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NINFEO ROSA 4 Collana di studi e ricerche della Biblioteca Comunale

Mazzabbubb Di L. Cimarra

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NINFEO ROSA 4

Collana di studi e ricerche della Biblioteca Comunale

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Luigi Cimarra

MAZZABBUBBÙ Repertorio del folclore infantile civitonico

Illustrazioni di MARIA BERTO

Edizioni Biblioteca Comunale «Enrico Minio» Civita Castellana 1997

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Organizzazione editoriale, progetto grafico Alfredo Romano Impaginazione Marina Iacobelli Alfredo Romano Collaborazione Marianna Tumeo Sede editoriale Biblioteca Comunale «Enrico Minio» Via Ulderico Midossi Civita Castellana (VT) Tel. 0761-590223 Fax 0761-514180 Stampa Tipografia Punto Stampa Civita Castellana

ISBN 88-86903-03-0

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A Lucia che illumina..., ad Alessio Agostino Ivan Igor che porta santi e terribili nomi, a Jacopo piccolo e furbo come Pollicino.

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NOTA INTRODUTTIVA

Nel settembre 1953, presentando il primo numero della rivista 'La lapa' da lui fonda-ta e diretta, Eugenio Cirese, uomo di scuola e poeta dialettale, fervido animatore cultura-le e infaticabile indagatore delle tradizioni etnofolcloriche della Sabina e del Molise, spiegava da quali legami profondi con il mondo contadino, con l'umanità casuale e mi-sconosciuta dei 'semplici' nasceva la sua iniziativa editoriale. Più che da matrice ideolo-gica, sostanziata dalla coscienza di classe, il suo invito, rivolto a tutti, di darsi "una stro-picciata d'occhi per vedere uomini proprio dove fino ad ora hanno visto cafoni"1, scaturiva dalla sua solidale sympátheia con le genti della nativa terra molisana, che si portava dentro come patrimonio esistenziale. E più diffusamente scriveva: "Sono nato in un paese dove gli uomini avevano dette parole in lingua soltanto a scuola. Lingua popo-lare, vita lavoro sentimento popolari, riflessi e colorati tra i campi, le case e la piazzetta. Ho sempre creduto in quel mondo, e sempre ho avuto il rammarico che la sua storia e la sua letteratura restassero un campo chiuso di prove e di scavi riservato agli specialisti: che fossero viste come terreni di indagini minori, incapaci di contribuire, come tutto quanto è vita e umanità, al progresso della cultura; che si trascinassero dietro un ingrato sapore di curiosità turistica o di colore locale".

Sarebbe davvero un errore considerare queste affermazioni come una riproposta ag-giornata e riveduta di un motivo topico da parte di chi, maledicendo la nequizia dei tem-pi, tediato dal frastuono della vita urbana, ricerca l'arcadico rifugio (o rus quando te vi-sam!), per coltivare gli ozi letterari, e loda l'agreste semplicità del piccolo mondo antico. Esse non rappresentano neppure il tentativo di idealizzare la cultura contadina, soprav-valutandola mediante un rovesciamento interpretativo altrettanto mistificatorio e fuor-viante, ma esprimono il convincimento intellettuale, corroborato dall'esperienza quoti-diana, di chi è consapevole che le classi subordinate / dominate / illetterate sono portatrici di una cultura che è (ed è stata) compresente e viva nella comunità nazionale: questa cultura possiede valori intrinseci, costituiti da forme espressive, atteggiamenti e mentalità, insomma una concezione della vita e una visione del mondo, che non sempre e comunque risultano diverse od oppositive rispetto a quelle delle classi dominanti. La realtà complessiva di questi fatti è degna perciò di studio, da demandarsi ad una disci-plina, liberata da condizione ancillare, che sia dotata dello statuto di piena scientificità.

1 E. Cirese, Quasi un programma, in 'La Lapa', a. I, num. 1, settembre 1953, p. 1. Il passo merita

di essere riferito per esteso:"Quel mondo popolare è cosa assai seria. Se in tanti uomini e in tante opere esso è solo eco, ombra, tenue segno, nel cuore della nostra vita associata esso sta - vivo an-cora, anche se negato e respinto - come parte della nostra civiltà, e della nazione; e domanda di essere riconosciuto come storia e verità umana; domanda che non solo pochi, ma tutti, si diano una stropicciata d'occhi per vedere uomini proprio dove fino ad ora hanno visto 'cafoni'".

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In sintesi lo studioso rivendicava: 1- la dignità scientifica per una cultura depaupera-ta con appropriazioni indebite, senza che le fosse concesso in molti casi neppure il dirit-to di citazione; 2 - il riconoscimento per una cultura negata, perché secondo l'ideologia borghese contrastava con l'ideale di patria e di nazione, unitaria ed unica come la cultura che la deve rappresentare, mentre il folclore con il suo patrimonio è espressione del lo-calismo e del particolarismo, afferma in alcuni casi le istanze di autonomia.

In quanto scriveva Cirese ritrovo per certi versi la mia vicenda personale, quasi una 'vita parallela'. Appartengo ad una famiglia di operai ceramisti, a quella classe proletaria che ha attraversato gli anni del secondo dopoguerra tra illusioni e speranze, in tenaci lot-te politiche, che oggi, come allora, qualcuno può giudicare ingenue, ma che nascevano dalla fiducia in un avvenire più giusto, perché il presente era fatto di fatica e di privazio-ni, e nei periodi più neri anche di disoccupazione, di stenti e di fame. La storia della prima repubblica sta a dimostrare che forze oscure sono scese in campo nel tentativo di risospingerla indietro, di ricacciarla forzatamente al margine della storia, sullo sfondo indistinto di un crepuscolo senza giorno e senza orizzonti. La mia fanciullezza non è sta-ta soltanto l'età dei giochi e della spensieratezza... e in tutti questi anni mi sono portato dentro, senza rinnegare nulla della cultura ufficiale ed operare categoriche esclusioni, l'impegno di essere testimone e tramite della memoria collettiva. Certo nella mia prima giovinezza si trattava di una partecipazione emotiva, che piegava al populismo romanti-co, confusa in un misto di proiezione mitica e di aspirazione al riscatto: qualcuno po-trebbe osservare che mi difettava quel necessario distacco scientifico, che tuttavia, quando si vuol affermare come assoluto, diventa alibi mistificante.

La cultura delle classi subordinate è stata spesso giudicata secondo opposizioni bina-rie che ne marcavano la negatività (recettiva vs. reattiva, imitativa / ripetitiva vs. creati-va, sedimentata / stratificata vs. unitaria / coerente, passiva / statica vs. attiva / dinamica, positiva vs. propositiva), perché avrebbe derivato contenuti, modelli, strutture dalle clas-si egemoni, mediante un processo di scadimento. Si tratterebbe di una cultura inerte, quasi residuale, incapace di elaborare propri modelli in sintesi originali. Tuttavia si può obiettare che qualsiasi scambio culturale tra popoli come tra classi o gruppi sociali non è meccanico, ma implica interazione e reciprocità, non è trasmissione in senso unilaterale (secondo le definizioni dell'antropologia anglosassone donor e recipient culture), ma è anche processo mutuale nei due sensi, selettivo, plastico, autonomo con un suo sviluppo. È fondamentalmente vero ed applicabile anche al nostro caso l'appunto critico che Lan-ternari muove al concetto di assimilazione così come è stato elaborato da

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alcuni antropologi2: "Chi veda nell'assimilazione [...] una possibile soluzione del proces-so acculturativo [...] perde di vista la natura dialettica del rapporto interculturale, per cui ciascuna cultura reagisce come corpo vivente al modello proposto da fuori di un'altra cultura". Nel caso nostro poi non si è trattato di semplice coesistenza, di mondi separati e conchiusi, ma caratterizzati da flussi ininterrotti nei due sensi, che ci obbligano a ri-muovere il preconcetto di una opposizione dicotomica tra cultura complessa e cultura semplice, tra cultura organica e cultura disorganica, tra cultura originale e cultura rifles-sa, commensurata e parametrata su quella considerata superiore. Da diverso tempo or-mai in Italia gli spiriti più avveduti si sono resi conto che il disegno socio-politico, per-seguito in passato, di una reductio ad unum non ha soltanto obliterato un ricco patrimonio di tradizioni, ma ha creato un centralismo burocratico, che ha mortificato l'autonomia locale, favorendo per reazione l'insorgenza di spinte secessioniste.

La cultura di una comunità tradizionale è formata da un patrimonio etnofolclorico e linguistico complesso ed articolato; investe l'uomo nelle sua interezza ed è fatto di cono-scenze tecniche, di credenze magico-religiose, di consuetudini alimentari, di forme sa-pienziali e letterarie, di comportamenti sociali; garantisce l'identità e rinsalda l'apparte-nenza di un individuo ad un determinato gruppo. Non rimane immutabile nel tempo, ma soggiace alle dinamiche sociali e ai mutamenti strutturali, che intervengono, ed è capace di procedere sempre a nuove sintesi; di esso si può dare una visione globale ed analitica insieme. Il problema è che l'approccio metodologico con cui gli studiosi si sono accosta-ti al folclore ed alle tradizioni popolari non è stato sempre univoco e corretto, ma oscil-lante, condizionato di volta in volta, in omaggio all'ideologia dominante, dalla suppo-nenza per le superstitiones populares, considerate come aberrazioni irrazionali, o da altre interpratezioni prevaricanti come l'idoleggiamento romantico e il paternalismo po-sitivistico. Quello che necessita e di cui si sente l'urgenza è uno studio sistematico che veda il concorso e l'apporto multidisciplinare soprattutto delle scienze umane come l'et-nografia, l'antropologia, la sociologia. Per quanto mi riguarda ho cercato di dare il mio contributo, partendo proprio da quello che molti continuano a considerare ancora un 'ter-reno di indagine minore', cioè il folclore infantile.

È opinione vulgata che il gioco sia appunto 'gioco' (mi sia consentito il bisticcio ver-bale, l'apparente truismo), cioè puro e semplice divertimento, non un'attività 'seria', in cui occupare tempo e intelligenza, dato che ha valore autotelico senza alcun fine utilita-

2 Riteniamo altrettanto valida, per spiegare i rapporti interculturali, l'osservazione che G. Cocchia-ra (Le origini della poesia popolare, p. 69) applicava alla poesia: "Non solo, ripetiamo, le due poesie possono essere fra loro tributarie, ma anche in questo processo di possibile scambio si pos-sono avere tanto degli abbellimenti quanto dei deterioramenti [...]. In generale gli assorbimenti, e da una parte e dall'altra, di particolari strutture o temi, sono creazioni a nuovo e non passive ripe-tizioni".

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ristico per l'uomo. Questo luogo comune è stato largamente condiviso ed ha trovato in passato giustificazione teorica da parte degli scienziati, se escludiamo le intuizioni di Friedrich Schiller o le ricerche pionieristiche di H. Spencer, del Tylor e di pochi altri3.

Nella prefazione alla sua opera sulla psicologia del gioco infantile, Susanna Millar molto opportunamente osserva: "per molto tempo la parola 'gioco' è stata un termine lin-guistico di scarto usato per definire un comportamento apparentemente volontario, ma che non sembrava avere alcuna utilità biologica o sociale"4, cioè come passatempo fine a se stesso, che assolveva ad una funzione di svago. Tale giudizio trovava preciso ri-scontro nelle affermaziomi, talvolta drastiche, degli studiosi delle varie discipline che l'attività ludica non fosse meritevole di un'indagine scientifica o fosse tuttalpiù degna di osservazioni occasionali5. Anche le moderne teorie sul gioco, come quelle del "surplus di energia", della "ricapitolazione", della "Gestalt" od infine come la teoria elaborata da Piaget non danno risposte risolutive al problema e possono essere soggette a rilievi criti-ci, ad esse tuttavia bisogna riconoscere il merito di aver affermato la complessità del fe-nomeno assieme all'importanza che assume l'attività ludica come componente essenziale nell'evoluzione della specie e nello sviluppo dell'individuo: nel processo cognitivo come in quello motorio, a livello individuale ed insieme sociale, nell'apprendimento del senso ritmico e melodico, nel riconoscimento del rapporto spazio-temporale, nell'acquisizione delle abilità fisiche, percettivo-motorie, relazionali. Anzi gli esperimenti portati avanti dagli psicologi dimostrano che l'attività ludica della prima infanzia è correlata significa-tivamente con l'inventiva e l'originalità rilevate nelle età successive. Lo Chateau6 ha sot-tolineato a più riprese il ruolo fondamentale che il gioco assume nello incrementare le abilità fisiche e mentali del bambino: "Di un fanciullo non si può dire soltanto che 'cre-sce', bisognerebbe dire che 'si cresce' per mezzo del giuoco. Con il giuoco, egli mette in azione le possibilità derivanti dalla sua particolare struttura, realizzale capacità virtuali che affiorano successivamente alla superficie del suo essere, le assimila e le sviluppa, le unisce e le complica, coordina il suo essere e gli dà vigore".

Dal canto suo la scienza etnologica ha raccolto copiosi materiali, che, attraverso l'e-same comparato, illuminano la funzione e il valore originari dei giochi, collegandoli a

3 F. Schiller scriveva: "Der Mensch spielt nur wo er in voller bedeutung des Wortes ensch ist, und er ist nur ganz a Mensch wo er spielt". 4 S. Millar, La psicologia del gioco infantile. Torino, Boringhieri, 1979, p. 9. 5 Questo spiega il tardivo (relativamente) interesse da parte degli studiosi per questo genere di do-cumenti: "In Italia le prime raccolte di poesia popolare che includono rime infantili si pubblicano tra il 1848 e 1871. Ma è solo da quella data e soprattutto dal 1877 con la raccolta di Corazzini che si comincia a prestare attenzione a queste composizioni" (L. Gandini, Ambarabà, p. 11). 6 J. Chateau, Il fanciullo e il giuoco, p. 3.

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credenze e a riti magici remoti, e ne confermano l'importanza per la storia delle religioni e del folclore7: "Ciò che di antichissimo sopravvive sin entro ad epoche recenti, o con-ferma direttamente i dati dell'etnologia, o, per l'ambiente stesso in cui si respira, diverso da quello che gli ha dato origine, ha perduto, o può aver perduto, il suo significato ini-ziale. Se arriviamo a ricostruirlo, è solo con l'accostare la costanza di elementi che si ri-petono in vario modo attraverso ad aree piuttosto vaste e non necessariamente vicine, con elementi simili, propri di una cultura di stadio anteriore al nostro attuale, di cui sto-ria ed etnologia abbiano fatto intuire il significato. [...] È infatti sul fondamento delle no-stre conoscenze etnologiche che potremmo intuire il significato originario di certe fila-strocche ritmiche, apparentemente senza senso, che accompagnano i giochi infantili a base di imitazione di animali".

Ne consegue che le prospettive di indagine possono essere diverse e complementari e coinvolgere le competenze di molte discipline: dalla psicologia all'etologia, dalla so-ciologia all'antropologia, dall'etnologia alla storia, dalla letteratura alla linguistica, alla religione, alla musica, tanto per citare quelle più significative.

Diversamente dalle altre specie di animali, in cui i nati acquistano piena autonomia in tempi piuttosto brevi, i primati (principalmente l'essere umano) sono caratterizzati da una lunga fase di prematurità. Anzi si può affermare che nei primi mesi di vita la dipen-denza dei cuccioli dagli adulti è assoluta, poi gradatamente le varie abilità e competenze vengono acquisite attraverso un assiduo 'apprendistato', in cui tutte le potenzialità fisiche e mentali si attualizzano e si consolidano: attraverso il gioco il bambino si orienta e si confronta, collauda e sperimenta. Per quanto riguarda l'uomo durante l'infanzia il gioco svolge una funzione essenziale di esplorazione e di conoscenza di sé e della realtà circo-stante, di progressivo inserimento nella società adulta, attraverso l'assimilazione di nor-me e regole8.

7 A. Seppilli, Poesia e magia, p. 171. L'etnologa prosegue: "I precedenti possono ascendere ad epoche assai lontane, anche preistoriche, a originali propri di una cultura venatoria o di alleva-mento, sul tipo di rappresentazioni totemiche australiane, o di canti vedda che conosciamo, o di quelli degli Indi. La memoria si sarà conservata grazie all'enorme carica emozionale originaria, così come si sono conservate la favola o l'epopea degli animali. Nel suo graduale decadere fino a gioco infantile, il canto rituale originario avrà facilmente sollecitato, a vari livelli, il formarsi di altri canti, canti non del tutto uguali agli esemplari, se di questi era venuta meno l'intima com-prensione. E a lor volta i canti di imitazione avranno agito sugli elementi-tipo autentici, fino a tra-sformarli profondamente". 8 E' del tutto condivisibile l'affermazione di J. S. Bruner, quando sostiene che "il gioco è l'impe-gno principale dell'infanzia, il suo veicolo dell'improvvisazione e della combinazione, l'induttore primario di sistemi regolativi, mediante i quali alle spinte impulsive viene a sostituirsi il mondo dei freni culturali" (BJS, vol. I, Introduzione, p. 18).

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Il rapporto piccolo-adulto si instaura fin dal primo momento dell'esistenza, con sti-moli e sensazioni che madre e figlio si trasmettono reciprocamente durante la gestazione nel grembo materno, ma che si manifestano ancor più visivamente dopo la nascita; col trascorrere del tempo esso si allarga alla cerchia familiare e parentale, a quella degli a-dulti e dei coetanei: attraverso l'osservazione e l'imitazione del comportamento collauda-to dell'adulto, il bambino ne incorpora i modelli nei propri giochi, accetta l'influenza del contesto sociale, comprende la differenza dei ruoli sessuali. Dunque il processo incultu-rativo si sviluppa attraverso una interazione continua, dal momento in cui il bambino germina alla vita e sugge il latte dal seno materno: dai primi balbettamenti, dalle prime lallazioni9, dai primi passi, la comunicazione avviene attraverso il contatto fisico, l'e-spressione del volto, il sorriso, il movimento e la nenia cullante delle ninne nanne, le cantilene legate al dondolio sulle ginocchia, i primi semplici giochi come quello del 'fare cucù' oppure 'bobbo-(s)sèttete'10 via via attraverso forme più complesse, con le quali gli adulti trasmettono al bambino il patrimonio culturale, il paradigma dei valori propri del-la comunità, di cui la famiglia fa parte.

Anche il linguaggio da elementi semplici e lineari, generalmente paratattici, arricchi-ti dalla presenza di onomatopee o allitterazioni, di sillabe replicate o variate solo per qualità apofonica (ninna-nanna, pappa, papà, pupo, tata, ciciò, mamma, dindolò), di i-terazioni o anafore, di catene verbali, diviene sempre più articolato. Basterebbe accen-nare alla glossolalia che caratterizza molte delle produzioni che avvengono nella prima infanzia. In tal modo il bambino acquisisce una conoscenza elementare del vocabolario,

9 P. Levenstein, Lo sviluppo cognitivo attraverso la verbalizzazione del gioco: il programma do-mestico madre-bambino, in BJS, III, pp. 351-352: "Questo progetto nacque dalla convinzione, sostenuta dall'evidenza della ricerca, che lo sviluppo mentale è in stretta relazione con quello ver-bale, e che la madre può influire sulla crescita cognitiva a seconda della quantità e della qualità dell'interazione verbale che riesce a stabilire col proprio bambino. Ne sia consapevole o no, la madre di un bambino in età pre-scolare è in effetti il principale agente ambientale del suo svilup-po intellettivo. In questo ruolo - che è poi essenzialmente quello di un 'socializzatore' cognitivo quale aspetto del più generale processo di socializzazione, essa è l'elemento rappresentativo della famiglia, e cioè il canale più importante attraverso il quale la cultura da sociale diventa individua-le". 10 A proposito di questo gioco che l'adulto (di solito la mamma) propone al bambino, vd. quanto affermano J. S. Bruner e V. Sherwood (Il gioco del cucù e l'apprendimento delle strutture norma-tive che lo regolano, in BJS, III, p. 341): "il gioco del cucù può essere considerato senza ombra di dubbio come una delle più universali forme di gioco tra adulti e bambini". Simile al primo è bbobbo...sèttete (vd. DEI, vol. I, p. 468, s.v. bausètte), che è in uso anche a Roma; l'esecuzione è molto semplice e si fa ai bimbi intorno al primo anno di vita: l'adulto, nel pronunciare la prima parola, si copre il volto, accostandovi le mani. Dopo qualche attimo, a sorpresa, si scopre, pro-nunciando la seconda parola e atteggiando il volto al sorriso.

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dei moduli intonazionali e ritmici, delle strutture linguistiche. La padronanza di questi forme e strutture assume una funzione per lui rassicurante, agevolando un progressivo arricchimento personale, anche se implica nel contempo un condizionamento.

L'educazione 'linguistica' prosegue senza interruzione, quando i genitori esercitano la capacità mnemonico-imitativa, proponendo bisticci verbali come gli scioglilingua, o quando sollecitano l'acume dell'ingegno, la capacità di riconoscere relazioni attraverso la soluzione di indovinelli.

Principi morali e religiosi, regole di vita e di comportamento, vengono trasmessi con l'insegnamento di semplici orazioni e di pratiche devozionali o con la citazione di pro-verbi, che rappresentano un patrimonio di saggezza accumulato nella millenaria espe-rienza dell'umanità. Si sviluppano il gusto narrativo, l'interesse per l'immaginario e il fantastico, il rapporto magico con gli elementi naturali mediante la narrazione di fiabe e favole; si rinsaldano i legami con la comunità attraverso il racconto delle leggende stori-che o l'enunciazione dei blasoni popolari.

Il processo di trasmissione del patrimonio culturale tra generazioni avveniva in pas-sato secondo modalità, diverse da quelle attuali, alle quali vale qui la pena accennare, tenuto conto che, in linea con le trasformazioni economico-sociali che hanno caratteriz-zato la società italiana, anche Civita Castellana ha subito dagli inizi del secolo profondi cambiamenti: "è divenuta il polo dinamico al centro d'una vasta area industrializzata, l'unica della provincia di Viterbo. Con profondi cambiamenti strutturali - che hanno vi-sto il passaggio brusco, da un assetto preindustriale con prevalenza del primario accanto a modeste attività artigianali, ad uno industriale specializzato - è cambiato l'intero modo di vivere nel giro di un paio di generazioni"11.

Occorre preliminarmente precisare che il concetto di "infanzia" come età a sé stante, come età protetta, cui si riconoscono particolari diritti, separata dal mondo degli adulti, è acquisizione relativamente recente. Rientra nella ridefinizione delle varie fasi della vi-ta che si è imposta negli ultimi secoli: si consideri per altro verso la formula 'terza età', cui non si deve attribuire soltanto un valore eufemistico, poiché è postulata dal progres-sivo allungamento dell'esistenza e dalla persistente vitalità che le mutate condizioni so-cioeconomiche garantiscono, rispetto al precoce invecchiamento, all'usura fisica e al-l'abbrutimento, cui la fatica condannava le generazioni passate.

A fronte di una scolarizzazione ormai generalizzata, occorre ricordare che, fino alla seconda guerra mondiale, limitata è stata l'incidenza della scuola e che l'abbandono sco-latico costituiva una regola: soltanto una esigua minoranza possedeva una buona padro-nanza della lettura e della scrittura, rari erano i casi in cui si riusciva a conseguire la li-cenza elementare.

11 F. Petroselli, Tradizione identità collettiva ecc., p. 92.

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Il lavoro minorile era fenomeno largamente diffuso, non soltanto nelle campagne. In un'economia chiusa, di sussistenza, dove il risparmio era un principio ferreo e le braccia umane rappresentavano una risorsa irrinunciabile, anche i bambini venivano impiegati in mansioni o in lavori poco remumerati, ma non per questo meno spossanti: si pensi, tanto per fare un riferimento concreto ed immediato, ai biscini, cioè ai pastorelli, i piccoli gar-zoni che erano adibiti nella custodia delle greggi, o ad operazioni minori come la spigo-latura ('nnà a spica), dopo che nel campo erano passati i mietitori. Le testimonianze a tal riguardo sono precise; il ricordo della fatica non è mai sfocato nella memoria degli anziani: a scòla noi 'n ce semo potuti nná, perchè i ggenitori...de òtt'anni sò nnato a riccòjje' 'a jjanna io. E ppijjàmjo sètte sòrdi ar giorno. E allora come facevi a 'nnà a scòla?12. La mobilità nel territorio era ridotta: il ciclo dell'esistenza per molti si consu-mava, se si eccettua la parentesi del servizio militare e le sortite nei paesi limitrofi in oc-casione di fiere, all'ombra del proprio campanile. La trasmissione del 'sapere' aveva co-me strumento l'oralità ed aveva come 'maestri' gli adulti, avveniva nel contesto della vita quotidiana, spesso durante il lavoro nei campi oppure durante il lungo apprendistato nel-la bottega di un artigiano: 'o mestière tòcca rubballo coll'òcchi; 'o novizziato se paga, ammonivano con tono perentorio i proverbi.

Il primo ambito nel quale il bambino 'imparava' direttamente era la famiglia. Abbia-mo già accennato al ruolo insostituibile svolto dalla madre, con la quale nei primi anni di vita il bambino manteneva un rapporto privilegiato, per non dire esclusivo: era lei che lo allattava, lo ninnava, gli insegnava i primi movimenti; il bambino viveva con lei quasi in simbiosi. La prima voce che sentiva risuonare era quella della madre che parlava o cantava, da lei venivano le prime sensazioni tattili, le effusioni, gli sfoghi, i rimproveri.

Significativo risultava, all'interno della famiglia allargata patriarcale, nella quale convivevano più nuclei, il ruolo degli anziani, soprattutto dei nonni, depositari di espe-rienze e conoscenze accumulate negli anni, archivi viventi di memoria e fonti inesauribi-li di saggezza: nelle lunghe veglie invernali, durante i lavori nella stalla (scartocciatura del granturco) o nei campi (raccolta delle olive, vendemmia, mietitura), nelle solennità ricordevoli, essi trasmettevano alle generazioni più giovani, assieme ad una molteplicità di utili nozioni empiriche, un vasto patrimonio di tradizioni.

Nei piccoli centri rurali non meno importante era il 'vicinato', che svolgeva beninteso una funzione di controllo e di censura, ma garantiva pure solidali vincoli di mutua assi-stenza, con una vigilanza assidua sui bambini, quando i genitori erano impegnati nel la-voro dei campi, perché, quanno se 'nnava a llavorà fòra, se lavorava da levata a ccala-ta. La presenza dei vicini era protettiva e rassicurante. Più forte risultava la coesione

12 Inform. Nazzareno Ricci. Nella raccolta delle ghiande venivano impiegate pure le bambine, che trascorrevano l'intera giornata lontano da casa, sotto le grandi querce che dominavano nella soli-tudine della campagna, spesso esposte alle intemperie, per un compenso irrisorio. Una anziana donna, rievocando gli anni della sua infanzia, ha citato, a testimonianza di questa fatica, il verset-to che veniva cantilenato: "Bbirèlla bbirèlla / pe' ssètte sòrdi tòcca mette' 'e mano per tèrra".

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sociale, come l'adesione al complesso di valori etico-religiosi, che erano condivisi dal-l'intera comunità, l'universo segnico utilizzato per comunicare era noto a tutti. La struttu-ra stessa del centri agevolava la convivenza: l'abitato, contenuto per secoli entro limiti precisi, non aveva avuto espansioni urbanistiche, e l'assetto delle case non era progettato per garantire una privacy assoluta; esistevano spazi deputati all'incontro e alla aggrega-zione (il cortile, la strada e gli slarghi tra le case per i bambini; la piazza e l'osteria per gli uomini; la bottega, il lavatoio o il forno pubblico per le donne), offrendo continue occasioni per rinsaldare i rapporti sociali. Nel mondo contemporaneo le occasioni per stare insieme si sono rarefatte: il traffico intenso nelle strade, l'esistenza convulsa senza pause, lo stesso assetto urbanistico (l'insediamento di Civita Castellana, in mezzo secolo, ha travalicato le forre che delimitano il sito originario e si è estesa a macchia d'olio aldi-là del ponte Clementino) non facilitano l'aggregazione dei bambini. Se poi pensiamo ai processi di omologazione perseguiti dai massmedia, dai mezzi onnipervasivi con il loro potere di persuasione (televisione, radio, la comunicazione informatica e telematica) ci rendiamo conto come gli individui vengono trasformati in monadi isolate, marcate dal medesimo senso di solitudine.

L'altro fattore che occorre tenere presente è il gruppo dei coetanei, nel quale non ve-rificava lo stacco che ritroviamo oggi tra le giovani generazioni. In una comunità tradi-zionale "non si manifesta quella rigida separazione che l'organizzazione istituzionale prescolastica e scolastica impone e che conduce spesso al condizionamento stesso dei comportamenti dei bambini (un gruppo di bambini di otto anni, per esempio non accetta nel suo gioco bambini di cinque o sei anni). La tendenza oggi è che ogni bambino abbia una vita circoscritta fra i suoi coetanei in modo che le esperienze comuni possano svi-lupparsi meglio, senza pensare a quanto possa essere utile assorbire (anche senza capir-le) esperienze dei bambini più grandi"13.

Abbiamo dunque individuato i due fondamentali assi di trasmissione dei giochi: da-gli adulti ai bambini, da una generazione di bambini all'altra. Prima di concludere queste brevi riflessioni, ci preme rimuovere il radicato pregiudizio che vede nella realizzazione del rapporto adulto-bambino un flusso a senso unico. Qualche studioso continua a rite-nere che il patrimonio dei giochi sia costituito essenzialmente da forme di 'scarto', cioè decadute dal mondo adulto e riciclate in quello infantile. Riducendo l'autonomia dei bambini ad un atteggiamento ricettivo, si nega loro la capacità di imitare, vale a dire la 'loro' capacità di selezionare e di rielaborare. Invece sono proprio essi, con il loro l'in-tervento attivo, ad apportare continue innovazioni e modifiche alle rime e alle regole apprese, ad inventarne di nuove, contribuendo a creare la loro cultura, in parte ricalcata sul modello di quella adulta e in parte costruita in contrapposizione e in reazione ad es-sa. Non intendiamo di certo affermare una creatività assoluta, che proceda quasi ex

13 S. Mantovani, Lo daremo all'uomo nero..., p. 70.

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nihilo, ma nemmeno giustificare la trasmissione di un patrimonio così importante per semplice forza d'inerzia. In un saggio sul 'linguaggio infantile ed afasia' Roman Jakob-son ha svolto riflessioni che assumono anche per il folclorista un non trascurabile peso 14: “La creatività del bambino non è evidentemente pura creatività, invenzione dal nulla; dall'altro l'imitazione non è una meccanica e involontaria adozione. Il bambino crea mentre riprende dagli altri. L'obiezione a ogni concezione che nega qualsiasi valore au-tonomo a un 'bene culturale decaduto' è altrettanto valida per l'acquisizione del linguag-gio nel bambino: il suo riprendere non è esattamente un copiare; ogni imitazione richie-de una selezione e quindi un allontanamento creativo dal modello. Certi elementi del modello vengono eliminati, mentre altri acquistano un nuovo valore".

Il repertorio folclorico, che sono riuscito a riunire in vari anni di ricerca a contatto con gli anziani e i bambini di Civita Castellana, non costituisce soltanto una documenta-zione retrospettiva, di intrinseco valore culturale, ma tenta di riproporre un quadro esau-riente di quella attività ludica, grazie alla quale il bambino attraversava il mondo della rappresentazione e del simbolo e passava a quello della realtà, per affrontare con sicure mappe di orientamento la multiforme avventura dell'umana esistenza.

Luigi Cimarra

14 R. Jakobson, Il farsi e il disfarsi del linguaggio, p. 12.

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AVVERTENZA

Questa raccolta rappresenta un esauriente repertorio di testi cantati e non cantati propri, anche se non esclusivi (come per es. le categorie degli indovinelli e degli sciogli-lingua), del folclore infantile in uso in una comunità, Civita Castellana appunto, interes-sata negli ultimi cento anni da evidenti e profondi processi di trasformazione, che ne hanno modificato l'assetto socio-economico, demografico, urbanistico e culturale.

L'indagine sul patrimonio folclorico e dialettale di Civita Castellana fu da me avvia-ta, anche se in maniera non sistematica e continuativa, intorno agli anni '60 con la com-pilazione di un piccolo glossario manoscritto, nel quale presi ad annotare voci che rite-nevo peculiari della località e distanti dalle corrispondenti forme in lingua nazionale, alcuni blasoni popolari (Foligno 'nfòjja), qualche breve tiritera sui nomi di persona (Giuanni collí carzoni bbianghi), qualche formula fascinante (Fargo fargaccio). Ad in-crementare la ricerca intervenne un decennio più tardi la tesi di laurea su "Le tradizioni popolari delle terre comprese tra il Soratte ed il Cimino", discussa presso l'Università di Roma nell'aprile 1970, relatrice la prof.ssa Bianca Maria Galanti.

Tuttavia gran parte dei materiali è stata messa insieme, adottando rigorosi criteri d'inchiesta, nel periodo 1972-1985 con verifiche e controlli suppletivi effettuati negli anni successivi. Sono stati registrati generalmente per iscritto sotto dettatura, ogni volta che se n'è presentata l'occasione. Vi compaiono in numero ridotto testi còlti in situazione dal vivo (indicati con l'aggiunta di un asterisco accanto all'esponente numerico), mentre venivano utilizzati dai bambini per eseguire i loro giochi oppure dagli adulti per intrat-tenere i piccoli, ma sono per lo più desunti da interviste o meglio da conversazioni in-formali, da me sollecitate, con informatori anziani. Ho goduto invero della condizione vantaggiosa, se non ideale, di essere un ricercatore nativo, in possesso di una conoscen-za attiva del patrimonio folclorico per averlo usato od osservato durante la mia infanzia, di essere cioè co-depositario della tradizione, per di più anche dialettofono; di vivere nella realtà quotidiana a diretto contatto con i miei concittadini, quindi di non avere la necessità di immedesimarmi nel ruolo di raccoglitore, ma di praticare il metodo della partecipazione osservante con naturalezza, senza dover adottare particolari accorgimen-ti; di poter cogliere a volo situazioni comunicative (conversazioni, memorie e rievoca-zioni del passato, esecuzione di giochi), di poterle stimolare, senza simulazione, con uno scarto minimo di artificiosità; di possedere, unita ad una preparazione teorica, una me-todologia sufficientemente corretta, sviluppata in una trentennale esperienza di ricerche etnofolcloriche e dialettologiche sul campo in tutta la provincia e nei territori limitrofi. Tuttavia ho utilizzato la mia conoscenza della tradizione soltanto come termine di con-fronto cronologico tra il patrimonio posseduto dalle altre generazioni e quello della mia (i cinquantenni di oggi) oppure come stimolo durante le interviste, dato che, per obietti-vità scientifica, ho preferito che fossero gli altri informatori a fornire i materiali, anche quando testi e modalità esecutive mi erano perfettamente noti.

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L'ordinamento della raccolta risulta piuttosto semplice: i testi sono contrassegnati da un numero progressivo che li precede e che serve come utile rimando a quello delle note di commento, che ho posto in fondo al volume. Le differenti versioni di uno stesso testo, quando non sono riferite nelle note, sono presentate l'una di seguito all'altra, in ordine di affinità formale, ma in maniera autonoma, per evidenziare il continuo e attivo processo di rielaborazione e di rifacimento (sostituzioni, adattamenti, aggiunte, omissioni, modi-ficazioni, contaminazioni e trasformazioni), intervenuto nel passaggio da una generazio-ne all'altra, da un gruppo all'altro o, se vogliamo, per documentare in qualche caso il processo di deterioramento, sfaldamento e deformazione di un testo (i lapsus mnemoni-ci, gli equivoci, le incongruenze, le incoerenze, con i conseguenti ed immancabili travi-samenti). Ho riunito ed ordinato i materiali per sezioni, seguendo come criterio il genere o la funzione.

La seconda parte è costituita dall'indice degli informatori, dall'apparato di note di commento, dal glossario, dall'indice dei testi e da quello generale. L'indice degli infor-matori è formato da un elenco in ordine alfabetico, ove compaiono sinteticamente gli e-lementi indispensabili per l'identificazione: i dati anagrafici, l'eventuale soprannome o ipocoristico, il mestiere esecitato, il grado di istruzione, la mobilità territoriale di cia-scuna persona con l'indicazione, mediante rinvio al numero, dei testi che ha fornito.

Più complessa risulta l'organizzazione delle note, nelle quali riporto la descrizione delle modalità esecutive del gioco; le chiose e i commenti dell'informatore; le varianti minime date da altri informatori rispetto al testo accolto come principe; il corredo di no-tizie linguistiche, storiche ed etnofolcloriche che ritengo indispensabili per illustrare ed interpretare il testo; il riferimento bibliografico ad altre versioni edite, privilegiando nel raffronto quelle del territorio provinciale, della capitale, che considero centro primario di irradiazione, e dell'area mediana in genere, non tanto per tentare una completa analisi filologico-comparativa, quanto per delineare un contesto culturale complessivo, più am-pio ed articolato. Il numero preposto a ciascuna nota corrisponde a quello del testo a cui rimanda.

Per facilitare al lettore una retta comprensione, il volume è completato con un glos-sario, nel quale sono accolte e spiegate, con l'equivalenze in lingua nazionale, le voci vernacolari difformi.

Nella riproduzione grafica, ho trascurato di proposito le esigenze di una rigorosa tra-scrizione fonetica, per agevolare l'intellegibilità dei testi; mi sono tuttavia sforzato di conservare le caratteristiche fonetiche della parlata locale, cui essi appartengono: ten-denza alla chiusura di o protonica in u (mundagna); pronuncia intensa di b e g palatale, iniziali e intervocaliche (reggina, bbono); monottongamento di uo > o (del tipo bono "buono"); rafforzamento della consonante m nella sillaba postonica dei proparossitoni (càmmera, gómmito, fémmina, còmmido); rotacismo della L preconsonantica (curtèllo); passaggio della affricata palatale sorda a fricativa palatale (pece); scadimento della late-rale palatale a j (ajjo, fijjo , in pronuncia veloce anche fio); sonorizzazione dell'affricata dentale sorda (porzo); lenizione di occlusive, affricate e fricative labiodentali nei nessi dopo liquida e nasale (ardo, tembo, carzetta, cargagno), dopo nasale anche in fonosin-

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tassi (n. 327 in guesto ggiorno; n. 345 ogni gallina um beccatore; n. 351 famme 'n gap-pellaccio; n. 369 cojje 'n viore); assimilazione dei nessi -ND-> -nn- (monno, sponnà) e -MB- > -mm- (ciammèlla, tómmala); esito dei nessi NJ e NG in ññ (piagne'); instabilità delle postoniche mediane con frequente armonizzazione alla finale nei proparossitoni (zùccoro, àrboro). Non ho tralasciato di registrare altri fenomeni ricorrenti come ad es. l'aferesi ('nginòcchia, 'ngènnara); come l'apocope, sia in situazione normale (cambanó', cappó', cannó') che negli allocutivi o nella sillaba finale dell'infinito talvolta con ritra-zione dell'accento (zinnà, riccòjje, dormì, pia').

Sono stati sistematicamente rispettati i raddoppiamenti fonosintattici, la qualità delle vocali toniche, la pronuncia di alcune consonanti. Con carattere corsivo ho indicato le vocali toniche aperte, la s sonora, la c palatale intervocalica, la z sonora. Le sillabe toni-che sono segnate in parole tronche e in quelle sdrucciole con accento grave o acuto, se-condo le esigenze; con quello acuto ho evidenziato inoltre l'accento di insistenza non necessariamente coincidente con quello tonico, così come è stato realizzato nella caden-za ritmica durante l'esecuzione. Il trattino, se usato all'interno della stessa parola, avverte della scansione netta di alcune sillabe, soprattutto nelle conte; se è interposto tra due pa-role consecutive, segnala che sono realizzate in un'unica pronuncia. Ho posto tra paren-tesi rotonde le vocali che in pronuncia cursoria sono state talvolta tralasciate dall'infor-matore.

Ho riportato in apposita appendice i testi recuperati quando ormai l'ordinamento del-la raccolta era definitivo e concluso e l'inclusione avrebbe potuto pregiudicarne l'assetto.

Sono consapevole che l'assenza della notazione musicale costituisce un grave limite, poiché questa non rappresenta un elemento accessorio, ma coessenziale alla compren-sione globale del testo, tuttavia ho preferito escludere del tutto la trascrizione piuttosto che contrabbandare come fedele e scientificamente sicura una trascrizione approssimati-va, quale che fosse.

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ABBREVIAZIONI E SIMBOLI USATI

a. atto agg. aggettivo alloc. allocutiva avv. avverbio, avverbiale cfr. confronta CH. chiosa dell'informatore coll. collettivo dial. dialettale dimin. diminutivo es. esempio eufem. eufemismo, eufemistico fig. figurato ibid. ibidem impf. imperfetto infant. infantile inform. informatore ipocor. ipocoristico ital. italiano l. libro lat. latino lett. letterale, letteralmente Lnaz. Lingua Nazionale locuz. locuzione n. (nn.) numero (numeri) neoform. neoformazione p. (pp.) pagina (pagine) par. paragrafo pers. persona plur. plurale poss. possessivo

p.p. participio passato sc. scena scherz. scherzoso, scherzosa scil. scilicet s.f. sostantivo femminile sing. singolare s.m. sostantivo maschile sopr. soprannome s.v. sub voce v. (vv.) verso (versi) vb. verbo vd. vedi vol. volume vs. versus X, Y sostituisce nome di persona x, y sostituisce numero √: variante > evolve in < risulta da ( ) la vocale è tralasciata nella

pronuncia - le parole unite da trattino si pronunciano insieme * testo registrato in situazione (!) forma linguistica corrotta ~ sostituisce parola identica

che precede […] lacuna nel testo

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NINNE NANNE

1. * Ninna-ò, ninna-ò che ppazzienza che cce vo'!

2. * Ninna popò, ninna popò che ppazzienza che cce vo'!

3. Ninna-ò, ninna-ò colli pupi pazzienza ce vo'! Colli pupi ce vo' ppace, la pappetta nu-gne piace; vonno stà sembr(e) a zzinnà, ninna nanna, ninna-nà.

4. Ninna-ò ninna-ò che ppazzienza che cce vo'! Colli pupi ce vo' ppace, 'a pappetta nu-gne piace; 'a pappetta nun 'a vo', che ppazzienza che cce vo'!

5. Ninna-ò, ninna-ò che ppazzienza che cce vo'! Co' 'sti fijji ce vo' ppace, 'a pappetta nu-gne piace. 'A pappetta 'a damo a nnino, se ne magna 'n gucchiarino; e sse magna ppan(e) e bbrace, 'a pappetta nu-gne piace.

6. Ninna nanna, pupo bbello, mamma tua te metterà l'abbituccio turchinello, tutto pieno de volà.

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7. * Fate la ninna fate la nanna fate la ninna, bbello de mamma.

8. Fate la ninna, se tte voi ddormire: lo letto te l'ho ffatto de viole, lo cuscinetto de fronne d'olive.

9. Fate la ninna, se tte voi ddormire: lo letto te l'ho ffatto de viole, lo cuscinetto de fiori d'aprile.

10. Fate la ninna ch'è ppassato Peppe, l'ho cconosciuto dalla camminata; portava le scarpette delle feste, fate la ninna ch'è ppassato Peppe.

11. Fate la ninna ch'è ppassato 'l-lupo: tutti li regazzini s'è mmagnato, solo Ggiggetto mio nu-ll'ha veduto, fate la ninna ch'è ppassato 'l-lupo.

12. Fate la ninna ch'è ppassato 'l-lupo e dde Ggiggetto mio m'ha dumannato, io jj'ho ddetto che ss'era ddormito.

13. Fate la ninna, bbello de mamma, che ppapà l'è 'nnato alla fiera, alla fiera de Bbologna, porta la tigna, lo raspo e la rogna.

14. Fa' la ninna, fa' la nanna questo bbello tesorino della mamma: e sse ppiagne 'na settimana, lo daremo alla bbefana. E sse ppiagne um mese 'ndero,

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lo daremo all'omo nero, lo daremo all'omo bbiango [...]

15. Fa' la ninna ch'ecco la micia è ppapá senzá camicia; 'a camicia nun ge ll'ha, fa' la ninna ch'ecco papà.

16. Faté la ninna, bbámbinello riccio, che mmamma te le dà le sculacciate; á ddormì te mette sopre 'm bajjericcio, faté la ninna, bbámbinello riccio.

17. * Fa' la ninna, ìtolo mio, che 'r Zignore te la leva la pelle; te lo leva lo vizzio cattivo, fa' la ninna, ìtolo mio.

18. Fa' la ninna popò ch'è vvenuto papà t'ha portato i ciciò. Fa' la ninna e jjudi l'occhi: esce esce la bbefana, esce esce dalla tana, su pp'i tetti se ne va.

19. Fijjo mmio, Doménico sando, ecco i bbecchi te vènghino a ppia'; te se pòrtino a ccambosando, fijjo mmio, Doménico sando.

20. Fijjo mmio, nun de morì ch'a zzappà nun ge vojjo ì; a rriccojje' 'o fieno mango, fijjo mmio, Doménico sando.

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21. È stato lo vendo ch'ha bbuttato ggiù la canna, sta' zzitto, bbell'e mamma, che ttata vo' ddormì.

22. O ssonno o ssonno, che de qqui ppassasti e dd'Arfredino mio me dumannasti, me dumannasti che ccosa faceva, stava alla culla e ddormì nun voleva.

23. Dindirindì ddindirindì qui sse fa nnotte, qui sse fa ddì: bbeato quello sando che tt'ha fatto venì!

24. Nina macigna le pècore nella vigna, i bbovi ner pajjaro, canda canda, pecoraro. Pecoraro pecoraretto va a mmessa e 'n ze 'nginocchia, nun ze leva 'o cappelletto, pecoraro maledetto.

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I MOVIMENTI DEL CORPO

25. * Bbùttolo bbùttolo bbùttolo via ggiù pp''e scale de sanda Maria.

26. * Staccia stacciola bbùttolo ggiù dde fora.

27. * Seta setola X va-lla scola, se porta la sediola e vva ddalla maestra che llo bbutta ggiù dalla finestra.

28. * Seta setola Lucia va la scola, se porta 'l canestrello, pieno pieno de pizzutello. La maestra jje fa ffesta e lla bbutta dalla finestra.

29. Seta setola X va a la scola se porta 'l canestrino tutto pieno de pizzutino. La maestra jje lo leva jje lo mette sul comò jje fa ddì sì e nno.

30. Seta setola l'òmmini so' dde sola, 'e fémmine so' dde stoppa, X jje caca im bocca.

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31. Seta moneta le donne de Gaeta che ffìlono la seta, la seta e la bbammace, la pappa nu-gne piace.

32. Seta moneta le donne de Gaeta che ffìlino la seta, la seta e la bbammace, X si tte piace. Il gallo e lle galline co' ttutti li purcini. Guarda 'n quer pozzo: c'è un galletto rosso. Guarda in quell'andro: c'è un galletto bbiango. Guarda laggiù: chi cc'è? Cuccurucù!

33. Sega sega lo segató' magna pane e ccipolló'. E qquann'avemo segato segato, quarche ccosa emo guadagnato.

34. Sega sega, mastro Titta, 'na pagnotta e 'na sargiccia: una a tté, una a mmé, una (a) mmàmmita che sso' ttre.

35. Din-dò ddumani è ffesta, se magna la minestra. La minestra num-me piace, se magna pan(e) e bbrace. La bbrace è ttroppo nera, se magna pan(e) e ppera.

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La pera è ttroppo bbianga, se magna pan(e) e ppanga. La panga è ttroppo dura, se va (a) lletto addirittura.

36. Dindolò dindolò sona sona 'o cambanó' per annare a la cappella cc'era 'ná regazza bbella che ssonava le venditré uno ddue e ttre.

37. Dindolò dindolò la campana de san Zimó' tutto il dì che la sonava pan(e) e vvino guadagnava guadagnava um bel cappó' per portarlo al zuo padró'.

38. Dindolò dindolò le cambane de san Zimó' san Zimó' collé cupelle dà la dote allé zzitelle. Le zzitelle stann'im piazza una tira e ll'andra 'nnaspa pe' cchi vvo' i cappelli de pajja per andare alla bbattajja. Allo sparo der cannó' tutti quandi a ppecoró'.

39. Prucci prucci somaretto su pp''a salita de Bborghetto jj'hanno rubbato 'o bbanghetto prucci prucci somaretto.

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40. * Prucci cavalli è mmorto Ribbardi collá cavalleria prùccilo via, prùccilo via!

41. Prucci prucci cavallucci ppe' la strada de Vignanello trovai ddu' zzitelle che ffacévino 'e frittelle. Me ne dette una me seppe tando bbona. Me ne dette 'n'andra e 'a misi su 'a panga. 'A panga edera rotta e ssotto c'era 'o pozzo. 'O pozzo era cupo e ddendro c'era 'o lupo. 'O lupo era vecchio e nun zapeva rifà 'o letto. 'O gatto sopre 'o tetto a ssonà ll'orghinetto.

42. Prucci prucci cavallucci llì 'a strada de Cicignano ggirai ggirai l'anello nun drovai. Trovai 'na zzipitella (!) ch'edera mordo bbella. La misi sotto ar letto, er letto era zzeppo e ssotto c'era l'urchio. L'urchio sartò ssu: bbona notte Ggesù! Bbona notte Ggesù che ll'ojjo è ccaro: costa 'n zordo a ccucchiaro!

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43. * Prucci prucci cavallucci pe-lla strada de Cicignano cercai cercai l'anello nun drovai. Trovai du' bbelle zzitelle che ffacévino le frittelle. Me ne déttero una, me seppe tando bbona; me déttero un'andra, la misi sott''a bbanga. 'A bbanga era cupa, sotto c'era 'l-lupo; 'l-lupo era vecchio, non zapeva fà 'l-letto. Il-l etto erá rifatto e ssotto c'era 'l gatto. Gatto e ggattó' cendo làghine e 'm-maccaró'; gatto e ggattino cendo làghine e 'n dajjolino.

44. Prucci prucci cavallucci llì pp''a strada de Cicignano cercai cercai, trovai 'na fundanella; me ce lavai le mano, me ce cascò ll'anello. Pescai pescai, l'anello nun 'o trovai; pescai tre ppescetti, li portai a mmonzignore. Monzignore nun g'era, c'èrino tre zzitelle, stàvin'a ffà 'e frittelle. Me ne déttero una, me seppe tando bbona;

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me ne déttero un'andra, 'a misi sotto 'a bbanga. Sotto 'a bbanga c'era 'o lupo, 'o lupo edera vecchio, nun zapeva rifà 'o letto. 'O letto edera fatto, de diedro c'era 'o gatto: gatto gattó' cendo làghine e 'm-maccaró'.

45. Prucci prucci cavallucci llà 'a strada de Cicignano ggirai ggirai, l'anello nun drovai. Trovai 'na zzipitella, (!) me misi a ffà 'e frittelle: me ne dette una, me seppe tando bbona; me ne dette 'n'andra, la misi sotto ar bango. Sotto ar bango c'era il-lupo, il-lupo era vecchio, non zapeva fare 'l-letto. Il-l etto era fatto, l'aveva fatto 'l gatto: 'l gatto sur parchetto che ssonava er ciufoletto; la gallina ggiù pp''e scale che cchiamava la commare. Bbastonate a cchi? a cchi? a cchi me sta (a) ssendì!

46. Cavallino arrì arrò per la bbiada che tti do per i ferri che tti metto per andare a ssan Frangesco

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san Frangesco bbona via cavallino via via!

47. * - Chi è cche vva (a) ccavallo? - Er-re der Portogallo. - Chi è cche cce lo porta? - È 'ná cavalla zzoppa. - Chi ll'ha 'zzoppata? - La stanga della porta. - Dov'è lla porta? - Ll'ha bbruciata 'l foco. - Dov'è 'l foco? - L'ha smorzato l'acqua. - Dov'è ll'acqua? - L'ha bbevuta 'o bbovo. - Dov'è 'o bbovo? - 'O bbovo sta llaggiù pijja Checchino e bbùttolo ggiù.

48. - Arri Roma. - Chi tte ce porta? - La gallina zzoppa. - Chi ll'ha 'zzoppata? - 'E corna della capra. - Ddov'è lla capra? - L'avranno scorticata. - Ddov'è lla pelle? - Ci hanno fatto le ciaramelle.

49. * - Chicchirichì le tre ggalline. - Chicchirichì ddo' so' ite? - Chicchirichì so' ite al campo. - Chicchirichì quanno verranno? - Chicchirichì verranno stasera. - Chicchirichì 'n g'è gnende a ccena? - Chicchirichì cc'è ll'inzalata.

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- Chicchirichì nun è ccapata. - Chicchirichì la caperemo. - Chicchirichì nun g'è ll'aceto. - Chicchirichì nun g'è ll'ojjo. - Anderemo ar Campidojjo a ssonà lla campanella scappa fora Purginella con um piatto de maccaró' se li magna tutto 'm boccó'.

50. - Cuccurucù le tre fformiche. - Cuccurucù dové so' ite? - Cuccurucù so' ite al ballo. - Cuccurucù quandó verranno? - Cuccurucù verranno stasera. - Cuccurucù che cc'è pper cena? - Cuccurucù cc'è ll'inzalata. - Cuccurucù nun è llavata. - Cuccurucù la laveremo. - Cuccurucù la mangeremo.

51. * Ggi-ro ggi-ro ton-do casca il mondo casca la terra tutti ggiù pper terra.

52. Ggira ggira rosa la mamma ha fatto 'a sposa ha fatto 'm bello pupo vestito de velluto co' carzette allá romana ggira ggira castellana.

53. Ggira ggira rosa mamma s'è ffatta sposa ha fatto um bello pupo

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colle scarpe di velluto la cuffietta allá romana ggira ggira castellana.

54. Ggiro ggiro-ton-no cavallo 'mberatonno cavallo d'argendo che ccosta cinguecendo cendocinguanda la gallina canda canda sola sola nún vo' 'nnà (a)lla scola gallina bbianga e nnera te do la bbona sera 'a bbona sera e 'a bbona notte 'o lupo de dietro 'e porte ha trovato 'na castagna 'a castagna è ttutta mia bbona sera a' combagnia.

55. * Ggiro ggiro-tondo cavallo 'mberatondo cavallo d'argendo che ccosta cinguecendo cendocinguanda la gallina canda lasciàtala candà che lla vojjo marità jje vojjo dà ccipolla cipolla è ttroppo forte jje vojjo dà lla morte la morte è ttroppo scura jje vojjo dà lla luna la luna è ttroppo bbella cc'è ddendro mi' sorella che ffà i bbiscottini

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per i pòveri bbambini i bbambini stanno male stann'all'ospedale l'ospedale sta llaggiù dajje 'n cargio e bbùttolo ggiù.

56. * Pumbara pumbara ecco papà che vviè' dall'ara colla zzappa e ccolla pala púmburumbara púmburumbara.

57. * Scalla scalla mano dumani viè' 'n villano che pporta le ciammelle pe' ddalle a' pupe bbelle 'a pupa nun 'e vo' le daremo a Nnicolò Nicolò le bbutta via gnao gnao frusta via.

58. Micia micia senza camicia: nun g'è chi lla cuce, nun g'è chi lla tajja, frusta via, bbrutta gattaccia!

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LE PARTI DEL CORPO

59. 'Mbrio 'mbrio 'mbrò prucchi prucchi prò.

60. * Cianghe cianghine cianghe cianghette a ccasa der lupo furono andate. Er lupo disse: cosa son queste? Cianghe cianghine cianghe cianghette.

61. * Pumpara pumpara chi non lo sa l'impara: Daniele che non lo sa presto presto l'imparerà.

62. Bbatti le mani ch'è mmorta la micia: tutti i micetti senza zzisa senza zzisa come faranno? Pori micetti se moriranno.

63. * Sopré 'sta bbella piazza ce passa 'na pupazza co' ttande pecorelle che ffanno bbè-bbè-bbè!

64. Questa è 'na bbella piazza ce passa 'na pupazza ce passa 'a pècara pazza co' ttutte 'e pecorelle che ffanno bbeè-bbeè-bbeè!

65. * Pòlli ce: ho ffame. Indice: nun g'è ppane. Medio: come faremo?

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Anulare: lo rubberemo. Mìgnolo: nicca nicca chi rrubba se 'mbicca.

66. * Pòlli ce: è ccascato dendro 'o pozzo. Indice: l'ha riccordo. Medio: l'ha 'sciuttato. Anulare: jj'ha fatto 'a pappa. Gnìgnolo: se lo magna.

67. * Questo (√: 'o lepre) casca dendro 'o pozzo. Questo: 'o riccojje. Questo: 'o 'sciutta. Questo: ce fa 'a pastasciutta. Questo: s''o magna.

68. Pìzzico menuto ceco cecuto cecuto e ccecuraccia va ppià ll'acqua giù pe' scaraccia la gallina zzoppa va pprèndere la bbrocca vacce tu, vacce io vacce tu, compagno mio.

69. * Chi cc'è ggiù ccasa d''a commare gorpe? Una capra scapestrata, mezza viva e mmezza scorticata, um becco ddritto e 'm becco storto, che ssi vvai ggiù te caccia 'n occhio. E io che sso' 'o gallùzzolo te caccio lo bbudellùzzolo.

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70. Questo è ll'occhiuccio. Questo è 'l fratelluccio. Questa è lla guangetta. Questa è lla sorelletta. Questa è lla scaletta. Questa è lla cchiesoletta. Questo è 'l cambanaccio 'Ndi-ndò, 'ndi-ndò.

71. * Questo è ll'occhio bbello. Questo è ssuo fratello. Quest'è 'a guangia bbella. Quest'è ssua sorella. Quest'è 'ddoraloffe. Quest'è mmagnaciccio. Questa è 'a fronde rasa prucci a ccasa, prucci a ccasa.

72. * Mondecucco. Piazza du' pidocchi. Ddu' linderne màggiche. 'O sfogatore. 'No schiacciapagnotte. O cche bber mendo! O cche bber mendo!

73. * Fronde. Bbottó'. Pistola. Cannó'.

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INDOVINELLI

74. Ggennaro 'ngènnara febbraro 'ndènnara marzo 'bbotta aprile sbotta maggio spanne e ggiugno 'ndosta. Nenè nnenè 'nduina sì cch'edè? i fiori d''a pianda (∼ dell'albero)

75. * Più 'a tiri e ppiù se 'ccorcia. 'a sigheretta (la sigaretta)

76. * 'O sai quandi ggiri fa 'na rùzzala? Tutti quelli e ppoi nom biù (tutti quelli che fa)

77. Qual è quell'animale che cci-ha 'o culo tonno e ccaca quadro? 'o somaro (l'asino)

78. * Va ggiù rridenno e vviè' ssu ppiagnenno. 'o secchio (il secchio)

79. * Bbevo acqua e nun gi-ho acqua si cci-avessi acqua, bbeverei del vino. 'o mulinaro (il mugnaio)

80. Cori corenno ficca ficchenno: fa qquella cosa,

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poi se riposa. l'ape

81. Curri currero ficca ficchero: fa qquella cosa, poi se riposa. 'a jjave (la chiave)

82. Ficca ficchella fujji fujj ella: fa qquella cosa, ppo' se riposa. 'a jjave (la chiave)

83. Pe' ppià mmojje ce vo': 'o pennende, 'o rizzende, 'o pisciannandi. Che è? 'o porco 'ppiccato, 'o sacco d''a farina, 'a bbotte - (il maiale appeso, il sacco della farina, la botte del vino)

84. 'A sòciara d''a mojje de tu' fradello a tte che tt'è? 'a matre (la madre)

85. Chi lla fa nu-lla 'ddopra, chi lla 'ddopra nu-lla vede. 'a cassa da morto (la bara)

86. * Chi lla fa, la fa ppe' vvenne'; chi lla venne, nu-lla 'ddopra; chi lla 'ddopra, nu-lla vede. 'a bbara (la bara)

87. * Scappá dar bosco un grand'animalaccio, porta quattro zzambe come 'n gavallaccio. Si vvoi sapé cchi è ccostui:

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l'omo porta lei e llei porta lui. 'a bbara (la bara)

88. * Du' lucendi du' pungendi quattro bbasamendi e 'n scacciamosche pe' ssopre-dde-ppiù. 'o bbovo (il bue)

89. Du' lucendi du' pungendi quattro zzòccoli e 'na scopaccia. 'o bbovo (il bue)

90. Nun guardà che cci-ho le corna, porto nove mesi come 'na donna. 'a vacca (la mucca)

91. Il patre è llungo lungo, la madre è stortijjona, la fijja tanto bbella che ognun ze ne 'nnamora. la vite

92. Bbella donna d'arto palazzo bbianga so' e nnera mi faccio, casco in derra e llume faccio. l'oliva

93. * Tonno bbistonno bbicchiere senza fonno; bbicchiere nun è 'nduina sì cch'edè? 'a ciammella (la ciambella)

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94. Tombolì' che ttombolava senza piedi camminava, senza culo se sedeva, come ddiàvolo faceva? 'o gnómmoro (il gomitolo)

95. Pendolì' che ppendolava la pelosa lo guardava; jje diceva: quando sì bbella, tu per aria e io per terra. 'a micia che gguarda 'a pangetta (il gatto che osserva la pancetta appesa)

96. Du' piè' sopr'a ttre ppiè' se stàvino a mmagnà um biè'. 'Riva quattro piè' jje se pia 'o piè'. Allora du' piè' pia 'o tre ppiè' 'o tira a qquattro piè' e sse ripia 'o piè'. (Un uomo sta mangiando il prosciutto seduto su uno sgabello. Il cane glielo ruba. L'uomo gli tira lo sgabello e recupera il prosciutto)

97. Du' piè' sta a ssede' su ttre ppiè', se sta mmagnanno um biè'. Arriva quattro piè', jje rubba 'o piè'. Allora 'o du' piè' se arza im biè' e ppia 'o tre ppiè' e jj''o tira a qquattro piè'. Allora quattro piè' lascia 'o piè'. 'O du' piè' riccojje 'o piè'

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e sse rimette a ssede' su 'o tre ppiè'. um becoraro sopre 'o treppiede se sta a mmagnà um biede d'abbacchio. 'Rriva 'o ca' e jj''o rramba. Allora questo se arza su, pia 'a banghetta e jj'a tira

98. Ce magnamo 'm bollastro stasera pelato a ddo'-mani. 'e mano (le mani)

99. * Da véndi-cingue lèvine. Quìndici

100. Ggioveddì andiedi a ccaccia, 'cchiappai 'na bbeccaccia. Venerdì me la magnai: peccai o nom peccai? 'a mella (la mela).

101. * In gelo ce n'è uno in terra nun ge n'è nnessuno. Le zzitelle ce n'hanno due; quello poro Pietro nun ce ll'ha né ddavandi nné dde dietro. la léttera L (la lèttera L)

102. * In gelo c'è, in derra nun g'è. Luiggi ce ll'ha ddavandi, Micchele ce ll'ha dde diedro. Ragazze nun ge ll'hanno, fangiulle ce n'hanno due e 'llo poro Pietro nun ge ll'ha nné ddavandi e nné dde diedro. la léttera L (la lèttera L)

103. * De qqua e dde llà ddar mare cc'è 'ná bbellá signora cor cappellino 'n desta

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e cco' 'na gamba sola. 'o fongo (il fungo)

104. * Su pp''a cùppala per aria c'è 'na vecchia cendenaria: sgrulla 'o dende e jjama 'a ggende. Ch'edè? 'a cambana (la campana)

105. * Sott''o ponde nicche nacche c'è 'na donna a sciacquettasse colle veste verdolì' gran gavalliè' chi cce 'nduvì'. 'a ranocchia (la rana)

106. Sotto 'o ponde ciffe ciaffe c'è bbrillino co' bbrillacche colla vesta verdolina gran dottó' che cce 'nduvina. 'a ranocchia (la rana)

107. Mille cavalliè' dde Frangia chi colla spada, chi colla langia, vanno vestiti tutto 'n golore, fanno onore a Ddio e pperzone. l'ape (le api)

108. * Trendadu' cavalli bbianghi: ce n'è uno rosso tira cargi a ttutti quandi 'a lingua co' dendi (la ~ e i denti)

109. Cci-ho mmille cavalli rossi: quanno piscia uno, pìscino tutti. 'e tégole (le ~)

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110. * Ci-ho 'm brango de cavallucci: piscia uno, pìscino tutti. 'e tévele (le tegole)

111. Ci-ho 'm brango de pècore nere: passa 'o lupo e nun 'e vede. 'e formiche (le ~)

112. Ci-ho 'na fila de fratini tutti bbianghi e gnignolini: stanno sembre a jjacchierà o a rride' o a mmagnà. i dendi (i denti)

113. * Io ci-ho 'na cupertaccia: va ppe' mmacchia e nun ze strappa, va ppell'acqua e nun ze bbagna. 'a nùvala (la nuvola)

114. Io ci-ho 'na crapetta scula sculetta: 'a mmerda che ccaca 'a magna pure 'r papa. 'a seta (la staccia)

115. Ci-ho 'na servetta che sculetta sculetta: 'a mmerda che ccaca s''a magna pure 'r papa. 'a farina (la ~)

116. Io ci-ho 'na cassetta piena piena de ciccia secca. A cchi cce 'nduina jje ne do 'na fetta. 'a cassa da morto (la ~)

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117. Io ci-ho 'm brado: 'a sera è ffiorito, 'a mattina è ffargiato. 'o celo (il cielo)

118. C'è 'n gambo fior fiorellato: de notte è ffiorito e dde ggiorno è ffargiato. 'o celo (il cielo)

119. * Io ci-ho 'l-lenzolo tutto ricamato, nun ge passa né ffilo e nné ago. Nenè nnenè 'nduina sì cch'edè? 'o celo (il cielo)

120. Ci-ho ccend'occhi e nun ge vedo, so' gguidato come 'n geco. Fo sservizzio a ttanda ggende, chi mme tocca, se ne pende. 'o scallaletto (lo scaldaletto)

121. Io ci-ho 'na cosa cosella che ttrascina le bbudella. 'o gnómmoro (il gomitolo)

122. * Cci-ho 'na cosa che pprofuma de rosa; rosa nun è, 'nduvina ch'edè? 'a saponetta (la ~)

123. Io ci-ho 'na cosa che 'n gàmmara se posa; e ddo' se posa ce forma 'na rosa. 'o purge (la pulce)

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124. Io ci-ho 'na cosa che 'n gàmmera se posa co' 'na manina a ffiango. 'o vaso da notte (il ~ )

125. Io ci-ho 'na cosa arata quatrata quatricche furata. Nun ge fu omo che ll'arase la quadrase la furase che cce fu 'm becchetto che ll'arò quadrì che lla furò. (l'alveare)

126. Cci-ho 'na cosa tonna tonna ci-ha li peli come la cionna. Nnenè 'ndovina sì cch'edè. 'a cipolla (la ~)

127. Ci-ho 'na cosa liscia liscia, quann''a pijji 'm-mano piscia. 'a bottia (la bottiglia)

128. Ci-ho 'n gosetto liscio liscio, lo caccio fori quanno piscio. Poi jje do 'na sgrullatina, lo metto a pposto come pprima. 'o rubbinetto (il rubinetto)

129. Ci-ho 'na cosa lunga 'm barmo, arza rosso e sputa bbiango. 'a cannela (la candela)

130. Io ce ll'ho, tu nun ge ll'hai, viè' dda me che ll'averai: metti 'l tuo accando al mio, ce ll'avemo tu e io. 'o fogo d''a cannela (il fuoco della candela)

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131. * Io ci-ho u'-'nduvinarello va 'mbrenanno quest'e qquello: quanno ha fatto i fatti sua, se ne torna a ccasa sua. 'o lèvito (il lievito)

132. * Bbiango me lo metto e rrosso me lo levo. 'o sinale d''o macellaro (il grembiule del macellaio)

133. Lo metto dendro bbiango e rroscio, lo tiro fora sporco e mmoscio. 'a mella cotta (la mela ~)

134. Bbiango rosso e scappucciato dijje a ssòrita si ll'ha pprovato. l'ovo (l'uovo)

135. Piando 'o passó', 'o bbugo m''o porto via. 'a cacata (la defecazione)

136. Annàmocene a ddormì 'na bbella coppia e lla faremo quella cosa jjotta; quella cosa jjotta la faremo, peloso com pelosa metteremo. 'e cijja (le ciglia degli occhi)

137. * Um beloso de qqua um beloso de llà e 'm-mezzo c'è ffra nnanà. l'aratro (l'aratro)

138. * Peloso de fora peloso de dendro: arza la coscia e ffìccolo dendro. 'o petalino (il calzino)

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139. * Péll'amor de Ddio, mastro Pietro, 'nvece de méttimolo davandi, méttimolo de dietro. 'o jjavistello (il chiavistello)

140. Arza sù lla camicetta indando indando fino a cche nun de metto lo strumendo: attende, bbella mia, num biagne' tando che ppiano piano te lo ficco dendro. l'ago dell'inizzió' (l' ~ della siringa)

141. * Quattro de strapazzo, quattro de sollazzo, tre bbuci de culo, ddu' fiche e 'n gazzo. mojje e mmarito sopre 'a miccia (moglie e marito sopra la somara)

142. * Monzignore va pell'orto, va mmostranno 'o patalocco: jje se sbràghino i carzoni, jje se vede 'o pindolocco. 'o tòtoro oppure 'o carciòfolo (la pannocchia di granturco o il carciofo)

143. Sopre 'm-mondicello c'era 'n vecchiarello: se tira ggiù i carzoni, jje se védino i cojjoni. 'o grandurco (il granturco)

144. * 'O padre nasce e 'o fijjo ggià ccammina. 'o fume (Il fumo)

145. Papà 'o ddrizza e mmamma lo mmoscia. 'o sacco d''a farina (il ~ della ~)

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146. * Drizza scanizza più 'o tocchi e ppiù sse ddrizza. Si jje se dà 'n dandino dendro, te se leva de sendimendo. 'o stoppino d''a cannela (lo ~ della candela)

147. * Mi' marito viè' a ccasa 'nvojjato e pperchè gne-l'ho ttoccato. Io pe' ffàjjolo ddrizzà, jje lo tocco colle ma'. 'o pizzo d''o colletto (il colletto della camicia)

148. Mio marito bber cocò me la tocca 'gni popò: me la tocca quann'è ddura, quann'è mmoscia 'n ze ne cura. 'a saccoccia (la tasca)

149. * Mi' regazzo viè' dda Milano co' 'n fregno lungo im-mano. Quanno vede la sua morosa, jje lo ficca nella pelosa. 'o pèttine (il ~)

150. * Du' òmmini ponno fà. Un òmmino e 'na fémmina 'o ponno fà e ddu' fémmine se ponno pure 'rrabbià. 'a confessione (la ~)

151. Pendolì' che ffra le gambe penne tutto peloso e sfoderato im punda. Quanno la donna vede quer ber frutto, arza le gambe e sse lo pappa tutto. 'o vitello che ppia 'o latte (il ~ che succhia il ~)

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152. C'era mi' madre sopra 'na cassa pare che rruma, pare che rraspa, pare che ffa 'na gran fatica, mette 'o cazzo dendro 'a fica. 'a 'nfirza de fichi (la serta di ~)

153. Gràvida so' e ggràvida me sendo de fijji ce n'ho ccinguecendo: ggiro de qqua, ggiro de llà, nun drovo 'a bbuca pe' ffalli scappà. 'a cucuzza (la zzucca)

154. Catena lunga stènnite ggiù, mastro Bbrunotto mmonda su: 'rriva mastro Rosciotto, va ssotto ar culo de mastro Bbrunotto. 'o callaro c''o foco (il caldaio sul fuoco)

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SCIOGLILINGUA

155. Tre ttravi 'ndravati tìrili su tre cculi smerdolati lécchili tu.

156. Dendro la bbotte de zzi' frate c'è 'n gran guazzo, 'n gran guazzo, 'n gran guazzo.

157. * Un vilo de fien greco su ppe' la fila legna.

158. 'N garzon curto e 'n garzon lungo.

159. Che jjodi che jjodini che jjodoni.

160. Dietro quer palazzo c'è 'm bòvero cane pazzo date 'm bezzo de pane a qquer pòvero pazzo cane.

161. Tre mmazzi de carze 'ttaccati tutt'um-mazzo voi testá de carze quante carze avete fatto?

162. * Sopre u-rrìppise rìppise frasca c'era u-rrìppise rìppise uccello cor zuo rìppise rìppise bbecco se la rìppise rìppise-llava.

163. La pica sopre lo streppo co' la spica de grano sur becco: casca la spica

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ricala la pica ripia la spica rippiana sullo streppo colla spica de grano sur becco.

164. * Pisa porta il pepe ar papa il papa porta il pepe a Ppisa.

165. * Oggi seren non è, doman zeré' ssarà; se non zarà sseré', si rasserenerà.

166. * Apelle fijjo d'Apollo fece 'na palla de pelle de pollo tutt'i pesci venivano a ggalla per vedere la palla de pelle de pollo fatta d'Apelle fijjo d'Apollo.

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CHIAPPARELLI

167. * - Ajjo! - Cipolla!

168. - 'Nduvina 'nduvinajja chi ffeda l'ovo sopre 'a pajja? - 'A gallina! - Cargi 'n gulo a cchi cce 'nduina.

169. * - Ma', cci-ho ffame! - Tira 'a coda (a) 'o cane:

170. - Ma', cci-ho ffame! - Tira 'a coda a 'o cane, tìrijjala più fforte che tte dà 'n zacco de pane, tte ne dà quattro pagnotte.

171. - Ma', ci-ho ffame! - Ttir''a coda 'o cane, tìrijjala più fforte, te dà 'o pa' fin alla morte.

172. * - Che cc'è pe' ccena? - 'E coste de Serena!

173. * - Ma', che cc'è pe' ccena? - Gnende! - Bbono pell'occhi e mmale p''o dende.

174. - Ch'ì fatto a ccena? - 'A pizza. - Curri, commà', che mme se ddrizza, me se ddrizza la pistola, curri, commà', coll'accettola.

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175. * - Ma', mme fa mmal(e) 'a panza! - Va' dda sora Costanza, te dà 'n vago d'ua e tte fa gguarì lla bbua.

176. * - A cche ggiogo ggiogamo? - A 'o ggiogo dell'ua: ognuno a ccasa sua.

177. * - Me so' ttajjato! - Si tte se 'ccòrgin(o) 'e bbudella, va' a ffinì sotto terra.

178. - Me so' ttajjato! - Si tte se 'ccòjjino 'e bbudella, vai a ffenì sotto terra.

179. - A cche ffà? - A pportà ll'àsino a ccacà e tte de diedro a lleccà.

180. - Mamma mia! - Mamma mia e mmamma tua se rubbàrono u-rrumbazzo d'ua. - Mamma mia che ffu ppiù fforte s''o rubbò fin alla morte.

181. * - Bèè! - Mamma nun g'è: è ita a ccacà, se pozzi sponnà.

182. * - Chicchirichì! - 'O gallo sta ssendì.

183. * - Bbona sera! - L'acqua calla 'o culo te pela.

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184. * - Bbona notte! - 'E corde so' rrotte nun ze pò ppiù ssonà.

185. * - Grazzie! - Prego! - Si ppozzo te frego.

186. * - Permesso? - Avandi chi è ffesso.

187. * - Appresso? - 'E patate coll'allesso.

188. * - Perdono! - Perdono pietà uno schiaffo te vojjo dà.

189. - Eccì! - Salute e ffijji maschi! - Chi li vole se li facci.

190. - Te saluta... - 'O diàvolo dendr''a bbuga. - A tte tt'è pparende, a mme num-m'è gnende.

191. * - Me pìzzica. - E ttu mmózzica.

192. - Ma cch'ì paura? - De chi? - D''a gatta fura! - A mme num-m'è gnende, a tte tt'è pparende.

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193. - Che mme dai?...'na cosa? - 'A ràdica de zzi' Rosa. - A mme num-m'è gnende, a tte tt'è pparende.

194. - Che tt'ha fatto tu' regazzo? - 'O diamande! - 'O diàvolo amande!

195. - Mannaggia... - Ha' detto 'na parolaccia tutt'i cani vann'a ccaccia. Ha' detto 'na bbucia tutt'i cani all'osteria.

196. * - Capace... - Edè 'o fradello de cacapece.

197. * - Perché? - Perché perché... perché ddue nun fa ttre.

198. * - Allora?... - Mejjo tardi ch'a bbonora.

199. * - Poi doppo? Poi doppo? - C''a mojje se trìbbala troppo.

200. * - E ppoi e ppoi? - Doppo 'e vacche vènghino i bboi.

201. - E ppoi e ppoi? - E vacche fann'i bbovi.

202. * - Ch'è ssuccesso? - Ch'è ssuccesso, ch'è ssuccesso... è ccascato 'r diàvolo dendr''o cesso!

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203. - Cch'ì fatto!? - Ch'ho ffatto, ch'ho ffatto... ho mmagnato 'o pero e ho strappato 'o sacco.

204. - Cch'ì visto? - Ch'ho vvisto, ch'ho vvisto... un zomaro che stava a cculo ddritto!

205. - Te l'ho ddetto! - Te l'ho ddetto te lo prometto... ì preso 'm borco pe' 'n grastabbecco!

206. - Mo' che ffo? - 'Cchiàppite 'o naso e ggìrite attorno.

207. * - Come fo? - Fa' ccome l'andichi: se magnàvino 'a coccia e bbuttàvino via i fichi.

208. * - Te 'mbiccia? - Bbacia la miccia. - Te 'mborta? - Bbacia la porta. - Te frega? - Bbacia la strega.

209. * - Ah regazzì', che sta' ffà llì? Sto llì a' vigna de zzio: quanno 'n ge sta esso, ce sto io.

210. - Ah regazzì', chi ssì? A cchi ssì ffio? - Si vvoi sapé chi sso' io,

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so' 'o fio de mamma e 'o nipote de zzio.

211. - E cche tte jjami Cremende? - Perchè? - Perchè 'n ge sendiva per gnende.

212. * - 'St'orologgio è dd'oro... - Oro fugge, argendo scappa, manga poco che nun è llatta.

213. * - ...è dd'oro. - Quesso è ll'oro der Giappone che in Itallia è vvero ottone.

214. - Che stai a fà? - Sto a llèggere. - Lèggere lùggere num-me fa ssardà le bbùggere.

215. - Che stai a ffà? - Fiato pe' nun grepà.

216. - Do' vai?... - In gulo alla luna, in gelo, a le stelle.

217. - Fa ccallo! - Magna 'o pangiallo. - Fa ffreddo! - Magna 'o pandendo.

218. * - Piove! - Chi sta bbene nun ze move.

219. - Fiocca! - Maripallocca.

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220. - Ha nevicato! - A mmaccaroni e ccacio grattato.

221. * - Sona mezzuggiorno... - Tutt'i frati stann'a ppadollo. - Sona mezzodì... - Tutt'i galli stann'a ssendì.

222. - Papà!... - Port'i stracci de qqua e dde llà. - Bbabbo! - Arivorda 'o bbango. - Tata! - Arivorda 'a frittata.

223. * - Ha' raggione! - 'A raggione è dd'i fessi. - E 'o torto d'i cornuti.

224. * - Bbella! - Com''o culo d''a padella.

225. * - Stùpida! - Sarò stùpida, sarò ffelice, ma è ppiù stùpida chi mme lo dice.

226. - Stùpida! - Sarò stùpida, ma ccome Ddio m'ha fatto, statte zzitta, mucio de gatto! Mo' che tt'ho ddetto 'sta canzoncina, sì mmucio de gatto più dde prima.

227. - Stronza! - Stronza me trovi, stronza me lasci d''a morte mia nun ta la ricordassi.

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228. - Lópini dorgi! - S''i màgnino i sorgi! - Lópini 'mari! - S''i màgnino i somari!

229. * - Ah quell'o'! - Ah quell'òrghino che ssona.

230. * - Ah quella fe'! - Ah quella fetta de salame.

231. - Ah quella do'! - Ah quella dorme e ttu 'a svejji.

232. * - A e i o u... - Che ssomaro che ssì ttu!

233. * - Di' um bo' mi' padre è 'n gale uno fino a ddieci... - Mi' padre è 'n gale-uno mi' padre è 'n gale-due mi' padre è 'n gale-tre mi' padre è 'n gale-quattro mi' padre è 'n gale-cingue mi' padre è 'n gale-sei mi' padre è 'n gale-sette mi' padre è 'n gale-otto!

234. * - Uno ddue e ttre... - Che ssomaro che ssì tte!

235. * - Uno ddue e ttre - Fande cavallo e rre.

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236. - Uno ddue e ttre - Quello che ffai è ttutto per te. - Uno ddue tre e qquattro - Quello che ffai è ttutto p''o gatto.

237. - Quattro... - Sotto c'è ttu' regazzo!

238. - Quattr'e qquattr'otto adesso ritorno. - Otto e otto sédici tarda a vvenì. - Sédici e ssédici trendadue piàtivala 'nder culo tutt'e ddue.

239. * - Cingue... - Pia tu' madre e mméttala a ffrigge'.

240. * - Sei... - Che asino che ssei!

241. * - Otto... - Bbacia culo a Ppasqualotto.

242. - Nove... - Co' 'n carge nun de move'.

243. * - Sédici... - se dice, ma nun ze fa.

244. * - Trenduno... - 'A cambana llà 'm betto e 'o bbadocchio lla 'n gulo.

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245. * - Cendo... - Tu' padre è dd'argendo tu' madre è dd'oro e ttu sì 'm bummidoro.

246. * - Ccendo... - Tu' padre è dd'oro tu' madre è dd'argendo e ttu ssì 'm-monumendo.

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FORMULE E VERSI APPARTENENTI A FAVOLE, FAVOLE SENZA FINE

247. * C'era 'na vorda Dìmmolo e Ddàmmolo: casca Dìmmolo, chi cce rimane?

248. Erino tre che 'nnàvino a ccaccia: era Bbecchino, Bbeccone e Bbeccaccia.

249. * C'era 'na vorda ur-re che mmagnava più dde te che mmagnava pan e ccacio tira su qquello naso.

250. C'era 'na vorda un re che mmagnava più dde te che mmagnava pane e ccacio tiramo 'm bo' 'sto naso. 'O re mmorì e 'a fàvola finì.

251. C'era 'na vorda 'n re e 'na reggina... quell'andro pezzo t''o riccondo dumattina.

252. * C'era 'na vorda Caporivorda casca p''e scale e sse roppe la gobba.

253. * C'era 'na vorda um padre (e) 'na madre, 'na fijja e 'na fiaschetta 'nnéttero a ssanda Galizzia bbenedetta... Se scordòrino d''o filo e ddell'ago aricomingia um bo' dda capo.

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254. * - C'era 'na vorda un zordadì'... ma mme stai a ssendì? - Sì! - C'era 'na vorda un zordadì'... ma mme stai a ssendì?

255. - 'A pastocchia de Pistello che ppe' ddilla ce vo' gran dembo... 'a dico sì o nno? - Sì! - Sì! nun ze pò ddì perchè 'a pastocchia è dde Pistello che ppe' ddilla ce vo' gran dembo…

256. - Io so lla fàvola della gatta gnàola della circuìta voi che tte la dica? - Sì! - Io so lla fàvola...

257. Pastocchia mia nun è ppiù llunga 'rriva X e cce mett''a ggiunda.

258. Pastocchia pastocchia casa nun è nnostra oggi ce stemo e ddumani nun 'o sapemo.

259. Stretta la fojja larga la via dite la vostra ch'ho ddetto la mia.

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260. 'O celo co' 'e stelle 'a minestra co' 'e cicerchielle 'a bbocca tua piena de pidocchielle.

261. Er celo co' 'e stelle 'a bbocca tua piena de pidocchielle 'cciacca 'cciacca 'a bbocca tua piena de marcia.

262. Me diédero 'na polaccaccia e mme dìssero: va' vvia, bbrutta vecchiaccia.

263. Piccichino passava 'r fiume e lla madre jje faceva lume e llo lume se smorzò Piccichino se 'ffugò.

264. Bbulli bbulli, pignattella, che cc'è ddendro mi' sorella: mammina l'ha 'mmazzata noi l'emo cucinata tutti voi l'avete magnata.

265. Bbulli bbulli, callarella, che cc'è ddendro 'na vitella: tata l'ha rubbata e mmamma l'ha cucinata. 'O curato de 'sto loco va ddormì 'na notte pe' lloco e stanotte tocca a mmamma ecco 'a bborza che jje manna.

266. 'O prete de ddindirindì co' ttutte 'e fémmine va a ddormì e stasera tocca a mmamma ecco 'a bborza che jje manna.

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267. * Pecoraretto sònime bbe' m'hanno 'mmazzato ggi(ù) a pponde pirè e pper che e pper come pe' 'na penna de 'cello grifone.

268. A ll etto a lletto, fijji de Marco vecchio: sette a lletto vanno e ssette accand'ar foco rimaniamo.

269. Quandi sete qua ddendro? Tra bbùttiri e ccaceri semo cendotrendasei: ce so' li bbagajjoni, pure quelli nun zo' ccojjoni; ce so' li sciacquasecchi, pure quelli so' pparecchi; e cce so' li ribbiscini, pure quelli so' ccanini.

270. - Chi cc'è ggiù (a)ll'orto? - L'ànime senza corpo! - Che sse fa in quell'andro monno? - Se pia la fargia e sse tajja a ttondo. - Se ne sarva nessuno? - De quelli pìccoli quarcuno.

271. * - È nnùvolo e mmártemb'è a ccasa d'andri 'n ze sta bbe'! Come l'andri a ccasa mia pio 'a scopa e li caccio via. - Cara commare, num-me ne curo, si lla pizza te coce lo culo.

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272. * - O bbiscì', va' pper acqua! - Oddio lo vendre! - O bbiscì', va' ppe' llegna! - Oddio la schiena! - O bbiscì', viè' a mmagnà 'a ricotta. - Lero lero me so' gguarito, me s'è ppassata la panza e lla schiena, la scudella la vojjo piena.

273. Er domo: Ho ffame! Ho ffame! San Frangesco: Che vvoi? Che vvoi? San Gregorio: Faciolì-'nfaciolì-'nfaciolì! San Giuanni: Con ghè? con ghè? con ghè? 'E Mòniche: Colle cotichicchie! Colle cotichicchie!

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BLASONI POPOLARI

274. * Si Ffàlleri nun falliva Cìvita era Roma.

275. Cìvita Castellana ogni passo 'na puttana. A Ccatamello ci-hanno la gabbia e nun gi-hanno l'uccello. A Stabbia ci-hanno l'uccello, ma nun gi-hanno la gabbia.

276. * Catamello 'o paese d''o sconforto: o ppiove o ttira vendo o ppassa 'o morto.

277. * Majjano cornuto do' vai è vveduto do' vai è gguardato do' vai è scapicollato.

278. * Majjano Sabbina troppa pomba l'arrovina: 'o marito combra 'o grano, e 'a mojje se venne 'a farina.

279. Majjano Sabbina troppa pomba l'arrovina: 'o marito embe 'o sacco, 'a mojje se venne 'a farina.

280. * Fojja bbatte Stimijjano sende 'o Poggetto sta llì e 'n dice gnende.

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281. Fojja piandata sopre 'n dufo nun zo' 'rrivato che sso' stufo.

282. * Sando Polo e Ttarano Collevecchio e Ccicignano: Cicignano tonno tonno co' ttre ccasette e 'n forno im-mezzo c'è 'm bajjaro demo foco a Ccicignano.

283. San Dolomeo de Nepi, delìbberisci tu da una bbrutta bbestia che no-ll'ho vvista ppiù; pporta la casa addosso e lle corna per l'inzù.

284. Nepi città ddolende circondata dalle cipolle conda settemila abbitandi fra ccani gatti topi e llo mució'... Cce la dete la pretur(r)a?

285. Prìngipi e ccavalliè' so' lli romani i circondari so' li viterbesi i magnagatti so' dde Soriano le facce sporche li canepinesi i patalocchi so' dde Vallerano i ladrongelli so' i vignanellesi hanno rubbato 'na croce a Ccrocchiano l'hanno vennuta a li bbassanellesi.

286. Prìncipi e ccavalier so' li romani bboncittadini so' li viterbesi li magnagatti che stanno a Ssuriano li magnammerda li canepinesi

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li patalocchi stanno a Vallerano li ladroncelli li vignanellesi hanno rubbato la croce a Ccrocchiano l'hanno vennuta a li bbassanellesi.

287. A Otrìcoli i bbenvenuti a Majjano i cornuti a Ccìvita Castellana ogni passo una puttana a Nnepi i sapiendi a Mmonderosi i prepotendi.

288. Terni tiranni so' ppiù ttristi quelli de Narni; e sse ppeggio li volete, 'nnate a Otrìcoli e lli troverete. Se vvolete la ggente umana, venite a Ccìvita Castellana. A Bborghetto i pertichini, a Ccìvita i bburrattini.

289. * Foligno 'nfojja Spoleto spojja Terni tiranni bbaron fottuti so' qquelli de Narni. Majjano parla piano, Ponde Felice nun ze dice. Bborghetto i pertichini, Ccìvita i bburrattini, Nepi i sapiendi, a Mmonderosi i prepotendi, Cambagnano i pizzuti, a La Storta i cornuti. Si ppiù ccornuti li volete, 'nnate ar Cuppolone, li troverete.

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290. * Foligno 'nfojja, Spoleto spojja. A Tterni i tiranni, i bbirbi so' qquelli de Narni. Se ppiù bbirbi li volete, a Otrìcoli li troverete. A Bborghetto i pertichini, a Ccìvita i bburrattini, a Nnepi i sapiendi, a Mmonderosi i prepotendi, a Bbaccano li pezzuti, a La Storta li cornuti. Se ppiù ccornuti li volete, ar Cuppolone li troverete. (CH.: c'era 'm-majjanese che rrideva: 'O paese mio nu-ll'ha toccato! Quell'andro jje condinuò:) Ho ggirato tandi paesi i più ccornuti so' i majjanesi.

291. Fuligno fojja, Spoleto spojja. Terni tirandi, so' ppiù ffottuti quelli de Narni. Se ppiù avandi li volete, a Otrìcoli li troverete. A Bborghetto i pertichini, a Ccìvita i bburrattini, a Nnepi i sapiendi, a Mmonderosi i prepotendi, a La Storta li cornuti, ar Cuppolone i proveduti.

292. * Foligno 'nvojja, Spoleto spojja. Terni tiranni,

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bbecchi cornuti so' qquelli de Narni. A Orte i scortichini, a Bborghetto i pertichini, a Ccìvita i bburrattini, a Nnepi i sapiendi, a Mmonderosi i prepotendi. 'A Storta rindorta. E sse ppiù bbuffi li volete, 'nnate ar Cuppolone che lli troverete.

293. * Peruggia purga, Foligno imbroglia, Spoleto spoglia. Terni tiranni, i peggio so' dde Narni. A Otrìcoli li saputi, a Mmagliano li cornuti. A Bborghetto i pertichini, a Ccìvita i bburrattini. A Nnepi i sapiendi, a Mmonderosi i prepotendi. A Ccastello l'òmmini edotti, alla Storta i bbeccamorti. Se più bbuffi li volete, al Cuppolone li troverete.

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I GIORNI DELLA SETTIMANA E I MESI DELL'ANNO

294. Luneddì è ssa-Llunetorio Marteddì san Gregorio. Mercoleddì San Zisto. Ggioveddì le piaghe de Cristo. Venerdì la Madonna Addolorata. Doménica festa commannata.

295. Luneddì tte pagherò. Marteddì si cce ll'ho. Mercoleddì llà a ssan Gremende. Ggioveddì nun de do gnende. Venerdì fra qquarche ora. Si ppe' ssàbbito nun t'ho ppagato, luneddì ricomingiamo.

296. La bbella che ss'è pperza la conocchia tutto lo luneddì la va ccercanno. Lo marteddì la trova tutta rotta, mercoleddì la va ringonocchianno. Ggioveddì [...] Lo venerdì la pèttina la stoppa, lo sàbbito la pèttina la testa, doménica nu-llavora perchè è ffesta.

297. Luneddì luneddiai, marteddì martediai, mercoleddì mercoleddiai, ggioveddì so' mmaccaró'. Doménica ch'è ffesta se magna la minestra.

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298. Din-din-dì la panonda lo venerdì e lo sàbbito la ricotta la doménica l'acquacotta.

299. * Ggennaro 'ngènnera febbraro 'nfebbra marzo li 'bbotta aprile sconocchia.

300. * Marzo marzeggia, aprile aprileggia, maggio fa le bbelle donne e ggiugno se le cojje.

301. Maggio fiorito in garrettella co' Llisabbella a ppasseggià.

302. Pasqua Bbefania tutte le feste se porta via. Poi viè' ssam Benedetto e cce ne porta 'n andro sacchetto.

303. * 'A Cannelora dell'inverno semo fora. Se cce piove, si cce fiocca, si cce tira lo vendarello, quaranda ggiorni ci-avemo d'inverno.

304. * Cannelora Cannelora dell'inverno semo fora. Si cce piove e ttira vendo, dell'inverno semo dendro. Arispose 'na vecchiaccia:

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faccia o nun faccia, è inverno fino a Ppasqua.

305. Due sanda Bbibbiana, sei Nicolò che vva pper via, sette sand'Ambrocio de Milano, otto Congezzione de Maria. Trédici che ffu sanda Lucia. Ai venduno san Domasso canda, ai vendicingue la Nascita Sanda. Ai venduno san Domasso strilla, ai vendicingue se 'mmazza la bbilla.

306. * Sanda Lucia 'a ggiornata più ccurta che cce sia. Sanda Caterina 'm basso de gallina; Natale 'm basso de cane; Sand'Andonio um basso de bbovo.

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FILASTROCCHE E CANTI DI QUESTUA, CANTI LEGATI A FESTIVITA' DELL'ANNO

307. A Ccapodanno una spina pe' ccargagno una su pp''e coste se ponno riceve' 'e mange vostre?

308. 308. Ccìchele ccìchele pporco mio non ha bbellìcole 'o tuo che cce ll'ha dàmmine 'm pezzettino pe' ccarità.

309. Parma parmarella, che vviei tre vvorde l'anno, dimme si ccambo 'n andr'anno.

310. La Bbefana viè' dde notte colle scarpe tutte rotte cor vestito allá romana viè' dde notte la Bbefana.

311. * La Bbefana viè' dde notte colle scarpe tutte rotte colle carze rosse e bblu fich'e nnoci fich'e nnoci bbutta ggiù.

312. È vvenuta la Bbefana tutta bbella 'nfiocchettata, porta in desta un spicciatore, porta im mano un vago fiore; domandava allí spioni se i bbambini èrino bboni. Ce sta X 'mbertinende, che nun vo' ffà ll'ubbidienze,

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se lo porta via, se lo porta via al paese de Bbefania.

313. È uscita dalla tana collá gonnella inzuccherata, porta in desta uno spicciatore, porta im mano un vago fiore. È ddi zzùcchero 'l zomarello e un confetto pe' bbastongello. Quando a Rroma fu arrivata, all'albergo fu alloggiata: domandò allí spioni se i bbambini èrano bbuoni. Ce n'era uno impertinente, non voleva fare gnente. La Bbefana lo portò vvia al paese di Bbefania.

314. Bbona Pasqua la cima sopra ll'arca l'arco e la cima la bbella Costantina sopra la colomba un'àquila ripomba (!) sopra ll'àquila i fiori d'un'àquila sopra i fiori gli sdòmmini maggiori sopra gli sdòmmini (!) 'e bbraccia dell'òmmini sopra le bbraccia un'ora quando caccia un'ora in cortesia Bbuona Pasqua e Bbefania.

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315. * Sand'Andogno c''a bbarba bbianga, porta 'e pèchere a la mundagna: falle bballà, falle candà, fajje fà llo sardarello, Sand'Andogno c''o bbanganello.

316. Ddumani è ffesta se magna la minestra se bbeve ner bocale viva viva Carnevale: Carnevale delle bbelle notte mezze crude e mmezze cotte.

317. * Carnevale jjotto co' ttre ccurtelli sotto co' 'ná fettá de pa' Carnevale se ne va.

318. Carésima bbaffuta nun fusse mmai venuta: pe' qquarandasei ggiornate nun ze màgnino più ffrittate.

319. Ècchime, signora nonna, che tte vengo a ttrovare se mme volete dare quarche ccosa. Io so' X, che sso' 'n regazzino 'mpertinente: che mme dirà la ggente che sso' vvenuto in fretta! Empìtime 'sta fiaschetta de ricotta, sennò te do 'na bbotta con questo mio segone, te porto ar paragone der maestro. Quattr'ova e ffate presto che mme ne vojjo andà a ccasa mia.

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Me s'è rrotta 'na mezza canna, damme l'ova pe' ssanta Susanna. Me s'è rrotto lo segó', damme l'ova p''o ciammelló'.

320. Ècchime, sora nonna, che tte viengo a ttrova'; embìtime 'na bborzetta de ricotta, sennò tte do la bbotta co' qquesto mio segone, te porto 'r paragone del maestro: dieci-ova presto che mme ne voglio andare a ccasa mia. Do' sta la sora zzia che ssalutar la voglio; finimo quest'imbroglio e mme ne vado via.

321. Curri curri, scardaó', che ddumani è ll'Ascenzió': e ssi ttu nun currerai, tutto quando bbrucerai.

322. * Bbone feste e bbon Natale famme 'a mangia si tte pare: si num me la voi fà, nun de jjamo ppiù ppapà.

323. Bbone feste e bbon Natale mònica Cicia e ppadre Pasquale.

324. La ninna nanna, mio caro Bbambino, la ninna nanna te vojjo cantà. La ninna nanna, mio ggerme divino, la ninna nanna te vojjo sonà.

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325. Bbambinello mio grazzioso, t'ho pportato un canestrino, compatite, 'l piccinino, accettàtelo com'è. Ce so' ddendro 'e ciammellette, amàndole dorate, confettini e ppignoccate, du' canditi e 'n torroncì'.

326. 'A notte de Natale è nnotte sanda è nnato Ggesù alla cappanna: zzomba, gatto; bballa, pècora, l'angioletti fanno festa: ssù ssù! venite a vvisitar Gesù, nom più ddormite! Ssù ssù! a vvisitar Gesù, nom più ddormite! Io ho pportato 'na ricotta fresca, l'ha fatta stamattina la Frangesca, l'ha fatta stamattina la Frangesca. A-ppì a-ppì piri piri piri-pì: sotto la cappannella canteremo lo piripipì piripipì pì pì.

327. Zzomba, pècara, bballa, pècara! Ll'angioletti tutt'intorno fanno festa 'n guesto ggiorno: 'nnamo a cchiamà Ggesù che ggià ll'è nnato. De Maria fu 'ngannato (!) de Maria Verginella in guesta cappannella vene e ggiace. Arifacemo pace de quello che t'ho ddetto, àngelo bbenedetto,

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spargi via collá santá pietà, viva Maria.

328. * San Giuseppe vecchiarello mette al foco 'l zuo mandello pe' scardare nostro Signore canda canda bbello fiore! Bbello fiore ch'ha candato Ggesù Cristo ha predicato ha predicato 'n arda voce Ggesù Cristo è mmorto in groce è mmorto in groce per zarvarci la Madonna che cci abbracci che cci abbracci cor zuo Fijjolo so' ttre ggiorni che nu-llo trovo lo trovò 'n gima a um-monde colle mani piegate e ggionde sangue rosso che bbuttava santa Verònica lo 'sciugava lo 'sciugava cor zuo mando Padre Fijjolo e Spirito Sando.

329. * Stanotte a mmezzanotte che l'è nnato um ber bambino bbianco rosso e rricciolino. La sua mamma lo pijja e llo 'nfascia e ppoi jje stringe i bbei piedini, ammirate quell'occhini! C'è 'na mìsera cappannella che cc'è 'l bue e ll'asinella co' Ggiuseppe e cco' Mmaria, oh cche nnòbbile combagnia!

330. Maria lavava Ggiuseppe stendeva il figlio piangeva:

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che ffame ci-aveva! Il latte t'ho ddato il pane no-ll'ho... La neve scendeva scendeva dal celo Maria col zuo velo copriva Ggesù.

331. * Maria lavava Ggiuseppe stenneva 'o fijjo piagneva p''o freddo che aveva. Sta' zzitto, mio fijjo, ch'adesso ti pijjo la zzisa ti do. Evviva Maria e cchi lla creò.

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ORAZIONI

332. Madonna bbenedetta guarda tando e gguarda stretta.

333. Io me ne vado a lletto collá Madonna 'm betto co' ssanda Margherita che Iddio ce bbenedica.

334. M'inginocchio a qquel scalino che cce viè' Ggesù Bbambino cogli àngeli e cco' li santi, m'inginocchio a ttutti quanti. Il mio palato fosse celo stellato, la mia lingua fosse oro, per ricévere 'sto tesoro.

335. Venite, àngeli santi, venite tutti quanti con le chiavi d'amore, per aprire questo cuore: ha d'entrà nostro Signore. Ecco qqua il nostro maestro, che cci porta il corpo di Cristo; io lo prendo con gran devozzione, ogni peccato ci perdoni.

336. * Ggesù quann'era pìccolo ggiocava coll'andri fangiulletti inzieme a lloro: ogni pezzo de legno che ttrovava oh che bbelle croce ce faceva! E alla mamma sua jje lo diceva: qui cci riposerà la vita mia.

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337. Ggesù quann'era pìccolo ggiocava coll'andri fangiulletti 'n gombagnia: ogni pezzo de legno che ttrovava oddió che bbelle croce ce faceva! E llá sua mamma ce lo castigava: che ffai co' qquelle croce, ànima mia? Lui jje rispose có' 'na grazzia cara: qui cce riposerà la vita mia. Jje rispose Madalena e Mmarta: volemo fà vvenì ffundana d'acqua. Jje rispose Marta e Mmadalena: volemo fà vvenì ffundana piena.

338. Quìndici misteri der rosario. Quattòrdici òper di missericordia. Trédici grazzie che ffa sand'Andònio. Dódici apòstoli der Zignore. Undicimila verginelle. Dieci commandamendi de Ddio. Nove l'arca de Novè. Otto cori dell'àngeli. Sette dolori de Maria. Sei quanno er gallo candò in Galilei. Cingue le piaghe der nostro Signore. Quattro àngeli evangelisti. I tre mmaggi c''a stella. Primo è Ddio nostro Signó'.

339. Sam Pasquale Bbailonne protettore delle donne, famme trovà mmarito grann'e ggrosso e ccolorito: come tte ttal e qquale, o gglorioso sam Basquale.

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PARODIE DI ORAZIONI E DI CANTI RELIGIOSI

340. * Allelujja allelujja chi ccasca se 'ndrujja: X è ccascato e ss'è ttutto 'ndrujjato.

341. A vvoi donamo er core le Rote, Pratolungo e Mmillecori.

E ssembre sia lodato è mmejjo 'o vino rosso che ll'acquato.

342. * Sanda Maria: i preti fann'a spia. Ora pro nobbi: i preti fann'i gobbi.

343. * Dòmmine subbisco: opri 'a bbocca e tte ce piscio.

344. Pissi pissi 'nnetti a Rroma e jje lo dissi jje lo dissi piano piano Padrennostro quotidiano.

345. Signore Signore, ogni gallina um beccatore. Io che sso' 'm boro peccatoraccio né 'na gallina né 'n gallinaccio.

346. È mmorto sguìnzeo mmapì mmapó. Che ccosa aveva? mmapì mmapó.

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Ci-aveva le lùcciole co' li bbobbó'. mmapì mmapó.

347. È mmorto 'o véscovo zzin-ta-tà. Che mmale aveva? zzin-ta-tà. La panza piena zzin-ta-tà. di bbaccalà zzin-ta-tà.

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FORMULE DI SCONGIURO, DI INCANTESIMO O DI GIURAMENTO, CANTILENE SU FENOMENI ATMOSFERICI

348. * Lùccica lùccica viè' cco' mme, che ddumani verrò cco' tte; a ssonà la cambanella, lùccica lùccica viè' pper terra.

349. * Lùcciola lùcciola viè' dda me, te darò pan da re; te darò pan da reggina, lùcciola lùcciola piccolina.

350. Lùccica lùccica pappagalla, (!) lega la bbrijja e lla cavalla; lla cavalla è dde rre, lùccica lùccica viè' cco' mme.

351. * Fargo fargaccio, famme 'n gappellaccio. Fàmmolo bbello tonno, sinnò tte bbutto a ffonno

352. Fargo farghetto, fàmmolo 'm ber giretto. Fàmmolo bbello tonno, sinnò tte bbutto a ffonno.

353. * Ciumaga ciumaga, caccia fora 'e bbraga, 'e bbraga e lle corna, te jjama la Madonna, te jjama sam Micchele che tte dà 'o pa' cc''o mele.

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354. Cucculo mio cucculo c''o bbecco fiorito, cóndime l'anni pe' ppià mmarito.

355. Cucculo, mio cucculo, quande penne porti in gulo? E sse ne porti una d'oro, cóndime l'anni pe' qquanno me moro.

356. * Tutto per te, gnende per me.

357. * Signozzo signozzo, va' llì all'acqua, va' llì 'o pozzo, lì 'a fundana, va' llì 'o core de chi mm'ama. Si mm'ama, se lo tenga; si num m'ama, me rivenga.

358. Muro muro novo, tiette 'o dende vecchio e ddamme quello novo.

359. Secca 'a spiga secca 'o grano secca quello che pporta im-mano.

360. Caca culo caca cardi caca culo che tt'arrabbi.

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361. * Ggiuro straggiuro ch'er diàvolo m'endri 'n gulo.

362. Si tte credi che tte pulizza, llèvite ruzza, llèvite ruzza.

363. Sangue sanguinella, ànima de bbudella, bbovi e arati, àrberi 'ndraverzati. [...]

364. * Penna inghiostro calamajjo dimmi 'l nome d'un tuo compagno. Si qquesto dito scrocchierà, lui ti a-me-rà.

365. Amor, se mmi voi bbe', me fai 'na rosa, sinnò famme 'na piaga verminosa.

366. Si mme vo' bbe' la mi' morosa, me fai 'na rosa, sinnò mme fai 'na piaga verminosa.

367. * Piove e cc'è 'o sole, tutt'i vecchi fanno l'amore.

368. Piove e cc'è 'o sole, sparisce monzignore. Piove e vviè' ll'acqua, sparisce la cornacchia.

369. * Piove e ppió sole, 'a Madonna cojje 'n viore e 'o cojje pe' Ggesù e ddumani num biove ppiù.

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370. * Piove e ppiovìccica 'o culo te se 'ppìccica te se 'ppìccica su pp''o tetto va ggiranno pajjaccetto.

371. * Tira tira tramundana alle donne jje dà ppena: jje se arza la sottana, jje se vede la pendecana.

372. Tira tira tramundana alle donne jje dà ppena: jje se arza la sottana, tira tira tramundana.

373. Tira tira tramondana alle donne jje dà ppena: jje se vede la sovrana, tira tira tramondana:

374. Se ttira 'a tramondana, ce ne 'nnamo su dda Mendana; ce famo 'na bbazzichetta, scappamo fora senza paghetta; ce famo um bijjardino, scappamo fora senza un guadrino.

375. Bbe-bba-bbà che ffreddo che ffa! Ma si ddura 'sta sperella, ce ne fregamo de 'nnà a llegna.

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TIRITERE DILEGGIATIVE SU NOMI DI PERSONA

376. * 'Ndrea 'Ndrea 'Ndrea che dd'un occhio nun ge vedeva sette zzeppe llà 'n gulo ci-aveva chi ccacciava e cchi mmetteva sembre sette ce n'aveva.

377. Annìbbale grazzietta amàbbile.

378. * 'Ndonio quello che ccurre come 'n demonio.

379. * Bbiaggio vai adaggio.

380. * Zzugutuzzù la mojje de Carlo è ccascata da cavallo, jje s'è rrotta la pecorina, bbona notte zzi' Caterina!

381. Carolina, famme lume, cci-ho 'na purge dendr''a 'recchia, me se magna lo cerume, Carolina, famme lume.

382. Ecco che ppassa la sora Colomba, arza la gamba e ssona la tromba.

383. Tirittónghite, Ménica mia, tutti li ggiorni so' mmaccaró': oggi ch'è lla festa mia, tirittónghite, Ménica mia.

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384. Tando va, tando viè', lo scopone im mano tiè': si jje se pia la fandasia, ttirittónghite, Ménica mia.

385. Donato era mejjo che nun eri nato.

386. * Ernesto fai presto.

387. * Ernesto spara lesto.

388. Mastro Pippo ferratore, ferra bbene 'sto cavallo, nu-gne fa ppatì ddolore, mastro Pippo ferratore.

389. * Pippo, cammina ddritto, sinnò tte metto su 'o ggiornaletto.

390. * Filumena quanno piscia, fa lla piena; quanno stura la fundana, pare 'na vacca maremmana; quanno stura lo condutto, Filumena va per tutto.

391. Filomè', so' lle tre io sto ssembre accand'a tte: accand'a tte sur zofà a ffà 'ndrìchete 'ndrìchete 'ndrà.

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392. La sora Checca ha fatto la cacca.

393. La sora Checca prima la fa poi se la lecca.

394. Ggiacomino Ggiacomino, nun fa' ttando 'r-rugandino.

395. * Ggiuanni Bbordò quello che vvede vo'. Si vvede 'na cacata, jje dà 'na spizzicata.

396. * Ggiuanni Ggiuanni collí carzoni bbianghi colló stoppino 'n gulo tira cargi come 'm-mulo.

397. * Peppe bbomba sona la tromba sona 'l tamburo cargi llà 'n gulo.

398. Lavora Isa! Num posso lavorà me fanno male 'e deta.

399. La sora Laura bben gombosta lo so io quando me costa.

400. Laorina Laorina fosse festa ogni mattina.

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401. La sora Laura endra in gàmmera, scopa la càmmera der zuo padró'. Lava li piatti, li roppe tutti quandi. Lava li bbicchieri, li roppe a ssei a ssei. Pia la bbimba, la mette a lletto, le dà 'n gonvetto: stai zzitta, ni'; stai zzitta, ni'!

402. La sora Laura entra 'n càmmera, scopa la càmmera der zuo padró'. Va in cucina, lava i piatti e li roppe tutti quanti. Lava i bbicchieri, 'i roppe a ssei a ssei. Lava 'a bbiangheria, 'a porta in stireria. 'Nfascia la bbimba, la mette a lletto, jje dà i confetti: sta' zzitta llì, sta' zzitta llì! Fa 'na torta, la mette ggiù in cantina pe' 'a doménica a mattina: quanno vènghino i parendi, jje la sbatte sott'i dendi.

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403. * Lodovico sì ddorge come 'n fico.

404. * Oppe oppe Ggiggi colle toppe.

405. * Ggiggi Ggiggi collí carzoni griggi colló stoppino 'n gulo tira cargi come 'm-mulo.

406. * Ggiggi Moriggi zzan-zan-zà è nnato a Ppariggi è mmorto a Mmilano all'ùrtimo piano.

407. * Tu, Rrocco, sùdicio come um porco, vuoi sposare Madalena, di sudiciume piena? E ttu, Mmadalena, di sudiciume piena, vuoi sposare Rocco, sùdicio come um porco? Andate a lletto, smorzate il lume, godédive il vostro sudiciume.

408. * Marco Marcaccio bbucio de culo ttesta de cazzo.

409. * Margherita fa llo pa', tutte 'e mosche vanno llà: cce n'è una trita trita caccia l'occhi a Mmargherita.

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410. Sora Maria 'a volete o 'a bbutto via?

411. Maria 'a sorella d''a miccia mia.

412. * Maria Cocò quelló che vvede vo': si vvede 'na cacata, jje dà 'na spizzicata.

413. Commare Marì', tedóndalò le fave so' ccotte, le cótiche no.

414. Mariòccola capelluta, scappa fora da quella bbuga: hai magnato 'o pa' ccoll'ojjo, frusta via che 'n de ce vojjo!

415. * Zzugutuzzù Mmariggiuanna, jje s'è rrotta la pisciarola; jje la rifaremo de canna, zzugutuzzù Mmariggiuanna.

416. * Mariarosa Mariarosa, si mme bbaci te do 'na rosa. Si mme bbaci e ddichi de sì, te ne do um bezzetto così.

417. Marta, tira fori quella carta. Si qquella carta nun ge ll'hai, saranno guai, saranno guai.

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418. * All'osteria de Màssimo annàssimo bevéssimo magnàssimo e num bagàssimo.

419. * Micchele va ppe' mmicche.

420. * Nello bbudello sargicc'e ffegatello.

421. * Nicola port'i stronzi a scola.

422. Nicolì' Nicolò fra le bbraghe si cacò. Si nnun era suo fratello, se cacava ner cappello.

423. Nicolì' Nicolò fra le bbraghe si cacò. E lla matre lo pulò: come puzza Nicolò!

424. Primo era primo. Renato era ggià nnato. Nicola 'nnava a scola.

425. Renata Renata era mejjo che nun eri nata.

426. Rosa pelosa, còcime 'n ovo. Si tte ringresce, còcime 'm besce.

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427. * Sarvatore sarva tutti sarva l'ànima d'i preciutti. Sarva pure la sorella che sse chiama mortadella.

428. Zinvarosa coll'aroplano, che ccammini piano piano.

429. Susanna tutta panna.

430. Teresina tabbaccona quann'è vvecchia nun è ppiù bbona.

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FILASTROCCHE DILEGGIATIVE O SCHERZOSE SU PERSONE

431. * Roscio marpelo, schizza veleno, magna pagnotte, scurreggia la notte.

432. * Cacasotto piscialletto mette 'e scarpe sotto 'o letto.

433. * Vàttine a lletto, bbomma, nun vedi che ssì 'mbriago: tti sì ccacato sotto, sì ttutto smerdolato.

434. * Si tte védino i bbiferari che ttu pporti 'sto nasó', te lo pìjjino, te lo tàjjino, te ce fanno um ber coppó'.

435. * Si tte védino i bbiferari che ttu pporti 'sto nasó', te lo pìjjino, te lo tàjjino, te lo fanno de cartó'.

436. Mannaggia sacch'e ttómmala che cculo ci-ha 'sta fémmina: ce ll'ha come 'na gnómmara, mannaggia sacch'e ttómmala.

437. * Tizzo tozzo maritozzo.

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438. Grassa bbudella sargiccia e ffegatella. Grossa bbigonza sargiccia e ffegatonza.

439. * Cciccio bbomma cammeriere s'è mmagnato 'm ber bicchiere: era pieno de ggelato Ciccio bbomma carcerato.

440. * Bboccio dell'acqua magna la pappa bbeve lo vino 'mmazza purgino.

441. * Zzucca pelata co' ssette capelli tutta la notte te càndino i grilli e tte fanno la serenata: zzucca pelata zzucca pe-la-ta.

442. Mucio 'ndendo callararo ha magnato 'n zordo d'ondo; 'a servetta l'ha strillato, mucio 'ndendo callararo.

443. Gnudázzala gnudázzala madonna mia ammàzzala! Méttala ggiù 'n gandina pe' ddoménica a mmattina: quanno vènghino i parendi, jj''a sbattemo sott'i dendi.

444. * 'A ciuetta su 'o mazzolo fa ll'amore c''o pizzicarolo: 'o pizzicarolo jje dà 'm bacio, 'a ciuetta puzza de cacio.

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445. La signora der tupè te risponne si nun g'è: se l'è pperza la ciavatta, la signora è mmezza matta.

446. La signora di Lolò oggi sì, ddumani no.

447. 'O regazzo c''a regazza fanno l'amore im-mezzo a ppiazza.

448. Mojje e mmarito c''o culo cucito.

449. * Sette quattòrdici venduno vendotto è ccascata la mojje d''o zzoppo e ll'ha fatto um bello scoppio sette quattòrdici venduno vendotto.

450. Corpo de Bbacco perdico sannella vidi 'na vecchia che stava a ccacà: trascinava lo culo per terra, corpo de Bbacco perdico sannella.

451. Vecchiarella c''o culo pezzuto quanno piove num pole cacà: jje se 'ttura lo bbuco der culo, vecchiarella cor culo pezzuto.

452. * Rid'e ppiagne va a ccastagne.

453. * Ridi ridi che mmamma ha fatt'i gnocchi cc''o sugo d''i bbacarozzi.

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454. Caro combare, te faccio sapere tutte le notte io faccio le pere. E le faccio a ttre a ttre, quelle che ffaccio so' ttutte per te.

455. * Congolina congolina chi lla fa la sende prima.

456. Peruzza peruzza chi ll'ha fatta sende 'a puzza: l'ha fatta 'o stagnino, 'a sende chi sta vvicino.

457. Mirelicche è 'nnato in Frangia colla spada e ccolla langia: ha 'mmazzato 'n gapitano Mirelicche carcerato.

458. A le bbirbe, cari fratelli, la fatica per noi nun fa: cce ne 'nnamo per li castelli chiedenno la carità.

459. * Cristòfolo Colombo cor naso de piombo co' 'a testa de rame strilla ch'ha fame.

460. * Alla larga, alla stretta Pinocchio im bicicletta.

461. * Pinocchio im bicicletta s'è pperzo la majjetta, s'è pperzo le mutanne, Pinocchio sotto ar tranve.

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462. * Pinocchio im bicicletta se perde la majjetta, se perde le mutanne, Pinocchio va (a) ccastagne.

463. * Pinocchietto va 'r caffè e ddumanna sì cch'or-è: è ssonata mezzanotte, Pinocchietto pijja le bbotte.

464. * Spia spió', porta lambió', porta bbandiera, trend'anni 'n galera.

465. * Ci-hai creduto faccia de velluto.

466. * L'ha' guardato, l'ha' smirato, cce l'hai messo 'o cappelletto, fio de 'm becco, fio de 'm becco.

467. * Zzi' frate cappuccì' st(a) a lletto pe' mmorì: jje danno l'acqua sanda, lo fanno riguarì.

468. * Ori ori v'avemo 'mbottijjati c''o vino de Frascati.

469. * Pia su e pporta a ccasa di' a mmàmmita che sso' ccerasa.

470. * La rota e lla candata ppulì ppulì ppulà.

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Rosina è 'nnamorata, chi sse la sposerà?

471. Fanàtica 'ndipàdica, 'n de pozzo più vvedé: si ttu mme guardi in faccia, te faccio 'na bboccaccia mlè mlè mlè.

472. - Chi cci-ha la rabbia 'n gorpo pia la medicina: un gucchiaro pe' mattina e la rabbia passerà. - La rabbia è ggià ppassata coll'acqua limonata co' zzùccher'e ccaffè ttiè ttiè ttiè per te.

473. È mmorto 'o pidocchio: 'o purge a ppiagne', 'a finestra sbatte, l'uscio s'apre e sse serra, l'uccelletto s'è ppelato poveretto!

474. *Maramao, perchè ssì mmorto? Pan(e) e vvino nun di mangava, l'inzalata ll'avevi nell'orto, Maramao, perchè ssì mmorto?

475. * Zzomba, grilletto, zzomba, zzomba chi vvo' zzombare: chi sse la pia more, chi mmore se ne va all'àrberi pizzuti a ffà 'a terra pe' lli ceci,

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come, grilletto, feci nun ce penzamo ppiù.

476. * Topolino topoletto zzum-ba-ppà s'è fficcato sott'ar letto zzum-ba-ppà e lla madre poveretta zzum-ba-ppà jj'ha tirato la scopetta zzum-ba-ppà corri corri all'ospedale zzum-ba-ppà l'ospedale era chiuso zzum-ba-ppà corri corri al cimitero zzum-ba-ppà il cimitero era chiuso zzum-ba-ppà .

477. * Tiritalla tiritalla morirai senzá 'ssaggialla 'a pizza c''o zzibbibbo calla calla. Tiritalla tiritalla 'o prete sona e 'a serva bballa; poi quanno jje va bbona, 'o prete bballa e 'a serva sona.

478. Sand'Ambrocio ci-aveva 'n gallo bbiango rosso verd'e ggiallo, tanto bbello, tando bbullo che ppareva 'm bappagallo.

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479. Ciucciurummella ci-aveva 'na mula, tutti li ggiorni la portava 'n vettura; jje metteva la bbrijja e lla sella, ecco la mula de Ciucciurummella. Ciucciurummella de nero de nero, de nero de nero.

480. Lero lero tutte le donne ci-hanno lo pelo; e cchi nun ge ll'ha piano piano lo metterà.

481. Bbenedetto fra' Mmartello che sta 'n gima a 'na mundagna: riparato coll'ombrello, bbenghé ppiove, nun ze bbagna.

482. Quanno la capra ce va (a) ccecio, oh che ddanno che mme fece! E qquanno che stette pe' ssardà 'o fosso, se piccò co' 'na spina ner dorzo e ffece: meo meo meo!

483. Co' 'na pizza te manno a Nnizza. Co' 'ná papagna te manno in Spagna.

484. * Chi sta 'm bizzo magna 'o pa' de Ggesù Cristo. Chi sta 'm-mezzo magna 'o pa' de sa-Llorenzo.

485. * Panico panico tre vvorde t''o dico ce viei?

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486. * Mannaggia 'r diavoletto che cci-ha fatto litigà pace pace e llibbertà.

487. * - Scopìa scopìa chi 'o trova s''o pia. - Scopìa scopió' chi 'o trova 'o ridà (a) 'o padró'.

488. * - Sì 'nnato a Rroma, tti sì pperzo 'a portrona. Sì 'nnato a Bborghetto, tti sì pperzo 'o bbanghetto. - So' 'nnato ar Cambidojjo, 'a portrona la rivojjo.

489. Er fornaro de Via Ripetta è 'nnato a Nnàpoli im barchetta pe' mmagnà li maccheroni cotti cor zugo de' lumaconi.

490. E-rre del Portogallo che 'nnava sempre a ccavallo s'è vvennuto li speroni pe' mmagnà li rigatoni rigatoni rigatoni e cchissà quanto so' bboni.

491. Io so 'na canzongina corta corta me l'ha 'mbarata mamma dendr''a grotta: sargicc'e maccaroni tutti 'm bocca.

492. Io so 'na canzongina corta corta me l'ha 'mbarata mamma sott''a quercia: sargicc'e mmaccaroni dendr''a bbocca.

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493. Favorite e nun ve 'ccostate: pane rotto nun 'o magnate, quello sano nun 'o roppete, favorite quando volete.

494. Magnate, fijji, quando volete: 'o pane rotto nun 'o toccate, quello sano nun 'o roppete, magnate, fijji, quando volete.

495. * Silenzio perfetto chi pparla 'n gonfetto; chi ddice 'na parola fori della scola.

496. Pecoraretto magnaricotta quanno va a mmessa 'n ze 'nginocchia, nun ze leva 'o cappelletto, pecoraro maledetto.

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CONTE

497. * Pi-ri-pi-ri-pi-cchio ddo' mme di-ce Gge-sù Cri-sto (bis/ter).

498. * Bi-mbu-mbà llé ggiù.

499. Bbi-mbu-mbà pesce fritto e bbaccalà con i sordi de papà ce ne 'nnamo a 'mbriagà.

500. Bbi-mbu-mbà pesce fritto e bbaccalà coi sordi de papà ce combramo da magnà. Si ppapà nu-llí guadagna, questa sera nun ze magna.

501. Fazzoletto ricamato, ben lavato e bben stirato. Ho una spilla ricamata, ma non zo chi mme l'ha data; me l'ha data mi' sorella, scappa fora la più bbella.

502. * Passa Paperino colla pipa 'm bocca guai a cchi lo tocca sei sta-to pro-pio tu sei sta-to pro-pio tu.

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503. Trovato um biscotto lo porto im bischeria (!) chi è lladro, chi è spia esca fori da casa mia.

504. Pomodoro oro oro oro de bbilancia ancia ancia quanti ggiorni sei stato in Francia?

505. Ggiggi Ggiggi nnato a Ppariggi morto a Mmilano Via Polenta telèfono mille Ggiggi 'mbecille (ter).

506. * Mi chiamo Lola sonó spagnola per imparare l'italliano vado a scuola. La miá mammina è ppariggina e 'l mio papà è ddella Cina. Cina Cina coccodè uno due e ttre.

507. Tre ttazzine di caffè me le bbevo tutt'e ttre: tre più ttre fa ssei, sei più ssei fa ddódici, dódici più ddódici vendiquattro, uno ddue tre e qquattro (ter).

508. * Uno ddue e ttre la Peppina fa 'l caffè il caffè colla cióccolata

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la Peppina s'è mmalata. Chiameremo 'l zor dottore: sor dottore collé ciabbatte qui mmi dole e qqui mmi bbatte, qui mmi sento uná gran pena, vado a lletto senza cena.

509. Lavare le mani per fare il pane: per uno per due per tre per quattro per cingue per zei per zette per otto bbiscotto.

510. Conda conda quìndici: se non zaranno quìndici, saranno venditré, uno ddue e ttre (bis).

511. * Sotto la cappa del cammino c'era 'n vecchio condadino che ssonava la chitarra uno due tre sbarra (bis).

512. Sotto ar ponde cce so' ttre cconghe: passa er lupo e nno le rombe; passa er-re ne rombe tre. Passa la reggina ne rombe 'na dozzina.

513. Sotto 'l ponde cce so' ttre cconghe: passa 'l re ne roppe tre;

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passa la reggina ne roppe 'na diecina; passa il reggimendo ne roppe cinguecendo.

514. * Sotto il ponde di Verona c'è 'na vecchia scurreggiona che scurreggia a ttrendatré uno ddue e ttre, uno ddue e ttre.

515. * Sotto il ponde di Verona c'è 'na vecchia scurreggiona che scurreggia nott'e ddì a-bbi-cci-dì, a-bbi-cci-dì.

516. * Sotto il ponde di Bbaracca cc'è Mmimmì che ffa la cacca la fa ffino a ttrendatré uno ddue e ttre, uno ddue e ttre.

517. Sotto il ponte di Bbaracca c'è Mmimmì che ffa la cacca la fa ddura dura dura il dottore la misura la misura a ttrentatré uno ddue e ttre, uno ddue e ttre.

518. Sotto il ponte di Milacca c'è Nninì che ffa la cacca la fa bbianca e vverdolina il dottore l'indovina l'indovina a ttrentatré uno ddue e ttre.

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519. * Pon-de po-nen-de (e-)ppon-de ppì ta-ppe ta-ppe ru-ggia. Pon-de po-nen-de ppon-de ppì ta-ppe ta-ppe rì (bis).

520. * Tunzi tenzi tinzi quali qualinzi meli melinzi riffe raffe e ddieci.

521. Unzi donzi trenzi quale qualenzi mile milenzi riffe raffe e ddieci.

522. Unzi dunzi trenzi quali qualinzi peli pelinzi riffe raffe e zzeta.

523. Nècchete pècchete bbutte ffilè. Fàbbile fàbbile dommunè. Bbulla strasse (ter) tu scappi e io sto ssotto.

524. * Ai-bbá rácche-ttà che-tté tú-bba-ré alle racche tu bbarà-cche bbisse.

525. A-bbá bbá-cche-ttà se-bbé cú-bba-lé rabbe cate cuma chette bbisse.

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526. A-bbá bbá-cche-ttà se-bbé cú-bbané da-lle ra-cche tu-ma ca-tte bbisse.

527. Bbu! Stìcchere mìcchere bbu-mbu-mbù. Bbattendo le nàcchere dda-nda-ndà. Stìcchere mì stìcchere dù stìcchere mìcchere dun-dun-dù.

528. * A-mble-mblè si-cu-tè mi-sdè. Ttieni um bamboccino te lo vojjo dà; quest'è la conta de' tre ssordà': ora peccatora chi ddendro e cchi ffora (ter).

529. * A-mba-ra-pà cci-ccì cco-ccò tre ggalline sur comò che ffacévano l'amore colla fijja der dottore il dottore s'ammalò a-mba-ra-pà cci-ccì cco-ccò.

530. * A-ngli-nglò tre ggalline e ttre ccappó' per andare allá cappella c'era 'ná regazza bbella che ssonava il venditré uno ddue e ttre (bis).

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531. A-ngli-nglò tre ggalline e ttre ccappó' per andare allá cappella c'era 'ná regazza bbella che ssonava 'l venditré uno ddue e ttre. Pia lo straccio e llo rivorta, lo riporta im pescheria, chi è lladro e cchi è spia se ne va da ca-sa mi-a.

532. * A-bbi-cci-dì il gattino mi morì mi morì ddi ggioveddì a-bbi-cci-dì.

533. * - Bbu! Passa un camio' pien di sabbia vero che ssì? - Ssì! - Vero che nno? - Nno! - Vero che ttu vvoi uscir di qqui? - Nno!

534. - Cinesino di Sciangai dove vai, dove vai? - A Mmilano. - Quanti ggiorni resterai, cinesino di Sciangai?

535. * - Milano Torino una bbella città si magna si bbeve l'amore si fa. Ha-i visto mió mari-to? - Sì! - Di che ccolore erá vesti-to?

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- Rosso. - Ha-i tu questó colo-re? - Sì! - Te ne vai per favo-re? - Nno! - Quanti sordi aveva 'n ta-sca? - Trenta!

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GIOCHI A PALLA E GIOCHI A CORDA

536. * Ho una mela la dono a Ccarmela Carmela nun g'è la mela è pper me.

537. * Tre asinelli vanno in Eggitto oh cche ppiacere! oh cche ttraggitto! La stella polare cade nel mare (ter).

538. Acqua sorgende la bbeve 'l zerpende la bbeve mio zzio la bbevo angh'io.

539. Partenza una sicura sicura: se nnon è ssicura, la rifarò; ma è ssicura, non la rifarò.

540. Entrai im bottega ticche ticche tacche pe' num benzà alla priggione ticche ticche tacche ma un giorno vénnero i carabbigneri ticche ticche tacche e mmi portàrono ticche ticche tacche

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in priggione ticche ticche tacche.

541. Palla ovo uno palla ovo due palla ovo tre palla ovo quattro palla ovo cingue per la figlia der re che ssi chiama che nun ze chiama? X.

542. * Palla pallina dove sei andata? Dalla nonnina. Cosa t'ha ddato? Pan(e) e fformaggio. Che ccosa hai bbevuto? Acqua der mare. Spùtala via che tte fa mmale.

543. Palla pallina dove sei ita? Dalla nonnina. Cosa t'ha ddato? Un uccellino. Dove l'hai messo? Nel cassettino. Càccialo fori, fallo vedere. Eccolo qqua! Bbell'uccellino dove sarà? Ciccì ciccì.

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544. Palla uno, palla due palla tre, palla quattro palla cingue, palla sei, palla sette, palla otto, palla nove, palla dieci. Io mi cingo mi sopraccingo tocco terra la vojjo ritoccare la miá pallina bbella bbáciare il zole la luna le stelle bblè-bblè cco-ccò cco-ccò.

545. Palla uno, palla due, palla tre, palla quattro, palla cingue. Io mi cingo mi sopraccingo tocco terra la ritocco la vojjo ritoccare faccio 'l zegno della loca loca lochessa madre bbadessa ojjo pep(e) e ssale se ccade a tterra non vale (ter).

546. * Movèndomi stàndomi al fermo cón um piede con úna mano cc'è dda bbàttere allo zzìgolo-zzàgolo

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al violino um bacino tocco terra la ritocco faccio 'l giro dell'orco orco orchessa madre bbadessa occhio pepe e ssale viva viva carnevale.

547. * Movèndomi stàndomi al fermo cón um piede con úna mano c'è dda bbàttere llo zzìgolo-zzàgolo al violino um bacino tocco terra tocco core fiorellin d'amore (bis).

548. * Ciro cironte la palla sotto al ponte chi ssarda chi bballa chi ggioca alla palla chi sta sull'attendi a' miei combrimendi chi ddice bbongiorno ggiràndomi attorno ggira riggira la testa mi ggira non ne pozzo propio ppiù palla pallina scèndime ggiù.

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549. So-riè san-ducè so-rì ta-ppó ttippe-ttappó una le mè l'altra le mè um-piè l'altro piè mu-linè ce-stiè le mè.

550. Uno due tre e qquattro quattro quattronne china chinetta callaretta conta bbarili e bbariló' còntali bbe' che ddieci so'.

551. Uno due tre quattro quattronne china chinetta callaretta prendi ggiglio roppi bbarile e bbariló' còntali bben che ddieci so'.

552. Uno: passa 'l-lupo due: passa 'l bue tre: passa 'l figlio der re quattro: l'àsino a lo prato

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quinto: cucitura sesto: mulinelli ar vento sèttimo: ppla-pplà.

553. * Mela arangio susina limone bbanana.

554. * Aiuto sorella sorella più bbella che si chiama che non zi chiama? X. Il capitano disse: si sarvi chi ppuò e cchi nom può chi ppuò e cchi nom può.

555. * - È vvero che lla signorina se sposa X? Sì! Nno! Sì! Nno!... - Quandi fijji? Uno due tre quattro... - 'O colore d'i capelli come? Bbiondi, mori, castani... - Dove va a 'bbità? Vicino lundano, vicino lundano... - E cche sse combra? Màchina aroplano artalena... - Bbucia o vverità? Bbucia o vverità...

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CANTI E CANTILENE PER ACCOMPAGNARE ALTRI GIOCHI

556. * Im-mezzo a qquesto cìrcolo ce sta ppiandado um bròccolo bbròccolo (ter) che ssì tté!

557. La condadinella che ssémina 'l grano ggira la carta se vede il villano. Il villano che zzappa la terra ggira la carta e sse vede la guerra. E lla guerra co' ttandi sordati ggira la carta e sse vede i mmalati. I malati co' ttando dolore ggira la carta e sse vede il dottore. Il dottore che ffa le ricette ggira la carta e sse vede la ggende. E la ggende che vva per la via ggira la carta e sse vede Lucia. E Llucia col zuo figlioletto ggira la carta e sse vede 'l galletto. Il galletto che ffa cchicchirichì ggira la carta e ffinisce ccosì.

558. La contadina che ssémina 'r grano ggira la carta e ssi vede 'l villano. Il villano che zzappa la terra ggira la carta e ssi vede la guerra. E la guerra con tanti sordati ggira la carta e ssi vede l'ammalati. L'ammalati co' ttanto dolore. ggira la carta e ssi vede 'r dottore. Il dottore che ssarta e cche bballa ggira la carta e ssi vede la farfalla. La farfalla co' ttanti colori

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ggira la carta e ssi vede i signori. I signori che vvanno a ppasseggio ggira la carta e ssi vede 'r galletto. Il galletto fa: chicchirichì.

559. La contadinella che ssémina il grano ggira la carta e ssi vede il villano. Il villano che zzappa la terra ggira la carta e ssi vede la guerra. E la guerra co' ttanti sordati ggira la carta e ssi vedono i malati. I malati co' ttanto dolore. ggira la carta e ssi vede il dottore. Il dottore che fa la ricetta ggira la carta e ssi vede Concetta. E Cconcetta ché ffila il lino ggira la carta e ssi vede Arlecchino. Arlecchino che ssarta e cche bballa ggira la carta e ssi vede la farfalla. La farfalla che vvola sui fiori ggira la carta e ssi védono i signori. I signori che vvanno a ppasseggio ggira la carta e ssi vede il galletto. Il galletto che ffa cchicchirichì e la storia finì.

560. L'andro ggiorno ner mio ggiardinetto c'era um pìccolo uccelletto: era pìccolo e ccarino si chiamava cardellino. A vvolare faceva ccosì ccosì a ccantare faceva: cciccì cciccì. Un cattivo cacciatore collo schioppo fece: bbu! Ed il pòvero uccelletto cascò 'n terra e nnon c'è ppiù.

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561. Ner mio ggiardino cci so' cciliegge a cciocca a cciocca le vado a ccògliere le vado a ccògliere cor canestrino oh cche ggusto ner mio ggiardino: il bustino mi sta strettino; la sottana mi sta a ccampana; le scarpette mi stanno strette; e ll'orologgio me fa ndin-dì: bballerei con ti, bballerei con ti. Bbatti bbatti mùsica co' ttrallarillallero; bbatti bbatti mùsica co' ttrallarillallà.

562. Rosa rosella la rosa è ffiorita bbianga è lla rosa im mezzo allé viole fate la riverenza a cchi vvolete voi. Se X entra im ballo ci entra senza inganno falla bballà, falla bballà si non ti piace, làsciala stà.

563. Bballate, bballate, vérgini, che ll'àngeli soneranno: soneranno co' rrose e ffiori X, vordàtive voi. Si X se riggirasse e ll'àngelo la bbaciasse,

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la bbaciasse co' rrose e ffiori, X, vordàtive voi.

564. Bbella, che ddormi sul letto di fiori mentre dormendo um bacino d'amor. Um bacio ed attèndere la cara bbambina oh ppoverina, dove sarà? Sarà in càmmera sola intenta a ppettinarzi o i ricciolini a ffarzi co' lá cará mammá. O Mmaria Ggiullia, da dove sei venuta? Arza l'occhi ar celo fa' un zarto fanne 'n andro fa' lla ggiravolta fa' lla riverenza lèvite er cappello pijja i fiori im mano sona le cambanelle occhi in zù occhi in giù dai um bacio a cchi vvoi tu.

565. - Che ccosa porti in testa violina violetta? Che ccosa porti in testa violina violà? - Porto in testa un fazzoletto violina violetta; porto in testa un fazzoletto violina violà. - E cchi tte ce l'ha mmesso violina violetta?

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E cchi tte ce l'ha mmesso violina violà? - Me ce l'ha mmesso X violina violetta; me ce l'ha mmesso X violina violà. - La più bbella della città la più bbella è X; la più bbella venga qqua che um bacio jje vojjo dà.

566. È 'rrivato 'l pescatore coll'amo e ccolla rete; o ppesci, dove siete? Venite tutti qqua.

I pesci so' nnel mare venìteli a ppescare. I pesci so' nnel mare venìteli a ppescà.

Ssì! Ssì! che ppescherò pesce delfino pescherò.

Ssì! Ssì! che ppescherò pesce spada pescherò.

Ssì! Ssì! che ppescherò Maria pescherò.

567. - O qquande bbelle fijje, madama Dorè, o qquande bbelle fijje! - So' bbelle e mme le tengo, madama Dorè, so' bbelle e mme le tengo. - Me ne prometti una, madama Dorè, me ne prometti una? - Che ccosa ne vuoi fare, madama Dorè, che ccosa ne vuoi fare?

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- La vojjo maritare, madama Dorè, la vojjo maritare. - Endrate ner mió castello, madama Dorè, entrate ner mió castello. - Nel castello ci sono endrata, madama Dorè, nel castello ci sono endrata. - Scejjétive la ppiù bbella, madama Dorè, scejjétive la ppiù bbella. - La più bbella me l'ho ccapata, madama Dorè, la più bbella me l'ho ccapata.

568. - Oh cche bber castello Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. Oh cche bber castello Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

- È ppiù bbello il nostro Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. È ppiù bbello il nostro Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

- E nnoi lo bbruceremo Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. E nnoi lo bbruceremo Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

- E nnoi lo rifaremo Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. E nnoi lo rifaremo Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

- E nnoi leveremo una pietra Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. E nnoi leveremo una pietra Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

- E a nnoi nun ce ne 'mborta

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Marco 'ndiro 'ndiro 'ndello. E a nnoi nun ce ne 'mborta Marco 'ndiro 'ndiro 'ndà.

569. - O mmadonna ppollarola, quanti polli hai nel pollaio? - Cce n'ho ttanti, ce n'ho ttanti che nom pozzo sopportalli. - Dàmmine uno al mio passaggio, quanno passo so' ssempre sola. - Pìjjine pure quandi te ne pare, ma lo più bbello làscialo stare. - Ggirerò ggirerò, lo più bbello caperò. Ho ggirato ho ggirato, lo più bbello l'ho pijjato.

570. * Ecco qqua questá vecchiaccia che nun vole mmai ggiocà: e ppe' pprima penitenza in ginocchio deve stà.

Ecco qqua questá vecchiaccia che nun vole mmai ggiocà: e ppe' sseconda penitenza a occhi cchiusi deve stà.

Ecco qqua questá vecchiaccia che nun vole mmai ggiocà: e ppe' tterza penitenza c''a lingua de fora deve stà.

Ecco qqua questá vecchiaccia che nun vole mmai ggiocà: e ppe' qquarta penitenza mano in arto deve stà.

Ecco qqua questá vecchiaccia

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che nun vole mmai ggiocà: e ppe' qquinta penitenza um bacino deve dà.

571. - Gala gala sole merinella e mmerinà. - Dove 'nnarà a ggalà merinella e merinà? - Sopre 'Delina bbella merinella e mmerinà. - Chi jje volemo dà merinella e mmerinà? - Jje daremo Ggiggetto suo merinella e mmerinà. - Si sse lo pierà merinella e mmerinà. - Si Adelina edè 'nnamorata qui dda me s'ha da vordà. - E ll'ha fatta 'na bbella vorda pare propio 'na crapa sciorda. E ll'ha fatto um ber vordino pare 'na rosa de ggiardino. E ll'ha fatta 'na bbella vordata pare 'na rosa spambanata.

572. Primo: mond'e la luna. Secondo: 'l bue. Terzo: la fijja der-re. Quarto: la spiga si raccoglie. Quindo: la mela. Sesto: i tamburi. Sèttimo: i tamburoni. Ottavo: san Giuanni a ccavallo sopre 'n doro. Nono: l'ingrocio. Dècimo: la mitrajja.

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Undècimo: il cannone. Dodicèsimo: parto e mme la sguajjo e tte lascio un regaletto.

573. Primo: mond'e la luna Secondo: 'l bue. Terzo: la fijja del re. Quarto: la cassetta se riccojje. Quindo: 'l cioccolato. Sesto: i piomboni. Sèttimo: parto e mme la sguajjo e tte lascio un regaletto. Ottavo: mela bbacata. Nono: i sordatini. Dècimo: uno ddue e ttre lìbbero tutti. Undècimo: la mitrajjatrice. Dodicèsimo: cannone.

574. Uno: mond'e la luna. Due: 'r bue. Tre: la fijja der-re. Quattro: la spiga se riccojje. Cingue: san Giuanni a ccavallo sopre 'n doro. Sei: i tamburini. Sette: i tamburoni. Otto: l'ingrocio. Nove: 'na culata. Dieci: 'na zzambata. Undici: me preparo per partire. Dódici: parto e mme la sguajjo e tte lascio 'n regaletto. Trédici: 'o cannó'.

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575. Alla fresca inzalatina cce ll'ho bbella e rricciolina cce ll'ho bbella e dda pagà la signora la va (a) ccombrà. E nne combra um bajjocchetto ce lo ficco e cce lo metto ce lo metto fino al pundo la signora ce sende gusto cce sende gusto per un'ora ora ora.

576. Alla fresca 'nzalatina ce ll'ho ffresca e rricciolina ce ll'ho bbella e da pagà la signora la vo' ccombrà. E nne combra 'm bajjocchetto ce lo ficco e cce lo metto ce lo metto fino ar busto la signora ce sende gusto ce sende gusto per un'ora ora ora agnello agnello quanno che ppasso la mia pezzola lascio mo' che sso' ppassato la pezzola ho llasciato.

577. * Bbocca mia bbocca tua qual è ppiù bbella: la mia o la tua?

578. * Alla mano di papà dove sta: o qqui o qqua?

579. * A la làmbina a la làmbina chi lla sfugge e cchi la scamba: ccecio!

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580. Nicche nacche nicche nacche sopre le stanghe: bbucheto!

581. Bbiribbibbì scarga bbarì'; bbiribbibbó scarga bbaró'.

582. Zzomba padella riccojji le mella riccojji le cerasa zzomba 'sta casa.

583. 'A sedia der papa chi cce piscia e cchi cce caca, chi cce dà 'na pitalata.

584. Cengio mollo viè' dda te: si vvoi riderete, si vvoi scherzerete, cengio mollo in faccia avrete.

585. Sega seghetta segamo 'sta vecchietta. Sega segó' segamo 'sto vecchió'. Sega sega Lucïano quanno pozzo sego piano; se mme viene la fiacchetta, abbandono la seghetta.

586. Bbella villana che ppiandi le fava come le piandi?

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Le piando così. Arivòrdite e ffa' ccosì: accì accì.

587. * Pizza ricotta oreste oreste bbu! È ppassata la violetta cicchitelletta cicchitelletta. È ppassato lo violó' cicchitelló' cicchitelló'. È ppassato un gapitano dajje la mano, dajje la mano. È ppassato 'no tenende dajje 'n dende, dajje 'n dende.

588. - Passeggio ppasseggio in guesto ggiardino. - Che ccosa passeggiate? - Per cògliere un fiore. - Che fiore? - La rosa. - La più bbella della città è X venga qqua.

589. Ti rigalo questo fiore edè un dono d'amore. Dite se ll'accettate: che rrisposta me date?

590. Stanotte a mmezzanotte è ppassata la reggina: Che jj'ì fatto pe' rrigalo? Un anello.

591. Rosa e ggiglio tocco e ppiglio.

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592. * 'E colonne de sam Biedro so' vvendiquattro e cchi le conda ci-ha 'n gram betto: colonna uno, colonna due etc.

593. * - Mazzabbubbù quande corna stanno quassù? - x - Si ddicevi y, num-menavo tando; mazzabbubbù quande corna stanno quassù?

594. * Reggina regginella, quandi passi mi darai pe' 'rrivare ar tuo castello colla fede e ccoll'anello colla punda der cortello?

595. * Lucia ci-ha le trecce Sergio jje le sciojje la vo' ppià ppe' mmojje quattro ggiorni la vo' sposà. La porta in un gastello se danno la fede e ll'anello se danno du' bbacetti ecco qqua li du' sposetti.

596. - Topo che ffai? - Fo 'na pìccola bbucetta. - Si tte vede 'o padró'? - Fuggirei. - 'O padró' sso' io!

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597. - Scalì 'nzalì, scalì 'nzalì chi ha rubbato 'o cacio qqui? - 'O sorge. - Dd'è 'ndrado? - Dd''o bbuco d''a jjave. - Dd'è scappato? - Dd''a finestrella. - Frusta via! Frusta via!

598. Sam Bietro sam Bàvolo aprìtice le porte che cc'è 'na pecorella che vvole passà: bbeè bbeè bbeè!

599. - Angelo, bbell'àngelo, vieni qua dda me! - Nom posso venire che cc'è 'r diàvolo vicino. - Stendi le tue ali e ccorri qua dda me... Im baradiso se bballa e sse sona all'inverno se còcino l'ova!

600. - Fornaretta, è ccotto 'l pane? - Anghe bbruciato! - Dde chi è lla corpa? - Der pòvero X. - Poro X 'ngadenado co' ccendo catene morto di pene!

601. - G(r)attaceca jjotta jjotta ddo' ne venghi? - Da Milano. - Che mme porti?

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- Ppan(e) e ccacio. - Me ne dai 'm bezzé'? - Nno! - G(r)attaceca jjotta jjotta (bis).

602. * Lupo che ffai? - Sto a ddormì. - Lupo che ffai? - Me sto (a) arzà. - Lupo che ffai? - Me sto a mmette' i carzoni. - Lupo che ffai? - Me sto a llavà. - Lupo che ffai? - Sto (a) scegne' 'o primo scalino. - Lupo che ffai? - Sto a scegne' 'n andro scalino. - Lupo che ffai? - So' 'rrivato ggiù dda piede ('e) scale. - Lupo che ffai? - Ve vengo a 'jjappà!

603. - Commà', viei all'acqua? - Porto le mano im basta. - E mmànnice Sanda - Sanda è mmaritata. - E chi ll'ha piata? - 'O nipote der papa. - E cche jj'ha messo ar dito? - L'anello de vetro. - E ar collo? - 'E cambane der Cambidojjo.

604. - Commà', ì visto i picciongini mii? - Tetto pe' ttetto. - E cche mmàgnino?

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- L'erba der tetto. - E cche bbévino? - L'acqua der mare.

605. - Commà', ì visto gnende 'o fidanzato mio? - Piazza pe' ppiazza. - E cco' cchi stava? - Co' 'ná bbellá regazza. - Più bbella de me? - Assai. - Congolì congolà io me vojjo marità.

606. Tinda tindàvola s'è 'nnamorata Pàola Pàola de Roma s'è pperza la corona corona d'argendo che vvale cinguecendo cingue e ccinguanda la gallina canda làsciala candare la vojjo maritare le vojjo dà ccipolla ccipolla è ttroppo forte le vojjo dà lla morte la morte è ttroppo bbrutta le vojjo dà lla luna la luna è ttroppo bbella cc'è ddendro mi' sorella che ffa li bbiscottini pe' ddalli allí bbambini. Li bbambini stanno male stanno ggi(ù) all'ospedale: l'ospedale sta llaggiù dajje 'n garcio e bbùttili ggiù.

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607. * Piso pisello colore così bbello sando Martino la bbella mulinara che ppiana sulla scala la scala e llo scalone la penna der piccione che ggioca a ppiastrella col figlio der re tira 'r piede che ttocca a tte.

608. - 'Ndilì 'ndilì de chi è 'sto cambanì'? - 'O mio. - Fai 'a penitenza che tte do io? - Si ppozzo, sinnò te caco addosso.

609. O ddonna pollinara, che vva' pparà li polli c'è la vorpe li parerà. Vorpe da polli e ppolli de gra. Sona la tromba tutto rimbomba e ccaracà.

O ddonna pollinara, cerca di parare la vorpe. Si la vorpe nun vole parà, c'è lo cane la parerà. Cane da vorpe, vorpe da polli polli da cra. Sona la tromba tutto rimbomba a ccaracà.

O ddonna pollinara,

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cerca de parà lo cane. Se 'r cane nun vole parà, ce sta 'o lupo lo parerà. Lupo da cane, cane da vorpe, vorpe da polli e ppolli da cra. Sona la tromba tutto rimbomba e ccaracà.

O ddonna pollinara, cercate de parà llo lupo. Si llo lupo nun vole parà, ce sta er bosco lo parerà. Bosco da lupo, lupo da cane, cane da vorpe, vorpe da polli e ppolli da cra. Sona la tromba tutto rimbomba e ccaracà.

610. C'era un grillo in un cambo de lino la formicuccia jje ne chiese un filo laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Il grillo disse: che ccosa ne voi fare? Carze e ccamicie mi vojjo maritare. laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Il grillo disse: lo sposo sarò io. La formicuccia: sarò condenda angh'io. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Ecco che 'rriva il giorno delle nozze: un zorzo d'acqua e ttre ccastagne cotte. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Endrino in chiesa pe' mméttijje l'anello il grillo cade e sse roppe il cervello. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

La formicuccia per un gran dolore

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pijja la zzamba e sse la stringe al core. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Sono le otto e ddi là ddar mare si sende dire che 'l grillo stava male. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Era le nove e ddi là ddar porto si sende dire che 'l grillo era morto. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

Era le dieci e ddi là ddar prato si sende dire che 'l grillo è ssotterrato. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

La formicuccia vestita di nero va a 'ccombagnare il grillo al cimitero. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

La formicuccia vestita di biango va a 'ccombagnare il grillo al camposanto. Laringiùffala rillallero laringiùffala rillallà.

611. Uno! Nu' ddì gnende a nnessuno, si tte voi marità.

Due! Accidendi a ttutt'e ddue, accidendi a qquesto qqua.

Tre! 'A signora viè' cco' tte e cco' mme num bò vvenì.

Quattro! La signora gioca cor gatto, e ccor lupo 'n ge vo' ggiocà.

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Cingue! Pijja màmmita e mméttala a ffrigge' [...]

Sei! In giardin ti porterei in giardino a ppasseggià.

Sette! Le ggióvine colle vecchie nun ze vonno paragonà.

Otto! La signora fa 'r fagotto, fa 'r fagotto pe' ppartì.

Nove! La signora fa lle prove fa lle prove pe' ppartì.

Dieci! La pasta colli ceci merluzzo e bbaccalà.

Undici! Accidendi a ttutt'i ggiùdici che nun zanno ggiudicà.

Dòdici! È ffinita la canzongina chi sta 'n gàmmara e cchi 'n gucina chi sta (a) lletto a rriposà Mìlita dondondella mìlita dondondà.

612. La tarandella l'ha ricacciata e dde X ch'è 'nnamorata è 'nnamorata de 'n regazzetto che sse chiama (Y)-etto. Ma Y nun la vole e a X jje trema 'r core:

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core core nun tremare che ddumani 'nnamo a sposare. 'Nnamo a sposare lì un vicoletto ce lo daremo um ber bacetto; 'nnamo a sposare d'un vicolaccio: io co' la fede, tu cor marraccio.

613. - Dove vai, dove vai, bbella fandina? (bis) - Vado a ppijjà ll'acqua pe' bbeve' e ccucinà (bis). - Mi daresti, mi daresti um bicchier d'acqua (bis). - Io non ho ttazze né cchìcchere e bbicchiè' pe' ddar da bbere a llei cavalliè' (bis). - M'attaccherò m'attaccherò alla tua bbrocchella. - Oh cche ggusto, oh cche ppiacer da dà dda beve' a llei cavalliè'. - Monda sul mio cavallo ti porterò al castè' (bis). - Son troppo piccolina l'amor non lo so far (bis). Mannaggia 'sto bbustaccio num me se vo' slaccià. 'Mbrèstime la spadina che mme se slaccerà. - Oh ppòvera fandina è mmorta per amor la ggende che qqui ppassa le ggetta rose e ffior.

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APPENDICE

614. Bbatti le mano che ecco la micia è ppapa senzá camicia 'a camicia nun ge ll'ha bbatti le mano ch'ecco papà.

615. - Ma' ho ffame! - Tira a coda a 'o cane che tte dà ppan e ssalame.

616. - Ho ssete! - Pisci(a) e bbevi!

617. - Come va? - Più spigni e ppiù vva llà!

618. - Bbongiorno, signora! - Te puzza o tt'odora?

619. - Permesso ? - Chi num bò ccacà peggio per esso!

620. - Ch'ì fatto a ppranzo? - I gnocchi. - Gnocchi gnocchi padalocchi.

621. Ggiuanna, quanda sémmola ci-hai! - Sotto 'a sémmola c'è 'o fiore; sotto 'o fiore c'è ll'amore!

622. - Sàbbito doménica e lluneddì. - Sia bbenedetto 'r gobbo che mme lo fece dì.

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623. * Bbella signora bbrutta signora gglu-gglu-gglù.

624. Trita trita porta a ccasa 'a formica è 'na ladra.

625. Trita trita la formica la formica ll'è una ladra rubba er grano e pporta a ccasa.

626. * Questo se jjama Pietro ritorna indiedro.

627. Trìcchete ttràcchete trallallà senza cappotto che ffreddo che ffa!

628. Brìcida sollécita.

629. Ggirò Ggirò all'ùrdimo cascò

630. Ecco Rosanna c''o bbuco de canna.

631. * Padr'e mmadre mannate i vostri fii a ddottrina sinnò ffarete 'n dispiacere a Ddio!

632. Angiolino mio carino, stammi sempre qui vvicino: fa' che ssia in compagnia con Gesù, con Giuseppe, co' Mmaria.

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633. Bbambinello mmeo meo perché non vièni alla capanna mea che ppure bbabb'e mmamma ci capea. Io ti dono 'na ricotta nun t'affanna e nun t'abbotta O la viola e qquant'è ttenerella e qquant'è bbona.

634. * Vedo la luna, vedo le stelle vedo Caino che ffa lle frittelle; vedo la tàvola 'pparecchiata, vedo Caino che ffa la frittata.

635. * Amore, spicchio d'ajjo, quanno vedo a tte ttutta me sguajjo!

636. * La bbella lavanderina che llava i fazzoletti per i poveretti della città: Fa' un zardo, fanne 'n andro, fa' la riverenza, fa' la penitenza, occhi in giù occhi in zu dai um bacio a cchi vvoi tu.

637. Fate la ninna ch'è ppassato Peppe, l'ho cconosciuto dalla camminata portava le scarpette co' le pezze fate la ninna ch'è ppassato Peppe. Peppe Bbotta, Peppe Bbommetta, 'o ggiocatore de zzecchinetta. Pòvero Peppe Bbotti, che sse ne va pe' 'sti fossetti:

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quanno nun 'ghiappa pesci, se ne va pe' ffacioletti.

638. Seta moneta le donne de Gaeta che ffilano la seta la seta e la bbammace a Ffrancesca che jje piace. C'èrano tre zzitelle, facévano le frittelle: jje ne déttero una, jje seppe tanto bbona; jje ne déttero un'andra, jje cascò sotto la panca. La panca era cupa e ssotto c'era la lupa; la lupa e lla sorgente fece affaccià tutta la ggente. La ggente per paura se 'rrampicavano sopra le mura. Le mura se sbragarono, er branco de pècore im-mezzo ar grano. Er grano se meteva, Francesca riccojjeva e ffaceva lo mazzutiello, pe' ggovernare lo purginello lo purginello e lla cavalla ggiù alla stalla, che ssonava la chitarra; e 'o cane fori la porta, che 'spettava la pagnotta.

639. E nun giova cantà la nanna se X nun vo' ddormì: se sse rissomijja alla mamma, gnente de bbono potrà vvenì.

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640. Maccaroni, maccaroni, quanto mmai saranno bboni! Ce sta ll'oste de Villa Bborghese l'ha 'mbottijjato 'l vino pugliese n'ha riembiti sette bboccioni e l'ha tturati co' maccaroni. Ce sta 'r-re del Portogallo se ne va sempre a ccavallo s'è vvennuto li speroni pe' mmagnà li maccaroni maccaroni, maccaroni quanto mmai saranno bboni!

641. Bbàllolo bbàllolo lungo tìrite llà ch'è troppo lungo: la catena s'è stuccata e ffacemo 'na gginocchiata.

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ELENCO DEI PRINCIPALI INFORMATORI

NOME E

COGNOME

ΑΑΑΑ ΩΩΩΩ ATTIVITÀ

SVOLTA

TITOLO

DI STUDIO

MOBILITÀ

TERR.LE

TESTI FORNITI

AGNITELLI Lea 1911 commerciante V Elem.re — 22, 61, 73

ANGELI Brunella 1943 casalinga V Elem.re — 29, 30

ANGELINI Daniele 1971 medico Laurea — 526

ARMINI Agostino 1926 cavatore,

ceramista

III Elem.re serv. militare 172, 173, 351, 363,

461

BASILI Annamaria 1939 casalinga V Elem.re — 557

BASILI Mario 1894-1987 bracc.te agricolo,

camionista

III Elem.re I guerra

mondiale

74, 371

BASILI Costantino 1909-1990 muratore,

infermiere

III Elem.re serv. militare 69, 314

BERTO Maria 1950 insegnante Accademia

Belle Arti

— 639, 640

BOCCINI Laura 1919-1997 casalinga I Scuola

Professiona-

le

— 23, 58, 121, 139,

160, 189, 194, 214,

216, 256, 331, 332,

376, 381, 400, 407,

410, 422, 433, 443,

446, 472, 480, 483,

537, 566, 569, 589,

628, 630

BRACONI Ilenia 1974 impiegata Ist. Prof.

Commercio

— 525

BRAVINI Maria 1930 casalinga V Elem.re — 637, 638

CARABELLI Rita 1949 insegnante Laurea in Fi-

losofia

— 37, 50, 53, 508,

615

CAROSELLI Giovan-

ni Domenico (Memme)

1904-1979 carradore,

ceramista

VI Elem.re — 258, 283, 296, 348,

512

CAROSELLI Ulderico 1907-1992 ceramista V Elem.re serv. militare 21, 32, 43, 48, 97,

163, 253, 296, 350,

576

CASSIERI Marianna 1895-1985 casalinga V Elem.re — 24

CAVALIERI Giovanna 1955 impiegata Laurea breve — 41

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NOME E

COGNOME

ΑΑΑΑ ΩΩΩΩ ATTIVITÀ

SVOLTA

TITOLO

DI STUDIO

MOBILITÀ

TERR.LE

TESTI FORNITI

CAVALIERI Pietro 1915 contadino,

ceramista

n.t.* serv. militare

II guerra

mondiale

33, 456

CHELINI Antonio 1916 falegname V Elem.re serv. militare 641

CIMARRA Alessio 1912-1996 ceramista III Elem.re serv. militare

II guerra

mondiale

102, 157, 146, 158,

162, 575, 580

CIMARRA Eugenia 1918 casalinga III Elem.re — 103, 110, 113, 126,

132, 137, 140, 142,

147, 151

CIMARRA Lucia 1974 studentessa Liceo

Classico

— 364, 502, 509, 514,

516, 530, 533

CONTENTI Wolferto

(Goffèrto)

1899-1980 ceramista III Elem.re I guerra

mondiale

354

CONTI Augusto 1906-1986 ceramista V Elem.re serv. militare 289

CORAZZA Antonia 1951 impiegata Ist. Stat.le

Arte

— 39, 551, 559

CORAZZA Cesare 1914-1991 materassaio,

bidello

V Elem.re serv. militare 298

CORAZZA Ugo 1920-1995 ceramista V Elem.re serv. militare 278, 291

COSTANTINI Gino 1904-1988 meccanico,

commerciante

V Elem.re — 284

COSTANTINI Maria 1887-1977 casalinga n.t.* — 107, 125

CRESTONI Valentina 1933-1991 casalinga V Elem.re — 96

CRUCIANI Antonia 1880-1977 fornaia n.t.* — 319

DE NICOLA Violante 1909-1993 casalinga n.t.* — 522

DEL PRIORE Antonia 1896-1992 ortolana III Elem.re — 324, 327, 328

DEL PRIORE Paolina 1889-1981 casalinga III Elem.re — 52, 329

DI NICOLA Gennasia

(Marietta)

1904-1995 contadina n.t.* — 20

D'ANTONI Anna A-

meris (Annamèrise)

1909-1990 tessitrice,

materassaia

III Elem.re — 82, 271, 310, 413,

584, 607

D'UBALDO Simona 1979 studentessa III Media — 406

ERCOLINI Ercole 1911 agricoltore V Elem.re serv. militare 91, 92

FANTERA Giulia 1897-1990 casalinga,

bracc.te agricola

n.t.* — 307, 571

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157

NOME E

COGNOME

ΑΑΑΑ ΩΩΩΩ ATTIVITÀ

SVOLTA

TITOLO

DI STUDIO

MOBILITÀ

TERR.LE

TESTI FORNITI

FANTERA Elidia

(Lidia)

1909 sarta III Elem.re — 190, 229, 230, 301,

430, 478, 496, 521,

551.

FANTERA Maddalena 1917-1991 casalinga V Elem.re — 50, 490

FILIPPETTI Patrizia 1953 casalinga III Media — 564

FINESI M. Maddalena 1904-1990 commerciante n.t.* — 338

FREZZA Mario 1925 falegname,

ceramista

V Elem.re — 4, 12, 13, 21, 393,

424, 493

GIACOMINI Adalgisa 1923-1972 casalinga V Elem.re — 225, 226, 506, 513,

534, 540

GIACOMINI Giovanni

('O peloso)

1906-1986 bracc.te agricolo,

boscaiolo

n.t.* serv. militare 299, 366

MADAMI Gabriele 1970 ceramista II anno Itis serv. militare 95, 122

MANCINI Assunta

('Ssundina)

1925 casalinga III Elem.re — 81

MANCINI Emilia 1920 casalinga IV Elem.re — 11, 16, 49, 67, 70,

100, 120, 124, 153,

154, 188, 208, 228,

239, 241, 253, 257,

261, 273, 325, 414,

543, 544, 545, 549,

550, 552, 554, 582,

585, 590, 596, 597,

612, 629

MANCINI Fausto 1948 ceramista, restau-

ratore

III Media serv. militare 362

MARCHETTI Galerana

(Annita)

1920-1969 casalinga n.t.* — 373

MARCHETTI Ivrea

(Falisca)

1913 casalinga V Elem.re — 155, 156

MEI Emilia 1912 casalinga,

ceramista

III Elem.re Roma 34, 330, 337, 531

NOBILI Maria

(Porverièra)

1910-1993 tessitrice, casa-

linga

II Elem.re Torino,

Francia

16, 80, 114, 116,

117, 119

ORIZIO Riccardo 1933 ceramista III Media — 341, 641

PESCITELLI Onorina 1910-1997 ricamatrice VI Elem.re — 313, 320, 633

RICCI Fernando 1900-1988 contadino n.t.* serv. militare 89, 98, 305, 308,

365

Page 158: Mazzabbubb Di L. Cimarra

158

NOME E

COGNOME

ΑΑΑΑ ΩΩΩΩ ATTIVITÀ

SVOLTA

TITOLO

DI STUDIO

MOBILITÀ

TERR.LE

TESTI FORNITI

RICCI Nazzareno 1913-1990 Ceramista II Elem.re serv. militare 44, 66, 79, 263, 348,

351, 482, 585, 609

ROSELLA Agnese

('Gnesina)

1933 casalinga V Elem.re — 491, 523

ROSELLA Lilio (Lil-

lo)

1926 camionista,

ceramista

III Media serv. militare 90

ROSSI Rina 1944 insegnante Istituto Ma-

gistrale

Roma 3, 339, 427

ROSSI Vincenzo

(Zumào)

1935 muratore V Elem.re — 138, 145

SERENA Giulia 1899-1986 casalinga III Elem.re — 115, 120

TONTONI Vera 1936 casalinga,

commerciante

V Elem.re — 294

TUIA Ettore 1917-1994 barbiere V Elem.re serv. militare,

II guerra

mondiale

290

TUIA Nara 1910 sarta V Elem.re — 78, 130, 183

VALERIANI Massimo

(L'òmo)

1942 fornaio, murato-

re, ferroviere

III media — 135, 265, 450

VALLETTA Tito 1935 ceramista II scuola

professionale

serv. militare 266

ZARGHETTA Pietro 1945 insegnante Itis Veneto,

Roma

261

ZITELLI Giuseppa 1918-1991 casalinga V Elem.re — 445, 589

* La sigla n.t. equivale a "nessun titolo" (di studio), dicitura che è stata desunta dalle schede anagrafiche del

Comune. In realtà essa significa che l'inform. ha frequentato le prime classi della scuola elementare senza

conseguire la licenza.

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159

NOTE

1-2. Antichissima è la consuetudine di cantilenare nenie, accompagnandole con un mo-vimento cullante, per far addormentare i fantolini (cfr. la formula latina lalla, lalla, lalla aut dormi aut lacte in Aulus Persius Flaccus Saturae, a cura di N. Scivoletto. Firenze, 1956, III, 18, p. 57). La forma più elementare è rappresentata dal solo primo verso ripe-tuto su una monotona melopea. I nn. 1-2 costituiscono l'articolazione minima in distico. Espansioni per aggiunta si hanno nei testi successivi (nn. 3-5).

3. Una versione tuscanese limitata ai primi 4 vv. è in Cecilioni (p. 48, n. 2a) e un'altra di Capranica in Sarnacchioli (p. 33). Per un testo marchigiano affine, vd. Ginobili 1956 (p. 85).

4-5. Si possono citare a raffronto le versioni di Rieti (Gandini, pp. 26-27, n. 17) e di Montopoli (E. Cirese, p. 5, n. 17).

8-9. Testi affini di varie località della Sabina (Fara Sabina, Toffia, Borgo S. Pietro, Col-todino, Monte S. Giovanni) sono state pubblicate da E. Cirese (p. 3, nn. 2-3 e nota 1, nn. 3a-3c).

10. Del tutto identica la ninnananna registrata a Bomarzo (Galli, p. 18, n. 16).

11-12. Altre lezioni altolaziali: Tuscania (Cecilioni, p. 48, n. 6) e Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 92).

13. La ninnananna è strutturata in modo da regolare con l'utilizzo di artifici ritmico-stilistici la scansione: la ripresa del v. 3 (anadiplosi di fièra), la dislocazione quasi sim-metrica di rime ed assonanze (vv. 3-4: ...Bològna /...la tigna...la rogna), l'insistenza sul-l'omoteleuto alla fine di un verso e all'inizio di quello seguente (vv. 3-4: ...Bològna / pòrta). Inoltre nel trinomio della chiusa soggiace un gioco non facilmente percepibile al primo impatto: è probabile che tigna (il cui significato primario è 'malattia contagiosa del cuoio capelluto', oggi divenuto opaco alle generazioni più giovani) assuma il valore traslato di 'ostinazione' (cfr. la serie dialettale: tignoso, 'ndignino 'ostinato', 'ndignà 'insi-stere', tignosaggine 'ostinazione') con riferimento al pargolo che non intende prendere sonno, suggerendo per meccanismo evocativo, oltre che per esigenze di rima, l'aggiunta delle altre due infezioni cutanee molto temute nelle epoche passate.

14. Ninnenanne consimili sono attestate in tutto il Viterbese: Teverina (Galli, pp. 17-18, nn. 6-7-8-9-10-11); Tuscania (Cecilioni, p. 48, n. 2b); Ischia di Castro (Nanni, p. 137, n. 5); Capranica (Sarnacchioli, p. 33); Tarquinia (Blasi, p. 207); Bolsena (Casaccia, pp. 69-70). Per la Sabina, vd. E. Cirese (p. 5, n. 18); per la Toscana, vd. Gandini (p. 24, n. 4) e MSS (p. 266, n. 13.49); per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (p. 23).

15. Il testo risulta sostanzialmente identico al n. 614, ma l'avvio e la chiusa ne eviden-ziano la differente funzione: il primo è cantilenato come ninnananna, l'altro come tiritera

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160

per invitare il bimbo a battere per imitazione le mani. La forma dialettale micia, che è di probabile origine onomatopeica (cfr. DEI, IV, p. 2451, s.v. micio1; e p. 2523, s.v. mù-cia; il GDLI, X, p. 349, s.v. micio1, riporta una significativa citazione dalle Note al Malmantile, 2-701: 'così si chiama da' piccoli bambinelli il gatto, per essere la voce più comoda alla loro pronunzia e perché è accompagnata da un certo suono, al quale quel-l'animale facilmente risponde') e nell'uso parlato è concorrente con quella della LNaz. 'gatta', ritorna nei nn. 56 (sempre in rima con 'camicia') e 62.

18. L'informatrice ha aggiunto alla ninna nanna vera e propria la strofa di una filastrocca sulla befana. Per un utile raffronto, vd. i testi di Roma (Zanazzo, Canti, p. 13, n. 3): Fa la ninna bbò-bbò / ch'è vienuto papà; / T'ha pportato ér coccò / Fa la ninna bbò-bbò; di Tarquinia (Blasi, p. 207): Fate la ninna, oh / che mo' viene papà / ve porta la bombò / fate la ninna oh; di Montopoli (E. Cirese, p. 4, n. 10). Per una attestazione marchigia-na, vd. Ginobili 1956 (p. 84).

19-20. Aldilà di una oleografica e a volte nostalgica rievocazione del buon tempo antico (depurata mediante rimozione delle immagini più crude, perché nel ricordo gli avveni-menti lontani dell'infanzia si idealizzano o si esaltano in contrapposizione polemica alla degenerazione e agli eccessi della modernità), occorre riconoscere che fino a nemmeno un secolo fa le condizioni di vita, per la maggior parte della popolazione, soprattutto nelle campagne, erano precarie, in taluni casi addirittura al limite della sopravvivenza. La famiglia allargata di tipo patriarcale conviveva, costipata in ambienti angusti, con a-nimali domestici; le abitazioni erano malsane, prive com'erano di servizi igienici e di acqua corrente; del tutto carenti risultavano le strutture ospedaliere ed ambulatoriali nel territorio. Non c'è da meravigliarsi se il parto costituisse per la madre e per il bambino una oggettiva situazione a rischio. Ad assistere la partoriente era una levatrice ('a mam-mana), per lo più in possesso di conoscenze ginecologiche e mediche elementari ed em-piriche. Non infrequentemente insorgevano complicanze in partu e post partum, che causavano infezioni letali come la setticemia per la carente sterilizzazione di panni e di strumenti. La donna poi non adottava durante la gestazione, nemmeno negli ultimi mesi, particolari misure profilattiche (a Carbognano ho registrato il soprannome Castagnéllo, dato ad un uomo, appunto perché fu partorito dalla madre, mentre era occupata nella raccolta delle castagne). Molto elevata risultava di conseguenza la mortalità infantile, con una vera e propria falcidia nei primi mesi di vita. I due testi, forniti dalla stessa fon-te, riflettono indirettamente le condizioni socio-economiche di quell'epoca; tuttavia la puerpera nei giorni susseguenti il parto restava immobile a letto, non svolgeva attività lavorative (le veniva risparmiata normalmente la dura fatica dei campi), doveva accudire il figlio e nutrirsi per rimettersi in forze. La sopravvivenza del neonato le garantiva un periodo, seppur breve, di tranquillità e di riposo.

21. La fonte ha fornito la ninnananna nel contesto di un breve racconto, nel quale si fa chiara allusione all'infedeltà e all'astuzia di una donna. Questa, accortasi che l'amante bussa furtivamente alla porta, intona la cantilena per avvertirlo che il marito è in casa e nel contempo, per non destare sospetti, attribuisce il rumore al vento, che avrebbe fatto

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cadere la canna usata per stendere il bucato. Il testo è diffuso in gran parte del Viterbese; vd. in particolare, per la Teverina, Galli (p. 19, nn. 21-22-23-24-25) e per Bomarzo, ALP, p. 187, n. 124. Per un'attestazione in area toscana, vd. Ciuffoletti, p. 39. Più artico-lata la versione marchigiana registrata a Corinaldo (AN): È stato 'l vènto / ch'ha buttato giù la canna; / ninì, vièn qua da mamma / che bàbete vòl dormì (bis). / Se 'l vènto non ti-rava, / la canna non cascava, / ninì non se svegliava / e X veniva qua. Un inform. (Ma-rio Frezza) ha citato un testo napoletano, che trae spunto dalla stessa situazione: o vèndo che ffrullìccichi a la pòrta / marìtimo sta rendo e ttu vattenne.

22. Un testo pressoché identico di Fara Sabina si trova nella raccolta di E. Cirese (p. 4, n. 13); un altro più articolato della Campagna Romana, con l'indicazione delle raccolte regionali in cui figura, è in MSS (p. 273, n. 13.71).

24. Si può accostare per affinità di spunti ad una ninnananna di Montefiascone (Aspet-ti..., p. 56): Nina putigna / le pecore ma la vigna / le bove ma 'r pajaro / curre curre pe-coraro. I vv. 5-8 sono usati anche come cantilena dileggiativa autonoma sia a Civita Ca-stellana sia altrove (Bomarzo: ALP, p. 227, n. 14; Canepina: Cimarra 1985, p. 70, n. 191); per un testo marchigiano, vd. Ginobili 1956 (p. 14). Un commento più puntuale degli ultimi quattro versi è contenuto sotto il n. 496.

27-28. Altre versioni altolaziali: Bomarzo (ALP, pp. 240-241, n. 15), Capranica (Sar-nacchioli, p. 31), Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 92), Tarquinia (Blasi, p. 199). Spunti affini si possono ritrovare nella filastrocca romana (Zanazzo, Canti, p. 34, n. 43): Séta setòla, / Carlino che vva a scola: / Papà jé compra la ssediola, / Mamma ér canestrèllo / Pieno zzéppo dé pizzutèllo. Un'altra versione romana testualmente più vicina è in Gan-dini (p. 72, n. 161) e in Roberti (p. 30). Per attestazioni fuori regione (Marche), vd. Gi-nobili 1956 (p. 11).

30. Giocata su immagini consimili è la cantilena romana pubblicata da Zanazzo (Usi, p. 337, n. 54).

32. Una versione romana molto simile è riferita da Chiappini (p. 310, s.v. seta moneta), da Roberti (p. 27) e, con varianti, da Zanazzo (Usi, p. 336, n. 54; Canti, pp. 23-23); per una filastrocca tuscanese, vd. Cecilioni (p. 80, n. 11).

34. La filastrocca veniva usata a Roma per eseguire il gioco A sséga-séga, le cui modali-tà sono descritte da Zanazzo (Usi, p. 329, n. 43; Canti, p. 20, n. 30): "Due ragazzi, te-nendo un pezzo di corda uno a una estremità e uno all'altra, o formando con lo spago una specie di sega che ricavano dalla prima dell'altro giuoco detto acchiapparella, fingo-no di segare una tavola ripetendo..." (cfr. anche Roberti, p. 26).

35. Una versione di Celleno è pubblicata da Galli (p. 34, n. 83), un' altra di Civitavec-chia da Gandini (p. 171, n. 396). Un terza, anch'essa laziale, è in MSS (p. 401, n. 21.4). Pressoché identico il testo di Città di Castello edito da Placidi-Polidori (p. 33).

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36. Avvio a parte, la filastrocca risulta identica ai nn. 530-531, che si utilizzano come conte. Soni noti i processi di 'contaminazione' dei testi folclorici o la loro polifunzionali-tà, all'interno anche della stessa comunità, a prescindere dalle categorie classificatorie proposte dagli studiosi.

38. Un testo romano con variante è in Zanazzo (Usi, p. 335, n. 52; Canti, p. 22, n. 38). Il Roberti (p. 30), a commento del v. 3 (San Simò de le Coppelle), annota: “viene fatta menzione della chiesa di san Simone alle Coppelle, dove, anticamente, una confraternita ivi operante si incaricava, tra le altre caritatevoli occupazioni, di assegnare periodica-mente una dote alle ragazze povere ed alle orfanelle in procinto di convolare a nozze”. Se il centro di irradiazione è, come sembra suggerire il folclorista romano, la capitale, allora bisogna supporre per il corrispondente verso della filastrocca civitonica un adat-tamento a senso. Spunti in parte simili presenta quella di Ischia di Castro (Nanni, p. 139, n. 7).

41-45. Gli ultimi quattro versi del n. 42 appartengono in realtà ad una favoletta: un sa-grestano ogni sera, prima di chiudere la chiesa, spegne la lampada, che dovrebbe invece ardere perennemente davanti all'altare del SS. Sacramento, e ne sottrae l'olio per usarlo in casa come condimento dei cibi (A Roma sono citati a mo' di proverbio 'quando si è costretti ad economie', vd. Chiappini, p. 432). La versione romana Quanno piove, che viene intonata dai ragazzi quando comincia a cadere la pioggia, è riferita dallo Zanazzo con varianti (Usi, pp. 354-356, n. 82; Canti, pp. 25-26, n. 49). Per la provincia di Viter-bo sono noti i testi di varie località: Capranica (Sarnacchioli, p. 30), Vasanello (Fuccel-lara-Filesi, pp. 91-92), Tarquinia (Blasi, pp. 205-206, con divergenze soprattutto nel-l'avvio). Quelli raccolti a San Michele in Teverina (Galli, p. 35, n. 91) e a Bomarzo (ALP, p. 240, n. 14) sono più brevi. Versioni di altre province o regioni con diverso svi-luppo ed incipit sono pubblicate da Gandini (Marche, pp. 53-54, n. 113; Oneglia, pp. 83-84, n. 182; Civitavecchia, pp. 84-85, n. 184; Pistoia, p. 89, n. 191) e da MSS (Pesca-ra, p. 192, n. 10.16; Livorno, p. 196, n. 10.23). Sempre in MSS vd. la versione di Cam-pagnano di Roma e di Napoli (p. 303, n. 15.89; pp. 383-384, n. 19.30).

46. Una versione di Roma, diversa nella parte finale, è pubblicata da Zanazzo (Usi, p. 334, n. 50) e da Roberti (p. 30). Nella provincia di Viterbo molteplici sono i riscontri: Valentano (Mancini-Luzi, p. 16, n. 5), Bassano in Teverina (Galli, p. 22, n. 29), Ischia di Castro (Nanni, p. 137, n. 1), Capranica (Sarnacchioli, p. 31), Bomarzo (ALP, pp. 267-268, n. 24, ma vd. anche pp. 262-264, nn. 19-20-21-22), il cui testo risulta in realtà una orazione, perché è combinato con il racconto della passione di Cristo. Altre corri-spondenze: Firenze (Gandini, pp. 55-56, n. 118), Toscana e Piemonte (MSS, p. 295, nn. 15.62, 15.63), Umbria (Placidi-Polidori, p. 32), Marche (Ginobili 1956, p. 39).

47-48. La versione romana presenta un diverso sviluppo, soprattutto nella parte finale (Zanazzo, Usi, pp. 333-334, n. 50; Canti, p. 21, n. 35; Roberti, p. 31). Riscontri nell'Al-to Lazio: Civitavecchia (Gandini, p. 57, n. 124), Valentano (Ghiringhiringola, p. 16, n. 5), San Michele in Teverina (Galli, p. 35, n. 93), Tuscania (Cecilioni, p. 76, n. 2), Ischia

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163

di Castro (Nanni, p. 138, n. 3), Bolsena (Casaccia, p. 68, con variante), Bomarzo (ALP, p. 240, n. 13). In quest'ultima località è noto anche un altro testo con avvio simile a quello dei nn. 42-45 della nostra raccolta (ALP, p. 239, n. 12). La struttura dialogica si ritrova anche in filastrocche di altre regioni: cfr. Gandini (pp. 73-74, n. 165; p. 93, n. 199). Alcune versioni umbre sono in Chini (pp. 273-274, n. IV) e in Placidi-Polidori (pp. 37-38), un'altra di Benevento, con sviluppo simile, in MSS (pp. 300-301, n. 15.79).

49-50. Raffronti areali: Tuscania (Cecilioni, p. 79, n. 9), Bomarzo (ALP, p. 231, n. 39), Civitavecchia (Gandini, p. 143, n. 351); diverso nella finale è il testo di Capranica (Sar-nacchioli, p. 32). Una filastrocca romana con spunti simili nella seconda parte è in Za-nazzo (Canti, p. 31, n. 64), un'altra umbra è in Chini (p. 275, n. VII). Per le altre regioni, vd. MSS (p. 144, n. 7.5).

51. Girotondo di diffusione pannazionale. All'interno dell'area è attestato a: Valentano (Ghiringhiringola, p. 46, n. 3), Tuscania (Cecilioni, p. 84, d), Bomarzo (ALP, p. 243, n. 23). Identici i testi di Pistoia (Gandini, p. 241, n. 581) e di Città di Castello (Placidi-Polidori, p. 63).

55. Del tutto simili risultano una versione romana (Zanazzo, Usi, p. 332, n. 48; Canti, pp. 20-21, n. 33; Roberti, pp. 214-216) ed un'altra valentanese (Ghiringhiringola, pp. 46-47, n. 4). Differiscono nell'avvio quelle di Graffignano Zingheri, zingheri / che sso' vvenuti i zzingheri (Galli, p. 35, n. 89) e di Tuscania (Cecilioni, p. 78, n. 8), mentre è i-dentica quella della Sabina, pubblicata da Ranaldi 1983 (p. 87). A Bomarzo (ALP, p. 231, n. 40) la versione entra in combinazione con altre due filastrocche. Vd. anche i gi-rotondi affini di altre regioni: Umbria (Chini, pp. 266-267, n. I), Marche (Ginobili 1956, pp. 11-12).

56. Una versione romana è riferita dal Chiappini (p. 262, s.v. pumperumpara): Pumpe-rumpara / Martin che vien dall'ara / co' la zappa e cco' la pala, / a piantato lu petrusel-lo, e j'è nnata la maggiorana: / pumperumpara, pumperumpara. Anche a Tuscania la parte finale differisce (Cecilioni, p. 78, n. 7).

57. Il gioco nel quale veniva impiegata a Roma la filastrocca è descritto da Zanazzo (U-si, p. 331, n. 47; Canti, p. 20, n. 31): "Tre o quattro ragazzi posano ciascuno le proprie mani alternativamente e ordinatamente l'una sull'altra sopra la gamba di uno di loro, o sopra il tavolo, stando naturalmente seduti. Quindi chi l'ha prima, cioè più in fondo, la tira fuori e la posa sulla mano più alta; così con movimento continuo vanno facendo i giuocatori riducendo più volte ultime e piu alte le mani che erano prime e più basse...A misura che il giuoco progredisce si fa più rapido e animato; finché, giunti al gnavo gna-vo, frusta via, tutti, rompendo la colonna, si bisticciano con le mani fingendo di cacciare il gatto".

59. Nel pronunciare le singole parole, l'adulto sollecita ripetutamente con la punta delle dita il labbro inferiore rilassato, in modo da produrre una vibrazione sonora di sottofon-do. Invita poi il bambino a fare la stessa cosa per imitazione.

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164

60. La versione di Capranica incomincia Zampi zampini zampini zampetti (Sarnacchioli, p. 35).

61. Vd. la versione di Valentano in Ghiringhiringola (p. 14, n. 1) e quella di Città di Castello in Placidi-Polidori (p. 34).

63-64. Numerose le versioni laziali: Roma, Bbella bbella piazza (Zanazzo, Usi, p. 335, n. 53; Canti, p. 23, n. 40; Roberti, p. 21); Valentano, Questa è la bella piazza (Ghirin-ghiringola, p. 15, n. 64); Teverina (Galli, p. 23, nn. 39-40); Tuscania (Cecilioni, p. 75, a); Ischia di Castro (Nanni, p. 138, n. 5); Bomarzo (ALP, p. 237, nn. 1-2); Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 93).

65. Nel pronunciare ciascun verso, l'adulto tiene tra il pollice l'indice l'estremità di cia-scun dito del bambino. Alla fine, quando è la volta del mignolo, lo stringe con maggior energia e lo agita, imitando il dondolio del corpo dell'impiccato dopo l'esecuzione. Il Chiappini (p. 65, s.v. nicche nicche) riporta una notazione moralistica: "Le mamme po-polane dei tempi passati per inculcare di buon'ora ai loro figlioletti il santo timor della forca solevano fare questo giochetto" (vd. pure Zanazzo, Usi, p. 333, n. 49; Canti, p. 20, n. 32). Più articolato il commento del Roberti (p. 18, contà le dita): “Si tratta [...] di un gioco abbastanza puerile che ha però, nel suo fondo, come in un apologo, una chiara morale e un sano ammaestramento. Morale che d'altronde non era molto dissimile da quella che emergeva, in passato, dall'usanza tutta romana di condurre i bambini ad assi-stere alle pubbliche decapitazioni e di schiaffeggiarli sonoramente [...] nel preciso mo-mento che la lama compiva il suo tragitto letale sul collo del condannato”. Altre versioni altolaziali: Teverina (Galli, p. 24, nn. 45-46); Tuscania (Cecilioni, p. 75, b), Ischia di Castro (Nanni, p. 137, n. 2), Bomarzo (ALP, p. 237, n. 4), Capranica (Sarnacchioli, p. 35). Corrispondenze nell'Italia centrale: Umbria (Placidi-Polidori, p. 31) e Marche (Gi-nobili 1956, p. 65).

68. È probabile che la cantilena servisse per effettuare il gioco denominato Pizzichetto descritto dal Belli nella nota 13 del sonetto 'Un'opera di misericordia' del 5 ottobre 1830 (vd. Zanazzo, Usi, p. 360, n. 92). Per una versione morlupese contenente le moda-lità esecutive, vd. De Mattia (p. 98). Gli ultimi due versi ricalcano strutturalmente altre espressioni fisse, proprie del parlato (che ricorrono quasi esclusivamente con i verbi 'be-re' e 'mangiare'): bbevi tu, bbevi io, bbevi tu, ccombagno mio! (oppure: magna tu che mmagno io, magna tu, combagno mio!) che servono per esprimere la reiterazione e l'in-tensità dell'azione. In questo caso, tuttavia, è percepibile un differente significato: il di-niego opposto via via da ognuno di andare ad attingere l'acqua con la brocca (per so-vrapposizione di altro costrutto: ce vò io, ce vai tu, alla fine nun ge va nnessuno).

69. Recitando il primo verso, l'adulto muove alternativamente l'indice e il medio sul pia-no del tavolo per imitare i passi dell'animale che avanza. Ai vv. 2-3 con i due mignoli ti-ra le estremità della bocca e contemporaneamente con i due pollici gli angoli degli oc-chi, per deformare il volto in una maschera terrificante; o distorce la bocca in una smorfia paurosa oppure scruta il bambino con uno sguardo torvo e minaccioso, aggrot-

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tando le ciglia. Ai vv. 4-5 fa le corna con l'indice e con il mignolo e le muove davanti al bambino. Nel due versi conclusivi atteggia il volto al sorriso e con l'indice solletica, fin-gendo di forarlo, l'ombelico del bambino.

70. Testi affini si rinvengono in tutte le raccolte di folclore infantile. Limitatamente a Roma, vd. Roberti, p. 24.

71-72. Nelle tiritere, che svolgono funzione mnemotecnica, ricorrono con intenzione lu-dica perifrasi e composti scherzosi: 'ddoralòffe (il naso) equivarrebbe ad 'annusapeti' (lòffa = 'vento intestinale, flatulenza fetida', si usa per traslato come miconimo per desi-gnare il lycoperdon, la 'vescia di lupo'); magnaciccio (la bocca) = 'mangiacarne' (cfr. ciccia 'carne', ciccione 'grassone', cicciòtto 'paffuto', le locuz. sò' ppapp'e cciccia 'sono un cuore ed un'anima', pare cicciobbomma 'è un grassone'). Nella seconda, mondecucco = 'testa', come toponimo immaginario è probabilmente costruito, per analogia con altri oronimi dell'area, sulla base KUKK- 'cima arrotondata dei monti' (vd. Conti, p. 146, top. Cucco; DEI, II, p. 1183, s.v. cucco5), anche se non sembra estraneo l'intervento della lo-cuz. con deissi: tu sì ccucco qqui! = 'tu sei proprio suonato!'. La fronte diventa una piaz-za intitolata agli insetti parassiti, che in epoca passata, date le carenti condizioni igieni-che, infestavano le teste dei bambini, obbligando le mamme a sottoporli ad una paziente operazione di bonifica pressoché quotidiana (quest'ultima formazione scherzosa è da ac-costare all'antico proverbio citato da G. C. Croce, p. 33: Non si dice per proverbio, testa calva, piazza da pedocchi?). Con la carica espressiva del nome composto si tende a su-perare l'opacità del termine comune o di ravvivarne icasticamente la compassata con-venzionalità. Vd. in Zanazzo (Usi, p. 373, n. 110; Canti, p. 35, n. 79) la versione romana con le modalità esecutive; per l'Alto Lazio, vd. quelle di Bomarzo (ALP, p. 238, n. 8) e di Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 93).

73. Modalità di esecuzione: l'adulto, alla prima parola, con le punte delle dita dà al bam-bino un buffetto sulla fronte; alla seconda, gli stringe il naso con il pollice e l'indice, tor-cendolo appena; alla terza gli tocca il pene; alla quarta gli molla una lieve pacca sul se-derino. Tranne la prima, le altre sono forme linguistiche scherzose, che trovano solo parziale riscontro nell'uso parlato (per pistòla, vd. n. 175; per commentare l'emissione di peti fragorosi, talvolta iperbolicamente si esclama: che ccannonata! sèndi come spara!).

74. Il testo viene in genere utilizzato come proverbio per designare le fasi della vegeta-zione dell'albero: a gennaio compaiono sulla scorza i primi rigonfiamenti; a febbraio le gemme incominciano a inturgidirsi; a marzo fanno i bocci che ad aprile si schiudono; a maggio si ha la piena fioritura; a giugno il frutto allega. Cfr. il proverbio pubblicato da Lapucci-Antoni (p. 34, n. 61): gennaio ingenera / febbraio intenera / marzo imboccia / aprile sboccia (apre) / maggio fiorisce (fa le foglie), già presente in Giusti-Capponi (p. 184). Vd. anche, per affinità, il testo n. 299.

75. Per Tuscania, vd. Cecilioni (p. 90, n. 7). Una versione non localizzata è in MSS (p. 247, n. 12.130).

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77. Dell'indovinello (forma dello sterco emesso dall'orifizio asinino) ho potuto rintrac-ciare un antecedente letterario nello Exemplo LXXI (De justa responsione. Come lo re di Napoli volse provare di veder lo senno di Dante da Firense in più modi) del Novelliere di Giovanni Sercambi. I buffoni di corte, istigati da Roberto d'Angiò, re di Napoli, si di-vertono a proporre a Dante alcuni quesiti paradossali, dei veri e propri nodi gordiani, con la manifesta intenzione di farsi beffe di lui e della sua dabbenaggine. Ma il sommo poeta, oltre a dar prova di possedere da buon 'loico' sottigliezza d'ingegno e dimesti-chezza con i sofismi, converte le soluzioni in scorno per i buffoni e in pungente ripren-sione per il sovrano: "Se Dante serà quel savio che lui medesmo si tiene, diffinita la questione, ne converrà dire per che cagione l'acino che ha il culo tondo, fa lo sterco quadro". L'indovinello rientra nell'alveo della tradizione millenaria della gara o prova per enigmi, di cui si possono rinvenire testimonianze sia nella letteratura colta che in quella folclorica. Per quest'ultima si vedano le due ottave a contrasto, che ho registrato sempre a Civita Castellana: 1 - Caró poèta, le tue arme pijja / che dde candà co' tte ce n'hò ggran vòjja: / dimme chi è cche ddòrme e ppar che vijja; / quar frutto nacque pri-ma della fòglia; / qual è qquer fòco che sott'acqua piglia; / chi è ccolui che la ggettá la spòglia. / Caró, se ssèi poèta, mo' tte pròvo: / dimme chi nnacque prima, la gallina o ll'òvo? 2 - Guarda che lla rabbia a mmé mme pijja, / che dde risponne' a tté ce n'hò ggran vòglia: / il-lèpre è qquel che ddòrme e ppar che vviglia (CH: perché ddòrme col-l'òcchi apèrti); / la fico nacque prima della fòglia; / il-lambo è qquello che ssott'acqua piglia; / è 'r zerpènte che ggettá la spòglia; / pòi cadde un òvo dar cèlo come a Ddio piacque, / l'òvo si ruppe e lla gallina nacque (inform. Annameris D'Antoni). Nel genere si può comprendere anche il frammento di risposta, raccolto a Corchiano: sole tra le macchie non ze strappa, / sorce sotto la canna non s'accèca, / pesce sotto l'acqua non z'annèga, / la dònna sotto l'òmo nun ze crèpa. Per un testo edito di Capranica, vd. Sar-nacchioli, p. 39.

78. Identica la lezione edita dai folcloristi romani (Chiappini, p. 163, s.v. indovinarello; Zanazzo, Usi, p. 393, n. 10; Roberti, p. 428). Per un'altra napoletana, vd. MSS (p. 246, n. 12.129); per una terza umbra, vd. Chini (p. 251, n. 59, lu zicchju de lu puzzu).

79. L'indovinello ricorre ne "Le piacevoli e ridicolose simplicità di Bertoldino" di G. C. Croce, come quesito di cui la regina non riesce a trovare la soluzione e che propone a sua volta a Marcolfa. Esso era stato presentato in versi dallo stesso autore nei Venticinque enimmi ovvero in-dovinelli belli e piacevoli: Non mi trovo aver acqua, / né bevo altro che acqua; / e s'io avessi dell'acqua a mio domino, / acqua mai non berrei, ma sempre vino; con l'interpre-tazione: "Un molinaro, che non ha acqua da macinare, perciò gli convien bere dell'ac-qua". L'enigma "appartiene a una numerosissima famiglia, in cui è facile la filiazione e difficile riconoscere la provenienza. Tuttavia se ne può trovare il modello nelle raccolte stesse del Croce o altrove... Si può anche pensare che non sia estranea la novella quarta del Sacchetti, in cui un mugnaio risolve le famose questioni" (G. Osella, Un classico del ridere: Bertoldino, in "Convivium", VI, 1934, p. 601 nota).

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80-82. Cori corènno / ficca ficchènno, non si tratta di puri giochi formali (anche se sif-fatti bisticci verbali caratterizzano i testi enigmatici: vd. le variazioni intervenute nei vv. 1-2 dei nn. 81-82 e Zanazzo, Usi, p. 397, n. 38 Tondo bitondo; p. 400, n. 53 Alto altino; p. 401, n. 56 Rossa rossetta), ma piuttosto della reliquia di un peculiare ed antico modu-lo imperativale: curri currenno = 'corri corri', cioè dell'imperativo rafforzato con il ge-rundio, che ha vari riscontri nei dialetti centromeridionali e che a Roma è attestato anco-ra dallo Zanazzo sia in un indovinello affine ai nostri (Usi, p. 395, n. 28): Corri corrènno / Ficca ficchènno / Fa quela cosa / E vvatt'a riposa; sia, nonostante la forma italianizzata, in uno scioglilingua (ibid., p. 405, n. 6): Corri correndo / Bottoni coglien-do: / Corri correndo / Cogliendo bottoni.

83. Lo stesso modulo trimembre ritorna nel proverbio umbro, pubblicato da Grifoni (p. 22, n. 21): Pe' pijà maritu ce vole: lu rizzante (il sacco del grano), lu pennente (la pacca del lardo), lu pisciante (la botte del vino); e in quello ternano, edito da Frontini (p. 23): La femmina non pija maritu se non penne (la pacca de lo lardo), se non piscia (la bbot-te de lo vino) e sse non ce l'ha drittu (lu saccu de lo grano).

84. Identico, salvo microvarianti fonetiche, il testo di Bomarzo (ALP, p. 209, n. 75).

85-86. Altre attestazioni: Roma (Chiappini, p. 163, s.v. indovinarello; Zanazzo, Usi, p. 401, n. 57; Roberti, p. 428); Tuscania (Cecilioni, p. 91, n. 15); Bomarzo (ALP, p. 207, n. 57). Per l'Umbria, vd. Chini (p. 240, n. 9); per il Veneto, vd. MSS (p. 231, n. 12.36).

88-89. I folcloristi romani pubblicano un testo affine (Chiappini, p. 163, s.v. indovina-rello; Zanazzo, Usi, p. 394, n. 16; Roberti, p. 428). Sullo stesso modulo strutturale è co-struito l'indovinello bomarzese: Quattro mazza / una scopaccia / ddue battènti / e ddue lucenti (ALP, p. 206, n. 50) e quelli di molte altre regioni, come per es. la Sicilia (MSS, p. 229, n. 12.22).

91. Compare già in Petroselli (Vite II, pp. 211-212) con la serie raccolta in varie località del Viterbese. A completamento vd., per la Teverina, Galli (p. 49, n. 91); il testo bomar-zese presenta un differente incipit: I' ppadre tanto bello (ALP, p. 206, n. 47). Una ver-sione veneta è in MSS (p. 249, n. 12.146).

92. Vd. indovinello romano pubblicato da Zanazzo (Usi, p. 397, n. 40). Per la Teverina, vd. Galli (p. 46, n. 166).

93. Vd. gli indovinelli romani editi in Zanazzo (Usi, p. 397, n. 38; p. 398, n. 42). Identi-co è quello di Tuscania (Cecilioni, p. 91, n. 19). Per Bomarzo, vd. ALP (p. 201, n. 12); per l'Umbria, Chini (pp. 246-247, n. 40, lu puzzu).

94. Per un analogo testo di Ischia di Castro, pubblicato assieme ad altri due, che presen-tano lo stesso avvio, vd. Petroselli (Vite II, p. 230). Molto simile risulta la versione ro-mana (Chiappini, p. 163, s.v. indovinarello; Zanazzo, Usi, p. 393, n. 13; Roberti, p. 428). Lievemente diversa quella maglianese: Cutolì che ccutolaa / sènza gambe cammi-

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naa / sènza culu se reggea / sai te dimme sì cch'edèra?. Per l'Umbria, vd. Chini (p. 243, n. 24); per attestazioni in altre regioni, vd. MSS (p. 239, n. 12.85).

96-97. È da mettere in relazione con l'indovinello siciliano pubblicato dal Pitrè (Indovi-nelli, p. 289, n. 923): "Un uomo arrostiva un piede di porco e sedeva sopra un treppiedi. Giunge un cane e tenta di rubare il piede del porco; ma l'uomo lo fece fuggire buttando-gli il treppiedi addosso. Poi fece questo dubbio ad un amico: Cc'era un du'-pieri e avia un peri: / Lu du'-pieri s'assetta supra un tri-pieri: / Veni un quattru-peri e voli un peri, / Si susi 'u du'-peri e 'ncugna 'u tri-pieri (Modica)". Per raffronti a livello europeo, vd. due indovinelli portoghesi in Thomaz Pires (nn. 13-14). L'indovinello-racconto sfrutta un meccanismo analogo a quello utilizzato nel mitico enigma della Sfinge.

100. Indovinello di ampia diffusione: Roma (Zanazzo, Usi, p. 396, n. 32), Tuscania (Ce-cilioni, p. 94, n. 33), Umbria (Chini, p. 245, n. 34), Lombardia (MSS, p. 242, n. 12.100).

101-102. Indovinelli sulla lettera L sono contenuti in quasi tutte le raccolte regionali. Vd., per Roma, Zanazzo (Usi, p. 392, n. 3) e Roberti (p. 428); per Tuscania, Cecilioni (p. 94, n. 34). La versione marchigiana suona: Ludovico l'ha davanti, / Michel l'ha di dietro, / e per virtù / mio fratello ne tien du' (MSS, p. 240, n. 12.89).

105-106. L'indovinello è diffuso in varie località della provincia: per la Teverina, vd. Galli (p. 37, n. 106). Il modulo ricorre anche in altri testi, come nel seguente di Maglia-no Sabina: Sotto al ponte c'è un galletto / vestito de rossetto / co' 'na gamba verdolina / cavalièr chi cce 'ndovina (la cerasa) e in quest'altro milanese: Sott al pont de sciff e sciaff / dove sta Bargniff Bargnaff / colla vesta verdesina / gran dottor chi l'indovina! (MSS, p. 246, n. 12.122).

108. Per attestazioni in altre regioni, vd. MSS (p. 237, n. 12.71).

109-110. Pressoché identici un testo bomarzese (ALP, p. 202, n. 110) ed un altro umbro pubblicato da Chini (p. 259, n. 50).

111. A parte la veste linguistica, identico risulta il testo umbro, edito da Chini (p. 242, n. 21).

114-115. Altri riscontri laziali: Roma (Zanazzo, Usi, p. 402, n. 63); Teverina (Galli, pp. 47-48, nn. 184-185-186-187); Bomarzo (ALP, p. 203, n. 27).

117-118. Vd. versione di Roma in Zanazzo (Usi, p. 401, n. 58).

119. Attestazioni areali: Roma (Zanazzo, Usi, p. 401, n. 59); Teverina (Galli, p. 45, n. 146); Tuscania (Cecilioni, p. 92, n. 26); Bomarzo (ALP, p. 202, n. 119).

122. Per la Teverina, vd. Galli (p. 47, n. 183); per Tuscania, Cecilioni (p. 86, n. 6); per la Sabina, Ranaldi 1983 (p. 96, n. I).

125. Un indovinello avente modulo strutturale affine è stato pubblicato per Tuscania da Cecilioni (pp. 90-91, n. 14) con soluzione diversa (serratura): Quatra, quatrata, batrico-

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la, furata / nun c'era niuno che l'arasse, / quatrasse, batricola, furasse / passò un vec-chierello / l'arò, quatrò, batricola, ferrò.

128. Per la Sabina, vd. Ranaldi 1983 (p. 96, n. V); per Bomarzo, vd. ALP (p. 203, n. 29).

130. Vd. indovinello romano in Zanazzo (Usi, p. 392, n. 6) ed un altro bomarzese in ALP (p. 203, n. 130).

132. Indovinelli costruiti sulla medesima immagine: Roma (Zanazzo, Usi, p. 394, n. 19); Graffignano (Galli, p. 44, n. 132); Sabina (Ranaldi 1983, p. 96, n. VI).

136. Per altre attestazioni nell'area mediana: Castiglione in Teverina (Galli, p. 45, nn. 1501-151-52), Bomarzo (ALP, p. 200, n. 7), Sabina (Ranaldi 1983, p. 97, n. XI), Um-bria (Chini, p. 240, n. 12).

137. Pressoché identici quelli di Castiglione in Teverina (Galli, p. 44, n. 131) e di Bo-marzo (ALP, p. 209, n. 137).

138. Del tutto simile è l'indovinello bomarzese (ALP, p. 209, n. 73).

140. Per la Sabina, vd. Ranaldi 1983 (p. 97, n. VII); per Bomarzo, vd. ALP (p. 208, n. 62).

144. Molto simile il testo di Bomarzo (ALP, p. 211, n. 84).

145. Una versione umbra è in Chini (p. 247, n. 41, lu saccu de lu 'rane).

146. La versione bomarzese presenta un differente avvio: Scatizza riscatizza (ALP, p. 201, n. 13). Per un raffronto con le Marche, vd. Ginobili (Indovinelli, scioglilingua e proverbi marchigiani, p. 25).

148. Una versione sabina è edita da Ranaldi 1983 (p. 96, n. IV).

149. Per la Teverina, vd. Galli (p. 47, n.149); per Bomarzo, vd. ALP (p. 200, n. 149); per la Sabina, vd. Ranaldi 1983 (p. 96, n. III); per l'Umbria, vd. Chini (p. 246, n. 38).

150. Per raffronti nel territorio, vd. versione di Canepina (Mechelli, p. 99).

152. Per la Sabina, vd. Ranaldi 1983 (p. 97, n. VIII). Per l'Umbria un testo parzialmente diverso è in Chini (p. 247, n. 44, la serta de carròzzi).

154. Differente l'avvio del testo bomarzese: Pèrtica lunga sdelóngate ggiù (ALP, p. 210, n. 79).

155. Affine risulta uno scioglilingua romano (Zanazzo, Usi, p. 406, n. 16; Roberti, p. 429) ed un altro veronese (Balladoro, ASTP XVII, 1898, p. 217, n. 17). Lievi differenze si riscontrano in quelli di Bomarzo: Tre ttravi tìrili su / tre ttravi tìrili ggiù / tre cculi de somari l'abbaci tu (ALP, p. 214, n. 9) e di Torre Alfina: Tre ttrave incrinate tirale su /

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tre ccule de frate lécchele tu. Talora il testo viene utilizzato con funzione di chiapparel-lo.

159. Più semplice la versione di Graffignano: Un chiodone, / du' chiodoni (Galli, p. 42, n. 122).

160. Lo stesso testo ricorre in raccolte romane (Zanazzo (Usi, p. 404, n. 2; Roberti, p. 429). Per Civitavecchia De Paolis (p. 126, n. 1168) rinvia anche ad una versione ciocia-ra. Altri riscontri: Bomarzo (ALP, p. 213, n. 5), Sabina (MSS, p. 216, n. 11.35), Umbria (Chini, pp. 176-177, n. 4).

161. Molto simile è uno scioglilingua bomarzese (ALP, p. 214, n. 12).

163. Sostanzialmente identiche le versioni raccolte in altri centri del Viterbese: Civitella d'Agliano (Galli, p. 42, n. 121), Bomarzo (ALP, p. 214, n. 8). Una umbra è in Chini (p. 276, n. 1).

164. Avvicinabile al testo toscano (Nieri, ASTP, XVIII, 1899, pp. 374-376, n. 16): Pisa pesa e pesta il pepe al papa / il papa pesa e pesta il pepe a Pisa (noto anche in Lom-bardia, vd. MSS, p. 215, n. 11.30). Il bisticcio Pisa / pesa è presente, con sequenza allit-terativa e serie apofonica, anche nel proverbio della stessa regione (Bellonzi, p. 91, n. 1206): Pisa, pesa per chi posa.

165. Scioglilingua di diffusione pannazionale. Per raffronti nell'area altolaziale, vd. Ghi-ringhiringola (p. 56, n. 2a-2b, Mechelli (p. 101) e ALP (p. 215, n. 17).

166. Noto in tutto l'Alto Lazio, vd. per es. Ghiringhiringola (p. 57, n. 7) e Galli (p. 42, nn. 119-120). Per Roma, vd. Roberti (p. 429).

167. Si tratta di un bisticcio giocato sul doppio senso dell'omofono: ajjo1 = 'ahi!', inte-riezione di dolore / ajjo2 = 'aglio' (Allium sativum L.), ortaggio impiegato in ricette di cucina povera come ingrediente o come condimento per il suo sapore acre e piccante, nella farmacopea popolare come vermifugo e come preparato contro l'arteriosclerosi e la pressione sanguigna alta, nella magia come deterrente contro la potenza malefica delle streghe (si ricordi l'usanza di appendere dietro la porta di casa con funzione apotropaica una treccia d'agli). Lo stesso procedimento ricompare in un chiapparello di Roma (Chiappini, p. 386, s.v. ajo): “Ajo, Ahi. Spesso si suole replicare: Cipolla e ccapo d'ajo! con aria di corbellatura" e in un altro di Orvieto (Mattesini-Ugoccioni, p. 19, s.v. ajjo2 ): Ajjo! Cipolla / marito e mmójja! Si confronti pure il proverbio: Dajje e ddajje / 'e cipolle divèndino ajji. Sull'interiezione sono comunque costruiti 'dialoghetti' anche in altre regioni, come questo di Rimini: - Ahi! / - Che cos'hai? / - M'innamorai. / - Di chi? / - Del gelsomino (MSS, p. 143, n. 7.1).

168. Data la sua polifunzionalità, il testo in molte raccolte è annoverato nella categoria degli indovinelli, vd. ad es. Graffignano (Galli, p. 46, n. 160). Per Bomarzo, vd. ALP (p. 247, nn. 1-2); per un riscontro marchigiano, vd. Gianandrea (p. 554, n. XVIII). In alcune località costituiva l'usuale formula d'apertura, quando due o più persone gareggiavano

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nella citazione di indovinelli. A Civitacastellana si utilizzava comunemente come pre-ambolo scherzoso, prima di passare a proporre la serie di indovinelli, o come dialogo con battuta finale a sorpresa, quando l'adulto, per smettere il gioco, voleva dissuadere il bambino dal richiedere altri indovinelli..

169 -171. Nelle aggiunte al Vocabolario romanesco (p. 423, s.v. fame) il Rolandi anno-ta: "Ai bimbi che annojano col dire continuamente: Ho ffame, si risponde per dileggio: Tira la coda ar cane che tte da ppane e ssalame!"; identico è quello di Bomarzo (ALP, p. 247, n. 6). Lo Zanazzo (Proverbi, p. 352) riferisce: “Hai fame? / Tira la coda ar ca-ne. / Hai sete? / piscia e beve. Per la contermine area sabina, vd. il chiapparello di Ma-gliano: - A ma', ci-hò ffame! / - Tira 'a coda ar cane. / - E sse mme se rivòrda? / - Tìri-jela 'n'andra vòrda. In forma identica al n. 169 ricorre in Toscana (Corsi, ASTP , XVII, 1898, pp. 220-224, n. 17). Battute del genere sono molto diffuse, anche se generalmente ad esse non viene dedicata adeguata attenzione da parte dei folcloristi e dei linguisti. Vd., per la nostra zona, il chiapparello di Bagnaia riportato da Petroselli (BlasPop, n. 31): Mamma, ho ffame! - Magna zzico polenna che vva mmale! e quello di Carbognano: - O ma', hò ffame! / - Tira 'a coda ar cane / che tte dà ppan e ssalame; / si la tiri più ffòrte / te dà quattro pagnòtte; la serie dell'area veneto-friulana: Gò fame! - magna co-ràme. / Gò sede! - gràta careghe. / Gò sòno! - va in bràghe del nono (MSS, p. 25, n. 1.35) e lombarda: - Mi gh'hoo famm. / - Mangia el scagn. / El scagn l'è dur. / - Mangia el mur. / - El mur l'è fatt. / Mangia el ratt. / - El ratt el cór. / Mangia l'amór (Svampa, p. 387).

173. I chiapparelli, come gli indovinelli, gli enigmi e le barzellette, sono spesso “basati sulla manifestazione intellettuale del linguaggio, che disorganizza l'ordine consueto del discorso creando ambiguità nel rapporto significante-significato e costruendo nuovi si-gnificati [...] con pezzi di vecchi significati” (P. Clemente, in Ciuffoletti, p. 18). In que-sto caso interviene un gioco semantico di sovrapposizione: l'apparente combinazione oppositiva tra parti del corpo (occhio vs. dente, che implica l'altra tra sensi: vista vs. gu-sto) ne simula un'altra, carica di ironia, tra terapia oftalmica ed alimentazione. L'occhio è infatti un organo molto delicato, che è consigliabile non toccare o stropicciare, ricorren-do all'applicazione di sostanze medicamentose soltanto in casi veramente indispensabili. Il dente (notare la sineddoche per 'bocca'; cfr. la locuz. della LNaz. 'mettere qualcosa sotto i denti' = 'mangiare') ha invece bisogno di masticare cibo, per garantire vigoria e salute a tutto il corpo (si ricordi l'apologo di Menenio Agrippa). In termini più estrinseci, il chiapparello 'coinvolge un antico bisticcio anfibologico: gli antichi usavano un collirio a base di ossido di zinco, che chiamavano NIHIL ALBUM, perché leggero, da NIHIL e NIHIL ALBUM sortì la locuzione diventata proverbiale' (Tassoni, 1981).

174. Un altro informatore (Gustavo Madami) ha fornito, in sede di verifica, una lezione con lievi differenze: Um pèzzo de pa', um pèzzo de pizza, / curri, compà', che mme se ddrizza, / mme se ddrizza la mazzòla, / curri, compà', coll'accettòla. Nella stessa circo-stanza l'informatore ha citato una variante da lui stesso aggiornata, in cui l'intento ses-suale è più scoperto: Um pèzzo de pa', um pèzzo de pizza, / curri, commà', che mme se

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ddrizza, / mme se ddrizza la mazzòla, / curri, commà, colla piciòla (piciòla 'vulva' è forma estemporanea scherzosa, ricalcata su piciòlo 'pene').

175. Risposta scherzosa, con cui le mamme, quando sono affaccendate nel lavoro dome-stico, cercano di sdrammatizzare i piccoli malesseri (talvolta inconsistenti, talaltra in-ventati), di cui i bambini si lamentano frignando. In forma identica ricorre anche a Ma-gliano Sabina, aldilà del Tevere. L'antroponimo Costanza non sembra adottato soltanto per esigenze di rima: in esso è possibile cogliere, mediante un bisticcio verbale, un ri-mando al sostantivo astratto 'costanza'; difatti ricorre, oltre che nelle Marche (Ginobili 1956, p. 48; 1964, p. 56), anche in testi dell'area veneto-friulana: Gò mal de pànza! / Se ti gà mal de pànza / va dalla siòra Costanza / che te darà un'aranza / e te passarà el mal de pànza (MSS, p. 25, n. 1.36) e lombarda: Al ma dol la pansa / Ciama madòna Costansa; / la t' farà so u palpòt / la t' guarirà 'n d'u bòt (Svampa, p. 389).

176. La polifunzionalità di consimili testi rende incerta la attribuzione ad un determinato genere folclorico: nella raccolta di Bagnaia (Pierini I. e F., p. 115) Allora famo e' ggioco dell'uva? Ognuno a ccasa sua è compreso tra i modi di dire. Per un riscontro marchi-giano, vd. Ginobili (1956, p. 48).

177-178. Cfr. romanesco: "Accoglie, Accoje plebeo: Suppurare, marcire" (Chiappini, p. 5). Sotto la voce budella (p. 57) sempre il Chiappini annota: "si sse ne accorgheno le budella, stai fresco. Si dice a un bambino che si lamenta per essersi fatto qualche picco-la sgraffiatura". Un riferimento alla battuta è contenuto nell'autobiografia di Massimo D'Azeglio (I miei ricordi. Con prefazione e note di G. Balsamo-Crivelli. Torino, G.B. Paravia, 1929, p. 46): "Un giorno che mi feci una scalfittura e che piangevo, mi ricordo benissimo, mia madre mi disse: 'Bada! se se n'accorgono le budella vorranno scappar di lì!'. Io, a vedermi burlato, presi il cappello e finì il pianto, vinto dal dispetto".

179. Un altro informatore (Alessio Cimarra) ha fornito un testo differente: Quanno... quanno...? / Quanno l'asino va ccacanno / e dde dièdro vai leccanno.

181. Il chiapparello, che nella forma usuale è limitato ai primi due versi come il corri-spondente senese (Corsi, ASTP, XV, 1896, p. 20), viene citato dai bambini generalmen-te come replica al verso delle pecore o degli agnelli. Si presta pure ad un bisticcio sul-l'interiezione (beh!) di tono sospensivo o interrogativo per esprimere incertezza, con la quale il belato coincide per omofonia. Per quanto riguarda la peculiare forma linguistica sponnà ('schiattare', 'crepare') del verso finale, c'è da osservare che l'esito sf- > sp- , di connotazione arcaica, rappresenta evoluzione fonetica normale nelle parlate della zona: oltre a Civitacastellana (dove troviamo il soprannome individuale Sponna, la locuz. che sì sponnato? 'sei senza fondo, insaziabile', spragne' 'frangere', spascià 'rompere', la lo-cuz. avv. a spasciaculo 'a iosa, in abbondanza', spirzapippe 'nettapipe', spilà 'rompere la spina dorsale'), ho potuto rilevare il fenomeno anche a Canepina, Capranica, Fabrica di Roma e, aldilà del Tevere, a Magliano Sabina (RI).

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182. La battuta fa eco al verso del gallo, quando canta, o a persona che ripeta l'onoma-topea. Giocato sull'allitterazione, esiste anche il chiapparello: - Chi? / - Chicchirichì. Il verso del gallo (inform. Agostino Armini) viene interpretato anche in altra maniera: d'i-state sopre 'o mucchio de grano lì all'ara 'o gallo fa: vita da re! D'inverno quanno nun g'è ppiù gnènde da magnà: appena appena se camba! (cfr. G. Pascoli, Primo canto, vv. 8-9, 'primi galletti, tutti cantate: / Vita da re...!' con la relativa nota dell'autore “chi può ignorare che in Romagna nel chicchiricchì dei galletti sentono il grido: Vita da re”). Per ulteriori notizie sul canto degli uccelli, vd. commento al n. 470.

185. Nella stessa situazione si può replicare con una battuta più semplice: - Grazzie! / - Sì (√: E dde che?), da carròzza!

191. Il chiapparello sfrutta, con fraintendimento intenzionale e canzonatorio, la polise-mia del verbo pizzicà che vale: 1 - 'pungere' (di un insetto: se lagna pure si jje pìzzica um burge); 2 - 'mordere' (di ofidi e rettili: si tte pìzzica l'asprosordo, mòri); 3 - 'dare pizzicotti' (aó, falla fenita de pizzicamme!); 4 - 'prudere' (me pìzzichino i lupini, è sse-gno che mmette a acqua); 5 - 'friggere' (di disinfettanti: m'ha messo'o spìrito llì 'o graf-fio, me pizzicava). Nella replica si utilizza mózzica! (sinonimo di pizzicà1), quando l'in-terlocutore, in genere un bambino, usa in modo assoluto il verbo pìzzica! nel significato 5.

193. Cfr. il chiapparello registrato a Torre Alfina: - Vièni, te dò 'na còsa. / - Che ccòsa? / - La còscia de la si' Ròsa!

194. Per un analogo bisticcio, vd. Chiappini (p. 395, s.v. birbanti): ”Birbanti scherzosa assonanza in luogo di brillanti: Ciaveva certi birbanti a l'orecchie!"

197. Un riferimento letterario è rintracciabile nella commedia La Trinuzia (a. I, sc. II) di Agnolo Firenzuola: Uguccione: Buono per Dio! E questo perché? / Dormi: Perché le due non fanno tre. Viene in genere usato per zittire i bambini troppo curiosi e insistenti, come quest'altro lombardo (Svampa, p. 355): - Perchè, perchè? - Perchè la gamba l'è tacada al pè, / el pè l'è tacà a la gamba / e l'è sciur Peder che cumanda.

198. La risposta ricorre talvolta autonomamente come proverbio. Da altro informatore (A. Armini) ho sentito il chiapparello: - Allora? / - La bbionda e lla mòra! Più semplice quello giocato sulla isocronia: - Allora? / - Sessanda minuti.

200-201. Serve a moderare la curiosità dell'interlocutore, in genere un bambino, che sol-lecita insistentemente con la richiesta. Sulla stessa falsariga sono formulati i chiapparel-li: - Eppoi? / - 'A vacca partorì e ffece du' bbòi (Magliano Sabina); - E ppòe e ppòe? / - Lega ll'àseno e sciòjje le bbòve! (Blera). Un altro simile a quest'ultimo è documentato per Siena (Corsi, ASTP, XVII, 1898, pp. 220-224, n. 15).

203. La stessa immagine ritorna nel proverbio che stigmatizza i sornioni, i soppiattoni, i posapiano (corrispondenze dialettali: i sorgoni, 'e gattemòrte, i sandarèlli 'ppiccicati su

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'o muro) che agiscono di sotterfugio: Sandificètu nòmen dua / ha strappato 'o sacco e ss'è mmagnata l'ua.

207. Il testo ricorre anche a Capranica (Sarnacchioli, p. 48).

209. In altra variante l'òrto sostituisce 'a vigna. Come detto proverbiale è stato pubblica-to, assieme ad un altro viterbese, da Petroselli (Vite II, p. 222). Una analoga versione è fornita da De Paolis per Civitavecchia (p. 10, n. 119). Per gioco di rima zio-io ritornano nel proverbio: caca zzio, caco pure io.

212. Replica a chi esibisce monili, vantandone l'inestimabile valore perché fatti con il prezioso metallo, per affermare al contrario che si tratta di similoro di nessun pregio. Microvarianti a parte (dovute soprattutto alla sonorizzazione dopo consonante nasale, fenomeno che caratterizza la parlata civitonica), il testo risulta identico anche a Viterbo. A Bagnaia è dato come proverbio (Pierini I. e F, p. 113). Lievemente diverso risulta ad Acquapendente: Orosfugge, òro scappa / manca pòco si nn'è llatta (Mattesini-Ugoccioni, p. 342, s.v. orosfugge). Nell'Amiatino l'oro falso (Fatini, p. 81, s.v.) viene detto òro che fugge pe' tétti o semplicemente orofugge.

213. Ho avuto anche occasione di sentire: È ll'òro de BBològna / divènta rosso dalla vergògna, che trova riscontro nel proverbio marchigiano: l'oro de Vologna / se fa niru pe' la vergogna (Bellabarba, p. 162). Il GDLI (X, p. 136, s.v. oro) spiega il sintagma oro di Bologna 'contenente una percentuale elevata di rame (quindi di colore rossastro)' e cita il modo di dire da Cantoni, 79.

214. L'espressione num me fà ssardà le bbùggere significa 'non farmi incollerire, non farmi saltar la mosca al naso'; per il significato di bùggera vd. Chiappini (p. 57, s.v.): "buschera, rabbia", Je fanno le bùggere".

222. Il chiapparello, che l'informatrice faceva risalire all'anteguerra, è giocato sui diversi significanti utilizzati per designare 'padre', mettendone in risalto la concorrenza secondo il ceto sociale e il grado di istruzione. Tata era inteso come arcaismo (è termine oggi de-sueto, che ricorre solo sporadicamente sulla bocca di persone molto anziane, quando parlano del loro genitore). La forma babbo era considerata propria della lingua (mio pa-dre la impiegava alternativamente a papà, quando rievocava la figura di mio nonno, so-prattutto in unione con l'antroponimo: Bbabbo Ggiggi da ggióvine eva fatto'o finanziè-re). Attualmente nella parlata civitonica si usa quasi esclusivamente papà.

224. Cfr. analoga battuta civitavecchiese in De Paolis (p. 44, n. 411). A Magliano Sabi-na è diffuso come paragone: Sèi bbèlla come er culu da padèlla.

225. Cfr. analogo chiapparello marchigiano (Ginobili 1956, p. 50): - Scemu! / - So' sce-mu, so 'nfilice / è più scemu chi me lu dice.

228. Con queste battute dileggiative i bambini facevano eco al grido del venditore am-bulante di fusajja. A proposito dei semi di lupino, che costituivano lo sfizzio della pove-ra gente nei giorni festivi (me sò' ccombrato'a mmòrda), al pari di quelli di zucca salati

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e tostati al forno e delle arachidi (i bbruscolini, 'e noccioline americane), dei pezzettini di mela, delle prugne e delle visciole secche ('e mella secche, 'e bbrunga secche, i vi-scioletti), delle carrubbe e delle castagne secche ('e gainèlle,'e mosciarèlle), si tramanda la leggenda di un'antica maledizione: 'a Madònna quanno scappò in Eggitto co' Ggesù passò 'm-mèzzo a 'n gambo de lupini. I lupini èrino fatti e qquanno la Madònna passa-va facévino rumore e allora 'a Madònna i maledì: non pòssa sazzià ccòrpo finghé 'a còccia 'rriva ar ginòcchio! Altri gridi di venditori ambulanti, di cui i primi tre fanno parte dei ricordi ormai remoti della mia infanzia e gli altri sono stati riferiti da inform. anziani: Misticanzina fresca, fémmine! (venditrice di erbe selvatiche per fare l'insalata); È vvivo vivo! (pescivendolo); Ombrellaro! Ombrellaroo! 'Ccòmmita piatti congoline ombrèlli (ombrellaio); Fémmine ce ll'avete rotta?...l'ombrèlla! (ombrellaio); Come ce ll'hò nnera! Come ce ll'hò nnera! (venditore di fichi; con gioco verbale osceno conte-nente allusione a fica 'vulva'); Tràppole per i sorgi, fazzoletti de seta! (venditore di arti-coli vari).

229-231. La forma apocopata di allocuzione, su cui è giocato il chiapparello, costituisce un tratto caratteristico dei dialetti centro-meridionali. Il Chiappini (p. 266, s.v. Quell'o-'...quella do'...) riporta per Roma i nn. 229 e 231 con il commento: "Sono modi usati dai popolani per chiamare un uomo o una donna di cui non sanno il nome. I monelli, sempre pronti a fare dispetti, si servono talvolta per corbellare la gente. Passa un uomo che va in fretta, ed essi lo chiamano: Quell'o'...quell'o'...Quando questi si rivolta, essi, facendo vi-sta di nulla si mettono a cantare: Quell'o...rgheno che sona ecc". In altra pagina (aggiun-te del Rolandi p. 481, s.v. Quell'o') viene riferito il n. 230 ed un altro chiapparello, gio-cato sulla parola 'ragazzo': que' rega'...que' regajo de gallina. A Civitavecchia, oltre a 'a quell'o' e 'a quella do', ne era noto un altro su 'militare': Milità ', milità'...mi li taji li ca-pelli! (De Paolis, p. 18, n. 233).

232. Identici i chiapparelli pubblicati altrove: Civitavecchia (De Paolis, p. 7, n. 63), Tu-scania (Cecilioni, p. 80, n. 13), Roma (Zanazzo, Canti, p. 19, n. 28). In Toscana è usato come conta (Gandini, p. 293, n. 742).

233. "Scherzo che fra due ragazzi il più furbo fa all'altro" (Zanazzo, Usi, p. 373, n. 109; Canti, p. 34, n. 75). La Gandini annovera il testo romano nella sezione conte (p. 287, n. 716). In MSS è riferito uno scherzo simile della provincia di Vicenza (p. 308, n. 15.112): Sem'in uno - sem'in do, / sem'in tre - sem'in quatro, / sem'in zinque - sem'in siè, / sem'in sete - semioto! (='scimmiotto').

234-235. I primi tre numeri ricorrono anche nella formula con cui chi sta sotto nel gioco del nascondino (termini dialettali: 'nguattarèlla, tana, tana lìbbera tutti) chiude il con-teggio prima di cominciare a cercare i compagni di gioco: Uno ddue e ttre / chi n'ha fat-to rèsta a mmé, / io vèngo!

239-243. Per locuz. scherzose aventi come base i numeri, cfr. Chiappini (p. 458, s.v. nò-ve): "A chi dice questo numero per es. alla tombola si replica scherzosamente Bon tem-po si nun piòve". In realtà i chiapparelli ricorrono in prevalenza durante l'estrazione dei

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nummeretti nel gioco della tombola assieme ad altre forme sostitutive, attinte per lo più dalla cabala: pippo (√: pippetto), 'o più cciuco = 1, i zzeppiletti = 11,'a fortuna = 13, 'a disgrazzia = 17, i'mbriagoni = 19, 'e carrozzèll'e Nàpule = 22, bbucio de culo = 23,'a viggilia ('a veggilia) = 24, Natale = 25, Sando Stèfino = 26, l'Innocendini = 28, l'anni de Cristo = 33, pplapplà = 44, mòrto che pparla = 47, i picciongini = 55, su-e-ggiù = 69, 'e cianghe d''e vècchie = 77, l'occhialoni = 88, 'a paura,'o più ggròsso = 90.

244. A Blera il chiapparello si usa quando si estraggono i numeri della tombola: - ventu-no! / - la mazza nel pètto e' l pistacchio nel culo. A Capranica (Sarnacchioli, p. 47) si dice: Uno! pia stu schiaffo e nun dillo a nisciuno!

247. La formula si utilizza per fare uno scherzo ai bambini, soprattutto quando insistono nella richiesta che si continui a raccontar loro le favole. Siccome la risposta che devono dare è obbligata, appena essi pronunciano Dàmmolo, si dà loro un buffetto sulla guan-cia.

248. Per raffronti nell'area, vd. versione maglianese: Erano tre ch'annàono a ccaccia: Bbocchino, Bboccone, Bboccaccia. Più articolata quella usata a Sassari come conta: E-rano tre che andavano a caccia, / era Bocchino, Bocchina e Boccaccia, / Boccaccia non c'è: uno, due e tre (MSS, p. 90, n. 5.102).

249-250. Una lezione romana è in Zanazzo (Canti, p. 36, n. 85).

252. Cfr. la versione di Civitavecchia pubblicata da De Paolis (p. 55, n. 543): C'èra 'na vòrta / Caporivòrta: / è cascato pe' le scale, / s'è rotto la tèsta, / e nun z'è fatto male. Ri-sultano affini quella romana: Giovan de La Volta / Cascò ppe' le scale, / Sè ruppe ér collo / E nun se fece male (Zanazzo, Canti, p. 37, n. 92) e quella di Città di Castello (Placidi-Polidori, p. 41). Differenze presenta quella di Capranica (Sarnacchioli, p. 38): C'era una vorta / Marco Rivorta, / cade d'e scale / e si rompe u pitale; / cade d'u tetto / e si rompe 'u culetto.

253. A commento della versione romana Zanazzo (Novelle, p. 86, n. XII) annota: "Que-sti scherzi sono scappatoje che si mettono in uso, parecchie volte, allorché dà noia il rac-contare la favola". Sulle parole ago / capo è giocato anche il testo dialogato di Nepi: - Do' cominciamo da la spilla o dall'ago? / - Dall'ago. / - Ricominciamo da capo. / - Da la spilla. / Ricominciamo a dilla (vd., per Capranica, Sarnacchioli, p. 32).

255. Esempio di favola senza fine che serve a dissuadere i bambini, quando richiedono con insistenza che si continui a raccontar loro le fiabe. Altre versioni locali: Canepina ('A cianvròttola de Bbistengo; Cimarra 1985, n. 256); Teverina (Galli, p. 36, n. 97); Va-lentano (La storia di Cioccotento, in Ghiringhiringola, p. 18, n. 10).

256. Vd. versione romana edita dai folcloristi (Zanazzo, Novelle, p. 88, n. XIV; Chiap-pini, p.122, s.v. favola; Roberti, p. 421).

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259. Il secondo verso ricorre, con abbinamenti diversi, in altre chiuse di favola: Il fosso sta tra il campo e la via / dite la vostra, che ho detto la mia (Firenze); In santa pace pia, / dite la vostra, che ho detta la mia (Toscana); Stretta la foglia, stretta la via, / dite la vostra che ho detto la mia. / Stretta la foglia, stretta la bindella, / dite la vostra, che sa-rà più bella (Marche) [MSS, p. 425, n. 22.84; p. 426, n. 22.85; p. 428, n. 22.104].

265-266. Zanazzo (Proverbi, p. 391) riferisce un chiapparello che trae spunto dalla stes-sa favoletta: "...Sì te dico! - Tutte le donne de Montefico / vann'a a dormì con don Fede-rico / e 'stasera che tocca a mamma / ecco la borsa che je manna".

267. Una breve sintesi della fiaba con i versi è stata pubblicata da De Paolis per Civita-vecchia: Pecorarèllo che in bocca mi tieni, / suonami bbene mandami piano, m'hanno ammazzato pe' ttòrta raggione / per una penna d'ucèllo grifone! (p. 81, n° 754). Non differisce di molto la versione di Faleria: Pecoraretto, che im bocca mi tièni / sònime bbène, sònime piano / mio fratèllo m'ha 'mmazzato / mi ha 'mmazzato sènza raggió' / pe' la stella del cèllo grifó'. La favola dell'uccello grifone può essere letta in ASTP (Fina-more, III, 1884, n. IX; Nardo Cibele, VII, 1888, pp. 93-94). La fiaba si ricollega a riti della 'magia delle ossa' che alcuni paletnologi fanno risalire fino al paleolitico. A tal ri-guardo la Seppilli nella stimolante opera sui rapporti tra poesia e magia (pp. 204-206) annota: "Ecco dunque, di fronte a queste ossa umane o animali trasformate in istrumenti parlanti, che ci dobbiamo domandare: ha avuto una sua anteriore realtà ben precisa quel-la espressione che ha oggi sapore di figura poetica: le ossa che 'parlano', 'invocano', 'ac-cusano'? Il motivo 'dell'osso che parla', dell'osso cioè, di una persona uccisa, spesso a tradimento, di cui qualcuno, per lo più un pastore, foggia un flauto, la cui voce denunzia il misfatto, è motivo di fiaba molto esteso. [...] Ma una realtà storica soggiacente al mo-tivo appare in tutta la sua evidenza più cruda in quel gruppo di 'racconti di fate' che V. J. Propp analizzò, facendo risalire il motivo, unitamente ad altri che gli sono costantemen-te collegati in questi racconti, ai riti dei giovinetti che si celebravano nell'età della cac-cia. Flauti, cetre, zampogne, zufoli, violini, ricavati da ossa o da tendini umani, costrin-gono, senza eccezione, a danzare senza fine. [...] Dobbiamo confrontare questo primo sorgere degli strumenti musicali ricavati da ossa umane o animali, col valore magico e coll'alone che circonda gli strumenti nel mito e negli usi rituali. È uno spirito che parla in essi, perché è la voce dei morti. Se la magia e l'ispirata mantica si son legate così strettamente intorno al fenomeno della morte, non potevano mancare di legarsi pure agli strumenti musicali".

268-269. I testi fanno parte di due favolette di contenuto affine: nella prima un vecchio, che vive da solo, una sera, mentre è assopito accanto al focolare, viene destato da un in-solito rumore: sono i ladri che stanno forzando la porta, con l'intenzione di penetrare al-l'interno. Allora come deterrente recita la quartina ad alta voce, per cercare di metterli in fuga, facendo loro credere che in casa, pronti a menar le mani e a difendere il padre, ci sono ben 14 figli. Nella seconda i pastori, che riposano nella capanna, messi in allarme dall'abbaiar dei cani, sentono avvicinarsi a passi frettolosi degli sconosciuti, forse dei briganti. Alla secca richiesta rivolta dall'esterno, rispondono con un numero iperbolico,

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che incrementano con la menzione aggiuntiva di altri lavoranti, dotati di indole per nulla affatto remissiva (canini = 'ringhiosi e rissosi come cani'). Il termine ribbiscini è formato su biscino 'garzone del pastore, pastorello', con il prefisso che ricalcherà il romanesco ripiscitto (Chiappini, p. 276, s.v.): "pastorello che guarda le pecore; per estensione con-tadinello" (termine mutuato, secondo il Rolandi, dal dialetto abruzzese, ibid. p. 484, s.v. repiscitto). Sulla organizzazione e gli addetti dell'azienda della masseria, vd. Metalli (p. 56)

270. Il dialogo è contenuto nel contesto di una favoletta: in mezzo al campo uno scaltro ladro, coperto da un lenzuolo bianco, a colpi di falce fienaia taglia a tondo le cime dei cavolfiori, mettendole poi in un sacco, per portarsele via. Il contadino, padrone del cam-po, da lontano al chiarore lunare assiste alla scena ed immagina che sia la morte in per-sona. Una situazione analoga ritorna in una storiella di Bolsena, nella quale si racconta: "così cantavano salmodiando quattro buontemponi, coperti di un lenzuolo bianco, che anda-vano a rubare cocomeri di notte, portando a spalla una bara: Semo quattro uscite da la sepportura / camminamo a llume de luna / camminamo adacio adacio / andamo a la cappanna a pprènde' Bbiacio (BlasPop n. 531). Quest'ultimo testo tuttavia, stando alle note del Minucci al Malmantile (II, 314), si ricol-legherebbe alla locuzione adagio Biagio: "Credo, che si dica per causa della rima e del bisticcio; perché per altro il nome Biagio è superfluo all'espressione, valendo tanto il dir solamente Adagio, quanto Adagio Biagio. Sebbene ci è una favola notissima d'un certo contadino nominato Biagio, il quale, perché non gli fossero rubati i suoi fichi, se ne sta-va tutta la notte a far loro la guardia; onde alcuni giovanotti, per levarlo da tal guardia, e poter a lor gusto corre i fichi, fintisi demonj, una notte s'accostarono al capannetto di Biagio, mentr'era dentro, e discorrendo fra loro di portar via la gente, ciascuno narrava le sue bravure: ed uno di costoro disse ad alta voce: Se vogliamo fare un'opera buona, entriamo nella capanna, e portiamo via Biagio. Biagio, ciò udito, scappò dal capannetto tutto pieno di paura, gridando Adagio adagio. E di qui può forse avere origine il presen-te dettato Adagio Biagio, o Adagio, disse Biagio".

271. La versione romana è inserita nel contesto della favoletta (Zanazzo, Novelle, n. XLII, pp. 311-312) intitolata Quanno sona l'Avemmaria / chi sta a ccasa de ll'antri se ne vadi via, che rimanda al proverbio riferito negli altri volumi (Usi, p. 96, n. 5; Prover-bi, p. 118). Nella versione della Teverina (Sipicciano) intervengono come protagonisti due compari (Galli, p. 66, n. 217, L'ospite inatteso); per Bagnaia, vd. Pierini I. e F. (p.116). In genere della storiella viene tramandato il solo dialogo in versi, dal quale tuttavia si arguisce il contesto generale, come nel caso di Blera: quanno è nnùvolo e mmar templè, / a ccasa d'artre nun ze sta bbè. / Nu lo dico per voe, commare, / state pure quanto ve pare. / Cara commare, 'n adè qquesto che tte noce, / ma è la pizza sott'ar culo che tte còce (CH.: eva 'nguattato la pizza sott'ar culo pe' non dalla a la commare. Stava ffà le pizze). I versi scorporati dal resto della favola compaiono spesso come proverbio in rac-

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colte paremiografiche di altre regioni: cfr. per l'Umbria Grifoni (p. 31, n. 21): Pioe e maltempu fa; / a casa d'antri è un bruttu stà. / Se stess'io a casa d'antri, / come l'antri a casa mia, / pijarìo la strae e me n'andrìa (ma vd. pure l'intero dialogo in Chini, p. 230, n. VI); e per le Marche Ciavarini Doni (p. 229): Piove e nengue e mal temp'é; a casa d'altri non c'é bon sté (stare); e s'io fossi a casa d'altri, come voi state a casa mia, pren-derei la spiccia e anderei via. Per attestazioni nell'Italia meridionale, vd. Trotta (M.Trotta, Società e cultura contadina nei proverbi di Monte S. Angelo. Introduzione di G. B. Bronzini. Centro Studi Garganici, 1982, p. 89, n. 334): Quann'è scurde e mmale-timbe fé, a cchésa d'àlete ne mbesogna sté (= Quando annotta e fa cattivo tempo in casa d'altri non bisogna stare); Iosa (A. Iosa, La terra del silenzio. Proverbi contadini e tra-dizioni popolari della Daunia. Bari, M. Adda edit., 1983, p. 176): Cummare sciòcche (= nevica) e maletémpe fa: a casa de l'àvete ié male stà.

272. Un dialogo, costruito su battute affini, è noto a Capranica (Sarnacchioli, p. 36): Bi-scì va a lè! / Mi fa mal 'u pie'! / Biscì va all'acqua! / Mi fa male a chiappa! / Biscì va a pià 'a ricotta! / Lelo, lelo! Mi s'è passato lo male ch'avevo! e a Carbognano: - Bbescì, va' a llena! / - Oddio 'a schiena! / - Bbescì, va' all'acqua! / - Oddio 'a panza! / - Bbescì pia 'o callaro pe' 'a ricòtta / - Llero llero, me s'è ppassato 'o male ch'avevo! A Civita Castellana è nota, venata di coloriture dialettali, anche una versione di presumibile pro-venienza umbro-marchigiana: - A scì! Arzide che è ddì! / - Se è ddì vòjjo dormì. / - Arzi-de che è ggiorno! / - Si è ggiorno vòjjo magnà. / - A scì! Va' a vvedé se ppiòve! / - Se 'o ca' è bbagnato, allora piòve; se 'o ca' nun è bbagnato, allora num piòve. / - A scì! È ppronta la ricòtta! / - Lero lero me sòn guareto! Lero lero me sòn guareto! (Inf. Gina Riucci, nata 1920). Per stigmatizzare l'indolenza o evidenziare la scaltrezza sorniona dei pastori si usano altre battute: 1) - A pecorà', ì visto gnènde 'a vaccarèlla mia? / - Tira lu vèndo e 'bbajja lu cà' nun ze capisce cósa!; 2 - A pecorà', è bbòna 'ss'acqua? / - E ttu 'n ha' sete!

273. Sulle campane è diffusa tra gli adulti quest'altra espressione per replicare ironica-mente, a chi si vanta di poter comprare questa e quella cosa, che, non avendo egli i soldi, non potrà fare proprio nulla: 'E cambane de Fòjja fanno: con-ghè! con-ghè! (cfr. Bla-sPop n. 1156). Sulle campane mi è stato fornito anche un altro breve testo: 'E cambane der dòmo: còci-le-fava! còci-le-fava! Quell'andre: coti-cotichèlle, coti-cotichèlle! Si tratta di un gioco di onomatopee a rovescio, cioè di interpretazioni o invenzioni scherzo-se sul suono delle campane, che assumono quasi valenza di wellerismi. Il procedimento non è recente, si pensi ad espressioni: fare come le campane di San Ruffello (o di San Remigio): vendi e 'mpegna (Bellincioni, in Gr. Diz. U.T.E.T, s.v. campana; Salviati, il Granchio, IV, 13; anche nella raccolta Salviati: Le campane di San Ruffello: 'Vendi e 'mpegna'. Altri esempi in Pico Luri, pp. 405-406); le campane di Manfredonia, che di-cono: damm'e dotti, damm'e dotti (Serdonati, III: La campana di Manfredonia: Di male in peggio; nella raccolta Pescetti, p. 134, ricorre il paragone: L'anderà di male in peggio come fé la campana di Manfredonia; vd. ibid. a p. 165: far le campane di Manfredonia. Fanno un suono, che par, che dica: dammi, e dotti cioè Dà a me, e io dò a te). I dialo-

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ghi fantastici tra campane sono diffusi in molti luoghi: Roma (Zanazzo, Usi, p. 223, n. 193, Che ddiceveno e cche ddicheno li soni de certe campane); Bagnaia (Pierini I. e F., p. 119); Valentano (Mancini-Luzi, p. 136); altri centri della provincia (BlasPop nn. 57, 319, 426, 680-682, 824, 893, 1156, 1467, 1716, 1745). Alla formazione di simili locuzioni ritengo che non sia estraneo il fatto che le campane, come gli animali araldici, sono 'oggetti parlanti', stante l'antica consuetudine di apporvi iscrizioni, nelle quali esse si esprimono generalmente in prima persona: 1- Laudo Deum verum, plebem voco, congrego clerum / defunctos ploro, dissipo ventos, festa decoro. 2 - Funera plango, fulmina frango, sabbata pango, / excito lentos, dissipo ventos, paco cruentos. 3 - Convoco, signo, noto, compello, ploro, / arma, dies, horas, fulgura, festa, rogos.

274. Il proverbio si riferisce, secondo gli informatori, a Falerii Novi, centro che i Roma-ni costruirono in un sito pianeggiante dopo aver distrutto nel 241 a. C. Falerii Veteres, quindi contiene una incongruenza storica, che non è rilevata nella mentalità comune del-le genti che abitano il basso Viterbese (BlasPop n. 17512: Se dice Sutri fabbricato su ttré, lo terzo paese. Lo primo Fàlleri, lo secondo Vèroli e lo terzo Sutri. Dell'antichità, formati li paesi, Così sse dice, pòi...[non so]. Il testo è giocato sulla paronomasia pseu-doetimologica: Falleri (forma popolare) / fallire, che costituisce il tipo più produttivo (cfr. per il Lazio meridionale: Quando Fumone fuma, tutta Campagna trema; per le Marche: Quando Fermo vuol fermar, tutta la Marca fa tremar). In una indagine di veri-fica, effettuata negli anni 1976-1977, ne ho potuto registrare la diffusione in vari centri della zona. Mentre a Faleria, Magliano Sabina (RI) e a Mazzano (RM) la forma risulta pressoché identica a questa di Civita Castellana, altrove la versioni hanno subìto adatta-menti, con modifiche anche della struttura: a Corchiano (Si Ffàlliri nun fallìa / Corchia-nuccio Roma venìa); Nepi (Si Ffàlleri non falliva / Roma Cìvita veniva); Vignanello (1- Quanno Fàlleri fallì / Vignanèllo'mboverì; 2 - Se Ffàlleri non falliva, Vignanèllo Roma serìa); Vasanello (Si Ffàlleri non fallia / Roma nun esistia); Rignano Flaminio (Si Ffàl-leri non falliva / Roma non veniva). Non mancano tipi del tutto autonomi, che fanno ri-ferimento a miti e leggende connessi alla fondazione della città: Si Ffàlleri bbuttava ciàjjeri [= 'scaturigini d'acqua'] / Fàlleri èra chiamato Roma (Caprarola); Si Ffàlliri fa-ceva i melànghili / èra Roma e nun èra Fàlliri (Fabrica di Roma). Il procedimento della paronomasia trova un riscontro nelle opere di un letterato del Seicento: Giovan Battista Lalli lo usa in un paragone del poema eroico-comico "La Moscheide": Come insomma veggiamo essere sovente / misero e rio de' naviganti il fine, e de' mercanti flebile e do-lente / che spesso van di Fallari al confine... E poi di nuovo nell'ode "Annuncio di buon capo d'anno": Se si averà da fare un qualche miglio / come a dire verso Fallari, paese / dove io d'andar corro periglio. La popolarità di tale modo di dire è confermata da un'o-pera di antiquaria del sec. XVII (Famiani Nardini Veji antiqui seu dissertatio investi-gans verum ejus Urbis situm. Lugduni Batavorum, sumptibus Petri Vander Bibliopolae, Civitatis atque Academiae Typographi, col. 45 c): 'Solent etiam hodie dici: Fallerium ire, tales, qui fallant”.

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275. Il testo (vd. BlasPop nn. 1141, 1984), carico di allusioni sessuali per l'anfibologia oscena (gabbia / uccèllo), in altre zone della provincia è riferito a piccoli centri: Monte-calvello (BlasPop nn. 39, 127, 240, 714, 992), Quadamello (BlasPop nn. 1317,1370), Castel S. Elia (BlasPop n. 1024). I primi due versi sono usati solitamente in forma auto-noma (BlasPop n. 1084). Una volta ho avuto modo di sentire da un meridionale in visita a parenti immigrati a Civita la formazione estemporanea: Civita Castellana / ogni passo una porce...llana (con apparente autocensura e il malizioso bisticcio 'porcella / porcella-na').

276. Il blasone è riferito al rione Quadamèllo (o Catamèllo), il cui nome deriva dall'o-monima frazione di Otricoli (TR), dalla quale provenivano alcune delle famiglie che lo popolarono, quando era ancora in gran parte disabitato. Comunemente si riferisce a Vi-terbo (Vidèrbo 'o paese do sconfòrto: / o ppiòve o ttira vèndo o ppassa 'o mòrto). Il te-sto si ritrova in raccolte paremiografiche regionali riferito a varie località: Tivoli (Tivoli der mar conforto, o tira vento, o piove, o suona a morto [Zanazzo, Proverbi, p. 196]); Serravalle (Seraval senza conforto, o che piove, o che sventa, o che sona da morto [Pa-squaligo, Proverbi veneti, p. 259]); Urbino (Urbin senza confort, o piov o tira vent o sona a mort [Castellani, Proverbi marchigiani, p. 87, n. 508]); Monreale (Murriali, cità senza cunfortu, / o chiovi o mina ventu o sona a mortu [Alaimo, Proverbi siciliani, p. 179, n. 1162]). Il modulo ricorre variato in altri proverbi: A San Miniato o tira vento o sona a magistrato (Giusti-Capponi, p. 219).

277. La forma più nota è limitata ai primi due versi. A Bomarzo il modulo ricorre sia nei blasoni che nei proverbi (ALP, p. 165, n. 36: Montefiascone cornuto ddo' vai si vveduto; p. 64, n. 188: Ll'erce cornuto dove vai è vveduto).

283. Parodia di scongiuro apotropaico contro le chiocciole, immaginate come terrificanti mostri. Il blasone (già in BlasPop n. 1139), utilizzato dai civitonici per farsi beffe della presunta dabbenaggine dei Nepesini, contro i quali, fino al recente passato, si è esercita-to l'antagonismo municipalistico (l'esprit de clocher), ritorna adattato a singole situazio-ni (per la sua diffusione nell'area, vd. BlasPop nn. 302, 345, 371, 488, 988, 1010, 1058, 1059, 1140, 1271, 1313, 1367,1747). Per un raffronto aldilà del Tevere, in terra sabina, vd. il testo di Magliano Sabina (RI): Sa-Llibberato nòstru / delìbberece tù / da quelle bbrutte fère / co' 'e còrna a ppènne 'n zù.

284. L'avvio della cantilena ritmata parodia la pomposa frase latina che compare sulle etichette delle bottiglie contenenti l'acqua minerale (l'acqua fòrte) di Nepi: Nepe civitas nobilis atque potens in cuius fertilissimis agris balnea scaturiunt salutifere; ma anche il resto è costruito su allusioni malevole, che ritornano puntualmente nella canzone invet-tiva (parodia sull'aria di "Valencia" di Padilla-Frati) contro il comune limitrofo: Nèpi ci-pollaro, è ppièno de bburì / e Ccìvita ha 'ffittato lavoro ai Nepesì. / E ssi a Ccìvita bbut-ta male, / anneremo su a Pponde Lèpre, / quanno pàssino i Nepesini, li pijjamo a tortorate. / O Nnèpi, 'sti bburini e 'sti marani / che vvonnó parlà rromani. / Nèpi, città etrusca rinomata, / illustrata a la romana. / O Nnèpi, tu che ci-hai l'acquafòrte, / le ci-

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polle crude e còtte. / O Nnèpi, co' 'sto Tullio Cupelloni ce l'hai rotti li bbottoni! (cfr. BlasPop n. 1050 e ibid. la versione acefala del n. 1143). In un altro frammento di paro-dia, composto durante il ventennio, giocando sul saluto fascista ("A noi!"), si cantava (l'infomatrice nepesina non ne ricordava la melodia): Se qquarche vvòrda ce ggira 'l boccino / Ponte Clementino / ve famo sardà: / Nèpi, Nèpi, hai pòco da rugà! / Se qquarche vvòrda te sènti male / io l'ospedale / te pòsso prestà: / a vvoi, a vvoi, e al vò-stro podestà! Il blasone risale ai tempi in cui i due centri si contendevano la sede della pretura circon-dariale: si dileggiano i Nepesini, i quali, per dimostrare di possedere una popolazione pari a quella di Civita Castellana, non avrebbero esitato a computare nel novero degli abitanti: cani, gatti, topi e perfino... i maiali. Alla stessa situazione si rifanno altri due te-sti pubblicati in BlasPop (nn. 1109

1 e 1109

2): A Ccìvita c'èra a pretura. Allora i nepesi-

ni èrano invidiosi de questa pretura che stav'a Ccìvita; e ttando ne parlàvino ai fijji de sta pretura preturra, che i fijji dicévino: Ah mà', damme 'o pà' ca preturra.

285-286. Il n. 285 (ottava di tipo siciliano: ABABABAB) è già stato pubblicato dalla Galanti (p. 181) e da Petroselli (BlasPop n. 232, ma vd. anche i nn. 1147, 1395, 1531, 1811, 1860-1861) ed elenca i soprannomi collettivi dei vari centri della zona cimina e subcimina. Tra i due testi interviene qualche differenza: ad es. al v. 4 i Canepinesi sono chiamati le facce spòrche e magnammèrda. Talvolta al v. 5 compare bbadalòcchi (= "stupidi") con sonorizzazione iniziale, per sottolineare un tratto caratteristico della par-lata valleranese (BlasPop n. 1780). La forma Crocchiano, con metatesi, e l'etnonimo Bassanellesi sono del registro arcaico. La versione di Vasanello si conclude con riprese finali: Prìncipi e ccavalièr sòno i romani. / Cittadini sò' i Viterbesi. / I magnagatti sò' i Surianesi. / I magnammèrda sò' i Canepinesi. / I bbadalòcchi sò' de Vallerano. / La-drongèlli sò' i Vignanellesi: / l'hanno rubbata la croce a Ccurchiano, / l'hanno vennuta da li Bbassanellesi. / E qquesta croce l'èra maledetta / pe' um pignattèllo e 'na cazzaro-letta. / E 'sta croce l'hanno riconzagrata / pe' um pignattèllo e 'na cazzaròla sfasciata .

287-293. Ho voluto pubblicare tutta la serie per esemplificare come un testo folclorico sia soggetto ad un continuo ed incessante processo di adattamento e di rielaborazione (con aggiunte, riduzioni, variazioni), funzionale alle esigenze e alle situazioni comunica-tive (si veda per es. nel n. 288 la reinterpretazione benevola del giudizio negativo drasti-camente espresso su Civitacastellana nel testo precedente), e come le differenti versioni possano coesistere all'interno della stessa comunità. L'appellativo burrattini è stato cchiosato da uno degli informatori: A Ccìvita semo stufarèlli, appòsta ce jjàmino bbur-rattini. Una filastrocca blasonica con spunti analoghi è in Grifoni (p. 128, n. 25), ma è limitata ai soli centri dell'Umbria: Spiellu spella, Fulignu sfoia, Spoleto spoia, Terni ti-ranni, becchi c... quilli de Narni, e se più tristi li volete, annate a Otricoli e ce li troere-te. Nei primi versi interviene una paronomasia allitterante con gioco pseudoetimologico; il procedimento è frequente nei blasoni popolari di tutte le regioni: Grosseto ingros-sa....(Giusti-Capponi, p. 220); Thiene, tienteli; Schio, schivete; e Malo, sed libera nos a malo (Pasqualigo, p. 258). Il fatto che i centri menzionati si trovino sull'asse viario Fla-

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minia-Nepesina-Cassia potrebbe fornire un terminus post quem, poiché la strada di col-legamento tra le due vie consolari, sebbene in parte di tracciato antico, fu ampliata e si-stemata nel 1787. Per altri riscontri vd. BlasPop n. 1056. Una fonte ultracinquantenne ha fornito la seguente variante, attribuendone esplicitamente la creazione alla categoria dei carrettieri: I funari ce vònno de Fuligno, / a Ttèrni li tiranni /e bbirbaccioni sò' qquelli de Narni, / a Otrìcoli li pezzuti, / a Mmajjano li cornuti / Ponde Felice nun ze dice, / a Bborghetto i pertichini, / a Ccìvita i bburrattini, / a Nnèpi li sapièndi, / a Mmonderòsi i prepotèndi, / a la Stòrta li pezzuti. / E ssi bbuffi li volete, / nnate ar Cuppolone e li tro-verete.

294-297. Filastrocche costruite sui giorni della settimana compaiono in tutte le raccolte di folclore e svolgono una funzione mnemonica: per limitare i raffronti al Viterbese, vd. per la Teverina Galli (p. 37, n. 102). In particolare il n. 295 si reitera per stigmatizzare i debitori insolventi (a livello infantile anche chi non mantiene le promesse fatte), invece i nn. 294, 296-297 per biasimare i fannulloni perdigiorno.

302. Il proverbio calendariale, che è diffuso in tutto il Viterbese (vd., per La Teverina, Galli, p. 37, n. 106), segna due dei periodi fondamentali dell'anno agrario, su cui è com-mensurato quello liturgico: l'Epifania (6 gennaio) conclude il ciclo natalizio o del solsti-zio d'inverno. San Benedetto, la cui celebrazione nel riassetto del calendario liturgico è stata spostata all'11 luglio, data del trapasso del santo patriarca, preannuncia la Pasqua, cioè le feste legate all'equinozio di primavera.

303-304. Proverbi sulla Candelora (festum candelorum, cioè Festa della Purificazione di Maria) sono registrati in tutte le raccolte paremiografiche. Per una versione valentanese, vd. Mancini-Luzi (p. 88); per un'altra tuscanese, vd. Cecilioni (p. 191). Come spesso av-viene, i nostri testi presentano un'espansione aggiuntiva, che nel n. 304 assume un aspet-to dialogico quasi di wellerismo.

305. La filastrocca paremiologica, che ha valore mnemonico, serve per passare in rasse-gna le feste del mese di dicembre. Un testo toscano è edito da Lapucci-Antoni (p. 269, n. 1), un altro marchigiano da Ginobili (1968, p. 12; 1972, p. 20). La recente riforma del calendario liturgico ha reso in parte inattuale il proverbio: secondo le nuove disposizioni il 4 dicembre non è più s. Barbara (le notizie sulla cui vita non hanno grande attendibili-tà), ma san Giovanni Damasceno. Versioni viterbesi: Teverina (Galli, p. 37, n° 104); Va-lentano (Filastrocca dei santi di dicembre; Mancini-Luzi, p. 130); Ischia di Castro (Le feste di dicembre; Nanni, p. 147, d), Tarquinia (Blasi, p. 194); Bolsena (Filastrocca di-cembrina; Casaccia, p. 70). Il testo di Capranica (Sarnacchioli, p. 23), più sintetico, in-corpora anche il proverbio sull'Epifania e su S. Benedetto. Per Roma, vd. ASTP, IX, 1890, pp. 276-277.

306. La festa di S. Lucia, prima delle riforma gregoriana del calendario, coincideva con il solstilzio d'inverno. La diminuzione (Santa Caterina) e l'aumento (Natale, Epifania) graduali della luce diurna vengono rappresentati mediante un dato spaziale empirico de-

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sunto dall'esperienza diretta del mondo contadino: la lunghezza del passo di alcuni ani-mali.

307. Secondo l'informatore la formula di questua era utilizzata per chiedere, nell'ambito della cerchia parentale, la 'mancia' nei primi giorni del nuovo anno.

308. L'informatore (Fernando Ricci) ha chiosato: i regazzi più pporetti 'nnàvino co spi-do pe' ccìchele-ccìchele. Bbussàvino llì 'e pòrte e ddicévino [la filastrocca]. I padroni de casa jje 'nvilàvino cchi 'na sargiccia, cchi um bèzzo de vendresca e ttornàvino a ccasa co' ccèrte spidate! La forma di questua e il nome richiamano un'usanza largamente dif-fusa anche in Toscana (Fatini, p. 25, s.v. bucicciu e p. 43, s.v. cuccucicciu) e nelle Marche (per quest'ultima regione si tenga presente la consistente immigrazione di famiglie marchigiane nell'Alto Lazio, con il conseguente interscambio ed assimilazione di forme culturali). Secondo la descrizione della Eustachi-Nardi (pp.106-107): "La figura tipicamente caratteristica del giovedì grasso è quella 'dellu coccocicciu' ovvero 'dellu lardellu'. Bambini tutti tinti in viso di carbone, a guisa di spazzacamini, con uno spiedo in mano, vanno per le case a chiedere in elemosina lardo, salsiccie, danaro ecc. Sono i bambini poveri, cioè quelli che non hanno potuto ammazzare il maiale...Al 'ciccicocco' o coccocicciu' di Camerino e dintorni, corrisponde 'lu lardellu' di Macerata, il 'ciucculaio' di Albacina, il 'cicolaio' di Campodonico, e in forma più...cittadina, il 'ciccolaio' di Fabriano". C'è da aggiungere che il termine cicco (Chiappini, p. 90 s.v.) non è ignoto al romanesco: " È il nome con cui i contadini chiamano il maiale. Cicco qua, cicco là: er porco s'ingruffa."

309. I primi giorni del nuovo ciclo annuale erano ritenuti nella civiltà contadina partico-larmente propizi per trarre pronostici sul futuro. La formula accompagnava un rito divi-natorio, basato sulla fillomanzia, che si effettuava la sera della vigilia dell'Epifania: l'in-teressato, davanti al camino o ad un braciere, staccava da un ramoscello verde d'olivo una fogliolina, la inumidiva con la saliva, passandola sulla lingua, e la gettava sulla bra-ce ardente, scadendo nel contempo le parole. Se la foglia saltellava e scoppiettava, il re-sponso risultava positivo; era da interpretarsi negativamente, se la foglia si arrotolava e bruciava semplicemente. Più articolata è la formula in uso a Faleria: Parma parmarèlla / che vviè' tre vvòrte l'anno / dimme vero quello che tte ddumanno: / se mme vò' bbè' la regazza quest'anno. / Famme 'r ballo, famme 'r zòno / sìnno bbrùcete sur fòco (inform. Germondo Rocchi). Nel rito interviene il potere magico non solo del numero tre (vd. commento al n. 359), ma soprattutto della saliva, usata come mezzo per la prevenzione di contagi e come difesa dagli incantesimi (Plinio il Vecchio, N.H., l. XXVIII: Despui-mus comitiales morbos, hoc est contagia regerimus...simili modo et fascinationes reper-cutimus). Occorre precisare che Parmarèlla (palma d'olivo) sostituisce Pasquarèlla (= Epifania, da non confondere con Pasquetta, che designa il Lunedì dell'Angelo). In effetti l'Epifania è la prima pasqua dell'anno, stante l'antica consuetudine di designare con tale nome le festività principali del ciclo liturgico (Pasqua del ceppo = Natale-Epifania, Pa-squa dell'uovo= Pasqua di Resurrezione, Pasqua Rosata = Pentecoste).

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310. Una filastrocca affine di Valentano è in Mancini-Luzi (p. 85), un'altra di Tuscania in Cecilioni (p. 189).

311. Una versione comasca, diversa solo nel verso finale, è in MSS (p. 173, n. 9.15)

312-313. Vd. filastrocca romana, con spunti simili nella parte finale, in Zanazzo (Canti, p. 33, n. 72).

314. Una pastorèlla affine di Cittareale è pubblicata da E. Cirese (p. 143, n. 697).

316. Presenta un avvio pressoché identico la filastrocca cremonese: Duman l'è feesta / se mangia la minestra / se beev in del buccaal / viva viva carnevaal... (Svampa, pp. 369-370); un'altra veneta è in MSS (p. 175, n. 9.24).

318. In effetti, durante il periodo della quaresima, il digiuno e l'astinenza erano un tem-po rigorosamente osservati. Cfr. il proverbio romanesco (Chiappini, p. 134, s.v. frittata): per quarantasei giornate non si mangiano più frittate.

319-320. I testi, già editi in Rito e Spettacolo (pp. 548-49, nn. 35-36), sono stati raccolti rispettivamente nel 1968 e nel 1981. Nel primo caso la depositaria, una vecchia donna quasi novantenne, ricordava che il canto di questua era intonato sino all'ultimo scorcio del XIX secolo da gruppetti di bambini presso le abitazioni di parenti ed amici, soprat-tutto anziani, alla fine della quaresima. Nel secondo caso, l'informatrice, oggi ultrottan-tenne, affermava di aver appreso il canto poco dopo gli anni '20 da una vecchia di circa 90 anni, presso la famiglia dove lavorava come apprendista sarta. Un riferimento al rito della "segavecchia" si può ravvisare anche nel testo n. 585. Per la diffusione della tradi-zione della Vecchia nelle varie regioni d'Italia, vd. Toschi (cap. V, par. 5, pp. 139-149). Nella chiusa del n. 319 si fa riferimento alla poggiata ('a scambagnata) del Lunedì del-l'Angelo, nella quale i giovani scorrazzavano sui prati adiacenti la chiesetta rurale di Santa Susanna, intonavano allegre melodie e raccoglievano fiori, consumavano sull'erba dolci e cibi ('e ciammèlle, 'o ciammelló', 'a pizza de Pasqua,'o sammastiano, l'òva lesse) ricchi di pregnanza rituale (l'uovo, simbolo di pienezza di vita, di potenza generatrice e di fecondità, era benaugurante come auspicio di un copioso raccolto). Questa prima u-scita primaverile assumeva una carica liberatoria (segnava il passaggio definitivo dai ri-gori invernali al tepore della bella stagione ed insieme la conclusione del lungo periodo quaresimale di astinenza e di digiuno), si rinnovellavano gli amori e si tentavano i primi approcci. Sulla festa era nota una 'tarantèlla' dal contenuto lascivo, di cui riporto la stro-fa d'avvio: Sandá Susanna dellé bbellé zzidèlle / nun ge portate quelle pidocchiose, / portàtice quelle péttinate e bbèlle, / sandá Susanna dellé bbellé zzidèlle.

321. Cfr. Chiappini (p. 37, s.v. bagarone): "I monelli del volgo fanno una retata di que-sti insetti la vigilia dell'Ascensione, e, posto loro sul dorso un cerinetto acceso, si diver-tono a vederli camminare finché si abbruciano. Intanto essi cantano questa canzoncina: Curri, curri, bagarone / che domani è l'Ascensione, / e si tu nun currerai / tutto il c... t'abbrucerai". Il testo è pubblicato anche in Zanazzo (Usi, p. 162, n. 117; Canti, p. 35, n. 82), con un commento in romanesco, e in Roberti (Brucia-bagarone, p. 50). Differen-

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ti risultano la versione maglianese: Vola vola scardaó' / che ddomani è ll' Ascenzió' / e sse ttu nun volerai / zeppu 'n culu porterai; e quella di Capranica: Vola vola matró / che ti chiappa u scardafó (Sarnacchioli, p. 38). Per un'attestazione ottocentesca di Rocchette (RI), in terra sabina, vd. Lumbroso (ASTP, 1884, III, pp. 190-191). Secondo le località cambiava anche l'insetto, a cui si infliggeva il penoso trattamento: a Civita Castellana era un coleottero, in genere il rinoceronte volante (Oryctes nasicornis) o il cervo volante (Lucanus cervus); nelle Marche (Ginobili 1961, p. 96, Gola gola, mosco' / che domà' è la 'Scinziò') era invece un moscone del genere Lucilia: “ È la nenia che i bambini ripeto-no, allorché presi i mosconi dorati e legatili per una zampetta con filo, li girano per farli volare”.

322-323. Numerose nell'area le formule che una volta i bambini utilizzavano per chiede-re l'offerta di denaro all'interno della propria famiglia (genitori, nonni) o della cerchia dei parenti, compari compresi, formule semplici ed immediate come la seguente di Va-sanello: È Natale famme la mancia si te pare (Fuccellara-Filesi, p. 88); o più articolate come quelle di Capranica: Natale, datimi a mancia si bi pare, sinnò buttatimi d'e scale oppure: Caro papà, è Natale, senza mancia si sta male; per il bene che ti voglio, tira fuori il portafoglio (Sarnacchioli, p. 23); e di Tarquinia: Bone feste e bon Natale / date-me la mancia se ve pare / io non vojjo né oro né argento / d'un piccolo soldino me con-tento (Blasi, p. 194). Per raffronto riferisco questa inedita di Magliano Sabina: Bbòne fèste, bbòn Natale / fàtime la mancia se ve pare / o dd'òro o dd'argèndo / pure de pòcu me 'ccondèndo. Il n. 323 è parodia scherzosa della precedente. Oltre ai testi tramandati che tutti i bambini conoscevano, spesso in ambito familiare, su-gli stessi temi e contenuti, se ne recitavano altri appresi a scuola o composti a bella posta per l'occasione: 1) - sermone per i nonni (Natale 1928): Eccomi, cari nònni, / èccomi a vvoi vicino: / vi àugura il buon Natale / il vòstro nipotino. / Io sòno Mario Frezza, / bbirbone come 'n zorgetto: /se mmi fate la mancia, / vi dò um bèr bacetto. 2) - sermone per i genitori (Natale 1931): Mièi cari ggenitori, òggi che ll'è Nnatale bbenedetto / di diventare bbuòno vi prometto. / Vòglio andar sèmpre a scuòla, / a ccasa vòglio èssere ubbidiènte: / di fare i capriccetti non vòglio sáper niènte. / Vòglio bbène a ppapà e a mmamma mia: / se mi date una liretta, sarà la ggiòjja mia (inform. Mario Frezza).

327. Il testo denuncia corruttele in più parti per fraintendimenti (ad es. v. 6: De Maria fu 'ngannato < In Maria fu incarnato) e riduzioni dovute forse ad amnesia. Una versione completa del canto è pubblicata per l'Umbria da Chini (pp. 31-32, n. I, I pastori a Bete-lemme).

328. La versione romana, che ha come incipit Bbovi, bbovi, dove andate, differisce nella prima parte (Zanazzo, Canti, p. 44, n. 113). Molteplici sono quelle raccolte in vari centri del Viterbese: Civitella d'Agliano (Galli, p. 38, n. 109); Tuscania, con incipit identico, ma con differente svolgimento, essendo combinata con l'orazione conosciuta come Pa-dre nostro alla romana (Cecilioni, pp. 220-221); Canepina (Cimarra 1985, n. 268); Bomarzo (ALP, pp. 262-263, n. 19). Per la Toscana, vd. Fornari (pp. 73-75). In realtà il sermone natalizio si ispira al racconto della Passione: il Toschi (La poesia popolare re-

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ligiosa in Italia) classifica il testo come 'Passione V'. Una lezione della Sabina: A letto, a letto me n'annai è pubblicata da La Sorsa (p. 66), il quale la registra come preghiera, dato che l'avvio contiene formule che i bambini recitano prima di coricarsi; un'altra di Forano è nella raccolta di E. Cirese (pp. 20-21, n. 55). Una versione marchigiana di Por-to Potenza Picena, con diversa finale, è in Ginobili (1947, p. 33; 1971, pp. 23-23), un'al-tra di Città di Castello in Placidi-Polidori (p. 45).

329. È il sermone natalizio tra i più noti e diffusi, che i bambini recitavano durante il ce-none della vigilia, allo scopo di sollecitare una mancia. La funzione diviene più esplici-ta, se si confronta il testo romano pubblicato da Chiappini (p. 278, s.v. robba) e da Za-nazzo (Canti, p. 43, n. 109), dove compare la parte petitiva: Chiedo scusa a llor signori / Si ho ddetto qualche errore; / Ma sso' ccose da fanciulli / Nun so' ccose da dottori! / E non chiedo né oro e né argènto, / Ma un po' dé robba dolce e mmé contènto. Anche la versione valentanese chiude con una richiesta 'N de sto paese c'è 'na bella usanza / dop-po ditto 'l sermone se fa la mancia! (Mancini-Luzi, p. 133). Versioni locali sono state raccolte a: Tuscania (Cecilioni, p. 86, a), Ischia (Nanni, p. 147, n. 1), Canepina (Cimarra 1985, nn. 260-262), Bomarzo (ALP, p. 261, n. 329), Civitavecchia (Gandini, p. 99, n. 212). Per le altre regioni: Marche (Ginobili 1968, pp. 38-39); Lombardia (testo che ac-corpa anche il n. 330, vd. MSS, pp. 181-182, n. 9.50); Toscana (Cioni, pp. 167-168; Corsi 1891, pp. 253-254, n. 20); Umbria (Chini, pp. 60-61, n. XII). All'interno di una comunità contadina, basata su un'economia di autosufficienza, con scarsa circolazione di moneta, la petizione e il dono rispondono ritualmente ad una funzione propiziatoria be-naugurale, la cui portata reale e simbolica va compresa nel contesto delle tradizioni pro-prie dell'inizio del ciclo annuale: ai soldi (così come alla strenna, al consumo delle len-ticchie e degli acini d'uva passa, alle offerte che si fanno a chi esegue le pastorelle, le befanate ed altri canti di questua), è annesso il valore di abbondanza e ricchezza: coll'a-zione del donare, che è legata intrinsecamente all'avere, ci si prefigura e ci si auspica re-ciprocamente un'anno di benessere e di prosperità.

330-331. Cantilena natalizia, di impianto narrativo, avente ampia diffusione come il n. 329. Per Ischia di Castro vd. Nanni (p. 147, n. 2). Nella lezione romana dopo il v. 5 in-terviene l'aggiunta: Té do la cioccolata. / Boccuccia 'nzuccherata: / Te do la ciammel-letta, / Boccuccia bbenedetta: / Te do un ber maritozzo, / Boccuccia senza l' osso (Za-nazzo, Canti, p. 44, n. 112), che è del tutto identica a quella di Tuscania (Cecilioni, p. 88, e); in quella di Bomarzo (ALP, p. 269, n. 26) interviene la combinazione con un gi-rotondo. Per alcuni testi marchigiani, vd. Ginobili (1968, p. 36); per altri umbri, vd. Chini (p. 61, n. XIII) e Santucci (1983, n. 141). Per l'area toscana, vd. Fornari (pp. 69-71), che riporta anche la notazione musicale, e Cioni (p. 168, n. 668). È tuttavia ipotiz-zabile una diffusione a livello nazionale, stanti le versioni raccolte in Sicilia (Burgaretta 1982, n. 29) e nell'Italia settentrionale (Tassoni 1964, p. 21).

334-335. Entrambe le orazioni venivano recitate mentre ci si accostava all'altare per ri-cevere la comunione. Per una versione di Bomarzo, affine al n. 334, vd. ALP (p. 261, n. 13).

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336-337. Anche le due versioni di Nepi presentano alcune differenze: 1- Ggesù quan-d'èra pìccolo ggiocava / coll'altri fanciulli in compagnia: / ogni pèzzo de legno che ttrovava / oddio le bbèlle croci che ffaceva! / E la sua mamma glielo domandava: / perché fai queste croci, anima mia? / Lui gli rispondeva colla grazzia cara: / Qui ci-ha da riposà la vita mia; / ci-ha da riposà la vita e 'l cuòre, / rama d'olivo e ffiore de viole; / ci-ha da riposare la vita e ll'ànima / fiore d'olivo e rama di castagna. 2 - Ggesù quand'èra pìccolo ggiocava / coll'altri fanciulletti in compagnia: / ogni pèzzo de legno che ttrovava, / oddio che bbèlle croci che ffaceva! / La mamma lli dice con una grazzia cara: / che tte ne fai, o ddolce ànima mia? / Qui cci-hò da riposare la vita e ll'arma, / fiorin d'olivo e la prezziosa parma; / qui cci-hò da riposare la vita e 'l cuore / fiorin d'olivo e rrami di viòle.

338. Si tratta dell'orazione "Le dodici parole della verità", che risulta ampiamente diffu-sa, incorporata spesso in favole e racconti, nelle varie regioni d'Italia (per una versione sabina, vd. Ranaldi 1981, pp. 121-122, nel contesto della storia intitolata San Martino). Ma essa è nota in tutto l'arco del Mediterraneo, adottata ed adattata nelle debite versioni dalle grandi religioni monoteistiche (ebraismo, cristianesimo, islamismo). Una variante arabo-berbera è stata studiata e pubblicata da R. Corso (Varianti arabo-berbere delle Dodici parole della verità. Napoli, 1939): Uno è Dio, due la notte e il giorno, tra il bal-dacchino, il trono e la penna, quattro il Pentateuco, l'Evangelio, il Salterio, il Corano, cinque le preghiere, sei i giorni, sette i sette cieli, otto i portatori del baldacchino, nove le persone ricordate nella Sura, dieci gli amici del profeta undici i fratelli di Giuseppe, dodici i mesi dell'anno. Ma alla base della orazione sta un valore più antico, che si rife-risce all'interdizione dei numeri, una credenza primitiva che valutava come procedimen-to negativo, come operazione da evitarsi contare uomini, animali e cose. Con l'enumera-zione si mettevano le forze malefiche nella condizione di accertare e conoscere gli esseri a cui nuocere. Nella Bibbia si racconta che fu Satana a suggerire al re David di fare il censimento. Per togliere al numero o al conteggio ogni influsso maligno occorre affian-care una formula magica. Da questa remotissima credenza sembrano derivare anche le formule delle conte infantili. Il testo, come nel caso di Civita Castellana e di Rieti (vd. Gandini, pp. 97-98, n. 207), ricorre come orazione a sé stante, non senza funzione mnemonica. Infatti E. Cirese in nota alla versione di Forano (pp. 31-32, n. 78) aggiunge: "preghiere ripetute per fornire ai bimbi le prime nozioni di dottrina cristiana".

339. Preghiera che le zidèlle, rivolgono al santo catalano Pasquale Baylon, ritenuto pro-tettore delle nubili, per trovare marito. Una lezione tuscanese è in Cecilioni (p. 99). Per Roma, vd. Zanazzo (Canti, p. 41, n. 106) Orazione a SSan Pasquale Baylonne pe' trovà' mmarito; per un testo affine calabrese, vd. Gandini (p. 106, n. 234).

340. Sulla voce biblica cfr. la tiritera di Magliano Sabina: Alleluja Alleluja / u prete se sguja; per le Marche il proverbio edito da Ciavarini Doni (p. 10): Alleluja, alza la gam-ba e fuja; per la Toscana quello della raccolta Giusti-Capponi (p. 178): Alleluia, ogni mal fuia.

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341. Parodie dei versetti responsoriali: "- Vi adoro ogni momento, / o vivo pan del ciel, gran Sacramento./ - E sempre sia lodato / l'amabile Gesù sacramentato". Il primo distico, nel quale vengono menzionate tre contrade rurali del comune di Civita Castellana, era rivolto con allusione maliziosa alle ragazze, qualcuna delle quali, spazientendosi, repli-cava drasticamente: "e 'a fregna 'vulva' noi 'a damo a cchi cce pare!". Per un raffronto areale con il secondo distico, vd. Valentano (Mancini-Luzi, p. 135). Tra la gente del popolo esistono altre parafrasi scherzose di giaculatorie e invocazioni, come ad es.: Vi adoro ogni momendo / scusate, cassettì, se vvi tormendo (quando si pre-levano i soldi dal cassetto dove si conservano) oppure: Ggesù Ggesù / m'ì visto 'sta vòr-da e nu mme vedi ppiù! (riferendosi a commerciante troppo esoso o a persona molesta per il suo comportamento ineducato o petulante).

342. Una parodia simile è pubblicata in Chini (p. 236, n. IV): Santa Maria - li preti fa' la spia! / Orapronobbi - lo risu co' li gobbi!

343. Pressoché identico risulta il testo raccolto a Viterbo: Dòmino'n zubbisco. / Apre la bbocca che tte ce piscio! Sono note altre parodie di versetti latini: Mia culpa, mia culpa / quanno vò a Ccastèllo [Castel S. Elia, sede del santuario di Santa Maria ad rupes] pas-so pa ccurta [= scorciatoia]; il proverbio: Sandificètu-nòmen-dua / a strappato o sacco e ss'è mmagnata l'ua; il modo: chirieleisò, pòchi sò [scil. i danari].

344. L'iterazione pissi pissi ha valore onomatopeico, per rendere il bisbiglio della pre-ghiera recitata in tono sommesso. Nella parlata civitonica la forma ha anche valore inte-riettivo di richiamo (ps!ps!), come ad es. nella locuzione: Pissi de qqua! Pissi de llà! / Accidèndi alle bbellezze e mmamma che mme le fece!, che serve per ironizzare sulle af-fermazioni di quelle ragazze che si vantano di avere tanti ammiratori e di attirare l'atten-zione dei passanti per la loro avvenenza. Vd., per raffronto, la versione canepinese (Ci-marra 1985, n. 278).

345. Affine è il testo marchigiano pubblicato da Ginobili (1961, p. 88). Si tratta presu-mibilmente di versi che facevano parte di una favola, riutilizzati per sottolineare, secon-do un'ottica tutta umana (che non tiene conto della imprescrutabilità della mente di Dio), come anche la provvidenza discrimina nell'elargire le grazie e nel sovvenire le creature, non commensurando l'aiuto divino alle necessità di ognuno.

346-347. Lo Zanazzo (Canti, p. 98, n. 190; con relativa trascrizione musicale: n. XX, p. 413) ha pubblicato la versione romana intitolata È mmorto svizzero. Un'altra parodia ci-vitavecchiese (anch'essa con notazione musicale) è in De Paolis (p. 140, n. 1297): È mmorto Nìcchero (√: bischero ) / mapì mapò... La parodia ricalca la cadenza musicale delle marce funebri che vengono eseguite dalle bande musicali di paese.

348-349. L'inform. Ulderico Caroselli ha chiosato: 'a lùccica è 'na spèce de cecarella che jje lambava 'o culo. Le formule incantatorie o fascinanti, come queste rivolte alla lucciola (Lampiris noctiluca), sono di diffusione pannazionale: ogni regione ne può for-nire un notevole repertorio. Per limitare i raffronti al solo Viterbese, vd. per Bomarzo,

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ALP (p. 230, n. 34) e per Canepina, Cimarra 1985 (p. 74, n. 205). In molti testi della se-zione il modulo d'apertura è costituito dalla geminazione del significante (che designa l'animale, il fenomeno o l'oggetto) avente valore di vocativo (nn. 348, 349, 350, 353, 354, 355, 357, 358) oppure con uno stilema variato 'forma base + forma alterata' (per lo più diminutivo) con la stessa funzione complementare (nn. 351, 352, 363). A parte le implicazioni espressivo-stilistiche, mi sembra che con tale procedimento si intenda re-cuperare la 'forza ineluttabile attribuita alla parola enunciata', la sua potenza evocatrice e la sua pregnanza magica, come testimoniano le concezioni primeve della vita e del mon-do, che ci tramandano le fonti storiche ed etnologiche. La Seppilli (p. 27) aggiunge che “la parola è ineliminabile, fissa il destino, la sua attitudine ad agire fa intendere la fatali-tà della maledizione e dell'incantesimo”. Parafrasando l'Addabbo (pp. 109-110) si può affermare che l'iterazione è il dispositivo che amplifica la potenza dell'ordine, rendendo-lo in tal modo ineludibile. Con la duplicazione diminutivale poi si attua “un'operazione di adattamento della realtà al proprio fine: una realtà ostile che si vuole domare viene presentata come domabile e nella magia la presentazione verbale equivale a realizzazio-ne fattuale. Inoltre il diminutivo nelle apostrofi è indice di un particolare valore nella funzione conativa della lingua; è una forma di cortesia, un mezzo per accattivarsi una realtà che può essere pericolosa; l'apostrofe tende ad essere gentile come primo tramite di contatto” (Addabbo, p. 116),

350. Vd. analoga formula umbra in Chini (p. 278, n. 3).

351-352. Un inform. (Agostino Armini) ha commentato: Io ci-hò ffatto caso sa…quanno jje dichi così, 'o fargo pare che tte sènde, 'ngomingia a ggirà, e ggira ggi-ra…La cantilena si ripeteva quando si scorgeva un rapace (falco, nibbio, poiana che fos-se) roteare alto nel cielo: vd., per Bomarzo, ALP (p. 230, n. 35); per Canepina, Cimarra 1985 (p. 72, n. 196). Differente è il testo di Capranica (Sarnacchioli, p. 32): Fargo far-gaccio / famm'un giraccio / fammilo tonno / sinnò ti sponno!

353. Un'analoga cantilena incantatoria è in Zanazzo (Usi, p. 164, n. 120; Canti, p. 34, n. 77): Esci, esci, corna; / fija de 'na donna, / fija de Micchele / che tte do ppane e mmele; del tutto differente risulta quella di Nepi: Lumaca lumaca, caccia le còrna: / ècco Ma-dònna, / ècco Filippo, / che tte pòrta pane e cciccio (inform. Salvatore Gabrielli). Nella parlata di Latera il gasteropodo è designato, forse per credenza magica, con un compo-sto sostitutivo: 'na magnata de cavacòrna emo fatto l'altra sera!

354-355. La prima delle due formule ornitomantiche è già stata pubblicata in Petroselli (Vite II, p. 14) con altre due rispettivamente di Marta e di Castel S. Elia. A Tuscania le ragazze utilizzavano il canto del cuculo per trarre pronostici circa il loro matrimonio: Cucco-cucco che magni 'l panico: / quant'anni ci ò da fa' pe' trovà marito?; oppure: Cucco-cucco dalle penne d'oro: / quant'anni devo stà prima de fa' l'oro? (Cecilioni, p. 97). Lo Zagaria aveva pubblicato in precedenza un'altra versione altolaziale non localiz-zata (p. 52): Cucco, cucco, dal becco d'oro / quant'anni ho a stare per trovare il tesoro? / Cucco, cucco, dal becco fiorito / quanti anni ho a stare per trovar marito? / Cucco,

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cucco dal becco d'avorio / quanti anni ho da stare in purgatorio? Il cuculo è, come la rondine, uccello foriero della bella stagione. Si dice infatti: 'o cucculo si ppe mmarzo n'è vvenuto / o è mmòrto o ss'è perduto. Intorno a questo uccello si concentrano alcune cre-denze, come la convinzione che sia longevo: 1 - camba com''o cucculo, 'o cucculo num mòre mmai; 2 - guarda 'm bò' quello vècchio, ci-ha 'no spìrito com''o cucculo. Viene chiamata 'o sputo d''o cucculo la schiuma che gli afidi od altri piccoli insetti parassiti se-cernono, in primavera, su alcune erbe selvatiche commestibili: 'o sputo d''o cucculo fa llì dd''a lattucèia, lì dd'i mazzòcchi.

356. Per sfuggire alla cattura, la lucertola (Podarcis sicula, Podarcis campestris) e in genere i piccoli sauri nostrani, hanno come difesa l'autoctonia della coda, la quale conti-nua a muoversi ancora per qualche istante dopo il troncamento. Secondo la credenza popolare, i movimenti convulsi rappresentano le maledizioni lanciate contro chi ha pro-vocato la caduta (manna i corpi; a Latera con lo stesso processo di personificazione si commenta: bestemmia), per annullare la cui efficacia i bambini ripetono varie volte la breve formula apotropaica. Stesso procedimento oppositivo ricorre quando due bambini (talvolta anche due adulti) pronunciano contemporaneamente la stessa parola. In questo caso di solito si dice: passa 'n gornuto co' 'e mano 'n zaccòccia e si guarda fuori dalla finestra per verificare se passa l'inconsapevole cornuto di turno. Ma esisteva un tempo un'altra usanza: l'uno si affretta-va a dare un pizzicotto all'altro, dicendo: pìzzico a tte, sorpresa a mme! Abbiamo documentato la credenza relativa alla lucertola (con identica formula) in altre parti del Viterbese: Nepi, Fabrica di Roma, Bassano Romano, Canepina (dove lo scon-giuro tutti per te, nullo per me! è rinforzato facendo con entrambe le mani il gesto delle corna). A Magliano Sabina si replicava più volte: Un gorbu a tte e gnènde a mmé. Per Villa San Giovanni abbiamo la testimonianza di uno scrittore prematuramente scompar-so, le cui opere contengono frequenti e puntuali riferimenti alle tradizioni locali, costi-tuendo una fonte preziosa di notizie (Cignini, La medicina di zia Lola, p. 89): "Non mozzerete la coda ad una lucertola, perché la bestiola monca invia paralisi e colpi. Se capita di farlo, ci si può salvare dicendo: Foglia foglia, foglia foglia, / chi li tira li racco-glia!". Anche ad Arlena si reitera la formula oppositiva: diàvolo a tte / Signore a mmé!

357. A commento della versione romana Zanazzo (Usi, p. 23, n. 17, Pe' ffasse passa' er singozzo) annota: "bevete sette sorsi d'acqua senza mai aripija' ffiato; e a 'gni sorso dite all'imprescia all'imprescia [la filastrocca]". Di soli quattro versi è la formula maglianese: Singhjozzu singhjozzu / 'a còrda du pozzu / 'a rama de l'olìa / singhjozzu va' via. Per la Teverina, vd. Galli (p. 53, nn. 203-204-205-206); per Canepina, vd. Cimarra 1985 (p. 74, n. 206). A Tuscania (Cecilioni, p. 55) i sorsi d'acqua erano sette, ma la formula do-veva essere ripetuta per tre volte (entrambi numeri di forte valenza magica). Nel testo aquesiano la funzione magica si esplicita con la richiesta di trasferimento del singhiozzo ad altra persona (Amici, p. 10). Per l'Umbria, vd. Chini (p. 71, n. I, 1-2).

358. L'usanza con la formula era conosciuta anche a Tuscania (Cecilioni, p. 51), a Bo-marzo ( ALP, p. 280, nn. 6-7) e a Bagnoregio (Proietti, p. 101), dove cambiava la chiu-

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sa: Muro, muro vecchio / dammi un dente novo, / che io te lo dò uno vecchio; e metti-molo forte / per rosicar le fave toste. Per riscontri nelle aree contermini toscana ed um-bra vd. rispettivamente Corsi (ASTP, XIII, 1894, p. 483) e Placidi-Polidori (p. 51). L'u-so di nascondere il dente deciduo ('o dènde da latte) in una piccola cavità del muro o gettarlo sul tetto non è limitato alla sola Italia: Para que los segundos dientes le salgan derechos, à un niño, deben tirarse al tejado los que se llaman dientes de leche cuando éstos se le cae, à los sietes años, diciendo en hacerlo asì: Tejadito nuevo / toma este diente viejo / y traeme otro nuevo (E. De Olavarria y Huarte, ASTP, IV, 1885, p. 269, n. 38).

359. La formula esecratoria si ripeteva quando si vedeva un uomo, che, al margine di un campo di grano, orinava sulle spighe. È facilmente riconoscibile un distico in rima, ma ho rispettato i cola secondo l'effettiva scansione della fonte. Si noti la triplice ripetizione del verbo 'seccare', a conferma del valore magico del numero tre (la cui sacralità ritorna nel Cristianesimo: la trinità, i tre giorni della passione e resurrezione di Cristo, i tridui di preghiera in onore dei santi ecc.). In effetti i numeri tre e sette (con i relativi multipli), ma più in generale i dispari, sono considerati dotati di maggior potenza rispetto a quelli pari e ricorrono in proverbi, formule, incantesimi e riti: "il dispari era caro agli dei" (Virgilio, Eclogae 8.76). E Plinio il Vecchio conferma "Cur inpares numeros et omnia vehementiores credimus...(N.H., l. XXVIII).

360. La formula esecratoria, secondo gli informatori, si recitava quando si vedeva una persona defecare. Per la scansione vale quanto detto nella nota precedente, stante anche l'identico modulo strutturale. Il quarto verso presenta una variante arcaica: che tt'arrajji, forma verbale, nella quale, se non si tratta di eufemismo attenuativo del tipo arràschite o ammàppite, è possibile riconoscere una reliquia dell'esito j < BJ (cfr. il romanesco anti-co aio 'ho' < HABEO).

361. Formula di giuramento che si richiede ai compagni di gioco (Di': ggiuro!), quando si dubita che non rispettino le regole o che non dicano la verità. Lo stesso procedimento si utilizza anche a Valentano (Ghiringhiringola, p. 55): 1 - Giuro, giuro ferro / cchi ddi-ce le bbucie va all'inferno; 2 - Giuro, spergiuro / un topo su ppe 'l culo / mezzo fòra e mezzo drento / ecco fatto 'l giuramento; un altro testo affine è in uso tra i bambini ad I-schia di Castro (Nanni, p. 140, n. 3): Giuro, spergiuro / cento ghiavele / su pel culo. / Cento fora / e cento drento: / ecco fatto 'l mi' giuramento. A Cave (RM) il giuramento è più semplice: Lo giuro, lo giuro, / con la mano sul muro.

362. Nella prima intervista l'inform. Fausto Mancini, a proposito dell'utilizzazione del testo, aveva commentato genericamente che la 'formuletta' si recitava prima di pulire un oggetto o un attrezzo di ferro ricoperto di ruggine. Nell'ultimo controllo effettuato, quando ormai il volume era prossimo alle stampe, di fronte ai dubbi espressi dal ricerca-tore sull'esattezza di siffatta interpretazione, la fonte si è corretta, precisando che si trat-tava invece di un proverbio usato in due situazioni: 1 - come espressione di noia o di stanchezza, quando il locutore interrompe un lavoro che non gli riesce e che prevede va-

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da troppo per le lunghe; 2 - quando il locutore ribatte ad altra persona che il lavoro da effettuarsi non è di sua competenza e che non ci si deve aspettare da parte sua aiuto o collaborazione (= 'se pensi che spetti a me fare il lavoro o che io ti aiuti, ti sbagli davve-ro! Allora ti dico che rimane tutto come sta!')

363. La formula è incompleta. L'informatore non ricorda più in quale situazione o per quale funzione venisse utilizzata.

364. La scherzosa formula divinatoria viene recitata dai bambini per sapere se i compa-gni o le compagne di gioco ricambiano la loro simpatia: toccandosi ad uno ad uno prima i diti della mano sinistra, poi quelli della destra rispettivamente con l'indice dell'altra mano, scandiscono la formula. Il responso sarà dato dal dito su cui terminerà l'ultima sil-laba: sarà positivo solo se le giunture dell'arto stesso, tirato con forza, produrranno un leggero scricchiolio. La Gandini (p. 49, n. 101) ha pubblicato una versione di Pistoia, at-tribuendola alla sezione "Le mani-le dita": Hai tu penna e calamaio? / Hai qualcuno che ti ama? / Sai tu dir come si chiama? / Se quell'uno t'amerà / questo dito scrocchie-rà. Per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (p. 115).

365-366. L'informatore Giovanni Giacomini, ha chiosato: coll'èrba sanda se jjamava, oppure èrba dell'amore. A Bomarzo identici risultano la formula e il procedimento an-tomantico (ALP, p. 279, n. 2). Una diversa chiusa presenta la formula della Sabina: Fammela dolorosa e puzzolente / da facce venì il prete con la gente (Ranaldi 1983, p. 50). L'uso era noto anche nelle Marche: "In quel di Senigallia si crede ancora al prono-stico dell'erba dell'amore; un'erba grassa somigliante alla lupinella che, in primavera, cresce tra il grano. Si prende una foglia, si mastica indi si applica ad un braccio e bat-tendovi sopra con le dita perché vi aderisca e il succo penetri nella pelle si canticchia: Erba, erba dell'amore / se mi vuol bene, fammi un fiore / se mi vuol male, fammi un ro-sa / o una bòja (vescica) che mi cocia. Dopo qualche ora, si vedrà sul braccio forte ar-rossamento che sarà interpretato fiore oppure rosa" (Ginobili 1963, pp. 116-117). Nelle Marche (Spotti p. 52) l'erba d'amore designa la "leguminosa ornithopus scorpioides, piè di corvo, erba d'amore". L'identità è confermata dal DEI (II, p. 1509, s.v. erba), che con-sidera la voce erba d'amore propria dell'area toscana, marchigiana e abruzzese. A Civita Castellana un'informatrice ultrottantenne l'ha invece identificata con la rogna 'erba ca-lenzuola' (Euphorbia helioscopia).

369. Del tutto simili sono i testi di Pistoia (Gandini, pp. 126-127, n. 294), Città di Ca-stello (Placidi-Polidori, p. 51), Capranica (Sarnacchioli, p. 35), Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 95), Canepina (Cimarra 1985, n. 214). Simile nell'avvio la cantilena di Tarqui-nia, che ha uno sviluppo più articolato (Blasi, p. 208)

370. In molte regioni è diffusa una cantilena tetrastica, che i bambini cantilenano quando cominciano a cadere le prime rade gocce di pioggia: vd. la versione romana in Zanazzo (Canti, p. 27, n. 51): Piove, piovìccica / La vecchia s'appìccica: S'appìccica a 'na co-lònna, / Quant'è bbrutta quela donna! I testi di Bomarzo (ALP, p. 226, nn. 10-11), Ca-nepina (Cimarra 1985, n. 213) e Tarquinia (Blasi, p. 208) hanno identico incipit, ma di-

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verso sviluppo (viene citata la vecchia, termine nel quale è da riconoscere la figura della strega). Differente è anche quello di Nepi: Piòve piovìccica / lo lèpre se 'ppìccica, / se 'ppìccica là la Massa, / curi, nònno, che tte 'cchiappa (inform. Salvatore Gabrielli). Per un altro marchigiano, vd. Ginobili (1968, p. 108).

371-373. Cfr., oltre a quelli di Bomarzo (ALP, p. 228, n. 21) e di Canepina (Cimarra 1985, n. 212), i testi affini pubblicati da Chini per l'Umbria (p. 234, n. XXI) e da Gino-bili per le Marche (1961, p. 86). Pentecana e sovrana sono nomi sostitutivi per 'vulva', secondo un traslato eufemistico che ricorre anche nei modi di dire: Pòvera me come sò' rridotta: sènza quatrini e lla signora rotta!

374. Un altro informatore, Mario Frezza, ha fornito la variante: Tira tira tramundana / alle dònne jje se arza la sottana / ce ne 'nnamo llì dda Mendana / ce famo 'na bbazzi-chetta / ce sfregnamo tutta 'a paghetta.

377. Sui nomi di Annibale e di Asdrubale anche a Civitavecchia gli alunni delle scuole elementari si divertivano a cantilenare il nonsenso: Annibbale Asdrubbale ciaveva 'n au-tomòbbile (De Paolis, p. 42, n. 394).

379. Viene impiegato più spesso come proverbio per moderare l'impulsività e l'impa-zienza dell'interlocutore. A Roma si combina con un altro testo sulla calma (Cibotto-Del Drago, n. 221): Adacio Biacio: Roma mica se frabbicò tutt'in un botto. Un esame più puntuale dell'espressione è svolto a commento del n. 270.

381. Lo Zanazzo (Canti, p. 80, n. 160) pubblica, nel contesto di una canzocina dileggia-tiva, una quartina affine: Mariannina, famme lume, / Ciò 'na purcia in d'un'orecchia, / Me sé magna ér tenerume, / Mariannina, famme lume! Una versione marchigiana, con medesimo avvio, è in Ginobili (1971, p. 47): Carolina famme lume / che me pizzica un calcagnu / me fa tantu rosume / Carolina, famme lume. Per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (p. 41).

382. In una variante si adopera anche l'antroponimo Gioconda: La sòra Ggioconda / ar-za la gamba e ssòna la tromba.

383. Una formula di Tuscania con avvio identico è edita da Cecilioni (p. 76, d). La tiri-tera è polifunzionale: viene utilizzata sia per celiare le donne di nome Domenica, sia per esprimere il proprio disappunto per le cose ripetute alla nausea (cibi, vestiti, situazioni ecc.). La versione di Roma è in parte differente: Tiritùppete, Menica mia, / Tutti li ggiorni so' maccaró'. / E lo bbrodo lo bbutto via, / Tiritùppete, Menica mia! (Zanazzo, Canti, p. 37, n. 89) e ricorre come ultima strofe nella canzone Tiritiriritombolà (Zanaz-zo, Canti, pp. 89-90, n. 176).

390. Sostanzialmente identica la tiritera di Bomarzo (ALP, p. 229, n. 28).

391. Cfr. in Gandini (p. 274, n. 662) la filastrocca sarda di Calangianus Luisé son le tre, usata dai bambini per un gioco ad eliminazione.

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396. A Civita Castellana la tiritera è autonoma. A Roma costituisce invece la parte con-clusiva di una filastrocca (Zanazzo, Usi, p. 336, n. 54, nota 2). Diversa nella finale la versione maglianese: Ggiovanni, Ggiovanni, / co' li carzoni bbianghi / co' la pezzetta 'n culu / scurizza come 'm-mulu, con la quale concorda quella di Bomarzo (ALP, p. 230, n. 30).

399. Originariamente la tiritera doveva essere inserita in un favoletta oscena, che aveva come protagonisti un prete e una donna. Un'altra fonte (Laura Boccini) ha fornito la va-riante con il dialogo: - La sòra Laura bbèn gombòsta / lo sò io quando me còsta! / - E io che nnon ebbi né bborza e nné bborzière / il culo me servì da cannelière.

401-402. Il testo ricalca una canzonetta romana pubblicata da Zanazzo (Canti, p. 81, n. 162) col titolo 'La servetta'.

404. Una versione viterbese (inform. Attilio Carosi) si ripete a commento quando il bambino viene preso a sculacciate: Oppe oppe / Ggiggi colle chiappe: / mamma jje l'ha ffatte / e bbabbo jje ll'ha rrotte.

405. Vd., per un utile raffronto, la tiritera marchigiana: Luisci co li carzitti lisci / co lu stoppacciu llà lu culu / cargia comme un mulu (Ginobili 1956, p. 43).

406. Viene utilizzata una parte della conta n. 505.

407. È la parodia della formula, con la quale il sacerdote invita gli sposi, quando con-traggono il matrimonio, ad esprimere pubblicamente il loro assenso. Del tutto simile il testo di Graffignano pubblicato da Galli (p. 26, n. 65). Per un'attestazione toscana, più precisamente di Camaldoli, risalente al secolo scorso, vd. Siciliano (p. 430).

409. Cfr. versione di Carbognano: Margherita fa 'o pa' / tutt''e mosche vanno llà. / Ce n'è una più ardita / pìzzic(a) e mmózzica Margherita.

411. Assume talvolta la forma di chiapparello: - Maria.../ - Chi Mmaria? /- 'A sorèlla d''a miccia mia! Sull'antroponimo, che risulta tuttora molto diffuso sia nella forma sem-plice che in combinazione con altri (Maria Assunta, Maria Grazia, Anna Maria, Maria Giovanna), ho registrato altrove (Torre Alfina) quest'altro chiapparello: - Me chiame la Maria? / - Chi Mmaria? / - Quella che ppòrta la mmèrda 'm pizzicaria!

412. Tranne l'antroponimo risulta del tutto identica al n. 395. Nelle Marche una tiritera con lo stesso spunto serve a dileggiare i bambini di nome Antonio: Andò', quello che vede vo', / si vede 'na cacata / ne vo' 'na cucchiarata (Ginobili 1956, p. 43). A Caprani-ca (Sarnacchioli, p. 52) assume la forma di proverbio: Vovò: quillo che vede vò.

415. Per un analogo testo marchigiano, vd. Ginobili (1971, p. 48).

417. Nei centri rivieraschi del Lago di Bolsena e in quelli dell'immediato entroterra la ti-ritera non è riferita all'antroponimo, bensì all'omonimo paese di Marta (BlasPop n. 663). Il blasone popolare trova riscontro in altri testi della stessa raccolta, che sembrano allu-dere ad antiche e mai sopite rivalità con i comuni limitrofi e alla composizione di liti re-

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lative ai confini territoriali (BlasPop nn. 82, 845) ovvero a particolari usi nuziali in vigo-re nei secoli passati (consumazione del matrimonio e conseguente convivenza more uxo-rio senza la formalizzazione di rito e la relativa registrazione dell'atto?): Capodimonte, Valentano e Marta, / tutte le donne pijjono marito, / lo strumento lo fanno senza carta, / Capodimonte, Valentano e Marta (BlasPop n. 605); Capodimonte, Valentano e Marta fanno lo sposalizio senza carta (BlasPop n. 1952).

418. Cfr. la versione pubblicata da De Paolis (p. 10, n. 121: "Cantilena parodistica del dialetto romanesco e dei civitavecchiesi che si atteggiano a romani assumendone la par-lata: All'osteria de Massimo / magnassimo e bevessimo / e poi ce riposassimo / e quan-no ce svegliassimo / le botte che ci dassimo / perchè ci ritrovassino / all'osteria de Mas-simo). Un'altra di Allerona è riportata da Mattesini-Ugoccioni (p. 67, s.v. bbé). Simili combinazioni di rime ed assonanze proparossitone compaiono già nel poema eroico-comico “Meo Patacca” del Berneri (fine XVIII sec.): nella chiusa di un'ottava (c. III, ot. 23) ritorna addirittura lo stesso antroponimo 'di quel signor che fu tre volte Massimo'. Nella parlata civitonica le forme verbali del registro arcaico sono tuttora sporadicamente usate in locuzioni scherzose (Si arrivàssivo prima, magnàssivo co' nnoi, 2^ pers. plur. del congiuntivo impf. con concrezione dell'elemento pronominale -vo, attestata nel ro-manesco a partire dagli inizi del XVI sec.), in proverbi (Si ognuno ce 'mbicciàssimo per zene / sarèbbe um monno de felicitane) o come esempi per caratterizzare, in maniera approssimativa, la parlata di un tempo (1 - Pettinétela, pettinétela... che stanòtte Queri-no jje spascia 'o ciuffo. 2 - Nun gurrete che ssi ccaschete ve rruinete inzinènde che ccambete, con metaplasmo di coniugazione).

421. L'antroponimo è utilizzato, per esigenze di rima, anche in un paragone eufemistico per alludere copertamente al coito: faceva come Nnicòla, / dendro e ffòra.

422-423. È conosciuta anche una variante diversa nei primi due versi: Nicolò che nnico-lava / fra le bbraghe se cacava ecc. A Faleria la cantilena suona: Nicolino Nicolò / sulle bbrache si cacò / si nnun èra la sorèlla / se cacava le bbudèlla.

427. La tiritera, che è nota in molti centri del Viterbese, è comunemente limitata ai primi due versi. Il testo di Bomarzo differisce nei vv. 3-4 (ALP, p. 230, n. 29); anche un altro di Nepi, in registro italianizzante, varia nella finale: Sarvatore sarva tutti / sarva l'ànimo dei prosciutti. / I prosciutti vanno a ggalla / Sarvatore ggiòca a ppalla.

428. Il termine aroplano, che fornisce un preciso indizio cronologico, indica con intento satirico l'abbigliamento demodé, indossato dalla signora Sinforosa: un cappello a larghe falde e un falpalà con lembi svolazzanti. L'effetto comico della tiritera si basa su un'anti-tesi: nonostante il velocissimo mezzo di trasporto di cui disporrebbe, la donna, a causa forse degli anni e degli acciacchi, incede con un'andatura tarda e lenta.

431. Cfr. l'analoga formula maglianese: Rosciu marpelo / schizza veleno / male pagnòt-te, / più bbruttu da mòrte; e l'altra marchigiana, quasi identita, edita dal Ginobili (1961, p. 94). In realtà nella mentalità comune la persona dalla capigliatura fulva o rossiccia,

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come quella mancina, in quanto appartenenete ad una minoranza deviante (si pensi al timore del diverso, al valore negativo di bàrbaros nella cultura dell'antica Grecia) è con-siderata essere anomalo, quindi temibile, dotato di occulti poteri malefici, che occorre esorcizzare. A rinforzare la credenza interviene l'ambivalenza del colore (non bisogna dimenticare che il rosso simboleggia sì l'amore e il fuoco, ma anche il sangue e il diavo-lo).

432-433. Le due tiritere si ripetevano per dileggiare i bambini, che se la facevano ad-dosso, perché avevano un'attacco di diarrrea o perché non possedevano ancora il controllo dello sfintere anale.

434-435. Tiritere dileggiative di persone che hanno il naso prominente o di notevole di-mensione (dial.: bìfara, nasca, pèpara, peperó'; ital.: nappa).

437-440. Per prendersi burla dei bambini ipernutriti, paffuti e grassocci, che avevano difficoltà nei movimenti: camminavano in modo goffo ed impacciato, correvano in mo-do disarmonico ed affannoso ecc. In forma identica ricorre a Bagnaia (Pierini I. e F., p. 118). Si usa anche per effettuare il gioco della pallamuro, accompagnando il lancio. Su tòzzo era diffuso, soprattutto tra i ragazzi, il chiapparello osceno: - 'O sai chi hanno car-cerato? Tòzzo! / - Chid'è Ttòzzo? / - 'O fratèllo de 'sto cazzo! Così come è frequente ad una certa età il ricorso ad espressioni disfemiche, legate alla sessualità o alla parola bas-sa, attinente alle sfere fisiologica e alla scatologica, sentite sì come allusioni maliziose, ma pure come componenti del gioco verbale. Vd. a riguardo quest'altro chiapparello: - 'O sai chi è mmòrto? Peloroscio! / - Chi Ppeloroscio? / - Quello che cci-aveva 'o cazzo moscio; oppure la filastrocca sulla defecazione: Un omminetto bbasso bbasso / che cca-cava sopra 'n zasso; / e ppe' ffalla ppiù ppulita, / se puliva er culo co' ddièci dita (in-form. Agnese Rosella).

441. Fino a primi anni Cinquanta, quando le malattie del cuoio capelluto erano ancora diffuse tra i bambini, un sistema di prevenzione era appunto quello di raparli a zero, per garantire una migliore igiene della testa ed evitare eventuali forme di infezione (croste, scabbia, pediculosi). Un'identica cantilena dileggiativa è diffusa a Civitavecchia (De Pa-olis, p. 118, n. 1065), Bagnaia (Pierini I. e F., p. 118), Bomarzo (ALP, p. 229, n. 25). La versione romana, pubblicata da Zanazzo (Canti, p. 19, n. 25), è difforme nei primi quat-tro versi e nella finale. Un testo affine abruzzese è edito da Gandini (p. 204, n. 505), uno marchigiano da Ginobili (1956, p. 40; 1971, p. 46), un altro umbro da Placidi-Polidori (p. 40), un altro dell'Amiatino da Fatini (p. 141, s.v. zucca pelata). A Capranica sono diffusi due testi (Sarnacchioli, p. 37), di cui il secondo, avvio a parte, risulta differente. Altre versioni più articolate sono pubblicate in MSS (p. 35, n. 1.91; pp. 69-70, n. 4.34).

442. Si ripeteva con intento canzonatorio ai bambini, che consumavano il cibo (la me-renda era spesso costituita da una fetta di pane condita con olio e sale) senza badare a non sporcarsi e rimanevano con la faccia imbrattata di unto o di sugo.

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443. La fonte ha commentato che si cantilenava alle bimbe, quando non si volevano ve-stire. I versi finali ricompaiono nel n. 402.

444. Si ripete per celia alle bambine civettuole. Altre attestazioni nell'area: Roma (Chiappini (p. 409, s.v. ciovetta; Zanazzo, Canti, p.19, n. 26), Teverina (Galli, p. 35, n. 90), Tuscania (Cecilioni, p. 77, n. 2), Tarquinia (Blasi 1986, pp. 212-213). Diversa la finale nel testo di Canepina (Cimarra 1985, p. 70, n. 190) e di Torre Alfina: La ciovetta sul barzòlo / fa ll'amore col pizzicaròlo / 'l pizzicaròlo jje dette um bacio / e la ciovetta se lecca 'l naso.

445. In altre raccolte, ad es. quella di Bagnaia, il testo è annoverato tra i proverbi (Pieri-ni I e F., p. 113).

448. A Roma compare in una quartina a rima baciata (Zanazzo, Canti, p. 37, n. 90): Mo-je e mmarito, / Col culo cucito: / Cucito co' ll'ago, / Marito imbriàgo!

449. Nella versione di Bomarzo cambia il 3 v.: e ss'è ffatta male d'un òcchio (ALP, p. 229, n. 24). Identica quella di Canepina (Cimarra 1985, p. 92, n. 250); un'altra versione non localizzata (Bartolozzi-Migliori, vol. II, p. 498, n. 10) coincide per i primi quattro versi.

450. Il primo verso, reiterato in chiusura, è costituito da una serie di espressioni sostitu-tive di forme disfemiche o blasfeme. La tiritera, come quella che segue, costituisce un esempio di filastrocche cosiddette scatologiche, che di frequente si ritrovano nel lin-guaggio e nel folclore infantile.

453. Per Roma vd. Chiappini (p. 274, s.v. ride): Ride, ride ché mamma a fatto li gnoc-chi. A Capranica, nella stessa situazione, si dice: Ride ride, che mamma ha fatto i gnoc-chi! cu sapó! (Sarnacchioli, p. 47). Al contrario a Tarquinia a chi piangeva troppo si di-ceva per celia (Blasi, p. 200): Piagne, piagne moccolò / che la mamma te fa li gnocchi cor sapò / piagne, piagne moccolò.

454. Nel testo si imita il registro civile come se si sforzasse di scrivere in italiano una missiva ad un imprecisato compare. In realtà si gioca sulla parola "compare", che nei dialetti centro-meridionali, oltre a quello di 'padrino di battesimo', può assumere anche il significato generico di 'amico', per sfumare ironicamente l'ingiuria, come nella seguente quartina: Caro combare, te vòjjo 'nvità a ccena: / te vòjjo fà li gnòcchi, nun ci-hò 'a fa-rina; / te vòjjo 'pparecchià, nun ci-hò'a tovajja; / te vòjjo 'ffettà 'o pa', 'o curtèllo nun dajja.

455-456. Il primo verso con iterazione è funzionale alla rima, ma forse cela un riferi-mento allusivo: con-colina può richiamare mediante bisticcio 'con (il) culo'. Un analogo procedimento sembra essere alla base anche della tiritera successiva: Peruzza peruzza, dato che il sostantivo pera in civitonico, come nel romanesco (cfr. testo precedente e l'e-spressione eufemistica: Ma va ffà pera!), significa con anfibologia oscena 'peto, vento

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intestinale'. Quando una persona faceva un rutto o una flatulenza, si diceva: Alla faccia della Spagna / chi ll'ha fatta se la rimagna!

459. Analoga cantilena su Cristoforo Colombo è stata edita dal De Paolis (p. 116, n. 1056) per Civitavecchia: Cristoforo Colombo / cor naso de piombo / la testa de rame / che mmagna er zalame (√: gridava: Ciò ffame).

460. Si usa anche, combinato talora con il testo che segue, per eseguire semplici movi-menti ritmici con le gambe: si inizia a piedi uniti che, scandendo il primo emistichio, prima si divaricano, poi si riportano in posizione di partenza. A Valentano la tiritera ac-compagna lo stesso gioco: "I bambini saltellano allargando e unendo le gambe alternati-vamente" (Ghiringhiringola, p. 46, n. 2). Anche in Veneto è usata per eseguire un sem-plice ballo: A la larga, a la streta, / Pinochio in bicicleta, oilì, oilà - Pinochio l'è cascà (MSS, p. 319, n. 16.6). Per una corrispondente forma umbra, vd. Placidi-Polidori (p. 30)

464. Un testo di Roma, del tutto simile, è annoverato tra le conte da Gandini (p. 300, n. 774); per un altro di Capranica, vd. Sarnacchioli (p. 38).

465-466. Le due tiritere venivano usate in situazioni simili, per gabbare la credulità al-trui: la prima di recente adozione (anni 1960-1970), quando si traeva in inganno un coe-taneo, comunicandogli una notizia inventata, a cui egli ingenuamente mostrava di prestar fede; la seconda quando il coetaneo veniva sollecitato a voltarsi con un'espressione cari-ca di apparente meraviglia (guarda um bò' chi [√: che] cc'è!) e quando lo faceva, consta-tava che si trattava solo di uno scherzo.

467. Talvolta un bambino durante il gioco, perché riceveva un colpo involontario e mal-destro oppure perché simulava (non volendo sottostare alla penitenza prevista o assume-re un ruolo a lui sgradito), si accasciava al suolo come se fosse stato preso da un im-provviso malore. Qualcuno dei compagni più compassionevole lo soccorreva. Qualcun altro, più smaliziato, intuiva la finzione o la lievità del danno e allora intonava per celia la tiritera

468-469. Le tiritere si utilizzano per canzonare i ragazzi che subiscono una sconfitta nel gioco. L'iterazione ori-ori ! del primo può svolgere la stessa funzione anche da sola. Una formula identica al n.469 ricorre a Roma (Chiappini, p. 407, s.v. cerasa). Cfr. espressio-ni analoghe, come questa di Capranica (Sarnacchioli, p. 47): Va su 'n casa, che mammi-ta ti coce l'ovo su pu spito.

470. Della tiritera che serve per dileggiare i bambini che perdono tutto al gioco (cfr. le forme dialettali correnti, che hanno come base il verbo 'pulire': m'hanno mannato pulito; m'hanno pulito 'e saccòcce; m'hanno pulito come 'n dordo; sò' ppulito come 'n òsso de prunga), ho potuto registrare due avvii differenti: 1 - La ròsa e lla candata...; 2 - La lò-dola candava... Nel secondo caso si tratterebbe della interpretazione del verso degli uc-celli (cfr. il wellerismo: 'a ciuetta fa: tutto io! tutto io!), come conferma il testo dell'A-miatino (Fatini, p. 37, s.v. ciulì-ciulì-ciulai): Ciulì ciulì ciulai, avevo un poderino e

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quello me ciulai, ciulì ciulì ciulai, la lodola cantai. Per altri contesti o favolette, in cui il verso degli uccelli viene inteso come segnale (tradotto in corrispondente messaggio lin-guistico) per effettuare i lavori stagionali, e i relativi rimandi letterari, soprattutto all'o-pera del Pascoli, vd. Petroselli (Vite II, par. 184) e ALP (pp. 151-152). In aggiunta un esempio significativo si può desumere dalla prefazione dei “Primi Poemetti”: “E quel fringuello che canta da vicino il suo francesco mio e il suo barbazipio, non è stato sem-pre così vicino? [...] Quelle verlette (son venute da poco a portare il caldo), quelle cani-parole (vennero quando c'era da seminar la canapa; vennero a dirlo ai contadini), che sembrano ninnare i loro nidiaci con una fila di note sempre uguali; [...] gli sgriccioli che ... Parlano romagnolo? Dicono magnè, magnè, magnè!”.

471-472. I due testi, di cui il secondo presenta forma dialogica, venivano ripetuti dalle bambine, quando bisticciavano e si tenevano il broncio. Erano accompagnati l'uno con boccacce e smorfie, l'altro con il gesto delle corna.

473. Frammento di una filastrocca cumulativa con aggiunte successive nel contesto di una favola, come si può desumere da Madonna Piccinina (M. Menghini, Favole roma-nesche, in 'Il volgo di Roma'. Roma, E. Loescher, II, MDCCCXC, pp. 141-159; ora in "Da Rugantino a Ghetanaccio”. Feste, canzoni e tradizioni romane - Il volgo di Roma. Roma, Gli Antipodi, s.a.) oppure da Ragno e Sarciccia e Purcia e ppidocchio (Zanazzo, Novelle, III, pp. 33-34; IX, pp. 64-67).

474. Il testo, banalizzato in una canzonetta fox trot di Consiglio-Panzeri, è riportato dal Chiappini (p. 191, s.v. maramao). Lo Zanazzo (Canti, p. 426, nota 63) riconnette la pa-rola maramao ad un personaggio storico: "Si suppone ricordi un Maramaldo o Maromao che, al sacco di Roma datovi dal Borbone, faceva parte di quelle orde ispano tedesche". In realtà il presunto antroponimo deriva dalla fusione del grido di dolore 'Amara me!' (si pensi alle condizioni di emarginazione sociale e di solitudine in cui un tempo erano con-dannate le donne che perdevano il marito; non è un caso che nel Meridione, per designa-re la vedova, si usi il termine cattiva) e nel testo si può riconoscere la degradazione a li-vello infantile dell'antichissima forma di pianto rituale, noto in Abruzzo come Mara maje! La formula iniziale è documentata anche per Roma, vd. "maro lui, mara lei Pove-ro Lui! Povera Lei! Espressioni usate dagli Ebrei, e spesso anche dal volgo dei cristiani" (Chiappini, p. 193 s.v.). Commentando una lezione abruzzese del pianto funebre per la morte di carnevale, il Toschi annota (p. 319): "Tra le varianti più significative è quella che nel primo verso comincia così: Maramao perché sei morto? In molti paesi ove il si-gnificato della parola maramao non viene compreso, si dice anche marameo quasi come sberleffo di Carnevale, o genericamente a qualcuno: ma non v'è dubbio che maramao o marameo, è la parola iniziale dei canti funebri dell'Italia centrale e vuol dire amara me, povera me”. La canzoncina ha un'ampia diffusione: vd. MSS (p. 28, n. 1.50) per la To-scana; Placidi-Polidori (p. 42) per l'Umbria; Ginobili (1956, p. 45) per le Marche. Ritengo che il v. 3 non debba considerarsi un'aggiunta, magari scherzosa o parodistica, dovuta a rielaborazione del testo per il diverso uso carnevalesco, ma elemento origina-rio, se si considera l'importanza dell'orto e dei suoi prodotti in un'economia di sussisten-

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za. Una conferma indiretta viene da un lamento funebre di Amatrice, pubblicato da E. Cirese (p. 8, n. 27, vv. 7-8): Maritu miu, perchè te sì mortu / co tanta robba che hai messo jo all'ortu....

475. Cfr. versione civitavecchiese in De Paolis (p. 13, n. 168).

476. Vd. testo napoletano, usato come conta, ed un altro di San Leonardo (CH) in MSS (p. 123, n. 5.276; p. 417, n. 22.37).

477. Nella tiritera si può cogliere una allusione oscena (chi la recita fa di solito una si-gnificativa pausa alla fine del v. 2). A Magliano Sabina l'avvio è costituito dall'iterazio-ne di un antroponimo: Sora Lalla, sora Lalla / morì sènz'assaggialla / 'a pizza co' zzib-bibbo calla calla. Differiscono quelle di Bomarzo: Tiritalla tiritalla / pprète sòna la sèrva bballa / e la chiappa pi ccotozzo / pprète sopra la sèrva sotto (ALP, p. 227, n° 16) e di Torre Alfina: Tiritalla tiritalla / 'l prète sòna, la sèrva bballa. / Se jje ggira la car-riòla / 'l prète bballa, la sèrva sòna. / Se jje ggira la bbizzarria / 'l prète bballa, la sèrva va via. Per la versione di Canepina, vd. Cimarra 1985 (n. 249). Gli ultimi quattro versi ricorrono anche in una raccolta marchigiana (Ginobili 1961, p. 93). La Gandini ha pub-blicato una versione della Basilicata: Taràll e taralle / u prévete sone a sèrev abballe / e se non z'abballe bone / u prèvet abballe a sèreve sone (pp. 174-175, n. 411). Il Chini per l'Umbria pubblica due testi separati (p. 234, n. XX, Il prete e la serva; n. XXII, Va-gheggino sfortunato).

479. Per Civitavecchia, cfr. la cantilena Cicirinèlla ciaveva 'na vacca (De Paolis, p. 100, n. 932). La Gandini pubblica una versione senese più lunga, che incorpora anche la no-stra quartina (p. 158, n. 479); Ginobili un testo marchigiano affine (1968, p. 84). L'an-troponimo varia secondo le località: a Capranica Cincirimpillo, Cincirimpella (Sarnac-chioli, p. 36), a Vasanello Cinvirincella (Fuccellara-Filesi, p. 92), a Bolsena Dirindindella céa na mula (Casaccia, p. 69). Spunti affini contengono un testo umbro (Chini, pp. 261-262, n. IX) ed un altro marchigiano (Ginobili 1956, p. 40).

480. È evidente l'allusione scherzosa allo sviluppo puberale delle ragazze, che segna il passaggio dall'infanzia alla maturità sessuale. Il Rolandi nelle aggiunte al Vocabolario romanesco (p. 518, s.v. trallallero) annota: "Scherzoso accenno come ad una canzonci-na, cui spesso si fa seguire un secondo verso in assonanza: Er carciofolo ha mmesso er pelo". Lo Zanazzo (Proverbi, p. 165) riporta: Tiritùppete la lallero, / er carciofolo ha messo er pelo: / e l'ha messo d'avantaggio / fora aprile e drento maggio. Simili a que-st'ultimo le tiritere di Tarquinia (Blasi 1983, p. 122) e di Bomarzo, che si riferiscono al pieno sbocciare della primavera: Trallalallero trallalallero / lo scarciòfo l'ha messo ppelo / si la ròsa pija vantaggio / fòri aprile e ddentro maggio (ALP, p. 229, n. 23). Più articolata quella di Faleria: Ecco maggio ch'è ffiorito / sò' ttre ggiorni che ll' hò sappu-to; / l'hò ssaputo su cco' 'm pero / lo carciòfolo ha messo lo pelo / lo porchetto ha dato vantaggio: / fòri aprile e ddendro maggio.

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481. Il testo, che presenta la veste di indovinello, è stato recitato come filastrocca in rife-rimento a persone, che, quando piove a dirotto, se ne stanno ben riparate senza bagnarsi.

482. Il Ginobili (1956, p. 16) pubblica una filastrocca marchigiana più articolata che presenta alcune affinità negli ultimi 6 vv. Nel nostro caso sembra trattarsi di versi scor-porati da una favoletta, riutilizzati dai bambini per accompagnare smorfie e boccacce in segno di irrisione.

483. L'iperbolica minaccia serve per far intendere all'interlocutore che non si tollerano soprusi e che si è pronti a passare subito a vie di fatto e a mollargliene due. Le espres-sioni trovano corrispondenza in forme proprie del parlato: co' 'no schiaffo te manno a sbatte' a Rroma!

484. Il testo ha valore proverbiale e viene enunciato sia da adulti che da bambini quando a tavola si trovano ad occupare un posto all'estremità, non al centro. Qualche volta si completa con l'aggiunta scherzosa: ...magna 'o pa' de Sa-Llorènzo / coi sassi! Si vuole affermare con tono di rivalsa che chi si siede al centro, tra gli altri commensali, è co-stretto a voltarsi ora da un lato ora dall'altro, proprio come avrebbe fatto il santo martire quando fu sottoposto al tormento della graticola. In riferimento agli ardori della canico-la, quando il caldo diventa insopportabile, si usa con valore traslato il wellerismo: Sa-Llorènzo: rivòrdime che ssò' ccòtto.

485. Nelle Marche la stessa funzione è esplicata da una formula consimile: "Se un ra-gazzo faceva le bizze e non voleva ricevere più un oggetto o un giocattolo, anche se gli apparteneva, l'altro suo compagno gli dava un termine perentorio, ripetendo per tre volte i seguenti versetti: Panico panico / tre ote lo dico: / lu voli? Se alla fine della terza vol-ta, l'amico non prendeva ciò che gli dava l'altro (il detentore), non era più tenuto a resti-tuire" (Ginobili 1956, p. 41).

486. La formuletta, che risulta di recente adozione (anni 1960-1970), viene utilizzata dai bambini per riappacificarsi (fà ppace), dopo che hanno bisticciato e si sono tenuti il broncio. Essi scandiscono insieme le parole, agganciando i mignoli e girando le mani chiuse a destra e a sinistra.

487. Quando un bambino smarrisce un piccolo oggetto (una moneta, un anellino, una biglia), gli altri, che lo aiutano nella ricerca, recitano il primo distico per affermare il principio giuridico che il possesso spetta a colui che riesce a ritrovarlo. Nella replica, con incipit variato per esigenze di rima, il proprietario ribadisce, invece, il suo inaliena-bile diritto a riaverlo.

488. Un dialogo con avvio simile è stata registrato per le Marche da Ginobili (1956, p. 50): - Chi va a Roma / se perde la portrona. / - Io so' ghjitu a sanda Maria / te daco n schiaffu e tu te vai via. Borghetto, anticamente Borgo San Leonardo, è frazione di Civi-tacastellana e scalo ferroviario; nota stazione di posta nel medioevo, si trova sulla Via Flaminia, nei pressi del Tevere (vd. anche n. 39). Il toponimo ritorna anche in altri testi

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formalizzati come il seguente stornello a dispetto: La strada de Bborghetto è ttutta paj-ja, / te lo credevi de portamme im brijja, / io te ce pòrto a tté e lla tua canajja.

489-490. I due testi, dati dall'informatrice come autonomi, servono per elogiare i mac-cheroni come prelibata leccornia e per invogliare i bambini inappetenti a mangiarli. Più articolato risulta il n. 640.

493-494. Vd. versione romana (Chiappini, p. 123, s.v. favorite); quelle di Blera: favori-te, ma nom magnate, / er pane fresco no lo toccate, / quello da roppa' no lo roppete, / favorite quanto volete; e di Fabrica di Roma: Fijji mii, magnate e bbevete, / 'o pane rot-to nun lo toccate, / e qquello sano nun lo roppete, / fijji mii, magnate e bevete; altre af-fini sono state raccolte a Capranica (Sarnacchioli, p. 36), a Viterbo e ad Onano.

495. Vd. versione fiorentina in Gandini (p. 188, n. 454): Silenzio perfetto / si mangia un confetto / chi fa una parola / va fuori di scuola. Spunti scatologici contiene quella lom-barda (Svampa, p. 363): - Sciura maestra, me scapa un pètt. / - Fall, ma cun rispètt; / se te diset una parola / te casci fora de scola.

496. Nel testo, che ricorre con varianti minime anche a Capranica (Sarnacchioli, p. 36), traspare l'eco delle rivalità tra categorie rurali, organizzate secondo una rigida gerarchia (cfr. Metalli, pp. 53-61 e il proverbio: Vaccar gendile e ccavallar pomboso, craparo matto e ppecorar zozzoso). I contrasti all'interno di una comunità tradizionale, dove vi-geva scarsa mobilità interna, si traducevano non solo in atteggiamenti di reciproca ostili-tà, ma anche in forme di ingiuria verbale (come satire, motteggi, insulti). Il pastore viene giudicato un essere primitivo ed asociale, relegato in uno spazio selvaggio, lontano dal consorzio civile. Magnaricòtta è il soprannome collettivo che caratterizza la categoria, costruito secondo il modulo V(erbo) + S(ostantivo), che risulta molto produttivo sia nel-la LNaz. che nel dialetto (cfr. la formazione analoga nel proverbio: cacciatori pistamen-duccia). Oltre ad evidenziare il disprezzo verso la rozzezza e l'irriverenza del pastore, se ne sottolinea lo specifico status sociale, infimo ed emarginato, attraverso il riferimento alimentare: la ricotta è l'ultimo prodotto che si ottiene trattando il latte raccolto con la mungitura; è alimento minore, dotato di scarso potere nutritivo (cfr. il proverbio sui cibi propri del pastore: Acquacòtta, pècara mòrta e ffior de ricòtta). Il pastore non solo si comporta in maniera ineducata, ma è anche debole ed incapace di sostenere gli sforzi fi-sici e la fatica che richiede il duro lavoro dei campi.

499-500. Simile è il testo marchigiano pubblicato da Gandini (p. 297, n. 759). Un altro quasi identico al n. 500 è in MSS (p. 108, n. 5.200).

501. Una conta senese con l'incipit Una spilla ricamata è in MSS (p. 128, n° 5.296).

502. Vd. conta bergamasca pubblicata da Gandini (p. 292, n. 736) ed un'altra perugina da MSS (p. 105, n. 5.182), pressoché identiche.

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503. Vd. un'altra conta affine di Tuscania (Cecilioni, p. 85, n. 7). La forma bischeria, priva di significato riecheggia, ricalcandolo, biscòtto dell'avvio. I versi, con lievi modi-fiche, entrano in combinazione con un altro testo (vd. n. 531).

505. Una conta romana presenta incipit diverso Rita Pavone / nata in Giappone (Gandi-ni, pp. 336-337, n. 927; MSS, p. 113, n. 5.227). Identica risulta, invece, la filastrocca di-leggiativa di Firenze (MSS, p. 25, n. 1.33).

506. Una versione di Campegine (RE), con qualche lieve differenza, è pubblicata da MSS (p. 100, n. 5.157).

507. Nota in varie parti d'Italia (MSS, p. 124, n. 5.279).

508. Nelle aggiunte al Vocabolario romanesco, il Rolandi riporta la seconda parte della filastrocca (p. 420, s.v. Dottor de le ciavatte), che figura per intero in Zanazzo (Canti, pp. 34-35, n. 78). A Magliano Sabina manca la prima parte e cambia la chiusa: Sòr dot-tó' de le ciavatte, / qui mme dòle e qqui me bbatte, / qui mme sèndo 'na gran pena, / sòr dottó', che mmagno a ccena? Lievi differenze presenta la versione di Fabrica di Roma, che veniva utilizzata per il gioco della palla a muro: La Peppina fa 'r caffè / fa 'r caffè colla cioccolata / la Peppina s'è mmalata / s'è mmalata co' li ggeloni / va cchiamà 'l zi-gnor dottore, / signor dottore collé ciabbatte / qui mmi dòle e qqui mmi bbatte, / qui mmi sènto una gran pena, / signor dottore bbòna sera! Per Tuscania, vd. Cecilioni (p. 80, n. 12). Una versione bergamasca è in Gandini (p. 306, n. 796), altre due umbre ri-spettivamente in Chini (p. 231, n. IX) e in Placidi-Polidori (p. 56). Per le Marche, vd. Ginobili (1968, p. 86; 1971, p. 94).

509. Testi simili di Casale Monferrato e di Firenze sono in Gandini (p. 330, n. 899; p. 351, n. 985); altri due di Cesano Boscone (MI) e di Chiari (BS) in MSS (p. 100, n. 5.159; p. 105, n. 5.188). Per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (p. 56).

510. A Roma ne era in uso una simile: Conto conto quindici, / Si queste nun so' quindi-ci, / Ritorn'a ccontà' quindici; / Uno, dua e ttre (Zanazzo, Canti, p. 29, n. 56). Cfr. an-che la versione canepinese Pesa pesa quindici (Cimarra 1985, n. 219).

511. Pressoché identica a Valentano (Ghiringhiringola, pp. 53-54, n. 5), Tuscania (Ce-cilioni, p. 86, n. 10), Bomarzo (ALP, p. 233, n. 3), Canepina (Cimarra 1985, n. 227) ed in altre parti d'Italia: Marche, (Ginobili 1956, p. 54; Ginobili 1968, p. 77); Toscana (Ciuffoletti, p. 40); Umbria (Placidi-Polidori, p. 55); Bergamo (Gandini, p. 293, n. 741). Per altri riscontri su territorio nazionale, vd. MSS (p. 119, n. 5.255).

512-513. A Tuscania è usata per il gioco della pallamuro (Cecilioni, p. 82, c). Come conta è nota anche a Napoli (Gandini, p. 289, n. 726; p. 352, n. 989), in Umbria (Placi-di-Polidori, p. 54) ed in molte altre parti d'Italia (MSS, p. 117, n. 5.247 e n. 5.249).

516-518. Identica a Bomarzo (ALP, p. 234, n. 7). Una conta napoletana del tutto simile al n. 517 è in Gandini (p. 308, n. 804), un'altra livornese in MSS (p. 118, n. 5.250). Per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (pp. 56-57).

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519. In provincia la conta è documentata: a Valentano (Ghiringhiringola, p. 54, n. 6), Canepina (Mechelli, p. 139), Civita di Bagnoregio (Galli, p. 30, n. 71), Bomarzo (ALP, p. 234, n. 8). Ho potuto registrarne la diffusione, oltre che in quasi tutti i centri della provincia di Viterbo, nelle regioni dell'Italia centrale (ma anche in Calabria, Spezzano della Sila): Lazio, Umbria, Marche, Abruzzi. A Roma accompagna pure l'esecuzione di un girotondo denominato Avanti e indié (Roberti, p. 216). In altre raccolte di folclore in-fantile ne è attestata la presenza in Piemonte, in Toscana e in Sardegna. Il testo risulta in genere identico, microvarianti a parte (assimilazioni, sonorizzazioni, raddoppiamenti, percezioni e reinterpretazioni a senso delle singole parole o sequenze). La versione di Corchiano è ampliata da un'aggiunta finale: Ponte potènte ponte ppì / ttappe ttappe rug-gia. / Ponte potènte ponteppì / ttappe ttappe rì. / Passa il flò / la mano gnò. Differenze più consistenti intervengono in quelle di Monserrato (CA): Pone ponente, pone tape tape rugi / pone ponente pone tape ru; e in quella di Firenze: Monte petì petappete - monte petì Perugia. / monte petì petappete - ponte petì petù (MSS, p. 101, n. 5.162; p. 112, n. 5.219). La conta è di derivazione francese: si tratta di una comptine aux poings tendus, di cui ho rintracciato nel 1969 il prototipo in Folklore du Dauphiné del Van Gennep (vol. II, p. 636): Pomme reinette, pomme d'api / tapis, tapis rouge. / Pomme reinette, pomme d'api / tapis tapis gris. In territorio francese il numero delle versioni e delle varianti è assai elevato, anzi la comptine copre l'intera area francofona, ben oltre i confini della Francia. È nota, oltre a quella canadese, anche una versione adattata alla lingua spagnola in Venezuela: Pon tirineta / ponta ti / Tapiripati / muy agri. Secondo i ricercatori francesi: "il s'agit du refrain d'une chanson dont on connaît une version de 1821, sur un air qui est noté dans la Clé du Caveau, n. 456, sous le titre de 'La Pâris', contredanse, et qui a servi à Désaugiers pour sa célèbre chanson 'Le délire bachique'. Ce refrain provient lui-même d'un cri de marchand du XVIIIe siècle selon Rolland" (J. Baucomont - F. Guibat - T. Lucile - R. Pinon - P. Soupault, pp. 249-250).

520-522. La conta, che compare in numerose raccolte di folclore infantile, è impiantata sui numeri francesi. A Canepina (Cimarra 1985, n. 228) presenta uno sviluppo più arti-colato: Unzi dunzi trenzi / quali qualinzi / meli melinzi / rippe roppe e ddenza. / Unica dódica trédica / divèrza bbandiera / sandì sandò ssalamò / novè ddicè. A Valentano la tiritera veniva utilizzata per il gioco della palla (Ghiringhiringola, p. 39, n. 6); a Tusca-nia per un particolare gioco con le dita della mano (Cecilioni, p. 61, n. 10). Vd. le ver-sioni di Casale Monferrato e di Pistoia in Gandini (p. 335, n. 922; p. 349, n. 978), altre due di Sampierdarena (GE) e di Trento in MSS (p. 128, n. 5.297; p. 133, n. 5.317), quella di Città di Castello in Placidi-Polidori (p. 55).

523. A riscontro ho potuto rintracciare soltanto testi appartenenti all'area settentrionale: Bergamo (Gandini, pp. 315-316, n. 836) e Milano (Svampa, p. 364): Enchete pènchete puff tiné / Abeli, fabeli dominé: Ench, pench, puff, gnuff, strauss e rauss. Quest'ultimo riferisce il commento del Romussi, lo studioso che l'aveva pubblicata nel 1889: "Ma che voci ostrogote son queste? Ma che cosa significa questa accozzaglia di aspri suoni? Noi avevamo di ben meglio..." ed aggiunge che "l'influenza della lingua tedesca è evidente".

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Una versione del Canton Ticino fu pubblicata nel 1897 (V. Pellandini, Saggi sul folklore ticinese raccolti nelle campagne di Bellinzona e di Lugano, in ASTP, XVI, 1897, p. 525): Enghene pènghene / pupadinè / àbili fàbili / Domininè / Ess pess puss tràu. Altre due una di Bergamo e l'altra di Alessandria sono in MSS (p. 90, n. 5.99 e n. 5.101). Il testo di Civita Castellana, fornito da una sola fonte, rappresenta l'attestazione più meri-dionale di cui sono a conoscenza. L'area di diffusione è ampia e comprende anche la Francia: Enic benic top trèy / trip trop com' de mèy / Aguenau zinguenau / Tif fan' tous-se / Housse. Secondo i folcloristi francesi è ipotizzabile un centro di irradiazione nei pa-esi germanici, partendo da un testo del tipo: Enige benige toppelte / triffel traffel trum-mer mehr, / Ackerbrot sunder Not, sunder Pfanne, / Doss auf, stoss; anzi: "ce serait une ancienne formulette allemande des lansquenets au jeu de dés. L'enige benige est large-ment représenté dans les pays de langue allemande, et langue néerlandaise, au Dane-mark, et en pays rhéto-roumanche, même autessin; en France, attestations dans l'Ain et en Savoie" (J. Baucomont - F. Guibat - T. Lucile - R. Pinon - Ph. Soupault, p. 115).

524-526. Con diversa scansione a Bomarzo: Ambaracchettasse / bèn companè / delle racchettù mmettacche bbisse (ALP, p. 235, n. 10). La conta risulta di recente adozione, presumibilmente in epoca successiva agli anni Sessanta, con adattamenti a senso. La Gandini (p. 278, n. 677) pubblica una versione veneta: An dan tike tan / se me comparè / ale lake puine te / bis. In MSS (p. 76, n. 5.27) compare un'altra di Chiavari (GE): Anda che ta se, ne cumonè, / tale rache bume, tache bis!

527. Cfr. un testo pistoiese ed un altro perugino in Gandini (p. 174, n. 407; p. 303, n. 785). Un terzo di Tarquinia, usato per accompagnare il ballo, è in MSS (p. 320, n. 16.10).

528. Con varianti minime la conta di Tuscania (Cecilioni, pp. 84-85, n. 4) e quella di Bomarzo (ALP, 234, n. 5). La Gandini (p. 289, n. 724; pp. 290-291, n. 730) pubblica una conta lucana di Melfi ed un'altra veneziana con spunti simili. In MSS (pp. 356-357, nn. 16.153, 16.155, 16.156, 16.159, 16.160) sono presenti testi di varie regioni usati nel gioco Allo schiaffo del soldato.

529. In forma sostanzialmente identica ricorre a Bagnaia (Pierini I. e F, p. 118), Valen-tano (Ghiringhiringola, p. 53, n. 4), Canepina (Cimarra 1985, n. 216; Mechelli, p. 134), Bomarzo (ALP, p. 234, n. 5). Con alcune differenze a Civita di Bagnoregio (Galli, p. 30, n. 69) e a Vasanello (Fuccellara-Filesi, p. 94). Per un riscontro marchigiano, vd. Ginobi-li (1968, p. 77); per uno civitavecchiese, vd. Gandini (p. 280, n. 684); per un altro um-bro, vd. Placidi-Polidori (p. 56).

530-531. Numerose le versioni e gli adattamenti nell'area: Roma (Zanazzo, Canti, p. 30, n. 61), Civitavecchia (De Paolis, p. 12, n. 159), Valentano (Ghiringhiringola, p. 53, n. 3), Teverina (Galli, p. 30, nn. 66-67-68), Tuscania (Cecilioni, p. 85, n. 5), Bomarzo (ALP, p. 233, n. 1). Per la limitrofa area umbra, vd. Placidi-Polidori (pp. 54-55). Un te-sto pisano è in Gandini (p. 332, n. 908). Una versione marchigiana compare in Ginobili

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1968 (p. 77); due lombarde ed un'altra veneta in MSS (p. 72, n. 5.5; p. 73, n. 5.6; p. 78, n. 5.39).

532. Pressoché identica la conta marchigiana pubblicata da Ginobili 1956 (p. 54).

535. Esempio di conta-dialogo. Riscontri nell'area: Valentano (Ghiringhiringola, pp. 54-55, n. 8), Canepina (Cimarra 1985, n. 216; Mechelli, p. 133), Bomarzo (ALP, p. 235, n. 9), Tuscania (Cecilioni, p. 86, n. 11). Fuori del Lazio, vd. la conta marchigiana edita da Ginobili (1968, p. 77); un'altra piemontese molto simile è in Gandini (p. 298, n. 764); una terza di Cenaia (PI) con incipit identico al n. 534 è in MSS (pp. 85-86, n. 5.80).

537. Testi pressoché identici sono stati raccolti a Bergamo (Gandini, p. 263, n. 637) e a Città di Castello (Placidi-Polidori, p. 149); per la nostra zona (Canepina), vd. Cimarra 1985 (n. 233).

538. Come gioco a pallamuro è in uso a Canepina (Mechelli, pp. 137-138); in Toscana ed in Umbria un testo analogo con elenco finale dei giorni della settimana è impiegato per il salto alla corda (Gandini, p. 258, n. 624; Placidi-Polidori, pp. 100-101). Si trattava originariamente di uno scongiuro recitato prima di dissetarsi, bevendo l'acqua di un ru-scello o di un torrente.

540. Un testo di Riolo Terme (RA) più lungo, ascritto alla sezione "Simili incatenati e intercalari", è in MSS (p. 402, n. 21.6).

542. Versioni viterbesi con qualche differenza a: Valentano (Ghiringhiringola, p. 39, n. 5), San Michele in Teverina (Galli, p. 25, n. 56), Tuscania (Cecilioni, p. 82, c), Bomarzo (ALP, pp. 245-246, n. 31), Canepina (Cimarra 1985, nn. 230-231). Spunti simili presen-ta un'altra raccolta nel Casertano (Gandini, p. 262, n. 633). La Sorsa (p. 323) ne pubbli-ca una umbra con diverso avvio: Luigina / dove sei stata / dalla nonna ecc.

544. Il gioco a pallamuro, come gli altri che seguono nell'ordine, è accompagnato dall'e-secuzione di figure: vv. 1-5 - lanciare la palla e riprenderla con le mani senza farla cade-re a terra; v. 6 - poggiare le mani sui fianchi; v. 7 - poggiare le mani poco sopra i fian-chi; v. 8 - chinarsi e toccare la terra con una mano; v. 9 - idem; vv. 10-11 - lanciare un bacio con la mano; v. 12 - alzare in alto le braccia e formare il disco solare; v. 13 - for-mare, avvicinando le mani, il disco lunare, più piccolo; v. 14 - formare, unendo il pollice e l'indice di ciascuna mano, due cerchietti, cioè le stelle; vv. 15-16 - far scorrere per tre volte sul labbro inferiore le punte della dita

545. Il gioco a pallamuro è accompagnato da figure: vv. 1-2 - semplice battuta al muro e ripresa della palla con le mani; v. 3 - poggiare le mani ai fianchi; v. 4 - poggiare le mani poco sopra i fianchi; v. 5 - chinarsi e toccare terra con una mano; vv. 6-7 - idem; v. 8 - fare un mulinello con le mani. Una versione valentanese con diverso finale è in Ghirin-ghiringola (p. 38, n. 4), altre due della Teverina in Galli (p. 25, nn. 51-52), Tuscania (Cecilioni, p. 82). Diverse nell'avvio e nello svolgimento quella canepinese (Cimarra 1985, n. 229) ed un'altra dell'Alto Lazio non localizzata (Bartolozzi-Migliori, II, p. 502,

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n. 31). Un testo livornese è stato pubblicato da Gandini (p. 261, n. 630), un altro di Città di Castello da Placidi-Polidori (p. 147).

546. L'esecuzione del gioco a pallamuro è accompagnato da figure che la bambina deve eseguire prima di riprendere la palla al volo, senza farla cadere a terra: v. 1 - semplice lancio; v. 2 - rimanere ferma; v. 3 - mantenersi in equilibrio su un solo piede; v. 4 - pren-dere la palla con una sola mano; v. 5 - battere la mani davanti a sé; v. 6 - battere la mani davanti e dietro a sé; v. 7 - fare il mulinello con le mani; v. 8 - tirare un bacio con la ma-no; v. 9 - chinarsi a toccare la terra con la mano; v. 10 - idem; v. 11 - girare su se stessa; v. 12 - idem; v. 13 - portare le mani all'altezza del volto, fingendo di aggiustarsi il velo; v. 14 - toccarsi l'occhio con la mano, v. 15 - battere le mani. Riscontri altolaziali: Valentano (Ghiringhiringola, p. 38, n. 3), Graffignano (Galli, p. 25, n° 55), Bomarzo (ALP, p. 245, nn. 29-30). Con qualche differenza il testo da me rac-colto a Soriano nel Cimino: La mia pallina è ppazza / lasciàtela impazzire / la vòglio compatire: / oh mi cingo / mi costringo / tòcco tèrra / la ritòcco / faccio il ballo dell'or-co / della lorchessa / madre badessa / òcchio di sale / viva viva carnevale / la mia pal-letta dentro i-zzinale (inform.: sorelle Ranucci). Per una versione livornese, vd. Gandini (pp. 261-262, n. 631); per altre del Veneto e della Liguria, vd. MSS (p. 339, nn. 16.80, 16.81, 16.82).

547. I movimenti sono gli stessi del gioco precedente fino al v. 9, ma cambiano in quelli successivi: v. 10 - toccare il petto con entrambe le mani; v. 11 incrociare gli avambracci sul petto con le mani aperte.

548. Il gioco della pallamuro è accompagnato da figure che la bambina deve eseguire, prima di riprendere la palla al volo, senza lasciarla cadere: v. 1 - mulinello con le mani; v. 2 - lanciare la palla, facendola passare sotto le gambe; v. 3 - effettuare un saltello; v. 4 - far rimbalzare semplicemente la palla al muro; v. 5 - mettersi sull'attenti; v. 6 - allarga-re le braccia e accennare ad un inchino; v. 7 - accennare ad un saluto; v. 8 - effettuare una giravolta su se stessa; v. 9 - idem; v. 10 - toccarsi la testa con la mano; v. 11 - allar-gare le braccia e scuotere la testa; v. 12 - raccogliere la palla nel lembo anteriore della veste oppure dopo averla fatta rimbalzare a terra. Altre versioni altolaziali: Valentano (Ghirighiringola, p. 37, n. 2); Teverina, con diversa finale (Galli, p. 25, nn. 53-54); Tuscania (Cecilioni, p. 83); Bomarzo (ALP, pp. 244-245, n. 28); Vasanello (Fuccellara-Filesi, pp. 93-94). Per la Sabina (Orvinio), vd. AMPL p. 51, n. 51; per l'Umbria Placidi-Polidori (pp. 147-149). MSS pubblicano un testo di Bovisio Masciago (MI) Il rinoceronte che passa sul ponte, modificato nel verso finale e usato per la conta (p. 95, n. 5.125) ed un altro per la pallamuro della provincia di Vicen-za (p. 339, n. 16.78).

549. Modalità di esecuzione: 1. riprendere la palla con due mani dopo averla lanciata al muro; 2. idem; 3. idem; 4. battere le mani davanti a sé; 5. battere la mani davanti e die-tro di sé; 6. r. la p. con la sola mano destra; 7. r. la p. con la sola mano sinistra; 8. r. la p. restando in equilibrio sul solo piede destro; 9. r. la p. restando in equilibrio sul solo pie-

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de sinistro; 10. effettuare un mulinello con le mani; 11 formare con le mani accostate e le dita intrecciate un cestello nel quale far cadere la palla; 12. allargare le braccia e r. la p. con due mani. Ho registrato la prima volta questo testo, di chiara origine francese, nel 1969 a Faleria: Sorè / Santucè / Sorì / Tappó / Tuppletamó / Una-le-mè / 'N'antra-le-mè / 'L piè / L'un-tre-piè / Mulè / Paniè / Le-miè. In una successiva indagine ho raccolto altre versioni a Sant'Oreste, Civita Castellana e in altri centri della provincia, che ho reso note in un sag-gio (Come la mela divenne ponte). Per quanto riguarda l'Alto Viterbese: in Ghiringhin-gola (p. 37, n. 1) compare una versione, che, primo verso a parte, è completamente ita-lianizzata: Oè Mustafè / con un piède / con una mano / batter di mano / davanti e ddiètro / la ruòta / il mulino / la sedia / 'l tavolino. In quella di Latera è intervenuta una contaminazione con altra canzoncina: Oliè /senza bbucè / sènza rìdere / con un piè / con una mano / ciòcco le mani / lo zzìchete zzàchete / un violino / un bacino / tòcco tèrra / tòcco còre / amore, amore, amore (inform. Luigi Fioriti). Notevole affinità presentano i testi di Bassano in T. e di san Michele in T. (Galli, p. 25, nn. 49-50) e a Tivoli (AMPL, p. 55, n. 167, Sorrì sorrè tambuscè). Più articolata la serie di battute nella versione ro-mana, riportata dal Roberti (pp. 196-197). Fuori regione l'unica attestazione a me nota è quella marchigiana, pubblicata da Eustachi-Nardi (pp. 41-42, n. 179), che ne conferma la diffusione anche nell'Alta Umbria, più precisamente nella zona di Città di Castello: Oè / Samugè / Mm / Dempiè / Dinemè / Tampètte / Devanderié / Petì / Gra-gra.

550-551. Modalità di esecuzione: nel recitare la tiritera, la prima giocatrice palleggia a terra con una sola mano, evitando di fare errori. Il numero citato nell'ultimo verso indica la serie di palleggi aggiuntivi che deve eseguire. Se non commette falli, continua alla stessa maniera, aumentando ogni volta la quota di una decina. Se invece sbaglia, lascia la palla ad un'altra bambina, che subentra, per proseguire il gioco.

552. Gioco a pallamuro che si esegue con il semplice lancio e con la ripresa a due mani. Al settino ed ultimo verso, prima di concludere, la bambina deve ribattere la palla per tre volte consecutive con una sola mano.

553. I testi che seguono sono utilizzati per il gioco della corda. Due bambine, tenendo ognuna un capo, cominciano a far girare la corda, dopo aver impresso il ritmo giusto, scandiscono ad alta voce: E-vì e-vì e-và! Sull'ultima sillaba entra la prima bambina e comincia a saltare, badando a non rimanere impigliata nella corda: ogni salto è scandito dal nome di un frutto. Può continuare da sola fino a che commette un fallo oppure via via si possono aggiungere altre bambine per effettuare salti a coppia o in gruppo. A Ro-ma le modalità di esecuzione sono differenti e la serie dei nomi può variare: 1 - Bianco, rosso, turchino; 2 - Mela, pera, guainelle (Roberti, pp. 220-221).

554. A Roma la tiritera viene impiegata per lo svolgimento di un altro gioco (Roberti, pp. 246-247).

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555. Nell'effettuare il salto della corda, la bambina si diverte a prevedere il futuro di una delle sue amiche. Il 'responso' è dato ogni volta dalla parola, pronunciando la quale ella commente l'errore.

556. Un testo identico è noto a Valentano (Ghiringhiringola, p. 47, n. 5).

557-559. La forma linguistica rivela che queste filastrocche, come anche le altre che se-guono immediatamente, sono state apprese e tramandate presumibilmente in ambiente scolastico: non bisogna dimenticare che a Civita Castellana un asilo comunale entrò in funzione almeno dal 1913. Semplice l'esecuzione: le bambine, mentre si muovono in gi-rotondo, eseguono una rotazione su se stesse quando pronunciano la parola "gira", per mimare il movimento della carta. Per il Viterbese si può citare la versione di Montefiascone (Aspetti..., pp. 54-55) che si differenzia nella parte conclusiva: ...e Lucia / che fa uno zompetto / si gira la carta / si vede il galletto / e il galletto che canta forte / si gira la carta / si vede la morte / e la morte spaventa la gente / si gira la carta / non si vede più niente. Nella versione pistoiese la filastrocca iterativa inizia: La vecchina che semina il grano (Gandini, pp. 158-159, n. 363). Altre con incipit lievemente diverso sono in MSS: La donnetta che semina il grano / alza la carta ecc. (Napoli, pp. 432-433, n. 23.5); La donnina che semina il grano / volta la carta ecc. (Lombardia, p. 433, n. 23.6); Le vil-leggiane che mietono il grano / volta la pagina ecc. (Roma, p. 433, n. 23.7); Villanella che semina il grano / volta la carta ecc. (Veneto, p. 435, n. 23.11). Diverso è anche l'avvio della versione umbra di Città di Castello: La morettina che sémina 'l greno (Pla-cidi -Polidori, pp. 63-64).

560. Cfr. le canzoncine umbre in MSS (p. 329, n. 16.38, Questa mattina nel mio giardi-netto / c'era un povero uccelletto, / era piccolo e carino / e si chiamava cardellino ecc.) e in Placidi-Polidori (p. 64).

561. Per un riscontro nell'area, cfr. testo di Tarquinia: Quann'è tempo de le ciliege / la villanella, la villanella ecc. (Blasi, p. 206); per un altro umbro, vd. Placidi-Polidori (A la villanèla, p. 68).

562. Pressoché identico il testo di Valentano (Ghiringhiringola, p. 43, n. 5). Quello del-la Sabina, di due sole strofe, inizia: Rosina entra in ballo (Ranaldi 1983, p. 85). Per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (p. 76).

563. A Roma la canzoncina Palazzo vergine si intonava per eseguire un girotondo se-condo le modalità descritte dallo Zanazzo (Usi, p. 348, n. 73) e dal Roberti (p. 227). Per la Sabina, vd. Ranaldi 1983 (p. 83); per Bomarzo, ALP (p. 242, n. 21); per Tarquinia, Blasi (p. 201).

564. A Roma Maria Giulia accompagnava un girotondo secondo le modalità descritte dallo Zanazzo (Usi, pp. 349-350, n. 75; Canti, p. 25, n. 47; Roberti, pp. 224-225). Altre versioni laziali: Sabina (Ranaldi 1983, p. 83), Bomarzo (ALP, pp. 242-243, n. 22), Tar-quinia (Blasi, p. 201). La canzoncina ha un'ampia diffusione: per un testo bergamasco

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con lo stesso incipit ed altri due, rispettivamente calabrese e mantovano, contenenti spunti analoghi, vd. Gandini (pp. 249-250, nn. 601-602; pp. 251- 252, n. 608). Annove-rata tra le ninnenanne in MSS (p. 270, n. 13.62), con l'indicazione delle varie raccolte regionali in cui compare. Per versioni di altre regioni, vd. MSS (pp. 335-336, nn. 16.65, 16.66, 16.67); per le Marche in particolare, vd. Ginobili 1956 (pp. 77-78). Sull'origina-ria funzione di canzonetta a ballo discesa a gioco infantile (vd. Santoli, p. 45, nota 3).

566. L'informatrice, che aveva memorizzato il testo quand'era bambina, non ricordava più con esattezza le modalità di esecuzione. Una cantilena affine, anch'essa italianizzan-te, è riportata per il gioco 'il pescatore' di Golfo Aranci (Maroni Lumbroso, p. 116).

567. Attestata a Valentano in Ghiringhiringola (pp. 42-43, n. 4). Una filastrocca con di-verso sviluppo è pubblicata per Prato da Gandini (pp. 265-266, n. 639). Per versioni di altre regioni italiane, vd. MSS (p. 354, n. 16.146).

568.La canzoncina accompagnava un gioco, le cui modalità esecutive sono state descrit-te dallo Zanazzo (Usi, p. 348, n. 74) e da Roberti (pp. 226-227); per Valentano, vd. Ghi-ringhiringola (pp. 43-44, n. 6); per Tarquinia, vd. Blasi (p. 202); per la Sabina, vd. Ra-naldi 1983, p. 88. Versioni di altre regioni sono contenute in MSS (p. 354, n. 16.145).

569. Il Chiappini (p. 183 s.v. madama) riporta il testo con la descrizione del gioco: "Giuoco di bambine. Si riuniscono insieme diverse bambine; si sceglie a sorte quella che dev'essere la direttrice del giuoco, e tutte le altre si dispongono in circolo. La direttrice comincia a girare intorno a questo circolo a passi misurati canterellando questa canzon-cina: - o madama pollarola....A ciascuna delle ultime parole la direttrice tocca una spal-la d'una bambina e quella che è toccata per ultima, essendo dichiarata la più bella, esce dal circolo, s'attacca alle vesti della direttrice e la segue. Ricomincia il giro, finché ri-mangono due o tre bambine che, essendo dichiarate le più brutte, hanno le beffe delle vincitrici". Una minuziosa descrizione delle modalità esecutive è contenuta anche in Roberti (pp. 218-219). Una versione marchigiana di Urbino è in Gandini (p. 266, n. 641), un'altra toscana in MSS (p. 146, n. 7.14), una terza umbra in Chini (p. 267, n. II). A livello locale, vd. La mi' nonna è 'na pollaiola / quanti polli ha al suo pollaio! di Tarquinia (Blasi, pp. 203-204). Per l'attestazione di questa canzone a ballo nella seconda metà del XVI sec. in Toscana e per il suo passaggio a gioco infantile, vd. Santoli (p. 41 nota 2).

570. La versione sabina (Ranaldi 1983, p. 91) comincia Guarda guarda la vecchietta. Identici il testo e il gioco riferiti per Tuscania da Cecilioni (pp. 58-59, n. 5), per Canepi-na da Cimarra 1985 (n. 240). Per quelli umbri, vd. Gandini (pp. 246-247, n. 593) e Pla-cidi- Polidori (pp. 67-68). Un altro più articolato di Prato è riferito da La Sorsa (p. 357).

571. Non mi è stato possibile registrare la melodia della canzone dall'informatrice, una donna molto anziana, malaticcia e con la voce arrochita. La parte di avvio si può colle-gare con un testo arpinate (A. Saviotti, Canti e ninnanne arpinati, in ASTP, X, 1891, p. 534, n. XXXI): Cala cala sole / e ddo' voì a ccalà? Secondo il Toschi canzoni e giochi

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di questo genere sono testimonianze di antichi riti nuziali (p. 434): "Forme embrionali di mogliazzo, che possono anche rispecchiare schemi assai antichi, si ritrovano qua e là nel folklore contemporaneo. Nella zona degli Aurunci, fra il Lazio meridionale e la Campa-nia - ma l'uso è testimoniato anche per l'Abruzzo - durante i lavori della mietitura vige ancora un giuoco da adulti chiamato 'cala sole' dall'invocazione con cui si inizia il canto, ma anche lo 'sposalizio' perché rievoca tutta la cerimonia delle nozze, dalla scelta dello sposo al dono nuziale, al banchetto e al ballo che immancabilmente lo chiude. È una ve-ra e propria rappresentazione con alcuni personaggi (due pronube, la sposa e il coro) e la relativa distribuzione delle parti". Su questa linea interpretativa si potrebbe collocare anche il n. 595.

572-574. Modalità di esecuzione del gioco, che rappresenta una variante più complessa di Sardamondoni: uno dei giocatori fa da cavallina. Il primo comincia a saltare e chiama per nome chi deve seguire. L'ultimo che chiude la serie, dice ad alta voce: Viva l'òste co' ttutt'i bbicchièri! Si prosegue nello stesso ordine e ciascuno, mentre effettua il salto, de-ve pronunciare una frase ed eseguire alcune figure o 'mòsse': v. 1 - semplice salto; v. 2 - idem; v. 3 - idem; v. 4 - eseguire il gesto di raccogliere qualcosa da terra; v. 5 - rimanere un istante a cavalcioni; v. 6 - dare piccoli colpi sulla schiena; v. 7 - dare colpi più forti sulla schiena; v. 8 - fermarsi a cavalcioni sulla schiena; v. 9 - dopo aver saltato, toccare terra a gambe incrociate; v. 10 - dare pedate nel deretano; v. 11 - d. pedate più forti; v. 12 - d. piccoli colpi tambureggianti sulla schiena; v. 13 - d. altri piccoli colpi tambureg-gianti. Il giocatore che fa da cavallina, al termine traccia un cerchio in terra, conta fino a dieci, poi esce dal cerchio e insegue i compagni. Chi è preso sta a sua volta sotto. Va-rianti dello stesso gioco sono presenti in vari centri dell'Alto Lazio: una è pubblicata in Ghiringhiringola (pp. 23-24, n. 7), senza accennare ai movimenti che l'accompagnano; un'altra di Canepina con la denominazione di Giggifiasco è in Mechelli (descrizione del gioco, pp. 28-30, n. 27; testo pp. 105-106; vd. anche Cimarra 1985, n. 243). A Tuscania per questo gioco, che è una variante del Saltacerro, si usa una tiritera diversa (Cecilioni, pp. 64-65, n. 20).

575-576. Una versione romana della filastrocca con la spiegazione del gioco, del tutto simile a Sartalaquaia, compare in Zanazzo (Usi, p. 304, n. 14). Lo studioso romano, che pubblica una variante nell'altra opera (Canti, p. 18, n. 21), osserva: "A' miei tempi non era affatto conosciuto". Una versione di Bomarzo è in ALP (p. 246, n. 33).

577. Per Zanazzo la formula accompagna un gioco tra due bambini (Usi, pp. 369-370, n. 105; Canti, p. 36, n. 86) . A Tuscania è usata 'per indurre il piccolo capriccioso a man-giare' (Cecilioni, p. 76, d). A Civita Castellana gli adulti la ripetono per invogliare un bambino inappetente a consumare il cibo od anche quando vogliono offrire un confetto, una caramella, una chicca, una ciliegia ad un bambino, avvicinandoli alternativamente alla bocca di quest'ultimo e alla propria. La formula ricorre pressoché identica in Um-bria (vd. Placidi-Polidori, p. 33) e nelle Marche (Ginobili 1956, p. 44). Vedasi per raf-fronto anche la strofetta veneta in MSS (p. 312, n. 15.137): Boca mi, - boca ti, / boca can, - boca, ahm! Con un procedimento più semplice, se si vuol fare una sorpresa, si di-

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ce: òpri a bbocca e jjudi l'òcchi. Appena il bambino esegue l'ordine, gli si deposita la leccornia sulla lingua.

578. Modalità di esecuzione: il bambino che conduce il gioco mostra ad un altro un pic-colo oggetto che può essere contenuto nel pugno della mano. Poi porta le mani dietro la schiena e passa ripetutamente l'oggetto dall'una all'altra, finché decide in quale delle due racchiuderlo. Protende le braccia in avanti, tenendo i pugni chiusi. Mentre recita la for-mula, con un leggero movimento sovrappone alternativamente un pugno all'altro, incro-ciando gli avambracci all'altezza dei polsi. Alla fine li distende entrambi in avanti in po-sizione parallela. Il secondo bambino deve riuscire ad indovinare in quale pugno sia l'oggetto. Se vi riesce, le parti si invertono. Per Roma, vd. Roberti (p. 19).

579. Modalità di esecuzione: il conduttore stende il braccio destro più o meno all'altezza della propria spalla e tiene la mano aperta a dita unite rivolta verso il basso. I compagni, in semicerchio davanti a lui, puntano sotto i loro indici. Alla fine del versetto il condut-tore chiude repentinamente la mano, cercando di prendere e imprigionare i diti di coloro che non sono stati pronti a toglierli via. Chi rimane preso per tre volte è obbligato a pa-gare un pegno o ad eseguire una penitenza. Ad Orvieto il gioco, chiamato Piro piro paj-ja, è accompagnato da una diversa tiritera (Mattesini-Ugoccioni, p. 372, s.v.).

582. Modalità di esecuzione: l'adulto pone il bimbo in piedi sul ripiano di uno scalino; gli si mette di fronte e gli prende le mani. Scandendo le parole, lo tira e lo fa ondeggiare. All'ultimo verso, sollevandolo di peso, gli fa spiccare un salto fino a terra. Possibile il raffronto con un testo di Bomarzo, non corredato da commento: Zzompa pianella / la noce e lle mella / le noce e le cerasa / zzompa ggiù che 'nnamo a ccasa (ALP, p. 225, n. 5).

583. La Gandini (pp. 237-238) annovera le filastrocche di questo tipo nella sezione "Seggiolina". Questo semplice gioco, che a Firenze è chiamato predellucce, trae scher-zosamente nome dalla sedia gestatoria: due bambini, mettendosi l'uno di fronte all'altro, prendono ciascuno con la mano sinistra il proprio polso destro; quindi afferrano l'uno con la propria mano destra il polso sinistro dell'altro, formando un piano sopra il quale fanno sedere un terzo bambino. Lo trasportano così in giro, recitando varie volte la fila-strocca, poi disgiungono le mani, cercando di farlo cadere.

584. Secondo l'informatrice il gioco si faceva tenendo a turno un piccolo straccio o un panno inzuppato davanti al viso di una delle bambine che erano disposte tutte intorno in circolo. Scandendo i versi, la conduttrice doveva riuscire a farla ridere. Se aveva succes-so, le strofinava il panno sul volto; altrimenti passava a provare con un'altra bambina. Una affine è in uso a Bomarzo (ALP, pp. 238-239, n. 10): in nota è riferita la modalità esecutiva ripresa da altra pubblicazione. Nell'Orvietano, identica è la modalità esecutiva, ma differente il testo: Cenciarèllo è dda voe bbèn tornato / si vvoe ridarete e sgriffigna-rete / bbaciarete. / Io no rridarò e sgriffignarò e manco / bbacerò (Mattesini-Ugoccioni, p. 117, s.v. cenciarèllo). Per Città di Castello, vd. Placidi-Polidori (p. 157); per l'Amia-tino, Fatini (p. 32, s.v. cénciu mòllu). Il Roberti, nel commentare la versione romana del

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gioco, che ha uno svolgimento più complesso (p. 44), sostiene l'ipotesi dell'origine to-scana, denunciata dalla presenza di una spia linguistica, e ne attribuisce la diffusione a seguito dei numerosi flussi di immigrazione di colonie fiorentine e maremmane avvenuti nel 1600: ”a denunciare la radice tosca del gioco è proprio quel cencio che nella lingua romanesca si sarebbe dovuto indiscutibilmente chiamare straccio”.

585. Nel testo, che accompagnava un tempo due giochi di destrezza e di abilità manuale ormai dimenticati, si coglie un riferimento al rito della "segavecchia": 1) - due bambini, ponendosi l'uno di fronte all'altro, protendono la mano destra e, stringendosela, tirano al-ternativamente prima da una banda e poi dall'altra, imitando il movimento dei tagliabo-schi quando segano il tronco di un albero. 2) - Un bambino (o un ragazzo), avvolge un filo od uno spago, congiunto ai due capi, sul dorso o fra le dita delle mani fino a ricavare mediante varie disposizioni una particolare figura convenzionale (oggetto, animale, stru-mento di lavoro). Interviene un secondo bambino, che, riprendendo a sua volta con le di-ta la trama così disposta, ne muove opportunamente le fila, per comporre un'altra com-binazione. Si seguita a turno fino ad esaurire l'ultima delle figure note, cioè quella della sega, allora i bambini concludono il gioco recitando la cantilena. Si tratta delle figure di corda o del 'ripiglino', gioco di amplissima diffusione con un repertorio di figure ricco di complessi significati presso le varie culture (vd. Lanternari, pp. 251-254).

586. La cantilena accompagna il girotondo. Al termine della strofa, le bambine si ferma-no e fingono di fare uno starnuto, chinando la testa e portando la mano davanti alla boc-ca.

587. La Gandini (pp. 233-235) annovera filastrocche di questo tipo nella sezione "For-bicetta". Modalità esecutive: Due bambini si tengono le mani a braccia incrociate, camminano velocemente cantilenando la filastrocca; ogni volta che arrivano all'ultimo verso, invertono, con un brusco dietrofront, la direzione e, senza staccare le mani, ricominciano daccapo. In forma ridotta è diffusa in altri centri della provincia: Bagnaia, Mamma ch'or'è? / Latte e ccaffè, / pizza ricotta, Oreste bbu (Pierini I. e F., p. 118); Valentano (Ghiringhiringola, p. 46, n. 1); Bomarzo (ALP, p. 242, n. 20), Mamma dorè / atte ccaffè / pizza ricòtta Orèste bbù; Tarquinia (Blasi, p. 199), Mamma ch'or'è / latte e caffè / pizza, ricotta / Oreste, bum!; Capranica (Sarnacchioli, p. 35), Alla mola di zi Francè / pizza ricottà Oreste bu!; Canepina (Cimarra 1985, nn. 234-235).

590. Formula di apertura del 'gioco del perché', con cui il conduttore, secondo un turno prestabilito, avvia il dialogo con ciascuno dei partecipanti. Alla sequenza delle doman-de, che cominciano sempre con 'Perché....?', l'interrogato deve rispondere evitando di pronunciare la congiunzione causale, altrimenti è obbligato a pagare un pegno ed alla fi-ne del gioco ad eseguire la penitenza imposta dal conduttore e dagli altri compagni di gioco (ad es. da' un bacetto a X, fa' una pernacchia ad Y, raggiungi quell'albero saltel-lando su un solo piede).

591. Secondo l'informatrice costituiva la formula d'avvio dell'antico gioco dei 'cinque noccioli', per il quale vd. Arnold (pp. 204-205, n. 159).

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592. La tiritera veniva utilizzata per effettuare una gara di resistenza respiratoria: i bam-bini dovevano riuscire a recitarla per intero senza mai riprendere fiato. A Tuscania la fi-lastrocca è impiegata per effetttuare la conta (Cecilioni, p. 84, n. 2). Costruito sullo stes-so modulo è il testo milanese: I colonn de sant Lorenz hin sedes. / Chi l'è bon de contaj / senza tirà el fià, / l'è segn de sanità ecc. (MSS, p. 379, n. 19.8).

593. Modalità di esecuzione: Il conduttore del gioco si mette seduto, l'altro si dispone davanti e gli poggia la testa sulle ginocchia. Il primo comincia a battere con la mano a-perta sulla schiena, scandendo i primi due versi. Poi, con uno o più diti, forma un nume-ro e chiede al bambino che sta sotto di indovinare. Se quest'ultimo vi riesce, si invertono le parti, altrimenti il conduttore recita il resto della filastrocca e ricomincia alla stessa maniera. A Roma il gioco, secondo la descrizione dei folcloristi (Chiappini, p. 194, s.v. mazza bbu bbu; Zanazzo, Usi, p. 320, n. 33; Roberti, pp. 63-64), presenta lievi differen-ze. Pressoché identica una formula marchigiana pubblicata da Ginobili 1956 (pp. 59-60). Una delle più antiche testimonianze della tiritera è contenuta nella commedia I Me-gliacci (anno 1530) del perugino M. Podiani (F. A. Ugolini, Il perugino Mario Podiani e la sua commedia 'I megliacci'. III. Commentario a I megliacci con repertorio lessica-le. Perugia, 1974, p. 134, 72. 13): cepetel mio cuccù, quante corna vanno in su?

594. Modalità di esecuzione: la reggina, designata dal tocco a svolgere la funzione di moderatrice del gioco, si pone in piedi con le spalle rivolte ad un muro (castèllo). Di fronte a lei, alla distanza di 8-12 metri, si dispongono in riga gli altri giocatori. A turno, a cominciare dal primo bambino che sta a sinistra della regina, ciascuno rivolge la ri-chiesta: reggina regginèlla ecc. La regina concede a suo piacimento un determinato nu-mero di passi, diversi per lunghezza e per modalità, che comportano un avanzamento o un arretramento (i più ricorrenti ed usuali sono: passo da leó' 'balzo in avanti', p. da canguro 'salto a piè pari in avanti', p. da bbarràttolo 'piccola giravolta in avanti', p. da formìcola 'piccolo passo, mettendo un piede davanti all'altro', p. da gàmbero 'piccolo passo all'indietro', p. da cavallo 'salto in avanti scalciando con i piedi', p. da coccodrillo ''passo in avanti, procedendo a carponi'). Evidentemente la varietà dei passi dipende dal-la fantasia della regina e l'esecuzione dall'abilità del giocatore. In tal modo la regina può regolare l'andamento del gioco e avvantaggiare un partecipante rispetto agli altri. Risulta vincitore colui che riesce per primo a raggiungere il castello, cioè il muro: spodesta in tal modo la regina e subentra nella conduzione del gioco. Per quanto riguarda Roma, una minuziosa descrizione è contenuta nella raccolta del Roberti (pp. 55-57). Del tutto simili sono il testo (salvo la variante riferita in nota) e le modalità esecutive del gioco a Valentano (Ghiringhiringola, p. 41, n. 3), a Canepina (Mechelli, modalità ese-cutive, p. 41, n. 41; testo, p. 146; Cimarra 1985, n. 242), a Lubriano (Galli, p. 26, n. 59) e a Tuscania (Cecilioni, p. 57, n. 1). Per la Toscana, vd. La Sorsa (p. 346); per l'Umbria, vd. Placidi-Polidori (pp. 95-96).

596. Modalità di esecuzione: si stabilisce mediante la conta o il sorteggio chi deve as-sumere il ruolo di gatto e chi quello di topo. Quindi tutti gli altri, distanziandosi e tenen-dosi per mano, formano un circolo, al centro si pone il topo e all'esterno, di fronte a lui,

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il gatto.Tra i due si svolge il breve dialogo, poi il topo prende a correre precipitosamente a zig-zag, ora uscendo ora rientrando nel cerchio attraverso gli spazi lasciati vuoti dai compagni, inseguito dal gatto, che, per catturarlo, è obbligato a compiere lo stesso per-corso. Il gioco si conclude o perché il gatto desiste dall'inseguimento o perché cattura il topo. Un gioco simile, in uso un tempo a Tuscania con il nome Sorcetto, è descritto da Cecilioni (p. 58, n. 3).

597. Anche a Bomarzo per il gioco è usata una tiritera affine (ALP, p. 238, n. 7).

598. La canzoncina accompagnava un gioco molto simile a San Pietro e San Paolo u-prìtece le porte (descritto da Zanazzo, Usi, pp. 337-338, n. 55; Canti, p. 25, n. 46; e da Camilli, p. 196, n. 31) ed alla sua variante Cucchiaro o forchetta? (Roberti, pp. 77-78). Modalità esecutive: nella fase preliminare mediante la conta si determinano i due con-duttori del gioco. I due prescelti si appartano per concordare in segreto il ruolo che cia-scuno dovrà ricoprire (angelo o diavolo) e sul nome convenzionale da adottare per non rivelare la vera identità (in genere cucchiaro = 'angelo', furchetta = 'diavolo' o vicever-sa). Quindi i due si pongono l'uno di fronte all'altro, protendono le braccia e si afferrano le mani in modo da formare due sbarre orizzontali e parallele. Gli altri bambini si di-spongono uno dietro l'altro e a turno si presentano davanti alle sbarre. I due sollevano le braccia in modo da formare un arco sotto al quale passano via via i giocatori recitando: Sam Biètro ecc. I due a loro piacimento possono all'improvviso riabbassare la braccia, bloccare un bambino e obbligarlo a scegliere tra cucchiaro e furchetta. Lo fanno passare oltre, ma, secondo la scelta operata, lo invitano a disporsi in fila alle spalle dell'uno o dell'altro. Si procede per giri successivi, finché tutti i bambini hanno compiuto la loro opzione. In tal modo si formano due schiere: quella degli eletti e quella dei reprobi. Alla fine l'angelo e il diavolo dichiarano la propria identità e la schiera dei beati effettua un girotondo intorno agli altri, cantando per celia: Im baradiso ecc. Per un'altra versione della zona (Canepina), vd. Cimarra 1985 (n. 239).

599. Modalità di esecuzione: i bambini si riuniscono insieme, formando la schiera degli angeli; di fronte a loro, appoggiato ad un muro, si pone il conduttore del gioco. Spostato a lato ad una certa distanza, al vertice di un triangolo ideale, sta l'antagonista che rappre-senta il diavolo, armato di un fazzoletto annodato ('a mazzarèlla). Tra il conduttore e il primo bambino-angelo si svolge il dialogo, alla fine del quale l'angelo allarga le braccia e, slanciandosi, cerca di raggiungere il muro. Il diavolo però vigila, seguendo ogni sua mossa, e cerca di intercettarlo, lanciando su di lui la mazzarèlla. Se riesce a toccare il muro indenne, l'angelo è salvo; se, invece, viene colpito, diventa prigioniero del diavolo. Alla fine quelli che sono stati catturati vengono derisi e sbeffeggiati dagli altri. Per un raffronto, vd. testo di Tarquinia (Blasi, pp. 201-202).

600. Modalità di esecuzione: un gruppo di bambini e bambine si dispone in riga, tenen-dosi per mano. I due che si trovano alle estremità assumono rispettivamente il ruolo del fornaio e del cliente. Protendendosi appena fuori della riga, svolgono il dialogo: forna-retta è ccòtto il pane ecc. A conclusione la fornaia pronuncia il nome del bambino a cui

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stringe la mano. Allora il cliente, tirandosi dietro la fila degli altri partecipanti, passa sotto l'arco formato dal braccio del suo interlocutore e del bambino incolpato, in modo che quest'ultimo venga a trovarsi con le braccia conserte, con tutta la persona rivolta nel-la parte opposta. Una volta che tutti sono tornati perfettamente in riga, il dialogo rico-mincia daccapo. Questa volta il colpevole sarà il bambino accanto a quello precedente-mente punito. Così si procede fino all'ultimo bambino. Al termine, quando tutti i partecipanti sono allineati, uniti con le mani e con le braccia conserte, i due protagonisti dal loro posto danno uno strattone e tirano fino a rompere la catena. A Roma gli ultimi quattro versi chiudevano il gioco denominato Chi st'a ccapo a la mi' pigna (Zanazzo, Usi, pp. 344-345, n. 67). A Valentano il gioco, che si sviluppa con le stesse modalità, si denomina Compà, è cotto 'l pane? (Ghiringhiringola, pp. 47-48, n. 6), così pure a Tu-scania (Cecilioni, p. 59, n. 6). Per Graffignano, vd. Galli (p. 26, n. 61). Una versione a-bruzzese di Lanciano è in Gandini (p. 267, n. 643), un'altra umbra in Placidi-Polidori (p. 102), una terza marchigiana in Ginobili 1956 (p. 69).

601. Vd. la filastrocca dialogata con la descrizione delle modalità esecutive del gioco in Zanazzo (Usi, p. 299, n. 7) e in Roberti (pp. 137-138).

602. Modalità di esecuzione: preliminarmente si lega l'estremità di una funicella ad un anello di ferro o ad un altro appiglio fisso; l'altra viene tenuta da un bambino che assume il ruolo di lupo. Egli si accuccia sulla sommità di una scala e finge di dormire. I compa-gni con clamori e grida lo svegliano, poi avviano un dialogo alla fine del quale il lupo, senza mai lasciare l'estremità della fune, si slancia all'inseguimento degli altri che si danno alla fuga, tentando di afferrare qualcuno che prenda il suo posto. Un dialogo con-simile si sviluppa tra la mamma e il portiere nel gioco già in uso a Roma Er diavolo zzoppo (Zanazzo, Usi, pp. 364-365, n. 99).

603-605. Filastrocche-dialogo non sono infrequenti, vd. per la Teverina Galli (p. 36, n. 94). Nella raccolta di Bomarzo il n. 603 è posto impropriamente tra i chiapparelli (ALP, p. 248, n. 9); è presumibile che i dialoghi fossero utilizzati per lo svolgimento di giochi, dei quali non sono riuscito a trovare notizie più precise.

606. Il testo, pur risultando identico tranne che nell'avvio al n. 55, aveva una differente funzione: secondo l'informatrice veniva utilizzato per scandire il movimento altalenante della biciancola. Una filastrocca di Latina con incipit Triticche, ticche, tavola è edita in MSS (pp. 202-203, n. 10.38).

607. Modalità di esecuzione: i bambini si pongono a sedere su uno scalino o su un mu-ricciolo l'uno accanto all'altro a gambe tese e a piè pari. Di fronte a loro in piedi sta il conduttore del gioco, che prende a sillabare la tiritera, toccando in corrispondenza ad uno ad uno i piedi dei compagni. Il bimbo, a cui egli tocca un arto nel pronunciare l'ul-tima sillaba, lo deve ritrarre, mantenendo nella posizione iniziale l'altro assieme ai com-pagni di gioco. La stessa operazione si ripete tante volte finché ad uno ad uno i vari giocatori ritraggono i piedi e vengono eliminati. L'ultimo che rimane in lizza risulta vincitore ed acquisisce il diritto di dirigere il gioco nel turno successivo.

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Una filastrocca romana del tutto simile è riferita, assieme alla descrizione delle modali-tà esecutive del gioco, dai folcloristi (Chiappini,p. 251, s.v. Pis'e ppisello; Zanazzo, Usi, p. 317, n. 30; Canti, p. 18, n. 22; Roberti, pp. 70-72). A Valentano svolge la funzione di conta (Ghiringhiringola, p. 52-53, n. 2). Altre versioni altolaziali: Teverina (Galli, pp. 30-31, nn. 72-73-74-75-76-77-78); Tuscania (Cecilioni, pp. 63-64, n. 17; p. 85, n. 8); Canepina (Cimarra 1985, nn. 220-221); Ischia di Castro, con avvio diverso: Riso risello (Nanni, p. 141, n. 4); Tarquinia (Blasi, p. 204; MSS, p. 110, n. 5.209, con differenze nella parte finale). Gandini (p. 291, n. 732) pubblica un testo marchigiano ed un altro del Mugello (p. 335, n. 923). La Sorsa (pp. 172-173) descrive l'esecuzione del gioco come avviene nel Viterbese. Una versione umbra difforme nell' avvio è in Chini (p. 268, n. V): Piso pisello, / nell'occhjo tu sei bello, / colore tu hai fino ecc.

608. Un'analoga forma romana è in Zanazzo (Usi, p. 306, n. 15) con il commento: "Que-sti pegni vanno alla mamma, la quale, a giuoco finito, cioè quando non resta nessun altro a perdere, assegna le penitenze. Nell'assegnar queste, il capogiuoco o la mamma che sia, per sapere a quali giocatori appartengano i singoli pegni, dice le sacramentali parole: Cinci-cincinello / di chi è 'sto campanello?". A Capranica (Sarnacchioli, p. 33) si ripete invece: Ndilì, 'ndilì, 'ndilì: di chi è stu pendolì? Una delle penitenze canoniche consiste nel percorrere un tratto di strada genuflettendo di volta in volta e nel cantilenare senza ridere: Io vò a Ggerusalèmme / sènza ride' e ssènza piagne' (che a Roma è usata per il gioco A chi ride con la canzoncina, vd. Roberti, pp. 17-18).

609. Si tratta di una filastrocca classificabile tra quelle iterative e cumulative. Molto più lunga e articolata la versione di Pistoia pubblicata da Gandini (pp. 149-154, n. 357).

610. La storia del grillo e della formica presenta un'ampia area di diffusione, soprattutto nell'Italia centrosettentrionale (vd. MSS, p. 64, n. 4.25). Una versione umbra è in Chini (pp. 269-270, n. I).

611. Semplici le modalità esecutive di questa canzoncina intitolata a Roma Mireladon-dondella (Zanazzo, Usi, pp. 366-367, n. 101; Canti, pp. 28-29, n. 55; Roberti, pp. 222-223). Per una versione napoletana, vd. MSS (pp. 68-69, n. 4.32).

613. Canto di diffusione pannazionale. Per raffronto mi limito a citare, oltre a quella romana (Zanazzo, Canti, pp. 49-52, n. 120) molto più articolata, le versioni di Tarquinia (Blasi, pp. 210-211) e della Sabina (Ranaldi 1983, p. 89).

614. Leggermente diverso il testo romano pubblicato da Zanazzo (Canti, p. 22, n. 37).

623. È la cantilena che i bambini ripetono più volte, convinti che, provocando i tacchini, questi facciano la ruota. Vd. per il romanesco (Chiappini, p. 140, s.v. gallinaccio e p. 316, s.v. signora) l'espressione: "fa la signora. Si dice del tacchino quando fa la ruota con la coda". Anche a Montefiascone fà la signóra vale fà la ròta (Mattesini-Ugoccioni, p. 471, s.v. signóra).

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624-625. Vd. il testo di Capranica (Sarnacchioli, p. 32): Trita trita la formica, / la for-mica è una latra / trita trita e porta a casa.

626. L'antroponimo compare con semplice funzione di rima. Una formula simile si usa a Roma (Chiappini, p. 247, s.v. Pietro): "Si chiama Pietro. Si dice di un oggetto che si dà in prestito, intendendo che venga restituito; si sottintende: che torni indietro". Il prono-me ha valore deittico: serve ad indicare l'oggetto che si impresta, come quando mostran-do, uno dopo l'altro, i pugni si minaccia: Questo edè o fratèllo de questo!

631. Appartiene ai ricordi della mia prima infanzia la figura di un chierichetto, che reg-geva una croce di legno, affiancato da altri due più piccoli, e percorreva, la domenica mattina, le vie adiacenti alla parrocchia di San Benedetto, rinnovando con voce cantile-nante l'invito ai genitori, affinché mandassero i loro figli al catechismo. Il seguito via via si infoltiva, finché non faceva ritorno in chiesa, dove l'amorevole parroco don Vincenzo Rossini ci faceva sedere sulle panche al centro della navata. Dopo aver spiegato i prin-cipi della dottrina cristiana ed aver impartito gli insegnamenti morali, distribuiva a cia-scuno di noi una ciambella o un maritozzo e ci lasciava liberi di scorrazzare nel piccolo cortile attiguo alla chiesa. Da fonte anziana mi è stata riferita la parodia: Patr'e matre mannate i vostri fijji ggiù o Tirató' sinnò facete 'n dispiacere a Ddio! Zanazzo (Usi, p. 425, n. 11) riferisce la formula romana: Padri e mmadri, mandate li vostri figlioli a la dottrina cristiana; chè si nun ce li manderete, ne renderete conto a Ddio! Non molto dissimile è quella in uso fino a qualche decennio addietro a Morlupo: Padri e madri, mandate i vostri figli a duttrina cristiana. Se nun li mannerete annerete con-tro Id-di-o (De Mattia, p. 87). Nell'AMPL (p. 404, n. 46.2) della versione romana è pubblicata la trascrizione musicale a cura di G. Nataletti. Il testo è antico di qualche secolo, se l'ho potuto rintracciare in un editto del 1703, con-servato nell'Archivio dell'Arciconfraternita della Dottrina Cristiana: "Si manderanno due putti accompagnati da alcuno de' fratelli, con il campanello per le strade solite, dicendo: 'Padri, Madri, mandate li vostri figliuoli alla Dottrina Christiana, se non ce li manderete ne renderete conto a Dio'“ (Rivabene, ASRSP, 1982, n. 105, p. 304, nota 20, ADDC, t. 440, f. 2).

634. Il testo si rifà alla credenza popolare secondo la quale nelle macchie lunari sarebbe raffigurato il profilo del fratricida Caino, condannato a vagare per l'eternità, portando un fascio di sterpi spinosi sulle spalle, per aver sempre offerto a Dio i prodotti più vili dei raccolti (alla leggenda fa riferimento Dante in Inf. XX, 124-126: ...già tiene 'l confine / d'amendue li emisperi e tocca / l'onda sotto Sobilia Caino e le spine; con un richiamo in Par. II, 49-51: ...che son li segni bui / di questo corpo, che là giuso in terra / fan di Cain favoleggiare altrui?). Numerose sono le cantilene popolari che si ispirano alla leggenda: affini al testo di Civita Castellana sono quelle di Tuscania (Cecilioni, p. 80, n. 14 ), di Capranica (Sarnacchioli, p. 32) e di Canepina (Cimarra 1985, n. 215); un'altra con svi-luppo più ampio compare in Bartolozzi-Migliori (II, p. 50, n. 29). Per la Toscana, vd. La Sorsa (p. 82); per l'Umbria, Placidi-Polidori (p. 42); per Bergamo, Gandini (p. 168, n. 391).

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635. Pressoché identica, salvo inversione te vedo, è la formula viterbese, che a Blera suona: amore struccio d'ajjo / quanno te veggo tutto me squajjo; e nell'Orvietano: amo-re, struccio d'ajjo, quanno te vedo me travajjo (Mattesini-Ugoccioni, p. 502, s.v. struc-cio). Per un'altra romana, vd. Zanazzo (Proverbi, p. 291). A Magliano ritorna in uno di stornello: Amore mio, spicchio dell'ajjo, / quanno parli te tutto me squajjo; / quanno parlo io, sèmbre me 'mbròjjo. Il nucleo è comunque più antico, trovandosi nella com-media “La Trinuzia” di Agnolo Firenzuola (a. III, sc. 4): Ciò che tu vuoi, anima mia, spicchio d'aglio. L'espressione, nella sua intenzionale banalità, ironizza su chi si abbandona a vistose effusioni o fa smancerie inopportune per la circostanza o il luogo, al pari di questa che si usa per rispondere in tono intenzionalmente svenevole: Io per te spiripicchio e mmòro / come 'l zugo der pomodòro (= per te non spasimo davvero!); o di quest'altra, per asserire che non intercorre nessun rapporto di parentela con la persona di cui o con cui si parla: Mm'è (√: Me sì) ccacio còtto e bburro sguajjato! (vd. la corrispondente battuta romanesca in Zanazzo 1960, p. 332: Esse, a uno, cacio cotto e butiro squajato).

636. Modalità di esecuzione: inizialmente (vv. 1-4) le bambine, tenendosi per mano, for-mano un circolo, e girano attorno ad una di loro, la lavanderina, che rimane senza muo-versi al centro. Quindi si fermano e, senza tenersi più per mano, continuano a cantare, mentre la lavanderina esegue e mima i movimenti suggeriti dalle compagne. All'ultimo verso la lavanderina si avvicina alle altre, con un bacio sceglie quella che deve prendere il suo posto e si ricomincia da capo. Per riscontri nell'Italia centrale, vd. testi di Tarqui-nia (Blasi, p. 207), di Livorno (Gandini, p. 245, n. 590) La bella lavandaia / che lava i pannolini e delle Marche (Ginobili 1956, pp. 76-77).

641. Serviva per effettuare il girotondo, prendendosi per mano e nello stesso tempo ti-rando e allentando. Alla fine dell'ultimo verso tutti i partecipanti flettevano le ginocchia "accucciandosi". Un inform. più giovane (Orizio Riccardo) ha fornito una differente ver-sione: Bbàllolo bbàllolo lungo / tìrite llà ch'è ppòco lungo; / co' 'a cannèlla nzucchera-ta / ce facemo 'na gginocchiata. Secondo la testimonianza di quest'ultimo, il testo ac-compagnava un gioco che ragazzi e ragazze improvvisavano, soprattutto nel mese di maggio, quando si recavano in pellegrinaggio a Santa Maria ad rupes, un santuario sca-vato nella roccia presso Castel Sant'Elia, percorrendo a piedi per devozione una distanza di circa 8 chilometri. I giovani si prendevano per mano ed occupavano la strada, formando una sorta di barrie-ra. Mentre recitavano la tiritera, avanzavano tutti insieme, distendendosi e stringendosi a fisarmonica. All'ultimo verso il ragazzo che occupava la posizione centrale, in genere un tipo di robusta costituzione, si spingeva d'impeto in avanti, tirandosi dietro gli altri, in tal modo quelli che si trovavano ai lati venivano trascinati via e perdevano in qualche caso l'equilibrio. Un'altra figura era 'o serpènde: i ragazzi si prendevano per mano e componevano lungo il percorso volute e serpentine. Ad un certo punto il capofila con un movimento veloce e

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repentino obbligava la fila a descrivere una spirale, facendo sì che gli ultimi (la coda) subissero, per contraccolpo, una brusca sbandata.

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GLOSSARIO

abbacchio, agnello 97. abbituccio, vestitino 6. abbòtta, gonfia (vb.) 633. accettòla, piccola accetta 174. acquacòtta, acqua bollita con sale, olio,

aglio e mentuccia, che si versa ben calda sopra il pane affettato 298.

ajjo, aglio 635. ajjo, ahi! 167. allesso, lesso (s.m.) 187. amàndole, mandorle 325. Ambròcio, Ambrogio 478. andiedi, andai 100. andra, altra 38, 41, 43-45, 638. andr'anno (un ~), il prossimo anno

309. andri, altri 271, 337. andro, altro 32, 251, 270, 290, 302,

560, 564, 602, 636. annàmocene, andiamocene! 136. annàssimo, andammo 418. ape, api 107. aprìtice, apriteci! 598. ara, aia 56. arangio, arancia 553. arati, aratri 363. arato, aratro 137.

àrberi pizzuti (se ne va all'~), muore (eufem.) 475.

arda, alta 328. aricomingia, ricomincia! 253. arifacemo, rifacciamo! 327. arispose, rispose 304. arivòrda, rivolta (vb.) 222. arivòrdite, voltati! 586. aroplano, aeroplano 428, 555. arrovina, rovina (vb.) 278-279. arza, alza 97, 151, 371-372, 564 .

Ascenzió', Ascensione 321. attènde, attenta! 140. avemo, abbiamo 33, 130, 303. averai, avrai 130.

bacaròzzi, scarafaggi 453. badòcchio, battaglio (s.m.) 244. bagajjoni, manovali (s.m.) 269. bagàssimo, pagammo 418. bajjaro, pagliaio 282. bajjericcio, pagliericcio 16. bamboccino, schiaffetto 528. bammace, bambagia 31-32, 638. banga, panca 43-44. banganèllo, verga da pastore, bordone

(lett. manganello) 315. banghetta, sgabello 97. banghetto, sgabello 39. bango, panca 45, 222. Baradiso, paradiso 599. barì', barili (forma tronca) 581. barmo, palmo 129. bassanellesi, ab. di Vasanello 285-286. battajja, battaglia (s.f.) 38. batte, suona la campana 280. Bàvolo (Sam ~), San Paolo 598. 'bbità, abitare 555. 'bbòtta, fa imbocciare 74, 299. bè', bene 267, 271, 365-366, 550. beccamòrti, delinquenti 293. becchi, becchini 19. becoraro, pastore 97. bellìcole, ombelico 308. benzà, pensare 540. bèr, bel 329, 434, 439, 612. beve', bere 613. beverèi, berrei 79. bevéssimo, bevemmo 418. bévino, bevono 604.

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bezzé', pezzettino (forma tronca) 601. biagne', piangere 140. biè', piede 96-97. biède, piede (= coscio) 97. Bièdro / Biètro (Sam ~), San Pietro

592, 598. biferari, pifferai 434-435. bigonza, stupida (fig.) 438. bijjardino, bigliardino 374. billa, tacchina 305. biòve, piove 369. birbi, scaltri 290. biscì', garzone del pastore

(forma tronca alloc.) 272. bizzo ('m ~), nell'estremità 484. bò, può 611, 619. bò', poco 233, 250, 253. bobbó', bubboni 346. bocale, boccale 316. bòccio, grassone 440. boccioni, bottiglioni 640. boccó' (tutto 'm ~), con un

sol boccone 49. bòi, buoi 200. bollastro, pollo 98. bomma, grassone (fig.) 433. bòro, povero 345. bottia, bottiglia 127. bottó', bottone 73. bòvi, buoi 363. bòvo, bue 47, 88, 306. brado, prato 117. braga, brache 353. braghe, brache 422-423. brango, branco 111. Brìcida, Brigida 628. brijja , briglia 350, 479. bua, malattia (voce infant.) 175. bucetta, piccola buca 596. buci, buchi (s.m.) 141. bucìa, bugia 195, 555. bucio, buco (s.m.) 408.

buga, buca (s.f.) 190, 414. bùggere, paturnie 214. bugo, buco (s.m.) 135. bulli, bollisci! 264-265. bullo, spavaldo 478. bummidòro, stupido (fig.) 245. burrattini, burattini 288-293. buttàvino, buttavano 207. bùttili, buttali! 606. bùttiri, butteri 269.

ca' , cane 97. caccia, cava (vb.) 69, 409. caccia fòra, tira fuori! 353. caccialo fòri, cavalo fuori! 543. cacciava, cavava 376. caccio, cavo (vb.) 69, 128, 220. cacèri, pastori addetti alla

confezione del formaggio 269. cacio, formaggio 220, 249-250, 444,

597, 601. calla, calda 183, 477. callararo, calderaio 442. callarèlla, caldaia 265. callaretta, paiolo 550-551. callaro, caldaio, paiolo 154. callo, caldo 217. cambana, campana 104, 244. cambane, campane 603. cambanèlla, campanella 348. cambanèlle, campanelle 564. cambanì', campanello

(forma tronca) 608. Cambidòjjo, Campidoglio 488, 603. cambosando, cimitero 19. camio', camion, autocarro 533. càmmera, camera 401-402, 564. cammerière, cameriere 439. cammino, camino 511. càndino, cantano 441. canini, rabbiosi come cani 269. cannela, candela 129-130, 146.

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Cannelòra, Candelora 303-304. cannó', cannone 38, 73, 574. capata, scelta, pulita (p.p.) 49, 567.

capea (ce ~), ci entrava 633. caperemo, sceglieremo 49. caperò, sceglierò 569. cappanna, capanna 326. cappannèlla, capannella 326-327, 329. cappó', capponi 530-531. cappuccì', cappuccino (forma

tronca) 467. carciòfolo, carciofo 142. Carésima, Quaresima 318. cargagno, calcagno 307. carge, calcio, pedata 242. cargi, calci, pedate 108, 168,

396-397, 405. cargio, calcio, pedata 55. cartó', cartone 435. Castèllo, Castel S. Elia 293. Catamèllo, Quadamello (quartiere cit-

tadino) 276. cavalliè', cavalieri 107, 285. 'cchiappai, acchiappai 100. 'cchiàppite, acchiappati! 206. 'cciacca, schiaccia! 261. 'ccòjjino (se ~), suppurano 178. 'ccorcia (se ~), si accorcia 75. 'ccòrgino (se ~), si accorgono 177. 'ccostate (nun ve ~), non vi

accostate! 493. cecio, cece 482, 579. 'cèllo, uccello 267. cèlo, cielo 117-119. cengio, cencio 584. cerasa, ciliege 469, 582. Checca, Francesca (ipocor.)

392-393. Checchino, Francesco (dimin.-ipocor.)

47. ciammèlla, ciambella 57, 93. ciammèlle, ciambelle 57.

ciammellette, ciambellette 325. ciammelló', ciambellone 319. cianghe, gambe 60. ciaramèlle, zampogne 48. ciavatta, ciabatta 445. ciccia, carne 116. Ciccio bbomma, grassone 439. ciciò, chicche 18.

cijja ('e ~), le ciglia 136. cionna, vulva 126. ciuetta, civetta 444. ciufoletto, zufolo 45. ciumaga, chiocciola 353. còccia, buccia 207. còcime, cuocimi! 426. còcino, cuociono 599. còjje, coglie 300, 369. cojjoni, coglioni 143. cojjoni, minchioni, stupidi 269. combagnia, compagnia 329. combra, compra 278. combramo, compriamo 500. combrimendi, complimenti 548. commà', comare (forma tronca

alloc.) 174, 603-605. commandamendi, comandamenti 338. commannata, comandata 294. commare, comare 45, 69, 271, 413. comò, canterano 29. cóndime, contami! 354-355. condutto, condotto (s.m.) 390. conghe, conche per fare il bucato 512. congolina, bacinella 455. coppó', coppa 435. còste, costole 172, 307. cótiche, cotenne di maiale 413. cotichicchie, cotenne di maiale (forma-

zione scherz. su cótiche) 273. crapa, capra 571. crapetta, capretta 114. Crocchiano, Corchiano 285. croce, croci 336-337.

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cucchiaro, cucchiaio 42. cucculo, cuculo 354-355. cucuzza, zucca 153. cupa, profonda 43, 638. cupèlle, barilotti per il trasporto del

vino o dell'acqua 38. cupertaccia, copertaccia 113. cupo, profondo 41. cùppala, cupola 104. Cuppolone (er ~), Roma (sineddoche)

290-293. curre, corre 378. currerai, correrai 321. curri, corri! 174, 321. curta, corta 306. curtèlli, coltelli 317. curto, corto 158.

dajje, dagli! 55, 587, 606. dajjolino, tagliolino 43. damo, diamo 5. 'ddòpra, adopera 85, 86. 'ddoralòffe, naso (= 'annusapeti',

composto scherz.) 71. 'ddormito, addormentato 12. delìbberisci, liberaci! 283. 'Delina, Adele 571. dèmbo, tempo 255. demo, diamo! 282. dènde, dente 104, 173, 358, 587. dèndi, denti 108, 112, 402, 443. dendro, dentro 55, 66-67, 133, 138,

140, 146, 156, 190, 202, 264-265, 269, 304, 325, 381, 491-492.

deta ( e ~), le dita 398. dete, date (vb.) 284. dichi, dici 416. dièdro, dietro 179. dijje, dille! 134. do', dove 123, 216, 277, 320, 497. d(o'), da dove 597, 601. do', due 98.

Domasso, Tommaso 305. dòppo, dopo 199-200. dorge, dolce 403. dorgi, dolci 228. dottó', dottore 106. du', due 72, 88-89, 96-97, 150. dumani, domani 258, 316, 321,

348, 369, 446, 612. dumanna, domanda (vb.) 463. dumannasti, domandasti 22. dumannato, domandato 12. dumattina, domani mattina 251.

ècchime, eccomi! 319-320. edè, è 93, 104, 119, 122, 126, 196,

571, 589. edèra, era 41-42, 44. edòtti, dotti 293. èmbe, riempie 279. embìtime, riempitemi! 320. emo, abbiamo 33, 264. empìtime, riempitemi! 319. èrino, erano 248, 312.

Facemo, facciamo 641. facévino, facevano 41, 43. facioletti, fagiolini 637. faciòli, fagioli 273. fajje, fagli! 315. fàjjolo, farglielo 147. fàmmolo, fammelo! 351-352. famo, facciamo 374. fargia, falce 270. fargiato, falciato 117-118. fargo, falco 351-352. febbraro, febbraio 74, 299. feda, cova (vb.) 168. fémmina, donna 150, 436. fémmine, donne 30, 150, 266. fenì, finire 178. ferratore, maniscalco 388. ffonno (a ~), a fondo 351-352.

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'ffugò (se ~), si affogò 263. fiacchetta, fiacchezza 585. fijja , figlia 253, 529, 572-574. fijje, figlie 567. fijji , bimbi 5. fijji , figli 153, 189, 268, 494, 555. fijjo , figlio 19-20, 144, 153, 331. Fijjòlo , Figliolo 328. fii , figli 631. filono (fìlino), filano 31-32. Filomè', Filomena (forma

tronca alloc.) 391. Filumèna, Filomena 390. finimo, finiamo! 320. fio, figlio 210, 466. fòco, fuoco 328. fògo, fuoco 130. Fòjja, fraz. di Magliano Sabina (RI)

280-281. fòjja, foglia 259. fongo, fungo 103. fonno, fondo (s.m.) 93. fòra, fuori 133, 138, 303-304, 528. fòra (de ~), fuori di casa 26, 570. fornaretta, fornaia 600. fornaro, fornaio 489. fòrte, acre 55, 606. fregno, aggeggio 149. fronne, fronde, rami 8. frusta via, passa via! 57-58, 414, 597. fujji , fuggi! 82. fume, fumo 144. fundana, fontana 337, 357, 390. fundanèlla, fontanella 44. furata, forata 125. furò, forò 125. fusse, fosse (vb.) 318.

galà, tramontare 571. gala, tramonta! 571. gallinaccio, tacchino 345. gallùzzolo, galletto 69.

gambo, campo 118. gàmmara, camera 123, 611. gàmmera, camera 124, 401. gandina, cantina 443. garcio, pedata 606. garzon(e), calzone 158. garrettèlla, carrozzella 301. gatta fura, animale immaginario 192. gatta gnàola, animale

immaginario 256. gavalliè', cavaliere 105. gèco, cieco 120. gèlo, cielo 101-102. gennaro, gennaio 74, 299. 'ghiappa, acchiappa 637. Giggetto, Luigino (ipocor.)

11-12, 571. Giggi, Luigi (ipocor.)

404-406, 505. giogamo, giochiamo 176. giògo, gioco 176. gionde, congiunte 328. gióvine (le ~ ), le donne giovani 611. gìrite, girati! 206. Girò, Girolamo (ipocor.) 629. Giuanna, Giovanna 621. Giuanni, Giovanni 273, 395-396, 572,

574. giunda, aggiunta 257. gnao gnao, miao! 57. gne-l(o), non glielo 147. gnènde, niente 49, 173, 190, 192-193,

211, 280, 295, 356, 605, 611. gnènte, niente 313, 639. 'gni, ogni 148. gnignolini, piccolini 112. gnìgnolo, mignolo 66. gnómmara, grosso gomitolo 436. gnómmoro, gomitolo 94, 121. gnudàzzala, nuda 443. godédive, godetevi! 407. gombòsta, compunta 399.

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gonfètto, confetto 495. gonvètto, confetto 401. gorpe, volpe 69. grastabbecco, becco (maschio

della capra) 205. grattato, grattugiato 220. Gremènde, Clemente 295. guadrino, quattrino 374. guangia, guancia 71. guazzo, sguazzo (s.m.) 156. gucchiarino, cucchiaino 5. gucchiaro, cucchiaio 472.

ì, hai, 174, 192, 203-205, 590, 604-605, 620.

ì, andare 20. inizzió', iniezione 140. invèrno, inferno 303-304, 599. ita, andata (p.p.) 181, 543. ite, andate (p.p.) 49-50. ìtolo, idolo, gioiello 17.

jjacchierà, chiacchierare 112. jjama, chiama 104, 353, 626. jjami, chiami 211. jjamo, chiamo 322. 'jjappà, acchiappare 602. jjave, chiave 81-82, 597. jjavistello, chiavistello 139. jjòdi, chiodi 159. jjotta, ghiotta 136, 601. jjotto, ghiotto 317. jjudi, chiudi! 18.

làghine, pasta sfoglia 43-44. lambió', lampione 464. Laorina, Laura 400. lé, fermi! 498. lécchili, leccali! 155. lèvite, levati! 362. lèvito, lievito 131. lindèrne, lanterne 72.

lòca, oca (forma agglutinata) 545. lòco, luogo 265. lopini, lupini 228. lùccica, lucciola 348, 350. lùcciole, ulcere (forma

agglutinata) 346. lundano, lontano 555.

ma', mamma! (forma tronca alloc.) 169, 170-171, 173, 175, 615.

ma', mani (forma tronca) 147. maccaró', maccherone 43-44. maccaró', maccheroni 49, 297, 383. maccaroni, maccheroni 220, 491-492,

640. macellaro, macellaio 132. màchina, automobile 555. Madalèna, Maddalena 337, 407. magnà, mangiare 96-97, 112,

272, 489-490, 500. magna, mangia 5, 35, 49, 66-67, 114,

115, 297, 316, 381, 431, 440, 484, 500, 535.

magna, mangia! 217. magnaciccio, bocca (= 'mangiacarne',

composto scherz.) 71. magnagatti, mangiagatti (sopr.

coll.) 285-286. magnai, mangiai 100. magnammèrda, mangiamerda

(sopr. coll.) 286. magnamo, mangiamo 98. magnanno, mangiando 97. magnaricòtta, mangiaricotta

(sopr. di categoria) 496. magnàssimo, mangiammo 418. magnata, mangiata (p.p.) 264. magnate, mangiate! 493-494. magnato, mangiato 11, 203, 414,

439, 442. magnava, mangiava 249-250. magnàvino, mangiavano 207.

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màgnino, mangiano 228, 318, 604. majjanese, ab. di Magliano Sabina (RI)

290. Majjano, Magliano Sabina (RI) 277-

279, 287. majjetta, maglia 461-462. màmmita, tua madre (con agg. poss.

enclitico) 34, 469, 611. mange, mance 307. mangia, mancia 322. mango, nemmeno 20. manna, manda 265-266. mannaggia, mannaggio!, accidenti!

195, 436, 486. mannate, mandate! 631. mànnice, mandaci! 603. manno, mando 483. mano (e ~), mani 98, 570, 614. 'mari, amari (forma aferetica) 228. Marì', Maria (forma tronca

alloc.) 413. Mariggiuanna, Maria Giovanna 415. Mariòccola, Mariuccia 414. marraccio, roncola 612. martèmbo, maltempo 271. matre, madre 84, 423. mazzòlo, gruccia della civetta 444. 'mbarata, insegnata 491-492. 'mbecille, imbecille 505. 'mbertinènde, impertinente, 312. 'mbicca (se ~), viene impiccato 65. 'mbiccia (te ~), ti impiccia 208. 'mbòrta (te / ce ~), ti / ci importa

208, 568. 'mbottijjati, imbottigliati 468. 'mbottijjato, imbottigliato 640. 'mbrenanno, impregnando 131. 'mbriagà, ubriacare 499. 'mbriago, ubriaco 433. mèjjo, meglio 198, 385, 425. mèjjo, migliore 341. mèle, miele 353.

mella, mela 100, 133. mella, mele 582. menavo, picchiavo 593. Ménica, Domenica (ipocor.)

383-384. meteva, mieteva 638. méttala, mettila! 443. méttijje, metterle 610. méttimolo, mettermelo 139. mettimolo, mettimelo! 139. mezzuggiorno, mezzogiorno 221. mi', mia 152, 264, 366, 501, 606. mi', mio 147, 149. micche (va ppe' ~) bara al gioco 419. Micchèle, Michele 102, 353, 419. miccia, somara 141, 208, 411. micetti, gattini 62. micia, gatta 15, 58, 62, 95, 614. mitrajja, mitragliatrice 572. mitrajjatrice, mitragliatrice 573. 'mmazza, ammazza 305, 440. 'mmazzata, ammazzata 264. 'mmazzato, ammazzato 267, 457. 'mmoscia, ammoscia 145. mo', adesso 206, 226, 576. mojje, moglie 83-84, 141, 199, 278,

279, 380, 448-449, 595. mòllo, inzuppato, bagnato 584. mònica, monaca 323. Mòniche ('e ~), la chiesa del Carmine. monno, mondo 270. mordo, molto 42. mòro, muoio 356. morosa, innamorata, fidanzata

149, 366. mòrto (passa o ~), passa il

corteo funebre 276. moscio, raggrinzato 133. mózzica, mordi! 191. mucio, muso 226, 442. mució', maiale 284. mulinara, mugnaia 607.

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mulinaro, mugnaio 79. mundagna, montagna 315, 481. mutanne, mutande 461-462.

nasó', naso grande, nappa 434-435. 'ndendo, tinto 442. 'ndènnara, intenerisce 74. 'ndèro, intero 14. 'ndipàdica, antipatica 471. 'Ndònio, Antonio 378. 'ndòsta, indurisce, fa allegare il frutto

74. 'ndovina, indovina! 126. 'ndrado, entrato 597. 'ndraverzati, posti di traverso 363. 'Ndrea, Andrea 376. 'ndrujja (se ~), si imbratta 340. 'ndrujjato, imbrattato 340. 'nduina, indovina (vb.) 116, 168. 'nduina, indovina! 93, 119. 'nduvì', indovina (vb.) 105. 'nduvina, indovina (vb.) 106. 'nduvina, indovina! 122, 168. 'nduvinarèllo, indovinello 131. 'nfascia, infascia 329, 402. 'nfèbbra, muove gli umori vitali 299. 'nfirza, filza di fichi 152. 'ngadenado, incatenato 600. 'ngènnara, genera 74. 'ngènnera, genera, 299. 'nginòcchia, ('n ze ~) non si

inginocchia 496. nì', bimba (forma tronca

alloc.) 401. nino, bimbo, fantolino 5. 'nnà, andare 54, 375. 'nnamo, andiamo 374, 457, 499, 612. 'nnamo, andiamo! 327. 'nnamorata, innamorata 571, 606, 612. 'nnarà, andrà 571. 'nnaspa, lavora con l'aspo 38. 'nnate, andate! 288-289, 292.

'nnato, andato 13, 457, 488-489. 'nnava, andava 424, 490. 'nnàvino, andavano 248. 'nnéttero, andarono 253. 'nnetti, andai 344. Novè, Noè 338. nùvala, nuvola 113. nùvolo, nuvoloso 271. 'nvece, invece 139. 'nvojjato, imbronciato 147.

òjjo, olio 42, 49, 414, 545. òmmini, uomini 30, 150, 293, 314. òmmino, uomo 150. òmo, uomo 87, 125. òmo nero, babau 14. ondo, lardo 442. òpri, apri! 343. orghinetto, organetto 41. òrghino, organo 229. òva, uova 319, 320, 599. òvo, uovo 134, 168, 426.

pa' , pane 171, 317, 353, 409, 414, 484. padalòcchi, stupidi (fig.) 620. padró', padrone 401-402, 487, 596. paghetta, danari che i genitori danno al

figlio per lo sciupo 374. pajja, paglia 38, 168. pajjaccetto, pagliaccio 370. pajjaro, pagliaio 24. pandendo, panunto 217. pangiallo, dolce natalizio confezionato

con impasto di mandorle, noci, miele e latte 217.

panonda, panunto 298. panza, pancia 175, 272, 347. papagna, schiaffo 483. parà, pascolare 609. parma, palma 309. Pasqua Bbefania, Epifania 302. passó', palo, passone 135.

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pastòcchia, favola 255, 257-258. patalòcco, pene (fig.) 142. patalòcchi, stupidi (fig.) 285-286. patre, padre 91. pècara, pecora 64, 327. pèchere, pecore 315. pecoraretto, pastorello 267, 496. pecoraro, pastore 24, 496. pecorina, vulva 380. pèggio, peggiori 288, 293. pela, scotta 183. pelato (s'è ~), ha perso le penne 473. pendecana, vulva (fig.) 371. pènne, pende 151. Pèppe, Giuseppe (ipocor.)

10, 397, 637. Peppina, Giuseppina (ipocor.)

508. pere, peti 454. pero, pera 203. pertichini, profittatori 288-293. petalino, calzino (s.m.) 138. pezzuti, scaltri, avveduti 293. pezzuto, puntuto 451. pià, pigliare 68, 83, 354, 595. pia', pigliare, prendere 19. pia, piglia 96-97, 151, 270, 384,

401, 472, 475, 487, 531. pia, piglia! 239, 469. piagne', piangere 473. piagne, piange 14, 452. piagnènno, piangendo 78. piagneva, piangeva 331. piana, sale (vb.) 607. piata, pigliata 603. piàtivala, pigliatevela! 238. pica, gazza 163. piccò, punse 482. piè', piede 96-97. piè', piedi , 96-97. piède (da ~), in fondo 602. pierà, piglierà 571.

pignoccate, pinoccate 325. pijjà, pigliare 613. pijja, piglia 329, 463. pijja, piglia! 611. pijjato, pigliato 569. pijji , pigli 127. pìjjine, pigliane! 569. pìjjino, pigliano 434-435. pijjo, piglio (vb.) 331. pindolòcco, pene (eufem.) 142. pio, piglio (vb.) 271, 369. piovìccica, pioviggina 370. Pippo, Filippo (ipocor.) 388-389. pisciaròla, vulva 415. pìscino, pisciano 109- 110. pizza, schiaffo (fig.) 483. pìzzica, frigge 191. pizzicaròlo, pizzicagnolo 444. pizzutèllo, zibibbo 28. pizzuti, scaltri, avveduti 289. pizzutino, zibibbo (neoform.

infant.) 29. pò, può 184. Poggetto, Poggio Sommavilla, fraz. di

Collevecchio (RI) 280. pòle, può 451. pollaròla, pollaiola 569. pomba, pompa, lusso 278-279. pònno, possono 150, 307. popò ('gni ~) ogni tanto 148. popò, fantolino, pargolo, bimbo 2, 18. pòri, poveri 62. pòro, povero 101-102, 600. pòzzi, possa 181. pòzzo, posso 185, 471, 548, 569,

585, 608. ppadollo (a ~), a riposare 221. 'pparecchiata, apparecchiata 634. ppecoró' (a ~), carponi 38. 'ppiccato, appeso 83. 'ppìccica, appiccica 370. preciutti, prosciutti 427.

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pròpio, proprio 502, 548, 571. proveduti, scaltri 291. pupa, bimba 57. pupazza, bambola 63-64. pupi, fantolini, bimbi, pargoli 3, 4. pupo, fantolino, pargolo 52-53. purge, pulce 123, 381, 473. purginèllo, pulcino 638. purgino, pulcino 440.

quadro, quadrato 77. quanno, quando 33, 49, 127, 128, 131,

148-149, 151, 209, 355, 390, 430, 443, 451, 477, 482, 496, 569, 637.

quesso, codesto 213.

ràdica, pene (fig.) 193. ranòcchia, rana 105-106. rasa, piatta 71. raspo, specie di rogna che colpisce in

particolar modo gli animali. 13. 'recchia, orecchia 381. regazza, ragazza 36, 530, 531, 605. regazza, fidanzata 447. regazzetto, ragazzo 612. regazzì', bambino (forma tronca

alloc.) 209-210. regazzini, bambini 11. regazzino, bambino 319. regazzo, fidanzato 149, 194, 237, 447. ribbiscini, garzoni del pastore 269. ricala, ridiscende 163. ricatoni, rigatoni 490. riccojje', raccogliere 20. riccòjje, raccoglie 67, 97, 573. riccojjeva, raccoglieva 638. riccòjji , raccogli! 582. riccondo, racconto (vb.) 251. riccòrdo, raccolto (p.p.) 66. rigalo, regalo (vb.) 589. rigalo, regalo (s.m.) 590. ringonocchianno, risistemando

la conocchia 296. ripia, ripiglia 96, 163. rippiana, risale 163. risponne, risponde 445. rissomijja, assomiglia 639. 'riva, arriva 96. rivòjjo, rivoglio 488. roppe, rompe 252, 401-402, 513, 610. roppete, rompete! 493-494. roppi, rompi! 551. roscio, rosso, fulvo 133, 431. 'rrabbià, arrabbiare 150. 'rramba, arraffa, ghermisce 97.

'rrambicavano (se ~), si arrampicavano 638.

'rriva, arriva 97, 154, 257. 'rrivare, arrivare 594. 'rrivato, arrivato 281. rugandino, arrogante 394. ruma, rumina 152. rumbazzo, grappolo, rumpazzo 180. ruzza, ruggine 362. rùzzala, ruzzola 76.

sàbbito, sabato 295-296, 298, 622. saccòccia, tasca 148. sano, intero 493-494. sapemo, sappiamo 258. sapièndi, saccenti 287, 289-293. saputi, saccenti 293. sardà, saltare 214, 482. sarda, salta 548. sardarèllo, saltarello 315. sargicce, salsicce 491-492. sargiccia, salsiccia 34, 420, 438. sbòtta, fa sbocciare 74.

sbragàrono (se ~), crollarono 638. sbràghino, calano 142. scalla, scalda 57. scallalètto, scaldaletto 120. scapicollato, dirupato 277. scappà, uscire 153.

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scappa, esce 87. scappa fòra, esci fuori! 414. scappa fòra, esce fuori 49, 501. scappamo fòra, usciamo fuori 374. scappato, uscito 597. scardaó', scarabeo (forma tronca alloc.)

321. scarga, scarica (vb.) 581. scegne', scendere 602. schiacciapagnòtte, bocca (composto

scherz.) 72. sciacquasecchi, operai addetti alla

risciacquatura dei recipienti usati per la mungitura 269.

sciòjje, scioglie 595. sciòrda, sciolta 571. 'sciugava, asciugava 328. 'sciutta, asciuga 67. 'sciuttato, asciugato 66. sconòcchia, fa sbocciare (fig.). scòppio, stramazzone 449. scordòrino, scordarono 253. scortichini, taccagni, tirati 292. scudèlla, scodella 272. sculetta, ancheggia 114-115. scurreggia, scoreggia, spetezza, 431,

514-515. scurreggiona, scorreggiona 514-515. sede', sedere 97. sediòla, seggiolina 27. segó', segone 319. sèmbre, sempre 3, 112, 376, 391. sémmola, lentiggini (coll.) 621. semo, siamo 269, 303-304. seta, buratto, staccia 27-31,114. sete, siete 269. sfogatore, naso (nome scherz. non

lessicalizzato) 72. sgrulla, scrolla, agita 104. sgrullatina, scrollata 128. sguajjo (me ~), vado in deliquio 635.

sguajjo (me la ~), me la squaglio 572-574.

sì, sei (v.) 210, 245-246, 433, 474, 488, 555.

sigheretta, sigaretta 75. Signó', Signore (forma tronca) 338. signozzo, singhiozzo (s.m.) 357. sinale, grembiule 131. sinnò, sennò 351-352, 365-366,

389, 608, 631. smerdolati, smerdati 155. smerdolato, smerdato 433. smirato, osservato 466. sò', sono (1 sing.) 69, 153, 177-178,

210, 272, 281, 319, 345, 488, 569, 577, 596, 602.

sò', sono (3 plur.) 30, 49-50, 184, 269, 285-286, 288-289, 290-293, 297, 325, 328, 383, 391, 413, 469, 490, 550-551, 561, 566-567, 592.

sòciara, suocera 84. sònime, suonami! 267. sopre, sopra 16, 41, 63, 97, 141, 143,

162-163, 281, 571-572, 574, 580. sopre dde ppiù, in aggiunta 88. sòra, signora 175, 320, 382, 392-393,

399, 401-402, 410. sordà', soldati (forma tronca), 528. sòrdi, soldi 499-500, 535. sorge, topo 597. sorgi, topi 228. sòrita, tua sorella (con agg.

poss. enclitico) 134. sovrana, vulva (fig.) 373. sperella, spera del sole, raggio o

chiarore solare che filtra tra le nubi. 375.

'spettava, aspettava 638. spicciatore, pettine a denti radi

312-313. spigni, spingi 617. spizzicata, spizzicatura 395, 412.

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spòjja, spoglia 289-292. sponnà, sfondare 181. 'ssaggialla, assaggiarla 477. Stabbia, Pian Paradisi (contrada rurale)

275. stagnino, idraulico, lattoniere 456. stàvino, stavano 96. stemo, stiamo 258. stenneva, stendeva i panni 331. stènnite, stenditi! 154. Stimijjano, Stimigliano (RI) 280. streppo, sterpo, ramo 163. strillato, sgridato 442. stuccata, spezzata 641. sua, suoi 131. Suriano, Soriano 286. svejji, svegli (vb.) 231.

tajja, taglia (vb.) 58, 270. tajjato, tagliato 177-178. tàjjino, tagliano 434-435. tata, babbo 21, 222, 265. tévele, tegole 110. tiè', tiene 384. tiè', tieni! 472. tiètte, tieniti! 358. tigna, ostinazione (fig.) 13. tìrijjala , tiragliela! 170-171. tìrili , tìrali! 155. tirittònghite, dagli di nuovo! (ideofono)

383-384. Titta, Battista (ipocor.) 34. tómmala, tombola 436. tonna, rotonda 126. tonno, rotondo 77, 93, 282, 351-352. torroncì', torroncino (forma

tronca) 325. tòtoro, pannocchia di granturco 142. tramundana, tramontana 371-372. tranve, tram 461. trendadu', trentadue 108. trìbbala, tribola 199.

trita, trebbia (vb.) 624-625. tròva', trovare 320. 'ttaccati, attaccati 161. tu', tuo 194.

ua, uva 175-176, 180. urchio, orco 42.

vago, acino, chicco 175. vàttine, vattene! 433. védino, vedono 434-435. vène, viene 327. vènghi, vieni 601. vènghino, vengono 19, 200, 402, 443. venne', vendere 86. venne, vende 86, 278-279. vennuta, venduta 285-286. vennuto, venduto 490, 640. viè', viene 56-57, 147, 149, 302, 310-

312, 334, 368, 384, 584, 611, 639. viè', vieni! 130, 272, 348-350. vièi, vieni 309, 485, 603. vièngo, vengo 320. vilo, filo 157. viore, fiore 369. vò', vuole 1-5, 21, 38, 54, 57, 83,

255, 312, 366, 395, 412, 576, 595, 611, 613, 639.

vòi, vuoi 8-9, 87, 210, 273, 322, 365, 533, 610-611.

vòjjo, voglio 20, 55, 188, 272, 319, 324, 414, 528, 544-545, 565, 605-606, 610, 632.

volà, falpalà, gala 6. volemo, vogliamo 337, 571. vònno, vogliono 3, 611. vordà, voltare 571. vòrda, giravolta 571.

vòrda ('na ~), una volta 247, 249-254. vordàdive, voltatevi! 563. vordata, voltata 571. vòrde, volte 309, 485.

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zambata, pedata 574. zambe, zampe 87. zardo, salto (s.m.) 636. zibbibbo, zibibbo 477. Zimo' (san ~), San Simone 37-38. Zinvaròsa, Sinforosa 428. zinnà, poppare, succhiare il latte

dal seno materno 3. zisa, poppa, mammella 62, 331. zò', sono (3 plur.) 269, 281. zòr, signore 508. zomba, salta! 326-327, 475, 582. zombare, saltare 475. 'zzoppata, azzoppata 47-48. zordadì', soldatino (forma tronca) 254. zòrdo, soldo 442.

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INDICE GENERALE

pag.

BIBLIOGRAFIA.........................................................................................................7

NOTA INTRODUTTIVA.........................................................................................13

AVVERTENZA ........................................................................................................23

ABBREVIAZIONI E SIMBOLI USATI ..................................................................26

NINNE NANNE...................................................................................................27 1. * Ninna-ò, ninna-ò ........................................................................27 2. * Ninna popò, ninna popò.............................................................27 3. Ninna-ò, ninna-ò ...........................................................................27 4. Ninna-ò ninna-ò ............................................................................27 5. Ninna-ò, ninna-ò ...........................................................................27 6. Ninna nanna, pupo bbello, ............................................................27 7. * Fate la ninna...............................................................................28 8. Fate la ninna, se tte voi ddormire:.................................................28 9. Fate la ninna, se tte voi ddormire:.................................................28 10. Fate la ninna ch'è ppassato Peppe, ................................................28 11. Fate la ninna ch'è ppassato 'l-lupo:................................................28 12. Fate la ninna ch'è ppassato 'l-lupo.................................................28 13. Fate la ninna, bbello de mamma,...................................................28 14. Fa' la ninna, fa' la nanna................................................................28 15. Fa' la ninna ch'ecco la micia..........................................................29 16. Faté la ninna, bbámbinello riccio, .................................................29 17. * Fa' la ninna, ìtolo mio,................................................................29 18. Fa' la ninna popò...........................................................................29 19. Fijjo mmio, Doménico sando,.......................................................29 20. Fijjo mmio, nun de morì ...............................................................29 21. È stato lo vendo ............................................................................30 22. O ssonno o ssonno, che de qqui ppassasti.....................................30 23. Dindirindì ddindirindì ...................................................................30 24. Nina macigna ................................................................................30

I MOVIMENTI DEL CORPO..............................................................................31 25. * Bbùttolo bbùttolo bbùttolo via ...................................................31 26. * Staccia stacciola .........................................................................31

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27. * Seta setola...................................................................................31 28. * Seta setola...................................................................................31 29. Seta setola......................................................................................31 30. Seta setola......................................................................................31 31. Seta moneta ...................................................................................32 32. Seta moneta ...................................................................................32 33. Sega sega lo segató' .......................................................................32 34. Sega sega, mastro Titta,.................................................................32 35. Din-dò ddumani è ffesta, ...............................................................32 36. Dindolò dindolò ............................................................................33 37. Dindolò dindolò ............................................................................33 38. Dindolò dindolò ............................................................................33 39. Prucci prucci somaretto .................................................................33 40. * Prucci cavalli ..............................................................................34 41. Prucci prucci cavallucci.................................................................34 42. Prucci prucci cavallucci.................................................................34 43. * Prucci prucci cavallucci..............................................................35 44. Prucci prucci cavallucci.................................................................35 45. Prucci prucci cavallucci.................................................................36 46. Cavallino arrì arrò .........................................................................36 47. * - Chi è cche vva (a) ccavallo?.....................................................37 48. - Arri Roma. ..................................................................................37 49. * - Chicchirichì le tre ggalline. ......................................................37 50. - Cuccurucù le tre fformiche..........................................................38 51. * Ggi-ro ggi-ro ton-do ...................................................................38 52. Ggira ggira rosa.............................................................................38 53. Ggira ggira rosa.............................................................................38 54. Ggiro ggiro-ton-no ........................................................................39 55. * Ggiro ggiro-tondo.......................................................................39 56. * Pumbara pumbara.......................................................................40 57. * Scalla scalla mano ......................................................................40 58. Micia micia....................................................................................40

LE PARTI DEL CORPO ......................................................................................41 59. 'Mbrio 'mbrio 'mbrò.......................................................................41 60. * Cianghe cianghine ......................................................................41 61. * Pumpara pumpara.......................................................................41 62. Bbatti le mani ch'è mmorta la micia: .............................................41 63. * Sopré 'sta bbella piazza...............................................................41 64. Questa è 'na bbella piazza..............................................................41 65. * Pòlli ce: ho ffame.........................................................................41 66. * Pòlli ce: è ccascato dendro 'o pozzo. ...........................................42

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67. * Questo (√: 'o lepre) casca dendro 'o pozzo.................................42 68. Pìzzico menuto..............................................................................42 69. * Chi cc'è ggiù ccasa d''a commare gorpe?....................................42 70. Questo è ll'occhiuccio. ..................................................................43 71. * Questo è ll'occhio bbello. ...........................................................43 72. * Mondecucco...............................................................................43 73. * Fronde. .......................................................................................43

INDOVINELLI ....................................................................................................44 74. Ggennaro 'ngènnara ......................................................................44 75. * Più 'a tiri .....................................................................................44 76. * 'O sai quandi ggiri ......................................................................44 77. Qual è quell'animale......................................................................44 78. * Va ggiù rridenno ........................................................................44 79. * Bbevo acqua e nun gi-ho acqua .................................................44 80. Cori corenno .................................................................................44 81. Curri currero .................................................................................45 82. Ficca ficchella ...............................................................................45 83. Pe' ppià mmojje ce vo': .................................................................45 84. 'A sòciara d''a mojje de tu' fradello ...............................................45 85. Chi lla fa nu-lla 'ddopra,................................................................45 86. * Chi lla fa, la fa ppe' vvenne'; ......................................................45 87. * Scappá dar bosco un grand'animalaccio,....................................45 88. * Du' lucendi .................................................................................46 89. Du' lucendi ....................................................................................46 90. Nun guardà che cci-ho le corna,....................................................46 91. Il patre è llungo lungo, ..................................................................46 92. Bbella donna d'arto palazzo ..........................................................46 93. * Tonno bbistonno ........................................................................46 94. Tombolì' che ttombolava...............................................................47 95. Pendolì' che ppendolava................................................................47 96. Du' piè' sopr'a ttre ppiè' .................................................................47 97. Du' piè' sta a ssede' su ttre ppiè', ...................................................47 98. Ce magnamo 'm bollastro stasera ..................................................48 99. * Da véndi-cingue .........................................................................48 100. Ggioveddì andiedi a ccaccia, .......................................................48 101. * In gelo ce n'è uno ......................................................................48 102. * In gelo c'è, in derra nun g'è.......................................................48 103. * De qqua e dde llà ddar mare .....................................................48 104. * Su pp''a cùppala per aria............................................................49 105. * Sott''o ponde nicche nacche ......................................................49 106. Sotto 'o ponde ciffe ciaffe ............................................................49

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107. Mille cavalliè' dde Frangia ...........................................................49 108. * Trendadu' cavalli bbianghi: .......................................................49 109. Cci-ho mmille cavalli rossi:..........................................................49 110. * Ci-ho 'm brango de cavallucci: ..................................................50 111. Ci-ho 'm brango de pècore nere:...................................................50 112. Ci-ho 'na fila de fratini..................................................................50 113. * Io ci-ho 'na cupertaccia:.............................................................50 114. Io ci-ho 'na crapetta ......................................................................50 115. Ci-ho 'na servetta..........................................................................50 116. Io ci-ho 'na cassetta ......................................................................50 117. Io ci-ho 'm brado: .........................................................................51 118. C'è 'n gambo fior fiorellato:..........................................................51 119. * Io ci-ho 'l-lenzolo tutto ricamato,...............................................51 120. Ci-ho ccend'occhi e nun ge vedo, .................................................51 121. Io ci-ho 'na cosa cosella................................................................51 122. * Cci-ho 'na cosa ..........................................................................51 123. Io ci-ho 'na cosa............................................................................51 124. Io ci-ho 'na cosa............................................................................52 125. Io ci-ho 'na cosa arata...................................................................52 126. Cci-ho 'na cosa tonna tonna..........................................................52 127. Ci-ho 'na cosa liscia liscia, ...........................................................52 128. Ci-ho 'n gosetto liscio liscio, ........................................................52 129. Ci-ho 'na cosa lunga 'm barmo,.....................................................52 130. Io ce ll'ho, tu nun ge ll'hai,............................................................52 131. * Io ci-ho u'-'nduvinarello.............................................................53 132. * Bbiango me lo metto .................................................................53 133. Lo metto dendro bbiango e rroscio,..............................................53 134. Bbiango rosso e scappucciato ......................................................53 135. Piando 'o passó', ...........................................................................53 136. Annàmocene a ddormì 'na bbella coppia......................................53 137. * Um beloso de qqua....................................................................53 138. * Peloso de fora............................................................................53 139. * Péll'amor de Ddio, mastro Pietro,..............................................54 140. Arza sù lla camicetta indando indando .........................................54 141. * Quattro de strapazzo,.................................................................54 142. * Monzignore va pell'orto,............................................................54 143. Sopre 'm-mondicello.....................................................................54 144. * 'O padre nasce ...........................................................................54 145. Papà 'o ddrizza .............................................................................54 146. * Drizza scanizza..........................................................................55 147. * Mi' marito viè' a ccasa 'nvojjato.................................................55 148. Mio marito bber cocò...................................................................55

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149. * Mi' regazzo viè' dda Milano......................................................55 150. * Du' òmmini ponno fà.................................................................55 151. Pendolì' che ffra le gambe penne .................................................55 152. C'era mi' madre sopra 'na cassa....................................................56 153. Gràvida so' e ggràvida me sendo..................................................56 154. Catena lunga stènnite ggiù, ..........................................................56

SCIOGLILINGUA ...............................................................................................57 155. Tre ttravi 'ndravati tìrili su ...........................................................57 156. Dendro la bbotte de zzi' frate .......................................................57 157. * Un vilo de fien greco.................................................................57 158. 'N garzon curto.............................................................................57 159. Che jjodi ......................................................................................57 160. Dietro quer palazzo......................................................................57 161. Tre mmazzi de carze ....................................................................57 162. * Sopre u-rrìppise rìppise frasca ..................................................57 163. La pica sopre lo streppo...............................................................57 164. * Pisa porta il pepe ar papa..........................................................58 165. * Oggi seren non è, ......................................................................58 166. * Apelle fijjo d'Apollo .................................................................58

CHIAPPARELLI..................................................................................................59 167. * - Ajjo! .......................................................................................59 168. - 'Nduvina 'nduvinajja ..................................................................59 169. * - Ma', cci-ho ffame!...................................................................59 170. - Ma', cci-ho ffame!......................................................................59 171. - Ma', ci-ho ffame! .......................................................................59 172. * - Che cc'è pe' ccena? .................................................................59 173. * - Ma', che cc'è pe' ccena? ..........................................................59 174. - Ch'ì fatto a ccena?......................................................................59 175. * - Ma', mme fa mmal(e) 'a panza! ...............................................60 176. * - A cche ggiogo ggiogamo? ......................................................60 177. * - Me so' ttajjato! ........................................................................60 178. - Me so' ttajjato!...........................................................................60 179. - A cche ffà?.................................................................................60 180. - Mamma mia!..............................................................................60 181. * - Bèè! ........................................................................................60 182. * - Chicchirichì! ...........................................................................60 183. * - Bbona sera!.............................................................................60 184. * - Bbona notte! ...........................................................................61 185. * - Grazzie! ..................................................................................61 186. * - Permesso?...............................................................................61 187. * - Appresso? ...............................................................................61

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188. * - Perdono!..................................................................................61 189. - Eccì!...........................................................................................61 190. - Te saluta.....................................................................................61 191. * - Me pìzzica...............................................................................61 192. - Ma cch'ì paura? ..........................................................................61 193. - Che mme dai?...'na cosa? ...........................................................62 194. - Che tt'ha fatto tu' regazzo? .........................................................62 195. - Mannaggia..................................................................................62 196. * - Capace.....................................................................................62 197. * - Perché?....................................................................................62 198. * - Allora?... .................................................................................62 199. * - Poi doppo? Poi doppo? ...........................................................62 200. * - E ppoi e ppoi? .........................................................................62 201. - E ppoi e ppoi? ............................................................................62 202. * - Ch'è ssuccesso? .......................................................................62 203. - Cch'ì fatto!?................................................................................63 204. - Cch'ì visto?.................................................................................63 205. - Te l'ho ddetto! ............................................................................63 206. - Mo' che ffo? ...............................................................................63 207. * - Come fo?.................................................................................63 208. * - Te 'mbiccia? ............................................................................63 209. * - Ah regazzì', che sta' ffà llì?......................................................63 210. - Ah regazzì', chi ssì?....................................................................63 211. - E cche tte jjami Cremende? .......................................................64 212. * - 'St'orologgio è dd'oro...............................................................64 213. * - ...è dd'oro.................................................................................64 214. - Che stai a fà?..............................................................................64 215. - Che stai a ffà?.............................................................................64 216. - Do' vai?... ...................................................................................64 217. - Fa ccallo!....................................................................................64 218. * - Piove! ......................................................................................64 219. - Fiocca! .......................................................................................64 220. - Ha nevicato! ...............................................................................65 221. * - Sona mezzuggiorno... ..............................................................65 222. - Papà!... .......................................................................................65 223. * - Ha' raggione!...........................................................................65 224. * - Bbella!.....................................................................................65 225. * - Stùpida! ...................................................................................65 226. - Stùpida!......................................................................................65 227. - Stronza!......................................................................................65 228. - Lópini dorgi! ..............................................................................66 229. * - Ah quell'o'! ..............................................................................66

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230. * - Ah quella fe'! ..........................................................................66 231. - Ah quella do'! ............................................................................66 232. * - A e i o u... ...............................................................................66 233. * - Di' um bo' mi' padre è 'n gale uno ...........................................66 234. * - Uno ddue e ttre... ....................................................................66 235. * - Uno ddue e ttre .......................................................................66 236. - Uno ddue e ttre ..........................................................................67 237. - Quattro.......................................................................................67 238. - Quattr'e qquattr'otto ...................................................................67 239. * - Cingue.....................................................................................67 240. * - Sei...........................................................................................67 241. * - Otto.........................................................................................67 242. - Nove... .......................................................................................67 243. * - Sédici... ...................................................................................67 244. * - Trenduno... .............................................................................67 245. * - Cendo......................................................................................68 246. * - Ccendo....................................................................................68

FORMULE E VERSI APPARTENENTI A FAVOLE, FAVOLE SENZA FINE69 247. * C'era 'na vorda Dìmmolo e Ddàmmolo: ....................................69 248. Erino tre che 'nnàvino a ccaccia:..................................................69 249. * C'era 'na vorda ur-re..................................................................69 250. C'era 'na vorda un re ....................................................................69 251. C'era 'na vorda .............................................................................69 252. * C'era 'na vorda...........................................................................69 253. * C'era 'na vorda um padre (e) 'na madre, ....................................69 254. * - C'era 'na vorda un zordadì'... ...................................................70 255. - 'A pastocchia de Pistello............................................................70 256. - Io so lla fàvola ...........................................................................70 257. Pastocchia mia nun è ppiù llunga.................................................70 258. Pastocchia pastocchia ..................................................................70 259. Stretta la fojja...............................................................................70 260. 'O celo co' 'e stelle........................................................................71 261. Er celo co' 'e stelle .......................................................................71 262. Me diédero 'na polaccaccia..........................................................71 263. Piccichino passava 'r fiume..........................................................71 264. Bbulli bbulli, pignattella, .............................................................71 265. Bbulli bbulli, callarella, ...............................................................71 266. 'O prete de ddindirindì .................................................................71 267. * Pecoraretto sònime bbe' ............................................................72 268. A lletto a lletto, ............................................................................72 269. Quandi sete qua ddendro?............................................................72 270. - Chi cc'è ggiù (a)ll'orto?..............................................................72

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271. * - È nnùvolo e mmártemb'è.........................................................72 272. * - O bbiscì', va' pper acqua! ........................................................73 273. Er domo: Ho ffame! Ho ffame! ....................................................73

BLASONI POPOLARI.........................................................................................74 274. * Si Ffàlleri nun falliva.................................................................74 275. Cìvita Castellana ..........................................................................74 276. * Catamello 'o paese d''o sconforto:..............................................74 277. * Majjano cornuto ........................................................................74 278. * Majjano Sabbina........................................................................74 279. Majjano Sabbina ..........................................................................74 280. * Fojja bbatte................................................................................74 281. Fojja piandata sopre 'n dufo .........................................................75 282. * Sando Polo e Ttarano ................................................................75 283. San Dolomeo de Nepi, .................................................................75 284. Nepi città ddolende ......................................................................75 285. Prìngipi e ccavalliè' so' lli romani.................................................75 286. Prìncipi e ccavalier so' li romani ..................................................75 287. A Otrìcoli i bbenvenuti.................................................................76 288. Terni tiranni..................................................................................76 289. * Foligno 'nfojja ...........................................................................76 290. * Foligno 'nfojja, ..........................................................................77 291. Fuligno fojja, ................................................................................77 292. * Foligno 'nvojja,..........................................................................77 293. * Peruggia purga,..........................................................................78

I GIORNI DELLA SETTIMANA E I MESI DELL'ANNO .................................79 294. Luneddì è ssa-Llunetorio..............................................................79 295. Luneddì tte pagherò......................................................................79 296. La bbella che ss'è pperza la conocchia .........................................79 297. Luneddì luneddiai,........................................................................79 298. Din-din-dì.....................................................................................80 299. * Ggennaro 'ngènnera...................................................................80 300. * Marzo marzeggia,......................................................................80 301. Maggio fiorito ..............................................................................80 302. Pasqua Bbefania ...........................................................................80 303. * 'A Cannelora..............................................................................80 304. * Cannelora Cannelora .................................................................80 305. Due sanda Bbibbiana,...................................................................81 306. * Sanda Lucia ...............................................................................81

FILASTROCCHE E CANTI DI QUESTUA, CANTI LEGATI A FESTIVITA' DELL'ANNO ........................................................................................................82

307. A Ccapodanno..............................................................................82

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308. 308. Ccìchele ccìchele .................................................................82 309. Parma parmarella, ........................................................................82 310. La Bbefana viè' dde notte.............................................................82 311. * La Bbefana viè' dde notte..........................................................82 312. È vvenuta la Bbefana ...................................................................82 313. È uscita dalla tana ........................................................................83 314. Bbona Pasqua ..............................................................................83 315. * Sand'Andogno c''a bbarba bbianga,...........................................84 316. Ddumani è ffesta..........................................................................84 317. * Carnevale jjotto.........................................................................84 318. Carésima bbaffuta ........................................................................84 319. Ècchime, signora nonna, ..............................................................84 320. Ècchime, sora nonna, ...................................................................85 321. Curri curri, scardaó', ....................................................................85 322. * Bbone feste e bbon Natale ........................................................85 323. Bbone feste e bbon Natale ...........................................................85 324. La ninna nanna, mio caro Bbambino, ..........................................85 325. Bbambinello mio grazzioso, ........................................................86 326. 'A notte de Natale è nnotte sanda.................................................86 327. Zzomba, pècara, bballa, pècara! ..................................................86 328. * San Giuseppe vecchiarello ........................................................87 329. * Stanotte a mmezzanotte .............................................................87 330. Maria lavava ................................................................................87 331. * Maria lavava .............................................................................88

ORAZIONI...........................................................................................................89 332. Madonna bbenedetta....................................................................89 333. Io me ne vado a lletto...................................................................89 334. M'inginocchio a qquel scalino .....................................................89 335. Venite, àngeli santi, .....................................................................89 336. * Ggesù quann'era pìccolo ggiocava ............................................89 337. Ggesù quann'era pìccolo ggiocava...............................................90 338. Quìndici misteri der rosario. ........................................................90 339. Sam Pasquale Bbailonne..............................................................90

PARODIE DI ORAZIONI E DI CANTI RELIGIOSI .........................................91 340. * Allelujja allelujja ......................................................................91 341. A vvoi donamo er core.................................................................91 342. * Sanda Maria:.............................................................................91 343. * Dòmmine subbisco:...................................................................91 344. Pissi pissi .....................................................................................91 345. Signore Signore, ..........................................................................91 346. È mmorto sguìnzeo ......................................................................91

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347. È mmorto 'o véscovo ....................................................................92

FORMULE DI SCONGIURO, DI INCANTESIMO O DI GIURAMENTO, CANTILENE SU FENOMENI ATMOSFERICI .................................................93

348. * Lùccica lùccica viè' cco' mme,...................................................93 349. * Lùcciola lùcciola viè' dda me, ...................................................93 350. Lùccica lùccica pappagalla, (!).....................................................93 351. * Fargo fargaccio,.........................................................................93 352. Fargo farghetto, ............................................................................93 353. * Ciumaga ciumaga, .....................................................................93 354. Cucculo mio cucculo ....................................................................94 355. Cucculo, mio cucculo, ..................................................................94 356. * Tutto per te, ...............................................................................94 357. * Signozzo signozzo,....................................................................94 358. Muro muro novo,..........................................................................94 359. Secca 'a spiga................................................................................94 360. Caca culo......................................................................................94 361. * Ggiuro straggiuro ......................................................................95 362. Si tte credi che tte pulizza, ...........................................................95 363. Sangue sanguinella, ......................................................................95 364. * Penna inghiostro calamajjo........................................................95 365. Amor, se mmi voi bbe', me fai 'na rosa,........................................95 366. Si mme vo' bbe' la mi' morosa, .....................................................95 367. * Piove e cc'è 'o sole,....................................................................95 368. Piove e cc'è 'o sole,.......................................................................95 369. * Piove e ppió sole, ......................................................................95 370. * Piove e ppiovìccica....................................................................96 371. * Tira tira tramundana ..................................................................96 372. Tira tira tramundana.....................................................................96 373. Tira tira tramondana.....................................................................96 374. Se ttira 'a tramondana, ..................................................................96 375. Bbe-bba-bbà.................................................................................96

TIRITERE DILEGGIATIVE SU NOMI DI PERSONA......................................97 376. * 'Ndrea 'Ndrea 'Ndrea .................................................................97 377. Annìbbale .....................................................................................97 378. * 'Ndonio ......................................................................................97 379. * Bbiaggio ....................................................................................97 380. * Zzugutuzzù la mojje de Carlo.....................................................97 381. Carolina, famme lume, .................................................................97 382. Ecco che ppassa la sora Colomba,................................................97 383. Tirittónghite, Ménica mia,............................................................97 384. Tando va, tando viè', ....................................................................98

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385. Donato .........................................................................................98 386. * Ernesto ......................................................................................98 387. * Ernesto ......................................................................................98 388. Mastro Pippo ferratore,................................................................98 389. * Pippo,........................................................................................98 390. * Filumena ...................................................................................98 391. Filomè', ........................................................................................98 392. La sora Checca.............................................................................99 393. La sora Checca.............................................................................99 394. Ggiacomino Ggiacomino, ............................................................99 395. * Ggiuanni Bbordò.......................................................................99 396. * Ggiuanni Ggiuanni....................................................................99 397. * Peppe bbomba...........................................................................99 398. Lavora Isa! ...................................................................................99 399. La sora Laura bben gombosta ......................................................99 400. Laorina Laorina ...........................................................................99 401. La sora Laura .............................................................................100 402. La sora Laura .............................................................................100 403. * Lodovico.................................................................................101 404. * Oppe oppe...............................................................................101 405. * Ggiggi Ggiggi .........................................................................101 406. * Ggiggi Moriggi .......................................................................101 407. * Tu, Rrocco, .............................................................................101 408. * Marco Marcaccio ....................................................................101 409. * Margherita fa llo pa', ...............................................................101 410. Sora Maria .................................................................................102 411. Maria..........................................................................................102 412. * Maria Cocò .............................................................................102 413. Commare Marì', .........................................................................102 414. Mariòccola capelluta,.................................................................102 415. * Zzugutuzzù Mmariggiuanna, ...................................................102 416. * Mariarosa Mariarosa, ..............................................................102 417. Marta,.........................................................................................102 418. * All'osteria de Màssimo............................................................103 419. * Micchele .................................................................................103 420. * Nello bbudello ........................................................................103 421. * Nicola......................................................................................103 422. Nicolì' Nicolò.............................................................................103 423. Nicolì' Nicolò.............................................................................103 424. Primo era primo. ........................................................................103 425. Renata Renata ............................................................................103 426. Rosa pelosa, ...............................................................................103

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427. * Sarvatore sarva tutti.................................................................104 428. Zinvarosa coll'aroplano, .............................................................104 429. Susanna ......................................................................................104 430. Teresina tabbaccona...................................................................104

FILASTROCCHE DILEGGIATIVE O SCHERZOSE SU PERSONE..............105 431. * Roscio marpelo,.......................................................................105 432. * Cacasotto .................................................................................105 433. * Vàttine a lletto, bbomma, ........................................................105 434. * Si tte védino i bbiferari............................................................105 435. * Si tte védino i bbiferari............................................................105 436. Mannaggia sacch'e ttómmala......................................................105 437. * Tizzo tozzo..............................................................................105 438. Grassa bbudella ..........................................................................106 439. * Cciccio bbomma cammeriere ..................................................106 440. * Bboccio dell'acqua ..................................................................106 441. * Zzucca pelata co' ssette capelli ................................................106 442. Mucio 'ndendo callararo .............................................................106 443. Gnudázzala gnudázzala ..............................................................106 444. * 'A ciuetta su 'o mazzolo ...........................................................106 445. La signora der tupè.....................................................................107 446. La signora di Lolò ......................................................................107 447. 'O regazzo c''a regazza................................................................107 448. Mojje e mmarito.........................................................................107 449. * Sette quattòrdici venduno vendotto .........................................107 450. Corpo de Bbacco perdico sannella .............................................107 451. Vecchiarella c''o culo pezzuto ....................................................107 452. * Rid'e ppiagne...........................................................................107 453. * Ridi ridi ...................................................................................107 454. Caro combare, te faccio sapere...................................................108 455. * Congolina congolina................................................................108 456. Peruzza peruzza..........................................................................108 457. Mirelicche è 'nnato in Frangia ....................................................108 458. A le bbirbe, cari fratelli, .............................................................108 459. * Cristòfolo Colombo.................................................................108 460. * Alla larga, alla stretta...............................................................108 461. * Pinocchio im bicicletta ............................................................108 462. * Pinocchio im bicicletta ............................................................109 463. * Pinocchietto va 'r caffè............................................................109 464. * Spia spió', ................................................................................109 465. * Ci-hai creduto..........................................................................109 466. * L'ha' guardato, l'ha' smirato, ....................................................109 467. * Zzi' frate cappuccì'...................................................................109

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468. * Ori ori .....................................................................................109 469. * Pia su e pporta a ccasa ............................................................109 470. * La rota e lla candata ppulì ppulì ppulà. ...................................109 470. Rosina è 'nnamorata, chi sse la sposerà?....................................110 471. Fanàtica 'ndipàdica,....................................................................110 472. - Chi cci-ha la rabbia 'n gorpo....................................................110 473. È mmorto 'o pidocchio:..............................................................110 474. *Maramao, perchè ssì mmorto? .................................................110 475. * Zzomba, grilletto, zzomba, .....................................................110 476. * Topolino topoletto ..................................................................111 477. * Tiritalla tiritalla.......................................................................111 478. Sand'Ambrocio ci-aveva 'n gallo................................................111 479. Ciucciurummella ci-aveva 'na mula, ..........................................112 480. Lero lero ....................................................................................112 481. Bbenedetto fra' Mmartello .........................................................112 482. Quanno la capra ce va (a) ccecio, ..............................................112 483. Co' 'na pizza ...............................................................................112 484. * Chi sta 'm bizzo.......................................................................112 485. * Panico panico..........................................................................112 486. * Mannaggia 'r diavoletto...........................................................113 487. * - Scopìa scopìa........................................................................113 488. * - Sì 'nnato a Rroma,.................................................................113 489. Er fornaro de Via Ripetta...........................................................113 490. E-rre del Portogallo ...................................................................113 491. Io so 'na canzongina corta corta .................................................113 492. Io so 'na canzongina corta corta .................................................113 493. Favorite e nun ve 'ccostate: ........................................................114 494. Magnate, fijji, quando volete: ....................................................114 495. * Silenzio perfetto......................................................................114 496. Pecoraretto magnaricotta ...........................................................114

CONTE...............................................................................................................115 497. * Pi-ri-pi-ri-pi-cchio...................................................................115 498. * Bi-mbu-mbà ............................................................................115 499. Bbi-mbu-mbà.............................................................................115 500. Bbi-mbu-mbà.............................................................................115 501. Fazzoletto ricamato,...................................................................115 502. * Passa Paperino ........................................................................115 503. Trovato um biscotto...................................................................116 504. Pomodoro oro oro......................................................................116 505. Ggiggi Ggiggi ............................................................................116 506. * Mi chiamo Lola.......................................................................116 507. Tre ttazzine di caffè...................................................................116

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508. * Uno ddue e ttre ........................................................................116 509. Lavare le mani............................................................................117 510. Conda conda quìndici:................................................................117 511. * Sotto la cappa del cammino.....................................................117 512. Sotto ar ponde ............................................................................117 513. Sotto 'l ponde..............................................................................117 514. * Sotto il ponde di Verona..........................................................118 515. * Sotto il ponde di Verona..........................................................118 516. * Sotto il ponde di Bbaracca ......................................................118 517. Sotto il ponte di Bbaracca ..........................................................118 518. Sotto il ponte di Milacca ............................................................118 519. * Pon-de po-nen-de (e-)ppon-de ppì...........................................119 520. * Tunzi tenzi tinzi .......................................................................119 521. Unzi donzi trenzi.........................................................................119 522. Unzi dunzi trenzi.........................................................................119 523. Nècchete pècchete......................................................................119 524. * Ai-bbá rácche-ttà .....................................................................119 525. A-bbá bbá-cche-ttà .....................................................................119 526. A-bbá bbá-cche-ttà .....................................................................120 527. Bbu!............................................................................................120 528. * A-mble-mblè............................................................................120 529. * A-mba-ra-pà cci-ccì cco-ccò ...................................................120 530. * A-ngli-nglò ..............................................................................120 531. A-ngli-nglò.................................................................................121 532. * A-bbi-cci-dì .............................................................................121 533. * - Bbu! ......................................................................................121 534. - Cinesino di Sciangai.................................................................121 535. * - Milano Torino una bbella città..............................................121

GIOCHI A PALLA E GIOCHI A CORDA ........................................................123 536. * Ho una mela ............................................................................123 537. * Tre asinelli...............................................................................123 538. Acqua sorgende..........................................................................123 539. Partenza una ...............................................................................123 540. Entrai im bottega ........................................................................123 541. Palla ovo uno..............................................................................124 542. * Palla pallina.............................................................................124 543. Palla pallina................................................................................124 544. Palla uno, palla due ....................................................................125 545. Palla uno, palla due, palla tre, ....................................................125 546. * Movèndomi .............................................................................125 547. * Movèndomi .............................................................................126 548. * Ciro cironte..............................................................................126

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549. So-riè .........................................................................................127 550. Uno due tre e qquattro ...............................................................127 551. Uno due tre ................................................................................127 552. Uno: passa 'l-lupo ......................................................................127 553. * Mela ........................................................................................128 554. * Aiuto sorella............................................................................128 555. * - È vvero che lla signorina se sposa X?...................................128

CANTI E CANTILENE PER ACCOMPAGNARE ALTRI GIOCHI ...............129 556. * Im-mezzo a qquesto cìrcolo.....................................................129 557. La condadinella che ssémina 'l grano.........................................129 558. La contadina che ssémina 'r grano .............................................129 559. La contadinella che ssémina il grano .........................................130 560. L'andro ggiorno ner mio ggiardinetto ........................................130 561. Ner mio ggiardino cci so' cciliegge............................................131 562. Rosa rosella................................................................................131 563. Bballate, bballate, vérgini, .........................................................131 564. Bbella, che ddormi sul letto di fiori ...........................................132 565. - Che ccosa porti in testa............................................................132 566. È 'rrivato 'l pescatore..................................................................133 567. - O qquande bbelle fijje, madama Dorè, ....................................133 568. - Oh cche bber castello...............................................................134 569. - O mmadonna ppollarola, .........................................................135 570. * Ecco qqua questá vecchiaccia .................................................135 571. - Gala gala sole ..........................................................................136 572. Primo: mond'e la luna. ...............................................................136 573. Primo: mond'e la luna ................................................................137 574. Uno: mond'e la luna. ..................................................................137 575. Alla fresca inzalatina..................................................................138 576. Alla fresca 'nzalatina ..................................................................138 577. * Bbocca mia bbocca tua ...........................................................138 578. * Alla mano di papà ...................................................................138 579. * A la làmbina a la làmbina........................................................138 580. Nicche nacche............................................................................139 581. Bbiribbibbì.................................................................................139 582. Zzomba padella..........................................................................139 583. 'A sedia der papa........................................................................139 584. Cengio mollo viè' dda te: ...........................................................139 585. Sega seghetta .............................................................................139 586. Bbella villana.............................................................................139 587. * Pizza ricotta ............................................................................140 588. - Passeggio ppasseggio ..............................................................140 589. Ti rigalo questo fiore .................................................................140

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590. Stanotte a mmezzanotte ..............................................................140 591. Rosa e ggiglio.............................................................................140 592. * 'E colonne de sam Biedro ........................................................141 593. * - Mazzabbubbù........................................................................141 594. * Reggina regginella,..................................................................141 595. * Lucia ci-ha le trecce ................................................................141 596. - Topo che ffai? ..........................................................................141 597. - Scalì 'nzalì, scalì 'nzalì ..............................................................142 598. Sam Bietro sam Bàvolo..............................................................142 599. - Angelo, bbell'àngelo,................................................................142 600. - Fornaretta, è ccotto 'l pane? .....................................................142 601. - G(r)attaceca jjotta jjotta ...........................................................142 602. * Lupo che ffai?..........................................................................143 603. - Commà', viei all'acqua?............................................................143 604. - Commà', ì visto i picciongini mii?............................................143 605. - Commà', ì visto gnende 'o fidanzato mio?................................144 606. Tinda tindàvola...........................................................................144 607. * Piso pisello ..............................................................................145 608. - 'Ndilì 'ndilì................................................................................145 609. O ddonna pollinara, ....................................................................145 610. C'era un grillo in un cambo de lino.............................................146 611. Uno! ...........................................................................................147 612. La tarandella l'ha ricacciata ........................................................148 613. - Dove vai, dove vai, bbella fandina? (bis).................................149

APPENDICE.......................................................................................................150 614. Bbatti le mano che ecco la micia................................................150 615. - Ma' ho ffame!...........................................................................150 616. - Ho ssete! ..................................................................................150 617. - Come va? .................................................................................150 618. - Bbongiorno, signora! ...............................................................150 619. - Permesso ? ...............................................................................150 620. - Ch'ì fatto a ppranzo?.................................................................150 621. Ggiuanna, quanda sémmola ci-hai! ............................................150 622. - Sàbbito doménica e lluneddì. ...................................................150 623. * Bbella signora..........................................................................151 624. Trita trita porta a ccasa...............................................................151 625. Trita trita la formica ...................................................................151 626. * Questo se jjama Pietro.............................................................151 627. Trìcchete ttràcchete trallallà .......................................................151 628. Brìcida........................................................................................151 629. Ggirò Ggirò................................................................................151 630. Ecco Rosanna.............................................................................151

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631. * Padr'e mmadre.........................................................................151 632. Angiolino mio carino, ................................................................151 633. Bbambinello mmeo meo ............................................................152 634. * Vedo la luna, vedo le stelle .....................................................152 635. * Amore, spicchio d'ajjo, ...........................................................152 636. * La bbella lavanderina..............................................................152 637. Fate la ninna ch'è ppassato Peppe, .............................................152 638. Seta moneta................................................................................153 639. E nun giova cantà la nanna ........................................................153 640. Maccaroni, maccaroni,...............................................................154 641. Bbàllolo bbàllolo lungo .............................................................154

ELENCO DEI PRINCIPALI INFORMATORI ......................................................155

NOTE ......................................................................................................................159

GLOSSARIO...........................................................................................................223

INDICE GENERALE..............................................................................................237