zati da densità piuttosto ele-vate, alcune specie anche daelevata solubilità e volatilità.Si osserva che generalmentela densità della sostanza èlegata sia al tipo che al nume-ro di sostituenti presenti sullacatena idrocarburica

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.10 NitrobenzeniI nitrobenzeni sono composti organici caratterizzati dalla presenza di unanello aromatico e di gruppi che sostituiscono gli idrogeni formati daazoto ed ossigeno (NO2 è il gruppo nitro). I nitrobenzeni si differenzia-no in base al numero di atomi di gruppi nitro presenti nella molecola edalla presenza di altri tipi di gruppi sostituenti contemporaneamentepresenti (cloro). Nelle normali condizioni ambientali (pressione di 1 atme temperatura di 20°C) i nitrobenzeni sono allo stato solido tranne ilnitrobenzene che è presente in condizioni naturali allo stato liquido.

OrigineI nitrobenzeni sono immessi nell’ambiente in seguito ad attività indu-striali (settori farmaceutico, cosmetico, automobilistico, di armi e muni-zioni, di detergenti, ecc.). Possono inoltre derivare da alcune praticheagricole. In particolare il nitrobenzene è impiegato nella produzione del-l’anilina, un’importante composto intermedio nelle sintesi chimicheindustriali di prodotti quali i coloranti.

Presenza e mobilità nell’ambienteQuesti composti mostrano una tendenza piuttosto scarsa ad assorbirsialle particelle del terreno, ad eccezione dei terreni ricchi di mineraliargillosi. Pertanto essi tendono ad essere lisciviati dalla matrice solida.Data la scarsa volatilità il passaggio dal suolo alla fase aerea è piutto-sto lento; in atmosfera essi sono soggetti a reazioni quali la fotolisi o areazioni con radicali idrossile. Condizioni anaerobiche nel suolo favori-scono la riduzione di nitrobenzeni in ammine aromatiche. Questi com-posti mostrano una solubilità piuttosto bassa e una scarsa attitudine abioconcentrarsi.

Metodi analiticiLa loro determinazione può essere ottenuta mediante l’applicazione diprocedure analitiche differenti. Dopo il prelievo i campioni devono esse-re conservati secondo modalità riportate per gli aromatici, ovvero inrecipienti di vetro o di alluminio a -20°C fino all’analisi che dovrà esse-re effettuata entro 15 giorni dal campionamento (se i campioni vengo-

Figura 8.30 - Nei nitrobenze-ni, gli atomi di idrogeno sonosostituiti dal gruppo NO2 e insubordine dal Cl

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Caratteristiche dei contaminanti

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no estratti, gli estratti potranno essere analizzati entro 40 giorni dal-l’estrazione). I nitrobenzeni vengono determinati mediante analisi gas-cromatografica accoppiata ad uno spettrometro di massa (metodo EPA8270), come descritto in precedenza per gli alifatici clorurati.

8.2.11 ClorobenzeniI clorobenzeni sono composti organici caratterizzati dalla presenza diun anello aromatico ovvero un anello di sei atomi di carbonio con trelegami doppi delocalizzati e dalla presenza di atomi di cloro sostituentigli idrogeni sull’anello. I clorobenzeni si differenziano in base al nume-ro di atomi di cloro presenti nella molecola. Nelle normali condizioniambientali (pressione di 1 atm e temperatura di 20°C) i clorobenzeni sipresentano alcuni allo stato solido altri allo stato liquido.

OrigineLa presenza nell’ambiente dei clorobenzeni deriva dagli scarichi dome-stici (prodotti per la pulizia, ecc.) da prodotti utilizzati in agricoltura(pesticidi, insetticidi, ecc.) da combustioni incomplete, emissioni indu-striali di solventi clorurati e dalle emissioni veicolari. Alcuni clorobenze-ni sono ampiamente utilizzati quali solventi nelle industria di adesivi,lucidi, cere.

Presenza e mobilità nell’ambienteQuesti composti mostrano proprietà chimico fisiche variabili fra di loroconseguentemente lo è anche il loro comportamento nelle matrici

Figura 8.31 - Caratteristichechimico-fisiche dei nitroben-zeni.Questi composti sono carat-terizzati da densità maggioridi quella dell'acqua

Figura 8.32 - Nei clorobenze-ni, gli atomi di idrogeno sonosostituiti dal cloro. La sostitu-zione può essere totale comenel caso dell'esaclorobenze-ne

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Caratteristiche dei contaminanti

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ambientali. I composti a basso grado di clorurazione, (mono-cloroben-zeni e di-clorobenzeni), sono caratterizzati da una elevata volatilità(sono cioè dei VOC) e buona solubilità in acqua. Gran parte del cloro-benzene presente nel suolo superficiale passa in atmosfera; in terrenisabbiosi e privi di sostanza organica, tuttavia, data la sua mobilità escarsa biodegradabilità può anche raggiungere la falda. In suoli conelevata frazione organica esso può essere trattenuto in forma stabile. Icomposti ad elevato grado di clorurazione, come penta-clorobenzene eesaclorobenzene (HCB), sono più idrofobi, tendono ad essere e rima-nere legati al carbonio organico e sono caratterizzati da una elevatapersistenza nelle matrici ambientali. Sebbene soggetto ad una lentafotodegradazione in atmosfera e a degradazione batterica, l’HCB è par-ticolarmente persistente e mobile nell’ambiente. Basse concentrazionidi HCB nell’atmosfera (40 pg/m3) e nell’acqua (qualche decina di pg/l)sono ormai rinvenute anche lontano dalle sorgenti di immissioni, e sug-geriscono una ridistribuzione globale di questo composto. L’HCB siaccumula nei tessuti grassi degli organismi.

Metodi analiticiI metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione dei clorobenzeni sono le stesse riportate per i nitroben-zeni.

8.2.12 Fenoli non cloruratiI fenoli non clorurati sono idrocarburi caratterizzati dalla presenza di unanello aromatico ovvero un anello di sei atomi di carbonio con tre lega-mi doppi delocalizzati e dalla presenza di un gruppo OH. I fenoli nonclorurati si differenziano in base alla presenza e/o assenza di gruppisostituenti (OCH3) oltre al gruppo ossidrile ed alla posizione che essihanno sull’anello. Nelle normali condizioni ambientali (pressione di 1atm e temperatura di 20°C) i fenoli non clorurati si presentano allo statosolido eccetto il meta-metilfenolo che è liquido.

Figura 8.33 - Caratteristichechimico-fisiche dei cloroben-zeni.Sono caratterizzati da densi-tà piuttosto elevate e alcunespecie anche da elevatasolubilità e volatilità. Si osser-va che generalmente la den-sità della sostanza è diretta-mente proporzionale alla pre-senza degli atomi di Cl

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Caratteristiche dei contaminanti

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OrigineLa diffusione nell’ambiente dei fenoli non clorurati è principalmentelegata ad attività antropiche afferenti all’industria chimica, farmaceutica(soprattutto in virtù delle loro proprietà antisettiche e germicide), allaproduzione di fertilizzanti, esplosivi, vernici, solventi ecc. In generali ilfenolo è ampiamente utilizzato quale intermedio per la produzione dialtri prodotti chimici quali ad esempio le resine fenoliche e il caprolatta-me (utilizzato nelle produzione di nylon e fibre sintetiche). Esso inoltreè prodotto nei processi di raffinazione di prodotti petroliferi, con partico-lare riferimento alla conversione di carbone in combustibili gassosi oliquidi. I fenoli non clorurati possono essere rilasciati nell’ambienteanche dagli impianti di trattamento di acque reflue, e dalla combustionenei motori diesel. L’origine naturale è legata alla decomposizione dellasostanza organica; il fenolo è un costituente di olii naturali quali il timo-lo e il carvacrol presenti nel timo e nell’origano.

Presenza e mobilità nell’ambienteIn atmosfera i fenoli non clorurati partecipano attivamente a reazionicon radicali ossidrile durante il giorno e radicali nitrati durante la notte.In virtù di questi processi il loro tempo di dimezzamento in questa matri-ce ambientale è piuttosto breve, nell’ordine di qualche decina di ore.Data la loro elevata solubilità in acqua questi composti possono essererimossi dall’atmosfera durante le precipitazioni. Generalmente il fenolopuò essere più o meno adsorbito dal suolo in funzione della quantità di

Figura 8.35 - Caratteristichechimico-fisiche dei fenoli nonclorurati. Questo gruppo dicomposti ha una densitàsimile a quella dell'acqua euna solubilità elevata.

Figura 8.34 - Nel fenolo ungruppo OH,sostituisce l'idro-geno di un anello benzenico.La sostituzione di altri atomidi idrogeno con i gruppi meti-li (-CH3) origina i metilfenoli

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Caratteristiche dei contaminanti

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sostanza organica presente. In terreni poveri di sostanza organica lamobilità del fenolo aumenta e quindi questo contaminante può raggiun-gere la falda. Tuttavia i processi di biodegradazione a carico dei fenolisono talmente rapidi nei suoli che l’eventualità di raggiungimento dellafalda si verifica solo in presenza di grosse quantità di contaminante.Nelle acque superficiali i fenoli non clorurati sono soggetti a biodegra-dazione e la velocità del processo cambia in funzione della quantità diossigeno e quindi del tipo di batteri in grado di degradarli. I fenoli nonclorurati sono facilmente assunti dalle piante, ma la decomposizione inCO2 legata ai processi di respirazione impediscono un significativo bio-accumulo. Anche gli organismi acquatici non mostrano tendenze al bio-accumulo di fenoli nei tessuti.

Metodi analiticiI metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione dei fenoli non clorurati sono le stesse riportate per initrobenzeni.

8.2.13 Fenoli cloruratiI fenoli clorurati sono idrocarburi caratterizzati dalla presenza di unanello aromatico ovvero un anello di sei atomi di carbonio con tre lega-mi doppi delocalizzati, dalla presenza di un gruppo OH e dalla presen-za di atomi di cloro. I fenoli clorurati si differenziano soprattutto in baseal numero ma anche alla posizione che occupano gli atomi di cloro sul-l’anello. Nelle normali condizioni ambientali (pressione di 1 atm e tem-peratura di 20°C) i fenoli clorurati si presentano allo stato solido eccet-to il 2-clorofenolo che è liquido.

OrigineLa diffusione nell’ambiente di questi composti è principalmente legataad attività antropiche. Le potenziali fonti di contaminazione sono i pro-cessi di clorinazione per esempio nel trattamento delle acque reflue(contenenti fenoli) o della polpa di legno per la produzione di carta(diclorofoenolo), l’incenerimento dei rifiuti urbani, la produzione di inset-ticidi, preservanti di legno e colla, erbicidi. Questi composti possonoessere rilasciati anche nei processi di combustione di carburanti fossili.

Figura 8.36 - Nei fenoli cloru-rati, a parte la sostituzione diun atomo di H con un gruppoOH, gli altri idrogeni sonosostituiti da Cl

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Caratteristiche dei contaminanti

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Presenza e mobilità nell’ambienteIn atmosfera i fenoli clorurati partecipano attivamente a reazioni conradicali ossidrili; essi possono essere anche rimossi dalle acque meteo-riche. Nel suolo sono facilmente biodegradabili in ambiente aerobicomentre in condizioni anaerobiche risultano molto persistenti.L’adsorbimento al suolo dipende principalmente dalla frazione organi-ca, dalla granulometria e dalle condizioni chimico-fisiche. Ordi-nariamente l’adsorbimento al suolo può essere considerato medio-altoe pertanto non ci si attende una lisciviazione significativa verso la falda,eccetto per i suolo sabbiosi dove la mobilità è elevata o in suoli dove iprocessi di biodegradazione sono lenti. Nelle acque superficiali questicomposti sono soggetti ad elevati tassi di biodegradazione e di adsor-bimento sul sedimento e non mostrano in genere tendenze al bioaccu-mulo negli organismi acquatici, eccetto per certe specie.

Metodi analiticiI metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione dei fenoli clorurati sono le stesse riportate per i nitro-benzeni.

8.2.14 Ammine aromaticheLe ammine aromatiche sono composti organici contenenti azoto, costi-tuiti da un anello aromatico in cui un H è sostituito da un gruppo NH2.Le ammine aromatiche si differenziano in base alla presenza e posizio-ne sull’anello aromatico di altri gruppi sostituenti oltre al gruppo NH2. Lanormativa indica le concentrazioni di riferimento per 5 ammine: anilina,o-anisidina, m,p-anisidina, difenilamina, p-toluidina. Nelle normali con-dizioni ambientali (pressione di 1 atm e temperatura di 20°C) le ammi-ne aromatiche si presentano alcune allo stato solido altre allo statoliquido.

OrigineLe fonti di immissione nell’ambiente coincidono generalmente con quel-le definite per altre classi di composti organici (composti aromatici, clo-rurati, ecc.). Il principale utilizzo delle ammine aromatiche è nell’indu-

Figura 8.37 - Caratteristichechimico-fisiche dei fenoli clo-rurati. Questo gruppo di com-posti ha una densità maggio-re di quella dell'acqua ed unasolubilità relativamente ele-vata

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Caratteristiche dei contaminanti

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stria cosmetica e in quella chimica quali composti intermedi nella sinte-si di una gran varietà di prodotti organici (resine poliesteri, erbicidi,pesticidi, prodotti farmaceutici, adesivi, resine epossidiche, vernici) enei processi di raffinazione/lavorazione di prodotti petroliferi. In natural’anilina è presente in tracce in prodotti quali, ad esempio, cereali, fagio-li, tè.

Presenza e mobilità nell’ambienteIl rilascio nelle matrici ambientali avviene principalmente attraverso laacque reflue di siti industriali e percolato da discariche. A causa dellabassa volatilità (SVOC) l’anilina presente nel suolo o nelle acque passadifficilmente allo stato aeriforme, dove è soggetta ad una rapida degra-dazione chimica indotta dai radicali prodotti dalla radiazione solare e afotolisi. Da queste reazioni si producono altri composti quali, ad esem-pio, N-metilanilina, e fenoli. Nel suolo le ammine aromatiche si posso-no adsorbire alle particelle solide in funzione delle caratteristiche delsuolo stesso (in particolare contenuto di materia organica e pH) e sonosoggette ad una rapida biodegradazione ed ossidazione con produzio-ne di CO2. Il loro comportamento dipende fortemente dal pH dell’am-biente in cui si trovano: in ambiente basico questi composti sono informa non ionica e quindi praticamente neutri rispetto al terreno, men-tre in ambiente acido i fenomeni di scambio ionico col terreno diventa-no rilevanti, aumenta la frazione adsorbita al terreno, ne viene ridotta lamobilità ed aumentato il tempo di persistenza. Il tempo di semivita nelsuolo stimato per l’anilina è meno di una settimana. Nella fase acquo-sa l’anilina è soggetta a biodegradazione, fotodegradazione (per leacque superficiali) e ad adsorbimento sui sedimenti e sulle sostanzeumiche in particolar modo a pH bassi. Qualora l’adsorbimento avvengasu colloidi organici, il processo favorirà la persistenza ed il trasporto delcontaminante nelle acque di falda. L’anilina non mostra evidenze di bio-accumulo negli organismi acquatici, tuttavia essa è assorbita e metabo-lizzata dai pesci.

Figura 8.38 - Nelle amminearomatiche, il sostituto carat-terizzante il gruppo è NH2, cuipossono aggiungersi altrigruppi (es. OCH3) che sosti-tuiscono gli atomi di idrogeno

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Caratteristiche dei contaminanti

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Metodi analiticiI metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione delle ammine aromatiche sono le stesse riportate per initrobenzeni.

8.2.15 FitofarmaciI fitofarmaci rappresentano una classe molto eterogenea di molecoleorganiche che comprende sia composti organici alifatici ciclici sia com-posti organici aromatici, entrambi caratterizzati dalla presenza di cloronella molecola. I fitofarmaci sono classificati in funzione del loro utiliz-zo: insetticidi, anticrittogamici o fungicidi, diserbanti ed erbicidi, acarici-di, antigermoglianti, conservanti, ecc. Questi contaminanti sono costi-tuiti da diverse famiglie caratterizzate da radicali e strutture proprie (es.organofosforati, organoclorurati, piretroidi, carbammati, triazolici, ecc.) .Nelle normali condizioni ambientali (pressione di 1 atm e temperaturadi 20°C) i fitofarmaci si presentano allo stato solido.

OrigineIl rilascio nelle matrici ambientali può avvenire occasionalmente in cor-rispondenza dei siti di produzione e, più normalmente, a seguito dellepratiche agricole.

Figura 8.39 - Caratteristichechimico-fisiche delle amminearomatiche. Questo gruppodi composti ha una densitàsimile a quella dell'acqua esolubilità piuttosto elevate adeccezione della difenilammi-na, scarsamente solubile

Figura 8.40 - I fitofarmacisono molecole complesseche nella loro struttura inclu-dono sia anelli aromatici cheelementi alifatici (lineari), incui H e sostituito da Cl, N oda altri elementi

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Caratteristiche dei contaminanti

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Presenza e mobilità nell’ambienteIn linea generale i fitofarmaci tendono ad essere fortemente adsorbitialla fase solida del terreno e al particolato; sono inoltre composti idro-fobi e sono molto persistenti nell’ambiente. La frazione solubilizzata inacqua (minima) tende a volatilizzare in aria. Data l’estrema complessi-tà di questa classe è difficile definirne le caratteristiche di presenza emobilità nelle matrici ambientali. Fra gli organoclorurati è abbastanzadiffuso il lindano (esaclorocicloesano) un’ insetticida utilizzato per coltu-re di cereali, frutta e verdura, aree boschive. Nel suolo il lindano è scar-samente volatile e lentamente viene lisciviato verso la falda. In ambien-te aerobico è difficilmente degradabile, al contrario in ambiente anaero-bico si degrada rapidamente. Esso mostra la tendenza a bioaccumular-si nei pesci. L’atrazina è un erbicida “triazinico” utilizzato in Italia fino aiprimi anni ‘90 per il controllo delle erbe infestanti in numerose colture(mais, canna da zucchero, pascoli) e in silvicolture. Questa molecola èpresa come esempio per la sua elevata persistenza ambientale e diffu-sione, specie in passato, nelle acque superficiali e di falda. A fronte diuna solubilità non elevatissima, l’atrazina è caratterizzata da una eleva-ta stabilità dell’anello triazinico: il solido legame con i colloidi organicidel terreno, determina il rilascio continuato e prolungato nel tempo. Lapersistenza nell’ambiente è inoltre favorita anche dalla scarsità di bio-decompositori in grado di metabolizzare completamente queste sostan-ze.

Metodi analiticiI metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione dei fitofarmaci sono le stesse riportate per i nitrobenze-ni.

Figura 8.41 - Caratteristichechimico-fisiche di alcuni fito-farmaci.Questo gruppo di compostiha densità maggiore a quelladell'acqua e scarsa solubilità

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Caratteristiche dei contaminanti

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8.2.16 PoliclorobifeniliI policlorobifenili (PCB) sono composti organici molto stabili e possiedo-no inoltre proprietà tali (ininfiammabilità, bassissima volatilità a tempe-ratura ambiente) per cui hanno avuto larghissimo uso nel campo indu-striale. Dal punto di vista strutturale essi sono caratterizzati da unastruttura bifenilica alla quale si legano da uno a dieci atomi di cloro. Inrelazione al numero dei sostituenti cloro e alla posizione da loro occu-pata sulla molecola bifenilica, possono essere presenti 209 possibilicongeneri, la cui miscelazione forma i cosiddetti AROCLOR. Tra tutti,solamente alcuni sono particolarmente tossici (12 PCBdl diossina-simi-li); questi sono i congeneri nei quali gli atomi di cloro sono in posizionenon-orto (PCB coplanari) o di congeneri con un unico atomo di cloro inuna delle quattro posizioni orto (PCB mono-orto clorurati). Dal 1985 lacommercializzazione dei PCB e dei PCT (policlorotrifenili) è vietata acausa dei loro effetti tossici sul sistema riproduttivo e della loro tenden-za a bioaccumularsi. Nel tempo la resistenza all’azione di agenti chimi-ci e biologici, nonché l’uso indiscriminato, hanno reso i PCB inquinantiambientali pressoché ubiquitari. Sono stati inclusi (Protocollo UN/CEEdi Stoccolma, Maggio 2001) nei cosiddetti POPs (Persistent OrganicPollutants), Composti Organici Persistenti.

OrigineI PCB, contrariamente alle diossine, sono sostanze chimiche prodottedeliberatamente. Esistono due tipi di utilizzo dei PCB:

• nei sistemi chiusi come fluidi dielettrici in apparecchiature elettriche;in questo caso le principali vie di contaminazione sono perdite,incendi, incidenti, scarichi illeciti e smaltimento inadeguato

• in sistemi aperti quali additivi per antiparassitari, ritardanti di fiam-ma, isolanti, vernici, carta carbone; in questi usi le principali fonti dicontaminazione sono le discariche, la migrazione di particelle el’emissione nell’atmosfera a seguito di evaporazione.

I PCB sono stati impiegati anche come lubrificanti, fluidi per impianti di

Figura 8.42 - Formula struttu-rale dei PCB. Questi compo-sti sono caratterizzati dallapresenza di due anelli aroma-tici legati da un legame sem-plice C-C. L'elevato numerodi congeneri, 209, derivadalle possibilità con cui gliatomi di Cl sostituisconoquelli di H nelle 10 posizioni(indicate dalla "x" in figura).Analogamente, per i policlo-rotrifenili le combinazioni concui Cl e H occupano le 14posizioni danno luogo a 8557possibili congeneri

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Caratteristiche dei contaminanti

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condizionamento e, tra il 1955 ed il 1975, furono additivati ai sigillanti digiunti di edifici in calcestruzzo allo scopo di incrementarne l’elasticità.

Presenza e mobilità nell’ambienteI policlorobifenili presentano un’elevata stabilità chimica correlata allascarsa biodegradabilità e pertanto entrano facilmente nella catena ali-mentare. Sono sostanze con elevati punti di fusione e di ebollizione,scarsamente solubili in acqua e marcatamente lipofili. Nell’ambientesono presenti come miscele di congeneri in dipendenza delle diversemiscele commerciali originali; ogni congenere poi si distribuisce nellematrici ambientali (aria, acqua, suolo e sedimenti) in dipendenza dellesue caratteristiche chimico-fisiche e pertanto i rapporti di concentrazio-ne si modificano. La loro forte tendenza ad adsorbirsi alle superfici soli-de e al materiale organico cresce con l’aumentare del numero di atomidi cloro presenti sulla molecola. La biodegradazione è difficoltosa elenta, PCB con alto grado di clorurazione sono estremamente resisten-ti all’ossidazione e all’idrolisi, questo implica una persistenza nell’am-biente che varia a seconda del congenere da anni a decenni.

Metodi analiticiL’analisi per la determinazione dei PCB può essere mirata alla ricerca:

• dei singoli congeneri, anche se occorre considerare che la determi-nazione di tutti i 209 congeneri comporta un enorme dispendio eco-nomico ed analitico

• di alcuni di essi (ad esempio i 12 congeneri PCBdl o i 18 congeneriindividuati nel Piano Nazionale Residui)

• di miscele di aroclor o di gruppi omologhi• della Sommatoria dei PCB Totali (vengono determinati come som-

matoria di tutti i congeneri singoli individuati e quantificati per mezzodi un fattore di risposta medio calcolato per ogni singola famiglia diclorurazione).

I metodi di prelievo, conservazione e le procedure analitiche per ladeterminazione dei PCB sono le stesse riportate per i nitrobenzeni. Imetodi strumentali possono essere quelli descritti per gli alifatici cloru-rati quando la determinazione è effettuata mediante analisi gascroma-tografica con rivelatore ECD (metodo EPA 8082), oppure quelli descrit-

Figura 8.43 - Caratteristichechimico-fisiche dei PCB.I valori riportati sono indicatividei congeneri più diffusi

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Caratteristiche dei contaminanti

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ti per i nitrobenzeni quando la determinazione è effettuata mediante GCaccoppiata ad uno spettrometro di massa (metodo EPA 8270).

8.2.17 Diossine e furaniIl termine diossine indica genericamente numerosi composti policloru-rati derivanti dalla dibenzo-diossina (anche abbreviati come PCDD:dibenzo-diossine policlorurate). La famiglia delle diossine, dal punto divista strutturale, è caratterizzata dalla presenza 2 anelli aromatici lega-ti da due “ponti ossigeno” ed è costituita da 75 congeneri (cioè moleco-le che, fissata la struttura degli atomi di C e O, variano per il numero ela posizione degli atomi di cloro). La famiglia dei furani (anche abbre-viati come PCDF: dibenzo-furani policlorurati) si differenzia da quelladelle diossine per la presenza di un solo ponte ossigeno che lega i dueanelli aromatici ed è costituita da 135 congeneri che, analogamente allediossine, si differenziano in base al livello di clorurazione. Alle diossinee furani si aggiunge un terzo gruppo con caratteristiche molto simili noticome “PCBdl” (policlorobifenili “dioxin-like”).La tossicità delle diossine dipende dal particolare tipo di congenereinfatti, fra tutti i possibili congeneri, solo 17 tra diossine e furani (7PCDD e 10 PCDF, tutti contenenti quattro o più atomi di cloro) e 12 spe-cie tra i PCBdl hanno una certa rilevanza dal punto di vista tossicologi-co. Il più tossico di tutti i congeneri è la 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-dios-sina (2,3,7,8-TCDD o TCDD), denominata in gergo semplicemente“diossina”. Ad essa normalmente vengono riferiti gli altri congeneri tos-sici attraverso opportuni coefficienti di equivalenza.

OrigineLe diossine di per sé non rivestono alcuna utilità pratica, e non sono maistate un prodotto industriale. Sono tuttavia reperibili pressoché ovun-

Figura 8.44 - Struttura dellediossine e dei furani. Questicomposti sono caratterizzatidalla presenza di due anellibenzenici (-dibenzo) legati dadue ponti di ossigeno per lediossine e un ponte per i fura-ni. I congeneri sia delle dios-sine che dei furani si differen-ziano per il numero e la posi-zione degli atomi di cloro(nella struttura denominatagenericamente "diossina" leposizioni di "X" possonoessere occupare da atomi diH o di Cl). A titolo di esempioper il TCDF è evidenziata ilnumero della posizione occu-pata dagli atomi di cloro , dacui deriva il nome specificodel congenere 2,3,7,8-TCDF

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Caratteristiche dei contaminanti

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que nell’ambiente, ciò è dovuto alla elevata stabilità chimica e all’usoindiscriminato fatto nel recente passato di elevatissime quantità di pro-dotti chimici contaminati. Il problema della presenza delle diossine nel-l’ambiente è molto complesso, ed è probabile che una parte della dios-sina rinvenibile in ambiente possa avere avuto origine da fonti nonancora chiaramente individuate. Tra le fonti accertate di diossine rien-trano sicuramente gli inceneritori, le cartiere, i cementifici, le fonderie,le raffinerie e gli impianti per la sintesi di materie plastiche. È stato inol-tre dimostrato che le diossine si possono formare in molti processi dicombustione con presenza molto bassa, anche se non nulla, di precur-sori clorurati (motori a combustione interna di auto, navi ed aerei, stufee caminetti domestici, incendi forestali).

Presenza e mobilità nell’ambienteTutti questi composti sono altamente lipofili, sostanzialmente insolubiliin acqua, molto stabili chimicamente e fisicamente (fa eccezione unacerta labilità fotochimica), in genere estremamente persistenti nell’am-biente e nei sistemi biologici. Le altre caratteristiche chimiche, oltre allasolubilità in acqua, vengono generalmente riportate solo per la TCDDche ha una densità pari a 1,8 g/cm3, una pressione di vapore a 25 °Ctrascurabile, un coefficiente di ripartizione ottanolo/acqua pari a 6,8-7,02. Le altre diossine hanno caratteristiche chimico-fisiche paragona-bili al loro capostipite.

Metodi analiticiPCDD, PCDF e PCBdl possono essere determinati mediante gas cro-matografia a bassa (GC) o ad alta risoluzione (HRGC), accoppiata aspettrometria di massa a bassa (MS) oppure ad alta risoluzione(HRMS). I metodi più comunemente applicati per le determinazioni inbassa risoluzione sono i metodi EPA 8280 e EPA 8270, mentre quelli inalta sono i metodi EPA 1613 o EPA 8290 (determinazione di PCDD e

Figura 8.45 - Caratteristichechimico-fisiche di alcuni con-generi di diossine

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Caratteristiche dei contaminanti

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PCDF in HRGC/HRMS) e EPA 1668 (determinazione di PCBdl inHRGC/HRMS). Per il confronto con i limiti normativi, considerate le bas-sissime concentrazioni da determinare, è consigliata l’applicazione dimetodi ad alta risoluzione.

8.2.18 IdrocarburiCon il termine “idrocarburi” si intende la classe di composti caratterizza-ti da una struttura, più o meno complessa, costituita da atomi di carbo-nio e di idrogeno. Questi ultimi quando sono sostituiti da elementi ogruppi di elementi diversi (es. Cl, Br, O, N, OCH3, ecc.) danno luogo aicomposti organici descritti in precedenza (es. idrocarburi alifatici cloru-rati, diossine, ecc.). La normativa vigente prevede, per i terreni, ladeterminazione degli “idrocarburi leggeri” (C<12) e “idrocarburi pesan-ti” (C>12). La definizione e la differenziazione fra idrocarburi C<12 eC>12 non chiarisce se le due classi comprendano solo gli idrocarburilineari o anche i ramificati e qual è l’idrocarburo più pesante (es. C30,C35, C40) cui fermarsi nella determinazione e quindi nel confronto coni limiti tabellari. Emergono inoltre alcuni aspetti critici sia nella fase dicampionamento sia nella fase di analisi del campione per mancanza dimetodiche specifiche che rilevino con precisione tale distinzione. Nelcaso delle acque non è prevista una distinzione tra le due classi di idro-carburi ma piuttosto la determinazione del parametro “idrocarburi tota-li” che secondo quanto proposto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS)deve comprendere unicamente la classe di idrocarburi a catena linea-re. La proposta deriva dalla necessità di superare alcune problematichedi tipo analitico dato che la determinazione di idrocarburi a catena sialineare che ramificata richiederebbe un impegno analitico non sempresostenibile dai vari laboratori coinvolti nelle analisi delle acque di siticontaminati. Nella sostanza, sia per i suoli che per le acque il parame-

Figura 8.46 - Caratteristichechimico-fisiche di alcuni con-generi di furani

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Caratteristiche dei contaminanti

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tro idrocarburi viene considerato un mero “indicatore” di contaminazio-ne di origine petrolifera e quindi legato ai composti che costituiscono ilpetrolio greggio, e a quelli derivanti dai processi di raffinazione. Nellaletteratura anglosassone ci si riferisce a questo parametro con il termi-ne TPH (total petroleum hydrocarbon). Buona parte degli idrocarburi diorigine petrolifera si trovano, in condizioni normali, allo stato liquido; icomposti più leggeri C1-C4 risultano essere gassosi; per catene mag-giori di C>20-25 essi si presentano allo stato solido.

OrigineQuesti composti possono avere origine sia naturale che antropica.L’origine naturale è legata a processi di trasformazione di sostanzaorganica soprattutto in condizioni anaerobiche o a processi di migrazio-ne verso la superficie di idrocarburi presenti in giacimenti o sacche pro-fonde. La contaminazione delle matrici ambientali da parte dell’uomo èlegata a tutte quelle attività connesse al processo di upstream (estrazio-ne) e downstream (distribuzione) degli idrocarburi e ai processi di raffi-nazione e di distribuzione dei prodotti lavorati (es. carburanti quali ben-zine, gasoli, oli combustibili).

Presenza e mobilità nell’ambienteCiascuna miscela idrocarburica (es. greggio, diesel, benzina, JP4, ecc.)è composta da un numero variabile di sostanze organiche aventi distin-te caratteristiche chimico-fisiche, con particolare riferimento alla densi-tà e solubilità. I processi di trasporto e di degradazione a cui le miscele

Figura 8.47 - La classificazio-ne degli idrocarburi è effet-tuata in base al grado di satu-razione e alla struttura dellecatene formate dagli atomi dicarbonio. Gli idrocarburi conlegami C-C semplici sonodetti saturi (paraffine), quelliinsaturi con almeno un dop-pio o un triplo legame C-Csono detti rispettivamenteolefine e acetilenici. In basealla struttura si riconosconocatene lineari, ramificate ocicliche. Gli idrocarburi aro-matici costituiscono un grup-po a sé stante, caratterizzatodalla presenza dell'anellobenzenico, un ibrido di riso-nanza descritto nella sezionedegli idrocarburi aromatici. Iprodotti petroliferi (es. benzi-ne, diesel, avio) sono costitui-ti da miscele anche di centi-naia di specie idrocarburiche

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Caratteristiche dei contaminanti

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idrocarburiche sono sottoposte devono pertanto essere descritti attra-verso algoritmi che tengano conto di tali caratteristiche chimico-fisichee delle caratteristiche del sito. Solitamente, per ogni composto, all’au-mentare delle dimensioni della catena diminuisce la solubilità in acquae la volatilità. Fenomeni più complessi possono avvenire durante lamigrazione della miscela; ad esempio, a seguito di uno sversamento diuna miscela di idrocarburi sul suolo, i vari componenti della miscelapotranno percorrere la matrice suolo con tempi diversi, a causa delladifferente reattività che ciascun componente può avere nei confronti delsuolo stesso. Tale fenomeno può pertanto provocare una variazionenella composizione della miscela seguendo il profilo verticale del suolo.Anche la diversa biodegradabilità dei vari composti idrocarburici puòcontribuire a tale variabilità. Il comportamento in acqua risulta altrettan-

Figura 8.48 - Attraverso la raffi-nazione del greggio che com-prende processi quali la distilla-zione, l'alchilazione (processoatto ad aumentare il numero diottani), il reforming, (sintesi perottenere idrocarburi più pesantia partire da molecole più legge-re) o cracking (l'inverso delreforming) si ottiene la vastagamma di specie necessarieper realizzare i prodotti finali diidrocarburi, che si distinguonoper densità, viscosità, poterecalorifico, punti di ebollizione,numero di atomi di C specifici.La composizione di questi pro-dotti comprende anche alcuniadditivi (es. ammine, fenoli,metalli, alcool, ecc.) aventi fun-zioni specifiche (inibitori dellacorrosione, antiossidanti,migliorativi delle performance,ecc.)

Figura 8.49 - Distribuzionedei gruppi di idrocarburi inalcuni prodotti petroliferi.Nelle benzine prevalgono gliidrocarburi saturi a catenalineare e ramificata aventi Ccompreso fra 4 e 12; spo-standosi verso destra si rag-giungono i campi dei prodottipiù pesanti. Le resine e lecere che costituiscono buonaparte del residuo sono forma-te da idrocarburi moltopesanti (es. terpeni) derivantidalla polimerizzazione diparaffine e olefine

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Caratteristiche dei contaminanti

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to variabile soprattutto in funzione della solubilità e della densità dei sin-goli componenti; in generale, la presenza di una elevata quantità diidrocarburi in falda può coincidere con la presenza di una fase separa-ta dalla matrice acquosa della frazione idrocarburica (NAPL - NonAqueous Phase Liquid).

Metodi analiticiLe difficoltà analitiche riguardano la differenziazione tra la frazione leg-gera C<12 e la frazione pesante C>12. I metodi riconosciuti a livellointernazionale, ed adottati dalle ARPA e dai soggetti privati non sonosufficientemente selettivi e pertanto non garantiscono una distinzionenetta tra le due classi. Ad esempio il metodo EPA 8015b permette didistinguere, mediante GC, tra gli idrocarburi C6-C10 e quelli C10-C28:la suddivisione tra i due gruppi pertanto non corrisponde esattamente aquella indicata nella legislazione. Inoltre, per quanto riguarda i compo-sti con meno di sei atomi di carbonio, l'elevata volatilità fa sì che siamolto improbabile trovarne residui nel terreno.Data la complessità degli aspetti metodologici per la determinazionedegli idrocaburi e vista l’assenza di una metodologia condivisa, per unapprofondimanto di questo delicato tema si rimanda ai metodi propostidai vari enti competenti (es. EPA, ISO, APAT-IRSA).

I metodi analitici proposti dall’ISS per le matrici solide prevedono:• nel caso della determinazione degli idrocarburi pesanti (C>12) un

metodo basato sull’estrazione mediante un solvente alogenato, lapurificazione dell’estratto e quindi la determinazione strumentalemediante spettrofotometria infrarossa (IR) o mediante gas-cromato-grafia. Nel primo caso, i criteri analitici su cui si basa la determina-zione strumentale mediante IR portano a stimare l’eventuale pre-senza nella miscela di idrocarburi aromatici

• nel caso della determinazione degli idrocarburi leggeri (C<12) la pro-cedura consiste in una serie di passaggi successivi che possonoessere schematizzati nel prelievo del campione con eliminazione incampo della frazione più grossolana, essiccazione del campione consolfato sodico anidro, estrazione in ultrasuoni a temperatura ambien-te con solvente organico, purificazione dell’estratto e infine analisimediante GC/MS con il metodo dello standard esterno.

Il metodo riportato dall’EPA per gli idrocarburi derivati del petrolio (EPA8440) prevede le stesse metodologie analitiche proposte dall’ISS per ladeterminazione degli idrocarburi pesanti, con l’unica differenza chel’estrazione viene effettuata mediante un fluido supercrititco (EPA3560). Nel caso dei metodi EPA non è prevista una differenziazione trale due classi definite nella nostra normativa.

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Caratteristiche dei contaminanti

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Tabella 8.4 - Schema rias-suntivo delle potenziali sor-genti dei contaminanti organi-ci

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Capitolo 9Piano di Caratterizzazione

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9.1 IntroduzioneGli argomenti presentati nei capitoli precedenti trovano la loro applica-zione nella progettazione e realizzazione del Piano di caratterizzazione,il cui scopo è quello di definire l’assetto geologico e idrogeologico, veri-ficare la presenza o meno di contaminazione nei suoli e nelle acque esviluppare un modello concettuale del sito.

Il principale riferimento normativo per i siti contaminati, rappresentatodal D.M. 471/99 "Regolamento recante criteri, procedure e modalità perla messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inqui-nati, ai sensi dell'articolo 17 del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n.22 e successive modificazioni e integrazioni", è stato recentementesostituito dal D.Lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”, più precisa-mente dalla Parte Quarta, Titolo V “Bonifica dei siti contaminati”, il qualeè, a sua volta, in corso di riformulazione. Stante tale situazione norma-tiva in evoluzione, nel seguito si è preferito fare riferimento alle duenorme, nella convinzione che gli argomenti trattati rivestano comunqueun ruolo importante nella redazione del Piano di caratterizzazione.

Il Piano di caratterizzazione è previsto dal D.M. 471/99 che lo definiscecome il primo livello d'approfondimento tecnico del progetto di bonifica;gli elementi per la sua redazione sono illustrati nell'allegato 4 "Criterigenerali per la redazione del progetto di bonifica" e nell'allegato 2"Procedure di riferimento per il prelievo e l'analisi dei campioni".Il più recente D.Lgs. 152/06 prevede il Piano di caratterizzazione all’ar-ticolo 242 “procedure operative e amministrative” e fornisce indicazionisulla sua redazione nell’allegato 2.

Prima di entrare nel dettaglio dei vari aspetti da sviluppare nel Piano siritiene utile porre l'accento sul fatto che, se da un lato le indagini dicaratterizzazione di un sito devono avere come prerogativa la definizio-ne qualitativa e quantitativa dell'eventuale contaminazione con minoreapprossimazione possibile, dall'altro la progettazione del Piano di carat-terizzazione non può prescindere dal considerare i costi connessi allasua realizzazione. Questo implica che lo sforzo del progettista e deglienti preposti all'approvazione del Piano si debba indirizzare alla proget-tazione delle indagini in modo tale da avere il maggior numero d'infor-mazioni possibili sull'assetto geologico e idrogeologico del sito e sul-l'eventuale contaminazione a costi ragionevoli. È infatti da considerareche il Piano di caratterizzazione sarà, in caso di contaminazione, ilprimo di una serie di passi che hanno come obiettivo la bonifica e/o lamessa in sicurezza del sito.

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Piano di Caratterizzazione

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Il Piano di caratterizzazione può essere realizzato per fasi successive acrescente dettaglio, focalizzate sull'approfondimento dei temi emersiquali l'assetto geologico e/o idrogeologico del sito, la distribuzione nellematrici ambientali di particolari contaminanti, la situazione ambientale dispecifici settori interni e/o esterni al sito. Questo tipo d'approccio, peral-tro già adottato per alcuni siti d'interesse nazionale, permette di indiriz-zare meglio le indagini con evidenti riflessi anche d'ordine economico.Come accennato in precedenza, il Piano della caratterizzazione descri-ve dettagliatamente il sito e tutte le attività che vi si sono svolte o cheancora vi si svolgono; individua le correlazioni tra le attività svolte e tipo,localizzazione ed estensione della possibile contaminazione; descrivele caratteristiche delle componenti ambientali sia all'interno del sito chenell'area da questo influenzata; descrive le condizioni necessarie allaprotezione ambientale e alla tutela della salute pubblica; presenta unPiano delle indagini da attuare per definire tipo, grado ed estensionedell'inquinamento. In generale il Piano si articola nelle sezioni:

1. raccolta e sistematizzazione dei dati esistenti2. caratterizzazione del sito e formulazione preliminare del modello

concettuale3. piano di investigazione iniziale.

Nei paragrafi che seguono si forniscono alcune indicazioni sugli argo-menti da sviluppare, tenendo anche conto di quanto emerso nel corsodelle Conferenze dei Servizi per l'approvazione dei Piani di caratteriz-zazione nei Siti d’Interesse Nazionale (SIN).

Si propone quindi una sorta di struttura del Piano di caratterizzazione,con lo scopo di fornire una "check list" degli argomenti da trattare edelle informazioni da fornire. Come ovvio, il livello di approfondimentodei temi è funzione della tipologia del sito. E’ comunque indispensabile

Figura 9.1 - Localizzazionedell’area di interesse. E’necessario riportare l’ubica-zione dell’area di interesse suuna carta topografica di scalaadeguata (es. 1:10.000) taleda evidenziare i rapporti fral’area indagata, la topografia,l’idrografia superficiale, l’esi-stenza di centri abitati, di viedi comunicazione, ecc...

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Piano di Caratterizzazione

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trattare tutti gli argomenti, anche solo citando la presenza o l’assenzanel sito, in modo tale da mostrare che essi sono stati comunque presiin considerazione dal progettista.

9.2 Raccolta e sistematizzazione dei dati esistentiIn questa prima sezione sono organizzati i dati raccolti sia sulla based'informazioni bibliografiche, sia di ricerche sul sito, sia d'interviste coni tecnici e più in generale con le persone coinvolte nella gestione.Nel caso in cui queste ricerche non forniscano indicazioni sufficienti, onon ne forniscano per nulla, è utile indicare le persone e/o gli enti con-

Figura 9.2 - Nella storia delsito è importante ricostruire icambiamenti dei processi edelle aree interessate in fun-zione del tempo anche inrelazione all’evoluzione delterritorio circostante. Nelledue foto è riportato il perime-tro di uno stabilimento per latrasformazione di prodotti ali-mentari nel 1929 (sopra) enel 2000 (sotto). In circa 70anni sono variate sia le areeinteressate dai processi, sial’uso del territorio che da pre-valentemente agricolo si ètrasformato in industriale

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tattati ed, eventualmente, l'indisponibilità delle informazioni, onde evita-re che gli enti preposti all’autorizzazione del documento richiedano datidi cui si è già accertata l'indisponibilità. Nel seguito si propone una sin-tetica descrizione, articolata per argomenti ai fini di una comprensionepiù agevole, delle informazioni da presentare in questo capitolo.

Localizzazione e tipologia

• inquadramento geografico del sito• identificazione del sito, delimitazione, superficie (con indicazione

della parte coperta, scoperta, asfaltata e/o cementata, aree a verde)• descrizione dei confini con riferimenti alla natura delle attività circo-

stanti• tipologia dell'area: industria dismessa, discarica illegale, industriale

in attività, residenziale, servizi• planimetrie in scala, tali da evidenziare quanto descritto.

Storia del sito

• storia dell'evoluzione del sito (uso del suolo prima dell'attività attua-le)

• storia societaria, in termini di cambi di proprietà, con indicazione diquella attuale e delle precedenti (allegare certificati attestanti il regi-me di proprietà)

• planimetrie e/o foto aree storiche per la comprensione dello svilup-po nel tempo delle attività, produttive e non

• materie prime utilizzate nelle varie "fasi produttive" dello stabilimen-to, indicare le zone di carico e scarico dei prodotti e quelle di stoc-caggio, le eventuali aree di stoccaggio e/o smaltimento dei rifiuti.

Cicli produttivi attuali e pregressi• descrizione dei cicli produttivi attuali e passati• numero d'addetti e principali variazioni nel tempo• materie prime, prodotti intermedi e finali• eventuali incidenti avvenuti.

Gestione dei rifiuti• descrizione qualitativa e quantitativa dei rifiuti prodotti • aree di stoccaggio temporaneo (ribaltabili, zone d'accumulo fusti,

ecc.)• modalità di smaltimento.

Descrizione dello stabilimentoLa descrizione fa riferimento alle planimetrie disponibili tramite numerio lettere che permettono di identificare univocamente in pianta quantodescritto nel testo.

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Figura 9.3 - serbatoio metalli-co fuori terra per gasolio dariscaldamento

Piano di Caratterizzazione

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Movimentazione e stoccaggio dei materiali• descrizione del flusso di materiali dalle materie prime al prodotto

finito• modalità d'approvvigionamento delle materie prime (gomma, ferro-

via, nave, condotte interrate e/o superficiali)• eventuali aree di stoccaggio.

Serbatoi• riportare la presenza o meno di serbatoi nel sito indicando tipo

(interrati o fuori terra) e numero• per ogni serbatoio descrivere: materiale di costruzione, volume,

anno installazione, eventuali dispositivi di contenimento delle perdi-te, eventuali verifiche sulla tenuta con indicazione dell'anno e delmetodo, sostanze contenute attualmente e nel passato, collega-

Figura 9.4 - Area di stoccag-gio fusti abbandonata concontenitori in metallo e in pla-stica in pessime condizioni diconservazione

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Piano di Caratterizzazione

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menti alle zone di produzione (tubazioni, pozzetti)• in caso di rimozione, indicare l'anno e se sono state condotte inda-

gini per la verifica della contaminazione dei suoli e/o delle acquesotterranee.

Aree di stoccaggio fusti• numero d'aree di stoccaggio presenti nel sito• descrizione per ogni area del tipo, numero e volume dei fusti, delle

loro condizioni esterne, del prodotto contenuto, dell'eventuale pre-senza di coperture e di dispositivi di contenimento di perdite acci-dentali.

Approvvigionamento idrico• descrivere se l'approvvigionamento avviene da acquedotto e/o da

pozzo, con indicazione dei volumi annui• se nel sito sono presenti uno o più pozzi descrivere l'ubicazione e,

se disponibili, i particolari costruttivi del pozzo quali diametro, pro-fondità, fessurazione, posizione dei filtri

• nel caso non fossero disponibili dati sul pozzo, suggerire un'ispezio-ne televisiva per appurare la profondità e le caratteristiche costrutti-ve del pozzo.

Acque reflue• descrivere i modi di raccolta e smaltimento delle acque con riferi-

mento allo sviluppo dei principali rami di raccolta• eventuali impianti di pretrattamento (disoleatori, vasche Imhoff, etc.)

e/o trattamento• punto di scarico in fognatura o in acque superficiali.

Figura 9.5 - Boccapozzo diun pozzo di approvvigiona-mento dismesso. Per effet-tuare la misura del livello sta-tico o ispezioni televisive, inquesto caso è necessariorimuovere la copertura inferro ed eventualmente lapompa installata all’internodel pozzo stesso

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Materiali contenenti amianto (MCA)• riportare la presenza o meno di questi materiali e il loro stato di con-

servazione sia nelle coperture sia in matrici isolanti• in caso di presenza riferire di eventuali rilievi• riferire di interventi di rimozione o incapsulamento già effettuati o in

programma.

Figura 9.7 - All’interno di unsito industriale si possonoriconoscere, ad esempio,settori in cui sono presentiserbatoi interrati, trasformato-ri, officine meccaniche,vasche di disoleazione, areedi stoccaggio fusti e/o rifiuti,in corrispondenza dei qualicollocare o infittire le indaginida compiere nel sito

Figura 9.6 - Materiali conte-nenti amianto (MCA) presentinei locali di un sito industrialeabbandonato

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PCB• riportare la presenza o meno di liquidi contenenti PCB, con partico-

lare riferimento ai trasformatori• riportare eventuali analisi chimiche sui liquidi o certificati di apparec-

chi "PCB free".

Destinazione d’usoRiportare i riferimenti catastali del sito (possibilmente con estratto), condescrizione degli strumenti urbanistici vigenti o in corso d'approvazione(certificato di destinazione urbanistica e relativo stralcio del PRG), evi-denziando la destinazione d'uso del sito e delle aree adiacenti. La defin-zione della destinazione d’uso è particolarmente importante per i sitisoggetti a trasformazioni urbanistiche come ad esempio la riconversio-ne d'aree industriali. Tale riconversione, infatti, potrebbe comportarel'adozione di differenti concentrazioni limite per i suoli; inoltre, il nuovoassetto urbanistico potrebbe implicare un differente scenario da consi-derare nel modello concettuale, con variazioni rilevanti in termini di per-corsi di migrazione della contaminazione e dei potenziali bersagli.

Indagini preliminari e/o precedentiNel caso nel sito siano già state effettuate indagini, in particolare per finiambientali ma anche solo per scopi geotecnici, descrivere il tipo d’inda-gini, il numero di sondaggi, la loro profondità, il numero di campioni pre-levati, l’installazione dei piezometri con relative caratterisiche (tratti fes-surati, cementazione, ecc.) e le analisi di laboratorio effettuate. Ai fini diun esame più agevole del piano da parte degli enti competenti è utileallegare, se disponibili, le stratigrafie e i certificati di labortatorio sia rela-

Figura 9.8 - Piazzale di caricoe scarico in un sito industrialeabbandonato. La foto mostracome la vegetazione presen-te rende difficile anche l’ac-cesso e l’ispezione dellasuperficie comportando unrischio per gli addetti ai lavori

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Piano di Caratterizzazione

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tivi alle prove geotecniche sia alle analisi chimiche.9.3 Caratterizzazione del sitoQuesta sezione descrive l'assetto fisico dell’area, con particolare riguar-do alle matrici suolo e acque sotterranee.

Assetto geologico e idrogeologicoNel capitolo è descritta la stratigrafia dei terreni dall'alto verso il basso,con indicazione della profondità, dello spessore dei vari litotipi, dellagranulometria e della loro permeabilità, indicando le fonti da cui proven-gono le informazioni, siano esse di natura bibliografica e/o desunte daindagini già realizzate nel sito o in siti adicenti.L'assetto idrogeologico tratta la presenza o meno di una o più falde, conriferimento a quanto descritto per i terreni. In caso affermativo, indicarela tipologia della/e falda/e, la profondità, la soggiacenza, la direzione diflusso, lo spessore dell'acquifero e dei terreni che lo sostengono. Nelcaso i dati non siano disponibili, riportare le informazioni desunte dallabibliografia. Di grande importanza è l'indicazione delle fonti dalle qualisono tratte le informazioni distinguendo tra bibliografia, stratigrafie disondaggi interni o esterni al sito. In quest'ultimo caso sono da allegarele colonne stratigrafiche.

Aree di potenziale interesse ai fini della contaminazioneLe aree sono identificate in conformità alle informazioni presentate neicapitoli precedenti, con lo scopo di progettare meglio il piano d'investi-gazione iniziale. Esse possono, ad esempio, consistere nei settori in cuisono presenti serbatoi interrati, trasformatori, officine meccaniche,vasche di disoleazione, aree di stoccaggio fusti e/o rifiuti in corrispon-denza dei quali collocare o infittire le indagini da compiere nel sito.

Azioni di messa in sicurezzaQuesto capitolo è dedicato alla descrizione d'eventuali azioni di messain sicurezza, riguardanti la contaminazione del suolo o delle acque sot-terranee, già eseguite o da eseguire nel sito.A titolo di esempio, tra le azioni di messa in sicurezza possono eviden-ziarsi:• rimozione di rifiuti ammassati in superficie, svuotamento di vasche,

raccolta liquidi sversati, pompaggio liquidi inquinanti galleggianti• installazione di recinzioni, segnali di pericolo ed altre misure di sicu-

rezza e sorveglianza• installazione di drenaggi di controllo• costruzione o stabilizzazione di argini• copertura o impermeabilizzazione temporanea di suoli e fanghi con-

taminati• rimozione o svuotamento di bidoni o container contenenti materiali

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o sostanze potenzialmente pericolosi• dismissione di serbatoi• pompaggio e trattamento delle acque sotterranee in uscita dal peri-

metro del sito.

Quest'ultimo sistema è stato molto spesso utilizzato perché consente dicontenere la migrazione della falda contaminata verso le zone a valleidrogeologica del sito. Il successivo utilizzo come intervento di bonificadeve essere attentamente valutato, essendo preferibile l'azione sullesorgenti della contaminazione.Nel caso in cui le azioni di messa in sicurezza siano in corso di proget-tazione e/o esecuzione è utile definirne la tipologia e il cronoprogram-ma per il loro completamento.

Modello concettuale preliminare del sito (MCS)La formulazione del modello concettuale preliminare è prevista dalD.Lgs 152/06, nell'attuale versione, come era pure contemplata dalD.M. 471/99. In ambedue i casi si tratta di un modello non definitivo, nelsenso che la sua costruzione è realizzata sulla base delle informazioniraccolte nel piano, descrivendo l'assetto geologico e idrogeologico, lepotenziali sorgenti della contaminazione, la qualità delle matriciambientali, i potenziali percorsi della migrazione e i potenziali bersagli.Come ovvio la precisione del modello, in questa fase preliminare, risen-te molto della qualità e quantità delle informazioni, per lo più disponibi-li solo nel caso in cui siano già state effettuate indagini preliminari. Incaso contrario si può correre il rischio di disegnare un modello concet-tuale del tutto ipotetico. In tale situazione, è preferibile concentrare l'at-tenzione sulla definizione dei caratteri ambientali e sociali del territoriocircostante il sito, in modo da identificare con sicurezza i potenziali ber-sagli di un'eventuale contaminazione.

9.4 Piano di investigazioneNel seguito si forniscono indicazioni che possono ritenersi utili nella pro-gettazione del piano preliminare, anche solo a titolo di memorandum,alcune delle quali riprendono le prescrizioni formulate nel corso delleConferenze dei Servizi per i siti d'interesse nazionale.

Attività preliminariIn alcuni siti, in particolare quelli costituiti da aree dismesse o abbando-nate, è opportuno svolgere alcune attività preliminari con lo scopo diapprofondire la conoscenza dell'area e svolgere le indagini di caratte-rizzazione in sicurezza e con maggiore cognizione di causa. Di seguitose ne segnalano alcune che s'incontrano con maggiore frequenza.

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Pulizia della vegetazione infestanteLa rimozione della vegetazione infestante consente di evitare caduteaccidentali degli operatori coinvolti nelle indagini in tombini aperti edeventualmente coperti da vegetazione e di esaminare le infrastruttureospitate nei cavedi.

Verifica della presenza di sottoserviziIl rilievo consente di verificare la presenza di servizi interrati in corri-spondenza dei punti d'indagine. Di solito è condotto utilizzando metodiindiretti d'indagine (Cap. 2) in grado di rilevare la presenza nel sottosuo-lo di linee elettriche in tensione, tubazioni metalliche, ecc. Tali rilievi sipossono anche eseguire in corrispondenza d'aree nelle quali si sospet-ta la presenza di serbatoi o altre infrastrutture interrate per confermar-ne o meno la presenza.

Indagine sui tombini esistentiNel caso d'aree abbandonate da lungo tempo, ma non solo in queste,può essere utile compiere una verifica puntuale dei tombini esistentiper la verifica d'eventuali infrastrutture interrate sfuggite nella descrizio-ne del sito (serbatoi, vasche d'accumulo, sedimentatori, disoleatori) eper la verifica della struttura della rete di raccolta e smaltimento delleacque reflue. I risultati delle ispezioni potranno essere, inoltre, utili nellaidentificazione delle potenziali sorgenti di contaminazione.

Verifica su pozzi e piezometri esistentiÈ frequente che nei siti potenzialmente inquinati siano presenti pozziutilizzati per l'approvvigionamento d'acqua e/o piezometri installati inprecedenti indagini. In questa situazione è consigliabile, nel caso nonsia abbia la certezza delle caratteristiche costruttive dei pozzi, effettua-re un'ispezione con telecamera per conoscere direttamente la profondi-tà e la posizione delle fessurazioni. Nel caso di piezometri deve essereverificata la loro presenza, spesso data erroneamente per scontata,l'agibilità, la profondità, la fessurazione e la possibilità di campionamen-to. In questo caso, come nel precedente, può essere d'aiuto l'ispezionetelevisiva.

Verifica della stabilità degli edificiLa verifica della stabilità degli edifici a cura di un tecnico abilitato ènecessaria quando si ha intenzione di eseguire scavi e/o sondaggi inprossimità o all'interno d'edifici dismessi da tempo o le cui condizionisuscitano dubbi in termini di sicurezza statica.

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Piano di gestione e smaltimento dell'amiantoNel caso in cui i sopralluoghi hanno evidenziato una rilevante presenzad'amianto (coperture in eternit, materiale d'isolamento delle tubazioni),una delle più comuni prescrizioni formulate nelle conferenze dei serviziè di prevedere un piano di gestione e smaltimento di questo materiale.In questo caso è necessario procedere alla caratterizzazione dei mate-riali contenenti amianto (MCA) al fine di predisporre gli opportuni inter-venti di bonifica e smaltimento.

Piano di gestione dei rifiutiAllo stesso modo, nel caso in cui nel sito i sopralluoghi svolti abbianoevidenziato la presenza di rilevanti volumi di rifiuti, è usuale che le pre-scrizioni degli enti coinvolti nella fase istruttoria richiedano la formula-zione di un piano per la classificazione dei rifiuti e il loro smaltimento.

Gas interstizialeIn Italia, come anche in molti paesi europei e del resto del mondo, lalegislazione ambientale non pone limiti di concentrazione massimaammissibile per i contaminanti presenti nel suolo in fase gassosa. Perquesto motivo l'analisi dell'atmosfera del suolo (cosiddetto gas intersti-ziale o gas del suolo) è utilizzata come ausilio nella definizione prelimi-nare d'aree ad elevata concentrazione di sostanze volatili da sottopor-re successivamente ad indagini dirette del suolo, sottosuolo e acquesotterranee. Questo tipo d'indagine (spesso indicato col termine anglo-sassone di soil gas survey) è generalmente utilizzato in corrisponden-

Figura 9.9 - Il muro sullo sfon-do è caratterizzato dalla pre-senza di una frattura chepotrebbe minare la stabilitàdell’edificio. In questi casi èindispensabile la verifica,condotta da figure professio-nali competenti, della stabilitàin modo da condurre in sicu-rezza le indagini all’interno oin zone circostanti l’edificio

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za di punti vendita carburanti, parchi serbatoi, reti interrate, sia con loscopo di mirare meglio il posizionamento dei sondaggi e/o piezometri,sia per approfondire le indagini nell'intorno di un punto risultato conta-minato da composti volatili.Le norme italiane non danno indicazioni sul numero e sulla posizonedei punti di monitoraggio del gas interstiziale. La "Standard Guide forSoil Gas Monitoring in the Vadose Zone (ASTM D 5314)" evidenzia chela definizione della griglia di campionamento è funzione del livello didettaglio dell'indagine, delle condizioni geologiche e idrogeologiche delsito, precisando che per applicazioni finalizzate alla definizione del-l'estensione di un suolo contaminato o di un pennacchio di contamina-zione delle acque sotterranee, si può usare una griglia con celle diestensione tra 9 e 36 mq, con un lato di lunghezza variabile tra 3 e 6 m.La stessa pubblicazione indica l'ubicazione dei punti di monitoraggiolungo profili come uno strumento utile in alcune situazioni, quali l'indivi-duazione di perdite in corrispondenza di una tubazione interrata, for-nendo un intervallo di campionamento compreso tra 8 e 30 m.La profondità di prelievo è generalmente compresa tra 1 e 2 m; profon-dità maggiori richiederebbero l'uso di attrezzature che renderebberonon più conveniente il monitoraggio dei gas sia in termini economici siadi tempo impiegato. Anche se più frequentemente il campionamentoavviene in corrispondenza di una sola profondità, ciò non esclude lapossibilità di effettuare più campionamenti lungo la stessa verticale (adesempio a 1 m e 1,5 m dal piano campagna).In termini di validità dei risultati acquisiti, si deve sempre tenere contodi quanto già discusso nel capitolo sui gas del suolo (Cap. 1), in parti-colare della volatilità dei contaminanti e della presenza di strati a bassapermeabilità che limitano la propagazione dei gas.

SondaggiIl D. Lgs. 152/06 non fornisce indicazioni sul numero dei sondaggi daeffettuare nel sito. Tali indicazioni erano invece riportate nell'allegato 2al D.M. 471/99, che suggeriva un numero minimo di sondaggi da effet-tuare in funzione della superficie del sito da investigare (vedi tabellaseguente).

Il rapporto è stato anche rappresentato in Figura 9.10, in modo da faci-litare la determinazione del numero di sondaggi da effettuare in un sito

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con una determinata superficie.L'ubicazione dei punti di campionamento deve essere stabilita in mododa corrispondere agli obiettivi indicati nei criteri generali. Per ogni matri-ce ambientale investigata (suolo, sottosuolo, materiali di riporto, acquesotterranee, acque superficiali, atmosfera del suolo) e per gli ammassidi rifiuti stoccati. Si possono presentare due principali strategie per sele-zionare l'ubicazione dei punti di sondaggio e prelievo:

1. una ubicazione ragionata, in cui la scelta è basata sulla caratteriz-zazione del sito e sul modello concettuale fornito e può essere mira-ta a verificare le ipotesi formulate sulla presenza di contaminanti osulle caratteristiche ambientali del sito

2. una ubicazione sistematica, in cui la scelta della localizzazione deipunti è effettuata sulla base di un criterio di tipo casuale o statistico,ad esempio campionamento sulla base di una griglia predefinita ocasuale; questa scelta è da preferirsi ogni volta che le dimensionidell'area o la scarsità di informazioni storiche e impiantistiche sulsito non permettano di ottenere una caratterizzazione soddisfacen-te e di prevedere la localizzazione delle più probabili fonti di conta-

minazione (vedi anche par. 2.2.2).

Nel caso in cui si proceda all’ubicazione ragionata, essa dovrà riferirsialle aree di potenziale interesse ai fini della caratterizzazione così comedefinite nelle pagine precedenti. In questo caso, è bene riportare nellaplanimetria delle indagini da effettuare sia l'ubicazione dei sondaggi siala posizione delle aree appena citate in modo da evidenziare la loro cor-relazione.

Nel caso in cui si proceda con una disposizione a griglia, il lato d'ognimaglia potrà variare da 25 a 100 m secondo il tipo e le dimensioni del

Figura 9.10 - Rappresenta-zione grafica della relazione-tra superficie da investigare enumero minimo di sondaggi

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sito oggetto d'indagine. I punti di indagine potranno essere localizzati incorrispondenza dei nodi della griglia (ubicazione sistematica) oppureall'interno di ogni maglia in posizione opportuna (ubicazione sistemati-ca casuale), oppure posizionati casualmente all'interno delle magliedella griglia a seconda dei dati conoscitivi ottenuti dalla fase di indagi-ne preliminare o della situazione logistica (presenza di infrastrutture,ecc.). Nei siti d’interesse nazionale si suggerisce una maglia inizialecon 50 m di lato, che in siti particolarmente estesi può raggiungere i 100m di lato in corrispondenza di aree verdi, salvo infittimenti in caso di rile-vamento di contaminazione.

Né il D.M. 471/99 né il D.Lgs 152/06 forniscono indicazioni sulla profon-dità da raggiungere con i sondaggi, che però è frequentemente indica-ta nei protocolli formulati per alcuni siti d’interesse nazionale (per es.Porto Marghera). Nel caso le conoscenze riguardanti la geologia sianoscarse, può essere utile spingere alcuni dei sondaggi a profondità supe-riori a quelle previste, in modo tale da avere un quadro più chiaro del-l'assetto geologico e idrogeologico del sito.A questo proposito, è da evidenziare come l'allegato non preveda chela profondità dei sondaggi debba essere uguale a quella dei piezome-tri, vista la sostanziale differenza d'obiettivi. Questa osservazione, dipoco conto nel caso di falde superficiali, acquista una forte rilevanzaeconomica in presenza di falde a profondità maggiori.

PiezometriCome per i sondaggi, il D.Lgs 152/06 non indica quantità precise di pie-zometri da installare, mentre il D.M. 471/99 forniva il numero di piezo-metri da installare in funzione della superficie del sito, così come ripor-

tato nella Figura 9.10.Come evidente, il numero dei piezometri per ettaro è minore di quelloprevisto per i sondaggi, coerentemente con le caratteristiche di diffusio-ne dei contaminati nelle acque sotterranee. Il grafico mostra la relazio-ne tra la superficie del sito e il numero di piezometri.

L’ubicazione dei piezometri deve essere fatta sulla base della caratte-rizzazione idrogeologica dell'area, del modello concettuale del sito edelle caratteristiche dell' acquifero che si intende campionare (ad esem-pio superficie piezometrica, permeabilità, direzione prevalente del flus-

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so) in modo da poter caratterizzare univocamente l'influenza del sitosulle caratteristiche complessive degli acquiferi in esame e la mobilitàdegli inquinati nelle acque sotterranee. Almeno un piezometro per cia-scun acquifero considerato deve essere installato immediatamente amonte idrogeologico del sito, definito sulla base dei dati bibliografici o diindagini pregresse, in modo da costituire il valore di riferimento delleacque sotterranee "in ingresso" nell'area oggetto di indagine ed alme-no uno per ciascun acquifero considerato deve essere localizzatoimmediatamente a valle del sito, in modo da verificare le caratteristichedelle acque di falda "in uscita" dal sito.Nella stragrande maggioranza dei casi è d'uso, sia per motivi economi-ci sia logistici, installare i piezometri sfruttando alcuni dei fori realizzatiper i sondaggi; la loro ubicazione "risente" quindi di quella dei sondag-gi stessi. All'interno di tale pratica, possono comunque essere utilizzaticriteri diversi: costruire dei transetti posti perpendicolarmente all'ipoteti-ca direzione di deflusso, con l'obiettivo di verificare la qualità delleacque sotterranee in corrispondenza di differenti sezioni dello stabili-mento, o ubicare i piezometri a valle idrogeologica delle potenziali areedi contaminazione, in modo da verificare il loro eventuale impatto sullaqualità delle acque sotterranee.

A differenza del D.Lgs. 152/06, che non dà indicazioni sulla profonditàdei piezometri, il D.M. 471/99 prescriveva che la profondità dei piezo-metri doveva comunque interessare almeno la base del primo acquife-ro individuato e comunque profondità non inferiori a due terzi dellospessore dell'acquifero stesso. Eventuali falde sospese dovevanoessere considerate individualmente, al fine dì una completa ricostruzio-ne idrogeologica dell'area.Questa prescrizione, di facile applicazione nel caso di acquiferi superfi-ciali con spessori dell'ordine di pochi metri, comporta viceversa alcunedifficoltà tecniche e oneri economici significativamente maggiori nel

Figura 9.11 - Rappresenta-zione grafica della relazione-tra superficie da investigare enumero minimo di piezometrida installare

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caso di acquiferi non superficiali e di spessore considerevole (vedi gliacquiferi multistrato, tipici di alcune pianure alluvionali) o sconosciuto.Nel caso ad esempio di un acquifero con una soggiacenza di 20 m dalpiano campagna e con uno spessore presunto di 60 m, i piezometridovranno spingersi ad una profondità di circa 80 m e comunque a nonmeno di 60 m dal piano campagna.Nell'ottica di un'impostazione delle indagini che mantenga l'equilibrio traesigenze conoscitive e economiche, potrebbe risultare più redditizio unapproccio a definizione crescente che preveda la realizzazione di pie-zometri spinti per almeno 5 metri all'interno dell'acquifero quindi, in casodi contaminazione accertata, una successiva indagine d'approfondi-mento che tenga conto anche delle caratteristiche fisico-chimiche deicontaminanti rilevati.

Rilievo topograficoDi particolare importanza è il menzionare nel Piano di caratterizzazioneil rilevo topografico di tutti i piezometri, indispensabile per formularequalsiasi considerazione sulla direzione di deflusso della falda. Se ai finidella caratterizzazione del singolo sito è sufficiente la determinazionedella quota relativa per poter ricostruire l’andamento della superficiedella falda, in molti casi, in particolare nei siti d'interesse nazionale, ènecessario determinare le quote assolute in modo tale da rendere con-frontabili e correlabili i dati relativi a siti contigui.

Prelievo dei campioni di terrenoIl D.M. 471/99 non forniva indicazioni per quanto riguarda il numero dicampioni da prelevare in ciascun sondaggio, mentre il D.Lgs. 152/06prevede nell’allegato 2 al Titolo V della Quarta Parte, il prelievo di trecampioni: il primo da 0 a 1m dal piano campagna, il secondo nel metroche comprende la frangia capillare, il terzo nella zona intermedia tra idue campioni, concentrando quindi il campionamento nella sola zonanon satura. Questa indicazione riprende, in parte, quelle degli enti pre-posti all'istruttoria dei Piani di caratterizzazione che prevedevano il pre-lievo di tre campioni (settore superficiale, intermedio e profondo) perciascun sondaggio, con la clausola che nel caso la stratigrafia delle per-forazioni mostrasse orizzonti con maggiori evidenze di contaminazione,si dovesse procedere al prelievo dei campioni di terreno rappresentati-vi di tali orizzonti.

In corrispondenza dei siti d'interesse nazionale nei quali sono note con-taminazioni da ricaduta aerea è richiesto anche il prelievo, generalmen-te nella misura del 10% del numero dei sondaggi, di campioni superfi-ciali (cosiddetto "top soil") da prelevare nell’intervallo di profondità 0-10cm in corrispondenza di zone non asfaltate o pavimentate, sui quali

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sono eseguite analisi per la determinazione delle diossine e/o del-l'amianto.Per quanto riguarda le modalità di campionamento dei terreni si riman-da al relativo capitolo sottolineando che, in generale, il protocollo dicampionamento è concordato prima delle indagini con l'ente addetto alcontrollo in campo (Agenzie Regionali e/o provinciali per la protezionedell'ambiente).

Prelievo dei campioni d'acquaNel piano vanno descritti, da parte del proponente, i metodi di spurgodel pozzo e campionamento delle acque sotterranee giustificando leragioni che hanno portato a tali scelte.Qui si ha l'occasione di descrivere le determinazioni quali-quantatitiveda effettuare durante le indagini con l'ausilio di strumenti di campo,quali il rilievo della profondità di falda, la determinazione dei principaliparametri chimico-fisici (pH, temperatura, potenziale redox, conducibili-tà elettrica, ossigeno disciolto), l'esecuzione di prove idrogeologiche neipiezometri, l’analisi dello spazio di testa.

Analisi chimichePer quanto riguarda la scelta dei contaminanti non si richiede che in tuttii siti le analisi chimiche siano condotte sulla lista completa delle sostan-ze indicate nelle tabelle con le concentrazioni limite. Per ogni sito, sullabase delle attività pregresse, della caratterizzazione specifica, e di ognialtra fonte di informazione sono selezionate le sostanze indicatrici chepermettano di definire in maniera esaustiva l'estensione, il tipo di inqui-namento e il rischio posto per la salute pubblica e l'ambiente. In ognicaso le analisi dovranno comprendere le sostanze che presentanomaggiore tossicità, persistenza e mobilità ambientale.È quindi chiaro che la scelta dei parametri da analizzare è lasciata alprogettista sulla base dei dati riportati nella descrizione del sito. Ciòimplica che i parametri possano comprendere anche composti non indi-cati nelle tabelle ma utilizzati nel sito attualmente e/o nel passato.Per alcuni siti di interesse nazionale (per esempio Napoli Orientale)sono state elaborate, a cura degli enti preposti, delle short list che indi-cano le determinazioni analitiche minime da effettuare sui campioni disuolo e di acque sotterranee.

In considerazione dell'impatto che i risultati delle determinazioni analiti-che hanno sui campioni di terreno e acque sotterranee, è auspicabileche le analisi chimiche siano affidate ad un laboratorio accreditato dalSINAL o da altri organismi internazionali (vedi par. 7.5).Metodiche analitiche differenti possono produrre risultati diversi, perquesto motivo è consigliabile adottare per i suoli quelle contenute nella

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"Raccolta 2000 - Metodi di Analisi dei suoli" redatta dal CTN SSCCentro Tematico Nazionale "Suolo e Siti Contaminati", per acque sotter-ranee quelle del CNR-IRSA o dell'EPA. I limiti di rilevabilità dei metodiutilizzati dovranno comunque essere conformi ai requisiti previsti dallanormativa e, ove tecnicamente possibile, 10 volte inferiori rispetto ailimiti imposti dalle norme vigenti.Il D.M. 471/99 prevedeva che le analisi dei campioni di suolo fosserocondotte sulla frazione granulometrica fine (<2 mm) ed i risultati riferitiad essa. In caso di superamento dei limiti, era effettuata la caratterizza-zione completa della frazione grossolana (>2 mm), attraverso test dicessione con acqua deionizzata satura di CO2 e sull'eluato erano deter-minati gli inquinanti rinvenuti nei suoli sulla frazione minore di 2 mm.Ovviamente le analisi di sostanze volatili sui campioni di suolo doveva-no essere eseguite sul campione tal quale, non essiccato e non sotto-posto al vaglio di 2 mm. Il D.Lgs 152/06, indica di scartare in campo lafrazione maggiore di 2 cm e condurre le analisi sulla frazione minore di2 mm, determinando la concentrazione del campione riferendosi allatotalità dei materiali secchi, comprensiva anche dello scheletro.In considerazione del fatto che il recente D.Lgs. 152/06 prevede laredazione di un’analisi di rischio sito-specifica, le determinazioni anali-tiche devono comprendere anche quei parametri ad alta sensibilitàquali la frazione di carbonio organico (foc) e il pH per i quali è necessa-ria la misura diretta.Da ultimo, si sottolinea l’importanza di misurare il contenuto in acquadel campione poiché tale dato consente di confrontare le concentrazio-ni soglia calcolate mediante l’analisi di rischio (CSR, riferite al campio-ne tal quale) con le concentrazioni tabellari (CSC, riferite alla sostanzasecca). Per approfondimenti sulle tematiche riguardanti l’analisi dirischio si veda il documento "Criteri metodologici per l'applicazione del-l'analisi assoluta di rischio ai siti contaminati" rev. 1, disponibile sul sitowww.apat.it

Analisi geotecnicheAl fine di valutare le caratteristiche geotecniche dei suoli, è necessarioprelevare anche campioni di terreno rappresentativi delle litologieincontrate nel sottosuolo da sottoporre ad apposite analisi (vedi Cap. 2).Tali analisi saranno eseguite da laboratori di geotecnica qualificati, nelrispetto delle procedure stabilite dalle "Raccomandazioni sulle provegeotecniche di laboratorio" dell'Associazione Geotecnica Italiana(1994).Le determinazioni granulometriche rivestono particolare importanza inquanto, a fronte di un costo ridotto, forniscono informazioni indispensa-bili per sostanziare quanto descritto nelle stratigrafie compilate dal geo-logo in campo, possono essere d’aiuto nella formulazione del modello

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concettuale e nell’eventuale progetto di bonifica e/o messa in sicurezzae forniscono importanti parametri di input sito-specifici per l’analisi dirischio. Per quanto riguarda questo ultimo aspetto si sottolinea anchel’importanza di determinare parametri quali densità e porosità del terre-no che hanno grande influenza sui risultati dell’analisi di rischio.

Sintesi dei risultati delle indaginiL’acquisizione di dati bibliografici, lo studio dei risultati di eventuali inda-gini preesistenti, l’esame delle stratigrafie redatte in campo ed integra-te con gli esiti delle analisi granulometriche, la valutazione dei dati idro-geologici derivanti dalle prove idrauliche e dalle misure in pozzo sonopassi indispensabili per giungere alla ricostruzione dell’assetto geo-idrologico dell’area di studio.

Questo sarà lo strumento per comprendere, almeno in parte, i mecca-nismi di trasporto dei contaminanti. Per giungere alla comprensionecomplessiva dei modelli di trasporto dei contaminanti e per effettuareprevisioni sull’evoluzione del quadro di contaminazione del sito ènecessario sovrapporre al modello fisico appena descritto il modellochimico dei contaminanti rinvenuti nelle matrici ambientali indagate nelsito, ovvero le loro caratteristiche intrinseche, le loro interazioni, il lorocomportamento nei vari ambienti geologici individuati.

9.5 Modello concettuale definitivo del sitoIntegrando i risultati delle analisi chimico-fisiche e d'altro tipo realizzatedurante il campionamento, le indagini e le analisi è possibile formulareun modello concettuale definitivo. Il sito deve essere descritto dettaglia-

Figura 9.12 - Quadro ambien-tale del sito.La ricostruzione del modellogeologico-idrogeologico siintegra con i risultati delleanalisi chimiche sulle matriciambientali indagate per forni-re un quadro d’insieme dellostato di contaminazione delsito oggetto della caratteriz-zazione

Figura 9.13 - Sequenza logi-ca delle fasi di attuazione delPiano di caratterizzazione diun sito.Il prodotto finale del Piano è ilmodello concettuale definiti-vo, indispensabile punto dipartenza per la progettazionedegli interventi di risanamen-to ambientale

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tamente, organizzando le informazioni raccolte in modo da stabilire glieffetti dell'attività svolta sul sito o dei rifiuti stoccati e permettere quindidi individuare:• le fonti della contaminazione presenti o passate, quali ad esempio

terreno di riporto contaminato, rifiuti interrati, accumuli di rifiuti, per-dite da tubature, serbatoi perdenti, polveri

• le sostanze contaminanti presenti nelle diverse componenti ambien-tali influenzate dal sito

• la tossicità e le caratteristiche chimico-fisiche rilevanti delle sostan-ze presenti (solubilità, volatilità, biodegradabilità, biodisponibilità)

• le caratteristiche dominanti dell'ambiente con cui il sito interagisce,quali tipo di acquifero superficiale, profondità dell'acquifero principa-le, vicinanza di corsi d'acqua, caratteristiche meteoclimatiche

• la presenza di pozzi nel sito o nell'area circostante e gli usi delleacque prelevate

• gli elementi territoriali rilevanti, come distribuzione e densità dipopolazione nell'area circostante, vicinanza di elementi sensibili(per es. scuole ed ospedali)

• le modalità di esposizione dei bersagli (contatto dermico con lematrici contaminate, ingestione, inalazione).

L'obiettivo è di raccogliere tutti gli elementi che servono a definirel'estensione dell'area da bonificare, i volumi di suolo contaminato, lecaratteristiche rilevanti dell'ambiente naturale e costruito, il grado d'in-quinamento delle diverse matrici ambientali, le vie d'esposizione e lecaratteristiche della popolazione su cui possono manifestarsi gli effettidell'inquinamento.

Figura 9.14 - Rappresenta-zione tridimensionale delmodello concettuale.La conoscenza delle attivitàindustriali svolte nel sito, deicicli produttivi, delle materieprime impiegate si integracon i risultati geologici, idro-geologici e chimici derivantidalle indagini in campo perportare ad un modello attra-verso il quale sono identifica-bili sorgenti di contaminazio-ne, percorsi di migrazione deicontaminanti, possibili recet-tori umani e ambientali(pozzo, fiume)

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Glossario

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Boccapozzo - E' il margine superiore del piezometro o del pozzo.Viene utilizzato come punto di riferimento per le misure di profondità dellivello idrico nel piezometro e per l'assegnazione della quota altimetricaal piezometro stesso

Carota di terreno (di sedimento) - Porzione di terreno (sedimento) diforma cilindrica ottenuta mediante l'utilizzo di carotieri. La dimensionedella carota (diametro, lunghezza) dipende dal tipo di carotiere utilizza-to in funzione delle finalità dell'indagine

Coefficiente di ripartizione ottanolo-acqua (Kow) - si definisce coef-ficiente di ripartizione ottanolo-acqua, il rapporto delle concentrazioni diuna specie chimica nelle due fasi immiscibili tra di loro; indica general-mente l'affinità di una specie chimica verso una fase apolare

Composto semivolatile - Mentre si ritiene importante ed estremamen-te utile ai fini di una corretta applicazione del DM 471/99 la definizionedi composto volatile (vedi), supportata da ampia bibliografia in merito,non sembra possibile fornire un'altrettanto univoca definizione di "com-posto organico semi volatili" (SVOC), mancando, specifica bibliografiae/o norme di riferimento

Composto volatile - si definisce un composto volatile se alla tempera-tura di 20°C la sua pressione di vapore è pari a 0,01 kPa o superiore(Direttiva 1999/13/CE)

Crioclastismo - Processo di disgregazione fisica di una roccia causa-to dalla pressione del ghiaccio presente nelle fessure

Fotoionizzatore - Rilevatore portatile che basa il proprio principio dimisura sulla ionizzazione delle sostanze organiche presenti nell'ariaattraverso l'emissione di raggi ultravioletti; in base all'energia UV assor-bita è possibile rilevare sia gruppi di sostanze appartenenti alla stessafamiglia che singoli composti per mezzo di un kit di separazione. E'quindi possibile rilevare sostanze organiche volatili (VOC) in aria anchea bassissime concentrazioni. E' inoltre possibile tarare lo strumento perspecifiche sostanze

Frangia capillare - La zona al di sopra della superficie piezometrica,nella quale l'acqua è trattenuta per azione capillare da una pressioneinferiore a quella atmosferica

Gradiente idraulico - Perdita di carico unitaria che, in seno ad unacquifero, si verifica a causa della dissipazione di energia durante ilmoto dell'acqua; si tratta di una grandezza adimensionale, essendodata da un rapporto fra lunghezze (differenza di carico idraulico tra duepunti e distanza orizzontale fra essi); in genere viene espressa comepercentuale

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Glossario

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Limite di rilevabilità - Rappresenta la grandezza minima rilevabile dalmetodo o dallo strumento analitico; non esiste una definizione standarddi limite di rilevabilità

Limite di rivelabilità del metodo (MDL) - Secondo la definizione pro-posta da USEPA il MDL si calcola preparando sette repliche di unamatrice pulita (acqua ultrapura per matrici liquide e sabbia di Ottawaper matrici solide) a cui va aggiunto (spiking) l'analita di interesse inconcentrazione da 3 a 5 volte l'MDL stimato. Si analizzano quindi lesette repliche con la metodologia analitica indicata e si calcola la con-centrazione dell'analita. La deviazione standard dei valori ricavati, mol-tiplicata per un opportuno coefficiente, rappresenta il limite di rilevabili-tà del metodo che il laboratorio è in grado di raggiungere

MDL - vedi Limite di rilevabilità del metodo

Pedogenesi - Processo di alterazione geologica della roccia causatoda agenti meteorici e/o biotici che consiste letteralmente nella "forma-zione del suolo"

Permeabilità - In geologia è una proprietà delle rocce o dei terreni nonconsolidati e rappresenta la capacità di essere attraversati dai fluidi; èuna grandezza vettoriale, ossia dipendente dalla direzione in cui vienemisurata. I fattori che la condizionano sono legati alla struttura microsco-pica del mezzo poroso (es. tortuosità, ampiezza dei pori, quantità di poriinterconnessi). L' unità di misura della permeabilità è il darcy o più comu-nemente il millidarcy (md), che dimensionalmente è una superficie

Potenziale di ionizzazione (IP) - si definisce potenziale di ionizzazio-ne l'energia necessaria per togliere un elettrone ad un atomo e/o ad unamolecola e portarlo a distanza infinita dal nucleo PQL = limite pratico diquantificazione

Pressione (o tensione) di vapore - si definisce pressione di vapore lapressione gassosa corrispondente all'equilibrio liquido-vapore alla tem-peratura t (nel caso di volatilità t = 20 °C)

Solubilità - si definisce solubilità di una specie chimica in un dato sol-vente a temperatura t, la quantità in grammi di quella specie disciolta incondizioni di saturazione, alla temperatura t in 100 grammi di solvente

Solvente - Viene denominata "solvente" ogni sostanza capace di scio-glierne un'altra per ottenere una soluzione. A parte l'acqua, che è il sol-vente più comune in natura, la maggior parte dei solventi sono compo-sti organici che, in condizioni normali, sono liquidi volatili e, in genere,potenzialmente tossici per l'organismo umano.

Superficie piezometrica - Luogo geometrico dei livelli piezometricidella falda, in corrispondenza del quale la pressione idrostatica è ugua-le alla pressione atmosferica

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Glossario

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Tedlar - lI Tedlar® è un film di polivinilfluoruro caratterizzato da eccel-lenti proprietà chimiche, elettriche e di resistenza meccanica; a questesi aggiungono interessanti caratteristiche di barriera ai raggi UV e diresistenza all'invecchiamento atmosferico. Il film Tedlar® è pertantoparticolarmente indicato in tutte quelle situazioni che richiedono prote-zione dallo sporco e dall'attacco chimico

Termoclastismo - Processo di disgregazione fisica di una roccia cau-sato dalla variazione di temperatura prodotta dall'insolazione diurna edal raffreddamento notturno, che determinano dilatazioni e contrazioninelle rocce; queste azioni ripetute per lunghi periodi di tempo possonoportare alla frantumazione dei materiali rocciosi

VOC - Acronimo inglese per Volatile Organic Compounds, compostiorganici volatili (vedi Composto volatile)

Widia - E' un materiale utilizzato nelle lavorazioni meccaniche consi-stente di particelle dure (carburi) inglobate in una matrice di un metallo(cobalto). La denominazione comune Widia deriva dal marchio registra-to della Krupp che inventò nel 1926 questo materiale e lo chiamò "WIeDIAmant" (come diamante). I carburi utilizzati sono per lo più carburo ditungsteno, di titanio e di tantalio

Zona di evapotraspirazione - Spessore di suolo insaturo superficiale,dove l'acqua presente può essere riportata nell'atmosfera per l'azionecombinata dei fenomeni di traspirazione delle piante e di evaporazione.Dipende da fattori meteorologici quali radiazione solare, temperatura eumidità dell' aria, velocità del vento e dalle caratteristiche tessiturali delsuolo. Lo spessore di questa zona è molto variabile a seconda del climae della vegetazione, normalmente è circa 2 metri. La saturazione inquesta zona varia tra un minimo del 75% ed un massimo del 100%

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