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Memorie casapesi di Roberto Borgia Tivoli, 2013, revisione 2020

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Memorie casapesi di Roberto Borgia

Tivoli, 2013, revisione 2020

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Avvertenza: sono solo alcuni brevi note, che spero un giorno di ampliare.

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MEMRIE CASAPESI di Roberto Borgia, 2013, revisione 2020

La storia di Casape

Riporto quanto scrissi nell' 0puscolo "Agosto casapese 1981", stampato dalla Tipografica San

Paolo, a cura della Associazione Pro Loco di Casape; si tratta di una sintesi della storia di Casa-

pe, utile, quanto meno, per ulteriori approfondimenti: "Disposto a mezza costa su uno sprone dei Monti Prenestini, quasi balconata sulla Campagna Romana, Casape (m.

475) si raggiunge da Poli oppure da Tivoli, attraverso strade di notevoli vedute panoramiche, risvoltando spesso en-

tro profondi valloni, gole e burroni. Il sito di casape fu certamente adibito fin dall'età preistorica a punto di sosta di

pastori, trovandosi lungo un antichissimo itinerario di transumanza che da Guadagnolo porta alla campagna Roma-

na. In età imperiale la località apparteneva alla Gens Domitia, e qui sorgeva la villa, o meglio il fondo rustico, di Gneo

Domizio Corbulone (morto intorno il 67 dopo Cristo), valente generale romano, dal quale derivò al paese l'antico

nome, quello di Casa Corbula o Casa Corbule. Con la caduta dell'impero romano le campagne circostanti si spopo-

larono, ma nel 984 troviamo la donazione di molte di queste terre (tra cui Casacorvuli) fatta da una tale Rosa, proba-

bilmente dei Signori di Palestrina, ala Monastero di S. Andrea alCelio a Roma (oggi Monastero di S. Gregorio Ma-

gno al Clivum Scauri): Tale zona nell'ambito del Distretto di Roma faceva parte della Provincia di Tivoli. Casa Cor-

buli viene menzionata nel 992 in un diploma dell'imperatore Ottone III, che la conferma a suddetto Monstero, nel

1051, nel 1249 con una ulteriore conferma di Innocenzo IV e nel 1299 in una bolla di Bonifacio VIII. Nel confuso periodo delle lotte fra le potenti famiglie patrizie romane, Casa Corbula fu contesa fra gli Orsini e i Co-

lonna, passò poi per alcuni anni ai Borgia, ritornò agli Orsini e di nuovo ai Colonna. Troviamo in seguito come feu-

dataria la famiglia Leonini, originaria di Tivoli; poi il principe Taddeo Barberini, prefetto di Roma, cardinale e nipo-

te di Urbano VIII, che l'acquistò insieme al feudo di San Gregorio nel 1632 da Lotario Conti, duca di Poli. Il feudo fu

poi venduto nel 1655 al Cardinale Pio di Savoia e proprio in questi anni Casa Corbula abbandona l'antico nome e

prende quello odierno, che deriva da Casa di Pio - Casapi, quindi Casape, nome già documentato in una carta geo-

grafica del 1660. I feudi passarono poi ai successori , fra i quali ricordiamo nel 1724 Gisberto Pio di Savoia, Marchese di Casape, poi

ai duchi di Uceda che li tennero fino al 1886, ma intanto le antiquate strutture feudali cedevano e già precedentemen-

te nel 1809-14, durante l'invasione napoleonica, Casape faceva parte del Circondario di Tivoli, cantone di Poli ed era

amministrata da un Maire (Sindaco) e da un Consiglio Municipale. I diritti feudali furono appunto aboliti nel 1847 e

l'assetto urbanistico medievale cominciò a cambiare con l'edificazione di nuove case, fuori della protezione del castel-

lo, che era passato ai principi Brancaccio nel 1899 insieme a quello di San Gregorio" ● ● ● ● ● ● ● ● ● ●

Riproduco ora un breve articolo che ho scritto nel mese di Gennaio 2007 riguardo la "Pietà" dona-

ta dal Sig. Pino Borgia alla Chiesa di S.Pietro apostolo:

La Chiesa di S. Pietro apostolo in Casape è conosciuta dagli amanti della storia dell’arte per il

famoso crocifisso ligneo databile nella prima metà del XIII secolo. Ricordo ancora l’emozione del

Parroco Don Antonio Felici (deceduto nell’anno appena passato) e del priore della confraternita

del SS. Salvatore cav. Augusto Borgi quando, dopo il restauro nel 1967, il crocifisso fu restituito

alla Comunità che aveva fatto non poche resistenze, affinché l’opera non fosse spostata dal paese

per il restauro a Roma. In quegli anni la popolazione di Casape superava ancora le mille anime,

peccato per l’attuale decremento demografico che ha portato i residenti nel 2001 ad appena 746

persone. Ciò nonostante l’aspetto del paese è notevolmente migliorato e, sempre attenendoci alla

Chiesa parrocchiale, dopo i pregevoli affreschi nell’abside, che hanno incominciato a togliere

all’edificio sacro l’aspetto di "incompiuto", il patrimonio iconografico si è arricchito delle ripro-

duzioni su tela della "Deposizione" di Caravaggio, conservata nella Pinacoteca Vaticana e della

"Madonna dei Pellegrini", sempre di Caravaggio, conservata nella Cappella Cavalletti nella chie-

sa di Sant'Agostino a Roma. Opere singolari, importantissime e difficili soprattutto quest’ultima

che raffigura una donna del popolo, con in braccio il suo bambino, in attesa sulla porta della pro-

pria casa, una comune casa romana, e di fronte a lei due viandanti mal ridotti, con i piedi nudi,

sporchi, i vestiti rattoppati: unico segno della loro condizione le mani giunte ed i due bastoni da

pellegrini. Recentemente, il 24 giugno, ancora un gesto di devozione filiale da parte di un casape-

se, vissuto per molto tempo a Tivoli ed ora residente in Roma. Ci riferiamo a Peppino Borgia che

ha voluto far dono alla Chiesa di S. Pietro apostolo della riproduzione della Pietà di Michelange-

lo, opportunamente colorata, essendo riprodotta in vetroresina. L’opera d’arte è stata collocata

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stabilmente in uno spazio a sinistra dell’ingresso della Chiesa, che è divenuto, grazie anche alla

finestra di spalle, la cui luce ammorbidisce il colore della riproduzione, e al crocifisso di sfondo,

una notevole cappella che invita alla riflessione sul mistero della morte, come recita anche la

scritta dedicatoria "affinché i fedeli con le loro preghiere offrano al Signore e alla Madonna ad-

dolorata le loro anime". Certamente l’opera avrà la forza di parlare al cuore dei fedeli: essa invi-

ta altresì alla riflessione sulla risurrezione e soprattutto sull’amore materno, amore materno che,

pur in forma particolare, ma proprio per questo sempre degno di rispetto, portò le madri di Casa-

pe ad inviare scaglie di colore del crocifisso citato prima ai loro figli impegnati sul fronte nelle

due guerre mondiali, attribuendo al crocifisso virtù taumaturgiche, ricordando il particolare che

nel 1656 aveva salvato Casape dalla peste che aveva infierito sul vicino S. Gregorio da Sassola. Il

colore, sul famoso gruppo michelangiolesco (è stato scelto un celeste intenso per il manto ed il

velo della Madonna che in questo modo fa da stacco al gruppo stesso) certamente rende l’opera

assai inconfondibile, ma dopo il primo impatto e proprio grazie alla morbidezza della luce ap-

prezziamo il gruppo certamente più terreno rispetto alla morbidezza e naturalmente alla indicibile

grandiosità dell’originale michelangiolesco, collocandosi nella iconografia medievale che voleva

colorate, anzi coloratissime, le statue lignee che venivano collocate nella Chiesa, proprio per av-

vicinarle alla comprensione dei fedeli (anche il gruppo ligneo della Deposizione, nel Duomo di

Tivoli, in origine era colorato) derivando questa caratteristica dell’antichità classica prima che

gli studi del Winckelmann ci facessero percepire tutte le statuarie antiche con un bianco abba-

gliante. Ma al di là di ogni considerazione siamo certi che il gruppo donato alla Chiesa di Casape

da Peppino Borgia contribuirà a fare in modo che, come si espresse Paolo VI nell’Omelia del 29

febbraio 1976 in occasione del quinto centenario della nascita di Michelangelo: " Qui l’anima

percepisce più che mai lo stimolo a salire verso l’alto, per qualcosa che trascende l’uomo stesso e

la sua storia, in intimo e beatificante colloquio con Dio, sospinta dal medesimo desiderio di Mi-

chelangelo, che anelava ad uscire dall’orribil procella in dolce calma.".

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I proverbi Se febbraru’n febbrareggia, marzo e aprile areppareggia (Se durante il mese di febbraio il tempo non ha le caratteriste del mese, cioè brutto, a marzo ed aprile il brutto tempo si farà sentire, cioè pareggerà il brutto tempo che è mancato a febbraio)

Acqua, San Piè, che le montagne vanno a foco ! (Grido d'invocazione per invocare la pioggia durante il mese di giugno, in particolare ci si rivolge a S. Pietro Apostolo la cui festa si festeggia il 29 giugno. Ricordiamo che il fondatore della Chiesa di Roma è il pa-trono di Casape, ma già da moltissimi anni la sua festa fu spostata a Casape nel mese di Agosto per permettere ai contadini di partecipare alla mietitura)

Palestrina, passa e cammina! (Non è salutare fermarsi a Palestrina per il carattere dei suoi abitanti! In verità questo proverbio o meglio questo invito è comune in molte no-stre parti; non si dice forse: "Marcellina, passa e cammina!")

La neve marzarola dura quanto la socera e la nora (La neve che cade nel mese di marzo dura quanto il rapporto tra una suocera e una nuora, cioè poco)

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Le tradizioni Riporto, per prima cosa, l'interessante scritto sulla pagina della Provincia di Roma inti-tolata "Casape, una vicenda di devozione popolare"

" C a s a p e , u n a v i c e n d a d i d e v o z i o n e p o p o l a r e

Immaginate lo sbigottimento di E.B. Garrison, amabile gentleman nonché storico dell’arte anglo-

sassone, quando impegnato –all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale- in una ardua

quanto preziosa campagna di rilevamento fotografico delle opere d’arte presenti su parte del ter-

ritorio italiano, giunto a Casape, si vide ostacolato nel proposito dall’intera popolazione femminile

dell’antico borgo.

Non dico che il signore, spinto plausibilmente da motivazioni di ordine scientifico, si aspettasse

l’incoraggiamento, la riconoscenza se non anche la collaborazione della gente del luogo: rimase

tuttavia senza dubbio… “colpito” dalla vicenda se addirittura la narra all’inizio di un suo saggio

dedicato, appunto, al Redentore di Casape, opera oggetto del suo interesse insieme ad un Crocifis-

so ligneo del XII secolo.

Opera quest’ultima che, proveniente dalla chiesa di S. Simeone era peraltro in pessimo stato di

conservazione, perché durante la Prima Guerra Mondiale, le madri di Casape, e per devozione e

perché le attribuivano valore apotropaico, erano solite staccare e inviare ai loro figli impegnati al

fronte, scaglie della superficie dipinta.

A onor del vero, lo svolgimento dei fatti – e testimonianze dirette potrebbero aiutarci a capire me-

glio – non è chiarissimo: sembra che, allorché le donne di Casape si furono rese conto che nella

parrocchiale si era intenti a fotografare la venerabile tavola con il Cristo in trono, opera originale

del X-XI secolo nonostante le numerose ridipinture, queste suonarono precipitosamente le campa-

ne per richiamare gli uomini dai campi e impedire che si procedesse oltre con quel sacrilegio.

Accorsa in gran numero, la gente del luogo affollò la chiesa e vani dovettero essere i tentativi del

parroco per convincere che non si andava compiendo alcuna violazione dei precetti sacri, se addi-

rittura vengono ricordati non meglio precisati episodi di tensione acutizzatisi fino a “a threat of

violence”, minacce di violenza.

Quando poi si assistette al tentativo fallito da parte del parroco di ritrarre l’opera, la devozione po-

polare gridò addirittura al miracolo, incurante delle ammissioni di inefficienza da parte

dell’improvvisato fotografo.

Solo l’autorità dell’arciprete, chiamato urgentemente da S. Gregorio da Sassola, riuscì infine a por-

re termine alla agitazione dei fedeli.

La vicenda, che nei tratti caricaturali del racconto può assumere anche una qualche parvenza grot-

tesca, in realtà illumina, attraverso la religiosità popolare, l’unicità della tavola medievale raffigu-

rante il Cristo Redentore.

L’opera, che rappresenta ieraticamente il Cristo benedicente in trono con libro in mano, si inseri-

sce in un gruppo ristretto di tavole con medesimo soggetto presenti nel Lazio il cui prototipo è tra-

dizionalmente ritenuto il Cristo Redentore del Sancta Sanctorum di Roma, il cosiddetto Achero-

p i t a .

Alcuni studiosi hanno in realtà avanzato alcune perplessità circa la derivazione iconografica delle

tavole dall’opera romana che, coperta da un panno, era accessibile alla vista dei fedeli solo in oc-

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casioni particolarissime, mettendo in luce la molteplicità dei modelli di riferimento, essendo ripro-

dotta l’immagine del Redentore tanto nella scultura che nella miniatura medioevale.

La presenza di almeno 8 icone con tale soggetto – compreso l’esemplare di Casape - databili al

medesimo periodo, è comunque indice di una certa diffusione sul territorio laziale per il culto del

Redentore cresciuto, ipotesi credibile, attorno all’immagine del Sancta Sanctorum.

Culto che, almeno a Casape, vorremmo dire, si è mantenuto evidentemente inalterato fino al XX

secolo! "

NATALE

Prima che Natale diventasse la festa consumistica per eccellenza, si aspettava, la sera della vigilia

all'epoca di mio nonno Augusto Borgi (sì, proprio così: il mio nonno materno aveva il mio stesso

cognome, ma senza la a finale), che venisse Zeppadoro da Palestrina. Per quale motivo si aspetta-

va Zeppadoro? Per un motivo molto semplice e che oggi fa veramente commuovere: Zeppadoro

portava gli spaghetti, cioè la pasta "compra". In una società nella quale il primo ed unico piatto era

costituito dalla polenta di farina di granoturco o dalle sagne acqua e farina (senza uova!), cuocere

gli spaghetti nella vigilia del Santo Natale rappresentava una tradizione o meglio un lusso che ci si

poteva permettere una volta l'anno. Si incominciava ad attendere Zeppadoro nel primo pomeriggio

ed ogni anno si temeva, al ritardo del suddetto, che Natale non potesse essere festeggiato come di

dovere e si incominciava a dire:"Ah, quest'anno niente spaghi!".

Infine, spuntava dalla curva della strada Zeppadoro in groppa ad un somaro, con ai lati due bigon-

zi, nel quale c'erano i famosi spaghetti, che la popolazione provvedeva poi ad acquistare.(Oggi la

vendita di pasta sfusa non esiste più, ma era una consuetudine che io ricordo ancora! Come non

tener presenti quelle elegantissime madie in legno con i diversi cassetti per i vari tipi di pasta!)

Ma ritorniamo al Natale: il primo piatto erano gli spaghetti con il tonno (ricordiamo che era vigi-

lia!), seguiti da canestre di frittelli, soprattutto di broccoli, ma anche di baccalà. La tradizione degli

spaghetti con il tonno si ostina a rimanere in qualche famiglia, ma deve lottare tenacemente contro

i primi piatti a base di vongole, frutti di mare, etc, essendoci oggi più disponibilità economica e

possibilità di rifornimento nei vari negozi di pesce fresco o surgelato.(A questo proposito mi viene

in mente una dissertazione con il nostro amico Olindo, che sostiene che gli spaghetti con il tonno,

nella sua Puglia, vengano cucinati la sera dell'ultimo dell'anno. Ricordo che nella discussione so-

steneva la nostra tradizione natalizia anche l'amico Guido Cipollari, deceduto purtroppo in

quest’anno funesto 2020). Essendoci a Casape molti alberi di nocchie un dolce caratteristico era il

pangiallo, ma tipici erano anche i dolcetti, soprattutto quelli con lo strutto che sostituiva il burro.

Questi dolci dalla forma rotonda e con un reticolo sopra vengono ancora fatti oggi e sono caratteri-

stici per la loro morbidezza!

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Il Crocifisso ligneo

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La Madonna col Bambino La Cappella di S. Simeone

Il Castello

Lo stemma di Casape

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Varie

Riproduco un interessantissimo stemma di Casape di epoca fascista, con la firma autografa del po-

destà Alderigo Milizia (1893-1977). (Fra l'altro Alderigo Milizia era cugino di mio padre Ferdi-

nando e zio acquisito di mia madre Borgi Maria). Il disegno è in mio possesso ed è da notare il

tentativo effettuato di cancellare il fascio littorio con la penna nera, tentativo effettuato natural-

mente dopo la caduta del fascismo. Non ricordo come questo disegno sia venuto in mio possesso,

forse mi fu daro dall’ex parroco di Casape Don Antonio Felici.