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Meme pere meme mere

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testi sul film

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Meme père meme mère nasce ed è realizzabile grazie all'aiuto di 760 co-produttori!

(progetto scritto nel periodo di produzione del film)

Ripartiamo con una nuova produzione dal basso basandoci sull'esperienza di “13 variazioni su un tema barocco – Ballata ai petrolieri in val di noto” (link), che ci ha consentito di testare la piattaforma e di ottenere degli ottimi risultati. Il nuovo progetto, come il precedente, si basa su una rete di collaborazioni, che sostengono in vario modo, ci aiutano e condividono la nostra idea sul cinema, sul progetto, sul metodo produttivo, diventando co-produttori di fatto grazie all'apporto delle loro strutture di comunicazione (siti web, news-letter, e-mail di amici, web-tv, mailing list, etc etc) per far sapere alla gente che un nuovo film indipendente cerca di prendere vita.Come già scritto nella pagina il film (link), il nostro punto di partenza, non solo geografico ma anche teorico, sarà il Centro Ghélawé. Abbiamo creato un bel legame con la gente che lavora in questo piccolo villaggio del Burkina e siamo contenti di aiutarli nel loro operato. La malastrada.film donerà infatti al Centro il 50% dei ricavati della vendita dei DVD ed il 70% dell'eventuali vendite alle televisioni, per stabilire concretamente un fattore di incisione del nostro fare cinema.La malastrada.film ha alle spalle l'aiuto di due validi centri di cinema: il Sacre (Studio Autonome du Cinéma de Recherche) di Marsiglia, di cui fa parte uno degli autori del film, e la Noeltan film di Potenza, casa di produzione e costola del Potenza International Film Festival (dove verrà presentato in anteprima il film), che ci daranno un supporto tecnico e pratico. Con questi due centri condividiamo l'approccio al fare cinema, lo studio, la ricerca, formale e stilisticaPer quanto riguarda i nostri contatti in Burkina partiremo dal Centro Ghélawé e attraverseremo lo Stato fermandoci in diversi villaggi, nelle città che più hanno colpito il nostro immaginario, nella capitale. Incontreremo inoltre un gruppo di teatro della capitale, dei giovani artisti burkinabé, il generale che accompagnò Thomas Sankara, presidente assassinato nel 1987, nel periodo della rivoluzione. Per arrivare ad Odile Sankara, sorella di Thomas, artista di teatro e di cinema. Nel prossimo mese di produzione allargheremo ancora i contatti affinché il nostro viaggio, cioè il nostro film, possa crescere e formarsi (diversi co-produttori ci hanno già comunicato la presenza di altre realtà facendo crescere ancora il progetto).Anche in questo caso scegliamo di rinunciare ai diritti d'autore in senso classico, perchè continuiamo a sostenere con forza la necessità della libera circolazione delle opere. Per questo preannunciamo che questo film verrà depositato legalmente grazie all'aiuto degli amici di Copyzero (link) e del sistema della firma digitale. In questo modo al nostro film potremo dare una paternità legale continuando dunque a restare fuori dalle corporazioni delle case di produzione e dalla SIAE. Il film inoltre verrà rilasciato sotto licenza Creative Commons 2.5 (link) (non commerciale – non opere derivate), così da poter aderire ad una comunità internazionale d'intenti che sullo scambio e la circolazione di opere creative riconosce i suoi valori fondanti.

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Tutto questo sarà possibile se ognuno di voi, si riconoscerà in questo progetto, in questa impostazione e vorrà diffondere l'iniziativa attraverso i propri contatti e perchè no prenotare la propria quota di coproduzione!

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(considerazioni e scambi di mail sul da farsi per Meme pere meme mere)

da Julie. Suite du mailJulie Ramaioli

Marsiglia, 15-apr-2007 1.52

Introductionje relève la notion de dévellopement, qui est le problème mondial, de l'uniformisation, par un seul model. en effet en afrique la pauvreté n'est pas du a un manque de développement, mais a une confrontation culturel, sociétal, a un model économique mondial bourgeois mis en place, comme model industrelle et démocratique depuis la révolution, et déjà initié par la recherche des richesses par les grands voyages d'exploration. l'esclavage et la colonisation sont les armes les plus éfficaces de l'assise de la bourgeoisie marchande et industrielle de la france par exemple. l'afrique n'avait jamais eu besoin de personne et les grands royaume commercais sans problèmes avec leurs richesses et leur arts. cette culture deux fois colonisé, par les arabes, par les européens, a perdu un équilibre mais je t'apprend rien. culture de l'oralité, la transmissiondes savoirs n'ont jamais eu besoin de grand écoles pour apprendre a chasser, a élever, a cultiver. les société del'afrique de l'ouest était un seul et même royaume l'empire manding, qui fonctionnais et fonctionne encore au mali et surement au burkina fasso sous forme de castes, reservé à des peuples, et a une transmission filial. rien dans mon discours qui ne veuille changer le cours du temps et des événements passé, les traditions bougent en afrique, et sa jeunesse est avide de changements démocratique. une démocratie jeune ou les peuples surtout les étudiants se battent réellement. encore une fois cette démocratie non bourgeoise del'indépendance était porté par des hommes qui se sont confronté aux intérets économique et militaires énormes des pays européens.un Sankara éliminé c'est la mort de la démocratie en afrique et pour toujours je pense. comme a lors des élections a la suite dela commune de Paris. je ne crois pas qu'il soit possible un jour que l'afrique retrouve le gout dela démocratie, qu'elle aquière une puissance c'est sur. ce que je veux dire c'est qu'il est évident que de notre point de vue la volonté d'un dévellopement ne peut que faire grincer des dans. surtout lorqu'on envisage le devellopement dans nos pays.l'afrique n'est pas indépendante.Le voyageur, la positionj'ai l'impression que de se lancer dans un projet qui se poserais cette question, ne peut arriver réellement a quelque chose. la critique des associations, la critique du systhème est très compliquée et ambigue. j'ai l'impression qu'il faut regarder d'un autre angle et que cette position qui est la notre dans nos pays doit se lire par une approche différente du sujet. plus que sur l'action sociale et politique de l'association qsur laquelle je ne peux que être d'accord et pas d'accord, car je n'ai d'autres solutions et encore moins de solutions pour les autres, ce qui m'interresse c'est cette association comme point de départ a un trajet vers, trajet que tu décris d'ailleurs dans ton texte. mais ce trajet vers si nous défendons ce que nous sommes, ne peut se faire de manière informative et documentaire. c'est de l'ordre d'un rapport, rapport à l'autre ou l'ailleurs. c'est jeunes italiens paris dans l'association cherchent un ailleurs, aux qu'el ils ne veulent complétement acceder, puisqu'ils choississent une médiation pour y accéder (il me semble). beaucoup diront qu'il est horrible departir dans de tel pays en tant que touriste, mais le voyageur n'est pas le

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touriste, le voyageur a toujours existé, et aussi en afrique, le voyageur part pour apprendre, et pour revenir a son point départ avec plus de choses. le voyageur c'est l'apprentissage du passage a l'adulte, c'est la recherche du savoir. mais c'est aussi une mise en danger, une prise risque, un inconfort (voir voyageur du y king). le voyageur ne peut être vrai que lorqu'il prend le risque, de ne pas savoir, de se risquaer au déséquilibre réellemnt, et en même temps lorsqu'il sait que se long parcours lui permettra de rentrer plus sage. c'est une transformation profonde. chercher a savoir a l'avance ce qu'est le burkina fasso, savoir ce que tu va y chercher, c'est adire avoir une structure de recherche documentaire pour moi c'est déjà

da Giuseppe. Suite du suite

malastrada.film, Milano, 18apr-2007 0.16

Introduzione-baseMentre il mondo guarda alla Cina come potenza economica che si impone, mentre altri stati, ad esempio quello francese, continuano a controllare e a sfruttare militarmente e “democraticamente” le cosiddette ex colonie, il nostro interesse va verso uno dei quattro stati più poveri al mondo, il Burkina Faso. Paese sfruttato e dominato, in cui ripetuti e sanguinosi sono stati i colpi di stato fino al 1987 quando si è instaurato un vero e proprio regime stabile e ancora in vita. L’attuale dittatore si insediò infatti, con l’aiuto dei francesi, dopo l’assassinio di Thomas Sankara. Giovane rivoluzionario che dal 1983 al 1987 fece riemergere attraverso le leggi, i discorsi e le idee, l’identità del popolo burkinabé, Sankara diede al continente africano e al mondo intero una lezione precisa e reale della possibilità di amministrare e risollevare uno stato in piena crisi.Punto di partenza del nostro viaggio sarà un piccolo centro italo-burkinabè, il centro ghelawe, un’associazione di promozione sociale, fondata da Sami Guélaué Palm e Dario Fusto, che non ha alcun finanziamento internazionale e che ha come finalità quella di promuovere l’agricoltura e l’allevamento attraverso la formazione di giovani burkinabé. Un atto pragmatico che nasce dall’”interno” e che tende all'unica forma possibile (e utile) di sviluppo: quello creato attraverso le risorse del luogo, con e dalla gente del luogo. Perchè “l’aiuto deve eliminare il bisogno d’aiuto” (Sankara).Il nostro è un film di viaggio, che partirà da questo microcosmo e dalle profonde scelte delle persone che oggi vi lavorano e si allargherà alle varie realtà del paese per provare a carpirne l’anima e la storia. Attraverso immagini/colori e voci/suoni filtrati dall’occhio del viaggiatore, cercare e ricostruire i simboli di un popolo, i luoghi e i tempi delle sue storie, le pratiche economiche soffocate e quelle vigenti, la vita e i tentativi di costruzione ai bordi del deserto. Del resto il viaggiatore parte per apprendere e ritorna al suo punto di partenza più carico, l’esperienza stessa lo conduce al sapere.Alla base di questo viaggio c'è infatti il nostro lavoro: fare cinema. Ricerca “etica” del linguaggio, degli aspetti economici del suo farsi e dei temi. Parafrasando ancora Sankara, a vent’anni di distanza dalla sua morte, “tutto quello che viene dall’immaginazione dell’uomo, è per l’uomo realizzabile”.Il viaggiatore. L’esperienza come ricezione di se stessi.Cosa ci muove verso il burkina? Perché in un momento ci ritroviamo a parlare e a volere filmare il burkina? Ognuno di noi 4 può risponde a suo modo ovviamente. Ognuno per la propria esperienza, per il proprio percorso che quasi magicamente si unisce a quello

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dell’altro, per una serie di casi.Mi parli di una posizione di accordo e disaccordo con l’associazione, mi dici che è così perché non hai altre soluzioni e ancora meno soluzioni per gli altri. È questo mi sta bene, perché è il tuo punto di vista, e così deve essere, e così dovrai relazionarti con il tuo lavoro.La mia posizione è differente. Credo che la soluzione stia proprio in quello che questa gente fa, che sotto certi aspetti è rivoluzionario. Il pensiero di Sankara sta alla base del lavoro di questo centro e credo sia l’unico percorso che può portare non al cosiddetto sviluppo capitalistico ma ad una condizione di giusto sostentamento. Soltanto raggiungendo questo stato il popolo africano, ma é giusto dire la gente di ogni singolo villaggio, può uscire fuori da ogni tipo di dipendenza internazionale, che come sai conduce solo all’imbarbarimento, alla perdità di tradizioni, allo snaturamento delle fasi sociali, alla distruzione travestita da costruzione. In tutto ciò la mancanza di comunicazione, o di una giusta comunicazione, influisce a degradare il sistema, di conseguenza più soldi vengono spesi più il sistema perde funzionalità, distacca i rapporti con il popolo locale, e alla fine non fa altro che creare dei muri alti dai quali è impossibile sporgersi e guardare. Ciò accade a tutti i livelli di cooperazione. Ma analizzando il lavoro del centro mi rendo conto che siamo di fronte ad un'altra realtà, a qualcosa di diverso, di più vicino a me, a noi. Il metodo di lavoro di queste poche persone non fa altro che integrarsi con la gente del luogo e attraverso un rispetto antropologico, dato dallo studio e da un approccio umile con la situazione sociale, fa si che il lavoro possa essere produttivo e il concetto diffusivo.Non so se questa spiegazione possa esserti utile e farti cambiare prospettiva, ma non è affatto importante. Ciò che voglio è considerare la tua posizione come tua! Mi fido di te e del modo in cui vedi le cose e le pensi per me la cosa più importante è la tua sensibilità, che è un punto di vista della contemporaneità, e per tanto è prezioso.Continuo a leggere il tuo scritto e resto molto impressionato dal concetto del viaggiatore. E mi dico, cos’altro siamo? Siamo dei viaggiatori, senza nessun preconcetto intellettuale ma che sanno riconoscere il bene dal male, ho voglia di scoprire come la mia sensibilità si relazione con quelle realtà, con quei simboli, con certi meccanismi. Vedrò come il mio corpo reagirà al clima, all’alimentazione, ai vaccini, alla manifestazione stessa dello sfruttamento e delle relazioni sociali. Quello che mi interessa non è tanto quello che c’è in burkina quanto il mio essere lì, questo mi consente di vedere in modo soggettivo, di concentrarmi sulla mia soggettività (e non di chiudermi in essa) e di filtrare quella realtà a modo mio. I miei interessi, la mia cultura, il mio modo di vedere, e tutto ciò che mi si presenterà dentro/davanti sono il tutto. Il tutto in relazione all’esperienza del tutto. Non ho, anzi come mi dici, non abbiamo bisogno di cercare verità, la mia verità è il segno che le cose mi lasciano dentro e in quanto cineasta il segno che io lascio al mondo attraverso il mio filtro.Cosa fare allora? Cercare di documentarsi un minimo, stendere una scaletta (individuale) di quelli che possono essere i punti d’interesse del viaggio. Senza darne una struttura ma identificando in linea di massima ciò verso cui propendiamo. In questo modo andiamo verso il riconoscimento tra di noi, formiamo un gruppo, magari scollegato creativamente (chi lo sa?) ma collegato umanamente. Io posso avvicinarmi ai tuoi interessi, tu ai miei, condividere o no, non ha alcuna importanza, l’importanza sta nell’essere insieme, nel condividere (individualmente) quest’esperienza.

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Un'email di Giovanni Callea,

Palermo, 12Mag2007

coproduttore di “13 Variziazioni su un tema barocco, Ballata ai petrolieri in Val di Noto”naturalmente coproduco anche questo, colgo l'occasione per dirvi cheapprezzo molto il lavoro che fate. pensavo/speravo che la seconda produzionesarebbe rimasta sempre in sicilia. I temi non mancano. ed io sono un pòdell'idea pensare globale agire locale. Sarà per la prossima.Vi trasmetto la mail che ho inoltrato alla mia lista, circa un centinaio dimail, sperando così di favorire la produzione.a presto e buon lavoro.giovanni callea............................Miei cari,volevo segnalarvi una iniziativa che ritengo importantisisma.. Ad alcuniprobabilmente hogià parlato di questi ragazzi che hanno realizzato un bellisismo lavorosulle trivellazioni in Val di Noto, lavoro che ho avuto l'onore dicoprodurre con un investimento di ben 10 euro. Si tratta di un modo chetrovo geniale di produrre la cultura e l'informazione. Se paghiamo noi icosti siamo certi di potere garantire libertà in chi fa il lavoro.Dopo la Val di Noto, un documentario veramente ben fatto. Stanno progettandoun lavoro sul Burkina Faso, uno dei paesi più poveri del mondo. Produconocon la logica del no copyright e del creative commons. Cioè paghiamo icosti per realizzare e poi il lavoro più circola meglio è.Io ovviamente ho già acquistato una copia, coproducendo nel mio piccoloanche questo lavoro e vi invito a fare altrettanto. Al di là della qualitàdel lavoro di questo gruppo, che personalmente ritnego elevatissimo, sitratta di dare forza dal basso ad un nuovo modo di concepire e concepirsinella società.Segue il link per procedere all'acquisto anticipato della copia. Garantiscoche non è una truffa e che poi il lavoro viene fatto ed anche bene.http://www.produzionidalbasso.com/pdb_202.htmlcomunque la pensiate e qualunque cosa deciderete di fare vi salutoaffettuosamentegiovanni callea

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(Alias pubblica uno scritto della malastrada.film, in occasione del ventesimo anniversario dall'assassinio di Thomas Sankara. Durante la lavorazione di Même Pére Même Mére. L'articolo è stato pubblicato col titolo “Blaise che se lo mangino i vermi” e non contiene, ma solo per motivi di tempo, il pezzo in francese di Julie. In copertina videogrammi tratti da ImpulsovideoXVI – La linea persa di Addis Abeba)

Schermi Neri_Immagini Riflesse.Immagini accelerate in 13mila battute/su uno sfondo nero/del Burkina di oggi(?)

Marsiglia, 10ottobre2007

mai Stato in Africa. Il Burkina Faso fu una scelta casuale data da un incontro. L'incontro diventa racconto, il racconto sogno, che per qualche motivo non brevemente spiegabile, fa presto, nel nostro lavoro, a divenire immagine - che non è realtà. Che non è realtà, né vuole esserlo, ma qualcosa di noi che si ridà, nella costruzione/organizzazione di quel sogno, frutto del linguaggio stesso dell'inconscio per dirla con Lacan.Essendo lento, troppo lento – ne sicuro – il sistema di finanziamento istituzionale, il nostro atto creativo si muove in due ambiti: il film interamente autofinanziato, dunque a costo zero (che sono corti o forse medi o forse lunghi) che definiamo “impulsivideo” e che hanno nella fase ripresa/montaggio una forte relazione con l'inconscio; e dei film “prodotti dal basso”, cioè dei film che presentano un legame più diretto con la società.-------------Quando ci si presentò questo sogno del Burkina Faso la combinazione che stava alla base della nostra esperienza è esplosa, i due metodi di lavoro che abbiamo messo a punto si sono unificati. Al sogno si affianca molto semplicemente la società, la storia, la vita non del tutto decifrabile di un intero paese. L'indecifrabile, l'indistinguibile ha la forma stessa del sogno. Ma indecifrabile è anche il termine fratello, la parola padre o madre. E allora è possibile che il nostro fine, il nostro attuale movimento utopico, sia proprio arrivare ad una visione precisa dello stato delle cose, bypassando gli aspetti culturali, sempre contaminati, consumati, alla ricerca di qualcosa che non sia dato per dato ma che possa essere frutto della creazione diretta “di uno stesso padre, di una stessa madre”. Même père même mère è, se si vuole, la ricerca di un'autenticità impossibile, il sogno di ogni uomo e della propria rivoluzione. Il fantasma di Sankara ci insegue allora in Burkina e ancora oltre..Oggi – il fantasma di un uomo “integro” al centro della contraddizione di un popolo spazzato via senza esodi, di una storia che esula dal popolo stesso, di relazioni internazionali inutili e viscide, di scambi falsi, di assassini e relativi assassinii ventennali. Un adesivo luccicante nel cruscotto di un taxi, un ricordo distorto. Ognuno ne parla come vuole ma a bassa voce, al buio. Sankara è morto in mille modi. Frantumato da un missile o da una granata, in strada o seduto intorno ad un tavolo decisionale, di notte o di giorno, freddato da un kalashnikov mentre ricambiava il colpo al nemico. Sankara profondamente odiato o amato, rivoluzionario o riformista, socialista non marxista, militare umano che impugna “la sua unica arma”, rivoluzione o colpo di stato, dittatore o capitano fraterno da inseguire.--------------La sua tomba sta sospesa in mezzo al niente, come un enorme baobab nella brousse, lucidata imbiancata rifatta appositamente per il ventesimo. Un vecchio se ne prende cura, ogni giorno vi si reca e ogni giorno ricorda il nome, il periodo, la stessa propria identità. Il guardiano della tomba si avvicina a noi che stiamo lì davanti, immobili, con le nostre armi sempre puntate e il cerchio rosso sul finder. Stagliamo la sua

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immagine contro il cielo, una macchia nera che ha forma di uomo. “È da parecchio che vi vedo”, ci dice interessato, “e siete sempre qui”----“sono venuti alle 5 del mattino con i corpi, ma qui non era così / le tombe erano molto più piccole / lo hanno ammazzato insieme a 13 uomini fedeli” - ci indica col dito i 13 monoliti allineati alle sue spalle anch'essi vibranti in aria - “lo Stato vuole che dimentichiamo ma Sankara era tutto il mondo, era ivoriano, era maliano, non possiamo dimenticare / voi dovete venire a vivere in Burkina – ci dice da amico dopo un buon pezzo di discorso – e parlare il moré, non il francese, ma la nostra lingua, Thomas aveva lanciato una campagna per far parlare la gente in moré in modo che quelli delle campagne e delle città potessero intendersi / Io durante la rivoluzione ero delegato ai servizi e si faceva tutto insieme, gli uomini lavoravano insieme. Dopo il suo assassinio ci sono state un sacco di sparizioni..”..ma il guardiano della tomba non lo ammazzano mi dico, in quella desolazione lui è già sparito, non lo sente nessuno. In un momento mi sento nessuno. Passa un giovane in bici, proprio accanto alla tomba dell'“uomo del 4agosto” - o del 15ottobre – vi è un piccolo solco creato dal passaggio ripetuto, il giovane non ci guarda, non guarda la tomba, non accenna a rallentare e con estrema indifferenza si porta avanti dissolvendosi pure lui tra la polvere rossa e il verde intenso della stagione delle piogge.------------Ora che siamo in Europa e maggiormente a Marseille, l'Africa sembra essere dappertutto intorno a noi, si crea e si annienta di continuo in un enorme numero di manifestazioni quotidiane. Non so se esiste un Africa reale, si esprime e si riproduce continuamente in un immaginario. Ma se c'è il bisogno di riprodurre l'Africa forse vuol dire che non esiste più. Il Centro, punto di partenza della spirale della storia, del mondo, di ogni civiltà, frantumato in 5miliardi di pezzi. Tutto ciò è solo romanticismo che lascia il tempo che trova. In ogni caso viviamo d'immaginario, di sogni, e per noi va bene così - del resto ci portiamo dietro/dentro uno dei tanti concetti di Sankara_“ogni cosa che nasce dall'immaginazione dell'uomo è per l'uomo realizzabile”..ne siamo convinti.

Giuseppe Spina malastrada.film

Vous auriez tort de croire encore aux origines de la civilisation, de sa mythologie, sans prendre le chemin de la terre au visage de reine ancestrale.Et vous auriez tort de croire qu’elle peut s’adapter aux structures et cadres que vous lui imprimez. L’Afrique ne se reflète pas dans notre miroir, car elle est descendante d’une longue lignée.Elle se relève, la tête haute et le dos courbé, chaque jour.

Il fait déjà nuit dans cette ville de Banfora quand arrive, calme et serein, celui qu’on appelle dans le groupe des rescapés de l’infortune, Waraba.Il ne lève pas la voix, il chante et danse. Et il sait. Il sait se débrouiller, il sait comment échanger pour survivre, il donne par arrangement. Il sait, car il est malin, car il est en paix, car il est en liberté à l’intérieur de cette prison. Car il sait.Son âme flotte dans l’air et en riant, ses mots ont du poids, le poids du lien inébranlable entre son être et ce qu’il en paraît.Alors que passe la police Sarkosienne des pays en soumission, les morts se réveillent pour marcher le poing levé et prouver une fois de plus qu’on peut, devant tous, être éternel. C’est la nuit et Sankara n’a jamais été détruit.

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Ceux qui voulaient faire disparaître la mémoire, ne semblait pas connaître l’essence de ces civilisations. Ici on meurt en héros, et durant des centaines d’années, on continue à chanter les hommes et femmes invincibles. Il ne restait rien du corps du président, que ce soit avec une grenade ou un autre explosif, on voulait effacer l’homme, mais des millions de Sankara se sont levés. Car les légendes dépassent les complots. Car dans les multitudes d’histoires qui sortent de la bouche des Burkinabés, les assassins ont leurs rôles et dans le corps d’un animal seront à jamais tourmentés.La révolution Sankariste se passe de dénominateur commun, elle se passe à l’intérieur de la vie des gens. Dans cette conscience qu’on a de soi. Et dans la conscience qu’on a des Autres. Elle est révolution parce qu’elle a donné au peuple la possibilité aujourd’hui de ne pas aller voter. De ne pas aller retirer sa carte d’électeur. Et de voir la vérité de l’état corrompu.Les Burkinabés dans leur pauvreté n’ont besoin de personne, car jour après jour, ils cherchent et trouvent les moyens de leur propre survie. Et avec détachement, inventent sans cesse.Alors que le mouvement du président, leader des jeunes étudiants d’aujourd’hui, avait conduit son peuple à prendre ses responsabilités ensembles, aujourd’hui pèse de façon criante l’irresponsabilité des autres. Le président modèle, retrouvant sa tombe dans un cimetière désert, fait son discours dans toutes les écoles, dans toutes les universités, dans les rues des villes, court dans la tête des jeunes et des anciens.L’autre par contre se meurt, au Burkina et en Europe, de manquer d’espérance, se meurt devant la dignité du héros. Il se saoule, et invoque les pouvoirs des sacrifices, pour lancer enfin la poudre aux yeux de ceux qui dépendent du temps.

Et protégée par ses mythologies, l’Afrique enfermée dans la même pesante structure économique que nous, n’a pas peur. Mais Waraba est fatigué et a une longue route, de toute façon quoi ajouter de plus ? Il s’éloigne dans le noir et alors que son corps disparaît, il me semble qu’il porte en lui sa solution.

Julie RamaioliSACRE (Studio Autonome du Cinema de RechercE)

Sento in me un cinismo montante. La parola in se è poco indicativa, ma quello che intendo è il rafforzarsi di una pressione critica, che azzera il circostante nella sua relazione geografica-storica-politica, trasformando il tutto in una devastante critica all'uomo, in cui il particolare non esiste. Dal novecento non siamo più riusciti a venir fuori. Continuo a ripetermelo senza afferrarne il perché. La critica all'uomo mi insegue dandosi forma nel momento in cui, considerato il presente non come oggi ma come il lungo tempo dell'oggi, non riesco a possedere l'idea di un domani, del lungo tempo del domani. In Burkina Faso, come in Francia, in Italia. Ougadougou 07/07/07.Sfoglio il quaderno e questo è l'ultimo appunto che ritrovo, scritto più o meno a metà viaggio nella terra degli uomini integri. Quindici giorni in Burkina erano già stati sufficienti a smantellare intere impalcature di concetti maturati nel tempo, li credevo solidi e pensavo di poterli trasferire tutti d'un pezzo durante il viaggio e quindi nel film. Così non è stato. Venti minuti dopo il nostro atterraggio nella capitale mi ritrovavo chiuso nell'ufficio della polizia aeroportuale in stato di fermo, reo di aver puntato la camera un po' in giro senza neanche guardare, registravo la mia confusione, ciò che percepivo, l'occhio non era necessario. Evidentemente infrangevo qualche regola non scritta, mi paventarono l'arresto dato che il

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mio francese non bastava a spiegare perché fossi interessato a neon, pezzi di pavimento, sagome di persone, ventole sul tetto. Tra le immagini, in un processo al fotogramma, scoprirono la faccia dell'addetto ai visti, un poliziotto di una sessantina d'anni: è grave mi dissero, verrai arrestato. Mi sequestrarono telecamera e passaporto, con l'obbligo di presentarmi alle 9:00 dell'indomani per un interrogatorio con l'ufficiale. L'inizio non era dei migliori. Mandai immediatamente un sms in Italia, chiedendo ad Antonio di oscurare il nostro sito. In home page (tradotta in tre lingue) scrivevamo cose simpatiche di questo tipo: Mentre il mondo guarda alla Cina come potenza economica che si impone, mentre altri stati, ad esempio quello francese, continuano a controllare e a sfruttare militarmente quanto “democraticamente” le cosiddette ex colonie, il nostro interesse va verso uno dei quattro stati più poveri al mondo, il Burkina Faso. Paese violentato e dominato, in cui ripetuti e sanguinosi sono stati i colpi di stato fino al 1987 quando si è instaurato un regime stabile ed ancora in vita. L’attuale dittatore si insediò infatti, con l’aiuto dei francesi, dopo l’assassinio di Thomas Sankara. Giovane rivoluzionario che dal 1983 al 1987 fece riemergere attraverso le leggi, i discorsi e le idee, l’identità del popolo burkinabé. Sankara diede al continente africano e al mondo intero una lezione precisa e reale della possibilità di amministrare e risollevare uno stato in piena crisi. Io e Dario (che da anni porta avanti le attività del Centro Ghélawé in Burkina) ci presentammo al commissariato verso le 10:30, trovammo l'ufficiale, parlammo un po', rivedemmo il girato, poi squillò il cellulare e lì il mio arresto divenne altra cosa. L'ufficiale mi ordinò di cancellare le immagini della sera prima, misi il tappo alla camera, portai indietro il nastro e mandai in rec: in quei nove minuti di nero oggi si sentono le suonerie di un Nokia, con il capitano che chiede a Dario di regalarglielo. Dopo il primo giorno, della poesia rivoluzionaria della terra di Thomas restava ben poco. Fuori dall'aeroporto, per la strada, il mio fisico diventava oggetto scuro e luccicante allo stesso momento, ero un europeo con la cupezza della storia dell'occidente addosso e la sgargiante pesantezza delle monete in tasca. Prima di partire avevamo fatto diverse ricerche per capire la storia, le dinamiche, i personaggi, ovunque cercassimo la faccia più viva del Burkina Faso aveva una divisa militare e la risata di un visionario, il tele-presente-immagine di questo stato portava invece giacca e cravatta e stringeva mani ai leader dell'occidente (papa tedesco compreso), fratello di rivoluzione e assassino di Thomas, Blaisè Compaoré iniziò a tormentarmi. Nelle strade, in mezzo a corpi/statue colorimetrici, spuntavano delle magliette con un cerchio e dentro al buco la faccia di Blaisè con su scritto:“l'assurance du progres continu” o “le monde paysan vote blaise compaore” residui dell'ultima campagna elettorale del 2007, con le quali puntualmente il suo partito, il CDP (Congrès pour la démocratie et le progrès) si era ri-piazzato al governo. Mi chiedevo dove fossero i giovani sankaristi incazzati, fieri del loro capitano. Quando incontrammo Julien (cugino del capitano Thomas) a casa Sankara, alcune cose iniziarono ad essere un po' più chiare. Ci raccontò che dopo il 15 ottobre del 1987 ci furono esecuzioni, sparizioni, granate che entravano dalle finestre, repressione e delle volte qualche corpo umano cosparso di benzina ed incendiato per le strade a scopo didattico.Riguardo agli studenti Cobra (questo il suo nome in codice) in un parco buio e nascosto, ci raccontò dei suoi 9 arresti per la militanza all'interno del movimento universitario e della repressione violentissima che ci fu a seguito delle manifestazioni nate dopo l'uccisione del giornalista indipendente Norbert Zongo il 13 Dicembre del 1998 (l'associazione panafricanista della stampa indipendente indicherà in François Compaoré fratello del presidente, il mandante dell'omicidio). Racconto dopo racconto, kilometri dopo kilometri, Sankara veniva fuori sussurrato dalla memoria della gente a noi viaggiatori con una telecamera in mano. Compaorè per loro non era altro che un presidente in attesa di morire in uno dei suoi castelli.Ritornato in Europa pensai che Odile (la sorella di Thomas, che Julie incontrò a casa sua

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in Francia prima della partenza) aveva ragione dicendo: <<se volete dare una mano all'africa, restate a casa e combattete le vostre multinazionali, i vostri governi>>. Stetti un mese a far crescere l'esperienza del Burkina Faso dentro di me ed oggi mi ritrovo a Marsiglia a montare un film che vuole ridarsi attraverso i suoi colori, il suo sfocato, il mosso, il percepito “puro” di quella terra.Tra gli appunti di questi mesi da qualche parte c'è scritto: Blaise, che se lo mangino i vermi.

Alessandro Gagliardomalastrada.film

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(testo scritto per Altraeconomia.it)

Schermi Neri_Enti astrattiMemoria di una terra (e di un uomo) in un breve discorso e una lunga questione. di GiuseppeSpina

malastrada.film, Marsiglia, 10ottobre2007

“La politica dell’aiuto e dell’assistenza internazionale non ha prodotto altro che disorganizzazione e schiavitù permanente, e ci ha derubati del senso di responsabilità per il nostro territorio economico, politico, culturale”. Questa frase è estratta da un discorso fatto da Sankara a New York, il 4ottobre del 1984, durante l’assemblea generale delle Nazioni Unite.Durante le riprese di Même père même mère, seconda “produzione dal basso” della malastrada.film, ci ritroviamo a girare in lungo e in largo per il Burkina Faso, “terra degli uomini integri”. Ne viviamo le città, i villaggi, parliamo con contadini ed intellettuali, uomini e donne, bambini, gente vittima dell’attuale/ventennale governo, gente che “indossa” (letteralmente) il partito governativo - che elargisce magliette e altri gadget in ogni periodo elettorale. Vediamo Sankara un po’ dappertutto ma mai in modo definito, sempre dietro la coltre di qualcosa. Coltre dorata in certi casi, in altri grigia e talmente intensa da non riuscire a farti vedere cosa vi è celato dietro, qual’è la ricezione stessa della storia, quale quella del presente. Ne ricaviamo delle sensazioni, che filtriamo attraverso il nostro mezzo, e dei concetti, che vengono fuori attraverso l’organizzazione del materiale “filtrato”.Se il mondo coloniale era un mondo a scomparti, in cui esistevano città indigene e città europee, la cosiddetta decolonizzazione e la continua gestione da parte degli stati imperialisti di grandi fette di mondo, altro non è che il superamento di questa divisione: un’uniformazione del mercato, l’eliminazione del distacco evidente tra il colono e il colonizzato, tra l’europeo e l’africano. In altre parole in Africa non esistono più differenze appariscenti e nette, non esiste più questa distinzione tra lo spazio dell’europeo e quello dell’africano. L’eliminazione del distacco viene praticata da una finta etica oggettiva e democratica, per la quale siamo tutti uguali, che nasconde però un’economia aggressiva (di cui dunque è complice), fatta di trust, costrizioni e relativi monopoli. Che non sfrutta più con la frusta ma che si arricchisce più di prima. La vera strategia della liberalizzazione, appoggiata indistintamente da tutti i partiti parlamentari, è che questa non si traduce in un trionfo dell’individualismo come si è soliti pensare, ma semmai nella proliferazione di “identità collettive”. Si formano allora associazioni, ONG, enti internazionali per l’aiuto o la modificazione di questo o quello, etc. Queste organizzazioni acquisiscono, risucchiano, quelle responsabilità che dovrebbero essere di ogni individuo, causando così un facile esaurimento dell’atto di coscienza di ognuno. Ogni individuo si scrolla di dosso la propria responsabilità depurandosi attraverso un ente astratto, da cui riceve una jouissance, un piacere che da soddisfazione, ma che non aiuta di certo a cambiare le cose.Le masse africane, come del resto quelle europee, continuano ad inglobare le forme e gli insegnamenti di stampo capitalistico, senza fare alcuna distinzione del “prodotto”. E

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proprio qui nasce il gap: basta considerare il modo in cui l’africano tratta il prodotto di consumo una volta esaurito, cioè l’atteggiamento nei confronti dello scarto. La condizione di miseria e di sporcizia delle grandi città africane, come Ouagadougou per esempio, non è, in fin dei conti, che il risultato di qualcosa che appartiene alle multinazionali degli stati imperialisti. Ora, come accade per la differenza razziale, non si tratta più di un atto di sottomissione del nero nei confronti del bianco, quanto di una continua e perseverante differenza economico-culturale-territoriale di cui non ci si accorge, che fa sì che il nero sia continuamente (per)seguito da un bisogno che non è il suo. Ed è proprio da questo punto prospettico, dal problema della percezione del bisogno, che osserviamo l’operato di Sankara. Quella del capitano assassinato fu una rivoluzione dei costumi, dei consumi, culturale, per riformare il paese secondo una forma di socialismo “dal basso”, in cui concetti come “produrre e consumare burkinabé” non sono solo forme di protezionismo (metodo che nello stesso periodo veniva proposto anche in Francia), ma un invito alle masse della propria nazione ad alzare la testa e a considerare come estremamente preziosi i propri beni. Produrre e consumare burkinabé voleva dire adottare un atteggiamento africano nei confronti dei prodotti di consumo, ma non tanto per fortificare un’identità nazionalista quanto per ridare dignità ad un modo di vivere: il modo di vivere africano. Con ciò non aspirava a porre il Burkina Faso e l’Africa stessa al di fuori del sistema capitalista: nel discorso di Addis Abeba (che ultimamente con la malastrada.film abbiamo riproposto in un video in occasione del ventennale) Sankara suggerisce la creazione di un nuovo fronte economico africano che si potesse contrapporre a quello europeo e statunitense.Riconsiderare il bisogno vuole dire, ad esempio - tra i mille casi possibili sui quali Sankara applicò buona parte dei suoi sforzi - far sì che le auto governative fossero delle semplici Renault 4 e non dei grossi veicoli costosi. Sankara fu parecchio rigido da questo punto di vista, nel periodo rivoluzionario non fu donato niente che potesse andare oltre la soglia che separa l’essenziale dal superfluo. (Lo stesso Valentin, fratello di Thomas, che abbiamo incontrato a Ouagadougou è, ed è stato, un tassista come tanti.) L’obiettivo economico era, per riprendere le parole del discorso all’ONU, “creare una situazione in cui ogni burkinabé potesse impiegare le proprie braccia ed il proprio cervello per produrre abbastanza da garantirsi almeno due pasti al giorno e dell’acqua potabile”. Dunque il bisogno e la sua percezione richiedono la riconsiderazione stessa della cosiddetta libertà di scelta. Del resto Sankara amava Lenin e insieme a loro, oggi, ci dovremmo riporre la questione: “Libertà – si, ma per chi? Per far cosa?”.

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Lettera/documento ai coproduttori di Même père même mère

malastrada.film, 5 marzo 2007

Come tutti quanti anche noi abbiamo delle idee politiche, cerchiamo di controllarne il romanticismo e di ri-prenderne il carattere scientifico, secondo i nostri limiti, sia chiaro…Quando decidemmo di realizzare Même pére même mére, tutto accadde un po’ per caso, un po’ per sogno e forse un po’ per disperazioni varie e personali. Ci si presentò davanti la figura di Sankara, la storia di un paese che leggemmo in decine di versioni differenti, ogni versione un punto di vista. Lanciammo il progetto di finanziamento su “produzioni dal basso” ed anche attraverso dei blocchetti distribuiti tra gli amici. La risposta fu immediata e inaspettata: non credevamo che un argomento del genere potesse interessare così tanta gente.Fatte le valige, i vaccini, partimmo per il Burkina Faso senza avere la minima impressione delle realtà in cui ci saremmo poi ritrovati, con in verità un’idea ancora vaga dell’atto stesso del viaggio.Même père même mère non è un documentario, non è un film di finzione: questa fu una delle prime frasi scritte per il progetto, l'unica cosa di cui eravamo convinti. Convinti che niente dovesse darsi a priori, per il semplice fatto di essere stata già vista o sentita da qualche parte. Ma oltre a proseguire/perseguire un metodo, che è quello di un cinema impulsivo, spontaneo, dettato da una naturale istintività, che stiamo portando avanti in varie forme e maniere, non sapevamo esattamente dove saremmo approdati. Ed è proprio in questa doppia ricerca, da una parte della scoperta del viaggio, dall'altra della messa in pratica d'un particolare linguaggio cinematografico, che è cresciuto il film, fino a diventare un vero e proprio affresco di uno Stato, creato attraverso una visione intima, che abbiamo sintetizzato in quella di un viaggiatore appunto. Non abbiamo la pretesa di affermare che il punto di vista storico/sociale del nostro film sia oggettivo – tutto, viceversa, è il frutto di una soggettività verso cui invitiamo lo spettatore ad avvicinarsi, ad entrare. Queste possibilità, questa "estrema sincerità soggettiva", sono state attuabili solo grazie all’aiuto di voi coproduttori e alla totale assenza di vincoli precostituiti in cui lavoriamo. Al diavolo le sceneggiature quindi, le costruzioni narrative trite e ritrite, al diavolo quella forma di sottomissione al genere, che sia documentario, fiction, fantascienza, ecc..Come sapete per la seconda fase del film, il lavoro di montaggio, siamo stati ospitati dal S.A.C.RE. di Marsiglia che ci ha permesso di condividere e accrescere la nostra esperienza di ricerca. Ed è anche grazie a loro che la quantità di immagini raccolte è stata strutturata e montata con la stessa carica di istintività che abbiamo avuto in Burkina Faso, durante le riprese. Così, tanto lo studio sull'audio quanto quello sulle immagini arrivano, a nostro avviso, a un risultato assai raro, e per questo vi consigliamo di guardare il film in un grande schermo e con un buon impianto audio (anche se con delle semplicissime cuffie e un normale televisore è più che apprezzabile!). Noi ci siamo attivati, nelle nostre possibilità, e siamo già partiti con delle proiezioni in giro per l'Italia, non saremo certo nelle grosse sale, ma come in passato ci muoviamo nei cineclub, nelle librerie, nelle università, nei centri sociali, in qualsiasi luogo in cui c'è qualcuno interessato a vedere i nostri film. Anche per questo vi diciamo grazie, a tutti voi che condividete la nostra esperienza e continuate a riconoscerci e ad aiutarci.

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Di seguito un estratto del testo di una coproduttrice, un’amica francese, che qualche giorno fa ci ha seguito a Firenze, dove ha visto il film e dopo 24ore ci ha inviato le sue riflessioni. Ci piace, lo traduciamo e lo condividiamo con voi:«...Il film possiede tutta la sua ricchezza nel fatto che non insegna. Penso, d'altra parte, che un oggetto artistico, che sia filmico come teatrale, musicale, pittorico, non debba insegnare. Deve invece essere capace di dilatare il mio pensiero, di lasciarlo vagabondare e di costruire nello stesso tempo il proprio discorso. Même père même mère riesce perfettamente in questo esercizio fino a superarlo. Il film segue per un momento la storia di un popolo, d’un paese e io l’accompagno. Percorro anch’io il paese degli uomini integri. E finché le immagini non arrivano a conclusione è come se il film non si arrestasse, come la vita che continua. Quando si conclude il film continua, poiché, se il viaggio arriva alla sua fine, l’esperienza dell’incontro, proprio questa, continua ancora. Il film è come una finestra per sempre aperta sul mondo e la sensazione di avere attraversato i secoli.Quando poi sullo schermo passa la lista dei nomi dei coproduttori, un soffio di calore quasi d’orgoglio carezza la pelle. Io entro nel film, trovo una pace accogliente, ho la sensazione intima di avere anche il même père, la même mère...» (Agathe)

Questo film è una doppia ricerca e un unico/doppio invito (cinematografico/politico) a tutti voi che vi avvicinate, che ci sostenete. Un abbraccio a tutti e a presto!

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Même Père Même Mère par Agathe Philippe (une note sensible)

19 febbraio '08

Trois caméras sur une terre en mouvement, sur une terre investie par les corps et les récits du peuple burkinabé. Je n’invente rien et je répète seulement lorsque je dis que «plus on s’approche du monde plus on s’approche de soi». Le trois regards créent une image unique, un ensemble. Alors que le film se déroule, l’idée d’un partage à l’intérieur de l’image se poursuit telle une métaphore filée. Le rythme est fluide, il suit la cadence des coups de pioche qui martèlent une terre pleine de promesses, la cadence des pas de danse frappant le sol. Le temps de la projection, je me retrouve moi-même projetée dans cet ici et maintenant et je mets un pied dans un univers tissés d’images visuelles et sonores. J’entre dans l’espace rêvé d’un regard pour tous.

Les regards se croisent jusqu’à tracer une ligne continue, une voie unique. L’histoire du Burkina Faso ne m’appartient pas. Du côté de ma vie européenne, je ne peux penser que cette histoire m’aie un jour appartenue. Et pourtant, à travers les images de Même père Même mère la sensation d’y entrer un moment surgit. Les rires des hommes, les discours des femmes traversent ma pensée. Ils se mêlent à mes propres rires, mes propres discours. Une fois, j’ai, comme ces enfants, essayé de voir ce qui pouvait se cacher au fond de l’objectif d’une caméra. Je crois avoir jouer et jouer encore comme eux. Je ne me suis jamais rendue sur ces terres, je n’ai pas parlé avec son peuple mais au cours du film, je pense avoir rêver en faire partie. Je pense les avoir rencontré.

Le film tient toute sa richesse dans le fait qu’il n’enseigne pas. Je pense par ailleurs qu’un objet artistique qu’il soit filmique mais également théâtral, musical, pictural ne doit pas enseigner. Il doit être capable d’élargir ma pensée, de la laisser vagabonder et construire son propre discours. Même père même mère réussit parfaitement cet exercice jusqu’à le dépasser. Le film suit un moment l’histoire d’un peuple, d’un pays et je l’accompagne. Je parcours moi-aussi le pays des hommes intègres. Et lorsque les images ne défilent plus, c’est comme si le film ne s’arrêtait pas de la même façon que la vie continue. Lorsque il se conclut, le film se poursuit car, si le voyage arrive à son terme, l’expérience d’une rencontre, elle, chemine encore. Le film comme une fenêtre pour toujours ouverte sur le monde et la sensation d’avoir traversé les siècles. Alors que descend sur l’écran la liste des noms des co-producteurs, un souffle de chaleur presque de fierté me caresse la peau. J’entre dans le film, j’y trouve une place accueillante, j’ai le sentiment intime d’avoir aussi le même père, la même mère. Antonin Artaud écrivait « Se retrouver dans un état d’extrême secousse, éclaircie d’irréalité, avec dans un coin de soi-même des morceaux du monde réel ». Je ne sais pas si l’on peut offrir une phrase. Mais, à vous qui avez réalisé ce carnet de voyage de sons et de lumières, au peuple Burkinabé, je l’offre quand même.

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(articolo scritto in occasione della proiezione di Même père même mère del 10 maggio al cinema Farnese di Roma, sezione “Panorami” del Tekfestival) da Alias/il manifesto - 3 maggio 2008 SOGNANDO OUAGA Tek, Malastrada e Thomas Sankara di Roberto Silvestri Même père même mère, diretto da Alessandro Gagliardo, Julie Ramaioli e Giuseppe Spina, del gruppo indy siciliano Malastrada, sarà la sorpresa del Tek (si consiglia ai liceali “africani” dei Veltroni-tour). Perché è un film che sa collocarsi con rispetto dentro quello spazio geografico e culturale (così spesso molestato e violentato) senza paternalismi esotico-marines. Un film poetico rivoluzionario, eccitante e disperato, a cromatismi batik come se a dipingerlo fossero i bambini della Montessori d’era elettronica, che intreccia varie esplorazioni e avventure dell’occhio e della mente (un gruppo di italiani va in Burkina Faso, ma solo uno di loro, un cooperante, sa davvero di che si tratta) con un inusuale amore per un territorio non più misterioso e fantasmatico del nostro, che sa affascinare e trasformare per la sua ricchezza, nonostante siccità, il corruttore Campaorè, la durezza dello zappare la terra, la messa fuori legge dei sindacati, lo sterminio degli oppositori politici e perfino la perdita, sul finale, di una chiave (di lettura?). Eppure, come ci spiega il titolo, i “viaggiatori per caso” sapranno risalire dalla notte allucinata verso una compassione intima e danzante e il film diventerà a poco a poco un lucido e commosso omaggio alla lungimiranza del presidente rivoluzionario, assassinato dal mondo ricco, Thomas Sankara. I cui testi, variamente e leggiadramente interpolati, e tagliati da altre voci off (diari di viaggio, interviste volanti, riflessioni,…) accompagnano come un refrain questa esplorazione enigmatica, mai coloniale…: “Devo avere la forza di capire - dice una donna che si incorpora in Sankara - che gli stessi diritti umani sono uno strumento degli imperialisti, a garanzia etica del loro sistema. Sono l’invenzione di un’ elite dalla doppia faccia che vuole mettersi nei panni di chi soffre. Un povero non pensa mai ai propri diritti”… Il collettivo catanese di produzione dal basso o di questa Malastrada, sulla scia dei fratelli maggiori di Cane Capovolto, sta cambiando i connotati al nostro cinema indipendente, o meglio autonomo. Intanto è una unità mobile, legata a tensioni politiche transnazionali, più che a un territorio monoculturale imprigionante (si è pure trasferita per qualche anno a Marsiglia). Poi, produttivamente e distributivamente, è una struttura leggera e, più che autarchica, libera. Si autofinanzia infatti tramite meccanismi di cooperazione, e, attraverso la vendita diretta delle proprie produzioni su internet (ogni film € 10) può non ricorrere all’aiuto di chi interverrebbe, anche creativamente, e soprattutto pesantemente, sui propri lavori, in cambio di qualche saletta sparsa

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off e off. E’ per questo che sta diventando un punto di riferimento pragmatico per giovani cineasti ultrà.

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(Article écrit à l’occasion de la projection de Même père même mère du 10 mai au cinéma Farnese de Rome, section « Panorami » du Tekfestival)

Alias/il manifesto – 3 mai 2008

En rêvant OuagaTek, Malastrada et Thomas Sankarapar Roberto Silvestri

Même père même mère, réalisé par Alessandro Gagliardo, Julie Ramaioli et Giuseppe Spina, issu du groupe indie sicilien Malastrada, sera la surprise du Tek (nous le conseillons aux lycéens « africains » des Veltroni-Tours). Car c’est un film qui sait s’intégrer avec respect dans cet espace géographique et culturel (si souvent malmené et violenté) sans paternalisme éxotique-marines.Un film poétique révolutionnaire, exhalté et emprun de déséspoir. Un film aux chromatismes batik comme peint par les enfants de la Montessori de l’ère éléctronique, qui entrecroise les diverses explorations et aventures de l’oeil et de l’esprit (un groupe d’italiens se rend au Burkina Faso mais seul l’un d’entre eux, un collaborateur, sait véritablement de quoi il s’agit) avec un inhabituel amour pour un territoire non moins mystérieux et fantasmatique que le nôtre. Ce territoire sait fasciner et transformer grâce à sa richesse et cela malgré la sécheresse, le corrupteur Campaorè, la dureté de piocher la terre, la condamnation des syndicats, l’extermination des opposants politiques, jusqu’à, à la fin du film, la perte d’une clé (de lecture ?).

Cependant, comme nous l’explique le titre, les « voyageurs par hasard » sauront sortir de la nuit hallucinée et atteindre une compassion intime et dansante, et le film deviendra peu à peu un hommage lucide et émouvant à la prévoyance du président révolutionnaire Thomas Sankara, assassiné par le monde riche. Ses textes, diversifiés et gracieusement intercalés, également tranchés par d’autres voix off (récits de voyage, interviews, réflexions...) accompagnent comme un refrain cette exploration énigmatique mais jamais conquérante: « Je dois avoir la force de comprendre – raconte une femme qui « s’incorpore » à Sankara - que les mêmes droits humains sont un instrument des impérialistes qui garantissent l’éthique de leur propre système. Ils sont l’invention d’une élite à double face qui veut mettre son nez dans les affaires de ceux qui souffrent. Un pauvre ne pense jamais à ses propres droits... »Le collectif catanais de “produzione dal basso” (« production d’en bas ») ou de cette Malastrada, dans la lignée de ses aînés :le groupe Cane Capovolto, est en train de changer les codes de notre cinéma indépendant, ou mieux, de notre cinéma autonome. Cependant, elle reste une unité mobile, liée aux tensions politiques transnationales plus qu’à un territoire monoculturel et alliénant (le groupe s’est même transféré à Marseille pendant un an). Du point de vue de la production et de la distribution, il s’agit d’une structure légère et, plus

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qu’autarcique, elle est libre. En effet, elle s’autofinance à travers des mécanismes de coopérations et grâce à la vente directe de leurs propres productions via internet (chaque film coûte 10 euros). Ils peuvent ainsi ne pas avoir recours à l’aide de qui interviendrait au niveau de la création mais surtout, et plus fortement, sur les propres travaux en l’échange de quelques salles de projections off et off.C’est pour cette raison que ce groupe est en train de devenir un point de référence pragmatique pour les jeunes cinéastes ultras.

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(written on the occasion of Même père même mère’s screening on 10th of may at the cinema Farnese in Rome, in “Panorami” section of Tekfestival)

from Alias/il manifesto – may 3, 2008

DREAMING FOR OUAGA Tek, Malastrada and Thomas Sankara by Roberto Silvestri

Même père même mère directed by Alessandro Gagliardo, Julie Ramaioli and Giuseppe Spina, of the Sicilian indy group Malastrada will be the surprise of Tek (recommended to “African” high-schoolers of the Veltroni-tour). It’s a film that finds its respectful place within that geographic and cultural space (so often molested and abused) without exotic-marines paternalisms. A revolutionary poetic film, exciting and desperate, with its batik coloration as if painted by electronic era Montessori pupils, it entwines many eyes and minds explorations and adventures (a group of Italians go to Burkina Faso, only one of them, a cooperator, really knows what it’s about) with an unusual love for a territory that isn’t any more mysterious and fantastic then ours, that charms and transforms for its richness, despite the drought, Campaorè, the corrupter, the struggle of digging the dirt, the banishing of corporations, the massacre of the political opposition and the loss, in the end, of a key (of interpretation?). But as the title explains the “random travelers” will be able to merge from the hallucinated night toward an intimate and dancing sympathy and the film will slowly turn into a clear and moving tribute to the farsighted Thomas Sankara, the revolutionary president killed by the rich world. Its texts, variously and lightly used and edited by other off-voices (travel journals, random interviews, reflections,…) accompany like a refrain this enigmatic, never colonial exploration…: “I must have the power to understand” says a woman incorporating Sankara, “that the human rights are an instrument to imperialists, an ethic warranty of their system. They are the invention of a dual-faced elite that wants to fit in the shoes of those who suffer. A poor person never thinks of his/her rights”…

The collective of independent producers from Catania or from this Malastrada, following the path of its “older brother” Cane Capovolto, is changing the connotation of our independent, or better autonomous, cinema. So far it’s a moving unit, linked more to transnational political tensions then a monocultural imprisoning territory (it even moved to Marseille for a number of years). Its productions and distribution is a light structure more free then autarchic. It funds itself through cooperation mechanisms and direct on-line sale of its productions (€10 each movie). The collective is able to refuse the help of those who would intervene creatively and heavily on its work in change of some random showing space. This is why Malastrada is becoming a pragmatic point of reference for young “ultra” film-makers.

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cinemaitaliano.info intervista la malastrada.film

3 maggio 2008

SP: Come è nata l'idea realizzativa per il documentario Même Père Même Mère? Come avete "scoperto" la realtà del Burkina Faso, da noi semi-sconosciuta?

Mf: L'idea del film è nata quasi per caso, molto semplicemente, per un incontro fortuito avuto con Dario (un amico che viveva in Burkina) e per un sogno fatto qualche notte dopo da un'amica. Abbiamo iniziato a documentarci sulla storia del paese e siamo rimasti colpiti soprattutto dal rapporto che si viene a creare tra la situazione politico/economica mondiale attuale e la storia recente di questo paese, che è paradossalmente uno dei paesi più poveri e più sconosciuti al mondo. Messa su la struttura di "produzione dal basso" abbiamo trovato della gente interessata a finanziare il nostro progetto e dunque il denaro necessario per_partire.Occorre però fare una piccola premessa a questo nostro dialogo: certo, Même Père Même Mère può essere visto come un documentario, ma soggettivo. Non quindi un "documento" che si dà come "portatore di realtà", ma come qualcosa che "riporta" quella che è un'esperienza individuale. Questa per noi è una caratteristica fondamentale non solo di Même Père Même Mère ma del nostro lavoro in generale.

SP - Come siete entrati in contatto con la popolazione di questo paese e come hanno accolto la vostra troupe?

Mf: Prima della partenza ci siamo messi in contatto attraverso e-mail con molti burkinabé che poi ci hanno ospitato molto volentieri. Questo vuol dire vivere con la gente del luogo e quindi condividerne la quotidianità. Ciò è possibile proprio perché non abbiamo, e non vogliamo lavorare con budget consistenti che fanno si che il tuo stile di vita (e dunque di lavoro) sia diverso da quello degli altri che ti stanno accanto. Entriamo in contatto con la gente perché non c'è differenza tra noi e loro, per intenderci: non ho il denaro per vivere in un albergo o per mangiare ogni giorno al ristorante, sono esattamente un uomo come te.Quando parli di troupe mi viene un po' da ridere perché è un termine che implica un metodo di lavoro che abbiamo rifiutato totalmente. In Burkina Faso avevamo due camere dv, una macchina da presa 16mm, una macchina fotografica, un microfono professionale. Nient'altro. Ognuno è trasportato dalle proprie, personali, sensazioni, gira a suo modo e quando vuole. Accendi la camera quando lo senti, quando lo percepisci, non ci sono filtri tra te e ciò che hai

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davanti.

SP - Dal vostro lavoro emerge tutta la difficoltà ma anche l'orgoglio di una nazione nata dal nulla, a tavolino. Secondo voi l'Africa subisce ancora l'ondata del colonialismo occidentale?

Mf - L'Africa di oggi è senza dubbio il risultato del perpetrarsi di una sottomissione economica e politica al benessere occidentale, si parla, anche nel film, di una battaglia al neocolonialismo. Già Sankara tra il 1983 e il 1987 aveva ben definito quali fossero i nemici delle masse popolari africane (così come di quelle europee - aggiungeva) e indicava nel Fondo Monetario Internazionale, nella Banca Mondiale, nelle politiche dei governi occidentali e nelle gigantesche imprese della finanza e del consumo, i nemici del popolo a livello internazionale. Sankara fu ucciso per questo motivo o forse, meglio, per permettere che un presidente di cartapesta (al potere da vent'anni) facile alla corruzione e fondamentalmente fascista (di pratiche fasciste) potesse diventare il primo interlocutore, il pupo, del governo francese prima e di tutta l'Europa democratica, Italia compresa, poi.

SP - Molte riprese sono dedicate ai bambini ed alla coltivazione della terra. Sono la speranza o un dolore per l'Africa?

Mf - Al di fuori della simbolizzazione che se ne può fare con molta facilità, possiamo dire che i bambini in Burkina Faso sono la fascia di popolazione più numerosa e che l'agricoltura è l'attività lavorativa maggiormente praticata. Uno degli aspetti che vengono fuori dal film è proprio l'assenza di domande del genere. Speranza o dolore? Se mi pongo questa stessa questione per i bambini europei non riesco a rispondere per le stesse ragioni. I bambini africani conducono la loro esistenza, e questa è fatta di momenti di felicità e di tristezza esattamente come per tutti gli altri bambini al mondo. Occorre a nostro avviso mettere da parte quella visione dell'"Africa povera che va aiutata", perché crediamo sia uno dei motivi più distruttivi dell'identità e dell'esistenza stessa di questi popoli. Come ha detto Odile Sankara in una conferenza poco tempo fa, "fateci un piacere, non vogliamo aiuti di nessun genere, statevene a casa a combattere le vostre multinazionali".

SP - Mi ha colpito una frase detta nel documentario "una cultura è ricca, quando è creativa". Potete commentarla?

Mf - Quella frase continua in questo modo: “vale a dire ogni volta che trova delle nuove soluzioni ai problemi che le si pongono”. Se un'idea del genere colpisce probabilmente lo si deve alla verità che contiene.

SP - I riti tribali e un senso forte della comunità. Come si mescolano questi due aspetti con la politica di un paese dove non sono rispettati i diritti umani?

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Mf - Questo lo si dovrebbe chiedere ad un antropologo. L'unica cosa che possiamo dirti è che spesso i riti tribali non sono altro che una manifestazione della corruzione del sistema. Spesso vengono organizzati riti tribali per "distrarre la massa", non per niente molti degli organizzatori di eventi del genere, che richiamano centinaia di persone, indossano magliette che pubblicizzano la faccia di Blaise Campaore (attuale presidente assassino) o il suo partito. Il senso della comunità, nella nostra esperienza che ripeto è soggettiva, l'abbiamo davvero percepito solo nel Sahel cioè nella zona a nord del Burkina, nel deserto. In quelle zone senti l'essere umano come raramente accade nella vita e crediamo che nel film questo aspetto sia trattato.

SP - Potete raccontarci qualcosa di più dell'italiano Dario, uomo occidentale arrivato in Africa?

Mf - Dario è un amico che ci ha accompagnato nel viaggio, e che lavora per il Centro Ghélawé, un centro di cooperazione dal basso fondato da un burkinabé che vive tra l'Italia e il Burkina. Questo è il link del centro: www.centroghelawe.org

SP - Come avete curato la splendida immagine del documentario? Con che tecnica avete effettuato le riprese e la post-produzione?

Mf - Il più è realizzato in fase di ripresa (a parte ovviamente la rielaborazione delle immagini nella scena di Ouagadougou). Il film praticamente non ha avuto una vera e propria fase di post-produzione. C'è un legame molto particolare tra la fase di ripresa e quella successiva di montaggio. Come ti dicevo molto dipende dalla sensibilità del momento, da un'impulsività che si sviluppa nell'atto poietico, di creazione. E' il frutto di una serie di esperimenti fatti negli anni passati, per i quali abbiamo abbandonato l'idea data (e datata) di linguaggio, per riuscire così a riconoscere e abbattere quelle unità segniche che ci si porta scolpite dentro e che conducono alla costruzione seriale di una frase. Quindi occorre andare oltre l'atto abitudinario dell'occhio e della mente (abbattere la concezione prospettica, di profondità di campo, come di tutte le forme di raccordo presenti nel linguaggio cinematografico), andare oltre il quadro stesso per calarvisi in profondità e riuscire a far venire fuori quella che chiamiamo la "mano visibile" (contrapposta a quella "invisibile" che secondo Smith regola le leggi del mercato, e traslando ironicamente, contrapposta a tutto quel cinema sempre uguale perché spinto dal denaro e da flebili e inutili influssi creativi).

SP - Come state distribuendo il film e come credete si possa migliorare la distribuzione dei film italiani in sala?

Mf - Continuiamo ad utilizzare un metodo che si è autodeterminato in sincrono con la nostra necessità primaria di avere uno scambio diretto con la gente, con le persone, con il loro pensiero ed il loro punto di vista critico. Sino a questo momento abbiamo realizzato più di 15 proiezioni in diversi luoghi che noi

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consideriamo, di fatto, luoghi di cinema. Parliamo di librerie, aule universitarie, circoli associativi, sedi di cineforum, sale da festival, centri sociali, cineclub, etc. Senza considerare le “proiezioni private” a casa di amici in giro per l'Italia con 8/10 persone sedute a guardare il nostro film. Questo per dire che non ci poniamo in termini di “emergenza” la questione sala. E' la sala piuttosto che deve porsi il problema dell'emergenza, che deve riconsiderare la propria politica prima di diventare un'industria dismessa e poi, dopo, una sala bingo, un bowling o un supermercato. Continuiamo a maturare un'idea per la quale la concezione classica della distribuzione, che in Italia pare essere vincolata concettualmente alle sale ed alle vendite alle televisioni (cioè due settori-ectoplasma per il cinema contemporaneo, specie se italiano) non è per noi indice della riuscita o meno di un film. Contestualmente alla visione e dunque alla proiezione, cerchiamo di diffondere delle idee, dei metodi, delle intuizioni. Il concetto che sta alla base di ciò che noi intendiamo come diffusione (per intenderci l'ex concetto della distribuzione) è la possibilità di innescare dei processi che possano accelerare lo sviluppo di un nuovo dibattito che implichi in prima luogo le energie, le idee, i pensieri, le visioni di individui di questa contemporaneità: a prescindere da qualsiasi riflusso economico o chiusura di cassa. Immaginiamo che la circuitazione di film italiani possa migliorare, cioè essere per lo meno visibile, nel momento in cui per primi i cineasti, i filmaker, i registi italiani riuscissero a riposizionare l'idea del loro lavoro e di se stessi all'interno della società e non nella struttura meccanismo (in avaria) cinema. Certo è anche chiaro che nel frattempo, ad esempio, autoproduciamo e vendiamo i nostri dvd senza aspettare che qualcuno lo faccia per noi.

SP - Come considerate l'attuale panorama cinematografico italiano?

Mf - Crediamo ci siano parecchie esperienze interessanti in Italia in questi anni, che però non sono incluse nel "panorama", nel senso che non sono molto conosciute. E ciò è dovuto allo scadente lavoro della maggior parte dei festival, delle riviste cosiddette specializzate e di quelle organizzazioni che nascono come nuove ma sono già vecchie (perché vecchi sono i modi di pensare il cinema e di farlo, tanto economicamente quanto creativamente). Stiamo cercando di rintracciare queste esperienze, di riconoscerle e di intrecciarle tra loro prima che scompaiano nel nulla o che vengano risucchiate dalla macchina. La nostra ricerca sta anche in questo. Diffondiamo i nostri film e altre produzioni non per guadagnarci (il guadagno è molto, molto limitato) ma perché riteniamo di fondamentale importanza la diffusione di concetti e linguaggi nuovi che passino attraverso filtri non istituzionali, perché solo attraverso questo tipo di eterogeneità e di veicolo è possibile uscire dai canoni e dalle corruzioni sociali, culturali, politiche, economiche che dominano, gestiscono, covano tutti (tutti!) gli apparati della nostra società.

Simone Pinchiorri a malastrada.film

www.cinemaitaliano.info

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__________ ____________________________documenti____________

UN VIAGGIATORE NELL’ESISTENZA Appunti per uno sguardo trasversale

scritto da Sergio Spampinato

12 Maggio '08

Même Père Même Mère, film di viaggio realizzato da Malastrada.film attraverso

l’innovativo sistema di coproduzione dal basso, accarezza con lo sguardo la triste

realtà del Burkina Faso e con essa, in un contraltare incessante di prospettive

visive, parole e suoni, talora sovrapposte e dissociate tra loro, simboleggia

l’emergere della situazione attuale di tutto il continente africano.

Il film si articola dunque su molteplici prospettive trasversali, ma essenzialmente

due: la prospettiva delle immagini e quella delle parole, che camminano in

direzioni parallele e speculari ma che, senza percorrere linearmente un movimento

dicotomico, intersecano il medesimo orizzonte concettuale e concreto: l’esistenza.

L’immagine, innanzitutto, segue gli spostamenti di un ipotetico viaggiatore che

racchiude in sé lo sguardo dei tre registi e, al tempo stesso, si dà nell’apertura alla

vita quotidiana degli individui burkinabè, sino a cancellare quello stesso sguardo,

come nella sequenza in cui, a partire dalla rappresentazione di un rituale tribale

segmentata nei movimenti ed alternata a bruschi spostamenti repentini in senso

orizzontale della macchina da presa, l’immagine si costituisce dapprima nella

scansione del proprio intrinseco spazio – movimento, per annullarsi in una

irruzione fluttuante iperreattiva della macchina da presa che ne annulla la

possibilità di sintesi e la sua stessa ragion d’essere.

Alla sequenza del rituale segue una esemplare successione di immagini parziali,

incomplete, distorte, rarefatte, lungo le quali il suono ripetuto in loop dei tamburi

prolunga in sottofondo il ritmo della sequenza precedente e si impone anche sulla

sola possibilità di proferimento della parola.

L’immagine si apre così alla simbologia dell’esistenza, ciò che compare echeggia

ed evoca in ultima battuta il reale, dai momenti in cui l’immagine sbiadisce, si

Page 29: Meme pere meme mere

dissolve, brucia il colore con la messa a fuoco, si annerisce, per poi riaffiorare

nella superficie di un albero, di una pentola con del riso in bianco e di una scodella

vuota, raffigurazione di un movimento astratto ed espressionista che annulla la

percezione soggettiva di un’esistenza in divenire il cui percorso storico sembra

compiersi verso una cancellazione, e che restituisce il senso smarrito di detta

percezione nell’apparire oggettivo del reale come forma d’essere attuale al mondo.

Sarà ancora un modo di vedere tipico dell’occidentale, che proietta lo sguardo di

sé al proprio esterno sull’Altro, giungendo a riprodurre il proprio inconsapevole e

mascherato nichilismo attraverso una propria visione di una non-esistenza

sovrapposta alla vita ed alla sofferenza di intere popolazioni?

A tale domanda non sembra possibile dare una risposta affermativa, e ciò proprio

per il genuino tentativo, insito nello scorrere del film, di sdoppiare lo sguardo tra

immagine e parola e di ricomporlo nell’oggettività di ciò che traspare come

autenticità dell’esistenza, del proprio vissuto storico e della prospettiva in divenire

(le tre dimensioni autentiche sono al contempo contenute ed evocate nelle parole

di Thomas Sankara, impersonate da una voce narrante femminile che percorre a

tratti l’intera opera).

La “verifica incerta” della ricomposizione tra lo sguardo del viaggiatore e la realtà

quotidiana che ne costituisce l’oggetto è fornita dalla comparizione all’interno del

film in brevi tratti degli autori; gli stessi si raccontano attraverso le parole, e le loro

esperienze si riportano nelle proprie inquadrature e si offrono dunque anche

attraverso l’immagine, “gettate” nella realtà del Burkina che eccede ogni

possibilità, tanto meno per il Soggetto del pensiero occidentale, di venire

introiettata in una qualche forma d’essenza (lì la realtà è tutt’altro, dice ad un certo

punto la voce fuori campo di un burkinabè).

In questo senso, si può dire che il film superi lo sguardo coloniale di una visione

d’insieme che tende ad oggettivizzare sui propri modelli la realtà “altra” di ciò che è

differente e che non può raggiungere lo statuto ideale ed ideologico di vita,

mantenendo soltanto la referenza di una nuda materialità biologica.

La dimensione della mera esistenza nel film viene invece in rilievo nella propria

intrinseca espressività attraverso la trasfigurazione simbolica data da una lunga

successiva sequenza nella quale all’immagine dei corpi è sovrapposta

l’animazione di movimenti di linee divergenti che destrutturano l’idea di individuo e

ne frammentano l’unità concettuale.

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Il ripiegamento delle linee all’interno delle immagini traccia così un movimento di

dispersione e di fuga dei contorni raffiguranti le sagome degli individui e restituisce

una visione nitida degli stessi soltanto alla fine della sequenza, nelle forme di forti

colori e cromature sgranate.

Memorabile rimane l’immagine che saltuariamente si ripropone lungo la sequenza,

in cui un bambino sembra muovere una ruota correndo o forse, più plausibilmente,

sembra soltanto inseguirla, metafora di un’ andatura che può imprimersi

all’esistenza o, viceversa, di un’esistenza che si percorre da sé in maniera

eteronoma.

L’intera sequenza è costantemente perturbata dai suoni di numerose voci casuali

che scorrono incessanti echeggiando la dimensione impersonale ed oggettiva di

una popolazione (o il brulichio di un intero continente).

Al di sopra dei suoni, si stagliano le parole di auspicio per un futuro che sembra

già essere passato oltre, segnando quasi il punto di non tangibilità e non ritorno

dell’esistente.

Degli individui, i cui corpi si dissolvono in sagome ed ombre e la cui appartenenza

ad un’esistenza povera ed originaria viene in controluce nella dimensione

impersonale della “nuda vita”, raffigurano l’oggettività neutra di un sostrato

ontologico che tende concettualmente a scomparire lacerandosi gradatamente al

di sotto della sovrimpressione delle immagini.

Sembra in altre parole che al carattere della relazione storica umana, sempre

presente sul piano dell’enunciazione delle parole, subentri in sovrapposizione il

livello concettuale della dimensione dell’uomo-animale (in un’immagine opaca si

riflettono in superficie sovraimpresse le figure di insetti accalcati, mentre, sul piano

enunciativo, il discorso allude alla lotta tra gli uomini).

Tale prospettiva inesorabilmente nichilista, costruita in forma trasversale

attraverso le immagini ed il montaggio, appare però oltrepassata alla fine del film

non soltanto dall’evocazione mistica dell’immagine bianca rilucente, in mezzo alla

quale ricompaiono degli individui nel cammino della Montagna sacra, quanto

anche nel rimbalzo prospettico che da essa si sposta alla mano che traccia un

percorso nella sabbia del deserto, simbologia della possibilità di un divenire

autentico inciso al di sopra delle pagine vuote della storia.

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Même Père Même Mère

Estratto da: CINEMAFRICA | Africa e diaspore nel cinema

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Tra scoperta e ricordo: rielaborazione di un sogno

Même Père Même Mère- MAGAZINE - VISIONI -

Data di pubblicazione : domenica 11 maggio 2008

Abstract:Même Père Même Mère-Un film di viaggio è un documentario - totalmente autoprodotto e autodistribuito - del progetto malastrada.film che si avventura alla

personale scoperta del Burkina Faso.

CINEMAFRICA | Africa e diaspore nel cinema

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Même Père Même Mère

Mentre la consueta folla di turisti e di romani distratti affolla Piazza Campo de� Fiori nel caldo e assolato sabatopomeriggio, sullo schermo del Cinema Farnese, sede dal 6 al 11 maggio della settima edizione del Tekfestival, siproietta Même Père Même Mère - Un film de voyage (Stesso padre stessa madre - Un film di viaggio, 2008) diAlessandro Gagliardo, Giuseppe Spina, Julie Ramaioli, un lavoro dietro al quale c�è sicuramente uno dei progetti piùinteressanti proposti durante il festival.

Il documentario o, come preferiscono definirlo gli autori, il documentario soggettivo è un progetto di viaggio escoperta del Burkina Faso, il "paese degli uomini integri", chiamato così dal suo primo presidente, Thomas Sankara,assassinato nell�ottobre del 1987. Même Père Même Mère è anche un film di formazione, attraverso il quale gli autoris�interrogano prendendo le sembianze e la voce di un ideale viaggiatore che si scopre nel corso del viaggio. Un filmcorale come tutti i lavori del gruppo di malastrada.film, un progetto che ha preso forma quattro anni fa a Catania, mache in realtà è in continuo movimento, in evoluzione e alla ricerca di collaborazioni che oltrepassino ideali confini.Flusso, dinamismo, creazione e produzione dal basso, queste sono alcune delle caratteristiche del progetto che èriuscito a realizzare Même Père Même Mère grazie alla partecipazione di 760 coproduttori che hanno versato inanticipo la quota per acquistare una copia del dvd, che è ora possibile comprare sul sito www.malastradafilm.com(12 euro). Un nuovo modo di fare cinema, una risposta alla stasi della realtà italiana, un progetto propositivo e fattivocon il quale è necessario confrontarsi.

Il gruppo, incarnato nel viaggiatore che parla in francese, si sposta seguendo stimoli e sensazioni tra Ouagadougou,un villaggio al sud dove si trova il Centro Ghélawé del loro amico Dario e il nord del paese, alla scoperta del sognoinfranto di Sankara, di ciò che è stato, ma soprattutto di ciò che è. Una voce di donna che parla in lingua moré,rielabora, ricostruisce in un puzzle tridimensionale, il pensiero, i discorsi, le paure di Sankara, mentre le immaginimostrano il paese di oggi, la gente, i volti, le case.

I suoni si sovrappongono come i punti di vista e le sensazioni, in un�alterazione continua della visione sonora del film:la voce del viaggiatore, la voce della donna e i rumori e le voci della gente del Burkina Faso. La sensazione dellaperdita, dello spaesamento, dell�insicurezza, della serenità s�intrecciano nel vortice convulso delle immagini, ferme,in movimento, alterate, rallentate e in negativo che seguono il movimento del viaggiatore e le sue percezioni. InMême Père Même Mère gli autori rincorrono la loro visione, la loro personale rielaborazione del Burkina Faso. Neldocumentario non ci sono falsi tentativi di giudizio, non vengono esplicitate ipotetiche tesi da sostenere, non sicercano prove, ma l�intento, dichiarato e onesto, è quello di raccontare la propria esperienza cercando di scrollarsi ilpiù possibile di dosso tutte le sovrastrutture dell�Africa offerte dal mondo occidentale, dalla falsa pietas verso i paesipoveri e devastati da fame e guerre all�immagine romantica di alcuni viaggi e di alcuni leader, compreso ThomasSankara. Nel paese che vive dall�87 sotto la dittatura non dichiarata di Blaise Compaoré, amico fraterno di Sankara eallo stesso tempo suo carnefice, la maggior parte della popolazione vive di agricoltura e allevamento, l�occupazioneè all�80% e dipende dagli aiuti internazionali.

Même Père Même Mère è un documentario che è insieme esperienza percettiva, indagine e scoperta di un paese, emanifesto politico contro il potere e il controllo di alcuni noti governi. Malastrada.film dichiara: �Questo film è un invitoalle masse popolari, ovunque e sempre tradite dalle borghesie dominati�.

Alice Casalini

Même Père Même Mère � Un film de voyage (Stesso padre stessa madre � Un film di viaggio)Regia: Alessandro Gagliardo, Giuseppe Spina, Julie Ramaioli; sceneggiatura: Alessandro Gagliardo, GiuseppeSpina, Julie Ramaioli; fotografia: Alessandro Gagliardo, Giuseppe Spina, Julie Ramaioli; suono: AlessandroGagliardo, Giuseppe Spina, Julie Ramaioli; montaggio: Alessandro Gagliardo, Giuseppe Spina, Julie Ramaioli;interpreti: il popolo del Burkina Faso; origine: Italia, Francia, Burkina Faso, 2008; formato: 16mm, DV, colore; durata:

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Même Père Même Mère

82�; produzione: malastrada.film, S.A.C.R.E., 760 coproduttori dal basso; distribuzione: Malastrada.film; sito ufficiale: www.malastradafilm.com.

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Produrre dal basso

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Conversazione con Alessandro Gagliardo e Giuseppe Spina,malastrada.film

Produrre dal basso- MAGAZINE - CONVERSAZIONI -

Data di pubblicazione : domenica 18 maggio 2008

Abstract:Abbiamo incontrato Alessandro Gagliardo e Giuseppe Spina in occasione della proiezione dell�ultimo lavoro del progetto malastrada.film, Même Pére, Même

Mére - Un film de voyage (Même Pére, Même Mére � Un film di viaggio, 2008) presentato durante l�ultima edizione del Tekfestival (Roma 6-11 maggio 2008).

La produzione dal basso di malastrada.film prevede da un lato l�utilizzo di internet e della rete per la diffusione e l�informazione, dall�altro la consapevolezza

dell�importanza della presenza fisica in ogni luogo in cui il film viene proiettato e riesce ad avere la sua visibilità.

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Produrre dal basso

Abbiamo incontrato Alessandro Gagliardo e Giuseppe Spina in un caldo pomeriggio di sole nel cuore di Roma inoccasione della proiezione dell�ultimo lavoro del progetto malastrada.film, Même Pére, Même Mére - Un film devoyage (Même Pére, Même Mére � Un film di viaggio, 2008) presentato durante l�ultima edizione del Tekfestival(Roma 6-11 maggio 2008). Alessandro e Giuseppe, due dei tre autori del documentario, Julie Ramaioli infatti non erapresente, sono in continuo movimento per promuovere il loro film e il loro progetto tra festival e rassegne. La loroproduzione dal basso prevede da un lato l�utilizzo di internet e della rete per la diffusione e l�informazione, dall�altro laconsapevolezza dell�importanza della presenza fisica in ogni luogo in cui il film viene proiettato e riesce ad avere lasua visibilità.

Il vostro è un progetto collettivo particolarmente interessante e mi ha colpito molto anche visitando il vostro sitointernet (www.malastradafilm.com). Potreste spiegare meglio come è nata l�idea di mettere insieme le forze e qual èstata la genesi del progetto?Alessandro GagliardoIl progetto è nato quattro anni fa rispetto alla necessità e la voglia di fare dei film, di creare attraverso questo tipo dilinguaggio. Allo stesso tempo, sin dal primo momento, abbiamo sempre pensato che non potevamo credere di faresolo dei film e poi aspettare che qualcuno altro si incaricasse della distribuzione. Sin dall�inizio quindi siamo partiticon l�idea della creazione e della diffusione dei film. Il progetto quindi nasce quattro anni fa con un cortometraggioche abbiamo fatto io e Giuseppe insieme seguito poi da altri progetti, documentari, cortometraggi. Tutto nascedall�incontro di persone che avevano la necessità di fare delle cose e poi il progetto si è definito negli anni fino adarrivare a quello che è oggi, un centro di creazione e diffusione di cinema e di ricerca che utilizza un sistemaparticolare di produzione e di distribuzione. La genesi è questa.

Malstrada.film ha sede a Catania.Alessandro GagliardoSì diciamo che lo stabile si trova a Catania, ma tutto il resto è continuamente instabile e itinerante: noi infatti cimuoviamo in continuazione perché la distribuzione, per come la concepiamo noi, si basa sulla possibilità di seguire ifilm, sia nostri che delle persone che noi sosteniamo e diffondiamo, in tutte quante le proiezioni, di accompagnarli edi presentarli.

Per quanto riguarda invece Même Pére, Même Mére, come è nata l�idea di avvicinarvi al Burkina Faso e poi dipartire per scoprirlo?Giuseppe SpinaIl progetto nasce casualmente dall�incontro con un nostro amico che vive in Africa da circa sei anni, Dario, e con ilsuo centro Ghélawé che si occupa di cooperazione (www.centroghelawe.org). Abbiamo parlato con lui che ci haraccontato del Burkina Faso. Il giorno dopo una nostra amica, Loredana, ci ha raccontato di un suo sogno nel qualetutti noi partivamo per girare un film in Burkina Faso. Io ero senza casa a Bologna, ho chiamato Alessandro che miha detto che il giorno dopo mi avrebbe fatto sapere qualcosa e da qui è partito tutto. Certo questa è stata la scintillache si è accesa attraverso l�intreccio di vari elementi casuali, poi abbiamo incontrato la figura di Sankara che siavvicina molto al nostro modo di pensare e lavorare: ad esempio l�idea di produrre e consumare burkinabé, ecco noiproduciamo, consumiamo e diffondiamo da noi. Siamo rimasti affascinati da questa figura rivoluzionaria.

Alessandro GagliardoCi sembrava anche interessante che a livello internazionale la produzione si concentra sui alcuni temi, su particolarizone del mondo, imposti dai media, come la Cina ad esempio, mentre dell�Africa si continua ad avere l�idea di questogrande continente malato che ha bisogni di questi scarichi di morale dal parte dell�Europa. Per cui a noi che noneravamo mai stati in Africa questa idea ha iniziato ad affascinarci seriamente. Tra l�altro il Burkina è catalogato comeuno dei quattro paesi più poveri al mondo, e a noi facendo un cinema povero oltre che soggettivo e tante altre bellecose, l�idea di andare in Africa in quel momento si è manifestata come una cose di cui avevamo realmente bisogno.Spostarsi quindi completamente da un tipo di elaborazione dell�immagine e di contenuti occidentale, per trovare

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Produrre dal basso

qualcos�altro in Africa. Poi è chiaro che quando scopri in particolare la storia del Burkina Faso con la figura di questoleader affascinante di trenta anni con delle idee sulle quali si muove l�alter-mondialismo di oggi e capisci che imovimenti hanno radici nelle idee e nei principi lontani come quelle dell�83, inizi a incasellare tutta una serie di motiviche fanno poi parte dell�entusiasmo per il progetto.

Siete dunque partiti con delle aspettative particolari di ricerca e scoperta attraverso questo film in Burkina Faso?Giuseppe SpinaDal punto di vista cinematografico l�unica idea che avevamo in mente era quella di filmare le nostre sensazioni e direalizzare un film di viaggio in questa terra per i motivi che prima diceva Alessandro. Quindi siamo arrivati in Burkinaabbiamo girato il film in un modo molto naturale, senza costruire architetture o artifici. Noi abbiamo fatto tutto, nonc�erano luci e non c�era una vera e propria troupe, sviluppando un rapporto con la gente che è risultato veramentequotidiano. Il film è prodotto dal basso, noi con 8 mila euro siamo andati in Africa a fare un film.

Alessandro GagliardoCon gli stessi soldi siamo andati in Francia per il montaggio e abbiamo prodotto e inviato il dvd alla gente che ciaveva dato i 10 euro per produrre il film pre-acquistando il dvd.

Giuseppe SpinaIl budget limitato fa si che tu riconsideri i tuoi bisogni e hai la necessità di crearti una serie di amicizie, di contatti, discambi che fanno in modo che tu vada a dormire a casa della gente direttamente. Questo ti permette di relazionartiin modo profondo con la gente, con i posti e la loro storia.

Alessandro GagliardoVolendo fare un film di viaggio, una delle cose sulle quali ci siamo concentrati di più è stata proprio la figura delviaggiatore. In questo senso la macchina cinematografica non può precedere il senso dell�essere un viaggiatore.L�idea del vivere dal basso è proprio quella di arrivare, stare, conoscere, parlare e poi filmare, in questo modo eviti lacostruzione cinematografica del dialogo. È una cosa che prima di tutto riguarda te stesso in rapporto all�altro.

La struttura del film infatti è quella del flusso, come voi dite anche sul sito, e l�impressione è che Même Pére, MêmeMére possa essere anche letto come un film di formazione, o comunque di scoperta.Giuseppe SpinaSì, scoperta non solo di un luogo, ma soprattutto di te stesso. Noi siamo contro l�oggettività del reale, contro chiguarda il reale con oggettività e chi dunque si sente di possedere delle chiavi di lettura e di essere in grado dianalizzare una società oggettivamente, come fanno la maggior parte dei documentari. Invece no, Même Pére, MêmeMére è un film soggettivo, è l�interpretazione soggettiva di un paese, di un luogo e quindi anche di chi lo fa.

Però se da un lato c�è questo tipo di approccio, dall�altro c�è un tipo di ricerca sul linguaggio molto approfondita chericorda la video arte, sia per quando riguarda le immagini, sia per gli elementi sonori che sembra quasi contrastarecon ls struttura a flusso ed emotiva.Giuseppe SpinaNo, ma guarda noi non facciamo video arte, e forse non faccio neanche arte. Questo è un punto fondamentaleperché in effetti una parte del film può essere identificata come video arte, ma in realtà non è così. Tutto quello che sivede durante il film è l�espressione della nostra percezione. Di conseguenza se la parte di Ouagadougou, delladurata di 10 minuti, che rappresenta l�inferno di una capitale africana, è solo per rappresentare la nostra confusionepercettiva e per ridarla a chi guarda. Non c�è una costruzione intellettuale o artistica, ma c�è solo il tentativo dicomunicare quello che abbiamo sentito e percepito. I sovraesposti che ci sono nel film, alcuni movimenti di camera,lo sfuocato, i negativi, in varie parti del film, sono direttamente fatti in camera, non in post-produzione.

Alessandro Gagliardo

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Produrre dal basso

Per cui è chiaro che c�è la ricerca sia sul suono che sul linguaggio visivo, ma riguarda la fase del montaggio durantela quale tu stesso ti scopri in determinate immagini, perché nel momento in cui realizzavi le immagini eri molto libero,per cui poi ti ritrovi con un�enorme bagaglio di ricerca e di autoanalisi che puoi fare. La ricerca sta anche in questo,nella possibilità di tradurre e convertire quello che hai provato e filmato.

Il titolo del film invece fa riferimento alla figura di Sankara come padre oppure ha un�altra origine?Alessandro GagliardoIl procedimento per la scelta del titolo è avvenuto a priori rispetto alla realizzazione del film, una cosa normale, manon quando, come nel nostro caso, non hai sceneggiatura e parti per un posto dove non sei mai stato e decidi che ilfilm si chiamerà così. Quello che ci ha affascinato di questa frase, detta all'interno di un racconto, era l'idea che inBurkina si chiamano tutti fratelli, ma che nel momento in cui devono distinguere tra il fratello di sangue e quello distrada dicono di essere fratello di stesso padre e stessa madre, per sottolineare il rapporto di sangue. Se si riflette suquesto livello della fratellanza, pensando ad esempio che un fratello di sangue non tradirà mai, si potrebbe leggereanche il rapporto tra Sankara e Campaoré, fratelli di rivoluzione: nel momento di difficoltà e di pressione peròCampaoré si trasforma da fratello in assassino. Ma questa idea di fratellanza, di vedere l'altro come fratello, è stataimportante anche rispetto all�idea di ricerca spirituale che abbiamo voluto fare e va contro l'immagine rarefattadell�Africa come luogo a parte, come oasi dove ritrovarsi. Nella ricerca era fondamentale l�incontro e la conoscenzacon l�altro e questo avvicinamento secondo il principio della fratellanza sembrava un modo onesto per realizzarlo.

Giuseppe Spina[&] Abbiamo lavorato molto per evitare la simbologia errata sulla quale si basano molti dei film sull�Africa. In MêmePére, Même Mére abbiamo fatto un lavoro molto importante di de-simbolizzazione e di ricostruzione di unimmaginario che non conoscevamo.

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