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stampato con il sostegno del Centro Servizi per il Volontariato della provincia di Alessandria UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO DICEMBRE 2014 Vitas e Hospice Str. Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E - Tel. 0142/434081 - Casale M. (AL) sistenti, ogni volta che entravo in una qualunque delle nostre 8 camere. Crepe verticali, orizzonta- li, dritte, tortuose, lunghe, corte, ovunque. E i 4 di- pinti sempre più sfregiati, e le pareti dai colori pa- stello scelti con amorevo- le attenzione solo 2-3 anni prima sempre più tormen- tate da quelle ferite di intonaco che non guariva- no con nessun tipo di rattoppo. Un assestamento lungo, indubbiamente, troppo lungo forse, veniva da pensare. La fitta dietro lo sterno si trasformò in un vero e proprio crampo doloroso quando cad- de il primo impietoso pezzo di intonaco sul comodino della stanza N. 3. Ma allora, come per i dentini da latte dei bebè, anche tutto l'into- naco delle nostre camere doveva cadere, prima che il tutto si fosse assestato? Avevo quasi imparato a convivere con la fitta dolorosa, ma piano piano mi accorsi che si stava trasformando. Come un segnale d'allarme comincia con un tono lieve per poi aumentare rapidamente, così la mia fitta inizialmente solo fastidiosa, di- ventava progressivamente sem- pre più acuta fino a diventare un sentimento a me poco noto: RABBIA. Smisi di accusare malesseri retro- sternali quando cominciai a ester- nare più o meno gentilmente ai diretti interessati quello che pen- savo del loro fottutissimo "assestamento". Sono passati 5 anni. Le crepe sono lì, vistose e tanto bruttine in ogni camera, e anche su più pare- ti di una stessa camera. Ma la fitta-rabbia ha prodotto qualche risultato. Ora i tecnici non parla- no più di ASSESTAMENTO, ma di opere di RISTRUTTURAZIO- NE di parte delle fondamenta che vanno anche effettuate in tempi brevi, quindi prima che i denti da latte siano caduti tutti quanti! E da questa storia non finita, ma di cui si comincia a intravedere il percorso da seguire, ho imparato un'altra lezione. Le crepe murali 7 La tua voce: Racconti, poesie e lettere 8 Giornata del volontariato di Giovanni 9 Concerto e raccolta fondi per Vitas... di Monica 10 Pallido puntino azzurro di Bruno Marchisio 11 Terapia a fumetti di Vincenzo Moretti 12 Il guaritore ferito o... il guaritore…. di Silvia 2 Premio San Vas e l’età adulta... di Claudio Ghidini 3 Cibo… nutrimento per l’anima... di Laura 4 Spero in bene… perché respiro a Casale! di Silvia 5 In morte di un ippocastano di Mariuccia 6 La Degiovanni: grande medico... di Paola sono la metafora delle crepe della vita di ognu- no di noi. Sono fastidio- se, sgradevoli, dolorose, ma fanno parte della vulnerabilità del nostro essere umani e vanno affrontate a viso aperto, anche quando fanno molto male. La speranza che si assestino da sole è illusoria. È indispensabile mettere in gioco ogni giorno i nostri punti di forza e di debolez- za senza troppe paure o pudori o vergogne. Siamo unici ed irripe- tibili. E non è mai troppo tardi per riparare dalle fondamenta i nostri inevitabili errori! Daniela Degiovanni MONS. G. ZACCHEO L a prima volta che avvertii quel piccolo ma fastidioso malessere interiore (una fugace fitta dietro lo sterno) a cui non badai granché, fu nel mese di settembre 2010, circa un anno e mezzo dopo l'apertura dell'Hospi- ce. Mi trovavo nella stanza N. 5. Cristiana aveva appena ultimato quel bellissimo dipinto murale con la testa di un micetto bianco che spunta tra steli e fiori lilla. Ascoltavo Piero seduto sul suo letto che mi parlava con delusio- ne della partita della Juve vista in TV e terminata con la sconfitta della sua squadra del cuore, e intanto il mio sguardo cadeva continuamente su quella crepa della parete. Sottilissima, quasi impercettibile, ma chissà perché quel giorno mi appariva vistosa- mente aumentata di lunghezza. La fitta passó appena uscita dalla stanza e non me ne ricordai più fino a fine anno. Stavolta accad- de nella stanza N. 1. Mi colse all'improvviso. Prima il malesse- re dietro lo sterno, poi eccola lì, un'altra crepa, sottile anche lei, attraversava seguendo una linea tortuosa il dipinto che è stato sempre il mio preferito, quello col ramo su cui 2 coloratissimi uccelli si scambiano sorrisi e un piccolo vermicello tenuto orgo- gliosamente nel becco da uno dei due. Quella non l'avevo mai vi- sta, ne ero certa. E stava rovinan- do quella meraviglia! La fitta stavolta duró più a lungo e non passó che dopo aver telefonato all'Ufficio Tecnico per una ispe- zione. "Solite crepe di assesta- mento, nessun problema!". Meno male, pensai. Forse avevo esagerato con le preoccupazioni. Nei mesi successivi di fitte sgra- devoli ne avvertii con una fre- quenza tale, che presero a far parte di me. Neanche più me ne accorgevo. Stavano lì, fisse, per- foto Benny E anche da una crepa vedere una lezione di vita... Metafora delle crepe

Metafora delle crepe Giornalino Insieme DICEMBRE 2014.pdf · 2014. 12. 18. · delle nostre 8 camere. Crepe verticali, orizzonta-li, dritte, tortuose, lunghe, corte, ovunque. E i

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Page 1: Metafora delle crepe Giornalino Insieme DICEMBRE 2014.pdf · 2014. 12. 18. · delle nostre 8 camere. Crepe verticali, orizzonta-li, dritte, tortuose, lunghe, corte, ovunque. E i

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UNITA’ DI CURE PALLIATIVE CASALE MONFERRATO — Notiziario di VITAS - Associazione per l’assistenza domiciliare ai malati cronici in fase avanzata e HOSPICE MONS. GERMANO ZACCHEO

DICEMBRE 2014

Vitas e Hospice Str. Vecchia Pozzo S. Evasio 2/E - Tel. 0142/434081 - Casale M. (AL)

sistenti, ogni volta che entravo in una qualunque delle nostre 8 camere. Crepe verticali, orizzonta-li, dritte, tortuose, lunghe, corte, ovunque. E i 4 di-pinti sempre più sfregiati, e le pareti dai colori pa-stello scelti con amorevo-le attenzione solo 2-3 anni prima sempre più tormen-tate da quelle ferite di intonaco che non guariva-no con nessun tipo di rattoppo. Un assestamento lungo, indubbiamente, troppo lungo forse, veniva da pensare. La fitta dietro lo sterno si trasformò in un vero e proprio crampo doloroso quando cad-de il primo impietoso pezzo di intonaco sul comodino della stanza N. 3. Ma allora, come per i dentini da latte dei bebè, anche tutto l'into-naco delle nostre camere doveva cadere, prima che il tutto si fosse assestato? Avevo quasi imparato a convivere con la fitta dolorosa, ma piano piano mi accorsi che si stava trasformando. Come un segnale d'allarme comincia con un tono lieve per poi aumentare rapidamente, così la mia fitta inizialmente solo fastidiosa, di-ventava progressivamente sem-pre più acuta fino a diventare un sentimento a me poco noto: RABBIA. Smisi di accusare malesseri retro-sternali quando cominciai a ester-nare più o meno gentilmente ai diretti interessati quello che pen-savo del loro fottutissimo "assestamento". Sono passati 5 anni. Le crepe sono lì, vistose e tanto bruttine in ogni camera, e anche su più pare-ti di una stessa camera. Ma la fitta-rabbia ha prodotto qualche risultato. Ora i tecnici non parla-

no più di ASSESTAMENTO, ma di opere di RISTRUTTURAZIO-NE di parte delle fondamenta che vanno anche effettuate in tempi brevi, quindi prima che i denti da latte siano caduti tutti quanti! E da questa storia non finita, ma di cui si comincia a intravedere il percorso da seguire, ho imparato un'altra lezione. Le crepe murali

7 La tua voce: Racconti, poesie e

lettere

8 Giornata del volontariato

di Giovanni

9 Concerto e raccolta fondi per Vitas...

di Monica

10 Pallido puntino azzurro

di Bruno Marchisio

11 Terapia a fumetti

di Vincenzo Moretti

12 Il guaritore ferito o... il guaritore….

di Silvia

2 Premio San Vas e l’età adulta...

di Claudio Ghidini

3 Cibo… nutrimento per l’anima...

di Laura

4 Spero in bene… perché respiro a Casale!

di Silvia

5 In morte di un ippocastano

di Mariuccia

6 La Degiovanni: grande medico...

di Paola

sono la metafora delle crepe della vita di ognu-no di noi. Sono fastidio-se, sgradevoli, dolorose, ma fanno parte della vulnerabilità del nostro essere umani e vanno affrontate a viso aperto, anche quando fanno molto male.

La speranza che si assestino da sole è illusoria. È indispensabile mettere in gioco ogni giorno i nostri punti di forza e di debolez-za senza troppe paure o pudori o vergogne. Siamo unici ed irripe-tibili. E non è mai troppo tardi per riparare dalle fondamenta i nostri inevitabili errori!

Daniela Degiovanni

MONS. G. ZACCHEO

L a prima volta che avvertii quel piccolo ma fastidioso

malessere interiore (una fugace fitta dietro lo sterno) a cui non badai granché, fu nel mese di settembre 2010, circa un anno e mezzo dopo l'apertura dell'Hospi-ce. Mi trovavo nella stanza N. 5. Cristiana aveva appena ultimato quel bellissimo dipinto murale con la testa di un micetto bianco che spunta tra steli e fiori lilla. Ascoltavo Piero seduto sul suo letto che mi parlava con delusio-ne della partita della Juve vista in TV e terminata con la sconfitta della sua squadra del cuore, e intanto il mio sguardo cadeva continuamente su quella crepa della parete. Sottilissima, quasi impercettibile, ma chissà perché quel giorno mi appariva vistosa-mente aumentata di lunghezza. La fitta passó appena uscita dalla stanza e non me ne ricordai più fino a fine anno. Stavolta accad-de nella stanza N. 1. Mi colse all'improvviso. Prima il malesse-re dietro lo sterno, poi eccola lì, un'altra crepa, sottile anche lei, attraversava seguendo una linea tortuosa il dipinto che è stato sempre il mio preferito, quello col ramo su cui 2 coloratissimi uccelli si scambiano sorrisi e un piccolo vermicello tenuto orgo-gliosamente nel becco da uno dei due. Quella non l'avevo mai vi-sta, ne ero certa. E stava rovinan-do quella meraviglia! La fitta stavolta duró più a lungo e non passó che dopo aver telefonato all'Ufficio Tecnico per una ispe-zione. "Solite crepe di assesta-mento, nessun problema!". Meno male, pensai. Forse avevo esagerato con le preoccupazioni. Nei mesi successivi di fitte sgra-devoli ne avvertii con una fre-quenza tale, che presero a far parte di me. Neanche più me ne accorgevo. Stavano lì, fisse, per-

foto Benny

■ E anche da una crepa vedere una lezione di vita...

Metafora delle crepe

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Pagina 2 Hospice di Casale - Dicembre 2014

Il nostro notiziario è sempre a tua disposizione per poter far conoscere, con del “chiasso buo-no”, una struttura che si è rivelata un valido strumento per “accompagnare” le persone nelle fasi avanzate della malattia. Se ti è gradito manda la tua e-mail a

[email protected] www.vitas-onlus.it

o invia il tuo scritto (con calligrafia leggibile) a: Vitas - Piazza S. Stefano 3 15033 Casale Monferrato (AL)

Accompagnare pazienti affetti da gravi patologie, insieme ai loro famigliari, nel difficile percorso della malattia offrendo loro competenza professionale e relazione umana è stato da sempre l'obiettivo primario dell'Associazione, sicuri del fatto che “non c'è nulla di più importante per un essere umano che porgere il braccio perchè un altro, aggrappandovisi, possa rialzarsi”.

■ Tanti traguardi in un anno solo….

Premio San Vas e l’età adulta di Vitas L' associazione VITAS (Volontari Italiani

Assistenza Sofferenti) si è costituita a Casale Monferrato il 21 dicembre 1996 da un progetto di Andrea Percivalle (primo Presidente VITAS) e di Daniela Degiovanni, oncologa. La finalità dell'Associazione senza scopo di lucro, era quella di assistere gratui-tamente al proprio domicilio pazienti oncolo-gici in fase avanzata di malattia e le loro famiglie. Inizialmente era costituita esclusivamente da volontari non professionisti, coordinati dalla dott.ssa Degiovanni. Dal 1997 al 2014 accanto alle figure dei volontari si sono progressivamente unite diverse professionalità arrivando a costituire un'equipe multidisciplinare formata in CU-RE PALLIATIVE costituita da: 4 medici, 10 infermieri, 2 psicologhe, 2 fisioterapi-ste, 1 assistente spirituale e 40 volontari al fine di garantire una assistenza globale attenta “alle ne-cessità mediche, socio-assistenziali, e agli aspetti emotivi psicologici e spirituali non solo del pazien-te ma anche dei famigliari.” L'attuale presidente di VITAS è il dott. Claudio Ghidini. Due date importanti per l'associazione VITAS: il 1 gennaio 2006 è stata costituita la Struttura Operativa Semplice di Cure Palliative aziendale presso l'Ospedale S. Spirito; il 4 aprile 2009 inaugurazione dell'HOSPICE Mons.Zaccheo, fortemente voluto dall'Associazio-ne stessa e destinato all'accoglienza di persone impossibilitate per vari motivi a rimanere al pro-prio domicilio. La struttura residenziale, diretta dalla dott.ssa Degiovanni, è composta da 8 camere con letto singolo, affaccianti su una grande giardi-no terapeutico che VITAS ha realizzato per dare sollievo e serenità alle persone ricoverate, ai loro

famigliari, ai visitatori. Fin dalla sua costituzione VITAS collabora in stretta sinergia con le strutture aziendali del nostro territo-rio, fornendo un insostituibi-le supporto attraverso l'opera dei volontari e di professio-nisti. Dalla sua costituzione VI-TAS ha assistito presso il proprio domicilio circa 4000 pazienti e 560 ricoverati in hospice. Il 16 aprile 2010 è avvenuta la variazione dello Statuto per ampliare l'assistenza anche ai malati affetti da

malattie neurodegenerative (SLA, sclerosi multipla) Il territorio di attività dell'Associazione VITAS ricade in quello dell'ASLAL, interessa 50 comuni di tre provincie (AL, AT, VC) per un bacino d'utenza di circa 100.000 abitanti. L'Associazione partecipa o svolge direttamente alme-no 5 corsi formativi all'anno per l'ag-giornamento pro-fessionale continuo e progressivo di tutti gli operatori ed eventi di interes-se culturale rivolti alla popolazione. Nei progetti futuri la priorità è asse-gnata alla possibili-tà di estendere la continuità assisten-ziale per i pazienti al domicilio 24/24 ore.

BUON SAN VAS,

BUON 5° COMPLEANNO

HOSPICE ZACCHEO

E BUON 18°

COMPLEANNO

DI VITAS E la strada continua...

■ Claudio Ghidini

Presidente Vitas

V itas nel 2014 entra nella maggiore età. Certo è un paragone un po' sciocco per

una Associazione, ma in qualche modo vale qualche considerazione aggiuntiva. Perchè non è facile sopravvivere crescere, sviluppar-si e organizzarsi per una semplice idea inizia-le che viene sostenuta dall'azione volontaria di molti è vero, ma sopratutto, dal libero e concreto sostegno riconoscente di moltissimi. Si comincia con entusiasmo e molta voglia di fare, proprio come i bambini che si appassio-

nano immediatamente a qualsiasi cosa; poi si comincia a capire che ci piace davvero, che ne vale la pena, e allora ci si lavora sopra di più, un po' come durante gli studi, o lo sport, per cui ci si impegna sperando di volare alto. Si continua così per anni considerando tutto e tutti come fatti e persone positive, amiche con cui fare il cammino, oppure come osta-coli o nemici da superare o lasciar perdere, perchè tanto non ci interessa il loro percorso. La maturità si raggiunge con la consapevo-lezza di aver fatto qualcosa e di poter costrui-re parecchio che ci rende fieri di noi e in grado di camminare a testa alta nella comuni-tà. La felicità della maturità raggiunta viene solo un po' scalfita dalla constatazione che i fatti e le cose non sono solo positive o nega-tive ma, molte volte, ...sembrano. Anche le persone non sono più solo amici o nemici ma, molte volte, ...fingono. Ci si rende conto insomma che il mondo, come si dice, è complesso, che non esistono solo il bianco o il nero, ma molte sfumature di grigio. A noi di Vitas però, il contatto da anni con chi non ha più tempo da perdere, ha insegna-to che, alla fine, rimangono sempre e solo le persone e i comportamenti che hanno valore.

Forse per questo sembriamo ancora un po' ingenui, perchè crediamo che lavorare sia importante, che sapere sia indispensabile e saper fare sia l'unico modo per raggiungere uno scopo. Ci rammarichiamo e ci arrabbia-mo ancora quando vediamo che molte cose vengono portate avanti perchè sembrino e molte persone occupino molto tempo e spes-so molti quattrini fingendo di fare. Ma ormai siamo maturi e possiamo camminare tran-quilli e a testa alta cercando, come sempre, di fare, di sapere e di saper fare, tentando di svilupparci ed organizzarci sempre meglio per non perdere tempo per chi non ha più tempo da perdere.

Casale 16/11/2014 Grazie per aver voluto condivide-re con noi questo traguardo. Che tutti voi possiate avere sem-pre uno stimolo per sorridere, un sogno da realizzare, mille gioie da godere e nessun motivo per penare. Grazie a tutti

Daniela e Claudio

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Hospice di Casale - Dicembre 2014 Pagina 3

■ Laura, infermiera, ci fa riflettere su una cosa molto importante

Cibo… nutrimento per l’anima... un salto di qualità e iniziare a considerare l’alimentazione dei vostri cari in modo un po’ diverso. Quando una persona non ha più voglia di mangiare c’è un motivo serio che non va trascurato. Indipendentemente dal tipo di malattia il rifiuto del cibo esprime comunque una “difficoltà” digestiva o metabolica o psicolo-gia. Insistere ad oltranza vuol dire essere sordi e ciechi a ciò che il corpo sta dicendo e nella maggior parte delle volte creare più danni che benefici.

Sovente il momento del pasto viene vissuto come una tortura del tutto inutile dal punto di vista nutrizionale. Allora basta! Basta im-pietose pietanze che spaventano! Lasciamo ai medici il compito di nutrire per altre vie lad-

dove serve, e impariamo ad OFFRIRE (mai imporre) piccolissime porzioni stuzzicanti. E’ il paziente stesso che ci dice quando, quanto e cosa si sente di mangiare. Assecon-diamo i suoi bisogni con amore gratuito (che passa sempre attraverso il rispetto) senza aspettarci nulla in cambio. Tra poco pietanze di festa imbandiranno le nostre tavole, ricordiamoci quindi quanto tutto ciò possa mettere in difficoltà chi non sta bene. Probabilmente non ci sarà più un equilibrio tra il dare e l’avere, però possono capitare dei momenti unici e speciali in cui i nostri cari riescono a gustare con gioia e senza sforzo qualche alimento. Sarà come un fantastico assolo, regalo prezioso per nutrire l’anima di entrambi.

D a tempo desideravo scrivere un po’ di pensieri, di informazioni riguardanti

l’alimentazione dei nostri ospiti in Hospice o seguiti a domicilio. Quale occasione migliore delle feste che si avvicinano? Proviamo per qualche momento a calarci nel significato profondo che l’atto del mangiare comporta. Prima di tutto è: VITA. Senza nutrimento nulla esiste. Il senso di fame ci spinge alla ricerca di ciò che fisiologicamente permette alle nostre cellule di espletare le funzioni per cui sono state crea-te. Dopo aver soddisfatto un mero bisogno esi-stenziale il cibo assu-me altri significati. Buono, appagante, gratificante, regala momenti di piacere importanti. Diventa pre-mio, diventa festa, diventa convivialità. Per chi lo sa cucinare con perizia diventa amorevole accudimento e attraverso il gesto scrupoloso o fantasioso della sua preparazio-ne e della sua offerta passa un messaggio affettuoso potente. “Io ti voglio bene e cucino per te perché tu possa vivere e crescere e ti coccolo con tante attenzioni per farti sentire amato e tu mi ricambi mangiando vivendo amandomi”. Sembra quasi una danza, semplice, perfetta, quasi matematica. Per chi sta bene. Ma per coloro che sono affetti da malattie gravi le cose non sono proprio così. Ed è qui che voglio lanciare il mio messag-gio: familiari ed amici siete chiamati a fare

Da Google Plus

”Due ciliegi innamorati, nati distanti, si

guardavano senza potersi toccare con i loro rami. Li vide una nuvola, che mos-sa a compassione, pianse dal dolore ed agitò le loro foglie… ma non fu suffi-ciente, i ciliegi non si toccarono. Li vide una tempesta, che mossa a compas-sione, urlò dal dolore ed agitò i loro rami… ma non fu sufficiente, i ciliegi non si toccarono. Li vide una monta-gna, che mossa a compassione, tremò dal dolore ed agitò i loro tronchi… ma non fu sufficiente, i ciliegi non si toccarono. Nuvola, tempesta e montagna ignoravano, che sotto la terra, le radici dei ciliegi era-no intrecciati in un abbraccio senza tempo”. Questo paragone mi piace immaginarlo anche per noi volontari e domicilio. Apparentemente distanti ma con le stesse radici che si abbracciano nell’unico intento della PERSONA CHE ABBRACCIAMO E ACCOMPAGNIAMO nell’ultimo pezzo della sua strada.

Padre Massimo ci lascia A partire dal prossimo 16 novembre

l’obbedienza mi chiama a svolgere il mio ministero nel convento dei cappuccini di Chatillon (Ao) per cui dovrò lasciare la Cappellania dell’Hospice. Questi due anni e mezzo sono stati preziosi e formativi più di un corso universitario. Nelle trame di vite ferite ho visto come la semplicità dei gesti e delle parole siano il linguaggio capace di confortare, medicare, curare. La relazione, purificata dalla verità, corro-borata dall’Amore, diventa possibilità per dare dignità stringendo mani stigmatizzate. Ringrazio tutti, ammalati, operatori, volon-tari… per ciò che mi avete insegnato. Vi porto nella preghiera e vi affido a Colei che ci è Madre perché vi custodisca, vi pro-tegga e vi liberi dal male. Con riconoscenza.

P. Massimo Colli Franzone

O.F.M. Capp.

In un momento di crisi quale miglior tesoro che i nostri scritti di grazie per te,

Padre Massimo!!!! Ti porteremo nel cuore.

Ti ringraziamo per l’ACCOGLIENZA

che hai sempre saputo donare a coloro che ti

hanno conosciuto

Con affetto Casale, novembre 2014

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Pagina 4 Hospice di Casale - Dicembre 2014

■ Lettera al Procuratore Generale della Suprema Corte di Cassazione

Spero in bene… perché respiro a Casale! ziato anche alcuni avvocati, che dicono di sapere… Eppure in questi giorni nei giornali densi di dibattiti e pareri ho letto che in altri stati e in molte altre occasioni c’erano state diverse applicazioni del “diritto”, interpreta-zioni più illuminate, si era ragionato per “spedire” un po’ più in là la prescrizione, ad esempio. Forse c’era la possibilità di pensa-re col “giudizio” nel senso di “buon senso”.

Vengono tanti dubbi, nascono tanti sospetti, si ingoia l’amarezza della delusione e fa tanto male. Male da togliere il fiato.

Ma i casalesi non molleranno, questo è sicu-ro, anche se, purtroppo, molti dovranno ancora arrendersi a quel mostro che gira nell’aria e che colpisce a tradimento. Ma un giorno canteremo vittoria, ce la faremo e vinceremo la battaglia più grande: la malat-tia si potrà guarire, dobbiamo sperarlo per tutti!

A Lei, Signor Procuratore, auguro che un Giudice molto più togato di Lei abbia nei Suoi confronti tanta pietà e applichi vera giustizia.

Grazie ancora.

Silvia, una casalese che, come tutti i suoi

concittadini spera in bene, perché respira

a Casale.

■ Riceviamo: Sul caso di Brittany Maynard

E’ spiattellato sulle prime pagine di tutti i giornali il caso di Brittany Maynard,

che ha scelto il suicidio assistito come nobile uscita di scena, come morte dignitosa. Suicidio eroico: come Aiace e tanti eroi dei miti classici, come Catone e tanti filosofi e personaggi storici, come i migliori samurai giapponesi. Ma non voglio parlare di lei: lo fanno già in troppi. Non voglio dare giudizi. Piuttosto, voglio cogliere questo episodio come un’occasione per dedicare un pensiero - un pensiero ESPRESSO, PUBBLICATO, PALESE - a tutte le migliaia di persone, malate di cancro, di leucemia, di mesotelio-ma, di SLA…, malati terminali, che hanno lottato e lottano quotidianamente contro la malattia. Che scelgono la vita, fino alla sua fine “naturale”, fino all’ultimo respiro. Che accettano la malattia, il dolore fisico e inte-riore, il destino di vedersi appassire giorno per giorno, magari impotenti. E magari lo “abbracciano” addirittura. Ricordandosi, e ricordandoci, in tal modo, che nulla nella nostra vita è interamente nelle nostre mani (basterebbe qualsiasi stupidaggine, anche il più banale imprevisto che ci scombina i piani per ricordarci questo!); tanto meno la morte. E fanno questo, il più delle volte, senza dare notizia, senza finire sulle prime pagine dei giornali. Lo fanno con discrezione, nel più totale riserbo e silenzio, nell’anonimato; assistiti, accuditi, ricordati, tutt’al più, dai parenti più stretti, dagli amici più veri, da qualche medico o infermiere o volontario di buon cuore e sensibilità. Lo fanno con EROISMO, con DIGNITA’.

Silvia Oppezzo

G razie! Grazie Signor Procuratore Ge-nerale della Suprema Corte di Cassa-

zione! Grazie da parte di tutti i casalesi per la dotta lezione di diritto impartita. Grazie per averci dimostrato che il buon senso e la giustizia sono morti, mentre il diritto è vivo e vegeto. Lo sa che in questa splendida cittadi-na (io amo la mia città) si continuerà a mori-re per la “malattia dell’eternit” ancora per chissà quanti anni?

Nessuno sarebbe né risuscitato né guarito se Lei avesse condannato lo svizzero (non rie-sco a nominarlo), ma chi è rimasto qui a piangere madri, padri, figli, mariti, mogli, fratelli, sorelle, morti o malati di amianto avrebbe almeno avuto la consolazione, ma-gra, certo, di aver sentito la parola “CONDANNA”, e chissà, coi fondi ottenuti si sarebbero potute accelerare ricerca e bonifica. E invece …aspettiamo …aspettiamo che quella stramaledetta polvere scelga la prossima vittima.

Lo sa che, personalmente, l’idea di sentire quella parola mi dava la sensazione che il mesotelioma facesse un po’ meno paura? Era, forse, solo la gratificazione della giusti-zia, oh… mi scusi… io sono un’ignorante perché non so che “diritto” e “giustizia” non sempre coincidono, come hanno senten-

Per il concerto e la beneficenza

Da Vitas e AFeVA il ringraziamento

per il Casale Coro

U n grande grazie al Casale Coro, autentica voce della nostra terra, al maestro Giulio Ca-stagnoli e ai solisti per la bellissima esecuzione del Requiem di Mozart di domenica 2

novembre nella chiesa di S. Domenico sempre gentilmente concessa per queste occasioni. Grazie per aver voluto rendere beneficiarie dell’iniziativa le nostre associazioni Vitas e AFe-VA. La straordinaria partecipazione unitamente alla generosità della cittadinanza ha reso possibile raccogliere la somma di 1.030 euro quale sot-toscrizione in favore delle nostre associa-zioni. Ci dimostra la sensibilità e la condivisione sempre più ampia e partecipata della cultura e della cittadinanza del nostro territorio verso le problematiche su cui siamo impegnate. Iniziative come queste rappresentano per tutti noi un prezioso stimolo per sviluppare ulterior-mente il nostro ruolo in risposta alla nostra gente, alle tante domande di cura e di assistenza, di umanità e di giustizia.

Romana Blasotti e Claudio Ghidini

Presidenti di AFeVA e di Vitas - Casale Monferrato

Con affetto Maria - Volontaria Vitas

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Hospice di Casale - Dicembre 2014 Pagina 5

■ Riflessioni di Mariuccia

In morte di un ippocastano sto silenzio totale si è levata la voce di un uccello: una voce sola. Ma non era un canto: sembrava una invocazione, un pianto, un richiamo. Cercando l’albero da cui partiva quella invocazione ho visto l’ippocastano sdraiato al suolo, con la chioma abbandonata sul tappeto verde del prato e le radici strap-pate dal terreno. Alcuni uomini lavoravano con metodo intorno a lui, alcuni dalla parte delle radici e altri dalla parte della chioma. Lo stavano facendo a pezzi, immediatamente caricati su un mezzo di trasporto. Tagliate le radici proseguivano l’azione sul tronco risul-tato pieno di acqua. Mi sono precipitata a casa a prendere la mac-china fotografica. Volevo conservare un

ricordo di quella morte silenziosa. Intanto la voce di quell’uccello solitario continuava a lanciare il suo richiamo. Forse lui aveva visto crollare quell’ippocastano ultracentenario e forse all’ombra delle sue foglie aveva co-struito il nido per i suoi piccoli che ora si trovavano sepolti tra quelle foglie adagiate sul prato. O forse piangeva quell’ippocastano che aveva sempre generosamente ospitato lui e i suoi piccoli proteggendoli dalle intempe-rie, dalla calura e da tutte le bizzarie stagio-nali. Ora c’era solo un silenzio attonito nella piccola folla che assisteva alla distruzione di quella lunga vita che aveva protetto i giochi dei bambini, le prime espressioni d’amore degli adolescenti, ora diventati adulti e morti, forse, prima di lui, i ricordi della vita dei vecchi, in attesa della loro fine sotto quell’ombra fresca che rendeva più tollerabi-le l’attesa. Se quell’ippocastano avesse potuto parlare ci avrebbe raccontato tante storie: gli anni della guerra, la paura, la distruzione e la morte che hanno segnato quei lunghi anni di cui lui è stato testimone silenzioso. L’incalzare degli avvenimenti ha preso il posto dei giochi, dei ricordi, delle passeggiate romantiche, dei progetti di futuro e ci hanno distratti dal no-tare che le sue foglie, a poco a poco, diventa-

vano grigie per il depositarsi di quella polve-re che, uscendo dallo stabilimento dell’Eternit, si stendeva su tutta la città come un sudario che accomunava tutti in un unico destino: la morte causata dal mesotelioma. La morte usciva dallo stabilimento vestita di polvere grigia, vagava per la città e bussava alle porte senza una logica comprensibile. Ci sono voluti anni per comprendere il destino nefasto che legava la morte dei lavoratori a quella dei cittadini, il messaggio che quella polvere grigia portava alle famiglie alla cui porta bussava senza dare spiegazioni. Quanti uomini e donne sono scomparsi dal cerchio della tua ombra e ti hanno preceduto in quel luogo dove non si odono più voci, ma

regna un silenzio eterno. Sono tornata dopo due giorni per rivedere il luogo dove tu eri vissuto. L’area in cui eri spuntato dalla terra lanciandoti verso il cielo era stata spianata e ricoperta di ghiaia. Le tracce della tua vita sono state cancel-late, come se tu non fossi mai esistito. Mi manchi ippocastano generoso come mi manca Angelo, il giardiniere vittima di quella polvere grigia che si depositava sulle tue foglie. Vi passava in rassegna uno ad uno per cogliere i primi segni di malattia e vi curava

come bambini. Intorno al vostro tronco semi-nava dei piccoli fiori, come se foste nati da una nuvola colorata. Ricordo una piccola distesa di colchici che mi riportavano in Val di Fiemme dove, a settembre, sulla strada della Marmolada, mi fermavo sempre per ascoltare il silenzio di un piccolo cimitero che circondava una piccola chiesa di monta-gna. Là era sepolta una donna dalla quale avevo imparato molto. Addio ippocastano mite, paziente e generoso. Se fossimo capaci di portare la tua lezione nella nostra vita avremmo, forse, la giustizia e la pace.

E ra la mattina del 16 giugno 2014. Mi sentivo allegra e vivevo un piacevole

senso di liberazione. Ero stata in ansia per tutta la settimana precedente: il 16 giugno era l’ultimo giorno per il pagamento delle tasse. Ma quali tasse? Non il 730 perché quelle se le trattengono alla fonte senza nemmeno informarmi qualunque sia la cifra che hanno stabilito per quell’anno. Una volta mi manda-vano, a gennaio, una lettera (gentile e tassati-va) in cui mi dicevano quanto mi avrebbero trattenuto nel corso dell’anno (e per che co-sa) ed io potevo programmare la mia vita e le mie spese. Ma il 16 giugno 2014 era un incu-bo: le indicazioni da Roma cambiavano in continuazione e l’IMU, la TASI, la TARSU mi avevano fatto compagnia per tutta la notte. Alle 7,45 ero in muni-cipio. L’orario d’ufficio iniziava dopo ¾ d’ora, il computer si era bloccato, ma una signora molto gen-tile si è resa disponibile a darmi le informazioni di cui avevo bisogno. Così ho saputo che entro il 16 giu-gno dovevo pagare solo l’F24 e quindi mi dovevo rivolgere al com-mercialista. Mi sono precipitata al nuovo indirizzo e con sollievo ho verificato che, data l’ora, avevo davanti una sola persona. Dopo un’ora abbondante di attesa si è materializza-ta una signora con un pacco di documenti: erano gli F24, tra i quali c’era pure il mio. La questione degli F24 mi ha colta di sorpresa: avevo controllato il 730 dell’anno preceden-te, ma l’Imu era presente in un riquadro ap-posito e non c’era indicazione di F24. Ho chiesto se dovevo pagare altro entro quella data e quando la gentile signora mi ha detto di no mi sono precipitata in banca per libe-rarmi dell’ansia che mi aveva tenuta sveglia tutta la notte. In banca, poi, ho trovato un box separato con una signorina bionda sorri-dente e gentilissima che in pochi minuti ha incassato quanto dovevo per l’Imu e mi ha liberata dall’ansia che mi aveva tormentato per tutta la settimana precedente. Erano le 9,30, avevo dato il mio contributo che avrebbe aiutato l’Italia a ridurre il suo debito (non causato da me) e disponevo di una intera giornata libera. Sentivo di avere il diritto a un po’ di sollievo dopo una notte insonne. Decisi di attraversare i giardini pub-blici che mi hanno sempre attratta per la loro bellezza. Mi ha colpita il silenzio. A quell’ora del mattino? Quando quello spazio verde è una autentica colonna sonora di cinguettii, ri-chiami, chiacchiere espressi in note? In que-

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■ Da “Il Monferrato” - Rubrica: A Tu per Tu interviste di Paola Robotti

La Degiovanni, grande medico e poetessa “C ome vorrei che tutti i medici fossero

come lei”: è il pensiero fisso che non mi lascia da quando ho incontrato per un’intervista Daniela Degiovanni, oncologa, direttrice dell’Hospice Cure Palliative di Casale. La dottoressa Daniela è una bella, accoglien-te signora che vive ad Olivola, lavora a Casa-le e che nella sua professione ha trovato lo scopo della sua vita. “Ero incerta se iscriver-mi alla Facoltà di Lettere o di Medicina; a farmi optare per quest’ultima è stata una mia vicenda personale, una malattia che mi ha costretto ad un ricovero all’ospedale per sei mesi. Fortunatamente sono guarita, ma quell’esperienza mi ha portato a scegliere e da allora non ho mai avuto ripensamenti”. La Degiovanni ha iniziato a lavorare come oncologa alla fine degli anni Settanta, quanto la ricerca sui tumori stava diventando impor-tante e nascevano con Veronesi molte spe-ranze di trovare cure efficaci: “La mia pro-fessione mi ha assorbito e mi assorbe tutte le 24 ore della giornata. Non ho rimpianti, forse solo mi spiace di non aver fatto in cam-po medico esperienze in altri paesi, in altre realtà”. Le chiediamo quale visione della vita ha acquisito a contatto continuo con il dolore: “Ho una visione laica della vita e ritengo che la presenza del dolore e della morte siano connaturate con il fatto di nascere. La vita stessa è un insieme di energie positive e negative che devono finire. Non so dire quale sia il senso profondo di tutto questo”. Per la nostra interlocutrice il compito più

importante della sua professionalità è svilup-pare uno spontaneo aspetto assistenziale-relazionale e la predisposizione ad accogliere quanto viene detto dall’ammalato e dai suoi famigliari “dove non ho potuto avere questa relazione, sentivo una mancanza e perdevo la passione per il mio lavoro…”. Indispensabili sono, a parere della dottoressa, i corsi di formazione per la gestione delle emozioni che aiutano anche a non essere coinvolti a tal punto da perdere gli obiettivi della cura: “Dove non c’è ascolto consape-vole e professionale la sofferenza è più ag-gressiva e lacerante, perché la morte è un processo che fa nascere una serie di senti-menti che si devono conoscere. Le persone che lavorano con me sono eccezionali e san-no di che cosa hai bisogno quando stai mo-rendo, nessuno prova un senso di abbando-no”. Chiediamo a Daniela se ha paura della morte: “Sì - risponde - anche se è la sofferenza a spaventarmi di più. Quando sarò alla fine del viaggio spero di essere con persone pre-parate per non andarmene in solitudine. Nella mia vita professionale gli unici due casi in cui gli ammalati mi hanno chiesto di morire è perché erano soli”. Che cosa pensa Daniela Degiovanni dell’eutanasia? “Non voglio prendere una posizione. So solamente che io non sarei mai pronta a somministrare farmaci che procura-no la morte. Il chiedere di morire è fonda-mentalmente una richiesta di aiuto”. Vogliamo sapere quali sono gli interessi della dottoressa, oltre al lavoro: “Sono una

curiosa del mondo quindi mi piace viaggiare, leggere di tutto, vedere buo-ni film e ascoltare musica di ogni ge-nere. Rimpiango di non avere mai impa-rato a suonare uno strumento”. Scopriamo anche che la Degiovanni scrive poesie: “Ne ho scritte tante, purtroppo sono penalizzata dalla mancanza di tempo”. Altra passione dominante è quella per gli animali: “Vivo con due cani, Sibilla e Vasco e raccolgo anche i cani che vengono abbandonati”. E’ una vita intensa e piena quella di Daniela Degiovanni in cui la passione dominante per il lavoro si concretizza in uno scambio di affetti che in mezzo a tanto dolore crea anche momenti di gioia, di serenità e anche di alle-gria. L’Hospice di Casale che lei dirige è il simbo-lo di tutto questo e possiamo dire che nel’ambiente in cui è collocato colorato, pieno di fiori, gestito da persone competenti e dotate di grande umanità forse il distacco dalla vita diventa meno straziante e il dolore meno insopportabile Per questo non finiremo mai di ringraziare Daniela Degiovanni e chi con lei lavora, augurandoci che professionisti come loro diventino sempre più numerosi.

Paola Robotti

L'identità dei volontari è una forza interiore che sa in ogni modo interagire con altre figure all'interno di un discorso di lavoro di equipe, ma in modo particolare, a parer mio, soprattutto con chi viene ad essere ricovera-to in Hospice.

■ Riflessioni di una volontaria Vitas: Rina

Assistenza domiciliare / Hospice: questioni d’identità domanda si è fatta strada a chi come me è volontaria… la nostra "identità Vitas" è a rischio? La risposta è stata immediata. E’ fondamentale conservare integralmente la nostra anima, l'autenticità della nostra asso-ciazione indipendentemente dalla comparsa di altre strutture o luoghi in cui andare a operare, al di là del primo luogo dove noi volontarie abbiamo messo in campo tutte le nostre risorse iniziali: il domicilio. Ma il tempo passa e i bisogni cambiano, segno importante della nostra esistenza è anche quello di saper adattare la risposta a domande diverse, occorreva modificare alcu-ne realtà senza però mutare la nostra natura profonda. Il senso dell'identità è certamente utile ai fini della tutela della specificità sia a domicilio di coloro che ci vengono affidati dall'equipe, sia nelle camere del nostro Ho-spice e noi vogliamo continuare ad offrire "beni di relazione: ascolto e accoglienza" per aggiungere qualcosa a ciò che la struttu-ra compete fare.

Q uanto tempo è trascorso da quando Vitas ha mosso i suoi primi passi incerti ma

anche entusiasti nel regno del domicilio di pazienti che avevano ormai esigenze diver-se… e sono passati ben 5 anni dall'apertura del nostro hospice dove Vitas ha investito grandi energie e risorse… in collaborazione con il personale di cure palliative impegnato già sul territorio. Una riflessione sulle scelte di vita delle vo-lontarie, numerose, che han certamente subi-to un'evoluzione del loro operato specifico precedente cioè dal domicilio a quello all'in-terno di una struttura che pur non avendo i connotati di un reparto di degenza, ma al contrario voleva avere connotazioni più famigliari, rimane pur sempre una realtà molto diversa dalla "casa di un paziente soprattutto per ciò che riguarda il rapporto con il paziente/parente". Un servizio aggiunto ma integrato, l'Hospice diventò una sorta di moltiplicazione del-la tipologia caratteristica di Vitas, così una

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aiuto, so che non sono sola che voi ci siete, non potrò mai dimenticare il bene che abbia-mo ricevuto da tutti voi con quanto amore avete curato il mio Cristian.

Sono stata a Medjugorje e vi ho pensato, e facendo la mia testimonianza ho parlato an-che dei miei angeli bianchi che ho trovato in voi nella mia strada. Un forte abbraccio, un grazie alla dottoressa Caramellino che ha condiviso il pranzo insie-me a noi e un saluto particolare alla mia ca-rissima dottoressa Daniela Degiovanni. Un bacio a tutti

mamma Laura

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Continua questa rubrica con una lettera di mamma Laura: siamo a tua disposizione per far sentire la tua voce

O gni anno il giorno della festa del 15 agosto è diventata una bella abitudine

fare un pranzo in Hospice gentilmente fatto dalle nostre amiche volontarie cuoche Mari-na e Maria. Un’abitudine molto bella perché dà la possibilità ai famigliari dei parenti che sono passati in questa struttura di poter ri-tornare e rivivere in serenità questa giorna-ta. Ne è un esempio quello di mamma Laura che ha vissuto con il suo Cristian questa giornata proprio qui in Hospice. Ed è un momento di aggregazione anche con coloro che vi vivono quotidianamente, pa-zienti (quelli che possono permetterselo) o i loro parenti (che contribuiscono anche loro alla mensa) per sollevarli in questo momento di dolore. E la famiglia dell’Hospice, insie-me con le dottoresse, gli infermieri, le oss e con i volontari che vogliono partecipare, diventa UNA GRANDE FAMIGLIA.

C iao carissime, volevo ringraziarvi per la bellissima giornata trascorsa insieme a

voi per la festa di ferragosto grazie per l'invi-to che io e Jessica abbiamo accettato volen-tieri. Per noi era come se fossimo in famiglia e li con noi era presente spiritualmente anche il nostro grande guerriero Cristian, chissà quante risate si sara' fatto. Come al solito un pranzo con tante cose buo-ne preparate dalle nostre care cuoche Maria e Marina. Grazie per ricordarvi sempre di noi e di vo-lerci bene. Anche noi vi vogliamo bene e per noi siete la nostra seconda famiglia perche' qualsiasi occasione o festa voi vi ricordate sempre di noi e questo per me è un grande

Il ciliegio di Cristian nel giardino terapeutico del nostro Hospice

(da Il Monferrato) E i reparti di Medicina e Oncologia

La sanità funziona… con i dolci angeli di Hospice e Vitas

A nche se a volte il dolore impedisce di pensare ad altro se non alla mancanza

di chi amiamo, desideriamo ringraziare sen-titamente, tramite “Il Monferrato” chi ha permesso che gli ultimi giorni della nostra cara Flora fossero comunque i più sereni possibili. Sentiamo il dovere morale di scri-vere alcune righe per esprimere gratitudine ai reparti di Medicina ed Oncologia dell’Ospedale di Casale Monferrato dove è stata degente. Ancora più importante per noi è manifestare tutta la nostra riconoscenza per il servizio Hospice e le volontarie dell’Associazione Vitas Onlus. Non per fare della retorica, ma in un periodo dove la sanità pubblica viene quotidiana-mente messa in discussione, è davvero dove-roso sottolineare l’impegno e la serietà di

quanti si prendono cura dei malati terminali, accudendoli tutti i giorni, con devozione e altruismo. Il nostro grazie rivolto a tutto lo staff medico e paramedico, ma soprattutto ai dolci angeli che hanno assistito la nostra mamma, restando sempre “in prima linea” e creando un legame costruttivo anche con noi familiari che avevamo una prova davvero difficile da sostenere. Stiamo parlando della dottoressa Caramelli-no e delle volontarie Pinuccia e Paola. Han-no visitato la nostra casa con regolarità, chiedendo notizie di nostra madre e non spegnendo mai il telefono, nemmeno nelle ore notturne. La loro è una missione d’amore quotidiana a cui dobbiamo tutto. Hanno sofferto con noi, ci hanno dato conforto e ci hanno fornito tutto il necessario per accompagnarla con la massima sensibilità. Al personale tutto, va la nostra massima riconoscenza. Nonostante la situazione sgradevole e dolorosa, ci siamo sentiti fortunati per avervi incontrate sul nostro cammino.

I figli Andrea e Paolo con il marito Piero Oppezzo

(da Il Monferrato) Esempio di ottima sanità e assistenza

Gli angeli di Vitas e delle Cure Palliative del Santo Spirito

M io cugino di 68 anni, affetto da diverse patologie tra cui una leucemia cronica

linfatica, negli ultimi mesi non era più auto-nomo ed era stato ricoverato più volte per infezioni. Ormai gli si prospettava di finire i suoi giorni tra l’Ospedale e la Casa di Ripo-so. Inaspettatamente ed eroicamente la sorel-la cieca lo ha accolto nella sua casa e nella sua famiglia a Casale Monferrato e Bruno è stato curato a domicilio da una Unità Sempli-ce di Cure Palliative dell’Ospedale S. Spirito. Ho conosciuto una squadra di angeli: l’infermiere di riferimento tre volte alla setti-mana, medici che lo visitavano al bisogno ma almeno una volta la settimana ed erano reperibili 24 ore su 24, volontari della Asso-ciazione Onlus Vitas che lo accudivano, lo lavavano e gli curavano le piaghe. Quando mio cugino ha avuto una brutta crisi di dolore e di paura una giovane dottoressa è venuta a casa, si è distesa accanto a lui e lo ha abbracciato, consolandolo ed iniziando la somministrazione di morfina. Senza che le fosse stato richiesto è tornata nel pomeriggio ed in serata. Bruno ha finito i suoi giorni l’11 settembre e nei suoi ultimi due giorni di vita è stato rico-verato nell’Hospice dell’Ospedale, camere singole con bagno e televisione, con possibi-lità di soggiornare per un famigliare ma an-che per il cane o il gatto di famiglia. Ho visto un’infermiera sorridente mentre aspirava il muco ad un malato terminale e poi uscire in giardino a raccogliere un mazzo di fiori da sistemare nella stanza. Bruno aveva vicino un figlio e la sorella, ed è morto senza dolore. Mi auguro ed auguro a voi tutti, quando verrà l’ora, di poter godere di questo tipo di assistenza. In tempi di risparmi senza dubbio il Servizio Sanitario Nazionale nel caso di Bruno ha risparmiato almeno cento giorni di ricoveri ospedalieri e tutti noi ringraziamo quelle persone amorevoli, sorridenti ed estrema-mente competenti che hanno accolto Bruno e lo hanno accompagnato nei suoi ultimi giorni facendo vivere lui ed insieme tutti noi come in un piccolo pezzo di paradiso.

Roberto Paludetto Professore Ordinario di Pediatria

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Pagina 8 Hospice di Casale - Dicembre 2014

Ed invece la ripresa sai già che non avverrà, non potrà avvenire, ed il trasferimento da un reparto all'altro dell’ospedale non aiuta, anzi, la differenza di atteggiamento degli operatori che va dalla comprensione compassionevole di un primo reparto alla quasi totale indiffe-renza nel secondo, ti mette una profonda amarezza. E dopo un po' di giorni trascorsi ad aspettare che un medico si degni di ascoltarti per dirti come va, ti arriva semplicemente l'informa-zione che da li a due giorni tuo padre verrà dimesso, senza sapere in quali reali condizio-ni. E allora monta la rabbia e penso che tutte le volte che mi sono detto, illudendomi, che, in fondo, abbiamo una buona sanità, in realtà mi ero sbagliato. Ma dopo la rabbia, la domanda che in quel momento ti assale é: dovrà soffrire come era già successo alla mamma? E a lui, fino a quando potremo mentirgli? Certamente lì non può rimanere, e neppure c'è lo lascerei, visto anche il clima che si respira, ma dove portarlo per assicurargli le migliori condizioni degli ultimi suoi giorni? A casa saremmo in grado di dargli l'assisten-

za necessaria ma soprattutto saremmo in grado di evitargli il dolore? Chi ti può offrire un vero aiuto per attraversare quel deserto? Ormai anche la mia vita e quella dei miei fratelli non era più normale, diventava diffi-cile fare anche le solite cose, difficile anche solo ragionare. E quando ti senti ormai solo e senza speranza ecco venirti incontro una famiglia, è come se fossero parenti cari rimasti via per tanto tem-po: sono le persone di Vitas, ti circondano con una gentilezza ed una disponibilità che, visti i tempi, neppure avresti mai più sperato. La Dottoressa Degiovanni mi dice con dol-cezza che per il papà non c'è più nulla da fare, il suo destino è segnato, ma gli si po-tranno fare le cure necessarie per non farlo soffrire, per accompagnarlo serenamente nei suoi ultimi giorni. Nel varcare la porta dell'Hospice Zaccheo per andare a fargli visita nel suo ricovero, paradossalmente mi rendo conto, pur sapen-

do che da lì non potrà mai più tornare, che io non ho più angosce. Ora sono certo che non soffrirà, lui forse ormai ha capito, ma tra un sonno e l’altro riesce persino a guardare alla televisione un po’ di calcio, la sua passione. In questa casa in cui si respira serenità, persone qualificate e professionalmente preparate, con vera ge-nerosità e molta gentilezza, aiutano anche tutta la mia famiglia ad affrontare l'approssi-marsi di quel momento. Ma ora ciò che dovrà inevitabilmente acca-dere non mi fa più paura: incredibile, ...impensabile fino a pochi giorni prima. E allora mi ritorna alla mente ancora mia madre, ma adesso è il ricordo di quanto era bello il suo viso ed il suo sorriso dolce, è strano, mi trovo a confonderlo con il sorriso delle infermiere e delle volontarie che, ogni tanto, spuntando sulla porta e offrono a mio padre un po’ di gentilezza. Papà è entrato in coma guardando Germania – Brasile di tantissimi anni fa, “un partitone”, come lo definì con un filo di voce poco pri-ma di addormentarsi in coma. Con le mie sorelle e mio fratello siamo stati ancora per diversi giorni con lui nella sua stanza

all’Hospice, parlando e scherzando an-che, con lui come se ci potesse ancora sentire, quasi anche rispondere. Forte di un cuore che non voleva cedere, ha aspettato ad andarsene poco prima di Natale, e ne sono sicuro, lui e la mamma avevano deciso di farsi il più bel regalo, quello di ritrovarsi proprio a Natale, ventitré anni dopo. Nei mesi successivi ho pensato molto, a quello che è successo, come è successo, e alla fine ho capito: non è stato un destino avverso, ma solo la profonda ignoranza e l’avidità degli uomini hanno afflitto que-sta nostra povera terra con il flagello del

mesotelioma. Ma il Signore non ci ha abbandonati, ci ha dato una speranza e ci ha fatto un dono, sono delle persone speciali che sono qui in mezzo a noi, sono silenziose e spuntano quando hai bisogno, sono gli Angeli di Vitas.

Giovanni Spinoglio ex sindaco di Coniolo per Vitas

A d un certo punto dello scorso anno mi ero ritrovato a riflettere compiacendomi

per la buona sorte del momento, e cioe' della fortuna di un periodo ormai prolungato nel quale tutte le persone della mia famiglia godevano tutto sommato di buona salute, compreso mio padre, non più giovanissimo, le cui lamentele erano legate soprattutto alla sua solitudine. Ma un suo primo ricovero in ospedale per un intervento chirurgico e, alcuni mesi dopo, un secondo ricovero in un altro spedale misero fine a quella mia illusoria serenità. Entrare in una struttura sanitaria per visitare un amico o un parente lontano mi aveva sempre creato apprensione, ma varcare l'in-gresso di quella porta per andare a trovare mio padre, anche se ormai anziano, mi dava angoscia e profonda tristezza. Inevitabilmente mi ritornava alla mente mia madre, morta ventitré anni prima all'età di cinquantaquattro anni, una vita fatta di sacri-fici, quattro figli, la casa, la campagna e, nonostante tanta sofferenza, un sorriso e tanta gentilezza per tutti, solo la quinta ele-mentare ma, con nostra grande sorpresa, la passione segreta di scrivere poesie, da noi scoperta purtroppo solo dopo. Era però il ricordo di come era morta che dopo anni tornava a perseguitarmi: il destino le era stato da sempre avverso, operazio-ni alle gambe sin da giovane, poi un cancro ad un seno e poi anche all'altro, e poi, dopo una breve parentesi di vita quasi normale, un infezione ai polmoni, allora non precisamente diagnosticata, e da li l'aggressione finale alle ossa. Per lei fu un anno di dolore fisico atro-ce, indescrivibile, con le ultime settimane a ritrovarci a pregare che il Signore la graziasse prendendola con se, e non mi vergogno ad ammettere anche quel mio imbarazzo interiore che provavo nel desiderio inconscio di vederla giungere in fretta alla fine. Nessuno di noi, e neppure i medici, poteva fare poco o nulla per aiutarla ad alleviare quelle sue sofferenze. Ed ecco che quello spettro, ventitré anni dopo, si ripresentava alla nostra porta con quella diagnosi inappellabile ai polmoni. Ora toccava a mio padre, tanti pensieri ma soprat-tutto la tristezza di non aver trovato il tempo per fare con lui tutte quelle cose divertenti che gli avevo promesso. E quindi, inevitabile, iniziava l’avvio del balletto delle bugie, che dovevi anche con-cordare con i parenti, per non sbagliare: "Stai tranquillo papà, vedrai che è solo un momento di debolezza, può capitare, qui ti faranno le cure necessarie, poi, non appena starai meglio tornerai a casa......

I relatori della giornata del Volontariato all’Istituto Balbo: la dott.sa Anna Maria Avonto e il sottosegre-tario al Lavoro Luigi Bobba

■ Casale Monferrato: Open day: 28 settembre 2014

Giornata del volontariato

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C i sarà sicuramente poca gente…con i tempi di crisi… e poi per lo scopo

che ha la serata non a tutti potrà interes-sare… queste erano le voci di corridoio che circolavano dall’estate, nonostante l’ottimismo non ci avesse mai abbando-nato e pronti ad accogliere anche un ri-stretto numero di persone… …timidamente iniziata la prevendita dei biglietti il 1° ottobre, dopo una settimana stentavamo a credere, le nostre aspettati-ve si erano completamente capovolte! I biglietti erano quasi tutti venduti! …E finalmente ci siamo! Ore 21.00, il Municipale è gremito dalla platea al loggione …pensare che lo sia so-prattutto per lo scopo benefico in sé, riempie il cuore di gioia! …Le luci si abbassano e sul palcoscenico si affaccia la giornalista e scrit-trice Silvana Mossano. A lei, così dolce, così delicata, il compito di introdurre la serata. Si rivolge al pubblico spiegando che Hospice e Vitas si incrociano per percorrere lo stesso obiettivo, stare accanto alle persone nei mo-menti più difficili, più dolorosi, quando la sofferenza è molto acuta. Chiede se per questo motivo abbia un senso fare una festa… ha provato a darsi risposte e ha trovato due motivi importanti. Il primo è che questa occasione conferma l’alleanza “laicamente sacra” tra Vitas e la popolazione casalese. Quest’ultima infatti si sente protetta, avverte il “ci siamo” in tutti quei segmenti di esistenza difficili, perché è comunque vita, per garantire amorevolezza, rispetto, dignità e meno sofferenza possibile. Il secondo è che questa occasione vuole esse-re un Grazie da parte della popolazione a Hospice e Vitas, paragonando ad angeli chi opera in questa accogliente struttura e chi, con pesanti borsoni, paragonati ad ali, ricol-mi di medicine e siringhe, entra nelle case con un sorriso, un sussurro dolce, un fiore ma con il peso nel cuore… Grazie perché anche i momenti più dolorosi

non debbano sconfinare nella disperazione, grazie perché i momenti di vita più difficili possano diventare dei pezzi di vita “meravigliosamente struggenti”. Invita ‘calorosamente’ il pubblico ad acco-gliere sul palco con un applauso ‘appassionato, che venga dal profondo del cuore’ chi è stata un po’ “l’incipit” Di Vitas e Hospice, la ‘nostra’ Degio! Lei, e coloro che collaborano, hanno dimostrato che solo insieme si può raggiungere un obiet-tivo… e se oltre all’insieme c’è anche tanto amore, beh allora anche i miracoli possono accadere. E’ con la voce tradita dall’emozione e con un ‘grazie’ rivolto al pubblico e agli artisti che prende la parola. Grazie per la dimostrazione di affetto, di vicinanza, di fiducia nel suo operato e in chi collabora con lei. E proprio per tutto questo, è consapevole che la strada intrapresa diciotto anni fa è stata quella giu-sta. Anche se faticosa e irta di difficoltà e di dolori, regala comunque ogni giorno “momenti altissimi di umana bellezza”, dove è necessario andare incontro ai bisogni veri dei pazienti, nei loro momenti più difficili, quando si sta avvicinando il momento degli addii. E’ proprio in questo momento che si vuole rispettare la dignità fino all’ultimo respiro,

ciò non significa essere solo amore-voli, ma rispettare i diritti umani che sono alla base del vivere civile. L’applauso caloroso si ripete anche quando lascia il palco per dar posto agli artisti e per fare festa! Ed è stata festa davvero, Katia Ricciarelli con la sua simpatia ha saputo relazionare con il pubblico regalando momenti di vero effetto, di allegria ma anche di commozione. Da ‘lascia che io pianga’ dal Rinal-do di Haendel al ‘di tanti palpiti’ dal Tancredi di Rossini, alle romanze da camera, per poi passare al repertorio

napoletano coinvolgendo tutti a cantare ‘Funiculì Funiculà e ‘oi vita’! Commozione vera quando Silvana Mossano rivolge il monito di svegliarci tutti e restare uniti, dimenticare rancori e rivalità per poter vincere la battaglia contro l’amianto perché la strada intrapresa è quella giusta. Legge la dedica che gli artisti hanno scritto sulla lo-candina dell’evento… con l’augurio che questa missione sia condotta e portata a ter-mine come Puccini ci ha indicato…VINCERO’!!! ...e le note di ‘Nessun dorma’ invadono i cuori di tutti i presenti. Per concludere la serata, gli artisti ci regala-no una preghiera, l’Ave Maria …le sue note si diffondono tra il pubblico silenzioso non solo per l’ascolto ma per il cuore ormai pieno e con le lacrime agli occhi. I veri protagonisti sono stati, sono e saranno sempre i nostri pazienti e i loro familiari… a loro con il peso nel cuore e le lacrime agli occhi abbiamo sussurrato, sussurriamo e sussurreremo…

…NOI CI SIAMO !!!

P.S Grazie di cuore lo esprimiamo ora noi, tramite queste pagine, alla nostra Degio per averci “permesso” di far parte di questa gran-de famiglia.

Monica (Volontaria Vitas)

■ A proposito della Giornata del Volontariato

Io c’ero e ci sarò...

R icordo la domenica di settembre in cui ci incontrammo al liceo per conoscere

meglio i tipi di volontariato. È stato un momento toccante. Ogni associazione, rappresentata al meglio da un relatore coinvolto e coinvolgente, ha portato la sua esperienza scuotendo il cuore di ognuno di noi. Tra tutte io ricordo le parole di chi ha po-tuto accostarsi a Vitas e far vivere in Ho-spice giorni sereni al proprio familiare, nonostante la fragilità del momento in cui

la vita sfugge di mano... E la testimonianza della giovane mamma "adottata" dagli angeli del "Centro aiuto alla vita" che si sono presi cura di lei e del suo bimbo, permettendogli di conoscere il mondo! Io credo che chi ha un pochino di tempo si sentirebbe davvero realizzato nel donarlo, in qualsiasi modo, a chi ne ha bisogno perchè il cuore si nutre di emozioni che solo così possono esplodere davvero!

Claudia

■ Sabato 25 ottobre 2’14

Concerto e raccolta fondi per Vitas e Hospice

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Pagina 10 Hospice di Casale - Dicembre 2014

R ecentemente ho frequentato un corso di astronomia organizzato dal “Gruppo

astrofili Cielo del Monferrato” e osservato i pianeti e le stelle attraverso il telescopio dell’osservatorio astronomico di Odalengo Piccolo. Lezioni e osservazioni hanno risve-gliato in me tante curiosità e tante sono le risposte che ho trovato. Ad esempio ho sco-perto che mi piace la fisica (io ho una forma-zione umanistica), la matematica applicata all’astronomia, l’indagine scientifica del cielo, la verifica. Alla base c’è tanta curiosi-tà, tante domande che non trovano adeguata risposta, tanta ignoranza del sapere che inve-ce è disponibile basta volerlo cercare. In mezzo a tanti calcoli ed equazioni, a tanto sapere del cielo che sta sopra le nostre teste (e che noi guardiamo distrattamente) ho tro-vato un episodio che voglio proporre ai letto-ri del giornalino di Vitas, dove non si propone di validare una teoria ma si invita alla sola riflessione. La sonda spaziale Voyager 1 è stata una delle prime esploratrici del sistema solare esterno, ed è ancora in attività. Fu lanciata nell'ambito del Programma Voyager della NASA il 5 settembre 1977 da Cape Canaveral, a bordo di un razzo Titan IIE-Centaur, poco dopo la Voyager 2, la sua sonda sorella, in un'orbita che le avrebbe permesso di raggiungere Giove per prima. Le due sonde Voyager sono identiche. L'orbita in cui fu immessa la sonda la portò a sfiorare i due pianeti giganti, Giove e Saturno, per poi proseguire indisturbata verso l'esterno del sistema solare. Carl Sagan è nella commissione del progetto Voyager e ha l’idea di far scattare alla sonda un’ultima fotografia della terra. Qualche anno prima, un astronauta dell’ultimo Apollo diretto sulla luna, ha scattato un’immagine intera della terra, il pianeta come un mondo senza confini. Era diventata il simbolo di una nuova consapevolezza. Carl capisce qual è il passo successivo da fare. Nel 1990 una volta oltrepassato Nettuno convince la NASA a girare la fotocamera della Voyager 1 verso la terra, per un ultimo sguardo verso casa, che lui chiama “Pallido puntino azzurro”. “E’ qui, è casa, è noi, su di esso tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui non avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito ha vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dot-trine economiche così sicure di se, ogni cac-ciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e

plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inven-tore ed esploratore, ogni predicatore di mora-lità, ogni politico corrotto, ogni superstar, ogni comandante supremo, ogni santo e pec-catore nella storia della nostra specie è vissu-to lì su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmi-ca. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché nella gloria del trionfo potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un punti-no. Pensate alla crudeltà senza fine inflitta dagli abitanti di un angolo di questo puntino agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo. Quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto pesante il loro odio. Le

nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi si abbia una qualche posizione privi-legiata nell’universo sono messe in discussione da que-sto punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvol-gente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta que-sta vastità non c’è alcuna indicazione che possa giun-

gere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi. La terra è l’unico mondo cono-sciuto che possa ospitare la vita, non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare si, colonizzare non ancora. Che ci piaccia o meno la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. E’ stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carat-tere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia della vanità umana che questa distante immagine. Per me sottolinea la re-sponsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto. Come siamo riusciti da creature minuscole che abitano quel granello di polvere ad esco-gitare un modo per lanciare le sonde spaziali tra le stelle della Via Lattea? Appena qualche secolo fa, un battito di ciglia per l’universo, non sapevamo nulla di dove ci trovassimo né da quanto tempo. Ignari del resto del cosmo vivevamo in una specie di prigione, un pic-colo universo dallo spazio limitato. Come abbiamo fatto ad evadere? E’ stato grazie a generazioni di studiosi che hanno imparato a memoria alcune semplici regole: sfidare l’autorità, nessuna idea è giusta solo perché lo dice qualcuno, ragionare con la propria testa, mettersi in discussione, non credere a qualcosa solo perché fa comodo, credere a

una teoria non la rende vera. Veri-ficare le idee grazie alle prove emerse dalle osservazioni e sperimentazioni, se una vostra teoria non supera un test ben fatto è sbaglia-ta: dimenticatela! Seguite le prove dovunque portino e se non ne avete rimandate il giudi-zio. E forse la regola più importante in asso-luto: ricordatevi che potreste sbagliarvi; Newton, Einstein e ogni altro genio della storia ha commesso degli errori ed è naturale, erano uomini. La scienza è un modo per non ingannare noi stessi e gli altri: Ma gli scien-ziati conoscono il male? Certo, abbiamo fatto un uso improprio della scienza come di qua-lunque altro strumento a nostra disposizione, per questo motivo non va lasciata nelle mani di una stretta cerchia di potenti, più diventa parte della nostra vita meno sarà probabile che qualcuno ne abusi. Questi valori contra-stano la deriva del fanatismo e dell’ignoranza, ma, dopo tutto, l’universo è per gran parte oscuro, appena punteggiato da isole di luce. Conoscere l’età della terra, la distanza dalle stelle o l’evoluzione della vita serve davvero a qualcosa? Beh, dipende anche dal tipo di universo in cui si vuol vivere; ad alcuni di noi piace piccolo, va bene, è comprensibile, ma io lo preferisco grande. Quando lo imma-gino nel profondo mi sento sollevato e quan-do ho questa sensazione voglio sapere che è vera e non qualcosa che accade soltanto nella mia testa. Perché la verità è importante e la nostra immaginazione non è nulla in con-fronto alla splendida realtà della natura. Voglio sapere cosa nasconde l’oscurità e cosa è successo prima del Big Bang, voglio sapere cosa c’è oltre l’orizzonte cosmico e come è nata la vita. Ci sono altri luoghi nell’universo dove mate-ria ed energia sono diventate vita e coscien-za? Voglio conoscere tutti quanti i miei ante-nati ed essere un anello buono e forte nella catena delle generazioni. Noi che sulla terra incarniamo gli occhi, le orecchie, i pensieri e le sensazioni del cosmo abbiamo iniziato a scoprire le nostre origini, polvere di stelle che contempla l’evoluzione della materia e segna un lungo percorso che arriva alla vita intelligente. Noi e le altre creature di questo pianeta siamo il risultato dell’evoluzione cosmica in atto da miliardi di anni. Se prendiamo a cuore questa conoscen-za, se riusciamo a comprendere e ad amare la natura così com’è allora saremo ricordati dai nostri discendenti come degli anelli forti nella catena della vita e le generazioni future continueranno a cercare al posto nostro come noi abbiamo fatto con chi è venuto prima e scopriranno meraviglie ad oggi impensabili nel cosmo.” Bruno Marchisio

■ Bruno Marchisio

Vice Presidente Vitas

Pallido puntino azzurro

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■ Vincenzo Moretti

Terapia a fumetti N essun altro animale dipende dalla fin-

zione narrativa quanto l’essere umano. È innato e antichissimo questo particolare comportamento che ci porta a mettere al centro della nostra esistenza cose che non esistono. Basta osservare un bambino nel suo quotidiano gioco del «facciamo finta che» per capire che si tratta di un istinto primor-diale, che ha già in sé quando viene al mon-do. Secondo le ricerche più avanzate della biologia e delle neuroscienze, è indispensabi-le praticare il mondo fantastico immaginando giochi, sognando, ascoltando, leggendo o inventando storie. Raccontando storie, i bam-bini imparano a gestire i rapporti sociali; con le fantasie a occhi aperti e nei sogni esploria-mo mondi alternativi che sarebbe troppo rischioso vivere in prima persona, ma che risulteranno utilissimi nella vita reale; nei romanzi e nei film cementiamo una morale comune che permette alla società di funzio-nare col minimo possibile di contrasti. E poi è provato che la letteratura ci cambia, fisica-mente e in meglio. L’istinto di narrare ha reso l’uomo un animale diverso dagli altri, permettendogli di vivere contemporaneamen-te molte vite, di accumulare esperienze diver-se e di costruire il proprio mondo con l’incanto dell’invenzione. Alla base della medicina narrativa non ci sono farmaci. Il percorso di guarigione o di miglioramento nasce dall'ascolto e dalla capacità del medico di interpretare ciò che il paziente riporta della malattia. Raccontare è

cosa già di per sé in parte liberatoria: ma la medicina narrativa lega il “narrare” alle evi-denze scientifiche e cliniche. Le piccole-grandi storie di pazienti bambini o di adulti in età avanzata, di malati con patologie rare o con malattie croniche, hanno un impatto forte non solo sull’alleanza terapeutica e sulla continuità delle cure, ma anche sotto l’aspetto della condivisione di emozioni, della reazione emotiva, delle riflessioni sulla propria esistenza e sulle relazioni personali. Ora c'è pure un osservatorio nazionale che raccoglie le esperienze di medicina narrativa. Le storie hanno un ruolo importante nella cura del paziente, nella sua edu-cazione medica e nella riflessione sul ruolo so-ciale della professione medica. Per questo mi-gliaia di ammalati italia-ni hanno raccontato la propria storia sul web nell'ambito di “Viverla tutta”, la campagna di Comunica-zione e Impegno Sociale volta a restituire un ruolo centrale all’ascolto del paziente, dalla diagnosi alla cura. Le loro testimonianze furono consegnate poi alla casa editrice Riz-zoli, che ne ha tratto un volume di storie, uscito in settembre col titolo La vita inattesa.

Tre affermati autori italiani hanno trasforma-to dieci di quei contributi in altrettanti rac-conti per fumetti, disegnati poi da alcuni tra i più noti grafici che hanno dato forma e colo-re a dieci storie di speranza e di vita inattesa nella lotta contro la malattia. Dieci storie, dieci esistenze, dieci racconti illuminati dalla speranza. La vita nascosta nel cuore di chi, ammalandosi, ha conosciuto la paura di perdere tutto, viene illuminata dalla speranza grazie alla forza delle parole scritte e delle immagini disegnate. Raccontando aspetti che vanno dalla soffe-renza alla guarigione, dalla medicina al rap-

porto medico-paziente, il volume esplora i momenti più intimi e dolo-rosi di una fase drammatica della vita di alcune persone, per trasfor-marla in una lezione di vita, prezio-sa per sé e per gli altri. Ciascuna storia non presenta solo un’esperienza: ha anche una forte caratterizzazione narrativa. La ma-lattia si racconta con difficoltà: fa paura, ai narratori come ai lettori. E trovare il modo di raccontarla è ancora più complesso. Chi leggerà La vita inattesa non rischia di imbattersi nelle solite storie strappalacrime. Le pagine del libro sono popolate da esserini

scorbutici, supereroi, farfalle e storie d’amore: ognuna ha uno stile particolare proprio perché a realizzarle sono stati chia-mati artisti diversi che però ci lasciano un unico, interessante messaggio: se non si può sfuggire alla sofferenza, bisogna popolarla di forme e di colori, di parole, oggetti, rumori, personaggi, storie… .

N ell’ambito dei mercoledì di “Cinema insieme”, le serate aperte organizzate

da VITAS, all’inizio di quest’anno, nella Sale Convegni del nostro Ospedale Santo spirito, è stato proiettato il film La prima cosa bella (2010). Il titolo è tratto dall’omonima can-zone portata al successo da Nicola Di Bari nel 1970, di cui la cantante Malika Ayane ha realizzato una cover per la colonna sonora. Il filo principale della trama è incentrato sulla figura della giovane Anna Nigiotti in Michelucci, madre ingenua e bellissima che all'inizio degli anni '70 si trova sbattuta fuori casa dal marito geloso. Da quel momento cominciano per la donna e i suoi due figli una serie di peripezie fatte di precarietà economica, continui traslochi e amanti più o meno occasionali, in un susseguirsi di eventi tragicomici che condurranno la storia fino ai nostri giorni. Nel presente tocca soprattutto a Bruno, primogenito di Anna, fare i conti con il rapporto a dir poco conflittuale che ha sviluppato negli anni con la madre. Bruno

Michelucci è un infelice insegnante di lettere a Milano, si addormenta al parco, fa uso occasionale di droghe e prova senza riuscir-ci a lasciare la fidanzata. Lontano da Livor-no, città natale, sopravvive ai ricordi di un’infanzia romanzesca e alla bellezza in-gombrante di una madre estroversa, ora gravemente malata. Valeria, sorella spigliata di Bruno, decisa a riconciliare il fratello col passato e con la madre, convince Bruno a seguirla a Livorno e in un lungo viaggio a ritroso nel tempo. La madre la cui bellezza prorompente fu, nella Livorno provinciale e ottusa dei tempi andati, una condanna anzi-ché un’opportunità, è giunta alle ultime setti-mane di vita, è ricoverata in un hospice, centro di accoglienza e di cure palliative per pazienti in fase avanzata di malattia. Visitan-do e assistendo la madre, Bruno, vittima delle proprie incertezze e di una infelicità da troppo tempo repressa, inizia a fare i conti con l'amore ricevuto e mai ricambiato… La prima cosa bella si appoggia su un coro

di attori efficaci nel dare forma e sostanza a una felice e insieme scriteriata idea di fami-glia. Anna ha il doppio volto della giovane Micaela Ramazzotti e della matura Stefania Sandrelli: ne risulta una figura femminile di grande umanità e spessore. La recitazione sommessa e sotto le righe del protagonista maschile, Valerio Mastrandrea, crea quell’equilibrio tra ironia e malinconia che è la cifra di una commedia colma di sentimenti e spoglia di sentimentalismi. La prima cosa bella ci parla di come non ci sia una via migliore delle altre per elaborare un lutto e guardare avanti, eppure non ri-sparmia scene comiche esilaranti. È un film su una città, Livorno, ritratta in tutti i suoi angoli nascosti, ma è anche un’opera univer-sale sul legame indissolubile con la propria famiglia d’origine. C’è tanta malinconia, tanta commozione e nostalgia, ma anche un certo ottimismo, in questo film che fu definito «una riflessione seria e ironica sulla morte, una sorta di “istruzione per l’uso” su come rielaborare i lutti e tenere i nostri cari ac-canto a noi, anche quando se ne vanno». Le cose possono ancora aggiustarsi e il bagno rigenerante che Bruno fa con la fidanzata-coinquilina al termine del film è un tenero tentativo di tuffarsi in avanti.

■ Recensioni di Vincenzo Moretti

La prima cosa bella

FILM DA VEDERE - FILM DA

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■ Un facilitatore dei gruppi AMA

Il guaritore ferito o… il guaritore “cammello” I l guaritore ferito è la “definizione” che si

regala a un facilitatore di gruppi AMA per il lutto che, a sua volta, ha avuto esperienza personale di vivere. Io sono un guaritore ferito. Sull’aggettivo “ferito” non ho dubbi: sono stata profondamente ferita da una serie di lutti gravi e ravvicinati. Tuttavia… sono guarita, perché ho avuto tanta, tanta, tanta voglia di guarire e perché ho incontrato, lungo questo faticoso cammino, dei guaritori. Ho incontrato, cioè, delle persone che, consa-pevolmente o inconsapevolmente, mi hanno aiutata in modi diversi ma tutti egualmente efficaci. La morte di Luciano aveva provocato nella mia esistenza una vera e propria lacerazione. Tutto era cambiato, finito, perso. Mi ritrova-vo a essere “genitore single”, non più moglie ma vedova, avevo perso molti dei punti fermi della mia vita, punti fermi perché condivisi con mio marito. Vivevo come avvolta da una cortina di buio, attanagliata dalla precarietà e dalla paura. Poco per volta mi rendevo conto che se vole-vo non solo sopravvivere ma ANDARE A-VANTI e VIVERE DAVVERO, dovevo riposizionare il mio orizzonte, riorganizzarmi una vita in cui dovevo camminare, certo, con i miei ricordi, ma contando sulle mie risorse.

Ed ecco che ho incontrato i miei “GUARITORI”. Sono tornata a scuola, dove ho ripreso tanta fiducia in me stessa, perché ero a contatto di quegli straordinari “rigeneratori di vita” che sono bambini e ragazzi, ho cominciato a frequentare un grup-po AMA e a condividere emozioni, esperien-ze, paure e conquiste. Sono guarita. Ferita, ma guarita, e sono contenta. Mi repu-to fortunata, perché, nonostante tutto, mi sono riappropriata della mia voglia di vivere, del mio entusiasmo, della felicità nel fare le cose che mi piacciono. Ho accompagnato Daniela, mia guaritrice principale, nei suoi traguardi, per ora, più significativi, come la maturità e la laurea, certo, con pena e nostal-gia nel cuore, ma con tanto orgoglio per a-vercela fatta. E’ vero: io ho la mia storia, fatta non solo da me, ma anche da chi mi ha amata, come i miei genitori e Luciano, con cui ho camminato con tanto amore, tanta speranza e desiderio di continuare anche quando la sua malattia, inesorabilmente, segnava un punto via l’altro. E la mia storia mi ha aiutata, perché mi sono sempre sentita un po’ come un cammello, ho incamerato infinito affetto nella prima parte della mia esistenza, e tutto quell’affetto mi ha aiutata ad attraversare il deserto del dolo-re. Adesso sono nell’oasi e vorrei aiutare chi è ancora pellegrino e disperato: sotto questo aspetto si, potrei essere un guaritore, e Dio solo sa quanto vorrei vedere guarire chi sta

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Un sostegno a chi sta soffrendo per una perdita VITAS offre la possibilità a tutti coloro

che stanno soffrendo per la perdita di una persona cara di avere un supporto psico-logico attraverso colloqui individuali o la partecipazione al gruppo di Auto-mutuo-aiuto.

Il servizio è gratuito. Le persone interessate possono contattare l’Hospice al numero telefonico:

0142 434 081 o le psicologhe

M. Clara VENIER: 339 8168421

e Barbara ONEGLIA: 346 5294659 Gli incontri del gruppo AMA si tengono per ora nei locali della Croce Rossa, di fronte all’Hospice Zaccheo.

soffrendo. Vorrei gridare: “si, dal buio si può uscire”, con tanta voglia di farlo, cogliendo i segnali che la vita stessa ci lancia, e che tutti possiamo vedere nel sorriso di un amico, nella stretta di mano di una persona, ma so-prattutto nel nostro cuore che, un bel giorno, ci dice che tornare a vivere fa bene soprattut-to a noi stessi, a chi è con noi e anche a chi ci ha preceduti che, amandoci, vuole innanzi tutto il nostro bene, parola di “guaritore cam-mello”.

Silvia

Un aiuto per i famigliari Un tuo famigliare si è ammalato di cancro

o di una malattia neurologica degenerati-va? Possiamo offrire un aiuto anche a te. VITAS, che da sempre aiuta le persone in fase avanzata di malattia, offre un servizio

specifico rivolto ai CARE-GIVER: pat-ner, genitori, figlio/a, fratello o sorella, con particolare attenzione alle situazioni che coinvolgono bambini e adolescenti.

Il servizio è gratuito. Le persone interessate possono contattare l’Hospice al numero telefonico:

0142 434 081 o le psicologhe

M. Clara VENIER: 339 8168421

e Barbara ONEGLIA: 346 5294659

Biscottini di Natale

Ingredienti: Dosi per 6 persone 2 confezioni di pasta brisè in sfoglia, 250 gr. di ricotta Santa Lucia, 100 g di zucchero, 1 uovo, 1 cucchiaio raso di cannella in polve-re, zucchero a velo. Preparazione: In una terrina ponete la ricotta e lavorando con una frusta, unite lo zucchero, la cannella e l'uovo. Lavorate sino ad ottenere una cre-ma omogenea. Foderate gli stampini con la pasta brisè e riempiteli a piccole cucchiaiate con la crema. Disponeteli sulla placca del forno e poneteli in forno, già caldo a 180°, per 10/15 minuti. Ritirate dal forno e lascia-teli raffreddare prima di sformarli. Decorate con la frutta candita tagliata a pezzetti e con una spolverata di zucchero a velo.