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S e Professionisti, tecnici e imprese Gruppo Editoriale Esselibri - Simone sistemi editoriali Marco Nieri Bioenergetic Landscape Teorie e tecnologie per il benessere La progettazione del giardino terapeutico bioenergetico Estratto della pubblicazione

Marco Nieri Bioenergetic Landscape · Sono in special modo grato a Vanna e Veronica,le mie donne di casa,per il loro taglien- ... molto di quello che di solido ho imparato,il quale

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Se Professionisti, tecnici e impreseGruppo Editoriale Esselibri - Simonesistemi editoriali

Marco Nieri

BioenergeticLandscape

Teorie e tecnologieper il benessere

La progettazione del giardinoterapeutico bioenergetico

Estratto della pubblicazione

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Copyright © 2009 Esselibri S.p.A.Via F. Russo, 33/D80123 Napoli

Tutti i diritti riservatiÈ vietata la riproduzione anche parzialee con qualsiasi mezzo senza l’autorizzazionescritta dell’editore.

Per citazioni e illustrazioni di competenza altrui, riprodotte in questo libro, l’editore è a di-sposizione degli aventi diritto. L’editore provvederà, altresì, alle opportune correzioni nelcaso di errori e/o omissioni a seguito della segnalazione degli interessati.

Prima edizione: settembre 2009AS101 - Bioenergetic LandscapeISBN 978-88-513-0576-5

Ristampe8 7 6 5 4 3 2 1 2009 2010 2011 2012

Questo volume è stato stampato presso:Arti Grafiche Italo CerniaVia Capri, 67 - Casoria (NA)

www.sistemieditoriali.it

Coordinamento redazionale: Rita Berto

Per conoscere le nostre novità editoriali consulta il sito internet: www.sistemieditoriali.it

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■ Ringraziamenti

Per prima cosa desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno insegnato qualcosa, nelbene e nel male. La lista sarebbe lunga e non la compilo, ma in particolare sono moltograto a Walter Kunnen per la ricchezza dei suoi insegnamenti e lo spessore morale eumano che mi ha comunicato, diventando per me un eccezionale esempio di genero-so ricercatore dalla mente libera e tenace.Un grosso ringraziamento a Maurizio Corrado, per l’assiduo incoraggiamento ad af-frontare la scrittura di questo libro e ai suoi preziosi consigli, e all’editore, per avereaccolto con coraggio questo mio insolito lavoro.Andrea Salmi e il gruppo “Strata” sono stati di grande disponibilità e professionalitàoffrendomi amichevolmente il loro contributo grafico.Sono in special modo grato a Vanna e Veronica, le mie donne di casa,per il loro taglien-te senso critico: dover fare i conti quotidianamente con un punto di vista così diversomi ha costretto a non cullarmi nell’autoillusione e a cercare elementi sempre più solidiper rafforzare le mie ricerche, chiarendo la mia visione delle cose. Un grazie di cuoreagli scettici e inguaribili razionalisti incontrati finora: anch’essi mi hanno molto aiutatoa restare vigile in un percorso ancora giovane, ponendomi domande di grande lucidi-tà e stimolo per ulteriori sviluppi.A loro la mia riconoscenza, ma con l’invito a non «cre-dere di no», perché anche questo è un modo di credere. Infine abbraccio le molte per-sone che hanno avuto fiducia in me e nel mio lavoro, a cui ho potuto offrire sincera-mente nel mio percorso quello che in quel momento ritenevo il meglio. Un grazieanche a coloro che avranno la pazienza di leggere questo libro, sperando che qualcosadi buono possa produrre nel migliorare il nostro rapporto con la natura.

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■ Prefazione dell’autore

Quando a metà degli anni ’80 incominciai a lavorare come ecodesigner occupandomidi progetti di interni, non avrei mai pensato che le mie convinzioni in questo settoremi avrebbero spinto così oltre a quei miei primi interessi, condivisi allora con pochepersone tanto idealiste quanto convinte.Il mio desiderio di approfondire temi ancora poco noti,perlomeno in Italia,come l’eco-logia del costruire e dell’abitare e quello della sostenibilità ambientale, mi spinse a unatteggiamento di apertura a 360º verso tutto ciò che era possibile racimolare a livellodi letture, corsi e frequentazioni dirette con i più noti esperti. Forse perché praticantedi alcune discipline molto legate alla consapevolezza sulla propria salute, come loYoga, la meditazione e il Tai Chi, fui attratto da alcune giovani conoscenze che mette-vano in relazione anche il nostro benessere con l’ambiente e il luogo dove trascorria-mo la maggior parte del nostro tempo, la casa. Mi interessai così di Cronobiologia e diGeobiologia, disciplina questa che trovavo misteriosa ed intrigante. Frequentando inEuropa varie realtà di divulgazione di questa materia attraverso vari seminari, tentaisinceramente di applicare le conoscenze che andavo acquisendo per aiutare amici epersone interessate, anche all’interno dei miei lavori. Nel giro di qualche anno e dopoesperienze incerte però mi ritrovai piuttosto disorientato, perché qualcosa non mi tor-nava. Cercando di cogliere coerenza e oggettività tra le molte informazioni che recepi-vo, a un certo punto tutto mi sembrava non stare letteralmente in piedi, i ciarlatanisembravano trovare in questi argomenti alimento per il loro ego, tanto che qualunquepersonaggio con un poco più di convinzione di altri mi pareva potesse presentarsi suun palco a inventarsi metodi e risultati molto personali, ma evanescenti. Una sorta dicupezza, di facile esoterismo da fine settimana e di credulità spicciola intorno a mecominciava veramente a infastidirmi.Nel 1994 conobbi in Italia Walter Kunnen, un impareggiabile ricercatore a cui devomolto di quello che di solido ho imparato, il quale mi sorprese con le sue scoperte nelcampo dell’elettromagnetismo e dello studio dell’influenza della Biosfera sugli esseriviventi. Ascoltandolo fui colto da migliaia di dubbi, domande e da un notevole spiaz-zamento culturale, visto che gran parte di quello che avevo ascoltato precedentemen-te un po’ ovunque, crollava come un castello di sabbia. Da lui ho avuto molte spiega-zioni ma non altrettante risposte. Del resto ho potuto comprendere più tardi, nel tem-po, il valore di uno stimolo alla ricerca e alla riflessione piuttosto che quello di una dot-trina confezionata. E certamente questo non è argomento basato su certezze inossi-dabili. Tuttavia lo stimolo c’è stato, e di notevole entità. Studiare l’elettromagnetismonaturale e artificiale e la sua interazione con gli esseri viventi in modo così poco «con-

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venzionale» e fuori da ogni schema riconosciuto non è stato facile, né lo sarà ancora alungo, ma di sicuro il viaggio è affascinante.

Il mio antico amore per la natura non poteva non farsi sentire, e ben presto cominciai amettere in pratica le mie capacità di misura e di valutazione acquisite, applicandomi almondo vegetale. L’idea mi venne in occasione di una visita a un chiostro medioevale,dove fui colpito dalla presenza di piante disposte secondo una certa geometria e dalpiacevole senso di benessere che ne ricavai. Le esperienze in Archeologia bioenergeti-ca affrontate insieme a Walter mi fecero riflettere incoraggiandomi a studiare la possi-bile relazione tra le condizioni energetiche – o elettromagnetiche – della nostra Bio-sfera e le piante, soprattutto gli alberi, e se questo potesse produrre risultati utili per lanostra salute. La base culturale di questo approccio si basa su conoscenze antiche dicui in gran parte si è perduta la traccia; di altre è stato possibile solo raccoglierne i lem-bi per tentare di ricostruire una loro logica coerenza. Di fatto mi resi conto che non c’èmolta differenza tra studiare le relazioni energetiche che un tempo hanno permessoagli antichi costruttori di gonfiare di forza vitale un Tempio greco o un’antica Cattedra-le, e identificare le condizioni elettromagnetiche che sono capaci di generare un giar-dino dalle proprietà terapeutiche. Alcuni anni di studio e di osservazione, e infine leprime sperimentazioni, poi verificate dallo stesso Kunnen e da medici con apparec-chiature di biorisonanza, oltre alle numerosissime testimonianze di persone che an-che senza saperlo si trovavano a stazionare in luoghi benefici appositamente ricreati, eche spontaneamente esprimevano la loro gradita approvazione.

Ho chiamato «BIOENERGETIC LANDSCAPES1» la tecnica che negli anni ho messo a

punto con un approccio multidisciplinare per realizzare questi particolari giardiniterapeutici, che la carta stampata ha cominciato a definire «giardini bioenergetici».Leggere questo libro permetterà a chiunque di comprendere quali siano i presuppostiche consentono di realizzare questi spazi verdi, grandi o piccoli che siano, all’esternocome talvolta all’interno. In questi giardini possiamo utilizzare alberi e piante di cuisappiamo misurare la reale influenza energetica sui vari organi del corpo umano, riu-scendo poi a individuare punti speciali dove collocarli per attivare una particolare rea-zione tra questi e l’elettromagnetismo naturale del luogo. In questo modo otteniamorisultati sorprendenti: le piante utilizzate possono modificare localmente le caratteri-stiche elettromagnetiche della Biosfera in grado di influire sul nostro organismo,generando aree che diffondono i loro particolari benefici fino a decine di metri didistanza. Questa è sicuramente una vera rivoluzione nella consapevolezza del nostrorapporto con la natura, che si spinge oltre all’effetto psicologico, emozionale esensoriale ricercato negli «Healing Garden», per toccare aspetti più legati alla biologiae alla bioenergetica: un’innovazione verde che attende solo di essere compresa anchea livello scientifico.

1 Il lettore si accorgerà presto che nel corso del libro la tecnica del “Bioenergetic Landscapes” è sempre citata al singo-lare. Fermo restando che il nome della tecnica è al plurale, l’uso del singolare consente di descrivere un modo di inten-dere il paesaggio e la mia filosofia progettuale.

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Ci si renderà però conto che per operare in questo modo non basta conoscere la teo-ria: purtroppo, o per fortuna se la consideriamo un’opportunità, occorre apprendereun metodo di misurazione che si basa su uno strumento biofisico, semplice ma assolu-tamente prezioso, chiamato «Antenna Lecher». Il suo uso non è immediato, e richiedemolto allenamento. Per questo, come io ho fatto negli anni scorsi, e come prima di mehanno fatto altri,è necessario seguire una formazione ed esercitarsi con continuità.Maposso garantire che la costanza porterà a splendidi frutti, e nessuno si pentirà mai diavere intrapreso questo percorso.Oggi i giardini bioenergetici si stanno moltiplicando e con piacere desidero diffonde-re la mia tecnica. Per questo il mio studio di Bologna è anche la sede del«BIOENERGETIC LANDSCAPES LABORATORY», dove rivolgersi per seminari e formazio-ne. Ma il vero laboratorio, per noi, sono i boschi e i parchi cittadini.

Per contattare l’autore e il BIOENERGETIC LANDSCAPES LABORATORY – BLL – rivolger-si a:

Marco Nieri, tel. + [email protected], http://www.archibio.it

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■ Introduzione

La tipologia di questo libro è molto rara e preziosa.Ci troviamo infatti di fronte a qualcosadi inedito,una tecnica completamente nuova che unisce le esperienze precedenti in unasintesi e una proposta operativa riconducibile, a oggi, esclusivamente all’Autore, il qualeha il grande merito di aver approfondito sul campo la ricerca ed essere arrivato a svilup-pare un metodo di lavoro che ora è a disposizione degli altri ricercatori.Conosco il lavoro di Marco Nieri da decenni, l’ho seguito nel corso della sua evoluzio-ne, l’ho visto avvicinarsi a quel punto della ricerca in cui ci si trova di fronte a un bivio:da una parte il lavoro «sicuro», la strada già percorsa, interessante, stimolante, comun-que all’avanguardia rispetto al panorama degli altri operatori; dall’altra, la costruzionedi un sentiero completamente nuovo e personale, la possibilità di usare tutte le cono-scenze maturate negli anni per aprire un nuovo orizzonte, indicare una possibile viache nessuno aveva ancora tracciato e iniziare a percorrerla, lentamente, con estremacircospezione, dotandosi nel frattempo di tutti gli strumenti che la ricerca scientificacontemporanea mette a disposizione, valutando, sperimentando, osando.Devo confessare che quando ho visto Nieri,con il suo modo di fare pacato e sorridente,iniziare a percorrere quel sentiero solitario e non battuto, accumulando esperienza,progetti, metodologie operative che sono, letteralmente, uniche al mondo, ho pensatoimmediatamente di chiedergli di riunire in un libro il metodo che andava via via speri-mentando. Credo di averci messo più di due anni per convincerlo, continuava a dire dinon essere ancora pronto, che bisognava sperimentare ulteriormente, che non se lasentiva ancora di trasmettere un metodo. Poi, quel seme gettato tanto tempo prima,improvvisamente ha germogliato e abbiamo iniziato a lavorarci. Dico abbiamo perchéquesto testo, più di altri, ha necessitato di cure particolari. Come ogni costruzione su diun terreno nuovo, niente poteva essere dato per scontato e il pericolo di sconfinamen-ti in territori limitrofi era sempre dietro l’angolo. Il mio compito è stato solo quello ditenere la scrittura di Nieri il più possibile centrata sull’obiettivo: trasmettere un meto-do. Confesso di aver usato la forbice, di aver evocato lettori severi e tecnocrati, di averincitato Nieri come si fa con i cavalli di razza, mi si perdoni il paragone, per fugare pau-re, dubbi, incertezze.Una corsa che è durata più di un anno, al termine della quale Nieriha posizionato il primo mattone di una disciplina nuova, fondandola a tutti gli effetti.

Maurizio Corrado

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■ 1 Healing garden e therapeutic landscape oggi

1.1 L’impronta della Natura sull’uomo

Una brezza profumata di gelsomino, il morbido frusciare delle fronde di un albero o labrillante luminosità dell’erba primaverile hanno sovente il potere di attivare in noi pia-cevoli emozioni e un intimo senso di serenità. Basta un attimo per essere catturati dalforte linguaggio evocativo che la Natura e il mondo vegetale riescono a esprimere neimodi più vari, come se istintivamente gli elementi del paesaggio, le forme, i materiali esoprattutto gli alberi e le piante potessero dialogare con l’universo di simboli e diricordi depositati nell’inconscio umano. Un contatto capace di generare un sottilebenessere che dolcemente riesce ad aprire un varco nei nostri momenti di tensione edisagio.

A un livello più o meno consapevole, ognuno risponde alla presenza del verde conuna reazione che sembra nascere da una antica e prolungata promiscuità con lepiante, che ha lasciato un segno nella nostra percezione dell’ambiente. Lo testimoniaper esempio il fatto che l’uomo può distinguere circa 2000 tonalità di verde, ma sol-tanto poche tonalità di rosso. In effetti la presenza dei primi antenati dell’uomo sullaTerra risale a circa 4 milioni di anni fa con la comparsa degli Australopitechi. Il genereHomo si delinea circa due milioni di anni dopo, mentre la specie Homo sapiens, a cuiappartiene l’uomo moderno, ha lasciato testimonianze fossili vecchie di oltre100.000 anni. Fino alla nascita dell’agricoltura nel Neolitico, risalente a circa 10.000anni fa, l’ambiente naturale spontaneo ha rappresentato la scena della sua lotta perla sopravvivenza, offrendo rifugio, cibo e risorse per ogni attività, ma facendoglianche subire le sue difficoltà e sollecitazioni. Probabilmente affondano nel ricordo diqueste lontane esperienze le origini dei primi miti delle civiltà conosciute, i quali cer-cano di offrire risposte alle domande più profonde dell’uomo, che verranno poi ela-borate con la Filosofia. Tra questi, il mistero della nascita e dell’origine della Vita hasempre appassionato gli esseri umani, tanto che in quasi tutte le culture del passatoritroviamo il mito della Grande Madre Universale, signora della vegetazione, espres-sione multiforme di una divinità sempre collegato alla Terra e alla fertilità, sia che sitratti dalla Pachamama andina che della Dea Madre delle religioni preelleniche. Nelbacino del Mediterraneo essa veniva identificata come un giardino, un grembofecondo inteso come recinto protetto che racchiude il terreno dove germoglia lavita. Secondo un mito delle origini riferito da Platone nel «Politico», un tempo la stir-pe degli uomini traeva proprio origine direttamente dalla terra. Lo stesso termine

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greco che definisce il giardino, il kepos, possiede vari significati tutti legati alla fertili-tà, come giardino, terra e sesso femminile, esprimendo simbolicamente il concettoche in realtà il giardino primordiale è il grembo della Madre Terra fecondata dal Cie-lo. Da questa antichissima tradizione simbolica, le cui prime testimonianze scrittesono state tramandate dai Sumeri con il mito della dea madre Inanna

1, derivano tut-

te le successive rappresentazioni del giardino come luogo di vita, di generazione, dinascita, di abbondanza e salute. Uno spazio dove la terra, generosa nutrice dellaNatura che vi prospera, viene curata e sottomessa dall’uomo «giardiniere» per garan-tire la sua esistenza e il suo piacere in armonia con gli altri esseri viventi. Questoantico mito, risalente a prima che l’uomo divenisse antropizzatore della natura, èancora profondamente vivo nella nostra mente e capace di generare suggestionipositive, anche al solo immaginare un quieto spazio che tra alberi e fruttiamorevolmente custoditi possa accoglierci a contemplare le sue bellezze.Nonostante questo concetto ideale della Natura come dispensatrice di vita e di tuttoquello che necessita all’uomo, rappresenti un’astrazione simbolica che ha messo soli-de radici nel nostro inconscio, dobbiamo però riconoscere che l’esperienza quotidianadei nostri avi cacciatori o agricoltori non era certo priva di notevoli rischi e difficoltà. Laspinta verso uno sviluppo della civilizzazione ci ha via via allontanato dalla spontanei-tà di questo rapporto, spingendoci a modificare progressivamente l’ambiente per a-dattarlo ai nostri bisogni e ad avviare il processo di insediamento delle prime città. Ciònonostante pare che in questo lungo periodo di trasformazione sociale il nostro cer-vello non si sia affatto modificato. Emozioni, istinti, stati d’animo, così come paure ebisogni, che riempivano la vita dei nostri avi «selvaggi» sembra che possano rivivereancora oggi nell’uomo moderno grazie a una specie di impronta genetica depositatanei millenni nel nostro cervello. Così in pratica suggerisce il concetto di «inconscio col-lettivo» di Carl G. Jung che studiando i sogni e le angosce dei suoi pazienti, si rese con-to che essi rievocavano miti e archetipi che non potevano essere prodotti della lorostoria personale. Più concretamente sostiene questa tesi il sociobiologo americanoEdward O.Wilson (2004), il quale nel 1984 ha coniato il termine «biofilia» per esprimerela necessità umana di mantenere vivo il contatto con la natura.Wilson sostiene che l’u-omo tende biologicamente a focalizzare il proprio interesse per le altre forme di vita,animale o vegetale che sia, a causa della storia evolutiva della nostra specie. SecondoWilson non si può vivere una vita sana e completa lontano dalla natura. Essa divienequindi un vero nutrimento «neurologico» per l’uomo moderno. Il desiderio di natura èl’espressione di una necessità biologica che scaturisce dal nostro passato di specie vis-suto per milioni di anni a diretto contatto con altri organismi viventi. Questo spieghe-rebbe la tendenza a ricercare per esempio la compagnia di animali domestici, anche a

1 Inanna, Dea Sumera della fecondità, divinità del cielo, della terra e della fertilità, dell’amore ma anche della guerra,governa gli eventi meteorologici e le emozioni fondamentali degli esseri umani, le loro passioni e ambizioni. Il suo cultosi è propagato in tutto il bacino mediterraneo e le sue tante varianti hanno dato origine, tra le altre, ad Afrodite, Cibele,Iside e Venere.

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scopo terapeutico come nella pet-therapy, o di desiderare la presenza di piante nelnostro ambiente sia all’aperto che all’interno delle case. Ed effettivamente possiamoriconoscere senza ombra di dubbio che l’uomo manifesta verso le piante e gli spazinaturali una sorta di familiarità che è sedimentata nel profondo. Nel 1986 Gordon H.Orians propose la cosiddetta «savanna hypothesis»,nella quale si ipotizzava che alcunereazioni psicologiche umane all’ambiente fossero basate sulle conoscenze innate deiluoghi dove si è sviluppata la nostra esistenza. Diversi studi e ricerche sulle preferenzedel paesaggio hanno confermato statisticamente la validità di questa ipotesi (Bal-ling-Falk, 1982; Ulrich, 1983, 1986a, 1986b, 1993), verificando che in particolare gli am-bienti simili alla savana sono associati a stati d’animo di calma e serenità da parte deisoggetti esaminati. Questo probabilmente perché ricordano quelli che sono stati tea-tro della nostra evoluzione per migliaia di anni e che hanno garantito la sopravvivenzacon maggior facilità. Come afferma Wilson: «Le ricerche condotte negli ultimi trent’anninel settore relativamente nuovo della psicologia ambientale indicano costantemente laseguente conclusione: le persone preferiscono stare in ambienti naturali, in particolarenella savana o in un habitat simile a una parco. Amano poter spaziare con lo sguardo suuna superficie erbosa relativamente piana punteggiata di alberi e cespugli. Vogliono starevicino a una massa d’acqua – un oceano, un lago, un fiume o un ruscello. Cercano dicostruire le proprie abitazioni su un rilievo, da cui poter osservare in sicurezza la savana ol’ambiente acquatico. Con regolarità quasi assoluta, questi paesaggi sono preferiti agliscenari urbani brulli o con poca vegetazione» (2004, pag. 132). Le ricerche svolte in que-sta direzione confermano che gli esseri umani mostrano per esempio una preferenzaper alberi con un’ampia e larga chioma, compatti e di dimensioni moderate, con am-pie fronde stratificate che arrivano a terra. Questa forma, tipica degli alberi della sava-na Africana, è capace di attivare nei soggetti esaminati una risposta emotiva positiva.Che questo sia il frutto di una prolungata coesistenza è molto plausibile. Come fanotare ancora Wilson: «La storia evolutiva del genere Homo, compreso Homo Sapiens e isuoi antenati più prossimi, si è svolta quasi interamente in questi habitat o in altri simili. Sesi comprime tale quantità di tempo (circa due milioni di anni) in un intervallo disettant’anni, l’umanità ha occupato l’ambiente ancestrale per sessantanove anni e ottomesi, poi alcune popolazioni si sono dedicate all’agricoltura e si sono trasferite nei villaggiper trascorrere gli ultimi 120 giorni» (2004, pagg. 133-134).

Le stesse motivazioni rendono comprensibile come una natura fitta o misteriosa rie-sca ancora a evocare paure e suggestioni forti ai nostri istinti. Come la biofilia, anchela «biofobia», che denota un’avversione per alcuni aspetti della natura, farebbe partesecondo Wilson del sistema innato di regole di apprendimento umano sviluppatonei millenni e dettato dall’istinto di conservazione. A questo possiamo attribuire peresempio la predisposizione genetica all’avversione per i serpenti così come per altrielementi e aspetti della natura quali i ragni o le estreme altezze. Per contro, reazionisimili vengono raramente suscitate da oggetti e fenomeni della nostra cultura

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moderna, spesso e volentieri ben più pericolosi di serpenti e ragni, come le automo-bili o l’elettricità. In una società così lontana dal contatto diretto con la natura, incen-trata su modelli consumistici e stili di vita statici, sono sempre più frequenti anchenuovi comportamenti tra i bambini, che talvolta manifestano indifferenza o addirit-tura paure verso la natura. Ciò nonostante essa rimane una risorsa vitale dalla qualetutti traggono esperienze e impressioni positive, anche se in taluni casi ciò avvienegrazie a programmi di riabilitazione appositamente sviluppati da tecniche educativespecifiche, come per esempio la Ecoterapia (vedi oltre).

La forte dipendenza dell’uomo dalla natura fa pensare che fra questi si sia creato neltempo un legame talmente stretto e necessario da poterlo paragonare a un cordoneombelicale, attraverso il quale sono fluiti esperienze, immagini ed emozioni che han-no strutturato la nostra attuale percezione e valutazione dell’ambiente. Questopotrebbe averci permesso di interiorizzare anche le proporzioni geometriche esi-stenti in natura e le sue intime relazioni morfologiche, tanto da ricavare piacere nelriconoscere nell’architettura urbana e perfino in quella degli oggetti l’eventuale pre-senza di un’affinità con questi principi originari. Secondo alcuni ricercatori, infatti, l’i-stintivo gradimento o piacere che riceviamo dall’ambiente costruito deriva propriodall’aderire a strutture organizzate, forme e proporzioni che evocano quelle dellanatura, mentre vi sarebbe una minore attrazione verso gli ambienti piani o che pre-sentano una complessità caotica (Alexander, 2001-2005; Salingaros, 2005, 2006).Questi concetti, in accordo con la teoria di Wilson, consentono di sviluppare un’archi-tettura biofilica all’interno della bioarchitettura contemporanea, contrapposta aquella basata sul fondamentalismo geometrico tipico del modernismo e del deco-struttivismo che hanno segnato l’International Style in architettura. Per esempio lapresunta «semplicità» del minimalismo non ha nulla a che vedere con l’apparentesemplicità nella natura, che si esprime con una complessità profonda dominata dal-l’organizzazione, di cui l’uomo coglie la coerenza. L’approccio biofilico è quello diagire sugli stessi meccanismi mentali e fisici che le persone attivano in risposta al-l’ambiente naturale, la cui struttura viene compresa e interpretata attraverso la fisio-logia dei sensi (Kellert-Heerwagen-Mador, 2008). L’obiettivo è cercare di evocareanche nei luoghi costruiti una risposta positiva simile, una «connessione neurologica»con l’utilizzatore paragonabile per intensità a quella raggiunta per esempio nei sitisacri, negli edifici e nelle opere artistiche e artigianali del passato. Recentementel’approfondito lavoro svolto soprattutto dall’architetto Christopher Alexander e dalmatematico Nikos A. Salingaros è riuscito anche a fornire una spiegazione scientificadel significato e della funzione di quelle che in origine erano pratiche mistico-reli-giose applicate all’architettura e al design. Il risultato di queste osservazioni permet-te di riconoscere l’efficacia evocatrice per la mente, che deriva dall’utilizzo in questicampi della complessità geometrica sottostante a ogni struttura vivente. Questageometria naturale si può esprimere tanto negli organismi biologici quanto nei

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manufatti e nelle costruzioni: l’unica differenza sta nella sua intensità2. Il più chiaroesempio di questa geometria è la nota spirale logaritmica, nella cui costruzione rico-nosciamo una coerenza numerica intrinseca; essa è interpretabile matematicamenteattraverso la serie dei numeri di Fibonacci e il rapporto aureo, base di innumerevoliforme naturali, dal Nautilus alle Galassie, e da millenni utilizzato come riferimentoestetico e funzionale nelle proporzioni dell’architettura sacra e di potere. Questaconvergenza di letture supporta la convinzione che esistano in natura espressionidella bellezza e dell’armonia legate a leggi di convenienza energetica, che permetto-no di raggiungere quegli ottimali equilibri di forze che sostengono la formazione diinnumerevoli strutture naturali. Le prime intuizioni di Rudolf Steiner, padre del-l’Antroposofia, sull’organizzazione gerarchica dei viventi basata su un «progetto»,sembra così trovare in biologia un parallelo con il «campo morfogenetico» (= gene-ratore di forma) di cui parla il biologo R. Sherldrake, suggerendo che la natura siagovernata da modelli di sviluppo preferenziali (pattern). Ritroveremo più avanti, nelcapitolo II, alcuni elementi che ci faranno pensare se anche all’origine dell’organizza-zione e della salute della cellula non esista un diffuso principio di convenienzaenergetica, a cui l’evoluzione biologica ha costretto i viventi, riscontrabile peresempio nella predominanza della carica di polarità positiva legata alla salute dellacellula e alla sua capacità di nutrirsi «scegliendo» di attrarre ioni con carica positiva(vitamine, sali minerali, antiossidanti). Questi processi di forze e relazioni, sia visibiliche invisibili, intrinsecamente connessi a tutte le manifestazioni dell’esistenza,possano essere percepiti, intuiti e colti dalla nostra sensibilità come un linguaggioarmonico ispiratore di una vera architettura biologica e naturale.

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A sinistra l’urgano Isabel (2003), a destra una con-chiglia di Nautilus Pompilius. È sorprendente comefrequentemente la natura manifesti le proprieenergie attraverso forme molto simili tra loro

La scala qui raffigurata è un esempio della massimaespressione di efficacia statica e dinamica con l’uti-lizzo della minima dispersione di materia

2 Può essere interessante notare che anche alcune strutture architettoniche, come le colonne, rappresentano una concretatrasposizione simbolica di tronchi d’albero e di steli, mentre i loro capitelli vengono spesso decorati con fogliame e frutti.

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1.2 Il verde terapeutico

Se un’architettura evocatrice di intimi elementi naturali riesce ad accedere a processineurologici generando benessere, risulta ancora più semplice comprendere come lastessa visione del verde possa nutrire emozioni e risposte a livello psicofisico.L’argomen-to è stato oggetto di numerosi studi internazionali a partire dagli anni ‘80, coinvolgendoin particolare discipline come la Psicologia Ambientale, la Psicologia Sociale e la Psicolo-gia dell’Architettura. Queste si sono sviluppate di recente per studiare la relazione tral’ambiente naturale, sociale e costruito allo scopo di definire fenomeni o elementi in gra-do di portare un contributo positivo alla nostra esistenza. Il taglio pragmatico e aperto diqueste discipline emergenti ha permesso loro di affrontare lo studio dell’importanzaterapeutica, ma anche sociale, economica e funzionale del verde nel nostro habitat, par-tendo dalle ricerche sull’efficacia dei processi mentali nell’attivare precise reazioni fisio-logiche. L’espressione «restorativeness» viene utilizzata in questo settore proprio per rife-rirsi agli effetti positivi che l’ambiente naturale ha per il benessere psicologico,mentale equindi fisico dei soggetti. In particolare le ricerche relative agli effetti benefici del paesag-gio naturale sulla salute degli individui sono dominate da due posizioni teoriche diffe-renti ma complementari: la teoria del recupero dallo stress (Ulrich, 1983) o Stress Recovery

All’interno di rettangoli i cui lati sono in proporzione aurea si può costruire una spirale logaritmica digrande armonia estetica e funzionale.

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Theory (SRT); e la Teoria della Rigenerazione dell’Attenzione (Kaplan-Kaplan, 1989; KaplanS., 1995) o Attention Restoration Theory (ART).Secondo la teoria del recupero dallo stress, la natura e i suoi elementi (vegetazione,acqua ecc.) promuove il benessere psicofisico attivando risposte a livello emozionale,cognitivo e fisiologico, fino alla riduzione della pressione sanguigna, della tensione mu-scolare e della conduttività della pelle,consentendo il recupero da situazioni di stress psi-cofisiologico (Ulrich-Simons-Losito-Fiorito-Miles-Zelston, 1991; Verderber, 1986; Par-sons-Tassinary-Ulrich-Hebl-Grossman, 1998). Per esempio alcuni studi hanno dimostratoche dopo aver trascorso un breve tempo in un giardino i soggetti presentavano unadiminuzione della pressione sanguigna (Lewis-Mattson, 1988; Owen, 1994). Del resto laconvinzione intuitiva che il verde possa portare dei benefici ha sempre giustificato la cre-

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Una pausa per giocare a carte sotto agli alberi in estate è uno dei piaceri della vita

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azione di parchi, giardini e paesaggi naturali in ogni parte del mondo (Parsons, 1991;Ulrich, 1993).La teoria della rigenerazione dell’attenzione pone invece l’accento sul fattoche l’esposizione agli ambienti naturali permette di ridurre le distrazioni, migliorandol’attenzione diretta e la capacità di riflessione, come sperimentato in giardini, foreste esentieri di natura. Per esempio, essa viene supportata da ricerche che hanno evidenziatoun aumento della prestazione di studio in studenti e bambini con deficit d’attenzione,seposti in contatto con spazi verdi (Tennessen-Cimprich, 1995; Taylor-Kuo-Sullivan, 2000;Wells, 2000). Prendendo in esame i vari studi sull’argomento, si deduce che il poterebenefico del verde sembra essere generato sia da un concreto meccanismo «percettivo»sensoriale, capace di coinvolgere a livello fisico l’osservatore, sia da un forte potenziale«evocativo» responsabile dell’attivazione simbolica ed emozionale nella nostra mente, ilcui effetto è la modificazione del nostro stato psico-fisico. Questo aspetto non è certa-mente secondario, visto che molti di questi studi hanno dimostrato come anche il sem-plice fatto di guardare solamente immagini di natura e piante – come foto,dipinti o filma-ti – possa migliorare in pochi minuti la nostra circolazione sanguigna,riducendo lo stress(Hartig, 1991; Heerwagen, 1990; Nakamura-Fujii, 1990,1992; Selby-Choi-Orland, 1990;Ulrich 1993, 1999; Ulrich-Simons-Losito-Fiorito-Miles-Zelston, 1991). Razionalmentepotremmo forse definire questo meccanismo come un effetto «placebo» generalizzato,in quanto qui la natura non è realmente presente, ma solo rappresentata.

Tuttavia esso conferma l’efficacia reale che riveste in terapia l’azione che la psiche e i suoiprocessi evocativi riescono a esercitare sul corpo. In larga misura vengono così supporta-te le considerazioni di Wilson sulla biofilia e il nostro innato bisogno di natura,mentre raf-forza l’antica convinzione che gli alberi e le piante siano in qualche modo benefici per lepersone, e perciò riescano a comunicare a livello psico-emozionale i contenuti che a loroattribuiamo. Infatti, nel complesso sistema di valori positivi che riconosciamo alla naturae in particolare alle piante per la nostra sopravvivenza, dentro di noi è sedimentatoanche l’archetipo dell’«Albero Guaritore», una delle manifestazioni che caratterizzano ilmito dell’Albero Cosmico, che insieme a quello della Dea Madre costituiscono i pilastrisimbolici che accomunano le culture di tutti i popoli. Questo convincimento è rafforzatorazionalmente dalla conoscenza che abbiamo delle proprietà terapeutiche checaratterizzano molte piante e principi attivi vegetali, utilizzati da sempre in campomedico e farmacologico.

La concreta esperienza rigenerante e la provata azione sull’inconscio che scaturiscein presenza di alberi e piante, testimoniata dalle molte ricerche sulla valutazionedegli effetti di questa interazione sulla fisiologia umana, sono quindi alla base di unadiffusa forma di «empatia» verso il mondo vegetale.

Le sue implicazioni socio-economiche sono emerse soprattutto nel corso degli ulti-mi decenni di ricerca, focalizzata sull’importanza che il verde riveste soprattutto neiluoghi di cura, di studio e di lavoro oltre che in medicina preventiva e riabilitativa.

Già tra i primi studi risultava evidente l’importanza psicologica del paesaggio naturalesull’umore. Presso un carcere negli Stati Uniti si è potuto osservare che i carcerati le cui

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celle si affacciavano sul verde riportavano meno problemi di salute di quelli con fine-stre rivolte verso il complesso carcerario (Moore, 1982). Molti lavori sono caratterizzatida un’approfondita analisi scientifica e da un forte pragmatismo, utile a definirel’importanza economica di queste ricerche.

Tra gli studi più completi occorre ricordare le ricerche svolte in particolare dall’Univer-sità del Texas,che hanno dimostrato che i pazienti di Ospedali dove sono presenti giar-dini, effettuano degenze più brevi e sono più soddisfatti, così come lo è il personale,producendo in definitiva costi minori e comfort più elevato (Cooper Marcus-Barnes,1995; Ulrich, 1984, 1986a, 1986b, 1991, 1993, 1999; Whitehouse-Varni-Seid-CooperMarcus-Ensberg-Jacobs-Mehlenbeck, 2001). A produrre questo risultato concorronosia la stessa visione del verde da parte di pazienti e personale, che abbiamo visto esse-re di per sé benefica e rigenerativa, sia l’accessibilità a spazi che permettono diretta-mente di godere dei suoi benefici ambientali, come l’ombreggiamento, il refrigerioestivo, il miglioramento della qualità dell’aria, oltre a tutte le componenti sensoriali edemozionali che ci fanno gradire il fatto di stazionare in un giardino (forme, profumi,colori, senso di vitalità espresso dalla natura ecc.).

Si comprende quindi come tra gli aspetti più positivi generati dalla presenza del verdein questi contesti vi sia anche la forte diminuzione del burnout, cioè dell’esaurimentopsichico legato al lavoro. Per queste ragioni, dagli anni ‘90 e soprattutto negli USA si èinnescato un interessante meccanismo di valutazione costi/benefici che ha permessodi giustificare la realizzazione di centinaia di spazi verdi, soprattutto nelle strutturesanitarie, appositamente studiati per essere fruiti dai pazienti ma anche dal personale,consentendo di raggiungere positivi risultati sociali ed economici.

All’interno di strutture di questo tipo hanno progressivamente trovato sempre piùsuccesso giardini specifici pensati per favorire le esigenze terapeutiche o riabilitativedi particolari tipologie di fruitori, avviando così la diffusione degli Healing Garden, co-me vedremo più avanti.

1.3 Verde terapeutico indoor

È tale l’evocazione positiva espressa dalle piante, che spesso la loro presenza negliambienti interni (indoor) diventa indispensabile per portare un tocco di vitalità in situa-zioni anche molto compromesse. Per esempio sui luoghi di lavoro la presenza di piantepuò aumentare il rendimento fino al 12%, ridurre lo stress e l’assenza per malattia, incre-mentando la creatività e la concentrazione (Fjeld, 2000; Fjeld-Veiersted-Sandvik-Riise-Finn Levy, 1998; Fjeld-Levy-Bonnevie, 1999, Fjeld-Bonnevie, 1999, 2002; Lohr-PearsonMims-Goodwin, 1996; Pearsons Mims-Lohr, 2000; van Dortmon-Bergs, 2001). Come ènoto, sul lavoro intervengono spesso fattori di coinvolgimento strutturali, organizzativi erelazionali, capaci di interferire sullo stato di gradimento del proprio ambiente e quindisul rendimento. L’introduzione delle piante agisce positivamente in gran parte sul pianoaffettivo-emotivo. Esse introducono nei rigidi e immobili spazi costruiti un elemento di

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mutevolezza e di vita,capace di evocare immagini e profonde sintonie mentali che gene-rano una sensazione di benessere nelle persone. La presenza di piante riesce quindi acreare nel personale un avvicinamento affettivo, una sorta di relazione amichevole ingrado di favorire un legame anche motivazionale con il proprio posto di lavoro.

Questo effetto positivo viene rafforzato dalla diffusa conoscenza dell’importanza am-bientale delle piante negli spazi indoor, le quali giocano anche un importantissimo ruolonella capacità che possiedono di agire sulla qualità dell’aria e di mantenere un buonlivello di umidità,depurandola dai principali inquinanti volatili che caratterizzano soprat-tutto gli uffici e gli ambienti dotati di molta tecnologia. Gli studi compiuti soprattuttonegli anni ’80 presso i laboratori del John C.Stennis Skylab Space Center della NASA,gui-date dal Dott. B. C. Wolverton (1989, 1997), hanno permesso di identificare determinatepiante da interno capaci di ridurre i livelli di VOC (composti organici volatili, la maggiorclasse di inquinanti aerei indoor), formaldeide,benzene e di molti altri inquinanti dispersinell’aria. In Australia è da segnalare anche il lavoro di Wood e colleghi (2001),dell’Univer-sity of Technology di Sidney le cui ricerche riportano dati molto utili nell’evidenziare peresempio come il processo di depurazione avvenga sia per via fogliare sia attraverso l’aiu-to dei microorganismi che vivono in contatto con le radici.Secondo questi ricercatori: «lepiante in vaso costituiscono un microcosmo effettivamente capace di creare un bio-fito-risa-

Un’immagine della campagna di informazione: Un po’ di sano verde sul posto di lavoro-effetti beneficidelle piante sul posto di lavoro”, finanziata e sostenuta dalla Comunità Economica Europea.

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namento della qualità e della pulizia dell’aria indoor in grado di autoregolarsi»,attivando unprocesso di biofiltrazione

3. Il gruppo di ricerca del Professor Burchett ha mostrato come

un assortimento di comuni specie di piante da interno, come la Kenzia (Howea forsteria-na), lo Spatifillo (Spathiphyllum) e la Dracena «Janet Craig» (Dracaena deremensis) pos-sano ridurre completamente i VOC in sole 24 ore in una camera non ventilata.La partico-lare applicazione dei biofiltri vegetali sembra essere anche un’efficace risorsa in grado direndere ancora più funzionali, oltre che esteticamente affascinanti, le sempre più diffuse«pareti vegetali» che negli ultimi anni sono state introdotte con successo anche negliinterni a scopo principalmente decorativo. La standardizzazione della tecnologia perl’assemblaggio dei pannelli e dei substrati di supporto potrà ben presto coniugare il loroinnegabile impatto scenico e la suggestione creata a livello emozionale con funzioni diregolazione naturale della qualità dell’aria a prezzi sempre più abbordabili, risparmiandoenergia.

Di queste applicazioni possono giovare specialmente gli spazi frequentati dal pubbli-co e gli ambienti di lavoro, dove l’adeguata presenza di piante riesce a contrastare consuccesso l’insorgenza di molte patologie o malesseri,come la nota Sick Building Sindro-me, causata da impianti, materiali sintetici e chimici e dalle esalazioni di apparecchia-ture elettroniche. Soprattutto negli ambienti di lavoro, le implicazioni psicologichepositive, fisiche e ambientali associate alla presenza di piante sono state da tempovalutate come economicamente vantaggiose, e prese in seria considerazione. Proprioper queste ragioni la Comunità Europea ha sostenuto dal 2004 una campagna infor-mativa dal titolo: «Un po’ di sano verde sul luogo di lavoro» per incoraggiare l’introduzio-ne di piante in ufficio oltre che in tutti gli spazi indoor, mentre molti enti e istituti diricerca in tutto il mondo propongono studi e iniziative in questa direzione.

1.4 Ortoterapia

L’attività di prendersi cura delle piante del nostro ufficio e di osservarne la crescita èparagonabile a una forma semplificata di Ortoterapia (dal latino Hortus = giardino),una tecnica sempre più diffusa per ristabilire un maggior equilibrio psicofisico e ner-voso nelle persone con disturbi psichiatrici o colpite da varie forme di disabilità, disa-gio o turbamento, coinvolgendole nella cura delle piante e dei giardini.

Il precursore di questa disciplina è probabilmente Benjamin Rush, vissuto fino al 1813,considerato il padre della psichiatria americana. Tra teorie e sistemi di cura molto per-sonali e a volte raccapriccianti, egli fu comunque uno dei primi sostenitori della Tera-

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3 I principali componenti del biofiltro è il cosiddetto “breathing wall”, una parete porosa costantemente umida, rico-perta da muschi e felci. L’aria inquinata passa attraverso la parete, dove l’acqua scorre attraverso il sistema idroponicoche contiene una varietà di specie vegetali, depurando l’aria. Questo sistema è stato installato con successo per la pri-ma volta presso gli uffici di una grossa compagnia di assicurazioni di Toronto. Diversi sistemi di biofiltri vegetali piùmaneggevoli sono stati prodotti per un uso in spazi commerciali e domestici (Da R. Wood: Improving the indoor environ-ment for health, well-being and productivity, University of Technology, Sydney, 2003).

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pia Occupazionale (OT), la quale ancora oggi pone al centro della riabilitazione psichi-ca e del benessere del paziente il suo coinvolgimento in un’attività applicata versoun’occupazione concreta. Fu proprio l’osservazione dei benefici riscontrati nei pazien-ti che si dedicavano alla cura di piante e ai lavori a contatto con la terra,che fece pensa-re a Rush che l’attività svolta negli ambienti naturali risultasse particolarmente ef-ficace alla guarigione.Da allora l’Ortoterapia o Horticultural Therapy si è via via strutturata diffondendosi intutto il mondo, ma particolarmente nel nord Europa e negli Stati Uniti, dove nel 1973fu fondata l’American Horticultural Therapy Association (AHTA). La sua caratteristica èdi essere effettivamente una pratica terapeutica attiva, che coinvolge socialmente efisicamente il paziente: questo viene assistito da personale specializzato come assi-stenti sociali, psicologi, insegnanti ed educatori ambientali, che possono operarefacilmente in ospedali, case di riposo, giardini pubblici o privati, orti oppure istituti diriabilitazione.L’Ortoterapia è una tecnica complementare ad altre forme di terapia, che si dimostraparticolarmente efficace a livello riabilitativo sia fisico che psicologico, come nel trat-tamento e nella prevenzione del disagio mentale, oppure per il recupero di categoriedeboli quali anziani, disabili, tossicodipendenti e carcerati. Essa agisce dolcemente sti-molando le persone all’attività sociale, all’uso della memoria e alle esperienze emozio-nali, attraverso il contatto fisico con la terra e la partecipazione alle varie fasi agricole.Prendersi cura di una pianta e lavorare con gli altri genera fiducia nelle proprie capaci-tà, attiva le facoltà percettive e le manifestazioni affettive, migliorando l’autostima e ilsenso di controllo sull’ambiente. A livello fisico si produce relax e benessere dall’osser-vazione di forme, colori, ombre e luci dei vegetali, diminuisce l’irritabilità e la pressionesanguigna, si normalizza il battito cardiaco, aumenta la resistenza allo stress, il control-lo degli stati d’ansia e la predisposizione al buon umore. In questa disciplina i pazientisono coinvolti a tutti i livelli: fisico, psicologico, emozionale e sensoriale, costruendo ilproprio benessere in maniera attiva.A mio parere nell’Ortoterapia, come nelle comuni pratiche di giardinaggio, il fatto dimettere letteralmente le mani nella terra, di osservare la complessa società dei viventiche la popolano rispettando un equilibrio supremo, di lavorare per consentire l’esi-stenza di altri esseri viventi,crea la percezione di una continuità dell’esistenza alla qua-le sentiamo di fare parte. Piante e persone condividono le tappe della vita: nascita, cre-scita, morte. Nasce un senso circolare di armonia che emoziona e appaga, il tutto conestrema semplicità, direttamente e senza mediazioni.

1.5 Ecoterapia e Nature Therapy

Negli ultimi anni l’interesse verso le possibilità curative offerte dal verde hanno porta-to a fare tesoro delle esperienze positive in Orticultura, affiancando a essa il contributodi ulteriori discipline sociali come la psicoterapia, la psicologia ambientale, l’ecopsico-

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logia, la biologia e l’architettura del paesaggio. Questo ha portato allo sviluppo diun’ulteriore tecnica di cura eco-didattica applicabile in parchi e giardini, chiamata Eco-terapia, oggi diffusa soprattutto in Inghilterra. Essa utilizza il verde in generale comemezzo terapeutico per innalzare la consapevolezza nel sistema corpo-mente-spirito,sfruttando tutte le possibilità che i sistemi naturali offrono per far interagire attiva-mente le persone con la flora e la fauna di un luogo. L’Ecoterapia interviene diretta-mente con progetti di salvaguardia del verde, il cui obiettivo è aumentare il livello diresponsabilità ambientale, culturale, politica e verso la comunità, facendo crescere l’a-utostima e ricostruendo un rapporto profondo tra uomo e natura. Interagendo, lavo-rando e giocando con questa e con gli elementi che la compongono, le persone e inparticolare i giovani colgono la profonda capacità autocorrettiva dei sistemi viventi,percepiscono le regole che sottendono ai sistemi naturali e quindi a quelli umani,comprendono più facilmente l’esistenza di sistemi di risposta a ostacoli o cambiamen-ti di vita e imparano a utilizzarli. Alla base di questa disciplina trova conferma il princi-pio che il contatto con la natura rigenera la capacità attentiva (Kaplan-Kaplan, 1989;Kaplan-Kaplan-Ryan, 1998) e si riconoscono ancora le teorie formulate da Wilson sullaBiofilia, che in un certo senso hanno spalancato un orizzonte di nuova consapevolezzae responsabilità sul nostro rapporto con la natura.

Recentemente in Israele si è sviluppata un’ulteriore pratica multidisciplinare di tipoterapeutico incentrata sull’azione positiva svolta dall’ambiente naturale: la Nature The-rapy4. Si tratta di un approccio che integra elementi tratti da differenti discipline comel’ecopsicologia, il body-work, la danza, l’arte-terapia e lo Sciamanismo, rivolta soprat-tutto a bambini con difficoltà di apprendimento e a tutti coloro che hanno vissuto tra-umi come quelli causati dai conflitti bellici. L’esperienza esplorativa in scenari naturalidal forte impatto emozionale, come il bosco e il deserto, unita a pratiche psico-fisiche,artistiche e spirituali molto coinvolgenti riesce a sbloccare le persone e a ridare loro unsenso di fiducia nella vita.In tutte queste forme di terapia, dove ciascuna tecnica sirivolge specificamente a persone con esigenze differenti, la natura è partner dei pro-cessi di benessere. Partendo dall’Ortoterapia e proseguendo con l’Ecoterapia fino allaNature Therapy, osserviamo che il percorso terapeutico diviene sempre più attivo eallargato, fino a chiamare fortemente in causa il paziente con un coinvolgimento espe-rienziale dove la natura può diventare scena e testimone di intensi eventi psicologicicurativi. Il loro manifestarsi attraverso il prendersi cura di una pianticella o affrontandoun rituale sciamanico guidato in un bosco ha un significato catartico la cui portata siesprime attraverso mille sfaccettature e deriva da una profonda necessità umana disentirci partecipi della realtà che ci circonda.

Il ruolo terapeutico del verde si confonde sempre più con quello della natura intera,dialogando con la psiche nelle profondità «geologiche» della nostra mente.

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4 Ronen Berger è il fondatore del «Nature-Therapy Center» in Israele: www.naturetherapy.org.

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1.6 Healing Garden

Accanto al ruolo prettamente «attivo» delle pratiche che abbiamo visto finora, negliultimi due decenni si è sempre più rafforzata l’attenzione verso la funzione terapeuti-ca «passiva» del verde, meno coinvolgente a livello personale e orientata a un suoutilizzo più ricreativo e distensivo.

La speciale funzione benefica e rigeneratrice attribuita agli spazi naturali è del restoconosciuta e utilizzata da tempo immemorabile, da quando cioè l’uomo ha differenziatouno spazio agricolo o spontaneo da quello costruito e antropizzato, aumentando la suarichiesta di natura. La storia umana è ricca di esempi di luoghi naturali, sorgenti, alberi eboschi a cui venivano attribuite particolari funzioni magiche o terapeutiche e perciòvenerati come sacri. Testimonianze di quella che possiamo definire una più o menoapparente forma di culto o dendrolatria di antica origine sono state segnalate fino al1854 in un dipartimento nei pressi di Parigi, dove si contavano 253 alberi oggetto divenerazione

5. Già Ippocrate (460-377 a. C.) sentiva il bisogno di sottolineare le capacità

benefiche e terapeutiche della natura e degli spazi verdi nel suo «Trattato delle arie, delleacque e dei luoghi». Con questa consapevolezza, da secoli giardini meravigliosi venivanocostruiti per il piacere di antichi nobili Egiziani,Re Persiani o ricchi mercanti Cinesi; luoghispeciali entrati nella leggenda, come i giardini pensili di Babilonia, dove la loro benevola,sensuale presenza ha sempre significato ristoro, bellezza e salute. O spazi ricchi di alberida frutto e ortaggi, orti-giardino così cari alla cultura ellenica e allo stesso Omero, chedescrive il giardino di Alcinoo come un luogo dell’eterna primavera, con fiori e frutti checontinuamente sbocciano e maturano sugli alberi (Omero, Odissea, Libro VII).Nella cultu-ra occidentale la prima applicazione a noi nota dei giardini a scopo terapeutico sembraquella in uso a partire dal VI secolo in molti monasteri dell’alto medioevo, dove inizial-mente i monaci che seguivano la regola di San Benedetto da Norcia usavano ospitare (leparole ospizio e ospedale provengono dal vocabolo «hospes», ospite) le persone malate,alcune delle quali venivano collocate all’interno del giardino delle piante medicinali,l’»orto dei semplici», ritenendo che questo luogo fosse favorevole alla salute (CooperMarcus-Barnes, 1999, pag. 11; King, 1979, pag. 76).

L’infermeria dava sul frutteto, in modo che i malati potessero anche passeggiarvi. In effet-ti fino al dodicesimo secolo i monasteri furono luoghi di grande studio della medicinadell’antichità e di sviluppo di una medicina monastica basata sulla conoscenza delle vir-tù terapeutiche delle piante; per esempio l’abbazia di Montecassino, fondata proprio daSan Benedetto, influenzò in maniera determinante la Scuola Salernitana a partire dal VIIsecolo. E proprio a Salerno, nei primi decenni del 1300, fu creato il primo Orto botanicod’Europa a scopo medico didattico, a opera del maestro Matteo Silvatico.

Una particolare valenza legata al benessere è presente nel giardino islamico,consideratodal Corano come metafora del paradiso e perciò luogo di delizie e di piaceri nel quale

5 Riportato da Brosse J: Mitologia degli alberi, Superbur Saggi Rizzoli Editore, 2000, p. 183.

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