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 N. 337-338 settembre-dicembre 2006 3 7 novembre 2006: «Gli Stati Uniti d’America sono ancora un paese conservatore» gennaio 2007 e decadrà il 3 genn aio 2009. Alla prima sessione di lavori nel 2007 seguirà la seconda nel 2008, secondo un calendario gros- so modo coincidente con gli anni solari. A queste due se ssioni potreb- be poi aggiungersi la convocazione di una terza dopo le elezioni presi- denziali del novembre del 2008, con il nuovo presidente eletto che entrerà in carica nel gennaio del 2009. Il 7 novembre al Senato, strappan- do ai Repubblicani gli Stati di Penn- sylvania, Ohio, Rhode Island, Mis- souri, Montana e Virginia, i Demo- cratici — e i due indipenden ti eletti nel Connecticut e nel Vermont che hanno già preventivamente indica- to di volersi unire a loro nelle vota- zioni in aula — hanno ottenuto la maggioranza assoluta, ancorché di stretto margine, conquistando 51 seggi contro i 49 dei Repubblican i. Alla Camera, poi, i Democratici hanno ottenuto 232 seggi contro i 201 dei Repubblicani. Peraltro, 2 seggi non sono ancora stati assegna- ti: in uno, nello Stato del North Carolina, è in vantaggio il candida- to Repubblicano mentre nell’altro, nello Stato del Texas, si svolgerà una seconda tornata elettorale il 12 dicembre. Ma quella maggioranza garantisce già il controllo politico dell’aula. Inoltre, strappando ai Repubbli- cani il controllo degli Stati di Colo- rado, Arkansas, Maryland, Ohio, New York e Massachusetts, i Demo- cratici hanno ottenuto la maggioran- za dei governatori dei singoli Stati raggiungendo quota 28 Stati contro 22 guidati da esponenti Repubblica- ni. E infine, quanto alle assemblee legislative bicamerali dei diversi Stati — quelle politiche sono in tutto 49, poiché nello Stato del Nebraska gli eletti all’assemblea legislativa, uni- camerale come nel distretto della capitale federale e nei territori oltre- marini dipendenti dagli Stati Uniti d’America, non appartengono for- malmente ad alcun partito —, dopo le elezioni del 7 novembre il risultato complessivo vede i Democratici con- trollarne 23, i Repubblicani 17 e le restanti 9 dividere le due Camere fra maggioranze politiche diverse. Un risultato di questo tipo — contemporaneamente la maggioran- za nei due rami del Congresso, la maggioranza dei governatori e la maggioran za delle assemblee legi- slative degli Stati dell’Unione in mano ai Democratici — non si ve- rificava dal novembre del 1994, quando fu eletto il 104° Congresso. Il 7 novembre, insomma, la scon- fitta del Partito Repubblicano vi è stata, e più ampia di quella che era parso d’intuire dai sondaggi nelle settimane precedenti il voto. La sconfitta del Partito Repubblican o vi è stata, quantomeno in termini assoluti ( 1 ). Il 7 novembre 2006 negli Stati Uniti d’America si sono svolte le midterm elections, le «elezioni di medio termine», per il rinnovo di una parte consistente del Congresso Federale e così dette poiché si tengo- no a metà esatta — addirittura nello stesso mese, novembre, come stabi- lisce la Costituzione Federale — del mandato del presidente federale, che è di quattro anni: ovvero, il Congres- so — il «parlamento» degli Stati Uniti d’America — viene rinnovato ogni due anni in ragione di un terzo degli eletti al Senato — la «Camera alta» — e interamente per quanto riguarda gli eletti alla Camera dei Deputati — la «Camera bassa» —, celebrando elezioni che, alternati- vamente, si svolgono una volta nel mese di novembre, che cade ap- punto a metà del mandato presiden- ziale — le «elezioni di medio termi- ne» —, e una volta nello stesso mese di novembre in cui si svolgono le elezioni presidenziali. Il 7 novembre, poi, oltre a quelle per il Congresso, si sono svolte anche elezioni per il rinnovo dei governatori di 36 Stati dell’Unione — che rimangono tutti in carica quattro anni, tranne quelli degli Stati del Vermont e del New Hampshire, che restano in carica due anni —, per il rinnovo di quasi tutte le assem- blee legislative dei diversi Stati e di quattro territori oltremarini dipen- denti dagli Stati Uniti d’America, numerose altre consultazioni di ca- rattere locale e 206 referendumsem- pre a livello di singoli Stati. Il nuovo Congresso eletto, il 110°, si riunirà in prima sessione il 3 ( 1 ) Cfr. un primo commento «a caldo» dei risultati elettorali statunitensi nel mio  La «Right  Nation» batte un colpo. Diverso, ma riconosci- bile, sul sito della Fondazione Magna Carta, Roma 9-11-2006, <www.magna-carta.it/relaz ioni %20internaziona li%20e%20democraz ia/ 0155_marco_re spinti.asp> (visitato il 30-11- 2006); nonché le mie dichiarazioni in A NDREA MORIGI, Prodi fa la morale a George: «Sconfit- to per la guerra», in  Libero quotidiano , Mila- no, 9-11-2006; sinteticament e e più «a freddo»,

Marco Respinti, «7 novembre 2006: "Gli Stati Uniti d'America sono ancora un Paese conservatore", in «Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica», anno XXXIV, n. 337-338,

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  N. 337-338 settembre-dicembre 2006 — 3

7 novembre 2006:

«Gli Stati Uniti d’America

sono ancora un paese conservatore»gennaio 2007 e decadrà il 3 gennaio2009. Alla prima sessione di lavorinel 2007 seguirà la seconda nel2008, secondo un calendario gros-

so modo coincidente con gli annisolari. A queste due sessioni potreb-be poi aggiungersi la convocazione

di una terza dopo le elezioni presi-denziali del novembre del 2008,con il nuovo presidente eletto cheentrerà in carica nel gennaio del2009.

Il 7 novembre al Senato, strappan-do ai Repubblicani gli Stati di Penn-sylvania, Ohio, Rhode Island, Mis-souri, Montana e Virginia, i Demo-cratici — e i due indipendenti elettinel Connecticut e nel Vermont chehanno già preventivamente indica-to di volersi unire a loro nelle vota-zioni in aula — hanno ottenuto lamaggioranza assoluta, ancorché distretto margine, conquistando 51seggi contro i 49 dei Repubblicani.Alla Camera, poi, i Democraticihanno ottenuto 232 seggi contro i201 dei Repubblicani. Peraltro, 2seggi non sono ancora stati assegna-

ti: in uno, nello Stato del NorthCarolina, è in vantaggio il candida-to Repubblicano mentre nell’altro,nello Stato del Texas, si svolgeràuna seconda tornata elettorale il 12

dicembre. Ma quella maggioranzagarantisce già il controllo politicodell’aula.

Inoltre, strappando ai Repubbli-cani il controllo degli Stati di Colo-rado, Arkansas, Maryland, Ohio,New York e Massachusetts, i Demo-

cratici hanno ottenuto la maggioran-za dei governatori dei singoli Statiraggiungendo quota 28 Stati contro22 guidati da esponenti Repubblica-ni. E infine, quanto alle assembleelegislative bicamerali dei diversi Stati— quelle politiche sono in tutto 49,poiché nello Stato del Nebraska glieletti all’assemblea legislativa, uni-camerale come nel distretto dellacapitale federale e nei territori oltre-marini dipendenti dagli Stati Unitid’America, non appartengono for-malmente ad alcun partito —, dopole elezioni del 7 novembre il risultatocomplessivo vede i Democratici con-trollarne 23, i Repubblicani 17 e lerestanti 9 dividere le due Camere framaggioranze politiche diverse.

Un risultato di questo tipo —contemporaneamente la maggioran-

za nei due rami del Congresso, lamaggioranza dei governatori e lamaggioranza delle assemblee legi-slative degli Stati dell’Unione inmano ai Democratici — non si ve-rificava dal novembre del 1994,quando fu eletto il 104° Congresso.

Il 7 novembre, insomma, la scon-fitta del Partito Repubblicano vi èstata, e più ampia di quella che era

parso d’intuire dai sondaggi nellesettimane precedenti il voto. Lasconfitta del Partito Repubblicanovi è stata, quantomeno in terminiassoluti (1).

Il 7 novembre 2006 negli StatiUniti d’America si sono svolte lemidterm elections, le «elezioni dimedio termine», per il rinnovo diuna parte consistente del CongressoFederale e così dette poiché si tengo-no a metà esatta — addirittura nello

stesso mese, novembre, come stabi-lisce la Costituzione Federale — delmandato del presidente federale, cheè di quattro anni: ovvero, il Congres-so — il «parlamento» degli StatiUniti d’America — viene rinnovatoogni due anni in ragione di un terzodegli eletti al Senato — la «Cameraalta» — e interamente per quantoriguarda gli eletti alla Camera deiDeputati — la «Camera bassa» —,celebrando elezioni che, alternati-vamente, si svolgono una volta nelmese di novembre, che cade ap-punto a metà del mandato presiden-ziale — le «elezioni di medio termi-ne» —, e una volta nello stesso mesedi novembre in cui si svolgono leelezioni presidenziali.

Il 7 novembre, poi, oltre a quelleper il Congresso, si sono svolte

anche elezioni per il rinnovo deigovernatori di 36 Stati dell’Unione— che rimangono tutti in caricaquattro anni, tranne quelli degli Statidel Vermont e del New Hampshire,che restano in carica due anni —,per il rinnovo di quasi tutte le assem-blee legislative dei diversi Stati e diquattro territori oltremarini dipen-denti dagli Stati Uniti d’America,

numerose altre consultazioni di ca-rattere locale e 206referendumsem-pre a livello di singoli Stati.

Il nuovo Congresso eletto, il 110°,si riunirà in prima sessione il 3

(1) Cfr. un primo commento «a caldo» deirisultati elettorali statunitensi nel mio La «Right 

 Nation» batte un colpo. Diverso, ma riconosci-

bile, sul sito della Fondazione Magna Carta,Roma 9-11-2006, <www.magna-carta.it/relaz

ioni %20internazionali%20e%20democrazia/ 0155_marco_re spinti.asp> (visitato il 30-11-2006); nonché le mie dichiarazioni in ANDREA

MORIGI, Prodi fa la morale a George: «Sconfit-

to per la guerra», in Libero quotidiano , Mila-no, 9-11-2006; sinteticamente e più «a freddo»,

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4 — N. 337-338 settembre-dicembre 2006 

Eppure il voto del 7 novembre vaconsiderato anche in termini relati-vi, intendendo l’espressione comearticolata in due sensi: un primosenso, descrivibile come risponden-te a un criterio di «relatività forma-

le» — cioè fatta di elementi ogget-tivi, numerici, ma «fredda» —, e unsecondo senso, descrivibile comerispondente a un criterio di «relati-vità di atmosfera», cioè fatta sì dielementi oggettivi — di altri ele-menti oggettivi che non siano solonumerici —, ma anche di percezio-ni, di sentimenti e di passioni, quin-di meno matematica ma non per

questo meno reale, o quantomenorivelatrice di andamenti, di tenden-ze e di atmodfere, dunque «cal-da». Se si vuole, una relatività delrisultato elettorale divisa in una«relatività assoluta» e in una «rela-tività relativa», non escludentisi avicenda.

1. «Relatività fredda»

e «relatività calda»del risultato elettorale

In termini relativi, infatti, va preci-sato che nelle elezioni di mediotermine del 7 novembre si è votatoanzitutto per il rinnovo completodei 435 seggi di cui attualmente, inbase al Reapportionment Act del1929, si compone la Camera dei

Deputati, i cui membri vengonoeletti in numero proporzionale ri-spetto al numero dei cittadini deisingoli Stati che compongo l’U-nione, e alla quale si aggiungono iResident Commissioner, i delegatisenza diritto di voto, espressi dalDistretto di Columbia, ossia il terri-torio della capitale federale, Wash-ington, quindi dalle isole Samoa

Americane, dal Territorio di Guam,dallo Stato Libero Associato di PortoRico e dalle Isole Vergini Statuni-tensi, tutti territori oltremarini indiversa forma istituzionale dipen-

denti dagli Stati Uniti d’Americametropolitani. Si è votato, inoltre,per il rinnovo di solo un terzo deisenatori, 33 su 100. Infatti, ognunodegli Stati dell’Unione — oggi 50— elegge due senatori indipenden-

temente dal numero dei propri abi-tanti così da garantire rappresentanzaparitetica nel Congresso a tutti gliStati dell’Unione Federale proprioin quanto Stati — Stati federati, taliper cui gli Stati Uniti d’Americasono una «comunità politica di Sta-ti» —, laddove è appunto, invece,compito della Camera rappresenta-re proporzionalmente presso il po-

tere legislativo la popolazione degliStati Uniti d’America nella federa-zione.

Si tratta, peraltro, di un criteriorappresentativo degli Stati e dei citta-dini di essi — cioè degli abitantidegli Stati Uniti d’America consi-derati per singoli Stati, quindi nelrispetto della storia delle loro aggre-gaziont — che, attraverso l’istitutodel collegio elettorale e il sistemadei cosiddetti «grandi elettori», de-termina altresì la scelta del presi-dente federale (2).

Accade sempre così, del resto, inoccasione delle elezioni per il Con-gresso. Infatti, l’ordinamento giuri-dico statunitense stabilisce che isenatori, il cui mandato è di sei annicontro i due dei deputati, decadanodal proprio incarico a rotazione in

ragione di circa un terzo ogni dueanni e che in nessuna tornata eletto-rale si voti mai per entrambi i sena-tori espressi da ciascuno degli Statidell’Unione interessati appunto a

turno al voto. I senatori sono cosìsuddivisi in tre «classi» — la classeI e la classe II si compongono di 33senatori ciascuna, la classe III di 34—, le quali determinano da sempreun sistema di scadenze a rotazione

biennale, attraverso designazioni deidue senatori di ciascuno Stato condiversa lunghezza di mandato sindal tempo della prima elezione se-natoriale nel 1788. Solo con l’intro-duzione del XVII Emendamentoalla Costituzione — ratificato l’8aprile 1913 durante la cosiddetta«era progressista», che va dagli anni1890 a tutti gli anni 1920 o, secon-

do un’interpretazione storiograficapiù restrittiva, dal 1900 al 1917 —è divenuto infatti obbligatorio il votopopolare come strumento di scelta.

In base a tale criterio, dunque, leelezioni per il Congresso del 7 no-vembre hanno interessato due terzidegli Stati componenti l’Unione,per l’esattezza 33.

Per quanto attiene invece alla «re-latività di atmosfera», desumibilenon solo dai dati numerici disponi-bili, si rileva che, se è innegabilmentevero che il Partito Democratico haottenuto un numero maggiore divoti e di seggi rispetto ai Repubbli-cani, questo è nondimeno unaspet-to della questione. L’altro è la com-prensione del modo in cui ciò èavvenuto e del perché .

2. Destra, non Sinistra

Dal punto di vista sostanziale, ildato con cui fare i conti è la nuovaleadership «forte» — alla Cameradei Deputati, giacché per il Senatoil discorso è ben diverso — di cuigode oggi il 110° Congresso degliStati Uniti d’America, guidato da

una maggioranza politica che è e-spressione del partito avversario diquello che esprime il presidente fe-derale George Walker Bush jr. Ep-pure la vera notizia non è questa. La

cfr. anche il mio Ecco perché gli USA restano

di destra, in Il Circolo, supplemento a il Do-

menicale. Settimanale di cultura, anno 5, n. 47,Milano 25-11-2006, p. II.

(2) Cfr. una prima panoramica sul funziona-

mento del collegio elettorale nelle elezioni pre-sidenziali statunitensi e su questo peculiaresistema federale di rappresentanza, nel mioTutta un’altra democrazia, in il Domenicale.

Settimanale di cultura, anno 3, n. 46, Milano13-11-2004, p. 2.

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notizia vera è che per dodici anni,cioè a far data dall’elezione del104° Congresso nel novembre del1994, i Repubblicani hanno con-trollato continuativamente il Con-gresso — lo hanno controllato con

maggioranze variabili, ma comun-que lo hanno sempre controllato —,a volte pure esprimendo contempo-raneamente il presidente federale ela maggioranza dei governatori de-gli Stati dell’Unione. È stato infattiquello un dato eccezionale nellastoria statunitense, tale per cui lacomposizione del 110° Congresso,di fatto, non fa che allinearsi al dato

medio della storia del paese, ripor-tandolo alla consuetudine dell’al-ternanza. Poco di nuovo, si sarebbecioè tentati di dire, rispetto allamedia della storia americana.

Ancora: sul piano istituzionale, il110° Congresso, più simile alla me-dia della storia americana dei seiche lo hanno preceduto, realizzanella pratica quell’equilibrio fra ipoteri federali che sono caratteristi-ca della struttura costituzionale delpaese e che da più parti politiche eculturali vengono consuetamentesalutati come segno di compiutezzadella democrazia nordamericana. Ilcontrollo continuativo e talora gra-nitico del Congresso da parte diuno stesso partito per più e piùlegislature, a cui talora si aggiungepersino l’espressione della presiden-

za federale e di molti governatori,magari pure della maggioranza diessi, viene infatti percepito dall’ame-ricano medio — che va dal cittadi-no comune al costituzionalista piùraffinato — se non altro come un’a-nomalia insidiosa che intacca l’im-magine o la percezione — non cer-to la sostanza, dal momento chenon è illegale — della famosa dot-

trina della «separazione dei poteri»per ottenere un sistema istituziona-le fatto di «pesi e contrappesi».

E questo «sospetto» è peraltropiù di casa nella cultura politica

degli ambienti di estrazione con-servatrice che non in quelli di men-talità progressista. Del resto, peresempio in Italia, dove consueta-mente si giudica la politica statuni-tense dall’esterno, vale a dire anco-

ra o ignorando la realtà americana ei suoi meccanismi, o caricandolad’intenzioni — polemiche, perce-zioni e interpretazioni  — tipichedel nostro scenario politico, non èdifficile — non è stato difficile ne-gli anni che separano il 104° Con-gresso statunitense dal 110° — sen-tir gridare al «regime», e questoclassicamente dai ranghi della Sini-

stra — e ovviamente solo perchétale controllo è stato esercitato daiRepubblicani, comunque percepiti,a torto o a ragione, sempre come «laDestra» —, magari in occasionedegl’interventi militari in Afghani-stan e in Iraq, o di altre decisionipolitiche o legislative particolarmen-te avversate appunto dalla Sinistra.

Eppure questa, per certi versi, èancora una premessa. Se, quindi,dalle premesse si passa a qualcheelemento analitico, il dato più cla-moroso rivelato dalle elezioni del 7novembre è che gli Stati Uniti d’A-merica non sono affatto oggi, no-nostante l’esito delle urne che deter-mina la composizione del 110° Con-gresso e la maggioranza dei gover-natori degli Stati dell’Unione, unpaese in assoluto più progressista di

ieri. Semmai, relativamente parlan-do, è vero il contrario.

Il Partito Democratico, infatti, haottenuto ampi consensi — o piùampi consensi — che nelle prece-

denti tornate elettorali per il rinno-vo del Congresso perché ha punta-to decisamente — in media e ingenere — su candidati più «modera-ti», più «centristi» o addirittura —per certi aspetti e a certe condizioni

— più «conservatori» di quantofatto nei trascorsi dodici anni. Que-sto, peraltro, non è solo un esempiodi realizzazione concreta dell’idea— per la verità più un luogo comu-ne che una fondata valutazionescientifica politologica — secondocui le «elezioni si vincono sempreal centro», ma è la testimonianzaempirica — base della scienza, dun-

que anche della scienza politologica— del fatto che l’elettorato statuni-tense esprime costantemente la pro-pria preferenza per un personalepolitico di quel tipo. Destra, nonSinistra (3).

Alla questione vera, a cui dovràcominciare a rispondere anche ilPartito Repubblicano — come mai,il 7 novembre, l’elettorato statuni-tense ha in genere percepito i candi-dati «centristi» Democratici comepiù confacenti alle proprie esigenzedi tipo mediamente conservatorerispetto ai candidati Repubblicani—, si potrà cominciare a risponderesolo seguendo attentamente l’anda-mento della politica statunitense daqui all’inizio del novembre del 2008,data delle elezioni presidenziali nellequali Bush jr., avendo già guidato il

paese per due mandati, non può, inbase alla Costituzione Federale e aisuoi Emendamenti, ricandidarsi. Larisposta non è univoca né semplice,ma qualche elemento di valutazio-ne, se non di giudizio, è possibileaddurlo.

3. Il peso della guerra

in Iraq: nullo

Si è detto e si è ripetuto che moltoha pesato sul voto la questione dellaguerra in Iraq. In Italia, hanno fatto

(3) Cfr. GIULIANO FERRARA, Bush, prove di

debolezza, in il Foglio quotidiano, Roma 9-11-2006; ALBERTOMINGARDI, Tranquilli, l’Ameri-

ca guarda sempre a destra, in Libero quotidia-

no, Milano 9-11-2006; GAETANO QUAGLIARIEL-LO, La bufala dei teo-con sconfitti , in il Giorna-le, Milano 16-11-2006; e  La Right Nation è

viva e lotta insieme a noi, sul sito della Fon-dazione Magna Carta, Roma 17-11-2006: <www.magna-carta.it/uovodigiornata.asp> (visi-tato il 30-11-2006).

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di questa idea una bandiera la Sini-stra in genere e in specie, cioè e-spressamente e immediatamente,ossia pure avventatamente, il presi-dente del Consiglio dei Ministri on.Romano Prodi (4). Ma non è vero.

Ciò, infatti, è possibile solo a chi,puntando rapidamente e grossola-namente il dito contro la guerra inIraq, non fa altro che — una volta inpiù — giudicare la politica statuni-tense ignorando la realtà a essa sog-giacente e quindi applicarle catego-rie estrinseche, ovvero volendo in-tenzionalmente — maliziosamente— ricondurre, cioè ridurre, la «que-

stione americana» — e le linee didivisione che la segnano — alledivisioni politiche e ideologiche cheattraversano lo scenario italiano,cosa che però è appunto indebita edunque fuorviante.

Il peso della guerra in Iraq sulvoto del 7 novembre, infatti, è statonullo.

È stato nullo anzitutto perché negliStati Uniti d’America una percen-tuale enorme dei cittadini contrari —o divenuti contrari — alla guerra inIraq è tutt’altro che progressista,liberal o comunque di sinistra, giac-ché si riconosce nella cultura con-servatrice «tradizionale» o «classi-ca» — diversa da quella neoconser-vatrice —, non favorevole a quellaguerra anche se non automaticamen-te sempre avversa a essa, e nel pen-

siero libertarian di destra, definitocome  paleolibertarian, che delcosiddetto «isolazionismo», in unaqualsiasi delle sue forme, fa unafortezza inespugnabile. Quindi si trat-ta di cittadini che, in media e ingenere, preferiscono disertare le ur-ne e non certo votare, sempre inmedia e in genere, per i Democratici,anche se «centristi», fattore questo

che al massimo ha penalizzato i Re-pubblicani più che favorire i Demo-cratici.

Una cosa infatti è certa: lo schie-ramento di questo settore significa-

tivo di statunitensi, contrari allaguerra da posizioni di destra, diffi-cilmente comporta di per sé il suc-cesso dei Democratici e non spostal’ago della bilancia politico-cultu-rale degli Stati Uniti d’America al

centro o addirittura a sinistra, anzi,semmai, conferma e sottolinea —dal momento che si tratta di una«fuga» alla destra del Partito Repub-blicano — l’orientamento decisa-mente conservatore — quindi nonsempre e solo neoconservatore —di una parte consistente della popo-lazione statunitense. Peraltro, quel-la che non è disposta a contrabban-

dare la propria fiera e argomentata— ed, entro certi limiti, «oggi» po-polare, o più popolare «di ieri» —opposizione alla guerra in Iraq perun «voto di scambio» con i Demo-cratici, né a svenderla — nonostan-te alcune somiglianze superficialioppure talune contiguità di fatto, oancora taluni strategici sfruttamentidegli argomenti e delle argomenta-zioni «degli altri» — sul facile mer-cato degl’ideologismi delle Sini-stre. Lo dimostra ampiamente il fat-to che questa opposizione da destraalla guerra in Iraq si esprime, inmedia e in genere, con grande chia-rezza in senso conservatore su que-stioni morali, di principio e valoriali,in nome della difesa del diritto natu-rale e presentandosi espressamentecome cristiana, dall’aborto alla que-

stione omosessuale, dal dibattito sul-

l’uso delle cellule staminali embrio-nali alla difesa della famiglia.

4. La sicurezza nazionale

Ma il peso della guerra in Iraqsulle elezioni del 7 novembre èstato nullo per una ragione ancorapiù forte e decisiva. Perché, in quan-to tale, la guerra in Iraq non è lapriorità dell’elettore statunitensemedio «oggi», e questo perché l’e-lettore statunitense medio «sempre»non va in alcun luogo, figurarsi alleurne, pensando alle questioni este-

re. Nelle elezioni presidenziali delnovembre del 1992, il Repubblica-no George Walker Herbert Bushvenne seccamente sconfitto dal De-mocratico William Jefferson «Bill»Clinton per ragioni legate soprattut-to al mancato mantenimento di pro-messe elettorali — fatte durante lacampagna elettorale del 1988 altermine della quale Bush fu elettopresidente federale — relative allariduzione — o quanto meno al nonaumento — della pressione fiscale,e questo nonostante i successi dipolitica estera riportati da Bush elegati soprattutto alla vittoria milita-re nella Guerra del Golfo Persicodel 1991.

Ogni elezione statunitense è infattideterminata da — e quindi vinta opersa per — questioni interne.

Oggi una delle priorità, come spes-sissimo accade negli Stati Uniti d’A-merica, è ancora e sempre quelladella forte pressione fiscale, unita auna crescita economica non esaltan-te, quindi pure a un certo rincaro deiprezzi al consumo. Un’altra sono ilgigantismo e l’elefantiasi del gover-no federale e degli apparati buro-cratici. Un’altra ancora sono alcuni

episodi di corruzione in cui sonostati coinvolti esponenti di spiccodel Partito Repubblicano. Di tuttociò i Repubblicani sono consueta-mente considerati in tesi i nemici,

(4) Cfr. GIANNA FREGONARA, D’Alema esulta:

nuovo ciclo. Sconfitto l’unilateralismo. Il pre-

mier: ha pesato l’Iraq, in Corriere della Sera,Milano 9-11-2006, dove sono riportate, fra altre,le dichiarazioni del presidente del Consiglio deiMinistri on. R. Prodi, del ministro degli Esteri on.Massimo D’Alema, del presidente della Cameradei Deputati on. Fausto Bertinotti e del presidentedi Alleanza Nazionale on. Gianfranco Fini, que-ste ultime le uniche a cogliere nel segno quando

alludono a una differenza reale e importante frail Partito Repubblicano, sconfitto, e il presidentefederale in carica: «Il voto — l’on. Fini ha infattiaffermato —non sconfessa Bush»; cfr. anche A.MORIGI,Prodi fa la morale a George: «Sconfitto

 per la guerra», cit.

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ma evidentemente l’elettorato li hainvece oggi giudicati incapaci diun’azione efficace di contrasto. Eperò questi — ancora una volta —non sono certo temi tipici di unacultura di sinistra. Ora, perché una

cultura genericamente di destra pen-si oggi di essere, entro certi limiti,meglio rappresentata sul piano po-litico da certi Democratici che nonda certi Repubblicani è comunquela domanda che debbono porsi e acui devono rispondere, entro il 2008,anzitutto i Repubblicani. E proba-bilmente non è — come usa direoggi il ceto politico italiano quando

viene sonoramente castigato dall’e-lettorato — un problema di «comu-nicare bene» al «popolo» i buonirisultati di governo ottenuti ma nonpercepiti come tali dal «popolo»...

Con tutto questo si è però ancoraall’individuazione solo di alcune

delle priorità dell’elettorato, e nonancora delle principali. La guerra inIraq non pesa sulle elezioni — sualtro sì, ma non sulle elezioni —come in genere tutte le questioniestere negli Stati Uniti d’Americaperché ciò che conta anzitutto esoprattutto sono le questioni inter-ne, soprattutto nel caso di «elezioniinterne» quali sono state quelle del7 novembre. Ebbene, oggi, dopol’11 settembre 2001, il Martedì Ne-ro, la prima delle priorità degli sta-tunitensi è indiscutibilmente quella

della sicurezza nazionale: una que-stione, appunto, squisitamente «in-terna» — soprattutto nella perce-zione dell’elettorato —, per quantericadute o implicazioni o anche mo-venti «esterni» — esteri — essapossa avere. La guerra in Iraq puòquindi esercitare, in maniera media-ta, una certa influenza sull’anda-mento delle elezioni statunitensi solo

nella misura in cui viene percepita— a torto o a ragione — come unafattispecie della guerra globale mos-sa dopo l’11 settembre dagli StatiUniti d’America al terrorismo in

nome della sicurezza nazionale equesta eminentemente come ope-razione mirante ad assicurare lefrontiere statunitensi — e qui entrao torna in gioco, e pesantemente,anche la spinosa questione dell’im-

migrazione — così che all’internogli statunitensi possano continuareserenamente la conduzione dellapropria esistenza «isolata». Così èstato anche per la precedente guer-ra in Afghanistan, così è semprestato per tutte le guerre combattutedagli Stati Uniti d’America nellapropria storia.

Agli statunitensi, in media e in

genere, continua infatti a interessa-re sempre pochissimo l’«esporta-zione della democrazia» o del regi-

me-change e del nation-building

all’estero, se non come strumentiatti, in primo ed esclusivo luogo, adassicurare i propri confini naziona-li. È questa una versione particolare— ma reale — del proverbiale «iso-lazionismo» statunitense — il qua-le, come detto, assume anche benaltri volti oggi e sempre —, magaripure l’idea che solo l’impegno mili-tare all’estero possa garantire confi-ni sicuri — e questo sempre peròritenendo la sicurezza dei confini laprima delle priorità politiche nazio-nali, dunque ribadendo che tale co-involgimento estero debba esserestrettamente condizionato e limita-to — o persino l’idea, paradossale,

che solo un certo «espansionismo»possa garantire un certo «isolazio-nismo». Comunque sempre un’ideanon certo di sinistra, che peraltrorisponde adeguatamente allo stori-co e politologo neoconservatoreMichael Arthur Ledeen, dell’AEI,l’American Enterprise Institute for

Public Policy Research di Washing-ton. Questi, con una retorica strana,continua a chiedersi — come nelcorso della puntata della trasmis-sione Otto e mezzo, condotta daGiuliano Ferrara, direttore de il Fo-

glio quotidiano, e da Ritanna Arme-ni, giornalista del quotidiano Libera-

 zione, trasmessa l’8 novembre 2006— perché mai vengano definiti «con-servatori» i fautori delle «rivoluzio-ni democratiche» nei paesi oppressida regimi dispotici o totalitari (5),soprattutto dal momento che, no-nostante Ledeen, la media deglistatunitensi di sensibilità conserva-

trice — anche sul piano valoriale ereligioso — ritiene popolarmenteche espressioni quali «fautori dirivoluzioni democratiche» all’este-ro indichino quell’idea di un «inter-ventismo» sub iudice et condicione

che taluni sono anche — addirittura— disposti limitatamente ad appro-vare, purché intesi come «arma didifesa personale» nazionale.

5. Il «caso Jim Webb»

Ciò che allora ha realmente pesa-to sull’elezione del 110° Congres-so e dei governatori in lizza il 7novembre è la questione della sicu-rezza nazionale, del modo per me-glio garantirla e degli uomini chemeglio la possono garantire. Cosa,

questa, di una tale palpabilità politi-ca che appunto il Partito Democrati-co ha fatto di tutto per candidareuomini e donne credibili su questopiano, scegliendo di schierare unnumero sorprendente di esponenti«moderati», «centristi» e «conser-vatori».

Il primo a rilevarlo — poi moltialtri sono seguiti, anche in Italia —

è stato l’opinionista neoconserva-tore canadese, naturalizzato statuni-tense, David Frum, ex speech-wri-

ter di Bush jr., prima sul maggiorquotidiano canadese, National Post ,

(5) Cfr. G. FERRARA e RITANNA ARMENI (con-

duttori), Otto e mezzo. Programma di appro- fondimento quotidiano , trasmissione La rivin-

cita dei Democratici, dell’8-11-2006, in ondasu La 7 , video in <www.la7.it/news/videorubriche/dettaglio.asp?id=635&tipo=13> (visitato il30-11-2006).

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8 — N. 337-338 settembre-dicembre 2006 

quindi sul sito Internet dell’AEI dicui è resident fellow (6). La «garadei candidati», come bene diceFrum, è stata quella all’insegna dichi fosse più patriottico, di chi po-tesse vantare un record militare più

nutrito, di chi, insomma, mostrassepiù cicatrici e battaglie — taloraletteralmente — del proprio sfidan-te, e questo nella consapevolezzache tutto ciò conta moltissimo nel-l’immaginario politico-culturale del-l’elettorato statunitense, rubricatoalla voce caparra di una policy — diuna linea politica — di sicurezzanazionale coraggiosa, decisa e cer-

ta al di là della politics, cioè dellafilosofia politica. Se poi, al fatto che«[...] i Democratici hanno scelto

 più candidati al Congresso che fos-

sero veterani della guerra in Iraq

di quanto abbiano fatto i Repubbli-

cani» (7), si aggiunge la retoricapubblica su «Dio, patria e fami-glia» che molti candidati appuntoDemocratici hanno utilizzato incampagna elettorale — e non sem-pre né solo in maniera strumentale—, il senso autentico delle elezionidel 7 novembre si fa certamente unpoco più chiaro.

Due casi sono del resto emblema-tici, soprattutto perché sono i duecasi che hanno di fatto decretato lavittoria dei Democratici al Senato,anche se di misura davvero strettasia in assoluto, quanto al risultato

elettorale complessivo, sia relativa-mente ai risultati elettorali persona-li. Sono i casi del Democratico Jona-than «Jon» Tester nello Stato delMontana, eletto con 198.302 voticontro i 195.455 del Repubblicanouscente Conrad Ray Burns, quindicon un vantaggio minimo, e delDemocratico James Henry «Jim»Webb jr. nello Stato della Virginia.

Anche Webb ha battuto il Repubbli-cano George Felix Allen con pocovantaggio — il 49,6% dei suffragi e9.329 voti di scarto — e dopo untesta a testa nel conteggio protratto-

si per due giorni, ma ciò che davve-ro conta è il profilo di questo Demo-cratico da cui i virginiani si sentonooggi rappresentati al Senato.

Nato nel 1946 a Saint Joseph,nello Stato del Missouri, laureato

all’Accademia Navale degli StatiUniti d’America poi giurisperito,ex ufficiale del corpo dei marine,veterano decorato della Guerra delVietnam (1964-1975), Webb è sta-to uno dei cosiddetti «Reagan De-mocrats» — abbreviati anche in«Reagan Dems» —, ovvero un e-sponente di quell’ala del Partito De-mocratico di cultura decisamente

conservatrice, e forte specialmentenegli Stati meridionali dell’Unio-ne, che nel 1980 decisero di sostene-re la candidatura presidenziale diRonald Wilson Reagan (1911-2004), Repubblicano sì, ma suffi-cientemente conservatore e dotatose non altro di fair-play rispetto alla«questione “sudista”» da meritare,ai loro occhi, lealtà schietta e appog-gio politico. I «Reagan Dems» —solo alcuni dei quali hanno poi deci-so di cambiare addirittura partito —sono peraltro anche il frutto dell’in-telligente seminagione politica per-seguita dal Partito Repubblicanosotto il consiglio e la guida di RichardMilhous Nixon (1913-1994) — pre-sidente degli Stati Uniti d’Americadal 1968 al 1974 — e iniziata all’in-domani della sconfitta di Barry Mor-

ris Goldwater (1909-1998) alle ele-zioni presidenziali del 1964.

Webb ha quindi avuto incarichidi rilievo nell’AmministrazioneReagan fino a diventare ministrodella Marina nel 1987 per poi di-

mettersi nel 1988 quando la CasaBianca annunciò un sensibile ridi-mensionamento appunto dellaMarina da guerra. Da funzionariodi altissimo livello dell’Ammini-strazione Reagan, peraltro, Webb

si è molto adoperato per il riassettomorale dei marine, combattendostrenuamente l’uso delle droghe ela «cultura della demoralizzazio-ne» diffusasi specificamente in quelcorpo d’élite dopo la Guerra delVietnam.

Trascinato in polemiche prete-stuose da alcune attiviste femmini-ste per aver espresso, anche per

iscritto, l’idea che le donne nonsiano adatte al combattimento mili-tare, è stato quindi pubblicamentedifeso e «scagionato» da esponentifemminili del mondo militare statu-nitense.

Webb, peraltro, discendente diuno dei compagni d’arme del gene-rale della Cavalleria degli Stati Con-federati d’America durante la Guer-ra Civile (1861-1865) Nathan Bed-ford Forrest (1821-1877), è un con-vinto e notorio «sudista» più diquanto lo siano molti uomini politi-ci Repubblicani (8), ma come inve-ce lo è buona parte del mondo con-servatore tradizionale, non certoquello liberal classico, che nor-malmente fa riferimento all’ala piùprogressista dell’odierno PartitoDemocratico. Anche il suo avver-

sario Repubblicano Allen è un col-lezionista di cimeli «sudisti» ma,evidentemente, dopo averlo elettodue anni fa al Senato, i virginianilo hanno ritenuto meno credibiledi Webb (9).

Ancora: Webb è autore, fra ro-manzi e saggi, di otto libri, piuttostopopolari, di argomento storico emilitare, in parte nati da memorie e

da esperienze personali di guerra ocomunque di vita negli ambientimilitari. Uno di questi — l’ultimo inordine di tempo —, Born Fighting:

 How the Scots-Irish Shaped Ameri-

(6) Cfr. DAVID FRUM, Battle for White House

Gets Serious, in   National Post , Don Mills(Ontario, Canada) 8-11-2006, poi sul sito del-l’American Enterprise Institute for Public Policy

Research, Washington 8-11-2006: <www.aei.org/publications/filter.all,pubID.25119/pub_detail.asp> (visitato il 30-11-2006).

(7) Ibidem.(8) Cfr. Ibidem.(9) Cfr. Ibidem.

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ca, «Nati combattendo. Come gliscoto-irlandesi hanno plasmato gliStati Uniti d’America» (10), un sag-gio del 2004, ricostruisce l’impor-tanza avuta dagl’immigrati di cep-po scoto-irlandese nella storia e nella

cultura degli Stati Uniti d’America,specialmente in alcune regioni me-ridionali, che in un momento signi-ficativo della storia del paese hannocoinciso con una parte importante,per certi aspetti il nerbo, degli StatiConfederati d’America, e in alcuneregioni del Midwest, patria dell’«i-solazionismo». Al loro proverbialespirito d’indipendenza si deve la

capacità «tradizionale» d’influen-zare quindi di spostare significativeporzioni dell’elettorato verso que-sto o quel partito, questo o quelcandidato, ivi comprese «terze for-ze» conservatrici come i ricordati«Reagan Dems» o «terzi partiti» dicarattere populista, ma non di sini-stra, come il Reform Party del mi-liardario texano Henry Ross Perot.Un’opera, Born Fighting: How the

Scots-Irish Shaped America, che,fra gli altri, ha ricevuto l’apprezza-mento pubblico di Randall Wallace,autore della sceneggiatura del popo-lare filmdiretto dal regista Mel Gib-son nel 1995 Bravehart-Cuore im-

 pavido (11).Peraltro, della finezzaanche poli-

tica con cui l’ex ministro reagania-no della Marina dimostra di saper

leggere in profondità la storia dellamentalità di alcuni significativi grup-pi di cittadini americani e di saperinterpretare alcuni precisi valori pa-triottici del popolo del suo paese èesempio clamoroso il fatto di esserel’autore nonché il produttore esecu-tivo del filmdel 2000 Regole d’onore

(12), diretto dal regista William Frie-dkin e interpretato da attori bravi e

popolari quali Tommy Lee Jones,Ben Kingsley e Samuel Leroy Jack-son, una pellicola in cui si parla diun attacco terrorista islamista con-tro l’ambasciata statunitense di Sa-

na’a, nello Yemen, difesa dai mari-

nee dove trionfano il cameratismo,le virtù, l’abnegazione, il coraggioe il patriottismo. Un film, cioè, chespiega la psicologia degli america-ni molto più di molte analisi socio-

logiche.Insomma, se i Repubblicani aves-

sero curato nel Montana un poco dipiù il rapporto «porta a porta» —come nel 1980 fece l’attivista con-servatore Richard A. Viguerie, ilguru della direct-mail alla cui stra-tegia si attribuisce, con «seria bouta-

de», la vittoria elettorale di Reagan,o come nel 2004 ha fatto, «sondan-

do la gente», lo stratega presidenzia-le Karl Rove —, e se in Virginiaavessero letto qualche libro in più ofossero andati di più al cinema, ilrisultato elettorale del 7 novembresarebbe stato certamente molto di-verso.

6. «Alcuni Democratici

sono peggiori di altri»

Oltre al caso emblematico di Webbin Virginia ve ne sono però anchealtri decisamente significativi.

Ladda «Tammy» Duckworth èl’esponente Democratica che ha per-so le elezioni per la Camera nel

sesto distretto congressuale delloStato dell’Illinois — l’area di Chi-cago —, con uno scarto del solo 2%sull’avversario Repubblicano PeterRoskam. Il seggio era rimasto va-cante dopo il ritiro per ragioni di età

del Repubblicano conservatore cat-tolico Henry John Hyde, deputatoalla Camera dal 1975 ed ex presiden-te del Committee on the Judiciarydella stessa Camera. Nata nel 1968,la Duckworth è stata maggiore del-l’Esercito degli Stati Uniti d’Ame-rica e copilota di elicottero in Iraq:lì ha perso entrambe le gambe ed èstata seriamente ferita al braccio

destro durante un attacco missilisti-co che ha colpito l’elicottero su cuisi trovava il 12 novembre 2004.

Harold Eugene Ford jr., nato nel1970, si è candidato al Senato coni Democratici nel nono distretto con-gressuale dello Stato del Tennessee— l’area di Memphis — ottenendoil 48% dei consensi e quindi venen-do sconfitto dal Repubblicano Ro-bert Philips «Bob» Corker jr. I duesi sono peraltro contesi il seggiolasciato libero da William Harrison«Bill» Frist, leader della maggio-ranza Repubblicana al Senato finoal voto del 7 novembre, critico peròdi Bush — delle sue critiche alpresidente indicherò più avanti imotivi — e non più rieleggibiledopo due mandati. Ebbene Ford,membro della Blue Dog Coalition,

un’organizzazione di Democraticiconservatori e centristi, «[...] ha

definito Dio il direttore della pro-

  pria campagna elettorale e ha

riprodotto i Dieci Comandamenti

sul retro dei propri biglietti da

visita» (13).In vista del voto del 7 novembre,

del resto, i candidati Democraticiimpegnati nelle campagne elettora-

le non hanno «[...] nemmeno lonta-namente accennato» (14) «ai con-

trolli sulla libera circolazione delle

armi da fuoco» (15) — una proble-matica assai sentita negli Stati Uniti

(10) Cfr. JAMES HENRY «JIM» WEBB JR., Born

Fighting: How the Scots-Irish Shaped Ameri-

ca, Broadway Books, New York 2004.(11) Cfr. Braveheart-Cuore impavido ( Brave-

heart , USA 1995). Regista: MEL GIBSON. Inter-preti principali: M. Gibson, Sophie Marceau,Patrick McGoohan.

(12) Cfr. Regole d’onore ( Rules of Engage-

ment , USA 2000). Regista: WILLIAM FRIEDKIN.Interpreti principali: Tommy Lee Jones, BenKingsley, Samuel Leroy Jackson, Anne Ar-cher, Blair Underwood, Mark Feuerstein, GuyPearce, Bruce Greenwood.

(13) Cfr. D. FRUM, America Is Still a Conser-

vative Country, inThe Daily Telegraph, Londra9-11-2006, poi sul sito dell’American Enter-

prise Institute for Public Policy Research,Washington 9-11-2006: <www.aeiorg/publications/filter.all,pubID.251 19/pub_detail.asp>(visitato il 30-11-2006).

(14)  Ibidem.(15)  Ibidem.

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10 — N. 337-338 settembre-dicembre 2006 

d’America anche per ragioni stori-che ma soprattutto costituzionali,paese dove la Destra si oppone alleregolamentazioni restrittive —«[...]e le unioni omosessuali sono state

condannate da tutti gli sfidanti De-

mocratici eccettuati quelli candi-dati nei collegi più sicuri della vit-

toria» (16).Ha allora davvero ragione Frum

quando osserva che«alcuni Demo-

cratici sono peggiori di altri» (17) equindi, trattando ancora del PartitoDemocratico, quando si chiede«[...] quale Partito Democratico?

 Infatti, ne esistono due» (18): uno è

quello, ben noto e forse attualmentemaggioritario, di marcato orienta-mento liberal, al cui interno si anni-dano anche elementi radical, ossiaestremisti di sinistra, l’altro — mi-noritario, ma non per questo irrile-vante — è quello composto dai«[...] membri Democratici della

Camera dei Deputati che nel 2004

si sono uniti alle proprie controparti

 Repubblicane per far passare, con

un voto di 376 contro 3, una risolu-

 zione che esortava l’Amministrazio-

ne [Bush] a usare “ogni e qualsiasi

mezzo appropriato” per evitare

che l’Iran acquisisse armi nuclea-

ri» (19).Insomma, secondo Frum,«il pros-

simo Congresso può giocare un ruo-

lo molto positivo in politica estera»

(20), o quantomeno questa è la stata

le percezione dell’elettorato che, il 7novembre, dando un saggio delproverbiale pragmatismo america-no, azzardato e spregiudicato finchési vuole, ha considerato la suggestio-ne sotto la voce «sicurezza naziona-le» e ha votato come ha votato. Delresto, come rileva sempre Frum, perquesto elettorato«l’Amministrazio-

ne Bush è stata a volte pericolosa-

mente accomodante con i sauditi econ altri regimi del Golfo Persico.

 Manca di una linea politica coeren-

te nei confronti dell’Iran e in Iraq si

è ingarbugliata con le sue stesse

mani. Ha quindi pericolosamente

 fatto eccessivo affidamento sulle buo-

ne intenzioni del Pakistan. E Con-

doleezza Rice sta mostrando i primi

sintomi di cedimento a una futile

tentazione di risolvere il problema

 palestinese» (21).Frum sa bene, peraltro, che la

maggioranza Democratica eletta alCongresso il 7 novembre, nonostan-te i meriti reali o presunti che essapossa avere agli occhi dell’elettora-to conservatore, subirà forti pressio-ni da parte della peggiore delle dueali esistenti nel Partito Democrati-co, quella liberaleradical, ma invi-

ta ancora una volta a considerarequal è stato il tema ritenuto piùcogente dall’elettorato del 7 novem-bre ricordando che, «nella mag-

gior parte dei sondaggi di opinio-

ne, dalla campagna elettorale di

[George Stanley] McGovern [can-didato presidenziale Democraticosconfitto da Nixon] nel 1972 fino

all’anno in corso, il vantaggio di

cui hanno goduto i Repubblicani

rispetto agli avversari in tema di

sicurezza nazionale non è mai sce-

so al di sotto dei 10 punti percen-

tuali, laddove però la norma era

quella di percentuali attestate at-

torno ai 20 punti con un picco ai 30

dopo l’Undici Settembre» (22); ed èquesto — aggiunge Frum pensan-do alla caparra che le elezioni dimedio termine possono o potranno

mettere sul risultato delle elezionipresidenziali del 2008 — «[...] il

genere di vantaggio che decide le

elezioni presidenziali» (23). Infatti, iDemocratici «[...] sono decisi a non

apparire mai più deboli in tema di

difesa» (24) e i loro capi «[...]hanno

 fatto voto di non gettare mai più al

vento il tema della sicurezza nazio-

nale» (25).

Insomma, senza dimenticare chein un anno, da «[...]molti descritto

come “il peggior clima Repub-

blicano sin dal Watergate”[1974]»(26), il Partito Repubblicano ha co-munque «[...] perso meno di metà

dei seggi che i Democratici perse-

ro nel 1994» (27), il risultato anali-tico delle elezioni di medio termi-ne indica che la composizione del-la Camera — dove la maggioranzaDemocratica è molto più netta cheal Senato — «[...] sarà vistosa-

mente meno liberal di quanto lo

sia l’attuale Direzione del Partito

 Democratico» (28). Dunque che il7 novembre ha impartito ai liberal

una lezione chiara: «gli Stati Uniti

rimangono un Paese molto, molto

conservatore» (29).

7. Il Partito Repubblicanoe il presidente Bush jr.

Si dice sempre che le elezioni dimedio termine sono un test in vistadelle successive elezioni presiden-ziali dunque, al contempo, una sor-ta direferendumper valutare il livel-lo di gradimento o meno dell’Ammi-

nistrazione in carica. È vero ancheper la tornata del 7 novembre 2006in vista del dopo-Bush?

Frum suggerisce di sì quanto aciò che dice riferimento a una spe-

(16)  Ibidem.(17) Cfr. IDEM, Some Democrats Are Worse

Than Others, in   National Post , Don Mills(Ontario, Canada) 4-11-2006, poi sul sito del-l’American Enterprise Institute for Public PolicyResearch, Washington 6-11-2006: <www.aei.

org/publications/filter.all,pubID.25100/ pub_detail.asp> (visitato il 30-11-2006).(18)  Ibidem.(19)  Ibidem.(20)  Ibidem.(21)  Ibidem.(22)  Ibidem.(23)  Ibidem.(24)  Ibidem.(25)  Ibidem.(26) IDEM,  America Is Still a Conservative

Country, inThe Daily Telegraph, Londra 9-11-2006, poi sul sito  dell’American EnterpriseInstitute for Public Policy Research, Washington

9-11-2006: <www.aeiorg/publications/filter. all,pubID.251 19/pub_detail.asp> (visitato il 30-11-2006).

(27)  Ibidem.(28)  Ibidem.(29)  Ibidem.

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cie di test  nella prospettiva delleelezioni presidenziali del 2008 (30).I Repubblicani sono del resto, datempo, alla ricerca di un candidatovincente, e questo preannuncia unanotte dei lunghi coltelli dal momen-

to che l’eredità di Bush jr. saràcomunque pesante, addirittura in-gombrante per alcuni, certamenteimbarazzante per altri. Fra i Repub-blicani vi è infatti chi non vede l’oradi sbarazzarsi di questo fardellosmarcandosi completamente dalpresidente in carica e chi pensa acome sarà possibile restare fedele aBush senza però dare la stucchevo-

le impressione di volerlo imitarepedissequamente, e il novero di que-sti ultimi si divide fra chi desiderafarlo perché del presidente in caricacondivide sinceramente le prospet-tive e chi invece lo vuol fare soloperché, coram populo, ciò paga opuò pagare sul piano elettorale.

Fra quanti sembrano volersi piùdecisamente smarcare dalla «lineaBush», esemplare è il caso del sen.Frist, già capo della maggioranzaRepubblicana al Senato, il quale,pur presentandosi come difensoredel diritto alla vita, sfida aperta-mente da tempo Bush sulla questio-ne del finanziamento con denarofederale della ricerca scientifica sullecellule staminali embrionali umaneanche in strutture federali — nellestrutture finanziate privatamente la

ricerca è infatti già possibile —,finanziamento contro cui Bush sioppone recisamente. Frist cerca in-somma di conciliare posizioni pro-

life e disponibilità a finanziare confondi federali la ricerca sulle stami-nali attraverso complessi ragiona-menti sofistici che in realtà rivelanola semplice volontà, peraltro goffa,di differenziarsi da Bush pur cercan-

do di corteggiare un pubblico ditipo «bushano». Oltre a Frist, poi,sul fronte anti-Bush si segnalano,pure da tempo, almeno lo stessosen. Allen, sconfitto dall’ex mini-

stro Webb in Virginia, e JohnMcCain, senatore dell’Arizona, damolto tempo aspirante candidatoRepubblicano alle presidenziali edeciso avversario del ministro dellaDifesa Donald Henry Rumsfeld,

dimessosi poche ore dopo la scon-fitta Repubblicana del 7 novembre,nel quale ha invece sempre credutoBush o mostrato di farlo (31).

Impegnate in queste lotte annose,le diverse anime del Partito Repub-blicano hanno probabilmente di-stratto il proprio personale politico,allontanandolo da quelle che l’elet-torato considera le priorità naziona-

li, così che, paradossalmente, sonorisultati più appetibili e se ne sonoavvantaggiati politicamente i De-mocratici. Non a caso, autorevolicritiche al Partito Repubblicano, allasua macchina organizzativa e allasua linea politico-strategica sonostate mosse, all’indomani del votodel 7 novembre, dal settimanale diWashington The Weekly Standard ,«assai vicino» all’Amministrazio-ne Bush, diretto da Fred Barnes edal «figlio d’arte» neoconservatoreWilliam «Bill» Kristol, figlio ap-punto d’Irving Kristol, uno dei pa-drini riconosciuti del neoconserva-torismo statunitense, anzi il primoad attribuire in senso positivo a séstesso il termine neoconservatore,espressione di una lunga elabora-zione culturale maturata fra la fine

degli anni 1960 e l’inizio degli anni1970 (32). Le critiche non possonocertamente essere considerate «ispi-rate» da alti livelli dell’Amministra-

zione Bush, ma altrettanto certa-mente incarnano il pensiero di mol-ta parte di quegli stessi alti livelli o,comunque, si allineano con le ri-flessioni che quegli alti livelli stan-no facendo o dovranno fare da ora

alle elezioni presidenziali delnovembre del 2008. In ogni caso, sitratta di critiche che certamente as-sumono talora il volto del consi-glio, talaltra l’espressione della pos-sibilità, se non addirittura della pro-babilità, dell’esercizio, da parte ap-punto degli ambienti politico-cul-turali che in modi diversi fannocapo a The Weekly Standard — o

che a esso s’ispirano o che da essopossono essere e sono influenzati—, di forti pressioni su settori adiversi titoli significativi dell’elet-torato statunitense (33).

Insomma, se probabilmente è dif-ficile definire la consultazione elet-torale del 7 novembre un referen-

dum popolare sulla «linea Bush»— giacché, sempre probabilmente,in quell’occasione l’elettorato sta-tunitense ha premiato, o ha credutodi premiare, un personale politicoDemocratico d’«intonazione» bu-shana —, certamente è però possi-bile leggere nel suo esito un severoe chiaro giudizio di non gradimentoper ampi settori del Partito Repub-blicano, con il corollario di dire chese «ieri» non era certamente veral’equivalenza «Bush uguale Partito

Repubblicano uguale mondo neo-conservatore», oggi è ancora menovera l’equivalenza «Partito Repub-blicano uguale Bush», neoconser-vatori a parte.

8. La «questione

Rumsfeld»

Paradossalmente, inoltre, le dimis-sioni tempestive di Rumsfeld, dopola sconfitta Repubblicana e la suasostituzione con Robert MichaelGates, confermano le analisi che

(30) Cfr. IDEM, Battle for White House Gets

Serious, cit.(31) Cfr. i miei Il lato debole di W. , in il Foglio

quotidiano, Roma 31-8-2005, e Usa, l’embrio-

ne arma elettorale, in L’Indipendente, Roma26-10-2005.

(32) Cfr. IRVING KRISTOL, Il neoconservatori-smo. Autobiografia di un’idea, trad. it., conPrefazionedi Andrea Marcigliano, Nuove Idee,Roma 2005.

(33) Cfr. The Weekly Standard , vol. 12, n. 10,Washington 20-10-2006.

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vedono nella questione della «sicu-rezza nazionale» la priorità dell’elet-torato americano così come si èespresso alle urne il 7 novembre.

Si è subito detto che l’avvicenda-mento configura una sconfessione

della politica estera definibile gros-so modo«di tipo neoconservatore»seguita dal comunque non-neocon-servatore Rumsfeld e una presa nettadi distanze di Bush da essa, quindidal mondo definibile, sempregros-

so modo, «di tipo neoconservatore»e dal neoconservatorismo stesso. Inpiù si è aggiunto che il suggello neè proprio l’arrivo al Pentagono di

Gates, già capo della CIA, la CentralIntelligence Agency, con Bush pa-dre dal 1991 al 1993 ed espressionedi quella scuola politica consueta-mente definita — ma vi sarebbe dadiscuterne — «realista» alla Heinz«Henry» Alfred Kissinger, che oggiha in James Addison Baker III, exSegretario di Stato con Bush padredal 1989 al 1992, il rappresentantepiù potente, una scuola politica cheè, proprio nella versione kissinge-riano-bakeriana, nemica giurata deineoconservatori e pure di Bush fi-glio, il cui contrasto, soprattutto intemi di politica estera, con Bushpadre è del resto notorio. Si tratta difatti che, apparentemente, contrad-direbbero le analisi svolte preceden-temente, giacché si tratterebbe nondell’avvicendamento fra un neo-

conservatore e un conservatore piùtradizionale, ma della sostituzionepunitiva di un amico dei neocon-servatori con un politicante prag-matico, magari pure disposto a certicompromessi con Stati oggi media-mente percepiti negli Stati Unitid’America come nemici frontalidella sicurezza nazionale, quali peresempio la Repubblica Islamica del-

l’Iran.Non è da escludere, poi, che ledimissioni di Rumsfeld, volute daBush figlio in persona, siano statedovute a uno «scatto» avventato,

quasi a un gesto indispettito di fron-te alla sconfitta elettorale registratadal Partito Repubblicano rispon-dente al criterio — assai praticato inpolitica dopo una sconfitta elettora-le e non solo né principalmente

negli Stati Uniti d’America — del«qualcuno deve pagare» e dell’«unatesta deve cadere»; un criterio che,rebus sic stantibus — cioè standocosì le cose, in frangenti in cui levalutazioni complessive dei signifi-cati globali dei risultati elettoralisono ancora impossibili da apprez-zare e da soppesare —, è sempreazzardato oltre che esageratamente

punitivo ad personam, quindi po-tenzialmente dannoso. In genere,infatti, le decisioni prese in questomodo concedono troppo, e indebi-tamente, alla ridda dei «secondome» che, senz’alcuna plausibilità,si affrettano sui mediaa «spiegare»i risultati; in specie, se davvero èstato dovuto a decisioni affrettate, illicenziamento di Rumsfeld ha con-cesso davvero troppo all’idea —circolante più fuori che dentro gliStati Uniti d’America, ma da fuoricapace di suggestionare chi sta cer-tamente dentro ma altrettanto certa-mente mantiene un piede anche fuo-ri, il presidente federale per esempio— che sul voto abbia pesato inmodo decisivo la guerra in Iraq nonintesa come un capitolo della que-stione «sicurezza nazionale».

Oppure ancora è possibile ipotiz-zare che in qualche modo Bush siastato costretto da settori del PartitoRepubblicano a un segnale impor-tante di discontinuità con il passa-to recente, settori del Partito Re-pubblicano che così, mentre ma-gari con una mano organizzano lafronda al presidente, con l’altrachiedono allo stesso presidente di

pagare pubblicamente per colpenon sue.

Dal canto suo, Frum — avallandoalmeno in parte l’idea di un Rumsfeldin calo di popolarità per l’attualeandamento della guerra in Iraq ri-spetto alle previsioni o alle intenzio-ni dell’inizio — ipotizza pure che,

sulle dimissioni del ministro dellaDifesa avvenute ora, possa aver pe-sato la non volontà di Bush figlio diaffrontare prima il complesso iter 

che comporta una sostituzione digoverno così importante e che pureavrebbe sottoposto l’Amministrazio-ne alle critiche e all’ostruzionismodell’opposizione in occasione delleaudizioni per la ratifica della nomina

del nuovo ministro e questo in unmomento politico delicato (34).In realtà, anche se paradossale,

accanto a queste, che comunquesono e restano verità — magarianche parziali oppure solo presunte— con cui fare i conti, bisogna puretener presente che, sostituire oggi alPentagono un «amico degli “espan-sionisti”» con un excapo della CIA— per quanto quest’agenzia gover-nativa continui a restare uno deibersagli preferiti dell’immaginarioconservatore —, cioè dei servizid’intelligenceche vegliano sulla si-curezza nazionale, significa forsenon tanto fattualmente spostare l’at-tenzione dagli scenari esteri ai con-fini nazionali — giacché nella real-tà le «guerre di Rumsfeld» appuntoalla sicurezza nazionale hanno co-

munque mirato —, ma comunicarebene ai cittadini statunitensi la fer-ma volontà di farlo, ovvero incontra-re subito, a poche ore dal voto,quelle priorità nazionali che all’elet-torato stanno a cuore e che, pertrascuratezza, al Partito Repubbli-cano sono costate il 110° Congres-so. A maggior ragione oggi, a cau-sa dell’andamento della guerra in

Iraq; oggi che i suoi critici conserva-tori ce l’hanno più con essa percome è andata che non con la guer-ra in sé e con le sue motivazioni;oggi che anche i neoconservatori

(34) Cfr. D. FRUM, Some Democrats Are

Worse Than Others, cit.

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più graphic ed evidenti, così chealcuni — compresi alcuni elettoristatunitensi — finiscono per discri-minare fra l’una e le altre. Del resto,il sì alla ricerca sulle staminali èpassato in Missouri con appena il

51% dei consensi e 48.781 voti didifferenza in uno Stato che il 4agosto 2004 ha approvato, con unamaggioranza larghissima, pari qua-si al 75% dei suffragi, l’introduzio-ne nella Costituzione dello Stato diun emendamento che proibisce leunioni omosessuali (39).

Nel South Dakota la proposta diabolire completamente l’aborto è

stata bocciata con il 56% dei suffra-gi, ovvero con un vantaggio di soli37.270 voti. Questa proposta, pe-raltro, chiedeva di passare automa-ticamente da un regime di liceità diaborto a un regime di abolizionecompleta, senza nemmeno propor-re la «scappatoia» della clausolarelativa al pericolo per la salutedella madre.

Ma, soprattutto, va sottolineatoche in otto Stati si sono celebratialtrettanti referendum in cui si èchiesto alle popolazioni di espri-mersi in merito all’inserimento nel-le Costituzioni di detti Stati di e-mendamenti che proibiscano e-spressamente quello che molti erro-neamente chiamano il «matrimo-nio» fra persone omosessuali. InColorado, Idaho, South Carolina,

Tennessee, South Dakota, Virginiae Wisconsin ha trionfato la lineache vieta le unioni omosessuali;solo l’Arizona ha votato contro. InColorado con il 54% dei suffragi e156.545 voti di vantaggio; nell’I-daho con il 63% dei suffragi e118.632 voti di vantaggio; nelSouth Carolina con il 78% dei suf-fragi e 588.220 voti di vantaggio; in

Tennessee con l’81% dei suffragi e1.090.980 voti di vantaggio; nelSouth Dakota — lo Stato che harespinto l’abolizione completa del-l’aborto — con il 52% dei suffragi

e 11.481 voti di vantaggio, ma boc-ciando contemporaneamente, conun altro referendum, la possibilitàdell’uso medico della marijuana

con il 52% dei suffragi e 15.239voti di vantaggio; in Virginia con il

57% dei suffragi e 321.701 voti divantaggio; e in Wisconsin con il59% dei suffragi e 399.000 voti divantaggio.

In Arizona, dove è stata respintol’idea di un divieto costituzionalealle unioni omosessuali, è stato fat-to con il 51% dei suffragi e unvantaggio di 32.274 voti.

Lo stesso accadde il 2 novembre

2004 quando, contemporaneamen-te, Bush trionfò alle presidenziali eil Partito Repubblicano al Congres-so, grazie a un elettorato di fattopoco diverso da quello che si èespresso il 7 novembre 2006. Allo-ra furono gli Stati di Arkansas,Georgia, Kentucky, Michigan, Mis-sissippi, Montana, North Dakota,Oklahoma, Ohio, Utah e Oregon achiedere — preceduti, come ho ri-cordato, dal Missouri il 4 agosto edalla Louisiana il 18 settembre 2004con una maggioranza di circa il78% — emendamenti costituzio-nali contro le unioni omosessuali,Georgia e Kentucky con maggio-ranze di 3 a 1 e il Mississippi addi-rittura di 6 a 1 (40).

La Right Nation, insomma, è an-cora lì, è sempre lì, attrice protago-

nista. Cerca ancora, cerca semprebuoni interpreti nelle istituzioni, nonsolo controfigure e comparse. A-gl’impresari sta attrezzarsi: infatti,lo spettacolo continua.

Marco Respinti

organo ufficiale di Alleanza Cattolica

bimestrale — dal 1973

ISSN 1120-4877

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Caltanissetta: 0934-20.922Si pubblicano le sole collaborazioni esplicitamen-te richieste e concordate. Si ringrazia dell’invio diperiodici in cambio, di materiale d’informazionee di opere per recensione, ma non se ne garantiscené la segnalazione né la recensione, condizionatesia da considerazioni di carattere dottrinale che daragioni di spazio.

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giornalistica. È possibile prendere visione dellemodalità di trattamento e dei propri diritti consul-tando il sito <www.alleanzacattolica.org/privacy.htm>.

(39) Cfr. GIOVANNI CANTONI, «The Missou-

rians»: un fatto, non una «fiction», in Cristia-

nità, anno XXXII, n. 324, luglio-agosto 2004,pp. 3-4.

(40) cfr. il mio Hanno votato in tanti. Ha vinto

il presidente. God Bless America, in il Dome-

nicale. Settimanale di cultura, anno 3, n. 45,Milano 6-11-2004, p. 1.

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bimestrale — anno XXXIV — n. 337-338 settembre-dicembre 2006 — 5,00

 L’ Insorgenza come categoria storico-politica

Gli Stati Uniti sono ancora un paese conservatore

Solidarietà dell’Italia con Papa Benedetto XVI

«I n memoriam» di mons. Cataldo Naro

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2 — N. 337-338 settembre-dicembre 2006 

la copertina«Utilizzate, per favore, con zelo il Compendio e il Catechismo della Chiesa cattolica!». L’esortazione, rivolta da Papa Benedetto XVI, il 5 novembre2005, ai Presuli della Conferenza Episcopale dell’Austria in visita ad limina Apostolorum, sarà richiamata sulle copertine di Cristianità per tuttoil 2006 con disegni al tratto composti da Sylvie Bethmont-Gallerand, incisore, storica dell’arte e animatrice di gruppi di catechismo a Parigie nella diocesi di Meaux, in Francia, a partire dalle miniature del   Liber Evangeliorum, realizzato nel secolo X, nell’abbazia di Reichenau, sulLago di Costanza, in Germania, per l’arcivescovo Egberto di Treviri (†993), pure in Germania.

in questo numeroSylvie Bethmont-Gallerand,  Epifania, in Eadem e Catherine de Salaberry, Catechismo con le icone dell’Evangeliario di Egberto. Un itinerario

di bellezza, spiritualità, semplicità, attività con i bambini e i ragazzi, con Presentazione di mons. Michel Dubost C.I.M, vescovo di Évry-Corbeil-Essonnes, in Francia, Prefazione di Joël Molinario e disegni di S. Bethmont-Gallerand, trad. it., Elledici, Leumann (Torino) 2005, p. 25.

MAGISTERO PONTIFICIO1. GIOVANNI PAOLO II, Per iscrivere la verità

cristiana sull’uomo nella realtà dellanazione italiana. Loreto, 11 aprile 1985,1985, t 1,55

2. PAOLO VI,   La società democratica. Lettera

«Les prochaines assises», 1990, t 1,033. GIOVANNI PAOLO II,   Annunciare il valore

religioso della vita umana. Discorso «Sono

lieto», 2a ed. accresciuta, 1993, t 1,554. PIO XII, I sommi postulati morali di un retto

e sano ordinamento democratico. Radio-

messaggio natalizio «Benignitas et huma-

nitas», 1991, t 2,075. SAN PIO X,   La concezione secolarizzata

della democrazia. Lettera agli Arcivesco-

vi e ai Vescovi francesi «Notre charge

apostolique», 1993, t 2,07

MAGISTERO EPISCOPALE2. MONS. HANS LUDVIG MARTENSEN S.J., Vesco-

vo di Copenaghen — Danimarca,  Re-

incarnazione e dottrina cattolica. La

Chiesa di fronte alla dottrina della rein-

carnazione, 1a ristampa, 1994, t 3,10

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, Via Crucis. Due

meditazioni, con 14 tavole di GiorgioFanzini, 1991, t 5,16

LA BATTAGLIA DELLE IDEE

 DOTTRINA  E  TEORIA  DELL’ AZIONE 

1. PLINIO CORRÊA  DE OLIVEIRA,   Rivoluzione e

Contro-Rivoluzione, con lettere di enco-mio di S. E. mons. Romolo Carboni,arcivescovo titolare di Sidone e nunzioapostolico, e con saggio introduttivo su  L’Italia tra Rivoluzione e Contro-Rivolu-

 zione, di Giovanni Cantoni, 3a ed. it.accresciuta, 1977, t 10,33

2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA, La libertà della

Chiesa nello Stato comunista. La Chiesa,

il decalogo e il diritto di proprietà, conuna lettera di encomio della Sacra Con-

gregazione dei Seminari e delle Univer-sità, 1978, t 3,623. GIOVANNI CANTONI e MASSIMO INTROVIGNE,

 Libertà religiosa, «sette» e «diritto di per-

secuzione». Con appendici, 1996, t 7,75

P ANORAMI   E   DOCUMENTI 

1. FABIO VIDIGAL XAVIER DA SILVEIRA, Frei, il

Kerensky cileno, con lettere di encomiodelle LL. EE. mons. Alfonso Maria Bu-teler, arcivescovo di Mendoza, in Argen-tina, mons. Antonio de Castro Mayer,vescovo di Campos, in Brasile, e mons.Antonio Corso, vescovo di Maldonado-Punta del Este, in Uruguay, e con prefa-zione di Plinio Corrêa de Oliveira, 1973,t 7,75

2. PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA E SOCIEDAD CHI-LENA DE DEFENSA DE LA TRADICIÓN, FAMILIA

Y PROPIEDAD,   Il crepuscolo artificiale del

Cile cattolico, 1973, t 10,333. GIOVANNI CANTONI,   La «lezione italiana».

Premesse, manovre e riflessi della politica

di «compromesso storico» sulla soglia

dell’Italia rossa, con in appendice l’ Attodi consacrazione dell’Italia al Cuore

  Immacolato di Maria, 1980, t 12,914. ALFREDO MANTOVANO,   La giustizia negata.

 L’esplosione della criminalità fra crisi dei

valori ed emergenza istituzionale, con pre-sentazione di Mauro Ronco, 1992, t 7,75

5. GIULIO DANTE GUERRA,   La Madonna di

Guadalupe. Un caso di «inculturazione»

miracolosa. In appendice «Preghiera per 

la Vergine di Guadalupe» di Papa Gio-

vanni Paolo II , 1992, t 1,556. MASSIMO INTROVIGNE,   La questione della

nuova religiosità. In appendice la rela-

  zione al Concistoro Straordinario del

1991 di S. Em. il card. Francis Arinze,

«La sfida delle sette o nuovi movimenti

religiosi: un approccio pastorale», 1993,in preparazione un’edizione riveduta

7. MARCO INVERNIZZI, L’Unione Elettorale Cat-

tolica Italiana. 1906-1919. Un modello

di impegno politico unitario dei cattolici.

Con un’appendice documentaria, 1993,t 4,13

8. ALFREDO MANTOVANO, Giustizia a una svolta.

Verso il ricupero o verso il tramonto della

legalità?, con prefazione di Mario Cica-la, 1993, t 10,33

10. LORENZO CANTONI,   Il problema della po-

  polazione mondiale e le politiche demo-

grafiche. Aspetti etici, 1994, t 5,16

11. OSCAR

SANGUINETTI

, Le insorgenze contro-rivoluzionarie in Lombardia nel primo

anno della dominazione napoleonica.

1796 , con prefazione di Marco Tanghe-roni, 1996, t 10,33

12. IDIS. ISTITUTO PER LA DOTTRINA E L’INFOR-MAZIONE SOCIALE, Voci per un «Dizionario

del Pensiero Forte», a cura di GiovanniCantoni e con presentazione di GennaroMalgieri, 1997, t 12,91

13. ERMANNO PAVESI, Follia della Croce o nevro-

si? «Funzionari di Dio. Psicogramma di

un ideale» di Eugen Drewermann e la

critica della psicologia del profondo alla

religione, con presentazione di S. E. mons.Wolfgang Haas, arcivescovo di Vaduz, inLiechtenstein, e amministratore apostoli-co di Coira, in Svizzera, e con prefazionedi don Pietro Cantoni, 1998, t 9,30

* * *

Quaderni di «Cristianità», serie quadrime-

strale 1985-1986, disponibili il numero 3(Paolo Calliari O.M.V.,   Itinerario dalle

cose a Dio ovvero la «dialettica degli

  Esercizi» secondo padre Pio Bruno Lan-

teri [1759-1830]; Estanislao Cantero Nú-ñez,   Evoluzione del concetto di democra-

 zia; Francesco Pappalardo, 1799: la cro-

ciata della Santa Fede; e documenti), eil numero 5 (Enzo Peserico, Gli anni del

desiderio e del piombo. Dal Sessantotto

al terrorismo; documenti, recensioni esegnalazioni) t 5,16 ciascuno

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