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Mauro Maria Morfino · 2015. 10. 28. · Al pozzo oltre il pozzo Scavando i desideri I. Con Gesù al pozzo dei desideri La persona umana non può bastare a se stessa. Non solo non

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Mauro Maria MorfinoVescovo di Alghero-Bosa

Al pozzo oltre il pozzoScavando i desideri

I. Con Gesù al pozzo dei desideri

La persona umana non può bastare a se stessa.Non solo non la saziano le cose, ma non le bastanoneppure le persone e neppure qualche buona idea oconoscenza religiosa. Perché ogni persona è una rela-zione spalancata sull’Infinito. Con un vividissimoflash, Kierkegaard cristallizzava così questa apertura:“L’uomo è un crepaccio assetato d’infinito”. Solo l’in-finito che è Dio può saziare il cuore. È in questo “cre-paccio” che Gesù ci si fa incontro. Non disprezzandoo prosciugando l’acqua dei nostri tanti pozzi, masemplicemente rivelandone la non esaustività, l’in-sufficienza e l’inadeguatezza. Perché la vita fluisca, è indispensabile accettare e

riconoscere la sete del proprio cuore, dare un nome,ascoltare, accogliere quel fascio di desideri che ognunodi noi è e che ci tiene vivi, che talvolta ci esalta o citramortisce e tanto spesso ci strattona, ci affanna, ciatterra. C’è, nel cuore umano, la sottile tendenza anon prendersi sul serio nel proprio desiderare: o sof-focandolo, o sminuendolo, o distorcendolo o nondecifrandolo. E la vita può impazzare e impazzire.

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Nella sua grazia, che è eccedenza di amore, ilPadre ci dona ancora questa Quaresima e questaPasqua 2015 che vuole essere un tempo di verità, perun recupero d’identità, per riappropriarci della veritàdi noi stessi davanti alla Verità svelata nel Figlio. Tutto in noi reclama una fonte di acqua viva e

vera per non morire. Tutta la nostra Chiesa di Al-ghero-Bosa è assetata di Verità perché desideraessere strappata dalla paura di spalancare le porte edi uscire per testimoniare l’Evangelii gaudium, lagioia del Vangelo; perché sente come improrogabilel’appello del suo Signore che le dice: “Ecco io stoalla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia vocee mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui edegli con me” (Ap 3,20); perché sa che la sua gioiasarà piena solo quando accoglierà come irrinunciabilestile di vita la parola del Maestro: “Beati i miseri-cordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).Ancora una volta, in questi giorni di grazia, po-

tremo fare la dolcissima esperienza del SignoreGesù che stende la sua mano verso di noi conti-nuando a offrirsi come Parola che salva, comeCorpo spezzato e Sangue versato, nutrimento di“vita eterna” ma, insieme, gioiremo perché, stupiti,dovremo riconoscere nei tratti del Figlio, la logicadel Padre che ha deciso di aver bisogno della personaumana. Rivivremo, nella fede, l’esperienza che Dionon sfonda la porta, ma bussa e invita, non ciumilia manifestando la sua grandezza e la sua po-tenza, ma spoglia se stesso, “assumendo la condizionedi servo” (Fil 2,7) e divenendo uno di noi. Servoper noi. Nella forza dello Spirito giungeremo nella“veglia delle veglie” a confessare che l’acqua che èCristo può davvero dissetare e offrire ai nostri cuori

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questuanti la certezza che il sempre Veniente è giàassiso in quello scranno della nostra intimità, dasempre posto suo.Fidandoci del Signore e obbedienti alla sua parola,

vogliamo ascoltare la sua voce e aprirgli la nostraporta per godere della sua intimità. Lui, il Fedele,manterrà la sua promessa. Ci faremo accompagnare,istruire, illuminare, convertire e consolare da quellapagina evangelica che ci sostiene nella fede, fin dallalectio divina comunitaria dello scorso mese di gennaio(Alghero 12, Bosa 13, Macomer 14): l’incontro traGesù di Nazaret e la donna samaritana al pozzo diSicar (Gv 4,5-42). È un eloquente esempio di “scavo del desiderio”

che Gesù – mai forzando e mai rinunciando al suotratto di amorevole e rispettosa prossimità – compiecon la samaritana che, in quanto tale, è personad’idee religiose “distorte”, imbastardite, ma anchedonna dal passato equivoco e incontrata da Gesùnello svolgimento di un compito tanto feriale eprosaico come quello di attingere acqua. In questoincontro, Gesù mostra di andare oltre ciò che la situa-zione parrebbe esigere: il bisogno naturale della seteviene scoperto dal Nazareno e fatto riconoscere alladonna nella sua radice, e diventa così, un po’ allavolta, ricerca di un’acqua viva, fino a lasciar trasparirenella samaritana, l’esigenza consapevole di un’acquache la disseti per sempre.Tutto, fin dai primi versetti del racconto, pare sug-

gerire che c’era più di una ragione per mantenere ledistanze tra i due. Ma Gesù sconfina, sovverte regoledi buon senso e regole religiose, frantuma gli schemie scavalca le barriere di sesso, di nazionalità, direligione. Egli s’intrattiene volentieri con questa donna,

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per troppi versi “irregolare”. Lo fa con quella straordinarialibertà che solo l’amore può permettersi.Ogni incontro con Gesù presso “il pozzo dei de-

sideri”, nell’ascolto di lui e nell’accoglienza della suapersona, è il luogo per eccellenza dello “scavo del de-siderio”, dove Gesù ci aiuta ad andare oltre il pozzo.Qualsiasi cosa gli chiediamo, anche se non lo sap-piamo, è prima di tutto di darsi a noi, di mostrarci ilvolto del Padre, di godere del suo amore. In questapagina di Vangelo il Signore conduce la donna e noicon lei, lì dove si raggiunge la radice dei desideriumani, facendoci scoprire che è Dio alla radice di ognidesiderare umano, scorgendo inevitabilmente la parentelae la somiglianza divina ad ogni umano, anche quandoil desiderio si esprime in termini o modalità diversi odevianti rispetto a questa sua origine. Con Gesù, al pozzo dei desideri, siamo introdotti

in quell’intimità con il Padre, scoprendolo, comeconfessa sant’Agostino, intimior intimo meo, “piùintimo a me di me stesso”. Nel guazzabuglio e nel-l’intrico del proprio desiderare e dei propri desideri,rischia di rimanerne intrappolato, abbacinato, confuso.Imbrogliato. È Gesù che ci educa a desiderare oltre, ascavare il desiderio, a spalancarci gli occhi sull’Originedi quel vortice che è il nostro desiderare. Con Gesù, al pozzo dei desideri, scopriamo che

la nostra capacità di desiderare è il “roveto ardente”dell’esperienza umana di Dio, proprio perché il desi-derio di Dio è inciso a fuoco in ogni coscienza e ildesiderare umano è nativamente proteso su Dio, euna ricerca sulle “origini” non può che certificarequesta aspirazione insopprimibile.Con Gesù, al pozzo dei desideri, veniamo con-

vinti ad interrogarci sul contenuto e sull’origine dei

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nostri desideri, andando al di là dell’oggetto imme-diatamente desiderato senza rimanerne prigionieri e,risalendo di desiderio in desiderio, spalanchiamo gliocchi fino a scorgere l’esigenza ineliminabile di bene,di verità, di felicità, di libertà, di definitività, che èiscritta nel nostro cuore e che è espressione limpidadel desiderio ancor più pungente di Dio. Con Gesù, al pozzo dei desideri, scopriamo quella

cicatrice del divino,memoria incancellabile dell’originedi ognuno di noi, aspirazione che spesso rimanenegli anfratti dell’anima e nelle pieghe del cuore, mache sanguina senza sosta ed esige di essere curata. Èdavanti a questa cicatrice che scopriamo, con vertigine,che solo il divino è garante dell’umano. E proprioperché ogni umano è fatto da Dio per Dio, e dunquearchitettato in modo tale che solo Dio lo può realizzarein pienezza, nessun human factor, nessun obiettivoumano e a medio termine, riesce ad essere rispostaesauriente a quel grumo di carne e sangue che siamo.Con Gesù, al pozzo dei desideri, ci è dato di

scavare il desiderio fino a dare un nome in noi alle in-decifrabili scontentezze, delusioni, insofferenze, in-quietudini, insaziabilità, disillusioni, frustrazioni, riu-scendo a smascherarne i travestimenti (una sottile de-pressione, certe forme di rigidità difensiva, l’indifferenzacome sistema di vita, l’aggressività come unica modalitàrelazionale o la ricerca di eccitazioni sensibili, o perfinouna certa spensierata mediocrità…). Dare il nome aquesti Leviathan che si agitano in cuore, svincola dallacattività perché “la Verità vi farà liberi” (Gv 8,32).Condotti anche noi dallo Spirito al pozzo dei de-

sideri, desideriamo in questi densi novanta giorniquaresimali-pasquali, leggere e rileggere questa paginadi Vangelo, scoprirla e riscoprirla nel silenzio e nella

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preghiera, senza fretta, scendendo nelle sue più intimeprofondità, perché anche ciascuno di noi approdiallo svelamento dell’essenziale, alla radice profondache attiva il mondo del nostro desiderare e dei nostrimolteplici desideri.Anche noi vogliamo stare presso il pozzo visitato

dalla Parola, ascoltando il Signore Gesù e standosotto il suo sguardo. Parola e sguardo che non con-danna, non aggredisce, non pregiudica, non inchiodaal passato. Ed è per questo che arriva dritto al cuoredella samaritana e del nostro cuore assetato. Anche anoi come a lei, Gesù non porge uno specchioaccusatore ma ci mette davanti un cammino, unasperanza, le possibilità che siamo, perché a lui nonimporta che cosa siamo stati, ma ciò che saremo. Lasua parola e il suo sguardo fanno riemergere quellarealtà seppellita in noi che va oltre il peccato, liberandotutta la bellezza che il Padre ci ha posto dentro, scar-cerando tutta la luce che è racchiusa in ogni cuore. “Ètroppo vasto il cuore umano, le cose piccole vi flut-tuano, solo le cose grandi vi si depongono eleggendovila propria dimora [...]. Vi è in esso un vuoto cheaspira ad essere colmato e un’attesa che reclama unaPresenza” (Blaise Pascal).

II. Testo, contesto e parole-chiave

Svestiti dunque i sudati drappeggi delle nostre af-faticate parvenze, sfilati i laceri sandali dei nostritortuosi sentieri, sferrando un ultimo attacco alla vo-racità di orecchie mai sazie, avvertito il cuore dei maiacquietati crampi di orde di desideri, condotti dalloSpirito, gustiamo anche noi l’acqua viva della Parola:

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1 Gesù venne a sapere che i farisei avevano sentito dire:“Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni” – 2 sebbenenon fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli -,3 lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea.4 Doveva perciò attraversare la Samaria. 5 Giunse così a unacittà della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Gia-cobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era un pozzodi Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedevapresso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7 Giunge una donnasamaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: “Dammi dabere”. 8 I suoi discepoli erano andati in città a fare provvistadi cibi. 9 Allora la donna samaritana gli dice: “Come mai tu,che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna sa-maritana?”. I Giudei infatti non hanno rapporti con i Sama-ritani. 10 Gesù le risponde: “Se tu conoscessi il dono di Dio echi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto alui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 11 Gli dice la donna:“Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da doveprendi dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grandedel nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevvelui con i suoi figli e il suo bestiame?”. 13 Gesù le risponde:“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chiberrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno.Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgented’acqua che zampilla per la vita eterna”. 15 “Signore - gli dicela donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia piùsete e non continui a venire qui ad attingere acqua”. 16 Ledice: “Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui”. 17 Gli rispondela donna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: “Hai dettobene: “Io non ho marito”. 18 Infatti hai avuto cinque mariti equello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto ilvero”. 19 Gli replica la donna: “Signore, vedo che tu sei unprofeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte;voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisognaadorare”. 21 Gesù le dice: “Credimi, donna, viene l’ora in cuiné su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che

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conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Maviene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno ilPadre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che sianoquelli che lo adorano. 24 Dio è spirito, e quelli che loadorano devono adorare in spirito e verità”. 25 Gli rispose ladonna: “So che deve venire il Messia, chiamato Cristo:quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. 26 Le dice Gesù:“Sono io, che parlo con te”. 27 In quel momento giunsero isuoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con unadonna. Nessuno tuttavia disse: “Che cosa cerchi?”, o: “Diche cosa parli con lei?”. 28 La donna intanto lasciò la suaanfora, andò in città e disse alla gente: 29 “Venite a vedere unuomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia luiil Cristo?”. 30 Uscirono dalla città e andavano da lui. 31 Intanto i discepoli lo pregavano: “Rabbì, mangia”. 32 Maegli rispose loro: “Io ho da mangiare un cibo che voi nonconoscete”. 33 E i discepoli si domandavano l’un l’altro:“Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?”. 34 Gesù disseloro: “Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi hamandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse:“Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vidico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già bion-deggiano per la mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e rac-coglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioiscainsieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero ilproverbio: uno semina e l’altro miete. 38 Io vi ho mandati amietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato evoi siete subentrati nella loro fatica”. 39 Molti Samaritani diquella città credettero in lui per la parola della donna, chetestimoniava: “Mi ha detto tutto quello che ho fatto”. 40 Equando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano dirimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41 Molti di piùcredettero per la sua parola 42 e alla donna dicevano: “Non èpiù per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noistessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente ilsalvatore del mondo”.

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Il contesto immediato e alcuni elementi del testo,risultano preziosi per cogliere la trama e il sensonarrativo di questo racconto. Ci è subito detto chel’attività battesimale dei discepoli di Gesù in Giudea(4,1-2) irrita i farisei, ma che anche in Galilea, la re-gione di Gesù, il suo ministero non fila liscio (4,44).È proprio tra queste due situazioni difficili di annunciodel Regno, che si colloca la Samaria, regione, se pos-sibile, ancora più ostile, dove parrebbe che Gesù e isuoi non abbiano proprio nulla da fare: “I Giudeiinfatti non hanno rapporti con i Samaritani” (v. 9).Ma Gesù doveva/édei passare in Samaria. Questo

verbo, in Giovanni, indica un riferimento al pianosalvifico di Dio che si sta compiendo. Il dover passaredi Gesù in Samaria non risponde ad un’esigenza geo-grafica quanto piuttosto al progetto del Padre. Questotransito è un ineludibile impegno missionario. Gesùsi siede al pozzo stremato dal viaggio (4,6) e prostratodallo sfinimento – che la narrazione mette in luce alv. 38 con il verbo kopiázo, il “faticare” di chi semina –ma risoluto a gettare nel solco della storia la Parolache salva, a donare se stesso come acqua viva. C’è poi il pozzo, quel pozzo che Giacobbe aveva

donato a Giuseppe. Lì, allo zenit, con il sole a perpen-dicolo, avviene l’incontro e il dialogo tra il Nazarenoe la samaritana. Sappiamo che spesso nella Bibbia, gliincontri cruciali di Dio avvengono “nell’ora più caldadella giornata” (Gn 18,1), a mezzogiorno, momentoin cui la sete si fa sentire lancinante. Al pozzo di Sicar, nell’ora più calda e più luminosadel giorno, ci sono tutti i presupposti per un promessasconvolgente: lo straniero promette alla donna un’acquacapace di trasformarsi, in chi ne beve, in sorgente chezampilla per la vita eterna, cosicché chi la sorseggia

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non abbia mai più sete. Si comprende, dunque, lapronta richiesta della samaritana: “Signore, dammi diquest’acqua, perché non abbia più sete e non continuia venire qui ad attingere acqua” (Gv 4,15).Per i lettori delle pagine della Bibbia, l’immagine

del pozzo è familiare ed evoca storie d’amore, corteg-giamenti, patti nuziali: in Esodo 2, Mosè conoscerà Zip-pora, la sua futura moglie; in Genesi 24 si racconta che,al pozzo, Isacco fa la conoscenza della giovane ebellissima Rebecca; in Genesi 29, nell’attingere acqua alpozzo, si pone la premessa del matrimonio tra Giacobbee l’avvenente Rachele. Lo schema di tutti questi raccontiè standard: l’uomo si reca in terra straniera e, presso ilpozzo, si incontra con una donna che è andata lì ad at-tingere acqua e che diventerà poi sua moglie. Giovanni riprende questo stesso schema ma lo

capovolge: Gesù passa in Samaria, terra straniera,incontra non una giovane in età da marito ma, ap-punto, la samaritana il cui vissuto equivoco è ricordato.Non c’è corteggiamento, non c’è promessa di nozze,non c’è prospettiva di ingaggio sentimentale. Tutto sisvolge nel dialogo e la relazione che si instaura non èquella del coinvolgimento affettivo, ma quella dellafede. L’evangelista usa lo schema narrativo solitodegli incontri speciali al pozzo, ma inserendo la va-riazione appena menzionata, provoca nel lettore unasorpresa che lo rende ancora più attento e più partecipealla trama del racconto. L’allusione al pozzo cattura il lettore per condurlodecisamente in una direzione altra da quello delloschema che, forzatamente, conduceva all’unione trale due parti in gioco. Il pozzo resta sì il luogodell’amore, dell’intimità, della confidenza più piena,il luogo dove l’ascolto reciproco diventa sistema e

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metodo, ma a questo pozzo la samaritana arriva e siintrattiene con Gesù non per convogliare alla settimasua relazione amorosa, ma ormai tutta tesa a bere diquell’acqua viva datale dal Galileo, così dissetante daspingerla a lasciar lì la brocca e ad andare a dissetare- ormai dissetata - altri.

III. Il dialogo

Nel Quarto Vangelo, a differenza dei Sinottici, civiene mostrato un Gesù molto attento ai contatti per-sonali, attraverso i quali egli si intrattiene volentieri inincontri e in dialoghi che toccano le radici dell’esseree occupano, proporzionalmente, ampi spazi (conNicodemo, il cieco nato, Lazzaro e le sorelle, la sa-maritana) o i contatti preferenziali con gruppi ristretti(Cana, la sinagoga di Cafarnao…). Ciò che è utile domandarsi è perché proprio una

donna di Samaria viene così strettamente congiuntaal tema della missione. È chiaro che sia l’identitàdella protagonista, sia il contesto, sia il luogo, sial’orario risultano essere uno squarcio luminoso sulbinomio samaritana-missione e sull’intero dialogo.La donna, in quanto della Samaria, è un’eretica. Inquanto donna dal passato e dal presente burrascoso,è inaffidabile e sospetta. Ancora. Il suo andare ad at-tingere acqua al pozzo la colloca nella più banaledell’ordinarietà, affatto priva di ogni significativa pe-culiarità; in un luogo, il pozzo, non tra quelli di solitoindicati come particolarmente adatti per incontri oeventi “religiosi” e la circostanza è realmente occasionale.L’orario poi, comunque sia, risulta infelice per ognitipo di dialogo impegnativo, prolungato, discreto.

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Attraverso tutti questi elementi l’evangelista suggerisceal lettore questa conclusione: se la samaritana diventaeloquente testimone di Gesù nella sua situazioneconcreta (e “svantaggiata”) di vita, non esiste proprioper nessuno l’impossibilità di diventare interlocutoreprivilegiato nel dialogo con lui e suo inviato accreditato,non c’è alcuna identità inadatta né alcun’altra circo-stanza a impedire il dialogo con il Signore. Ogniluogo, ogni tempo, ogni condizione contingente èfavorevole per incontrare Gesù. Il dialogo con la samaritana si dipana in sette

battute tra Gesù e la donna. La caratteristica lampantedel dialogo sta nel fatto che Gesù continua adinnalzare il livello del discorso, portandolo al di là eoltre la domanda della samaritana, superando divolta in volta gli ostacoli frapposti da essa per rilanciareil dialogo, e condurlo, invece, al suo apice. Apice a cui la samaritana pare volersi sottrarre, ri-mandando a quel Messia che “dovrebbe venire”, laspiegazione autentica della verità, quasi a dire: “Fi-niamola con questo discorso! Se un giorno questoMessia verrà, se ne riparlerà…”. Inattesa la risposta del Galileo: “Sono io che ti parlo”.Vale a dire: non è più tempo di rimandare decisioni,smetti di fuggire, questo è il tempo della verità, perché ilMessia “Sono io che ti parlo”. Colui che le parla qui ed ora, è colui a cui non puòsfuggire, perché la conosce dentro e la spinge adandare oltre le reticenze e le resistenze. Non rispon-dendo a tono alla donna, Gesù la sollecita così adandare al di là delle sue stesse domande, portandolaad interrogarsi, ad entrare nel vivo di ciò che porta incuore e le fa problema, a chiamare per nome le suedelusioni, le amarezze, i desideri.

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Può essere di aiuto alla comprensione del dialogola seguente visualizzazione:

* Samaritana: giunge al pozzo – Gesù: “Dammi dabere” (v. 7)

* Samaritana: “Come mai chiedi da bere a me?” –Gesù: “Se tu conoscessi… Tu stessa gliene avrestichiesto” (vv. 9-10)

* Samaritana: “Tu non hai un mezzo… Da dove haidunque quest’acqua viva… Sei tu forse più grandedel nostro padre Giacobbe?” – Gesù: “… ma chibeve dell’acqua che io gli darò non avrà mai piùsete” (vv. 11-13)

* Samaritana: “Dammi di quest’acqua” – Gesù: “Vaa chiamare tuo marito” (vv. 15-16)

* Samaritana: “Non ho marito” – Gesù: “Ne haiavuto cinque e quello che hai ora…” (vv. 17-18)

* Samaritana: “Ma dobbiamo adorare a Gerusalemmeo su questo monte? – Gesù: “Né qui né a Gerusa-lemme… ma in spirito e verità” (vv. 20-24)

* Samaritana: “So che deve venire il Messia (cioè ilCristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa”– Gesù: “Sono io che ti parlo” (vv. 25-26)

L’acqua viva che c’èUn’anonima donna di Samaria, viene ad attingere

acqua da un pozzo. Gesù è solo con lei mentre i di-scepoli sono andati in città a cercare cibo. Gesùprende l’iniziativa del dialogo e le chiede: “Dammida bere” (v. 7). Egli senza porre la donna in difficoltà,si muove da una sua semplicissima necessità umana:ha sete. Come tutti necessita di acqua. Come nessunole darà un’acqua che ella non immagina.Di fronte a questa richiesta diretta, la samaritana

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è stupita e, con un pizzico di ironia, pone la sua ri-flessione a livello di rapporti umani (tesi): “Comemai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sonosamaritana?” (v. 9). Le parole della donna sono at-traversate da una forte tensione antitetica: uomo-donna; giudeo-samaritana; io-tu. Tutto dice contrap-posizione in ruoli (rigidi) e dentro un’antica avversioneetnico-religiosa. È come se una corda tesa dominassetutta la prima parte del dialogo, impedendo unbenché minimo avvicinamento dei poli, un reale ri-conoscimento.In modo leggerissimo, parlando di “acqua viva”

(v. 10), Gesù conduce il dialogo sul piano stesso delmistero della sua stessa identità, presentandosi comecolui che ha sete di offrire l’acqua viva. Ma perchéquesto si possa realizzare, è indispensabile una con-dizione: “Se tu conoscessi...”. Nel testo greco c’è lasplendida finezza di un periodo ipotetico della irrealtà.Detto semplicemente: Gesù insinua alla samaritanache, realmente, ella proprio non sa! Eppure la paroladi Gesù, nonostante questa allusione negativa, nonfa ritrarre la donna. Provocata da colui che le hachiesto da bere, pare cogliere come promettente ildirsi dell’assetato. La donna non solo non chiude ildialogo, ma resta e replica. La parola di Gesù attrae ladonna e, a poco a poco, Gesù trasferisce la conversa-zione per trasferire la donna.La replica della donna è ironica e pungente: io

forse non so e non capisco ma tu, e questo è certo,sei privo dei mezzi necessari per attingere l’acqua edunque non sei più grande di Giacobbe! (cf vv. 11-12). L’evangelista carica l’espressione della donna diuna doppia ironia: la samaritana, pur volendo direproprio il contrario, afferma invece la vera identità di

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colui che ha davanti: Gesù è realmente più grandedel patriarca Giacobbe! Ciò che tuttavia la donna hanegli occhi e nella mente, è quel pozzo e quella acqua:ancora non riesce ad entrare in quell’oltre che ildiscorso di Gesù le fa intravedere.Il dialogo sembra impantanarsi perché le posizioni

dei due paiono ispessite in un’insanabile contrappo-sizione. Com’è possibile passare dal misconoscimentoalla conoscenza? È Gesù che, con molta pazienza, ri-prende il filo del dialogo per scavare – finalmentesvegliandolo – il desiderio della donna, rievocandoquell’acqua viva: “Chiunque beve di quest’acqua avràdi nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò,non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io glidarò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampillaper la vita eterna” (vv. 13-14). Gesù le chiarisce chec’è una differenza nell’acqua che lui può darle: a diffe-renza dell’acqua del pozzo, quella che Gesù le offredisseta per sempre (ha dunque un’altra funzione),zampilla dentro (ha dunque un’altra locazione), ed èper la vita eterna (permea e travalica il tempo).A questo punto vi è l’autentico snodo del dialogo

e il primo reale cambiamento. La donna aderisceconvinta alla parola di Gesù: “Signore, dammi que-st’acqua, perché io non abbia più sete e non continuia venire qui ad attingere acqua”. Il capovolgimentonell’asse del discorso è avvenuto: la donna chiede ecosì facendo confessa di non avere, e contemporanea-mente ammette che colui che le aveva chiesto da berepuò darle quest’acqua. È vero che la donna sta pen-sando ad un’acqua “magica” che, dissetandola unavolta per tutte, la sollevi dalla fatica giornaliera del-l’andare al pozzo, ma sarà la brusca interruzione im-posta da Gesù al tema dell’acqua che distoglierà la

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donna dall’ambiguità che le è diventata pelle e vestito,e nella quale è rintanata.

Il marito che non c’èRepentinamente, Gesù lascia cadere il tema del-

l’acqua e, cambiando registro, porta il discorso sulmarito della donna. Come prima, questo cambio diargomento e spostamento di piano, coglie la donnapiù attratta che in ritirata: Gesù sposta il tema e“sposta” la donna, che a sua volta si lascia spostare. Equesta volta il cambio della donna è definitivo: “Va’a chiamare tuo marito e ritorna qui”. Gli risponde ladonna: “Io non ho marito”. Le dice Gesù: “Hai dettobene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinquemariti e quello che hai ora non è tuo marito; inquesto hai detto il vero” (vv. 16-18). La donna diceparte della sua verità. Non tutta, ma inizia a dirsi sulserio. Quell’invito del Giudeo seduto lì al pozzo eche le chiede di andare a chiamare suo marito,costringe la donna ad esporsi, a dare un nome aduno spezzone della propria vita, a pronunciare, perla prima volta nel dialogo, un verbo in prima personasingolare: Io non ho marito. Sarà Gesù ad illuminarel’altra parte della verità che la donna ha lasciata inombra, gettando luce piena sul passato e sul presentedi lei. Attraverso quella imprevedibile parola di Gesù,ella viene strappata dall’ambiguità e viene liberata. Un tratto sorprendente del dialogo, a questo

punto, richiama fortemente l’attenzione: Gesù liberala donna consegnandola alla sua piena verità senzadenunciare la situazione immorale di lei, senza sen-tenziare sul suo peccato, senza una sola parola dicondanna, d’ironia, o di velato moralismo sulla suadiscutibile situazione. Anzi, le parole del maestro

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circa quel dirsi nella (mezza) verità da parte delladonna, sono accompagnate da un apprezzamento:“Hai detto bene”. Gesù evocando tutta intera la veritàdella donna, anticipa alla stessa la sua identità diMessia, subito dopo solennemente proclamatale dal-l’assetato. Finalmente per lei, il percepirsi conosciuta,attiva il riconoscimento di Gesù. Infine, la domanda sul marito che non c’è, chiamato

in causa da Gesù, introduce nel dialogo quel terzoelemento che spezza la tensione Gesù-samaritana,incrinando quel recinto impalpabile in cui la donnacostantemente si rifugia e generando un’apertura allaverità. Gesù riconosce la sincerità della donna propriolì dove lei non ha nulla da rispondere, nulla dascusare, nulla da far apparire diverso da come è inrealtà. È proprio in questa mancanza di puntelli, inquesto “vuoto”, che si spalanca un frammento di co-municazione vera.

Il tempio che non deve esserciUna parola ricorrente in quest’ultima parte del

dialogo è adorare/proskynéo che compare in questiversetti 9 volte sulle complessive 11 del Vangelo diGiovanni (cf vv. 19-26). Ad-orare, richiama l’immaginedel bacio che riverisce e il gesto del prostrarsi che loaccompagna. È tipico del linguaggio, della gestualitàcultuale, e implica il riconoscimento della maestà diDio da parte della creatura. Ogni tradizione religiosaha associato l’atto di adorare a qualche luogo particolareed eccezione non faceva il mondo giudaico e quellosamaritano. I primi indicando l’esclusività del tempiodi Gerusalemme e gli altri, con altrettanta esclusività,il monte Garizim. Ma per due volte Gesù assicura ladonna che “viene l’ora, ed è questa” (cf v. 23), in cui

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l’adorare non può più essere vincolato ad un luogo.Il tempo decisivo dove non si adorerà Dio né a Geru-salemme, né sul Garizim, né altrove, è giunto: sottrattii luoghi materiali deputati all’adorazione, Gesù indicaalla samaritana, come spazio di adorazione, un non-luogo che non è definito da nessuno spazio geografico.È giunto il tempo di adorare “in spirito e verità” chesignifica: Io sono la verità e in me dimora pienamentelo Spirito che mi offre a te e a tutti come verità. Peradorare il Padre non si transita ormai per nessuntempio, ma solo attraverso la mia persona. L’adorazionedel Padre avviene nel Figlio ed esclusivamente in lui,perciò ogni altra prassi cultuale, giudaica o samaritanache sia, ha fatto il suo tempo. Chi adora il Padre “inspirito e verità” non necessita più di uno spazio sacroo di un tempo sacro, perché tutto lo spazio e tutto iltempo dell’esistenza umana è coinvolto nell’adorazionee ha sempre come punto di riferimento ultimo ilPadre nel Figlio.

La brocca che si può lasciareTutto quello che l’assetato e la donna con la

brocca dovevano dirsi, se lo son detto. Ora si mettein marcia una fede che si fa testimonianza. E il segnodi questa impellenza è dimenticare/lasciare la brocca eandare in città e parlare di quel Gesù che aveva incontrato.Quella brocca ormai può essere lasciata in disparte.Dunque la donna, venuta al pozzo a cercare l’acqua,dimentica/lascia la brocca. Alla rivelazione piena diGesù, l’evangelista non dice che la donna “credette, siprostrò davanti a lui, pianse, gioì...”. No. Solo questointenso, minuscolo, formidabile dettaglio: si dimenticala brocca lasciandola lì! Ciò che prima le interessava,ora ha perso il suo valore. Probabilmente non perché

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le cose di prima fossero inutili o cattive, ma perchéha incontrato un di più da ciò che viveva, qualcosa dipiù bello, di più significativo, qualcosa di ormai irrinunciabileche fa impallidire e ridimensionare ciò che prima ri-teneva irrinunciabile. Commenta Bruno Maggioni,un sapiente maestro delle pagine evangeliche: “Èquesto per me il vero incontro con Dio, l’incontrocon qualcosa che ti fa capire che altre cose che cercavivalgono di meno; magari ne hai bisogno, (perchédell’acqua hai bisogno), ma non sono più la ragionedella tua vita […] Era in ricerca questa donna? No,questa donna non è venuta al pozzo cercando. Qual-cuno, da buon predicatore, potrebbe sottolinearecerti aspetti e dire: Certo, questa donna è venuta aprendere l’acqua, ma sapeste che tormento avevadentro..., quell’uomo non era suo marito... sapesteche tormento! Ma no! Era contentissima di averequell’uomo lì, le andava benone! Non è perché avevachissà quale tormento che ha capito, è perché ha in-contrato qualcosa di nuovo, e di più!”.È quel magis, quel di più che le fa dimenticare la

brocca. Questo lasciare andando, è indizio di un’urgenzadiversa che ora le si impone: non può non raccontarequel di più che ha fatto irruzione nella sua vita. Aiconcittadini non racconterà i particolari di quel fittoe imprevisto dialogo al pozzo con il Giudeo; nondirà una parola sull’acqua viva e neppure sulla scottantesoluzione data dall’uomo sui luoghi di culto. Allasua gente non si vergognerà di insistere sul risvoltopersonale della sua storia personale – “Venite a vedereun uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto”– e sulla forza rivelatrice di quell’uomo che le hachiesto da bere. E, discretamente, porrà la suadomanda:“Che sia forse il Messia?”, invitando i suoi concittadini

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ad andare personalmente da Gesù per sperimentare,come lei, un incontro radicalmente nuovo, bello.Unico. Lasciando ciò che le appartiene, trova a chi ap-partiene. E, proprio come Gesù che doveva passareper la Samaria, la donna deve raccontare di Gesù aisamaritani.

L’identità che si può trovareLe lettura orante di questa pagina evangelica ci

sospinge a cogliere quella strettissima consanguineitàche corre tra la samaritana e ciascuno di noi. Orasappiamo di lei. Ognuno sa di sé.

- Chi è la samaritana? Forse è delusa: dopo tanteesperienze e promesse, l’orizzonte non si è spalancato.Forse è fiaccata dai maltrattamenti, crudeltà, vendette,abbandoni; forse è appesantita dalla noia e perciò èattanagliata dal desiderio di evasione; forse è esaustadall’essere sfruttata. Forse è amareggiata e vuoleeludere ogni discorso impegnativo. Forse. Non sap-piamo. Certo è che Gesù la incalza ad andare oltre, anon avvitarsi su se stessa e sui suoi desideri.

- Cosa attende la samaritana? Forse non attendenessuno e nulla. I molti esperimenti affettivi, proba-bilmente, la spingevano a non dar più credito a nes-suno. Ma quel barlume interiore, il desiderio dellavenuta del Messia che finalmente facesse verità –anche se desiderio assai vago – fa sì che, proprio a lei,il Messia si svelasse: “Sono io che ti parlo!”. Alladonna, che mostra ancora di essere chiusa dentrol’attesa messianica tradizionale (cf v. 25), Gesù attiral’attenzione su di sé, sul presente: “Sono io che tiparlo”. Gesù le chiede di accorgersi che il futuro chespera per lei è già iniziato, non deve più attendere,non deve più cercare.

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- La samaritana è figura di ognuno di noi: quando cirassegniamo ad un giornaliero scialbo e sempre identicoa se stesso; quando ci accontentiamo della nostrafatica di attingere acqua dal pozzo per una giornata ebasta; quando ci infastidiamo di richieste che ci sco-modano. Proprio allora il Signore viene, ci porta oltrela nostra quotidianità e la nostra banalità e ci fa capireche ogni altro, qualsiasi altro, non è un intruso, non èuna comparsa, bensì un invito ad andare oltre noistessi, a trovare e ad offrire il meglio di noi.

- La samaritana sono io che oggi vengo al pozzo, conla mia sete, con i miei tanti bisogni e gli infiniti,scorbutici desideri e dove nessuna domanda affiorasulle mie labbra incollate perché troppo è l’ingorgoalla porta del cuore. Ma lì Gesù, anche a me domanda:Dammi tu da bere! Cioè che tipo di sete, di desiderio,di amore c’è nel tuo cuore? Perché ti trovi oggi senzaacqua e la stai ancora cercando?

IV. Scavare i pozzi dei nostri desideri.Un itinerario quaresimale, ma già pasquale

Per la samaritana, l’impareggiabile grandezza delpatriarca Giacobbe era tutta detta in quel pozzo pro-fondo e ricco di acque al quale aveva bevuto lui, isuoi figli, le sue greggi (cf v. 12) e che ancora dissetavatutti coloro che vi andavano ad attingere ristoro.Non si poteva desiderare altro. Non c’era da scavareoltre. Bastava ed avanzava. Gesù, accostandosi a quel crepaccio riarso d’Infinito

che è la donna, così si accosta al nostro crepaccio e ciconduce ad intravedere che si può, che si deve scavareil pozzo dei desideri, che c’è altro da desiderare e che

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prendere in mano i propri desideri e interrogarsi suessi, sulla loro origine e sul loro contenuto, può spa-lancare un orizzonte neppure immaginato. Lei e noiinvitati a dare un nome ai tanti desideri desiderati,per non rimanerne catturati e per vedere cosa vi siracchiude dentro. Lei e noi invitati a risalire didesiderio in desiderio, per (re)imparare che ogninostro desiderio è alla radice e alla fine desiderio di Dio,ma anche che qualsiasi nostro desiderio può esser losnodo e il luogo di incontro tra la combattuta nostraricerca di felicità e la proposta del dono di Dio.Qualsiasi desiderio umano è perciò strada lungo laquale si possono incontrare attesa umana e offertadivina, desiderio di Dio e desiderio umano.

Scava ancora, vai oltre!Il Signore spinge la samaritana e noi ad un rinno-

vato scavo del desiderio e indica un itinerario pernon restare intrappolati nei tanti nostri pozzi, neinostri molteplici possessi. Ascoltare ciò che rimaneinappagato nel più intimo del nostro desiderio, è ilcammino che in questa Quaresima e in questa Pasquapuò diventare, per la nostra Chiesa, esperienza esodaledi liberazione e di risurrezione. Gesù ci invita a:- scavare oltre il pozzo dei propri possessi (il pozzo

dell’antenato Giacobbe, per la samaritana): “Chi bevedi quest’acqua avrà ancora sete”. L’acqua di quelpozzo può essere simbolo di tutte le ricchezze, ibeni, i possedimenti con i quali pensiamo di colmareil nostro cuore inquieto. Ma ognuno lo sa: non si hamai abbastanza e più si ha, più si vuole. Vi è una“sete”, che dentro, non sa dire mai “basta”, ma“ancora, ancora, ancora”. Non sono le realtà relative,

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e da noi assolutizzate, quelle che possono colmareuna mancanza o un desiderio. “Chi berrà dell’acquache io gli darò non avrà più sete”. Gesù promette unaquiete che non dipende da realtà materiali, una gioiache non trova la propria causa nelle circostanzeesterne, nel già conosciuto. “Se tu conoscessi il donodi Dio…”. Cioè: continua lo scavo!- scavare oltre il pozzo dei propri amori: “Va’ a

chiamare tuo marito” (= colui con il quale, oggi,cerchi unità, amore, vita). “Non ho marito” (= coluicon il quale sto, non riesce o non può offrirmi ciòche cerco). “Hai ragione… ne hai avuto cinque equello che è con te non è tuo marito”. Sei tentativi af-fettivi fallimentari per giungere alla constatazione:“Non ho marito (= non sono sposata, non so ciò cheè una vera alleanza di amore, non l’ho sperimentataancora, eppure il mio desiderio è ancora vivo). Forse,la samaritana, a poco a poco prova lo scarto fra ciòche vive e ciò che sogna, sente di aver avuto moltimariti ma non l’amore, scopre di portare dentro di séun insaziato bisogno di amore, di comprensione, ditenerezza, di significati profondi. Gesù l’ascolta enon la condanna e non aggiunge per la secondavolta “chi beve di quest’acqua avrà ancora sete”. No,presta attenzione a ciò che ella già sa: nessun amoreumano ha colmato in lei il suo desiderio di amore.Dunque: continua lo scavo!- scavare oltre il pozzo delle proprie idee religiose:

delusi dai beni materiali, delusi dalle relazioni affettive,come la samaritana ci rifugiamo in un mondo “reli-gioso”, il mondo delle nostre credenze, certi, finalmente,di trovar requie. “I nostri padri hanno adorato suquesta montagna… Né su questa montagna né a Ge-rusalemme”, né in nessun altro posto. La risposta di

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Gesù è sorprendente: da nessuna religione, da nessunaistituzione, da nessuna pratica religiosa si può pre-tendere l’acquietamento del nostro desiderio. Nessunarappresentazione dell’Assoluto è l’Assoluto! Le ideeche abbiamo su Dio sono, probabilmente, i nostripeggiori idoli (idea, ideologia, idolo hanno la stessaradice…). Detto altrimenti: amare Dio – come delresto amare un’altra persona – vuol dire rinunciare apossederlo, rinunciare a farne un avere e aprirsi allapossibilità di “essere con”, di respirare con lui, di farenostri i suoi sentimenti, le sue prospettive, i suoi stili.Perciò: continua lo scavo!

- bere finalmente dell’acqua che “risveglia”: se percalmare e colmare il nostro desiderio non bastanocose, amori, credenze religiose, chi e dove potrà darrisposta a tale insopprimibile impellenza di vita? “Iveri adoratori devono adorare nello Pneûma e nel-l’Alétheia.Dio è Pneûma ed è nel Pneûma e nell’Alétheiache si deve adorare”. Le traduzioni rendono Pneûmacon “Spirito” e Alétheia con “Verità”. Pneûma è laRuach della Bibbia ebraica, è il “Soffio”, “l’alito divita”. È Dio. Alétheia indica anche il “non-sonno”,l’uscita dalla lethé, dal sopore, dal letargo, dall’obnu-bilamento, dall’indeterminazione. Alétheia/Verità èla piena rivelazione, il totale disvelamento. Vale adire: la vera adorazione è partecipare alla vita stessache è Dio/Pneûma e che tutto si dice e si dona nellaVerità/Alétheia che è Gesù, il solo che conosce Dio/Pneû-ma. Il vero credente, dunque, adorerà, cioè “entreràin relazione”, con la sorgente stessa del nostro essere– il Pneûma/Soffio di vita/Padre – solo attraverso lapersona, le parole, la vita, la morte e la risurrezionedi Gesù di Nazaret, il Figlio e Messia. Alla samaritanaGesù dice che non si tratta perciò di bere, per dissetarsi,

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dai suoi propri pozzi – le proprie cose, i propri amori,le proprie credenze – quanto piuttosto da un pozzoche non è il suo, dove sgorga quell’acqua viva che luile dona e dall’immergersi nel Soffio/Vita che tuttal’avvolge e tutta la rinnova. La donna, adorando in“Spirito e Verità”, così come lui la invita a fare,accoglie la rivelazione di Dio nel Figlio e si risveglia,strappandosi alle acque pesanti di quei suoi moltipozzi. E beve acqua viva. Noi, come lei, in questoscavo tutto quaresimale, ma già tutto investito dellanovità pasquale, accogliendo la rivelazione del Figlio,entriamo in piena comunione con il Padre. Lui Veritàe Soffio di vita dona anche a noi acqua viva, strap-pandoci dai gorghi di acque pesanti, da possessi ine-brianti, ma soporiferi. Il seme della Pasqua, in questoscavo, è già attecchito!

Parole per lei. Parole per meA lei, a noi pellegrini in questo sabato del tempo,

l’assetato del mezzogiorno ripete: «Veglia finché iltuo desiderio rimanga vivo, non lasciarlo ingolfare osoddisfarsi con qualsiasi oggetto, materiale, mentale,religioso che sia. Ricordati che Dio è quella stessarealtà che è nascosta nel tuo desiderio, anzi è ilDesiderio stesso e, quando il desiderio non può più sa-ziarsi di alcun surrogato né di nessuna contraffazione,esso si risveglia alla sua vera natura, alla sua primaorigine. Io ti conduco verso la Sorgente non solo diacque vive di cui hai sete, ma alla Sorgente stessadella sete! Vedrai che, pure attingendo senza fine,non la esaurirai: lasciala fluire senza volerla ‘imbotti-gliare’. Ti ho detto che il Messia “Sono Io che tiparlo”: “Io Sono” è già lì, in fondo al tuo pozzo. Iogià ci sono!Non dovrai aspettare domani – in una si-

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tuazione umana, morale, sociale, affettiva, differenteo migliore – per incontrare e gustare acqua viva e vitaeterna! Resta nel Soffio e nella sua rivelazione. Sono Ioche ti parlo.Hai bevuto fino a non avere più sete e hai visto che

in te, la Fonte e la tua sete, sono ormai una cosa sola.Solo allora ti sei dimenticata della brocca, abbando-nandola a quello che tu guardavi come al pozzo in-comparabile, grande della stessa grandezza di Giacobbe.Hai lasciato lì tutti i possessi che ti garantivano tuttele tue conoscenze, tutti i tuoi amori, tutte le tueverità. Ora parli con la tua gente, che ben ti conosce,a partire da dentro, dal cuore, perché la fonte in te si èmessa a sgorgare, e sete e fonte non devono piùcercarsi. So che non hai la pretesa di dissetare quelliche incontri ma, anzi, farai venire loro più sete!La tua storia è la storia di un desiderio che non si

è lasciato soddisfare da oggetti e di un vuoto che nonsi è lasciato riempire da alcuna lusinga materiale, af-fettiva, spirituale. Io, per te, dovevo passare in Samariae mi son fatto incontro alla tua sete. Dagli oggetti coii quali pensavi di colmare il tuo desiderio, l’acquaviva che ti ho dato da bere, ti ha svegliato al Soggettostesso del desiderio che, come sai, non si lascia colmareda alcun oggetto desiderato. Tu sei un insaziabile de-siderio! Sei persona-di-desiderioma i tanti desideri nonhanno fatto altro che aumentare a dismisura la sete. Non ho dato risposta immediata ai tuoi desideri

e alla sua sete, per non offrirti oggetti troppo noti escontati. Ho accompagnato la tua mancanza, l’ho di-latata fino a che tu smarrissi tutti i limiti in grado diessere saziati da un oggetto, qualsiasi oggetto. Ora seilibera. Puoi tornare sulla montagna dove i tuoi padrihanno adorato, ma riuscirai a non chiedere più l’As-

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soluto a nessuna realtà. Perché sai che, anche contutta la buona volontà, non potrà accontentarti. Nes-suno e nulla. Puoi tornare verso tuo marito amandolofinalmente per quello che è, senza più chiedergli dicolmare il tuo desiderio di Cielo. Ora non sarai unadelusa arrabbiata perché non implorerai più ad unessere finito, piccolo come te, un amore infinito, gra-tuito e incondizionato. Ora puoi re-impossessartidelle tue ricchezze, del pozzo degli antenati e di tuttoil resto, ma non ti verrà più in mente di chiedere aituoi beni e ai tuoi possessi, sempre forzatamenteperituri ed effimeri, quella sazietà di cuore che tispinge e ti attira. Sai che il Soffio e la Verità “Sono ioche ti parlo».

V. Preghiera e desiderio

Ma dove prendere coscienza di essere un “crepaccioassetato d’infinito”? Dove sostare per dare un nomealla bruciante sete del cuore? Dove capire che l’oltre èil nostro orizzonte e che ogni desiderio va colto nellasua ultima e mai penultima istanza, nella sua defini-tività? Dove aprire gli occhi sulla radice dei nostri de-sideri e dove scorgerne l’origine? Dove scoprire che lacicatrice del divino che preme alla radice di ogni de-siderare umano, non potrà mai smettere di urgere te-nendoci svegli? Dove andare per riuscire a portarsi aldi là dell’oggetto immediatamente desiderato, pernon rimanerne prigionieri disillusi e fruitori frustrati?Dove collocarsi per risalire di desiderio in desiderio,fino a scorgere l’esigenza indistruttibile di bene, diverità, di felicità, di libertà, di definitività, che pulsa,incessantemente, nel cuore?

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Per noi discepoli di Gesù questo luogo e questospazio è la preghiera, e questo tempo quaresimale epasquale è un tempo del tutto privilegiato per accasarsiin questo luogo e vivere in questo spazio. Abbiamo imparato che cosa indica Gesù dicendo

alla samaritana che le donava di adorare “in spirito everità”. Aggiungo una sottolineatura non secondaria:se “adorare in spirito e verità” vuol dire mettersi difronte alla verità di Dio che è Gesù, significa ancheabitare la verità di noi stessi, per cogliere nella verità diDio anche la propria personale verità. Solo così sigiunge a desiderare i desideri di Dio. La preghiera cri-stiana non è solo adorazione e culto, ma è ancheapertura degli occhi sulla propria realtà personale,sull’insondabile mistero che ci abita. La preghieracristiana ci porta, sì, di fronte alla volontà del Padreper compierla come figli nel Figlio, ma ci sollecita adinoltrarci progressivamente negli stessi desideri divini,a desiderare come Dio desidera.Desidero ricordare a me e a voi, in questo tempo

santo che si apre, alcuni come per fare autentica espe-rienza della presenza del Signore nelle nostre vite,perché tutti possiamo esserne rinvigoriti, illuminati,consolati. (Son molto grato al padre Amedeo Cencini,amico della nostra Chiesa e ascoltato maestro inalcuni nostri incontri formativi, per le preziose pagineSete di Dio, Paoline 2007, a cui faccio volentieri riferi-mento per comprendere il binomio preghiera-desiderio).

Preghiera come luogo “anagrafico” dei desideri C’è un come irrinunciabile e previo, impegnativo

eppure saporosissimo: imparare a pregare ascoltandola Parola di colui che “mi ha amato e ha dato sestesso per me” (cf Gal 2,20), imparare a pregare

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davanti al Crocifisso-Risorto per noi, per me. È la“spada a doppio taglio” (Eb 4,12), che è la Parola diDio che giudica salvando e la gratuità sconvolgentedell’amore incondizionato rivelato nel Figlio appesoal legno, ad illuminare ogni anfratto del cuore. Siamocosì sospinti a dare un nome vero alle intenzioni sot-terranee, alle motivazioni, ai pensieri, ai sentimenti,ad ogni Leviathan che si divincola dentro. A tuttoquel mondo di desideri in aperto contrasto con ilVangelo, mondo agitato e agitante che ci tiene lontanida Dio, ma anche da noi stessi e dagli altri. Maproprio in questa situazione di distanza da lui, pren-dendo coscienza che le sue vie non sono le nostrevie, proprio lì, facciamo esperienza di Dio. È questa la preghiera dove tutti i desideri possono

trovare spazio ed espressione senza rimanerne atterritio affranti, l’unico spazio sacro dove possono esserechiamati per nome e dove si prende coscienza deipropri desideri soggettivi, “con timore e tremore”talvolta, ma in un’indispensabile operazione-veritàche fa bene al nostro spirito. Ed è a questo puntoche l’orante è in grado di scoprire qual è il desideriodi Dio ed evitare di confonderlo con il proprio. Dipiù. Nella preghiera, ogni desiderio può diventare stradache conduce a Dio; purificati, scavati, indirizzati versola loro origine, ma, certo, “via a Dio”. Se è vero cheimmediatamente non possono essere resi innocui, èaltrettanto vero che non possono e non devonoessere espunti dalla preghiera. È proprio questa pu-rificazione del desiderio che conduce il credente,passo passo, ad immedesimarsi con i desideri divini.Desiderandoli.È questa la preghiera che ha il marchio dell’autenticità

anche se, va detto, è un itinerario non privo di pena.

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In questo descensus ad inferos, i propri inferi, allascoperta dei propri “demoni”, ci è dato di poter fareuna ricognizione del nostro sottofondo creaturale,nell’altrimenti insondabile profondità dell’essere. Sedesideriamo pregare cristianamente, questa realtàcomplessa e negativa del nostro cuore, deve pianpiano emergere. E va ridetto: questa è già preghiera!Certo, non immediatamente gratificante, ma preghieraautentica.I maestri di vita spirituale, ma anche i buoni co-

noscitori delle scienze umane, ci ricordano che l’in-dividuazione di un desiderio oggettivamente in con-trasto con i valori “ufficiali” professati, non è sempreautomaticamente e immediatamente rilevabile. Anzi,più di una volta, esso tende a rimanere ben camuffato,inconscio. Ma non per questo domato così da essereininfluente. Reprimere questi desideri con ripetuti esolenni atti volontaristici – e anche di ottima buonavolontà – non giova. È necessario invece, evangelizzarequesti desideri, facendoli venire seriamente a contattocon la Parola che salva, perché nessun’altra forzapotrà ammansirli né altra luce illuminarli. Diversa-mente, questi desideri antievangelici, e dunque an-tiumani, si assidono piano piano nel cuore; più omeno sbadatamente li promuoviamo ad idoli e, cosìda noi autorizzati, dettano legge in casa nostra. Schia-vizzandoci.

Preghiera come tempo di attesa e spaziodel non esaudimentoDavanti alla pagina evangelica dove il Padre, pro-

prietario di un patrimonio già diviso in due parti, cheaspetta il ritorno del figlio prodigo per rifarlo erede ditutti i suoi beni apparentemente a scapito di suo

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fratello (cf Lc 15,11-32) o della preghiera – nonesaudita – di Gesù al Getzemani (cf Lc 22,39-46), o alPadre che fa sorgere il sole sui malvagi e suoi buoni (cfMt 5,45) e che non invia le schiere angeliche a difesadel Figlio (cf Mt 26,52), molti, anche tra noi cristiani,si scandalizzano. A cosa serve un Dio come questo? Anche noi possiamo portare in cuore un’idea di-

storta di Dio, neppure sfiorata dal Vangelo di Gesù,quella stessa che anche apostoli e discepoli portavanoben radicata e facevano fatica a deporre: un diopronto ad intervenire, sempre dalla propria parte,per esaudire le proprie richieste, chiamato in causaper colmare la propria insufficienza. Ma questo dionasce dai bisogni e da desideri solo umani e noncoincide con il Padre svelatoci dalle parole e dallescelte di vita del Figlio Gesù. È l’assidua familiarità amorosa con le pagine evan-

geliche che smantella le idee caricaturali su Dio cheognuno porta dentro e ci conduce a non scandalizzarcidi come il Padre si dice e si dona in Gesù. Quanti rac-conti evangelici, quante parabole ci parlano di richiestenon esaudite, di bisogni, di consolazioni pretese comediritto dovuto! Quanta proliferazione di teologie dacarnevale, proprio perché sentiamo il Vangelo senzaascoltarlo, possediamo la Bibbia senza aprirla, ci assi-diamo alla mensa della Parola senza mangiarla. L’esperienza tipica della preghiera cristiana è

proprio “la non coincidenza tra l’attesa e la risposta,tra la grazia domandata e non concessa. È l’esperienzadell’‘intervallo’, quale spazio del silenzio e dell’assenzadi Dio, del Dio che non si fa trovare dove noi gli ab-biamo dato appuntamento, del Dio che sfugge alsottile ricatto dell’orante che vuole e pretende esau-dimento, e lo cerca e provoca e non l’accontenta nei

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suoi piccoli desideri proprio perché impari a desideraresecondo quelli di Dio. […] Il tempo dell’intervallo ètempo dell’attesa e del mistero, componenti fonda-mentali della preghiera e dell’esperienza autentichedi Dio. L’incontro con il Dio di Gesù Cristo è sempreincontro con il radicalmente Altro, altro dai nostridesideri e aspettative” (A. Cencini).In questo tempo di “assenza di Dio”, l’orante

inizia ad allontanarsi da quanto percepisce comenon autentico, non in linea con i desideri di Dio, an-tievangelico. È un tempo duro pregare in questa con-dizione: i desideri dell’uomo vecchio si son rivelati intutta la loro inconsistenza e pochezza e continuano a“sedurre”, mentre quelli dell’uomo nuovo, solo intravistie appena gustati, ancora non lo attraggono con tuttala forza. Ma si deve sperimentare la fatica del pregare.Fatica benedetta e irrinunciabile perché si possa giun-gere alla trasformazione dei desideri.In questo tempo di preghiera più intensa, chie-

diamo allo Spirito di rievangelizzare la nostra preghierapersonale e domandiamo umilmente di riscoprirlacome tempo prezioso e intervallo santo. Quando cirendiamo conto che i nostri desideri vecchi, mondani,pretenziosi e antievangelici non vengono accolti, gio-iamo. Lo Spirito ci sta facendo un grande regalo. Fi-nalmente siamo costretti a interrogarci sul loro signi-ficato vero e profondo. Potremo scalpitare e adirarciperché Dio non li esaudisce, ma solo così siamo pro-vocati a purificare la nostra fede, le idee contraffatteche ci siamo fatti di lui e a soppesare la fragile incon-sistenza delle nostre richieste. Tutto e solo ciò che delnostro cuore si confronta con la promessa di Dio te-stimoniata dalla sua Parola, giungerà a tratteggiare innoi le fattezze del Figlio.

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Tutta la tradizione spirituale, cristiana, di tutti itempi e in mille modi, insegna che è proprio iltempo dell’attesa orante il tempo privilegiato in cuiil desiderio di Dio viene purificato e diventa piùintenso. Facciamo tanta fatica ad attendere e viviamol’attesa come fonte di ansia e di incertezza, se noncome frustrazione.

Preghiera come spazio di evangelizzazione dei desideri Chi abita il proprio cuore e non ne frequenta

solo le periferie, sa che la metamorfosi dei desiderinon è né magica, né automatica, né immediata. Laloro rielaborazione coincide con la propria esperienzadi credente che (ri)costruisce e consolida la propriavita di fede. Ecco perché la preghiera risulta essere illuogo “naturale” di trasformazione di quei desideriscoperti come pagani e non evangelici. Nessun in-cantesimo in questa trasformazione: i desideri vecchinon vengono fatti né sparire, né sono annientatima, proprio nella preghiera, inizia il processo dellaloro evangelizzazione. È solo nella preghiera autenticache si riesce a smascherare il rischio di proiettare suDio i nostri desideri o di assoggettare Dio ad essi.Così, forse, possiamo comprendere meglio la mi-steriosa parola di Gesù sulla necessità di pregaresempre, senza stancarsi (cf Lc 18,1). Perché pregare èreimpossessarsi della propria vita vivendola nellaverità di noi stessi e di Dio.Nessuna esistenza può essere condotta con faci-

loneria. È per noi indispensabile comprendere, sop-pesare, discernere. Soprattutto per ciò che portiamoin cuore. E non c’è nulla, nella vita cristiana, che nonpossa e non debba essere messo a confronto con leparole e con i sentimenti del Figlio, l’unico Desiderio

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desiderato dal Padre; non c’è nulla che non possa di-ventare, nella preghiera, occasione di un confrontotra i nostri desideri e il Desiderio di Dio. E nessunopuò delegare nessuno per rintracciare il significatoracchiuso nelle singole, complesse e ambigue situazionidella propria esistenza, perché molteplici sono le op-zioni possibili. Non esiste spazio più adatto per com-piere tale discernimento che la preghiera ed è cosìche l’orante apprende a cogliere i desideri di Dio ini-ziando a desiderarli per sé.Dicevo, all’inizio di queste righe, che nell’intrico

dei propri desideri si può rischiare di rimanerne im-brigliati ed imbrogliati. Scavare il desiderio, per spa-lancare gli occhi sull’Origine di quel mistero che è ilnostro desiderare, è possibile nella preghiera. Nellapreghiera possiamo porci con verità la domanda sulcontenuto e sull’origine dei nostri desideri e, risalendodi desiderio in desiderio, andando oltre gli oggettiche immediatamente ci seducono, cogliamo Diostesso come orizzonte, radice e fine del nostro desi-derare. La cicatrice del divino, spesso seppellita nelleincrespature dell’anima, inizia proprio in questa “ar-cheologia del desiderio” compiuta nella preghiera, amanifestare la sua presenza e ad esigere cura e atten-zione. Rifiutarsi di scavare il proprio desiderio significaattendarsi alle periferie del proprio cuore, finendoper desiderare molto poco e quel poco in modo mo-notono e meccanico. Soprattutto non impara Dio eneppure impara se stesso, non riuscendo così adentrare mai in dialogo con nessuno dei due! È indispensabile perciò, volgere il desiderio verso

la sua origine e, anzi, bisogna sottoporlo ad una torsioneche dice a quale tipo di rielaborazione, anche dolente,cui i desideri solo umani devono essere sottoposti.

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Il luogo dove volgere “il desiderio umano verso ilsuo obiettivo naturale, che è costituito da Dio e daciò che Dio desidera per l’uomo (e nell’uomo), è lapreghiera e lo sguardo rivolto all’origine, cioè aDio come fonte del desiderare umano, fa inevita-bilmente saltare la misura semplicemente umanadelle aspirazioni e spalanca lo spazio illimitato deldesiderare divino. […] Scavare il desiderio significacogliere qualcosa che c’è già, deposto da semprenella nostra natura e nel nostro passato; torsionedel desiderio vuol dire decidere liberamente di pen-sare e attuare il proprio futuro nella linea del desi-derare divino” (A. Cencini).

Preghiera come scoperta della propria identità in Gesù Parola del PadreLa pagina di Vangelo che ci ha fin qui accompa-

gnato, ci porta a scoprire che Gesù consegna la sama-ritana alla sua identità attuale – “mi ha detto tuttoquello che ho fatto” – e alla sua identità ideale, conte-nuta, in qualche modo, in quell’acqua – “l’acqua cheio darò diverrà... sorgente di acqua zampillante perla vita eterna” –. Ed è anche il momento che Gesùsvela alla donna la sua identità: “Il Messia sono ioche ti parlo”. In quell’incontro c’è un disvelamentovero e pieno di identità: alla donna è spalancato losguardo su chi in realtà è e, insieme, su ciò che è chia-mata ad essere. E proprio a quella donna, Gesù con-segnerà la sua identità di Messia.Nella preghiera ci è donata la grazia e la gioia del-

l’apprendimento della identità attuale e ideale dell’orante:“È questo il momento decisivo: […] scoprire che dentrola Parola è nascosta la sua identità, che la Parola di Dioparla anche di lui, di quello che è chiamato ad essere.

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La preghiera è il luogo naturale di questa scoperta;anzi, se nella preghiera non avviene questo contattocon l’io ideale ‘nascosto con Cristo in Dio’ (Col3,3), la preghiera stessa rischia d’essere alienante,una sorta di fuga da se stessi e dalle asperità dellavita, pericolo tutt’altro che irreale anche per chidedica una buona parte del suo tempo all’orazione.Il principio al quale va progressivamente educato ilcredente è che se Dio non soddisfa i desideri e nonesaudisce le richieste del richiedente è perché vuoldargli ben altro, molto di più di quanto gli stiachiedendo, anzi vuole che egli entri in relazionecon il datore dei doni, piuttosto che con i donistessi. È ancora una volta la lezione che viene daquel grande maestro della preghiera che è Agostino:‘Dio mette da parte ciò che non vuole darti subito,affinché tu impari a desiderare grandemente le cosegrandi’” (A. Cencini). Chi prega scopre che il Figlioe i suoi sentimenti, sono la sua vera vocazione e la suapropria identità, la sua realizzazione e il suo io celatofino a quell’incontro.

VI. Da desideri nuovi a una nuova solidarietà

Un cuore fatto nuovo da desideri nuovi e nuoviperché evangelizzati, può partorire uno sguardonuovo, oltre che sul volto di Dio e sul nostro stessovolto, anche su quello delle persone che ci vivono afianco. Fino a scoprirli così talmente nuovi, da indi-viduarli come sorelle e come fratelli. Le sollecitazionisul cuore, sul desiderio, sulle relazioni personali esulla preghiera che vi ho voluto consegnare per ac-compagnarvi in questa Quaresima e Pasqua 2015, a

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partire dall’incontro della samaritana con Gesù, ciconducono ad una rinnovata solidarietà. Se la nostraconversione quaresimale e pasquale non sfociasseroin un di più di amore che apre gli occhi sull’altro, chesi accorge dell’altro e se ne prende cura, sarebbevana e scandalosa.Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quare-

sima, ci indica la formazione del cuore come antidotoalla globalizzazione dell’indifferenza: “Avere un cuoremisericordioso non significa avere un cuore debole[… ma] vigile e generoso, che non si lascia chiuderein se stesso e non cade nella vertigine della globaliz-zazione dell’indifferenza […]. Questa attitudine egoi-stica, di indifferenza, ha preso oggi una dimensionemondiale, a tal punto che possiamo parlare di unaglobalizzazione dell’indifferenza […]. L’indifferenzaverso il prossimo e verso Dio è una reale tentazioneanche per noi cristiani. Abbiamo perciò bisogno disentire in ogni Quaresima il grido dei profeti chealzano la voce e ci svegliano”.Dio non è indifferente a noi. Possiamo essere in-

differenti verso fratelli e sorelle, così prossimi da con-dividerne condomìni, strade, ambulatori, negozi, luoghidi lavoro, parrocchia? Da cristiani la risposta è no!In questo medesimo tempo, l’anno scorso vi scri-

vevo: “Per vivere da fratelli non possiamo aspettaredi diventare ricchi, non possiamo invocare tempi piùprosperi, non possiamo tergiversare, perché qualcunoci potrebbe marciare. Se vogliamo costruire una reale fraternità, se vo-gliamo donare vita […] diffidiamo dell’elemosinache non costa e non duole”. Ce lo ridiciamo frater-namente l’un l’altro anche oggi, ma oggi conmaggior impellenza.

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E desideriamo tutti che questa memoria diventifeconda di vita e di bene. La prossima quinta do-menica di Quaresima, 22 marzo, la nostra Chiesacelebra la Giornata per il Fondo Episcopale diSolidarietà e Carità. Tutte le offerte raccolte duranteogni celebrazione eucaristica in ciascuna Parrocchiae in ciascuna Chiesa destinata al culto divino,confluiranno in detto Fondo. Per tenere vigile lamemoria e perché il maggior numero possibile difedeli possa rispondere generosamente a questoappello, ogni comunità riceverà delle buste appo-sitamente preparate in cui si potrà mettere ciò cheil Signore ispirerà.

Domando ad ogni parroco e ad ogni presbiterodi accompagnare le comunità lungo tutto il cam-mino quaresimale, ad iniziare dal mercoledì delleceneri fino alla quinta domenica di Quaresima, acrescere nella consapevolezza di poter e dover di-ventare fratelli, condividendo con chi pena dolen-temente la vita.

Entro quindici giorni ogni presbitero depositeràle offerte raccolte in tale giornata presso l’Economatodiocesano. Come ogni anno verrà reso noto,tramite il giornale diocesano Dialogo, quanto lacarità avrà saputo smuovere la nostra generosità.

Ringraziamo insieme il Signore per ciò che, at-traverso il Fondo, è giunto in aiuto a tanti in questoultimo anno: 315 sono stati i casi che hannoricevuto aiuto, grazie al lavoro dell’apposita Com-missione da me istituita. Una media di 26 casi almese. L’importo totale erogato è di circa 130.000,00euro. Il mio grazie colmo e caro a tutti coloro chesi son privati, anche con sacrificio di qualcosa, af-finché altri potessero riprendere il respiro.

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A tutti e a ciascuno la mia e la riconoscenzadell’intera nostra Chiesa e di coloro che son statifatti segno di attenzione.

Tutti e ciascuno possiate godere della dolcezza diun cuore nuovo creato in noi dallo Spirito del Signorerisorto. La Vergine Madre sostenga ogni nostrodesiderio di bene e con la sua tenerezza consoli ognipena, rinvigorisca ogni stanchezza, ci strappi da ognidisattenzione verso il Figlio, verso i fratelli, verso noistessi. Tutti abbraccio fraternamente.

@ �Mauro Maria

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Per incrementare il fondo episcopale,anche anonimamente, è possibile depositare la propria offerta

nell’apposito conto corrente Bancario n. 70292681, intestato a

Fondo episcopale di solidarietà Diocesi di Alghero-Bosa,

o attraverso Bonifico, Codice IBAN:IT07X0101584890000070292681

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INDICE

I. Con Gesù al pozzo dei desideri p. 1

II. Testo, contesto e parole-chiave » 6

III. Il dialogo » 11L‘acqua viva che c’è » 13Il marito che non c’è » 16Il tempio che non deve esserci » 17La brocca che si può lasciare » 18L’identità che si può trovare » 20

IV. Scavare i pozzi dei nostri desideri.Un itinerario quaresimale, ma già pasquale » 21Scava ancora, vai oltre! » 22Parole per lei. Parole per me » 25

V. Preghiera e desiderio » 27Preghiera come luogo “anagrafico” dei desideri » 28Preghiera come tempo di attesa e spaziodel non esaudimento » 30Preghiera come spazio di evangelizzazione dei desideri » 33Preghiera come scoperta della propria identità in Gesù Parola del Padre » 35

VI. Da desideri nuovi a una nuova solidarietà » 36

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Progetto grafico di copertina: Mauro Morittu | Stampa: Grafiche Peana - Alghero

Ufficio per le Comunicazioni Sociali • Diocesi di Alghero-Bosa