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Appunti MKT decarlo
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MARKETING SOCIALE alcune definizioni Per marketing sociale si intende “la progettazione, la realizzazione ed il controllo dei programmi finalizzati ad aumentare l’accettabilità di una causa o di un’idea sociale. Esso utilizza i concetti della segmentazione del mercato, della facilitazione, degli incentivi e della teoria dello scambio per massimizzare la risposta del gruppo obiettivo”. Viene definito anche come “l’insieme di attività intraprese da un’organizzazione per creare, mantenere e modificare gli atteggiamenti e i comportamenti collettivi in vista di valori socialmente condivisi” Il marketing sociale può anche essere definito come l'utilizzo delle strategie e delle tecniche del marketing per influenzare un gruppo target ad accettare, modificare o abbandonare un comportamento in modo volontario, al fine di ottenere un vantaggio per i singoli individui o la società nel suo complesso Il marketing sociale è un’attività finalizzata a produrre cambiamenti sociali nell’interesse collettivo attraverso la promozione di idee e comportamenti Le origini del MKT sociale Il termine social marketing fu utilizzato per la prima volta nel 1971 da Kotler e Zaltman in un articolo del Journal of Marketing per descrivere l’utilizzo dei principi e delle tecniche di marketing per promuovere una causa, un’idea o un comportamento di interesse collettivo Nei decenni successivi, il crescente interesse e l’utilizzo dei concetti, degli strumenti e delle pratiche del marketing sociale hanno spaziato dall’ambito della salute e della sicurezza pubblica a questioni riguardanti l’ambiente e la collettività. MKt sociale e Mkt noprofit Se ogni iniziativa di marketing sociale costituisce un esempio di marketing no profit, non è sempre vero l’inverso: vi sono infatti diversi tipi di organizzazioni senza fini di lucro che si servono dei principi e delle tecniche del marketing senza tuttavia intraprendere iniziative di marketing sociale. Alcune organizzazioni no profit, infatti, svolgono attività produttive che le rendono molto più simili alle imprese private (come le cooperative di consumo). Mkt sociale e societal mkt Mentre negli Stati Uniti la distinzione tra “social” e “societal” si è affermata attraverso l’utilizzo di due attributi diversi, in Italia si continua ad utilizzare l’espressione marketing sociale, comparsa per la prima volta nel 1973, con differenti significati in relazione ai contesti d’uso. Il societalmarketing affermache“ilcompitodi un’impresa è quello di determinare i bisogni, i desideri e gli interessi dei mercati obiettivo e di procedere al loro soddisfacimento più efficacemente ed efficientemente dei concorrenti, secondo modalità che preservino o rafforzino il benessere del consumatore e della società” (Kotler, 1986, p. 36). Ci si riferisce quindi, con questa accezione, al concetto di responsabilità sociale d’impresa.
Mkt sociale e Mkt commerciale Sebbene il marketing sociale utilizzi gli stessi principi e tecniche del marketing commerciale, esso se ne differenzia profondamente rispetto a valori e finalità.
• Una differenza fondamentale riguarda il tipo di prodotto venduto: nel marketing commerciale si vendono beni e servizi, nel marketing sociale “si vendono” idee/comportamenti desiderati e condivisi.
• Nel marketing commerciale chi vende ricerca generalmente un vantaggio di natura economica; nel marketing sociale l’obiettivo principale è invece ottenere un beneficio collettivo per i destinatari del progetto.
• Nel marketing commerciale, incentrato sulla vendita di beni e servizi, i competitors vengono identificati con le altre imprese che offrono prodotti/servizi simili o che intendono soddisfare bisogni simili dei consumatori. Nel marketing sociale, focalizzato invece sulla promozione di un’idea/comportamento, la competizione riguarda l’idea/comportamento adottato o preferito dal gruppo target e i benefici ad esso associati.
• Nel marketing commerciale il criterio primario per la scelta del gruppo obiettivo cui rivolgersi è quello dei volumi di vendita, si sceglie cioè il gruppo più profittevole; nel marketing sociale i gruppi obiettivo sono scelti in base a una serie di criteri, tra i quali la disponibilità al cambiamento da parte del gruppo, la rilevanza di un problema sociale, la raggiungibilità del gruppo obiettivo.
Nonostante le differenze, esistono anche molti aspetti comuni ai due modelli di marketing. • Criticità dell’orientamento al cliente: ciò che viene offerto dovrà incontrare l’
interesse del gruppo target, risolvere un suo problema o soddisfare un suo bisogno/desiderio.
• Importanza della Teoria dello scambio: il gruppo obiettivo deve percepire dei benefici che eguagliano o superano i costi associati al comportamento che metterà in atto.
• La ricerca di marketing viene effettuata lungo tutto il processo: solo attraverso la ricerca e la comprensione degli specifici bisogni, desideri, credenze e atteggiamenti del gruppo target si possono progettare strategie efficaci.
• Segmentazione della popolazione. Le strategie devono essere attentamente pianificate sulla base degli specifici desideri, bisogni, risorse e comportamenti dello specifico segmento individuato.
• Considerare tutte le “4P”. Una strategia vincente richiede un approccio integrato, che utilizzi tutti gli strumenti a disposizione, evitando di fare affidamento solo sulla pubblicità o sulla comunicazione persuasiva.
• Misurare i risultati ed utilizzarli per migliorare. I feedback che si ottengono quando si misurano i risultati di un progetto di marketing devono costituire il punto di partenza per il miglioramento.
Gli obiettivi di una campagna di mkt sociale Cambiamento cognitivo: lo scopo è quello di creare consapevolezza e conoscenza, generare quindi un cambiamento solo a livello cognitivo. Cambiamentod’azione:l’obiettivoèindurreil massimo numero possibile di persone a compiere una specifica azione entro un determinato periodo di tempo. È un obiettivo più arduo rispetto al precedente perché si devono fornire delle informazioni e sulla base di queste gli individui devono essere pronti a compiere una specifica azione. Cambiamento comportamentale: la finalità è indurre gli individui a modificare certi aspetti del proprio comportamento per la salvaguardia del proprio benessere. Le persone devono
abbandonare certe abitudini consuete, apprenderne nuove e mantenere i nuovi modelli di comportamento. Cambiamento di valori: si cerca di modificare valori e opinioni profondamente radicati che alcuni individui presentano rispetto ad alcuni argomenti o situazioni. È in assoluto il cambiamento più difficile da promuovere. La pianificazione di una campagna di mkt sociale
• Le fasi della pianificazione di una campagna di marketing sociale ricalcano il processo di marketing attuato dalle imprese per la commercializzazione di prodotti e servizi.
• La gestione del processo di pianificazione di marketing si articola in alcune fasi essenziali:
. 1) analisi del macroambiente e del microambiente;
. 2) sviluppo del piano di marketing;
. 3) implementazione del piano di marketing;
. 4) controllo e valutazione dell’efficacia dell’azione di marketing. Le ricerche di mkt All’interno di questo processo un ruolo fondamentale assumono le ricerche, uno degli strumenti principali che contraddistinguono l’approccio di marketing. Le ricerche di marketing intervengono in ogni fase del processo di pianificazione, attuazione e controllo, fornendo una serie di dati che costituiscono il punto di riferimento principale di ogni decisione e che riducono l’incertezza sui risultati delle scelte effettuate. Devono essere svolte prima dell’inizio del programma di marketing (ricerche per la definizione del problema, la selezione degli obiettivi, ecc.), durante l’attuazione del piano (verifiche sull’impatto e sul corretto svolgimento dei programmi d’azione), alla fine dell’azione di marketing (ricerche per determinare i risultati e valutare l’efficacia del piano). La ricerca di marketing prevede: -‐ la definizione del problema e lo sviluppo delle ipotesi; -‐ il disegno di ricerca; -‐ la raccolta dei dati; -‐ l’analisi dei dati e l’interpretazione dei risultati. Finalità delle ricerche di marketing: -‐ definire gli obiettivi dell’azione di marketing -‐ individuare barriere e benefici connessi alla promozione del comportamento desiderato; -‐ identificare i potenziali “concorrenti”, cioè coloro che promuovono il comportamento alternativo a quello proposto; -‐ mettere a punto un piano per il monitoraggio e la valutazione dei risultati della campagna di marketing. Esistono tre categorie cui ricondurre le diverse modalità di ricerca di mercato e sono le ricerche esplorative, descrittive e correlazionali.
Le fasi della pianificazione Analisi del macro e microambiente L’obiettivo di questa fase preliminare è quello di approfondire l’ambiente economico, sociale, culturale, politico, la domanda e la concorrenza, allo scopo di individuare potenziali forze (demografiche, economiche, tecnologiche, politico-‐legali e socio-‐culturali) in grado di sostenere le idee, i comportamenti e i valori favorevoli o contrari all’azione di marketing sociale che si vuole realizzare. Si cerca di identificare punti di debolezza, punti di forza, opportunità e minacce del micro e del macro ambiente di riferimento. → Fase definita SWOT analysis Questa analisi permette di definire gli obiettivi specifici del progetto e di scegliere gli utenti target, dei quali bisogna conoscere desideri, abitudini, credenze, intenzioni di comportamento attuali e potenziali, sia per descriverli correttamente, sia per calibrare gli obiettivi in modo che siano raggiungibili. Sviluppo di un piano di mkt Dopo aver segmentato il mercato in gruppi di consumatori omogenei per alcune caratteristiche, si passa alla scelta dei gruppi obiettivo che si vogliono raggiungere. Il passo successivo, anche nel caso del marketing sociale, è quello di posizionare il “prodotto” offerto all’interno di ogni segmento (o del singolo segmento prescelto), cioè identificare e selezionare i vantaggi competitivi e rendere efficacemente percepibile al consumatore il valore dell’offerta in rapporto a quella dei concorrenti. L’individuazione di un vantaggio competitivo può coinvolgere qualsiasi variabile del marketing mix e impone di far leva sulla comunicazione per evidenziare e far conoscere al consumatore il valore dell’offerta. Dalle scelte strategiche compiute nella fase di segmentazione e posizionamento dipenderà l’elaborazione delle tattiche dei programmi di azione che coinvolgono l’insieme degli strumenti di marketing mix. Gli elementi del marketing mix (prezzo, prodotto, distribuzione, promozione) rappresentano gli strumenti che consentono di tradurre gli obiettivi e le decisioni strategiche in specifici programmi d’azione, in funzione dei segmenti obiettivo prescelti. Oltre a tali elementi tradizionali, non va dimenticato che nel caso in cui siano offerti anche dei servizi, si devono considerare anche altre variabili, quale il fattore umano (personale). Le scelte effettuate per ogni variabile del marketing mix devono risultare coerenti e integrate tra loro per garantire l’efficacia dell’azione di marketing.
Sviluppo di un piano di mktsociale Il prodotto Nel marketing sociale il prodotto è rappresentato principalmente da un’idea (ad es. il fumo fa male), offerta al fine di provocare un cambiamento comportamentale (ad es. smettere di fumare) e talvolta insieme ad un prodotto tangibile (ad es. una gomma da masticare alla nicotina) o a un servizio (ad es. gruppi di consulenza e aiuto per smettere di fumare). Legare un’idea a prodotti concreti e servizi consente di rendere l’offerta più tangibile e attraente agli occhi del target group che si vuole raggiungere. Esistono tre livelli che è utile definire in fase di progettazione del prodotto: il core product, l’actual product e l’augmented product Il cuore o anima del prodotto (core product) è costituito dai vantaggi che l’utenza desidera o si aspetta di avere in cambio dell’adozione del comportamento proposto nella campagna. Tali vantaggi dovranno essere promossi e costituire l’elemento centrale della campagna di marketing sociale. Oltre a considerare i benefici derivanti dall’adozione del comportamento presentato, andranno anche evidenziati i costi del comportamento in competizione (ad esempio smettere di fumare porta a migliorare le proprie prestazioni sportive, a respirare meglio – benefici associati al comportamento desiderato – ma anche a non spendere i soldi necessari all’acquisto delle sigarette – costo del comportamento alternativo – ). La proposta e l’importanza di rivedere la componente “prodotto” del marketing mix in termini di valore percepito dal cliente risale a Lauterborn (1990), che suggerì di ridefinire le “4P” del marketing mix in “4C” (Consumer Wants and Needs, Consumer Cost, Convenience, Communication), dove la prospettiva del cliente assume un ruolo centrale. Il prodotto reale (actual product) è il comportamento promosso, l’oggetto della comunicazione, ed è definito in maniera specifica (ad esempio in una campagna per la prevenzione delle malattie cardiovascolari, fare non meno di 30’ di moto al giorno). Tale comportamento è necessario per ottenere i benefici del core product, per questo, al fine di massimizzare la probabilità di successo della campagna di marketing sociale il comportamento reale deve essere visto come uno strumento che permetterà agli utenti di ottenere per loro stessi benefici di notevole valore percepito. Fanno parte del prodotto reale anche eventuali sponsor e slogan adottati per promuovere l’oggetto della campagna, i quali influenzano la credibilità del messaggio persuasivo, a sua volta funzione dell’esperienza, dell’affidabilità e della gradevolezza della fonte. Il prodotto esteso (augmented product) è l’insieme di tutti i beni tangibili e dei servizi che accompagnano il prodotto vero (ad esempio l’attivazione di una linea telefonica a sostegno di chi vuole smettere di fumare). Essi rappresentano fattori critici di successo per la campagna di marketing perché:
• a) favoriscono l’eliminazione di eventuali barriere all’adozione del comportamento desiderato (ad esempio attraverso mappe dettagliate del servizio di trasporti comunale in una campagna sulla mobilità sostenibile);
• b) sostengono l’adozione del comportamento nel lungo periodo (ad esempio attraverso un software per stimare i risultati attesi dell’attività fisica);
• c) promuovono un’immagine “vincente” delle persone che adottano il comportamento proposto;
• d) creano un marchio che si possa ricordare facilmente.
Sviluppo di un piano mkt sociale Il prezzo In ogni scambio di marketing il consumatore sa di dover pagare un prezzo per ottenere il prodotto, cioè ciò che viene offerto e i suoi benefici. Dal punto di vista del consumatore il prezzo è rappresentato sia dai costi monetari sia dai costi non economici e si identifica con l’insieme dei costi percepiti, cioè con qualsiasi tipo di risultato negativo che secondo il consumatore può derivare dallo scambio. Nel marketing sociale i costi non monetari hanno un’influenza predominante in quanto, solitamente, per l’adozione di un’idea o di un comportamento non viene richiesto un pagamento in denaro. È quindi importante per il successo della campagna di marketing sociale riuscire a minimizzare i costi percepiti, che costituiscono delle barriere all’azione. Secondo Kotler e Lee incentivi e controincentivi di tipo monetario e o psicologico agiscono su comportamento atteso, come utilizzare gli incentivi per aumentare o migliorare l’appetibilità del nostro core product o per ridurre i costi monetari/psicologici legati al comportamento atteso, e agiscono sui comportamenti alternativi come aumentare i costi monetari e/o psicologici dei comportamenti alternativi L’aumento e la riduzione di costi monetari è pratica frequente nel marketing tradizionale Nel marketing sociale è strategia molto comune ridurre o azzerare il prezzo degli augmented products realizzati Gemünden ha suggerito alcune modalità per ridurre il rischio percepito di andare incontro a perdite durante l’adozione del comportamento desiderato: 1) se il rischio percepito è psicologico è necessario sviluppare prodotti sociali che elargiscano ricompense psicologiche; 2) se il rischio percepito è di natura sociale o fisica è utile far sponsorizzare la campagna rispettivamente da enti prestigiosi e riconosciuti per il loro impegno sociale (ad esempio Greenpeace) o per la loro competenza medica (ad esempio l’Associazione Medici Dentisti Italiani); 3) se il rischio percepito riguarda l’utilizzo di un servizio o di un bene tangibile, la strategia migliore è fornire la possibilità di provare il bene/servizio stesso. Sviluppo di un piano mkt sociale L’acessibilità del prodotto(distribuzione) Nel marketing commerciale ci si riferisce generalmente ai canali di distribuzione del prodotto e/o al luogo in cui esso viene offerto. Nel marketing sociale essa può essere definita come “il luogo e il momento in cui il gruppo obiettivo metterà in atto il comportamento desiderato e riceverà eventuali oggetti tangibili e servizi ad esso associati” L’accessibilità del comportamento desiderato e dei prodotti/servizi ad esso collegati deve necessariamente essere considerata da chi progetta una campagna di marketing sociale. L’efficacia di tali campagne, infatti, è molto spesso limitata dalla difficoltà incontrata dagli utenti nel raggiungere fisicamente il luogo in cui agire il comportamento desiderato o in cui usufruire dei suoi “augmented products”. L’obiettivo è dunque quello di facilitare l’adozione del comportamento desiderato. Kotler e Lee (2008) hanno recentemente sviluppato un decalogo delle strategie per la distribuzione del prodotto sociale. -‐ Avvicinare la location. In una campagna sociale per la sensibilizzazione e la donazione del sangue, potrebbe essere utile predisporre dei laboratori medici mobili, che stazionino vicino a centri di aggregazione, dove poter effettuare almeno le analisi iniziali.
-‐ Estendere l’orario in cui l’utente designato può mettere in atto il comportamento desiderato o usufruire dei prodotti/servizi ad esso collegati. Tale strategia è alla base di tutte le linee telefoniche attivate per supportare le campagne di marketing sociale. -‐ Essere presenti al momento della decisione. Questa strategia è talvolta di difficile realizzazione, non è infatti possibile essere presenti ad esempio durante la scelta di un utente di bere bevande alcoliche piuttosto che analcoliche nel corso di una serata in discoteca. Si possono tuttavia predisporre degli accorgimenti, quali ad esempio la possibilità per gli utenti di effettuare un controllo del tasso alcolemico all’uscita della discoteca. -‐ Rendere la location più attraente. Un esempio classico e allo stesso tempo disatteso nel nostro Paese è la barriera all’utilizzo delle biciclette per gli spostamenti quotidiani dovuta all’assenza di una rete di piste ciclabili realmente attraente. Tali piste, per essere attraenti, dovrebbero il più possibile proporre percorsi brevi, interconnessi e distanti dal traffico automobilistico di massa. -‐ Superare le barriere psicologiche legate alla distribuzione. Spesso, tra le barriere più difficili da superare, vi sono anche la timidezza o la vergogna; aderire infatti ad una campagna di marketing sociale implica l’ammissione di aver avuto in passato comportamenti socialmente indesiderabili. Per tale motivo può essere utile predisporre un primo contatto impersonale, anonimo o riservato, come avviene ad esempio presso l’associazione “Alcolisti anonimi”. -‐ Essere più accessibili della concorrenza. Uno dei fattori che hanno guidato il successo delle iniziative di car-‐pooling negli Stati Uniti è stata la possibilità di utilizzare corsie e parcheggi riservati ad alto valore percepito. -‐ Rendere il comportamento concorrente più difficile. Un esempio concreto in proposito è rappresentato dalla decisione, tanto contestata quanto efficace, dello Stato di Washington (USA) di vietare il fumo nel raggio di 5 metri dall’ingresso di locali pubblici. A seguito di ciò, si è rilevato nel 2005 che nello Stato di Washington fumava solo il 17,6% della popolazione, uno dei tassi più bassi degli USA. -‐ Essere presenti dove gli utenti target fanno compere o si ritrovano. Ad esempio, campagne di sensibilizzazione sugli effetti dannosi del fumo potrebbero essere utilmente collocate nei centri commerciali, nei cinema, nei bar e nei centri di aggregazione giovanili quali gli oratori o le piazze cittadine. -‐ Integrarsi con i canali di distribuzione esistenti. Ad esempio, per attività educative che riguardano i giovani è particolarmente opportuno coordinarsi con i “canali di distribuzione” educativa più efficaci, dunque la scuola e la famiglia. Una recente campagna per la prevenzione degli incidenti stradali e la promozione della sicurezza alla guida ha utilizzato la scuola come canale distributivo di numerosi cd-‐rom multimediali che informano sui principali motivi alla base dell’incidentalità stradale.
Sviluppo di un piano mkt sociale La Promozione Nel marketing sociale le attività di comunicazione svolgono un ruolo predominante in quanto l’obiettivo delle campagne consiste inizialmente nel diffondere informazione e nel sensibilizzare gli individui su di un problema sociale specifico, in modo da creare i presupposti necessari per la modifica di idee e comportamenti. Le azioni di promozione sono quindi comunicazioni persuasive finalizzate a motivare l’utenza designata all’azione. Gli elementi da considerare in questa fase dello sviluppo del piano di marketing sono quelli tipici della comunicazione persuasiva: la fonte, il contenuto del messaggio, i canali di comunicazione. Le fonti del messaggio persuasivo possono essere diverse e complementari: sponsor, partner, testimonial. Le fonti del messaggio persuasivo Lo sponsor: Può essere un’organizzazione non profit (come ad es. il Corpo dei Vigili del Fuoco che sponsorizza una campagna per la prevenzione degli incendi boschivi). Può essere un’organizzazione a scopo di lucro (ad es. la campagna “ENI 30%” che nel 2007 ha promosso 24 consigli per ridurre il consumo domestico di energia fino al 30%). Lo sponsor è spesso utilizzato per fornire credibilità al messaggio. Il partner: Spesso presentato attraverso la formula “in collaborazione con ...”, viene considerato dall’utente come uno degli “autori” della campagna e sembra avere un coinvolgimento maggiore nell’iniziativa rispetto allo sponsor. Il Testimonial: Conferisce al comportamento promosso prestigio, carisma, potere e o fascino. Il contenuto del messaggio persuasivo Serve a definire: 1) cosa devono fare gli utenti (definire con precisione i comportamenti da mettere in atto); 2) cosa devono sapere gli utenti (ad esempio, diffondere dati statistici relativi al comportamento promosso); 3) in cosa devono credere gli utenti (relativo al cambiamento delle credenze, è un obiettivo molto ambizioso) Il messaggio può far leva su contenuti razionali o su contenuti emotivi. La scelta di un messaggio di tipo emotivo piuttosto che razionale rimanda alla questione sull’efficacia di tali comunicazioni, in particolare degli annunci che utilizzano l’umorismo e soprattutto quelli che cercano di indurre sentimenti di paura e di ansia (fear appeals).
Controllo e valutazione del piano di mkt sociale Permette di verificare l’efficacia ed efficienza del piano di marketing. È importante monitorare in corso d’opera lo svolgimento del piano di marketing per riuscire a modificare, qualora necessario, gli elementi che non si dimostrino efficaci rispetto al piano stesso, impedendo che i risultati si sviluppino secondo linee non desiderate. A conclusione dell’intervento è senz’altro utile valutare in che misura si è raggiunto ciò che ci si era prefissato e se si è riusciti a raggiungere gli obiettivi relativi al cambiamento di conoscenze, atteggiamenti, comportamenti e valori. Vi sono due principali momenti di controllo e valutazione: 1) monitoraggio → durante lo svolgimento del piano di marketing, al fine di verificare l’andamento del programma stesso, ovvero ciò che può essere migliorato e corretto; 2) valutazione → alla fine del programma, che rappresenta il momento in cui vengono compresi i risultati che si sono ottenuti e il raggiungimento, o meno, degli obiettivi prefissati. A volte, preliminarmente a tali momenti, può essere prevista un’ulteriore occasione di valutazione, definita pre-‐test o test di mercato su scala ridotta. Essa dà vita ad un programma che costituisce una sorta di anticipazione di quello vero e proprio, che poi verrà realizzato eliminando le azioni emerse in questa fase come meno efficaci. Il piano di valutazione e controllo richiede un’attenta riflessione in merito a 5 principali aspetti: 1) scopodellamisurazione; 2) oggettodellamisurazione; 3) strumenti per la misurazione; 4) momenti per la misurazione; 5) costidellamisurazione. La misurazione può essere finalizzata a valutare il conseguimento degli obiettivi, a suggerire eventuali misure correttive nella strategie del marketing mix, ad aumentare i finanziamenti, ad allocare le priorità in modo più efficace, a suggerire lo sviluppo di un piano di miglioramento delle componenti deboli ma importanti, a migliorare progetti futuri. Oggetto della misurazione sono anche l’impatto della comunicazione e l’analisi dei costi e dei profitti ottenuti dalla campagna. Ci sono diverse misurazioni: Misure dei risultati a breve termine: si propongono di valutare se siano stati raggiunti o meno obiettivi volti al cambiamento affettivo, cognitivo, al cambiamento di atteggiamenti o delle intenzioni comportamentali. Misure dei risultati a lungo termine: si propongono di valutare il cambiamento a livello comportamentale, valoriale, sociale, nonché rispetto alla soddisfazione del consumatore. Misure di impatto: misurano i risultati osservabili essenzialmente nel lungo periodo e costituiscono la categoria di misurazioni maggiormente costosa ed impegnativa anche sul piano metodologico. Tali misure richiedono un attento controllo delle variabili che potrebbero contribuire alla risoluzione del problema sociale. Cruciale appare infatti riuscire a definire in quale misura i cambiamenti riscontrati possano essere stati determinati dal piano di marketing sociale realizzato o piuttosto da altri fattori esterni legati all’azione di forze ambientali o ad altri attori sociali Le tecniche di cui ci si può avvalere sono diverse e spesso, per il controllo dei risultati, vengono utilizzate in combinazione. Queste possono essere ricondotte a metodi qualitativi – focus group, colloqui, interviste non strutturate, osservazione –, a metodi quantitativi – questionari auto e/o etero somministrati, interviste strutturate, interviste telefoniche – e possono prevedere l’utilizzo di gruppi di controllo. Nelle campagne di marketing sociale la fase del controllo/monitoraggio è generalmente più difficile rispetto a quella attuata nel marketing commerciale, dato che più complessa è la definizione dei criteri di misurazione efficaci o di obiettivi esprimibili in termini quantitativi
Un piano di mkt sociale per eliminare lo stigma associato alla malattia mentale: influenzare gli attori politici Questo progetto è stato sviluppato e finanziato nel 2006 dallo Stato di Washington, in materia di salute mentale. Tale sezione si focalizza sulle modalità con cui influenzare gli attori politici a portare avanti gli obiettivi del progetto. Lo scopo dell’iniziativa è quello di ridurre lo stigma che accompagna la malattia mentale e le barriere che essa crea in ambito lavorativo, familiare, all’interno del sistema di assistenza sanitario e nella comunità in generale. Il focus è posto sul tentativo di incrementare la consapevolezza che le persone che hanno avuto esperienza di una malattia mentale possono “guarire” e vivere una vita appagante e produttiva. Analisi della situazione SWOT Analysis. -‐ Strenghts (punti di forza): diffusione di iniziative che affrontano la tematica a più livelli, recenti interventi legislativi volti a favorire l’equità di trattamento tra tutti i cittadini ed incremento nell’erogazione di fondi in materia di salute mentale. -‐ Weaknesses (punti di debolezza): budget limitato, scarso consenso rispetto all’utilizzo del marketing sociale per questa tipologia di progetti. -‐ Opportunities (opportunità): possibilità di accedere a dei fondi, approvazione del progetto da parte del Governatore dello Stato in cui è stata promossa l’iniziativa, curiosità del mondo politico sull’iniziativa. -‐ Threats (Minacce): tempi limitati, presenza di progetti/staff concorrenti, scetticismo sul fatto che il marketing possa essere un metodo legittimo per promuovere il cambiamento sociale. Questa iniziativa è stata costruita sulla base del modello teorico di riferimento di Patrick Corrigan, professore di Psichiatria alla Northwestern University, le cui ricerche suggeriscono un modello di cambiamento dello stigma target-‐specifico, in cui vengono identificati ed influenzati i gruppi che hanno il potere di modificare lo stigma e di promuovere un cambiamento in positivo. Infatti, questa sezione si rivolge agli attori politici, uno dei gruppi più influenti coinvolti nel progetto (l’intero piano di marketing include altre sezioni che sono rivolte sia ai fruitori che agli operatori del servizio di salute mentale). Il profilo del mercato obiettivo I Legislatori dello Stato responsabili delle politiche sociali e dei fondi da utilizzare per l’iniziativa. I funzionari delle Agenzie di Stato che fissano le regole per i rimborsi relativi ai tipi di servizi coperti dai finanziamenti. I funzionari locali responsabili delle politiche locali e dell’allocazione dei fondi a chi fornisce servizi a livello regionale. Obiettivi e scopi della campagna di mkt Con questo progetto si vuole influenzare i politici a:
• promulgare leggi che vadano nella direzione del recupero sociale e del cambiamento del modello esistente di salute mentale;
• assegnare fondi già esistenti come risorse finalizzate ad una riabilitazione di persone con disturbi mentali che comporti un minor bisogno di interventi di crisi;
• interpretare, secondo una visione orientata alla riabilitazione, le regolamentazioni che riguardano persone affette da problemi mentali;
• assicurare finanziamenti adeguati per lo sviluppo di servizi di salute mentale orientati alla riabilitazione;
• sostenere le opportunità d’inserimento lavorativo dei fruitori dei servizi di salute mentale.
Obiettivi: • eliminare linguaggi e visioni “stigmatizzanti” e sostituirli con linguaggi e percorsi
che, al contrario, favoriscano il recupero e il reinserimento di tali soggetti; • fissare almeno 4 incontri con i politici locali per discutere del progetto; • fissare almeno 6 incontri con i Legislatori di Stato e almeno 5 incontri con i Funzionari
delle Agenzie di Stato con la stessa finalità; • incrementare la consapevolezza che le persone che hanno avuto esperienza di una
malattia mentale possono “guarire” e vivere una vita appagante nella comunità. Barriere del mercato obiettivo, benefici e concorrenza Barriere: Le barriere principali percepite nei confronti dei comportamenti desiderati comprendono: a) la mancanza di conoscenza sulle malattie mentali e su ciò che riguarda i fondi/risorse disponibili per finanziare programmi e attività che promuovano il recupero di chi è affetto da disturbo mentale; b) l’erronea credenza che le persone con disturbi mentali costituiscano per la comunità una fonte maggiore di pericolo rispetto alle persone che non hanno tali disturbi. Fattori motivanti: storie “di successo” di persone che si sono riprese completamente da tali disturbi e la prova che il modello riabilitativo funziona ed è un modo efficiente di spendere i soldi delle tasse. Comportamenti concorrenti: la paura diffusa e gli stereotipi che portano a privilegiare gli interventi di crisi/d’urgenza rispetto ai programmi orientati alla riabilitazione Posizionamento Il piano di marketing si propone di veicolare, attraverso la costituzione di un centro per operatori ed utenti dei servizi di salute mentale, opportune informazioni sulla riabilitazione, sulle modalità di riduzione dello stigma associato alla malattia mentale, nonché dare testimonianza dell’esistenza di storie di successo. Si propone dunque di associare al progetto il valore di uguaglianza volto a favorire la pari opportunità, nell’inserimento nella vita della comunità, delle persone che hanno avuto dei disturbi mentali. Strategie di mkt mix 7.1) Prodotto
• -‐ Core product: incrementare la conoscenza sul tema della malattia mentale e sul Progetto di cambiamento della salute pubblica dello Stato di Washington.
• -‐ Actual product: adottare i migliori modelli di riabilitazione e promuovere la raccolta di fondi a favore dei servizi orientati al recupero/riabilitazione ed alla condivisione di esperienze tra persone accomunate dallo stesso problema.
• -‐ Augmented product: incontri e testimonianze che mettano in evidenza l’esistenza di storie di successo e l’efficacia del modello di riabilitazione adottato nel progetto; opuscoli informativi sugli sforzi in atto nello Stato di Washington per modificare il modello di salute mentale.
7.2) Prezzo Incontri ed opuscoli saranno gratuiti. Riconoscimenti e premi onoreranno le figure politiche che contribuiranno alla riabilitazione ed alla riduzione degli stereotipi sui disturbi mentali.
7.3) Distribuzione Gli incontri saranno programmati su tutto il territorio dello Stato in luoghi ed orari che siano convenienti per gli attori politici. Si prevede, inoltre, la stesura congiunta da parte degli operatori e degli utenti del centro di salute mentale di opuscoli che costituiscano per i politici fonte credibile di informazione sulla malattia mentale, sulla resilienza e sullo stigma e che diano evidenza empirica relativamente al fatto che i modelli di recupero funzionano, possono essere economici e sono un buon investimento. Tali opuscoli saranno disponibili su Internet. Inoltre, dei libricini sulle finalità del progetto saranno spediti per posta individualmente ai politici e saranno, inoltre, a disposizione di tutti coloro che parteciperanno agli incontri. 7.4) Promozione Gli incontri saranno sponsorizzati tramite newsletter. Un’agenzia di informazione si occuperà di sponsorizzare i riconoscimenti ed i premi previsti per i politici e di condurre degli incontri a livello editoriale al fine di discutere sulla trasformazione del modello di salute pubblica. Il ruolo dei media sarà quello di ridurre la paura della comunità per la malattia mentale e di instillare la fiducia nelle possibilità di riabilitazione. Piano di controllo Scopi e destinatari della valutazione: i destinatari sono principalmente gli attori politici. Il centro di salute mentale sviluppato, in particolare, dovrà misurare i cambiamenti nelle conoscenze riguardo la salute mentale e le possibilità di riabilitazione, riguardo la consapevolezza che le persone affette da disturbi possono vivere pienamente nella comunità; misurerà anche la disponibilità dei politici nel modificare le regolamentazioni e i finanziamenti da destinare ai servizi di riabilitazione. Il team di marketing utilizzerà i risultati di queste misurazioni per determinare le linee di continuità, di miglioramento e di espansione delle strategie messe in atto dal centro e dagli attori politici. Output measures: comprendono il numero degli incontri svolti con i politici, il numero di opuscoli distribuiti, il numero di incontri editoriali svolti, il numero di articoli ed editoriali stampati, le storie di successo messe in onda dai media. Piano di valutazione Misure relative al risultato riguardano altresì il numero degli attori politici partecipanti agli incontri, le visite al sito web che sponsorizza il progetto, l’incremento nella conoscenza delle malattie mentali, del progetto dello Stato di Washington e la diminuzione degli atteggiamenti e delle credenze stereotipici dei politici partecipanti agli incontri. Come e quando misurare: -‐ si valuterà gli aspetti legati alla conoscenza tramite questionari da distribuire prima e dopo gli incontri ai partecipanti del mondo della politica; -‐ si rileverà la presenza di eventuali cambiamenti nelle politiche, nelle regolamentazioni e nei fondi relativi alla salute mentale; -‐ i media monitoreranno il numero di lettere mandate agli editori sul progetto, la diminuzione o meno delle rappresentazioni stereotipiche negli articoli scritti, la presentazione di articoli di giornale riguardanti la riabilitazione, e la diffusione da parte dei media delle notizie riguardanti l’assegnazione di riconoscimenti ai politici che si sono impegnati nel progetto.
La responsabilità Sociale d’impresa Bowen la definisce come: «La responsabilità delle Imprese si riferisce all’obbligo per gli imprenditori, dirigenti e quadri di perseguire quelle politiche, di prendere quelle decisioni, o di seguire quelle linee d’azione che sono desiderabili in funzione degli obiettivi e dei valori della nostra società.» Carroll aggiunge «La Responsabilità Sociale delle Imprese comprende le aspettative economiche, giuridiche, etiche e discrezionali che la società ha nei confronti delle organizzazioni in un dato momento storico.» Questo modello valuta la responsabilità sociale dal punto di vista del comportamento globale delle imprese, tentando di bilanciare obiettivi di tipo economico ed obiettivi sociali. La commissione Europea la definisce come: «La Responsabilità Sociale delle Imprese è l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali ed ecologiche nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate. Essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo ‘di più’ nel capitale umano, nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate.» La Commissione Europea propone un nuova definizione di CSR, intesa come ‘responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società’. «Il rispetto della legislazione applicabile e dei contratti collettivi tra le parti sociali rappresenta un presupposto necessario per far fronte a tale responsabilità. Per soddisfare pienamente la loro responsabilità sociale, le imprese devono avere in atto un processo per integrare le questioni sociali, ambientali, etiche, i diritti umani e le sollecitazioni dei consumatori nelle loro operazioni commerciali e nella loro strategia di base in stretta collaborazione con i rispettivi interlocutori». STAKEHOLDER Freeman definisce stakeholder «qualsiasi gruppo o individuo che può influenzare o è influenzato dal raggiungimento degli obbiettivi dell’organizzazione». Anche i concorrenti possono essere considerati parti interessati, per la loro capacità di influenzare l’impresa e i suoi stakeholder. Un esempio pratico Anche nel contratto collettivo del settore bancario, sin dal rinnovo del 2005, è possibile trovare importanti riferimenti a tali problematiche. In un apposito capitolo viene infatti chiarito che «Le parti individuano come valori condivisi la tutela della salute, della sicurezza e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori sui luoghi di lavoro, il rispetto dell’ambiente, e concordano sulla necessità di consolidare e diffondere comportamenti e applicazioni consapevoli e coerenti». «non tutte le aziende possono costruire interamente la propria proposta di valore sulle questioni sociali [...] ma l’aggiunta di una dimensione sociale alla proposta di valore offre una nuova frontiera nel posizionamento competitivo». Risulta assai limitante e non coglie del tutto la portata innovativa della filosofia della responsabilità sociale d’impresa.
Responsabilità sociale D’impresa Cenni storici A partire dalla seconda metà degli anni ’90, le Nazioni Unite hanno invitato le grandi imprese e le organizzazioni produttive a definire accordi commerciali che contemplino e tutelino i diritti umani di base, quelli dei lavoratori ed il rispetto dell’ambiente. Tutto ciò per perseguire non solo la creazione di una piattaforma contrattuale equa ed ecologica, ma anche l’avvento di un preciso impegno verso il mondo. L’espressione impiegata per definire tali aspetti è Responsabilità Sociale d’Impresa. In termini generali, si può dire “che un’impresa è socialmente responsabile quando, consapevole dell’influenza che esercita nella società, se ne fa carico concretamente e adotta comportamenti che rispondono alle aspettative di rispetto dell’ambiente, di sicurezza e di miglior qualità di vita dei lavoratori, dei consumatori e della società” La responsabilità sociale sta diventando un tema di grande attualità, ma anche e soprattutto una sfida per le imprese in quanto, far proprio volontariamente questo approccio, significa incidere in profondità sull’insieme dei modelli di gestione dell’impresa, significa cioè adottare un nuovo paradigma di corporate governance in cui diventano centrali il rapporto con gli stakeholder e i principi del miglioramento continuo e dell’innovazione gestiti con regole, presidi e garanzie precise. RSI evoluzione storica del concetto Il concetto di responsabilità sociale risale ai primi decenni del XX secolo quando negli USA, per effetto del governo Roosvelt, si sviluppa un rinnovato fervore verso i problemi sociali. All’individualismo economico che aveva caratterizzato la fine dell’800 subentra un maggior senso della collettività e la constatazione di un’inscindibile interdipendenza fra l’impresa e l’ambiente sociale in cui essa opera. Già negli anni ’20, i manager delle prime grandi corporation americane -‐ General Electric in testa – si rendono conto di condizionare con le loro azioni e decisioni non solo la vita dei loro azionisti, ma anche quella dei loro dipendenti, dei loro clienti e della società più in generale. Nel 1947 questa consapevolezza si traduce nel primo codice etico d’impresa. È il “Credo” con cui Johnson & Johnson sintetizza la propria filosofia di gruppo affermando esplicitamente di avere precise responsabilità verso tutti i propri interlocutori: dagli azionisti ai medici, dalle infermiere ai pazienti, ai clienti, ai dipendenti, fino alla comunità in generale. Negli anni ’70 i discorsi sull’etica e sulla responsabilità sociale d’impresa si moltiplicano, non solo a seguito di una serie di scandali che coinvolgono diverse grandi aziende statunitensi, ma anche ad opera di alcuni movimenti sociali che iniziano a battersi per la tutela dei consumatori, per la difesa dell’ambiente, per la sicurezza sul posto di lavoro. Negli stessi anni (1979) Carrol elabora la piramide della Corporate Social Responsibility, in base alla quale la responsabilità sociale d’impresa si realizza, in ordine di priorità, prima a livello economico, poi a livello legale in termini di conformità alla legge, quindi in termini etici legati alla conformità ai valori e alle norme sociali e, infine, in termini di volontarismo e attività filantropiche che implicano investimenti discrezionali a favore della collettività. Negli anni ’70 nasce anche il concetto di Social Responsiveness, che rappresenta un’interpretazione avanzata della responsabilità sociale in base alla quale l’impresa non solo agisce nel senso auspicato dalla società, ma anticipa addirittura le istanze sociali incorporandole nella propria strategia d’impresa. Negli anni ’80 gli studi in materia si moltiplicano e nasce la Stakeholder Theory, elemento fondante delle attuali strategie di gestione e di comunicazione della responsabilità sociale. A fornire una definizione condivisa di stakeholder è Freeman che li definisce “individui o
gruppi di individui che sono influenzati o che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi di impresa”, distinguendoli in stakeholder primari (azionisti, dipendenti, clienti e fornitori) e stakeholder secondari (mass media, movimenti d’opinione e di difesa del cittadino, gruppi sociali, associazioni locali), in funzione dell’indispensabilità o meno del loro apporto alla sopravvivenza dell’impresa. È a partire dagli anni ’90 che dai modelli teorici si passa ai comportamenti pratici con il moltiplicarsi dei codici etici non solo nelle imprese degli USA, ma verso il finire del decennio, anche in quelle italiane: nel 1998 le Ferrovie dello Stato pubblicano il loro primo codice etico. Nel 2000 il segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan vara il Global Compact, un Codice di comportamento basato su 9 principi cui aderiscono le maggiori imprese multinazionali che si impegnano formalmente a diffondere i valori della responsabilità sociale d’impresa in tutti i Paesi del mondo. La Corporate Social Responsibility trova terreno fertile in Europa. Nel 2001 l’Unione Europea pubblica il Libro Verde Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese e lancia una vasta campagna di sensibilizzazione volta a promuovere l’integrazione volontaria della responsabilità sociale nella gestione strategica delle imprese. Modelli aziendali di Responsabilità sociale e implicazioni sulla comunicazione d’impresa Per comprendere meglio l’impatto della responsabilità sociale sulle strategie di comunicazione dell’impresa abbiamo ricondotto a tre i numerosi modelli interpretativi offerti dalla letteratura. Ognuno dei tre modelli aziendali coincide con un diverso e più evoluto modo di considerare l’impegno sociale delle imprese ed ognuno di essi ha implicazioni di comunicazione diverse. Il modello liberistico: Modello basato sugli stakeholder in cui l’impegno sociale ulteriore (che va cioè oltre il dettame di legge) non è connesso alla missione d’impresa, anche se può contribuire in maniera significativa alla sua immagine. Secondo questo approccio la responsabilità sociale dell’impresa è di incrementare il profitto. Questo approccio può anche essere interpretato nei termini per cui le imprese dovrebbero impegnarsi nel sociale solamente a condizione che ciò contribuisca alla finalità primaria dell’impresa, che è quella di creare valore nel lungo periodo per i suoi azionisti. In questo modello, tipico della cultura anglosassone, la comunicazione si esplicita soprattutto in progetti di mecenatismo e filantropia posti in essere da Fondazioni d’Impresa. È il modello classico del grande mecenatismo americano che oggi conta nuovi protagonisti, tra cui Bill e Melinda Gates, co-‐fondatori di Microsoft e della omonima Fondazione che da sola ogni anno eroga a scopo benefico diversi milioni di dollari. Il Modello Duale: È il modello basato sulla teoria degli stakeholder, in cui il successo dell’impresa si gioca a due livelli: quello del profitto economico e quello del successo sociale. La responsabilità sociale è vista come integrazione necessaria al risultato economico. La comunicazione della responsabilità sociale, in questo modello, si esprime nello sviluppo di relazioni sistematiche di medio-‐lungo periodo fra l’impresa e i suoi stakeholder interni ed esterni finalizzate allo sviluppo di legittimità, reputazione e fiducia. Tale prospettiva è quella attualmente dominante. Il Modello della “cittadinanza sociale”: Prevede che le imprese siano responsabili verso le società di cui fanno parte. Le aziende operano grazie ad una legittimazione pubblica al fine di perseguire in modo costruttivo i bisogni della società.
In questo modello l’impegno sociale è inseparabile dal modo di fare impresa e la responsabilità sociale diventa la modalità per esercitare il ruolo di ente intermedio in una prospettiva di sussidiarietà. Comunicazione, reputazione e fiducia: elementi essenziali dei processi di responsabilità sociale In tutte le imprese la comunicazione gioca un ruolo cruciale. La comunicazione è una fase fondamentale del processo di responsabilità sociale perché: -‐ apre canali stabili e duraturi di relazione con gli interlocutori interessati all’impresa, cioè gli stakeholder; -‐ massimizza i vantaggi derivanti dall’adozione di strategie e comportamenti socialmente responsabili per costruire rapporti fiduciari e durevoli con gli stakeholder; -‐ crea reputazione. La reputazione è qualcosa di differente dall’immagine e di molto complesso da costruire. L’immagine è legata alla capacità dell’impresa di gestire nel breve termine le impressioni dei suoi interlocutori, mentre la reputazione è qualcosa di radicato nel modo di agire dell’impresa ed è parte integrante della sua identità. La reputazione è la percezione di affidabilità che un’impresa si è creata e si guadagna solo con il persistere nel tempo di comportamenti etici: la reputazione, quindi, passa sempre attraverso un processo di responsabilità sociale ed è un fenomeno che può essere letto solo nel lungo periodo e solo attraverso processi di comunicazione coerenti. Sviluppando una reputazione positiva le imprese creano fiducia. La fiducia, a sua volta, rappresenta la risorsa principale per la gestione di relazioni collaborative tra gli stakeholder. Reputazione, fiducia e comunicazione, insieme, consentono all’impresa di conquistare vantaggi concreti ad almeno tre livelli: 1) quello dei comportamenti d’acquisto; 2) quello delle decisioni di investimento; 3) quello della fedeltà dei propri collaboratori. 1) Comportamenti e decisioni d’acquisto: reputazione, fiducia e comunicazione irrobustiscono la preferenza e la fedeltà dei consumatori per una marca. Un’indagine del Censis condotta nel 2003, ad esempio, ha rilevato che più della metà degli italiani sarebbe disposta a pagare di più per acquistare prodotti/servizi di aziende che adottano sistemi di produzione che non danneggiano l’ambiente e la salute dei consumatori o che si sono distinte per il loro impegno in campo sociale o per l’attenzione nei confronti delle condizioni di lavoro dei dipendenti. Il consumatore responsabile può dunque premiare le aziende etiche con il suo comportamento d’acquisto solo a patto che ne sia consapevole, cioè che questa eticità gli venga comunicata in modo chiaro e trasparente attraverso un’adeguata comunicazione. 2) Mercato dei capitali e decisioni d’investimento: come vi sono consumatori (il 45% secondo una ricerca condotta da Astra Demoskopea) che si dichiarano disposti a pagare anche di più per un prodotto socio-‐eco compatibile, così vi sono risparmiatori assai favorevoli ad investimenti socialmente responsabili, cioè ad acquistare titoli di aziende che rispettano l’ambiente, la salute, la dignità delle persone e, soprattutto, dei risparmiatori. 3) Fedeltà e performance aziendale: la teoria dell’identità sociale afferma che l’autostima dell’individuo è condizionata dall’immagine e dalla reputazione del gruppo/organizzazione di cui fa parte. I collaboratori di un’impresa si sentono quindi più gratificati e motivati se appartengono ad un’organizzazione con un’elevata legittimazione sociale, come rileva il Corporate Social Responsibility Monitor 2003 di Eurisko. Anche in
questo caso è chiaro che i comportamenti socialmente responsabili dell’impresa devono essere comunicati ai dipendenti attuali perché questi ne possano trarre motivazione e ai dipendenti potenziali perché questi possano essere attratti dall’impresa. Un paradigma per la comunicazione d’impresa Nel paradigma classico che attribuisce all’impresa solo la responsabilità di produrre valore economico, la comunicazione si muove dentro il territorio dell’immagine, cioè del modo in cui l’impresa è percepita dal pubblico dei consumatori e dei clienti dai quali l’impresa cerca di essere apprezzata per i suoi asset tangibili di prodotto ed intangibili di marca. Quando invece la responsabilità dell’impresa non è più solo economica, ma diventa anche sociale, la comunicazione esce dal territorio dell’immagine e del rapporto esclusivo azienda-‐ mercato ed entra nel territorio più complesso del rapporto impresa-‐società e quindi delle relazioni con tutti coloro che sono interessati all’impresa e dai quali l’impresa cerca di essere apprezzata per la sua capacità di rispondere alle attese etico-‐ sociali-‐ambientali. Nello scenario appena descritto la comunicazione e i processi di comunicazione assumono caratteristiche del tutto peculiari: a) Valori come radici. “In ogni iniziativa industriale non c’è valore del successo economico se non c’è anche impegno nel progresso sociale”: con questo spirito Merloni, esempio eccellente di responsabilità sociale, sviluppa una comunicazione coerente all’interno e all’esterno ispirata ai valori di innovazione, competitività, anticipazione dei bisogni, attenzione e rispetto delle persone e dell’ambiente. I valori che ispirano l’orientamento strategico di responsabilità sociale costituiscono la più importante fonte d’identificazione all’interno dell’impresa e la prima fonte di legittimazione esterna. La tesi che sostiene che valori-‐guida eticamente fondati debbano essere il riferimento per tutte le iniziative di comunicazione d’impresa, quindi, trova piena conferma quando si parla di responsabilità sociale d’impresa. b) Comunicazione simmetrica e ascolto. La comunicazione relativa alla responsabilità sociale d’impresa è sempre una comunicazione a due vie, un dialogo costante tra l’impresa e i suoi stakeholder in funzione della necessità di contemperare i diversi interessi. È una comunicazione fortemente simmetrica, centrata sull’ascolto continuo delle attese degli stakeholder -‐ che si realizza attraverso l’analisi e la ricerca sociale -‐ finalizzato ad ottenere un posizionamento dinamico dell’impresa rispetto a queste attese. L’ascolto degli stakeholder e la gestione di un dialogo costante con questi è parte integrante del processo di comunicazione della responsabilità sociale. c) Approccio sistemico. La comunicazione di responsabilità sociale è un processo che coinvolge tutti gli stakeholder d’impresa. Con gli stakeholder l’organizzazione instaura relazioni simmetriche a due vie tenendo conto del fatto che, in molti casi, si tratta di soggetti interessati ad una relazione non effimera. d) Dalle promesse ai comportamenti concreti. Comunicare la responsabilità sociale d’impresa non significa fare dichiarazioni velleitarie né creare aspettative che potrebbero anche andare deluse. Significa invece divulgare i comportamenti effettivamente messi in atto dall’impresa a vantaggio dei propri stakeholder, della società e dell’ambiente. In altre parole, dietro la comunicazione ci devono essere programmi e progetti sociali concreti e la comunicazione di tali progetti e programmi deve essere sostenuta da precisi indicatori che permettano di misurarne l’efficacia. e) Dal target agli stakeholder. Quando si entra nel territorio della responsabilità sociale si abbandona il concetto di target e si adotta il concetto di stakeholder. La domanda cruciale che si pone chi si occupa di comunicazione riguarda come e con quali stakeholder si deve
relazionare l’impresa; è infatti irrealistico pensare che un’impresa possa relazionarsi con tutti i portatori d’interesse, a qualsiasi titolo e nello stesso modo. Abbiamo già visto come la letteratura di management offre una classificazione che distingue tra stakeholder primari e secondari in funzione del tipo di rapporto che li lega all’impresa. Esiste tuttavia una seconda classificazione di stakeholder più utile per chi poi deve concretamente relazionarsi e comunicare con questi. Secondo questo approccio bisogna innanzitutto distinguere tra influenti e stakeholder. Sono influenti tutti gli individui e i gruppi che consapevolmente o inconsapevolmente possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa; sono invece definiti stakeholder tutti i soggetti consapevoli di avere un diritto ad interloquire con l’impresa (dirigenti, dipendenti, azionisti, principali fornitori, istituzioni, media di riferimento, sindacati, distributori, ...) Vengono quindi identificati tre livelli di stakeholder:
• 1) Stakeholder influenti. Sono quei soggetti che si considerano rilevanti per l’impresa e che l’impresa riconosce come tali, capaci cioè di influire direttamente sul raggiungimento dei suoi obiettivi ritardandoli o accelerandoli (ad esempio i dipendenti). Nei loro confronti per l’impresa sarà funzionale aprire una relazione diretta e gestita con un modello comunicativo molto simmetrico ed essenziale.
• 2) Stakeholder non riconosciuti. Soggetti che consapevolmente si considerano portatori d’interesse verso l’impresa ma che non vengono considerati tali dall’organizzazione ed ai quali, quindi, l’organizzazione non riconosce, o non riconosce ancora, un titolo ad interloquire (ad esempio gli ambientalisti negli anni ‘70). Nei loro confronti sarà necessario avviare una fase di analisi e valutazione del loro peso, della loro influenza e delle variabili che condizionano l’apertura di una relazione con l’impresa.
• 3) Influenti non stakeholder. Soggetti non consapevoli e non verosimilmente interessati ad interloquire con l’organizzazione, che tuttavia l’impresa considera rilevanti ai propri fini e con i quali decide di aprire un sistema di relazione. Nei loro confronti sarà opportuno adottare modelli comunicativi molto coinvolgenti, che attirino la loro attenzione e che li persuadano a diventare stakeholder.
f) Il confine più delicato. Vi sono ancora molte imprese italiane, anche di grandi dimensioni, che promuovono moltissime attività sociali senza tuttavia comunicarle, nella convinzione che investire per comunicare il proprio impegno nel sociale possa essere sbagliato se non addirittura poco etico. A fronte di queste convinzioni sono sempre più numerosi coloro che pensano che questa riservatezza non solo non sia un vantaggio, ma che addirittura sminuisca il valore delle comunicazioni poste in atto. Per altri, addirittura, comunicare ciò che si fa è un imperativo irrinunciabile della cittadinanza d’impresa. Se dunque investire per comunicare il proprio impegno sociale è un dovere per l’impresa, resta da definire l’entità di tale investimento: esiste un delicato equilibrio tra la rappresentazione completa delle iniziative sociali e l’utilizzo di tali iniziative a fini pubblicitari. È proprio nella ricerca di questo delicato confine che sta una delle principali sfide dei comunicatori d’impresa. g) Dall’output all’outcome. Nel paradigma classico della comunicazione la misurazione dei risultati è legata principalmente al concetto di output e si riferisce al prodotto finale di determinate azioni comunicative e quindi all’impatto quantitativo generato (numero dei contatti, numero e valore degli articoli pubblicati, ...). Nel paradigma della comunicazione sociale la misurazione degli output non è più sufficiente. Occorre saper valutare anche gli outcome, cioè gli effetti indiretti dell’attività di comunicazione e quindi l’impatto qualitativo in termini, ad esempio, di efficacia e di utilità. La valutazione degli output può
prescindere dal coinvolgimento degli stakeholder di riferimento; la valutazione degli outcome, invece, comporta in ogni caso il loro coinvolgimento attraverso interviste, questionari, sondaggi di opinione, ecc... Richiede inoltre di fissare obiettivi specifici ed indicatori ad hoc per ciascuna categoria di stakeholder riconosciuta dall’impresa come tale e ritenuta influente. Governare le relazioni con gli stake holder: metodologia operativa Richiedendo un attento governo dei sistemi di relazione dell’impresa considerata nella sua globalità, la responsabilità sociale pone in primo piano la funzione di relazioni pubbliche cui compete tale governo, che si concretizza nel: -‐ tenere sotto controllo le dinamiche dei sistemi di relazione tra l’organizzazione e i suoi stakeholder, adottando metodologie di rilevazione periodica che permettano di valutare le performance relazionali rispetto agli obiettivi perseguiti dall’impresa; -‐ coordinare e gestire tutti i sistemi di relazione e le attività di comunicazione con gli stakeholder dell’impresa. Gli studiosi di relazioni pubbliche hanno individuato una metodologia operativa che consente di razionalizzare le diverse fasi in cui si articola il governo delle relazioni con gli stakeholder. La metodologia, denominata Gorel, riprende un modello elaborato da James Gruning, docente di relazioni pubbliche all’Università del Maryland, e si articola in 10 fasi. LA METODOLOGIA GOREL: 1) Visioning. Consiste nell’identificazione delle finalità che stanno alla base dell’esistenza di un’organizzazione: la missione (cosa facciamo e cosa siamo oggi), la visione (chi vogliamo essere e dove vogliamo essere in futuro), la strategia (come intendiamo passare dalla missione alla visione), i valori guida (quali regole condivise intendiamo applicare). In questa fase, che solitamente è affidata al vertice dell’organizzazione, il ruolo delle relazioni pubbliche è quello di affiancamento e coordinamento delle diverse funzioni aziendali. 2) Identificazione e ascolto degli stakeholder. Ogni impresa ha verosimilmente stakeholder diversi e l’obiettivo delle relazioni pubbliche in questa fase è innanzitutto quello di identificarli e poi di individuare le loro aspettative riferite agli obiettivi dell’impresa. Il loro ascolto può avvenire “a tavolino” (analisi documentale) o in maniera attiva attraverso interviste, focus group e altri strumenti d’indagine. 3) Identificazione degli obiettivi aziendali. Diversi dagli obiettivi di comunicazione, le relazioni pubbliche sono comunque chiamate a contribuire al loro raggiungimento. 4) Individuazione delle variabili (sociali, politiche, economiche, tecnologiche, ambientali) che possono influenzare il raggiungimento degli obiettivi d’impresa. Va precisato che solo alcune di tali variabili devono essere indicate come prioritarie e che solo alcune di queste possono essere influenzate da una attività di relazioni pubbliche consapevole e programmata. 5) Selezione, per ogni obiettivo, degli influenti non stakeholder. L’impresa li considera importanti ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi e per questo cercherà di trasformarli in stakeholder attraverso una strategia di relazioni pubbliche e di comunicazione. 6) Individuazione dei messaggi chiave della comunicazione. Per essere efficaci dovranno essere familiari e provenienti da una fonte credibile. 7) Test preliminare dei messaggi chiave. È una fase decisiva perché consente di definire obiettivi quali-‐ quantitativi specifici rispetto all’attività di comunicazione. 8) Strategia operativa. In questa fase si decidono le risorse disponibili, le modalità, i canali, i tempi e gli strumenti necessari per comunicare con gli stakeholder e con gli influenti. Molte imprese, sbagliando, collocano l’intervento delle relazioni pubbliche solo a partire da questa
fase, con il risultato che lo stesso intervento rischia di essere poco efficace, se non addirittura inutile, non potendo essere gestito correttamente né a livello di stakeholder né a livello di messaggi. 9) Trasferire i messaggi agli influenti. Fase che prende avvio dopo la definizione degli obiettivi specifici della comunicazione e la definizione della strategia operativa. Questa fase viene gestita con gli strumenti operativi specifici delle relazioni pubbliche. Va precisato comunque che non esiste un unico modello operativo di trasferimento dei messaggi perché ogni organizzazione ha esigenze specifiche e sviluppa iniziative specifiche di relazione con gli stakeholder e gli influenti, sempre però in base a programmi determinati e in funzione degli obiettivi prefissati. 10) Ascolto, verifica del raggiungimento dei risultati e loro misurazione. La verifica fornisce elementi utili per rivisitare, aggiornare, mettere a punto il processo di governo delle relazioni (dal visioning all’ascolto degli stakeholder, dalla definizione degli obiettivi all’analisi delle variabili, ...). Gli stakeholder pubblici e sociali Fra tutti gli stakeholder d’impresa ve ne sono due particolarmente rilevanti ai fini della comunicazione di responsabilità sociale: si tratta degli enti pubblici e della società civile organizzata nelle diverse forme “not for profit” (dalle associazioni di volontariato alle organizzazioni non governative). Con questi due stakeholder le imprese che si pongono come “attori sociali” interagiscono sempre più spesso sia su scala locale che globale, in omaggio ai nuovi modelli di management che cercano di contemperare le logiche d’impresa con le logiche delle scelte pubbliche, i problemi di produzione con i problemi di allocazione della ricchezza, i criteri di efficienza con i criteri di equità. In ambiti quali la tutela dell’ambiente, la solidarietà sociale, la cooperazione allo sviluppo e la promozione delle pari opportunità vi è una significativa convergenza tra le strategie sociali delle imprese e l’intervento del settore pubblico Credibilità della comunicazione La comunicazione di Responsabilità sociale d’impresa (CSR) è credibile solo quando: -‐ vi è coerenza tra gli interventi di responsabilità sociale e i comportamenti dell’impresa; -‐ vi è coerenza tra business dell’impresa e interventi di CSR; -‐ gli interventi sono misurati, misurabili e continui. Gli strumenti di comunicazione e le fonti d’informazione ritenute più efficaci e credibili per informarsi e valutare le politiche di responsabilità sociale delle imprese sono tutti quelli garantiti da terzi, dunque le certificazioni, i marchi di qualità, i premi e i riconoscimenti conseguiti. Anche la costituzione di Fondazioni d’Impresa è considerata un efficace indicatore di credibilità in ragione dell’impegno e dell’investimento concreto che essa comporta. Hanno valore analogo i documenti di Bilancio sociale e i Codici di comportamento, le cui informazioni sono considerate credibili in quanto sistematiche e continuative e in quanto richiedono investimenti concreti da parte delle imprese. Seguono poi le campagne di raccolta fondi a favore di enti non profit. I criteri di efficacia degli strumenti d’informazione sono: -‐ Garanzia di veridicità da parte di soggetti terzi -‐ Dimostrazione di credibilità attraverso investimenti concreti in CSR e azioni tangibili -‐ Continuità e sistematicità della comunicazione Le determinanti della fiducia Gli enti pubblici e le organizzazioni non profit considerano maggiormente degne di fiducia le imprese socialmente responsabili con cui hanno già avuto esperienze positive o di cui soggetti terzi possono garantire la veridicità dei comportamenti.
Un’ulteriore garanzia di affidabilità è offerta dalla condivisione di progetti tra l’impresa e altre Amministrazioni Pubbliche o organizzazioni non profit. Altri fattori determinanti sono lo sviluppo di investimenti specifici nella relazione, la reputazione dell’impresa, il suo orientamento al cliente, il fatto che l’impresa possa ricavare vantaggi dalla relazione con l’ente pubblico o con l’organizzazione non profit. L’esplicitazione delle motivazioni che inducono l’impresa a porre in essere strategie di responsabilità sociale è considerata un importante fattore di trasparenza. È considerata prioritaria ai fini dell’affidabilità anche l’esplicitazione dei programmi. E i criteri per accrescere la fiducia sono: -‐ Partnership, collaborazione, condivisione -‐ Garanzie di soggetti terzi -‐ Investimenti specifici nella relazione con gli stakeholder sociali -‐ Orientamento al cliente -‐ Esplicitazione delle motivazioni alla CSR Le determinanti delle partnership I due stakeholder sociali si dichiarano disposti a porre in essere azioni di CSR in partnership con le imprese quando queste esplicitano i risultati dei propri progetti attraverso indicatori, ovvero quando leggono concretezza e trasparenza nei comportamenti d’impresa. Tale trasparenza può essere garantita anche dall’indicazione delle risorse assegnate ai progetti, dei principi di governance e dei programmi. Enti pubblici ed organizzazioni non profit prestano infine molta attenzione al concreto e visibile impegno dimostrato dalle imprese nei confronti della comunità locale, dei dipendenti e dei consumatori. E i criteri di scelta del parter sono: -‐ Trasparenza nella misurazione dei risultati e nell’impiego delle risorse investite -‐ Attenzione ai diritti della comunità locale, del personale, dei consumatori -‐ Esplicitazione dei programmi e dei criteri di governance Il Codice Etico Una delle domande più comuni che ci si pone in tema di responsabilità sociale è da dove far partire il processo. La risposta che trova maggior consenso è che ogni processo di responsabilità sociale debba partire dall’interno. Le aziende sono infatti composte da persone ed è sull’atteggiamento etico dei singoli che si basa e può realmente sostenersi tale orientamento. Ecco perché uno dei pilastri della CSR è rappresentato dai codici etici e dai codici di comportamento attraverso i quali l’azienda esplicita e codifica i propri impegni e le proprie responsabilità nella gestione degli affari e nei confronti di tutti gli stakeholder. Costituito inizialmente da codici di settore o di categoria, si diffonde solo verso gli anni ’80/’90 del secolo scorso negli Stati Uniti a seguito dell’approvazione di un insieme di norme specifiche destinate a stroncare la corruzione politica e i reati manageriali. Le imprese statunitensi cominciano dunque ad adottare in modo massiccio codici etici e compliance programmes interni che diventano strumenti operativi di gestione aziendale. In Europa la pratica si è diffusa solo molto recentemente, soprattutto per via della spinta esercitata dalle imprese americane sulle loro controllate o sulle aziende con cui avevano instaurato relazioni d’affari. Oggi la Commissione europea rilancia l’importanza del codice etico definendolo “uno strumento innovativo ed importante per promuovere i diritti fondamentali dell’uomo, del lavoro e del territorio e una buona politica contro la corruzione” (Bruxelles, 2 luglio 2002). Il codice etico può quindi essere definito come la dichiarazione dell’insieme dei diritti, dei doveri e delle responsabilità dell’impresa nei confronti di tutti i suoi stakeholder: è l’esplicitazione delle politiche aziendali in materia di etica d’impresa e delle norme di comportamento alle quali i lavoratori devono attenersi.
Il volontariato d’impresa Una delle pratiche migliori attraverso la quale l’impresa può comunicare concretamente il proprio orientamento sociale è il volontariato d’impresa, termine con il quale si indica il coinvolgimento del personale nella comunità, cioè la partecipazione attiva e concreta dei lavoratori alla vita della società locale con l’incoraggiamento e il supporto dell’azienda. Poiché la risorsa più importante di un’impresa sta nel suo patrimonio di competenze, di conoscenze e di energia personale, sono sempre più numerose le aziende che esplicitano il loro ruolo sociale non soltanto attraverso contributi finanziari al mondo della solidarietà, ma mettendo a disposizione di quest’ultimo aiuto pratico e know how Nato agli inizi degli anni ’80, il fenomeno del volontariato d’impresa sta diventando una delle espressioni più tipiche della socialità delle aziende, soprattutto all’estero. Il fenomeno può assumere due configurazioni: Programmi autogestiti dai dipendenti: sono riconosciuti e sostenuti dall’azienda mediante il riconoscimento ai dipendenti di un monte ore lavoro da dedicare ad azioni di volontariato (banche del tempo), la donazione di prodotti che traggono origine dalle richieste dei dipendenti, il sostegno a cause sociali individuate dai dipendenti, ... Programmi impostati dall’azienda: si tratta di distacchi del personale focalizzati su problemi reali della comunità che vanno ad integrare i tradizionali programmi di formazione interna. Ci si riferisce al “distacco di transizione”, ovvero alla gestione di un progetto di medio periodo (da 6 a 24 mesi) in una organizzazione non profit concepito per accompagnare una fase delicata di transizione dei dipendenti dell’impresa o per prepararne il pensionamento. Sempre in questa categoria si collocano la “missione di sviluppo”, che consiste nel realizzare un progetto specifico all’interno di una non profit per acquisire nuove competenze, il “mentoring-‐tutoring”, che è il supporto individuale fornito allo scopo di aiutare soggetti deboli, la presenza in organi direttivi di organizzazioni non profit, ... Il cause related mkt Il cause related marketing, o marketing legato alle cause sociali, è quell’attività commerciale in cui le imprese, le organizzazioni non profit o le cause di utilità sociale formano una partnership al fine di promuovere un’immagine, un prodotto, un servizio, traendone reciprocamente vantaggio. Così inteso il marketing sociale si differenzia dalla pura e semplice filantropia perché privilegia il rapporto commerciale legato al prodotto ed implica, nel suo sviluppo, il ricorso a tutte le tecniche e discipline della comunicazione commerciale: pubblicità, eventi, ufficio stampa, marketing relazionale, direct marketing, ecc. Circa i fattori di successo di un’azione di cause related marketing è possibile individuare 6 elementi chiave: -‐ Pianificazione e preparazione. Per avere buoni risultati anche in quest’area occorre investire tempo, fatica e risorse economiche. Occorre innanzitutto trovare il partner più adatto alle proprie esigenze e maggiormente in sintonia con i valori dei clienti/consumatori. Se infatti non vi è correlazione tra i valori della causa sociale sostenuta dall’impresa e i valori dei clienti/consumatori dell’impresa stessa l’azione non avrà molto successo. Si devono inoltre definire gli obiettivi, i preventivi di spesa e i tempi di attuazione. -‐ Negoziazione della partnership e del programma. In questa fase tutti devono individuare il reciproco vantaggio. -‐ Sigla dell’accordo formale in cui vengono definite con chiarezza le reciproche responsabilità ed obbligazioni. Tra gli elementi importanti da tenere presenti nella stesura dell’accordo vi sono: lo scopo principale della partnership, i diritti di proprietà intellettuale,
i ruoli e le responsabilità, la durata dell’accordo, il piano di attività e i tempi di attuazione, i processi di approvazione, le clausole di conclusione dell’accordo compresa la strategia di uscita nel caso in cui il risultato non fosse quello atteso. -‐ Gestione del programma. Presupponeunachiara definizione di ruoli e responsabilità operative e l’attivazione di un flusso costante di comunicazione fra le parti. -‐ Comunicazione del programma. È la fase più delicata: la comunicazione deve infatti essere efficace, basata su principi condivisi e coerente con il sistema di valori dei partner e con l’area di business dell’impresa. La strategia di comunicazione ottimale è quella che utilizza in modo integrato più strumenti di comunicazione, da quelli di massa come l’advertising a quelli più relazionali ed interattivi come le relazioni pubbliche. -‐ Misurazione e valutazione dei risultati. Fase essenziale se si vuole avere un’efficace gestione dell’azione di cause related marketing e se si desidera poterla modificare in base alla realtà operativa. Corporate giving e fund raising In questi ultimi anni stiamo assistendo anche in Italia al proliferare d’interventi del mondo imprenditoriale a favore dello sviluppo sociale, della salvaguardia dell’ambiente, del recupero e della rivalutazione del patrimonio culturale, dello sviluppo della ricerca scientifica. Un numero sempre maggiore di imprese offre alle organizzazioni non profit impegnate in questi settori sia contributi in denaro, sia beni, servizi e assistenza del proprio personale specializzato. Questi interventi rientrano nella categoria della filantropia, una delle dimensioni più semplici in cui si può esprimere la responsabilità sociale di una impresa. La donazione, o “corporate giving”, secondo la dizione anglosassone, così come la partecipazione ad operazioni di raccolta fondi a favore di enti non profit o di cause sociali, rappresenta infatti uno strumento d’immediata efficacia per ridistribuire alla comunità parte della ricchezza economica che l’attività di impresa ha generato anche grazie al contributo indiretto della comunità stessa. Normalmente si tratta di interventi di pura beneficienza e di azioni di liberalità che non hanno una finalità commerciale diretta per l’impresa. Diversamente da quanto avviene nelle azioni di cause related marketing, il soggetto beneficiario della donazione non ha alcun obbligo di propagandare il prodotto, il marchio o il nome del donatore e chi dona acquista solo il diritto di poter rendere pubblico, se lo desidera, il proprio contributo economico alla realizzazione dell’iniziativa. Secondo una ricerca condotta dalla società di ricerche Avanzi nel 2002, oltre il 90% delle grandi società per azioni operanti in Italia hanno effettuato donazioni a favore di iniziative a carattere sociale con interventi rivolti principalmente ad azioni umanitarie, iniziative di solidarietà ed opere di restauro artistico e monumentale. I motivi alla base di questi comportamenti filantropici sono il ritorno d’immagine e la promozione della responsabilità sociale d’impresa. Alla base dei comportamenti di corporate giving delle imprese vi è quindi la volontà di contribuire allo sviluppo della comunità senza tuttavia perdere la preziosa occasione di promuovere l’identità e l’immgine dell’impresa. Normalmente si tratta di interventi di pura beneficienza e di azioni di liberalità che non hanno una finalità commerciale diretta per l’impresa. Diversamente da quanto avviene nelle azioni di cause related marketing, il soggetto beneficiario della donazione non ha alcun obbligo di propagandare il prodotto, il marchio o il nome del donatore e chi dona acquista solo il diritto
di poter rendere pubblico, se lo desidera, il proprio contributo economico alla realizzazione dell’iniziativa. La Certificazione La necessità di dare una risposta concreta ai cittadini, ai consumatori e agli investitori sempre più preoccuati dai fenomeni della globalizzazione e dalle trasformazioni industriali di grande portata, sta spingendo le imprese a migliorare gli strumenti di gestione e di comunicazione delle proprie performance etiche. Tra questi strumenti, i principali sono rappresentati dalle certificazioni ambientali e sociali, cioè da quei riconoscimenti ufficiali, garantiti e rilasciati da soggetti imparziali, che danno visibilità agli sforzi compiuti dalle imprese per raggiungere prestazioni etiche superiori a quelle richieste dai semplici adempimenti legislativi previsti dai Paesi in cui operano. La certificazione ambientale Le imprese, in tutti i Paesi industrializzati, stanno adottando sistemi di gestione ambientale per affrontare con maggiore efficienza e sistematicità i problemi e le opportunità in campo ecologico e di tutela dell’ambiente. L’integrazione della gestione ambientale nella gestione complessiva dell’azienda è uno dei punti fondamentali della responsabilità sociale d’impresa ed è comunicata soprattutto attraverso le certificazioni della serie Iso 14100 e attraverso il regolamento Emas (sistemi di ecogestione e audit) 760/2001 cui possono accedere tutte le organizzazioni con un livello di rendimento ambientale corrispondente almeno agli standard legali applicabili. Inoltre, il British Standard Institutional nel 1999 ha varato la norma Ohsas 18001 (Occupational Health and Safety Assessment Series) che rappresenta un riferimento, riconosciuto a livello internazionale, per la certificazione di un sistema di gestione per la sicurezza e la salute sui luoghi di lavoro. In particolare, la norma definisce i requisiti necessari per l’adozione di pratiche gestionali sistematicamente orientate alla sicurezza e alla salute sul lavoro. La certificazione sociale Lo strumento di gestione e di comunicazione più importante è la certificazione SA 8000, una sigla che significa Social Accountability (cioè la responsabilità sociale) e che rappresenta il primo standard diffuso a livello internazionale sulla responsabilità sociale d’impresa. Lo standard verifica che le condizioni di lavoro siano giuste e umane e che sia all’interno dell’azienda che tra i suoi fornitori è bandita ogni forma di sfruttamento dei lavoratori. La SA 8000 è una norma molto flessibile: la possono applicare le organizzazioni di qualsisasi settore merceologico sia dei Paesi in via di sviluppo che dei Paesi industrializzati, sia aziende di piccole che di grandi dimensioni, sia enti pubblici che privati. La SA 8000 è una certificazione della quale l’Italia va fiera sia per numero di certificazioni (siamo primi al mondo) sia per risultati conseguiti in termini di reputazione e fiducia.