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CHIARA GENISIO Postfazione di Bruno Mondino L’eccidio nazista di Boves

Martiri per amore. L'eccidio nazista di Boves - Estratto libro - Paoline

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Sono, ogni giorno, sotto i nostri occhi. Sono storie di violenza e sopraffazione, odio e discriminazione. E poi ci sono altre storie, spesso invisibili o volontariamente taciute perché scomode. Di queste vogliamo parlare, queste storie vogliamo ricordare! »»» http://www.paoline.it/blog/testimoni/386-dalla-memoria-la-pace.html

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Page 1: Martiri per amore. L'eccidio nazista di Boves - Estratto libro - Paoline

Chiara Genisio, torinese, giornalista, è direttore dell’Agenzia Giornali Diocesani del Piemonte. Collaboratrice del quotidia-no Avvenire, con Paoline ha pubblicato Un prete ribelle. La storia di padre Carmelo Di Giovanni (2004).

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ISBN 978-88-315-4555-6

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Gen

isio In una fase cruciale della seconda

guerra mondiale, quella immediata-mente successiva all’armistizio dell’8 settembre 1943, Boves, cittadina a pochi chilometri da Cuneo, è teatro della pri-ma rappresaglia nazista in Italia.

Due soldati tedeschi vengono fatti prigionieri dai partigiani. Il maggiore Peiper, capo delle SS, coinvolge il parro-co, don Giuseppe Bernardi, e l’impren-ditore Antonio Vassallo in una trattativa per ottenerne la liberazione.

La mediazione va a buon fine, ma i tedeschi mettono in atto comunque una rappresaglia: il paese viene incendiato, don Bernardi e Vassallo sono trucidati e il viceparroco don Mario Ghibaudo ucciso a colpi di mitragliatrice mentre aiuta i compaesani a fuggire.

Un episodio feroce, che avrebbe po-tuto generare odio. Invece oggi Boves è sede di una « Scuola di Pace », la prima sorta in Italia, per trasformare la tra-gedia del 19 settembre 1943 in forza che redime.

Nel 2014, a suggellare questo impe-gno, alcuni esponenti della comunità parrocchiale di Boves hanno incontrato dei rappresentanti della comunità di Schondorf, il paese della Baviera dove è sepolto Peiper, « per costruire ponti di amicizia e solidarietà proprio là dove la storia sembrava aver ravvisato fratture insuperabili ».

CHIARA GENISIO

MARTIRI PER AMORE

Postfazione di Bruno Mondino

L’eccidio nazista di Boves

In copertina: Boves in fiamme durante l’ec-cidio nazista del 19 settembre 1943.

92H

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Boves, 19 settembre 1943. Sono circa le quattro del pomeriggio. In piazza Italia, cuore del paese, il parroco don Giuseppe Bernardi attende. Pallido in volto, la to-naca consunta, ha portato a termine il suo compito di negoziatore in una trattativa cui è stato costretto dal- le SS. Ciononostante, ora è loro ostaggio. Don Bernardi scruta intorno, pensoso. Una mano si alza a benedire, nell’altra sgrana il rosario.

Sopraggiunge don Mario Ghibaudo, anch’egli teso, bianco in viso. Ventitré anni, è viceparroco nella citta-dina piemontese solo da due mesi. In silenzio porge a don Giuseppe uno scodellino di caffè caldo. Il parroco lo sorseggia; poi, restituendolo, chiede a don Mario di dargli l’assoluzione. Il giovane prete, impietrito, proce-de, mentre don Giuseppe afferma: « Salgo al Calvario: arrivederci in paradiso ».

Si salutano. Prima del calare del sole saranno entram-bi morti. Avranno donato la vita nell’intento di salvare il paese e i suoi abitanti dalla furia nazista.

Per i due sacerdoti, testimoni di pace e libertà, è in corso il processo di beatificazione.

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Chiara Genisio

MARTIRI PER AMOREL’eccidio nazista di Boves

Postfazione diBruno Mondino

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I

« ARRIVEDERCI IN PARADISO »

Credo di poter sopportare e accettare ogni cosa di questa vita e di questo tempo. E quando la burrasca sarà troppo forte e non saprò più come uscirne, mi rimarranno sempre due mani giunte e un ginocchio piegato.

(Etty Hillesum)1

 Boves, domenica 19 settembre 1943. Il cielo è grigio, si

respira aria di pioggia. Sono circa le quattro del pomerig-gio. L’obiettivo si posa su piazza Italia, cuore del paese. A un passo dal monumento ai Caduti della prima guerra mondiale, il parroco don Giuseppe Bernardi attende. Pal-lido in volto, la tonaca consunta, porta i segni della trasfer-ta sui monti come negoziatore. Ora è ostaggio delle SS, con le loro divise estive. Attraversano la piazza giovani ra-gazze, sfuggite al divieto di rimanere in casa. Ma anche al-cuni bovesani inquieti per come sta evolvendo la giorna-

1 Ogni capitolo si apre con un pensiero di Etty Hillesum, una giovane don-na ebrea, olandese, morta a ventinove anni nel campo di concentramento di Auschwitz, il 30 novembre 1943. Un’esistenza che si consuma tra il 1914 e il 1943, uno dei periodi più neri della storia contemporanea. Una donna eccezionale, che in pochi anni compie un percorso interiore di avvicinamento a Dio che la trasfigu-ra. Al punto da chiedere non la propria salvezza, ma la condivisione della sorte del suo popolo. Le sue parole racchiuse nel Diario: 1941-1943 (pubblicato da Adelphi e da cui ho tratto le citazioni) hanno ancora oggi un valore straordinario che meri-ta di essere scoperto. Le sue riflessioni sono di una modernità sconvolgente. In lei si può trovare un nuovo slancio per la propria esistenza. La sua immensa spirituali-tà può diventare guida e consolazione. A lei che amava immensamente i fiori, in cui scorgeva una sorta di parabola della vita e una continua speranza oltre ogni dubbio e angoscia, a Cuneo è stato dedicato, primo in Italia, un grande giardino. Un gesto fortemente simbolico per celebrare i cento anni dalla nascita.

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ta. Don Bernardi scruta, per ciascuno ha una parola di conforto, una mano si alza a benedire, nell’altra sgrana il rosario. Forse il suo sguardo cade sulla scritta del monu-mento su cui sono incisi i nomi di tutti gli abitanti morti durante la Grande Guerra e sull’epigrafe: « Agli eroi bo-vesani caduti per dare alla Patria i giusti confini, auspican-do alla pace universale, Municipio e Popolo, 28 agosto 1921 ». E il pensiero gli sarà corso al ricordo delle sue gior-nate in guerra, e al suo desiderio di pace per tutti.

Ma a distrarlo giunge don Mario Ghibaudo, il suo vi-ce, anche lui teso, bianco in volto. È arrivato a Boves solo da due mesi, fresco di ordinazione, giovanissimo – ha ven-titré anni –, ma già tra i due preti è nata una forte intesa. In silenzio gli porge uno scodellino di caffè caldo. Don Giuseppe lo sorseggia, poi, restituendolo, chiede a don Mario di dargli l’assoluzione. Il giovane sacerdote, impie-trito, procede, mentre il suo parroco afferma: « Salgo al Calvario: arrivederci in paradiso ».

L’obiettivo si chiude. I due preti si salutano. Prima del calar del sole entrambi saranno morti. Avranno donato la loro vita per salvare il paese e tutti gli abitanti. Avrebbero potuto « allontanare questo calice amaro », ma hanno scel-to di sacrificare la loro vita per un bene più grande. Un do-no incalcolabile per questa terra cuneese, cuore della pro-vincia « Granda » del Piemonte, palcoscenico della prima rappresaglia nazista in Italia. Là dove poteva scaturire l’o-dio, il rancore, è nato il perdono. I loro gesti hanno lascia-to un segno indelebile.

Boves, città e luogo di pace. Anche grazie a loro, al lo-ro sacrificio.

Nessuna macchina fotografica o cinepresa ha docu-mentato questa scena, non siamo ancora all’epoca degli smartphone e dei selfie, ma tanti occhi l’hanno impressa nella memoria di decine di testimoni che non hanno di-

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menticato. A distanza di decenni sono stati in grado di rac-contare nei minimi dettagli, minuto dopo minuto, lo scor-rere di questa interminabile giornata. Una manciata di ore che ha trasformato la loro vita, la loro comunità. Raccon-tano una storia di uomini, di preti, che hanno saputo an-dare oltre se stessi, per un amore più grande. Per rimane-re fedeli alla loro promessa. Al loro impegno assunto davanti a Dio. Un esempio per tutti.

Proviamo a riviverla con il loro ricordo. Per non dimen-ticare, per imparare ad affrontare e superare le difficoltà, la barbarie, i momenti bui che possiamo incontrare nella nostra vita. Per trovare il coraggio di non guardare da un’altra parte, ma diventare protagonisti del bene. Come in tanti luoghi della terra ci è richiesto. Dalla ricerca di so-lidarietà di chi ci vive accanto all’aiuto e all’attenzione a chi soffre per il colore della sua pelle o per la sua religio-ne in ogni angolo del pianeta. Per imparare a essere don-ne e uomini di pace.

La vita di don Giuseppe e di don Mario è un’esistenza come quella di tanti, ordinaria. Colma di quei piccoli ge-sti buoni e meno buoni che rendono ciascuno uomini e donne del proprio tempo.

È nell’istante della prova che le loro scelte diventano straordinarie.

Allora don Giuseppe e don Mario si trasformano in mae-stri di vita. Modelli a cui guardare e ispirarsi. E nel rileg-gere la loro storia si scopre che i semi della santità sono stati coltivati, giorno dopo giorno, con pazienza e tenacia.

Sono un esempio della potenza dell’amore per gli altri che trasforma la vita. L’unico grande motore che aiuta l’u-manità a crescere, a vincere l’odio e il male, come ricorda Etty Hillesum, scrittrice di grande spiritualità, morta ad Auschwitz appena due mesi dopo l’eccidio di Boves, nel suo Diario il 3 luglio 1942:

 

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Ah, portiamo tutto dentro di noi, Dio e cielo e inferno e terra e vita e morte e tutta la storia. Le cose esterne sono semplicemente così tanti scenari; ogni cosa di cui abbiamo bisogno è dentro di noi. E dobbiamo prendere ogni cosa che capita: il male come il bene, e non significa che non possiamo dedicare la nostra vita a curare il male. Dobbiamo però co-noscere quali motivi ispirino la nostra lotta, e dobbiamo cominciare con noi stessi, ogni giorno di nuovo.

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APPENDICE

Il racconto di Luigi Pellegrino che riportiamo in queste pagine ci proietta nel futuro. Giorno dopo giorno, negli ul-timi settant’anni la comunità di Boves ha lavorato per crea-re ponti di pace, con alti e bassi, sprazzi di entusiasmo e fal-limenti. Passando anche per momenti di oblio. Ma, pur piccola città, ha realizzato grandi cose.

Il 19 settembre 1943 è come se fosse nata una seconda volta. Dal lutto, dal dolore e dal sangue innocente versato, questa comunità, laica e religiosa, ha trovato nei due « don » un esempio a cui guardare e ispirarsi. Lo straordinario in-contro tra la comunità di Boves e quella di Schondorf, dove è sepolto Joachim Peiper, è il segno che, quando c’è la volon-tà, si possono superare tutti gli ostacoli.

Da questo luogo, nel cuore del Piemonte, giunge così un messaggio universale: lavorare per la pace è possibile.

Boves, icona per tutti coloro che non si arrendono. Esem-pio a cui guardare per soffocare i ritorni all’odio, alla contrap-posizione, alla violenza che stanno segnando i nostri giorni.

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INDICE

i « ArrivEdErci in PArAdiSo » pag. 7 ii BiLAncio roSSo SAnGuE » 11 Il giorno più lungo » 18 Ventiquattro nomi per non dimenticare » 24 iii don GiuSEPPE BErnArdi, uoMo di PAcE » 41 Un solo invito: pregate! » 48 iv iL dESidErio di don MArio: vivErE E MorirE dA SAcErdotE » 59 Un giovane leale e sincero » 64 San Giovanni Bosco: un maestro di vita » 68 v iL BoiA iMPunito » 76 « Il caso Peiper » » 81 vi PAroLA d’ordinE: AnniEntArE » 85 Settembre 1943: l’Italia allo sbando » 90 vii iEri coME oGGi, tEStiMoni di LiBErtà » 95 

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Postfazione « Cose nuove e cose antiche » (B. Mondino) pag. 103 

Appendice Due comunità unite per la pace(L. Pellegrino) » 111 

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Chiara Genisio, torinese, giornalista, è direttore dell’Agenzia Giornali Diocesani del Piemonte. Collaboratrice del quotidia-no Avvenire, con Paoline ha pubblicato Un prete ribelle. La storia di padre Carmelo Di Giovanni (2004).

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ISBN 978-88-315-4555-6

Chi

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isio In una fase cruciale della seconda

guerra mondiale, quella immediata-mente successiva all’armistizio dell’8 settembre 1943, Boves, cittadina a pochi chilometri da Cuneo, è teatro della pri-ma rappresaglia nazista in Italia.

Due soldati tedeschi vengono fatti prigionieri dai partigiani. Il maggiore Peiper, capo delle SS, coinvolge il parro-co, don Giuseppe Bernardi, e l’impren-ditore Antonio Vassallo in una trattativa per ottenerne la liberazione.

La mediazione va a buon fine, ma i tedeschi mettono in atto comunque una rappresaglia: il paese viene incendiato, don Bernardi e Vassallo sono trucidati e il viceparroco don Mario Ghibaudo ucciso a colpi di mitragliatrice mentre aiuta i compaesani a fuggire.

Un episodio feroce, che avrebbe po-tuto generare odio. Invece oggi Boves è sede di una « Scuola di Pace », la prima sorta in Italia, per trasformare la tra-gedia del 19 settembre 1943 in forza che redime.

Nel 2014, a suggellare questo impe-gno, alcuni esponenti della comunità parrocchiale di Boves hanno incontrato dei rappresentanti della comunità di Schondorf, il paese della Baviera dove è sepolto Peiper, « per costruire ponti di amicizia e solidarietà proprio là dove la storia sembrava aver ravvisato fratture insuperabili ».

CHIARA GENISIO

MARTIRI PER AMORE

Postfazione di Bruno Mondino

L’eccidio nazista di Boves

In copertina: Boves in fiamme durante l’ec-cidio nazista del 19 settembre 1943.

92H

154

Boves, 19 settembre 1943. Sono circa le quattro del pomeriggio. In piazza Italia, cuore del paese, il parroco don Giuseppe Bernardi attende. Pallido in volto, la to-naca consunta, ha portato a termine il suo compito di negoziatore in una trattativa cui è stato costretto dal- le SS. Ciononostante, ora è loro ostaggio. Don Bernardi scruta intorno, pensoso. Una mano si alza a benedire, nell’altra sgrana il rosario.

Sopraggiunge don Mario Ghibaudo, anch’egli teso, bianco in viso. Ventitré anni, è viceparroco nella citta-dina piemontese solo da due mesi. In silenzio porge a don Giuseppe uno scodellino di caffè caldo. Il parroco lo sorseggia; poi, restituendolo, chiede a don Mario di dargli l’assoluzione. Il giovane prete, impietrito, proce-de, mentre don Giuseppe afferma: « Salgo al Calvario: arrivederci in paradiso ».

Si salutano. Prima del calare del sole saranno entram-bi morti. Avranno donato la vita nell’intento di salvare il paese e i suoi abitanti dalla furia nazista.

Per i due sacerdoti, testimoni di pace e libertà, è in corso il processo di beatificazione.