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Fede Ragione Follia 7 febbraio / 22 giugno Morìa La Sapienza altra del mondo Rivista semestrale di studi moreani Centro Internazionale Thomas More 12/2019

Morìa La Sapienza altra del mondo - WordPress.compunti di vista. La minaccia del terrore e la visione della morte non hanno mai cambiato nessuno. Il cambiamento è frutto di una consapevolezza

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  • Fede Ragione Follia7 febbraio / 22 giugno

    MorìaLa Sapienza altra del mondo

    Rivista semestrale di studi moreaniCentro Internazionale Thomas More 12/2019

  • MorìaRivista semestrale di studi moreani

    7 febbraio / 22 giugno 2018

    La rivista del Centro Internazionale “Thomas More” si articola in otto sezioni che ospitano interventi di largo respiro, contributi di carattere scientifico, pubblicazioni e traduzioni di testi inediti o rari di particolare rilievo per la diffusione della memoria del martire inglese e del pensiero moreano, quale promozione di una sapienza “altra” per il mondo, capace di generare un pensiero di vita, verità e giustizia.La rivista inizia la sua storia proponendosi la pubblicazione di due fascicoli annuali intorno al periodo della memoria liturgica e della nascita di Tommaso Moro.

    Direttore editoriale Direttore responsabileCesare Ignazio Grampa Giuseppe Gangale

    Comitato di direzioneAngelo Fracchia, Roberto Ghisu, Annalisa Margarino, Maria Pia Pagani, Ferdinan-do Valcarenghi

    Consiglio scientificoAlessandro Andreini (Comunità di San Leolino), Giovanni Battista Balconi (Diocesi di Mila-no), Carlo Maria Bajetta (Università della Valle d’Aosta), Franco Buzzi (Biblioteca Ambro-siana), Carlo De Marchi (Pontificia Università della Santa Croce), Giorgio Faro (Pontificia Università della Santa Croce), Paul Fryer (Centro Stanislavski, Sidcup, Kent, Gran Bretagna), Isabella Gagliardi (Università degli studi di Firenze), Andrew Hegarty (Thomas More Institute Londra), Dieter Kampen (Chiesa luterana di Trieste), Giovanni Angelo Lodigiani (Università degli Studi dell’Insubria), Anna Maranini (Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica Università di Bologna), Frank Mitjans (Thomas More Institute Londra), Fortunato Morrone (Istituto Teologico Calabro San Pio X Catanzaro), Jacques Mulliez (Associazione francese Amici Thomae Mori), Luigi Negri (Arcivescovo Emerito di Ferrara-Comacchio), Maria Pia Pagani (Università di Pavia), Luciano Paglialunga (Anglista, studioso e traduttore di Thomas More), Marie-Claire Phelippeau (Rivista Moreana), Gregorio Piaia (Università di Padova)

    Direzione: Via Orti 3, 20122 Milano; Tel. 0254101010; www.thomasmore.studio; mail: [email protected];

    Redazione: Crotone, Via Georgia 1 - 88900; Tel. 3287534885; www.rivistamoria.org

    In copertina: Frontespizio della prima edizione dell’utopia

    ISSN 2239-6055 / ISBN 978-88-382-4956-3Autorizzazione del Tribunale di Crotone n. 2/11 del 28/02/2011

  • editorialeGiuseppe GanGale La “bontà”di un pensiero pestilente

    la follia del VangeloRaoul FolleRau La commedia dei lebbrosi

    Saloì & jurodiVyeMaRia pia paGani Una preghiera russa a san Michele Arcangelo

    conScientia et martiryumGiovanni anGelo lodiGiani Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’a-

    scolto onesto

    utopia: notizie da neSSun luogoWilliaM MoRRis Un libro della biblioteca socialista. Prefazio-

    ne all’Utopia di Thomas More

    merrilyeuGénio lopez Antonio Bonvisi. L’amico degli amici di

    Tommaso Moro

    documenta moreanapaolo TRianni Jules Monchanin animatore del gruppo Tho-

    mas More

    uomini & libri Cosimo Quarta: un’utopista per l’Utopia! noVità editoriali

    Sommario 7 febbraio / 22 giugno 2019fede ragione e follia - rivista semestrale di studi moreanicentro internazionale thomas more

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  • A questo numero hanno collaborato:

    MaRia pia paGani, è docente di Letteratura Teatrale all’Università di Pavia. Dottore di ricerca in Filologia Moderna, è autrice di monografie e saggi sul teatro russo e i suoi legami con la cultura spirituale ortodossa.

    Giovanni anGelo lodiGiani, sacerdote della diocesi di Pavia, don Giovanni è docente di Etica Teologica all’I.S.S.R. “S. Agostino” Crema, Cremona, Lodi, Pavia, Vigevano, e di Giustizia Riparativa e mediazione penale presso l’Università degli Studi dell’Insubria Como-Varese, è stato nominato, lo scorso primo novembre, esperto di Bioetica nel Co-mitato Etico di Pavia che ha sede presso l’IRCCS Policlinico San Matteo.

    euGénio lopez, è nato in Portogallo (Lamego, 1986), dove si è laureato in Pubbliche Relazioni; è anche laureato in filosofia, presso la Pontificia Università della Santa Croce, in Roma (appassionato e devoto di St. Thomas More).

    paolo TRianni, Insegna presso l’Università Urbaniana, il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, il master di II livello di Roma Tre in scienze della cultura e della religione e il master in mediazione culturale e religiosa dell’Accademia di scienze umane e sociali. Collabora con la cattedra di storia del pensiero teologico della facoltà di filosofia di Roma Tor Vergata, e ha insegnato presso l’Istituto di religioni e culture della Pontificia Università Gregoriana. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: Il monachesimo non cristiano (2008); Henri Le Saux. Un incontro con l’India (2011); Il Cristo di tutti. Teilhard de Chardin e le religioni (2012); Il diritto alla libertà religiosa. Alle fonti di Dignitatis Humanae (2014); Nostra Aetate. Alle radici del dialogo interreligioso (2016). Fa parte di “Reli-gions for peace”, ed è nella redazione della rivista internazionale «Dilatato Corde» del Dialogo interreligioso monastico.

  • editoriale

    la “bontà” di un pensiero pestilenteGiuseppe Gangale

    Eccezionalmente per questo numero di Morìa sentiamo il dovere di interve-nire per non condividere (unlike) un pensiero che trova diffusione e coesione in alcune fasce della popolazione italiana.

    Non ci sono dubbi che una pandemia, come del resto le varie pestilenze che si sono succedute nella storia, condizionano notevolmente la vita degli uomini e, di conseguenza il proprio sentire e comportarsi nei confronti del prossimo e del mondo. Ciò che non è condivisibile è il pensiero secondo cui una pestilenza possa apportare qualcosa di positivo nella vita degli uomini, possa dare un senso, far comprendere dove si sta andando e capire che biso-gna cambiare rotta se non si vuole naufragare.

    Significativo ma deleterio da questo punto di vista è un video che conti-nua a girare sui social network, che purtroppo crea opinione perché fa paura. “Io sono Covid-19” è l’emozionante video dove l’autore immagina che il vi-rus scriva una lettera per spiegare perché è qui tra noi e ha deciso di stravol-gere le nostre vite. Queste sono le parole che è riuscito a mettere su un foglio:

    Ciao sono covid-19, molti di voi mi conosceranno più semplicemente come corona virus, e si sono proprio io. Scusate il poco preavviso ma non mi è dato far sapere quando arriverò, in che forza e forma mi presenterò da voi. Perché sono qui? Sono qui perché ero stanco di vedervi regredire anziché evolvervi, ero stanco di vedervi continuamente rovinare con le vostre mani, ero stanco di come trattate il pianeta, di come vi rapportate l’uno all’altro, ero stanco dei vostri soprusi, delle guerre, delle vostre violenze, dei vostri conflitti interperso-nali e dei vostri pregiudizi. Ero stanco della vostra invidia sociale, della vostra avidità, della vostra ipocrisia e del vostro egoismo, ero stanco del poco tempo che dedicate a voi stessi e alle vostrte famiglie. Ero stanco delle poche attenzio-ni che riservate ai vostri figli, ero stanco della vostra superficialità, ero stanco dell’importanza che date alle cose superflue a discapito di quelle essenziali, ero stanco della vostra ossessiva e affannata ricerca continua del vestito più bello, dell’ultimo modello di smart phone e della macchina più bella solo per apparire realizzati. Ero stanco dei vostri tradimenti, ero stanco della vostra disinforma-zione. Ero stanco del poco tempo che dedicate a comunicare tra di voi. Ero

  • 6 Giuseppe Gangale

    stanchissimo delle vostre continue lamentele quando non fate nulla per miglio-rare le vostre vite. Ero stanco di vedervi discutere e litigare per motivi futili. Ero stanco delle continue risse tra chi vi governa e delle scelte sbagliate che fa spesso chi dovrebbe rappresentarvi. Ero stanco di vedere gente che si insulta e ammazza per una partita di calcio. Lo so, sarò duro con voi, forse troppo, ma non guardo in faccia nessuno. Sono un virus, la mia azione vi costerà vite ma vo-glio che capiate una volta per tutte che dovete cambiare rotta per il vostro bene. Il messaggio che vi voglio dare è semplice. Ho voluto evidenziare tutti i limiti della società in cui vivete perché possiate eliminarli. Ho voluto affermare tutto apposta perché capiate che l’unica cosa importante a cui dovrete indirizzare tutte le vostre energie d’ora in avanti, è semplicemente una: la vita. La vostra e quella dei vostri figli, e a ciò che è veramente necessario per proteggerla, cocco-larla e condividerla. Vi ho voluti il più possibile rinchiusi e isolati nelle vostre case, lontano dai vostri genitori, dai vostri nonni, dai vostri figli e nipoti perché capiate quanto sia importante un abbraccio, il contatto umano, il dialogo, una strettta di mano, una serata fra amici, una passeggiata in centro, una cena in qualche locale, una corsa all’aria aperta. Da questi gesti deve ripartire tutto. Siete tutti uguali, non fate distinzioni tra voi, vi ho dimostrato che le distanze non esistono, ho percorso chilometri e chilometri in pochissimo tempo senza che voi ve ne siate accorti. Io sono di passaggio ma i sentimenti di vicinanza e collaborazione che ho creato tra di voi in pochissimo tempo dovranno durare in eterno.Vivete le vostre vite il più semplicemente possibile, camminate, respirate profondamente, fate del bene perché il bene vi tornerà sempre indietro con gli interessi. Godetevi la natura, fate ciò che vi piace e vi appaga e createvi le condizioni per non dover dipendere da nulla. Quando voi festeggierete io me ne sarò appena andato, ma ricordatevi di non cercare di essere persone migliori solo in mia presenza. Addio.

    Secondo l’autore, anonimo (fa bene a rimanere tale), il virus è l’inevita-bile condizione di una umanità regredita, che ha perso i valori fondamentali della vita personale e interpersonale, di un pianeta che è stato distrutto dalle guerre e dalle violenze, dall’invidia, dall’avidità, dall’ipocrisia…e un poco alla volta ascoltando ci si rende conto che tutti i mali di questo mondo un poco alla volta vengono passati in rassegna. Per poi affermare che anche se la sua azione costerà vite servirà per capire una volta per tutte che bisogna cambiare rotta per il bene dell’umanità.

    Indubbiamente un pensiero di questa natura è inaccettabile da tutti i punti di vista. La minaccia del terrore e la visione della morte non hanno mai cambiato nessuno. Il cambiamento è frutto di una consapevolezza interiore, vale a dire la presa di coscienza che bisogna cambiare per il proprio bene e quello del prossimo. Nulla che sopravviene dall’esterno, pacifico o violento che sia, può cambiare la natura umana.

    Chi assicura poi che un’umanità castigata dalla peste cambierebbe rotta? Piuttosto avrebbe tanta di quella rivalsa nei cuori, provocata dalla sofferenza

  • La “bontà” di un pensiero pestilente 7

    e dal dolore subito, che i castighi diventerebbero un lontano passato da esor-cizzare piuttosto che interpretare.

    E’ giusto pensare poi che una pestilenza (cioè la morte di centinaia di miliaia di esseri umani) possa fare del bene, anche se indirettamente, all’u-manità? Solo una mente schizofrenica e paranoica e un cuore pieno di odio possono pensare ciò.

    In realtà anche se l’autore si definisce “una bella persona che ha ritenuto di non firmarsi per non autocelebrarsi”, è uno che odia il mondo contempo-raneo. Odia perché non lo vede come vuole lui, e non potendolo cambiare preferisce che muoia, nella speranza di una resurrezione che spera possa av-venire come la desidera lui a sua immagine e somiglianza.

    L’umanità di oggi non è un gran chè; tuttavia non è più regredita di quel-la del passato, anzi oggi viviamo valori che una volta non erano presenti nella società. Chi non riesce a vedere il progresso del genere umano nel mondo di oggi non è perché è cieco bensì perché non desidera vederlo, ancorato come è al passato.

    L’umanità di oggi, come quella di sempre, ha bisogno di essere redenta, e solo Dio e gli uomini hanno il potere di redenzione.

    Questo ruolo non spetta nè ad una pestilenza né ad un essere umano mascherato da virus.

  • la follia del vangelo

    Secondo i dati dell’Aifo (Associazione italiana Amici di Raoul Follerau) ogni anno nel mondo si registrano oltre 210 mila nuovi casi di lebbra e il 15 per cento ha meno di 15 anni.

    «Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allonta-nandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo» (Fonti Francescane).

  • la commedia dei lebbrosidi Raoul Follerau 1

    Sull’altopiano che i missionari hanno strappato alla foresta e sul quale sorge oggi la città dei lebbrosi, la notte immensa e pesante si è abbattuta all’improvviso…

    Ma la pace della sera è turbata da qualche cosa.I “cittadini” di Adzopé 2 non sono ancora disposti a rientrare nelle loro

    dimore. Li vedo, muniti di lanterne, che si radunano davanti alle porte, poi, dopo lunghi conciliaboli, dai quali partono inspiegabili scoppi di risa, se ne vanno…solenni, misteriosi, rifiutando di dirmi che cosa sta accadendo…e che faccio finta di non sapere.

    1 Raoul Follereau, giornalista francese (Nevers 1903- Parigi 1977), nel 1936 viene inviato dal suo giornale in Africa dove incontra per la prima volta i malati di lebbra. Scopre, attraverso di loro, il mondo della povertà e del pregiudizio sociale nei confronti della lebbra che condanna i malati alla solitudine e all’emarginazione. Da quel momento dedica la sua vita alla lotta contro la lebbra e contro tutte “le lebbre”. Compie 32 volte il giro del mondo, lavorando instancabilmente per migliorare la qualità della vita delle persone colpite dalla malattia. A lui si ispirano l’AIFO e molte altre associazioni, soprattutto in Europa e in Africa.

    2 Città della Costa d’Avorio situata nel distretto di Lagunes ed è capoluogo della regione di La Mé, e dell’omonimo dipartimento. Qui si trova uno dei più grandi lebbrosari del mondo, fondato nel 1942 da suor Regina Galbusera delle Suore Missionarie di Nostra Signora degli Apostoli. Nel 1945 con l’aiuto di Raoul Follerau la struttura sanitaria si ampia e in seguito diventerà l’Istituto Raoul Follerau.

  • 10 Raoul Follerau

    Stasera i lebbrosi ci offrono una commedia.Di fronte al nuovo dispensario quasi terminato, hanno innalzato un tea-

    tro di frasche.Un vero teatro, con una grande scena e delle passerelle fatte di rami di

    palma, e delle quinte nelle quali ci si urta come in tutti i veri teatri, ed un sipario che funziona male come tutti i veri sipari.

    Certo, avrebbero potuto presentare lo spettacolo al pomeriggio.Sembra anzi che una suora l’avesse timidamente suggerito.Non l’avesse mai detto!...Ma come, prendete forse i lebbrosi di Adzopé per dei selvaggi?A Parigi si recita en soirée. Ad Adzopé pure.Così hanno cercato tutte le lampade di tutte le case, e hanno fatto una

    «ribalta» e dei «giochi di luci».Non c’è l’elettricità? Che importa!Nemmeno Molière aveva la luce elettrica!...

    Inizia lo spettacolo. Scene classiche (Moliére in mezzo alla foresta vergi-ne!) e commedie si alternano con danze e canti…

    In «platea», i cinque missionari e noi. Ed intorno a noi, seduti per terra, centinaia di lebbrosi, tutti i lebbrosi di Adzopé, marea di dolore e di speranza che ci circonda…Folla strana e stranamente silenziosa, scossa poi da un im-menso riso fanciullesco che si interrompe all’improvviso, così come era partito.

    Ah, il riso dei lebbrosi! Nessuna fatica, nessuna pena, nessuna prova potrà mai pagare quelle risate!...

    Attentissimi ascoltano i loro amici, i loro compagni di miseria «che re-citano ad essere felici». Ed alla luce della lampada-riflettore, si vedono le braccia che si alzano per sottolineare una frase…

    Le braccia che non hanno più mani…Ora si innalzano canti che vanno a perdersi nella foresta…La foresta! Essa è tutt’intorno a noi…Di tanto in tanto si sente ridere una

    scimmia, e gli urli della iena spezzano i nervi…Strani occhi rossi compaiono, spariscono…E vicino a noi, in mezzo alle alte erbe, un boa si allunga e fissa già la sua preda .

    Ci sono cinque missionari e noi, in mezzo ai lebbrosi nella foresta…

    La festa va avanti per ore. Attori e spettatori sono ugualmente infaticabi-li. E mentre sulla scena continua la storia di quel re generoso, ma «che non ha la carità», io guardo, in mezzo ai malati, le cinque vesti bianche, immobili.

    Una missionaria, per un istante, ha guardato il cielo.Ed ho visto che ha sorriso.La Croce del Sud tracciava, sopra di noi, il segno della Redenzione 3.

    3 Raoul Follerau, Cinquant’anni con i lebbrosi, Editrice elle di ci, Torino 1991, pp. 39-41.

  • saloÍ & jurodivye

    S. Michele Arcangelo, Icona russa antica, XIX secolo 35x30 cm. La simbologia di quest’icona è ispirata all’Apocalisse. Michele, con il turibo-lo e la tromba, annuncia il giudizio definitivo con la vittoria sul demonio e la distruzione di Babilonia, precipitata nel mare. Cavalca un destriero fiammeg-giante e tra le due mani tiene l’arcobaleno dell’alleanza. In alto è raffigurato il Cristo benedicente, davanti al quale vi sono la Parola e la croce, i due stru-menti del giudizio.

  • una preghiera russa a san Michele arcangelodi Maria Pia Pagani

    Il 5 aprile 2020, Domenica delle Palme, si è svolto uno dei più toccanti momenti di preghiera indetti per implorare la fine della pandemia dovuta al Covid-19: è stata estratta la spada di San Michele a Monte Sant’Angelo (Fog-gia), facendola uscire dalla Grotta per benedire l’Italia e il mondo intero. Si tratta di un gesto di fede a cui si è fatto ricorso solo in casi di eccezionale calamità, come nel caso della peste del 1656.

    Innumerevoli sono le preghiere composte in onore di San Michele Ar-cangelo per proteggere i fedeli dai pericoli, soprattutto in situazioni gravi che fanno sentire tangibile il sopraggiungere della morte. Nelle terre slave il prin-cipe degli angeli è invocato come patrono delle confraternite seppellitrici, e a lui sono dedicati numerosi ossari, cimiteri e cappelle funebri, quali ad esem-pio la chiesa funeraria del Cremlino – progettata da Marco e Aloisio Novi alla fine del XV secolo – nella quale venivano sepolti gli zar 1. Invocandolo come protettore dei defunti, gli aveva dedicato un canone e una preghiera anche Ivan IV il Terribile (1530-1584) 2.

    Impaurito dinanzi alla fine ormai vicina, lo zar chiede al principe delle milizie celesti di salvarlo dalla minacciosa presenza della morte, il cui sguardo lo tormenta con la sua allucinante fissità. Scritto a Novgorod tra il 1571 e il 1572 durante un periodo di grave malattia, il testo presenta varie riflessioni sulla vecchiaia e sull’importanza delle ultime ore di vita concesse a un uomo. Conscio delle sue colpe, il crudele regnante russo decide di affidarsi a San Michele Arcangelo implorando pietà, e rivelandogli il suo timore di presen-tarsi al cospetto divino, la sua angoscia di morire senza aver ricevuto i sacra-menti, la sua paura di restare solo nell’ora del decesso.

    Va notato che lo zar ha firmato questo suo noto componimento poetico

    1 V. V. Masnina, Archangel Michail. Ikona archangela Michaila s dejanijami iz Archangel’skogo Sobora Moskovskago Kremlja, Leningrad 1969.

    2 Per la tradizione russa che vede in San Michele Arcangelo il nunzio della morte, vedi O. A. Dobias-Rozdestvenskaja, Kul’t svjatogo Michaila, Petrograd 1917.

  • Una preghiera russa a San Michele Arcangelo 13

    con il nome di Partenio (Parfenij), un immaginario folle in Cristo (jurodivyj). Il rapporto di Ivan IV con la santa follia merita una piccola parentesi. Con questo pseudonimo egli autografò anche una lettera del 1570, indirizzata al pastore Jan Rokyta, nella quale accusava i Luterani di ammettere la poliga-mia e attaccava coloro che si risposavano dopo la morte della moglie. In quel periodo egli si era già sposato tre volte e, secondo il Diritto Canonico, non avrebbe potuto frequentare la Chiesa, né accostarsi ai sacramenti per cinque anni (tuttavia non osservò mai queste prescrizioni) 3. Non potendo interveni-re pubblicamente contro chi aveva contratto più di un matrimonio, il Terribi-le volle far credere che l’autore del suo scritto fosse un folle in Cristo – ovve-ro una figura di eccentrica santità. Sul finire del XIX secolo furono ritrovati quattro manoscritti che contenevano la lettera del regnante. Nell’ultimo di questi, una copia del XVII secolo più tarda rispetto alle altre, il testo è intito-lato Epistola ad uno sconosciuto contro i Luterani, opera di Parfenij il folle in Cristo. Conosciuto grazie allo studioso Pavel Michajlovič Stroev (1796-1876) nel 1848, il testo fu pubblicato nel 1886 dall’archimandrita Leonid (1822-1891), che tuttavia non lo riconobbe come uno scritto di Ivan IV.

    Il canone a San Michele Arcangelo è costruito seguendo lo schema in-nodico tradizionale di nove strofe (tre volte tre, in omaggio alla Santissima Trinità), ognuna delle quali è aperta da un irmos – ovvero un canto liturgico di origine bizantina dedicato a Cristo o alla Madonna, il cui ritmo è assunto come modello per i versi successivi 4. Ecco dunque il memento mori di Ivan il Terribile, che volle rivolgersi al principe delle schiere celesti così:

    CANONE ALL’ANGELO TERRIBILE 5

    Questo è il canone all’angelo terribile, governatore e custode di tutte le creature, inviato da Dio onnipotente in aiuto di tutte le anime. Tu, misero uomo, non dimenticare l’ora della morte: canta ogni giorno il canone all’angelo terribile, opera del folle in Cristo Partenio.

    Al mattutino, levate in canto queste preghiere: «Per interces-sione dei santi, Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi. Amen», «Re del cielo», «Tre volte santo», «Padre nostro», «Signore pietà» per dodici volte, «Gloria», «Venite adoriamo». Recitate

    3 Vedi L. Ronchi De Michelis, Introduzione a Ivan il Terribile-J. Rokyta, Disputa sul Protestantesimo. Un confronto tra Ortodossia e Riforma nel 1570, Torino 1959, p. 33 e relativa bibliografia.

    4 Vedi E. Wellesz, A History of Byzantine Music and Hymnography, Oxford 1949.5 Il testo russo Kanon angelu groznomu voevode – di cui ora si presenta la traduzione – è riportato

    nell’articolo di D. S. Lichacëv, Kanon i molitva angelu groznomu voevode Parfenija Urodivogo (Ivana Groznogo), in Rukopisnoe Nasledie Drevnej Rusi, Leningrad 1972, pp. 22-27.

  • 14 Maria Pia Pagani

    tre volte il Salmo 50, cantate «Pietà di me, Signore» a sei voci e l’irmos «Come l’arsura». Segue infine il preludio «Angelo santo, terribile condottiero, prega per noi presso Dio» 6.

    Orsù, angelo tremendo e terribile, implora con la tua venuta la remissione dei miei peccati, delle colpe di questo tuo schiavo. Annuncia la mia fine, perché siano punite le mie azioni malvagie e sia allontanato da me il ricordo del tempo del peccato. Io e te compiremo un lungo viaggio. Tremendo e terribile angelo,fa’ che io non mi impaurisca a causa della mia debolezza. Con la tua venuta donami, angelo, l’umiltà,fa’ che m’incammini in un pellegrinaggio di redenzione e mi rallegri della tua magnanimità. Rendimi ebbro, angelo, con la coppa della salvezza.Angelo santo, dissetami con il calice della redenzione, fa’ che ti segua lieto nel cammino e, ti prego, non lasciarmi solo.Genitrice del Re del Cielo, Santissima Regina,sii misericordiosa, tu che puoi cancellarela mia vita di peccatore 7.

    Angelo santo di Cristo, terribile comandante,abbi pietà di me peccatore, di questo tuo schiavo.È dunque giunto il momento della tua venuta, angelo santo:allontana da me, colpevole, quest’anima impura,separala da questo mio corpo,portala via in silenzio,perché con gioia mi consegni a te.Ti prego, angelo santo, presentati a mecon occhi luminosi, e in letiziaredimi me, maledetto, affinché non mi impauriscail tuo santo arrivo e mi trovi pronto all’incontro con te.Angelo santo, messaggero di Dio,concedimi un’ora per pentirmi dei miei peccatie rinnegare la mia esistenza malvagia.

    6 Ivan il Terribile fornisce un preciso elenco dei canti e delle preghiere di intercessione della tradizione innodica cristiano-ortodossa che devono aprire il canone.

    7 Ricordiamo che Ivan IV era un fedele devoto della Madonna di Vladimir, che invocava sempre prima di recarsi in battaglia.

  • Una preghiera russa a San Michele Arcangelo 15

    Confortami, orsù, con la tua presenza. In verità, o protettore, io non ho altro da offrirtiche la mia afflizione. Abbi pietà delle colpedi questo tuo schiavo e conduci la mia animadinanzi alla Madre di Dio.Redimi con la tua misericordiai miei esecrandi peccati 8.

    Ti supplico, tremendo e terribile ambasciatore dell’Altissimo, redimi me, dannato, affinché non inorridiscano le tue pupille alla mia vista e lietamente possa mettermi in viaggio con te.Piangendo elevo il mio grido a te,condottiero del sovrano celeste.Terribile è la tua venuta,non disperdere il ricordo dei miei peccatie con gioia, in silenzio, porgimi il calice della morte.Con il cuore innalzo la mia prece a te,terribile capo e guerriero del maestoso sovrano,sorreggimi con la tua forza,infondi in me il coraggio nel momento della disperazione,guidami con il tuo braccio destro verso la redenzione.Instrada la mia anima sulla retta via.Nostra Signora e Madre di Dio,Vergine purissima e genitrice del Signore e Re del Cielo,non allontanare il sopraggiungere dell’ora della morte,salva l’anima di questo tuo schiavodalla rete tentatrice del male 9.

    O mio intimo amico, assistimi orsùnella separazione dagli uomini,cambia il mio volto e io cederò dinanzi alla tomba,e quando sarò di fronte al tribunale celeste,prega per me, angelo santo,affinché la mia anima sia postain un luogo di quiete.Amico mio carissimo, proteggimi dunque nel distacco,nel momento del commiato dal mondo.Angelo santo, intercedi per me, peccatore,

    8 Questa strofa è aperta da un irmos nel quale si invoca San Michele affinché annunci la venuta del Signore.

    9 La strofa è aperta da un irmos di invocazione a Cristo.

  • 16 Maria Pia Pagani

    accompagna la mia anima durante le provee proteggila da tutti i tormenti.Orsù popolo di Dio, stirpe benedetta da tutta la terra,volgi lo sguardo al mio corpo privo di vitache, prostrato al suolo, emana un terribile fetore:angelo portatore di morte, prega per me,perché la mia anima giunga a un tranquillo rifugio.Santissima Vergine e Madre di Dio, nostra Signora,tu conosci le debolezze delle fragili creature terrene.La natura fa cadere in miseria la nostra carne.Sii tu, sovrana, la nostra protettrice 10.

    Terribile guerriero e messaggero inviato da Dio,invocato da signori e principi, da religiosi e da gente comune,tu sai redimere dalla vanità del mondo,sei conforto nelle disgrazie e sostegno fedele nei dolori.Angelo santo, elargisci il tributo voluto da Dio per tutti noi, viventi sulla terra, e per la nostra condotta,e porta chi si affida a te nell’ineffabile luce celeste.Angelo santo, terribile messaggero,salvami dalla dimora dell’eterna vanità.Signora e Madre di Dio,consolatrice degli orfani e degli offesi,difesa e aiuto dei poveri,speranza degli ammalati,di tutti i peccatori redentrice,sii la salvezza di questo colpevole, e abbi pietà di me.Signore e Re del cielo, comandante assiso al trono divino,esecutore del volere dell’Altissimo,tu che porti a compimento i suoi comandamenti,non privarti della gloria di impartire ordinie di acquisire onore, giungi presto e non tardare.Sempre vigile in ogni luogo, fatti valere e sii fiero,ma non condannare troppo severamente le malvagità,non disprezzare i vecchi e non ostacolare i giovani.Sii misericordioso verso tuttie conduci ciascuno in un luogo di quiete.Abbi pietà di me, peccatore e maledetto,affinché possa levare a te il mio canto di lode 11.

    10 In apertura questa strofa presenta un irmos di intercessione presso Dio nei momenti di difficoltà.11 La strofa è modulata dal ritmo dell’irmos di invocazione dell’aiuto divino nel mare magno della

    vita.

  • Una preghiera russa a San Michele Arcangelo 17

    Supremo, saggio stratega,nessuno può comprendere la tua scaltrezza,perché è nascosta dalla tua inclemenza.Angelo santo, sii misericordioso con me,colpevole e dannato.Saggio angelo inondato di divina luce,rischiara la mia anima tetra con la tua abbagliante venuta,così che rimanga una splendida scia al tuo passaggio.Angelo santo, frema l’anima,tremano le mani nel mostrare alle gentil’ora del commiato: sottrai dalla miseriala mia anima macchiata dalla colpa.Angelo santo, prega per me peccatore.Santissima Madre di Dio, nostra Signora,abbi pietà di me, uomo caduto nell’errore,nell’ora del trapasso.Angelo santo, tremendo ambasciatore,redimi la mia anima dalle insidie delle tentazioni 12.

    Re del cielo, gloria immortalee imperituro creatore delle schiere angeliche,tremendo e terribile angelo nunzio di morte!Lodatelo, cantatelo ed esaltatelo nei secoli.Servitore del Re dei cieli che compari accanto al trono di Dio,angelo santo, annunciandoci la mortenon dimenticare le nostre buone azionie guidaci verso la chiarissima luce del giudizio.Lodatelo, cantatelo ed esaltatelo nei secoli.Signore delle schiere celesti,obbedisci al nostro Dio, non venir meno nella gloria e non trasgredire i suoi comandamenti,esegui il suo volere e trova la tua dimora nell’amore.A te le lodi, angelo santo,i canti e l’onore nei secoli.Signore onnipotente,nostro creatore e forza suprema,Dio e Re della terra,salvatore che giungi a redimere nella disgrazia,

    12 Questa strofa si basa sulla melodia dell’irmos di richiesta a Dio per il raggiungimento dell’eterna serenità dell’anima.

  • 18 Maria Pia Pagani

    prega la Madre di Dio perché abbia pietà di noi nel giorno del Giudizio.Cantate il Signore ed esaltatelo nei secoli 13.

    L’anima malvagia, sacrilega e impudica,non è bagnata da calde lacrime di pentimento,non è purificata dalla misericordia,non ha memoria del tremendo ambasciatore.Noi, angelo, ti onoriamo per il tuo valore.Confida nel nostro Dio, angelo santo,la mia anima maledetta:separala dal corpo e lacera la mia carne,prepara il mio sepolcro.Ti preghiamo, angelo santo, libera la mia anima dalla rete del peccato,per questo noi ti glorifichiamo.Inviato da Dio, sii prediletto da tutti i cherubini,angelo santo, e non spaventare la mia anima miserabile,provata dai dispiaceri. Purificami,presentami dinanzi all’immacolato trono di Dio,per questo noi ti adoriamo 14.

    Viene ora recitato un tropario a cinque voci con le preghiere «Tre volte santo» 15 e «Padre nostro».

    Eletto capo delle schiere celesti,saggio messaggero armato di Dio,terribile archistratega, vincitore delle forze nemiche,angelo santo, noi ti cantiamo e ti lodiamo.Tu che annunci la morte e salvi dalla vanità del mondo,ammettimi dinanzi al tribunale dei giusti e al cospetto di Cristo,e salvami dai tormenti eterni.

    Si recita il «Gloria».

    Speranza nostra, Madre di Dio,potente aiuto per gli afflitti,preservaci dalla morte, salvaci dalle pene,ed effondi su di noi la tua grazia redentrice.

    13 Questa strofa è aperta dall’irmos di lode a Dio, rifugio sicuro e fonte di santa rugiada.14 La strofa è modulata sul ritmo di un irmos di invocazione a Dio.15 Recitato anche in apertura del canone, questa è una preghiera alla Santissima Trinità.

  • Una preghiera russa a San Michele Arcangelo 19

    In conclusione si recitano le preghiere: «Cherubino onorato», «Gloria», «Signore pietà» per due volte.

    Siate tutti benedetti. Sia gloria a Dio. Amen.

    PREGHIERA A NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTOE AL SANTO ARCANGELO MICHELE 16

    Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, supremo sovrano sempi-terno, invisibile e non creato, rifulgi sul trono con il Padre e lo Spirito Santo, ebbro della gloria delle forze celesti, invia il Tuo arcangelo Michele in aiuto di questo Tuo schiavo, sottraimi dagli artigli dei miei nemici. O sommo arcangelo Michele, liberatore dal demone! Signore Gesù Cristo, effondi l’olio santo, segno di benevolenza e d’amore per il genere umano, su questo Tuo schia-vo, e frena tutti i nemici che combattono contro di me. Rendi-li mansueti come agnelli, e disperdili come cenere al vento. O potente arcangelo Michele, eccelso principe dei guerrieri e capo delle forze celesti, dei cherubini e dei serafini, e di tutti gli angeli! O splendido archistratega, terribile arcangelo Michele, custode di segreti mai svelati, ascolta dunque la voce di questo schiavo di Dio che T’invoca in suo soccorso, arcangelo Michele, tendi l’orecchio e affrettati in mio aiuto, allontana da me questo ripu-gnante essere impuro con la santa forza del tuo spirito e con l’in-tercessione dei santi apostoli, dei profeti, dei vescovi, dei martiri e degli eremiti, dei santi reclusi, degli stiliti e di tutti i giusti che da secoli servono Cristo con le loro preghiere. Esaudisci, orsù, lo schiavo di Dio nelle disgrazie, nel dolore e nell’afflizione, nel dubbio, nel combattimento, al cospetto di principi e re, dinanzi ai patrizi e alla gente comune, a tutte le autorità e il clero, e davanti al diavolo. Signore Gesù Cristo e grande arcangelo Michele, sal-vate e preservate questo schiavo di Dio dagli occhi malvagi delle persone, dall’ingiusta morte e da tutte le cattiverie con le pre-ghiere della Santissima Nostra Signora e Madre di Dio, la sempre Vergine Maria, dei santi profeti Giovanni Battista ed Elia, del nostro santo padre Nicola il Taumaturgo, dei santi martiri Nikita ed Eupazio e di tutti i santi che Vi furono graditi, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.

    16 Il testo russo Molitva k Gospodu nasemu Isusu Christu, ko svjatomu archanggelu Michajlu, di cui è presentata la traduzione, è riportato nell’articolo di D. S. Lichacëv, Kanon i molitva angelu groznomu, cit., p. 27.

  • 20 Maria Pia Pagani

    Quando si rese conto che la sua fine era ormai vicina, Ivan il Terribile im-plorò ai monaci preghiere per la salvezza della sua anima. In punto di morte chiese che il canone a San Michele Arcangelo fosse cantato ogni giorno, e in particolare durante le sue esequie, quando il popolo russo lo avrebbe salu-tato per l’ultima volta. In quell’occasione il confessore dello zar, Feodosij da Vjatka, diede ordine di vestire Ivan IV con la tonaca monacale e coprì il suo capo con il cappuccio. Inoltre eseguì, secondo la volontà imperiale, tutti i riti di entrata nella comunità cenobitica riservati ai novizi: lo zar, da morto, fu consacrato religioso e prese il nome di Iona 17. Per due giorni la bara aperta fu visitata dal popolo in lacrime, che si affollava per vedere il corpo senza vita di colui che – dopo una vita piena di dissolutezze – non poteva ormai più punire né uccidere. Il sovrano venne sepolto nella cattedrale dell’Arcangelo Michele, al quale si era rivolto nelle ore più disperate della sua esistenza.

    17 R. Payne-N. Romanoff, Ivan il Terribile, Milano 1981, p. 405.

  • conscientia et martiryum

    “Esiste la Trinità di Rublev, perciò Dio è” Pavel Florenskij

  • antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onestodi Giovanni Angelo Lodigiani

    1. Contemporaneità interpellante

    Come stiamo vivendo? Oltre ogni situazione immediatamente contingente, possiamo, con inquieta tranquillità, disporci a riconoscere una fase di fram-mentazione etica e di multiformità culturale che ha un indiscutibile, grande rilievo. Si tratta di una metamorfosi 1 in atto da diversi decenni che ha portato ad una percezione di liquidità 2 senza che risulti chiaro quali siano le possi-bilità di un ancoraggio positivo. Non si naviga nemmeno a vista! Perché? Due dati di fatto appaiono contestuali: da una parte un’eccesiva presenza di stimoli, a diverso titolo, culturali che muovono in molteplici direzioni, spesso anche opposte tra loro e, non di rado, umanamente destrutturanti. Dall’altra parte una relativa scarsità di criteri di discernimento che aiutino a rispondere a due domande esistenzialmente fondanti: che essere umano sono? Che esse-re umano sto diventando e desidero essere? Si tratta, evidentemente, di due interrogativi tutt’altro che accademici.

    L’esperienza di vita, inducendo alla riflessione, conduce ad un principio che si manifesta come irrinunciabile: agire da esseri umani autentici può e deve significare vivere in modo etico. La questione dell’agire morale auten-tico, vale a dire davvero umanizzante, riguarda ogni essere umano, qualsiasi patrimonio e identità culturali possieda. Bisogna ammettere che cercare di capire che cosa significhi tutto questo, in concreto, cercare di capire che cosa sia la coscienza etica dell’uomo, come si formi nella sua radicalità e a che cosa serva avere una coscienza morale per la vita di tutti i giorni, non è semplice.

    1 Il sostantivo metamorfosi deriva dal greco μεταμόρϕωσις, a sua volta derivante dal verbo μεταμορϕόω «trasformare», ed è composto da μετα- «meta-» e μορϕή «forma». In senso estensivo e figurativo, sta a significare il cambiamento, la modificazione in genere, nell’aspetto, nel carattere, nella condotta, nell’atteggiamento morale o spirituale d’una persona.

    2 Cfr. Z. Bauman, Modernità liquida, Roma-Bari, 2006.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 23

    Ogni persona vive in modo diverso e sappiamo come siano propriamente indefinibili le tonalità dei nostri atteggiamenti emotivi, volitivi ed intellettua-li. Non intendiamo qui affrontare il dibattito su vita attiva e vita contemplati-va, semplicemente aderiamo alla convinzione che l’essere umano, sostanzial-mente, non valga solo perché capace di vivere in modo astratto una/la verità ma proprio perché si impegna a vivere secondo ciò che conosce, rendendo, per quanto possibile, verace il suo vivere.

    L’uomo trova la completezza, la totalità del suo vivere nell’agire. Indubbiamente siamo chiamati a conoscere, comprendere, contemplare,

    nondimeno dobbiamo riconoscere che siamo fatti per l’azione, proprio per-ché solo nell’azione, ossia nel profilo pratico, diamo spessore, consistenza e saldezza a ciò che crediamo e riteniamo vero e, contemporaneamente, diven-tando visibile, lo rendiamo comunicabile.

    Senza voler essere pragmatisti assoluti, semplicemente desideriamo af-fermare che una/la verità esige l’atteggiamento della veracità. Per questa ra-gione, l’agire si mostra come un “caso serio” 3. L’uomo non può accettare di lasciarsi vivere, necessariamente deve dare un orientamento alla sua esisten-za, per agire con convinzione ed arrivare ad una soddisfazione personale. Ogni essere umano è un “fabbricante” di storia. Innegabilmente esiste, una storia della vicenda interiore formata da scelte nascoste, valori accolti, ospi-tati e vissuti proprio nella dimensione interiore, cambi di sguardo, piccole e lente ascese. Queste piccole e grandi conquiste dello spirito attraversano la carne ed anche, come nel caso di Tommaso Moro, il sangue.

    Comunque, la vita interiore non è chiamata a rimanere intimismo, bensì è sollecitata a coniugarsi con la vita sociale, diventare patrimonio comune finalizzato alla realizzazione effettiva della storia di ogni essere umano e del-la collettività intera, perseguendo positive mete comuni. Per questa ragione occorre riflettere, e parecchio, sull’agire umano. È necessario scomporlo nei suoi tratti essenziali, un distinguere che non è un separare, e muoversi alla ricerca di ciò che lo rende ontologicamente possibile e assegni senso, perché così potremo avere la possibilità di uscire dallo stallo esistenziale che impe-disce una vita autentica.

    La traccia proposta è teorico-testimoniale. In prima istanza, teorica per-ché presenterà gli aspetti storico-speculativi della coscienza, intesa come uni-tà del soggetto agente consapevole, libero e responsabile, con riferimento a quanto poteva essere conosciuto da Moro, vale a dire il concetto di coscienza così come emerge nel mondo classico e nella Scrittura, ovvero quello che noi oggi riconosciamo come Canone biblico 4. In seconda istanza testimonia-

    3 Cfr. H. U. Von Balthasar, Cordula ovvero sia il caso serio, Brescia, 2008. 4 L’elenco ufficiale e definitivo dei libri canonici sia dell’Antico Testamento, 46 libri, sia del

    Nuovo Testamento, 27 libri, fu stabilito dal Concilio di Trento nel 1546, che ne fissò il numero, il nome e l’ordine. Tommaso Moro morì nel 1535.

  • 24 Giovanni Angelo Lodigiani

    le perché, considerando alcuni passaggi dei suoi significativi scritti, intende mostrare come Moro abbia realizzato e quindi testimoniato, una vita vissuta in modo autentico.

    2. Classicità e Scrittura. I fondamenti del concetto di coscienza noti a Moro

    Attraverso questi richiami della classicità e della Scrittura, presentiamo, seppur senza nessuna pretesa di esaustività, come era inteso il concetto di coscienza ai tempi di Tommaso Moro nel contesto della cultura europea e mediterranea.

    Nella sua origine, in ambito indoeuropeo la parola coscienza, fa riferi-mento alla nozione di sapere, in latino scire.

    2.1. Cenni etimologici di base

    Nella sua accezione prima, il termine compare principalmente in ambito pro-fano greco, col significato di coscienza che ha per oggetto una vita passata malvagia ed infame. Diversi sono i sostantivi di riferimento in atto anche se sune…dhsij acquista sempre più importanza, specialmente nei secoli dell’età ellenistica.

    La radice di sune…dhsij possiede un evidente riferimento semantico al verbo vedere 5, vale a dire una nozione anteriore rispetto a quella essenziale presente in conscientia, ma del tutto fondamentale, quantunque certo non to-talizzante, nel processo cognitivo che porta proprio alla conoscenza. Si tratta, pertanto, effettivamente di una conoscenza globale, d’insieme, in cui non solo teoria e pratica sono correlate, ma si indica anche lo sforzo del percor-so cognitivo, secondo elementi tangibili, tra i quali, basilare è la sensazione visiva.

    Decisiva è la funzione della preposizione sun (latino cum). A motivo del suo valore primario di unione (insieme a…) sun accentua l’applicazione percettiva: si tratta di un con-sapere con altri, per lo più pochi.

    La prima attestazione della parola si trova nel Frammento 297 di Demo-crito e risale al V secolo a.C. Esprime semplicemente il senso consapevolezza o l’esperienza della difficile situazione della vita 6.

    5 P. Chantraine, Dictionnaíre étymologique de la langue grecque, III, Klincksieck, Paris 1974, p. 779.

    6 h. Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, I, Weidmannsche Buchhandlung, Berlin 1906, Fr. 297.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 25

    2.2. Il mondo greco: linee generali

    La cultura greca antica non tematizzò l’unità della coscienza: il corpo viene visto solo come un insieme di membra, e l’interiorità spirituale, l’anima, era vista non come unità, bensì come espressione delle varie attività del pensiero e del sentimento, le quali venivano attribuite a specifici organi (es. la mente).

    D’altro canto, sempre nella classicità greca, il senso della coscienza mo-rale si riflette nelle Erinni e nei penitenti dell’Ade, nella separazione che gli esseri umani realizzano rispetto a determinate loro azioni: Nestore, rivolto ad Agamennone, censura l’atto di arroganza perpetrato da quest’ultimo ai danni di Achille – la sottrazione della schiava Briseide – , dicendo: «Tu hai ceduto all’impulso del tuo cuore superbo» 7

    Seppur assente in Platone e Aristotele, nel V secolo a.C. si pensò l’io spirituale come unità, dunque la conoscenza dell’io come coscienza di sé. Il fatto che l’essere umano, diventi, per certi aspetti, il centro e la misura del tutto, manifesta un significato morale del termine sune…dhsij.

    Il termine coscienza indica anche il timore degli esseri umani di essere puniti per aver tenuto comportamenti inadeguati rispetto ai modelli standard di comportamento, ma non il senso di colpa o di vergogna che deriva dal riconoscimento di quanto commesso.

    Indicativo l’inciso di Epicuro il quale, secondo la citazione riportata da Se-neca, avrebbe detto: «L’inizio della salvezza è la consapevolezza dell’errore» 8.

    Seppur in modo succinto, e con i brevi cenni riferiti, proviamo a sistema-tizzare lo sviluppo del processo conoscitivo, che porta alla formazione della coscienza, nella grecità classica:

    - rapida conoscenza dell’oggetto, di sé stessi come oggetto e accostamen-to alla prospettiva dell’altro;

    - comprensione comune con coloro i quali si condivide una medesima prospettiva;

    - coscienza di sé come unità, ovvero come essere pienamente cosciente.

    Questa asserzione riflessiva permette di cogliere come: «conoscenza e compartecipazione alla conoscenza sono associate nella

    medesima persona. In questo modo vengono a distinguersi due diversi io in un unico soggetto. Questo processo di riflessione si attua in un primo tempo senza una valutazione morale e sottolinea la presa di coscienza di situazioni o fatti accaduti» 9

    7 omero, Iliade, IX, V. 1098 seneCa, Ad Lucilium, III, 28, 99 C. maurer, sÝnoida, in Grande Lessico del Nuovo Testamento (= GLNT), tr. it., XIII, Paideia,

    Brescia 1981, col. 273.

  • 26 Giovanni Angelo Lodigiani

    Solo nel tardo stoicismo 10, verso la fine del I secolo a.C., si giunge al ver-tice di questo percorso. La parola coscienza (sune…dhsij) acquista un senso morale più ampio e definito, ma sempre in relazione al giudizio successivo al male compiuto e accanto al valore più antico, ossia la consapevolezza, come conoscenza, e quindi senza specifiche accezioni etiche.

    La comune lingua del popolo, coin¾, diffonde nel bacino del Mediter-raneo una propria sintesi tra l’ideale stoico dell’animus umano, saldo e pie-namente autonomo, e la concezione sprezzante della coscienza quale unica regola dell’agire personale di fronte alla pressione esterna dell’altrui opinio-ne 11. Questo terreno risulta essere fertile per una sempre più ampia utiliz-zazione semantica del concetto coscienza, superando così i limitati e talvolta generici significati delle origini.

    2.3. Il mondo latino: riferimenti orientativi

    Nell’antichità latina il termine conscientia è asserito, principalmente, in que-sti quattro significati: conoscenza comune a tante persone; stato d’animo grazie al quale si è consapevoli, in se stessi, di qualche cosa; interiorità della persona; cognizione, conoscenza di qualcosa 12. Si può notare come diverse nozioni, eticamente diffuse ed intellettualmente più specificate, sono ricon-ducibili al medesimo sostantivo.

    Nella letteratura situata tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., conscientia sta ad indicare, nella maggior parte dei casi, una consapevolezza retrospettiva o, tutt’al più, contemporanea. Queste determinazioni semantiche coesistono con significati prossimi a quelli di coscienza come dell’istanza direttiva com-plessiva dell’esistenza.

    Consideriamo, significativamente, alcuni testi di Cicerone e di Seneca. Per quanto riguarda gli scritti di Marco Tullio Cicerone, abbiamo tre no-

    zioni di conscientia tra loro complementari e sempre più vaste: la conoscenza comune di molte cose 13; la consapevolezza specifica di qualcosa 14; il profilo interiore dell’essere umano: «Nessun teatro è più grande per la virtù di quan-to sia la coscienza» 15.

    10 «Per lo stoicismo, la coscienza e il giudice definitivo e autonomo delle proprie azioni, è la fonte dell’indipendenza del saggio» (J. L. mC KenZie, coscienza, Dizionario Biblica, tr. it., Cittadella, Assisi 1973, p. 204).

    11 Per avere un’idea globale delle attestazioni antiche extrabibliche, in lingua greca, dei vocaboli relativi al campo semantico coscienza/consapevolezza, sono decisamente valide la tabella pubblicata da C.a. PierCe, Conscience in the New Testament, SCM Press, London 1955, pp. 132-147, e la trattazione in proposito di H.- J. eCKstein, Der Begriff Syneidesis bei Paulus, Mohr, Tübingen 1983, pp. 35-71.

    12 Cfr. Thesaurus Linguae Latinae, IV, Teubner, Lipsia 1906-1909, coll. 364-368.13 Cfr. CiCerone, In Verrem actio secunda, III, 177.14 Cfr. CiCerone, De republica, VI, 4,4, Cato Maior de senectute, 9; De natura deorum, III, 85. 15 «Nullum theatrum tam virtuti conscientia maius est» CiCerone, Tusculanae disputationes, II,

    64; cfr. anche Pro Milone, 61.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 27

    Si può notare come nei passi segnalati, i diversi usi del sostantivo, nel senso di regola di vita, allargano la nozione sin qui prevalente nell’ellenismo.

    Per quanto concerne le opere di Seneca, il termine conscientia mostra una gamma di valori di grande interesse: si va dalla specificità della consa-pevolezza etica 16 e del ruolo critico verso la propria e/o altrui esistenza 17 all’integralità di una nozione come quella di capacità di orientare moralmen-te l’intera vita. Proponiamo un’esemplificazione: «Nessuno mi sembra stimi maggiormente la virtù e le sia più devoto di colui che ha perduto la propria fama di individuo dabbene per non perdere la propria coscienza» 18.

    Interessante constatare che proprio nei decenni coevi alla formazione del Nuovo Testamento si esplicita la persuasione che parlare di conscientia significa considerare l’estesa ed articolata ricchezza del concetto: «Taluni si gloriano dei loro vizi: tu pensi che trovino qualche aiuto coloro che conside-rano virtù i propri difetti? Pertanto, in base a quanto ti è possibile, accusati da solo, passati al setaccio; fai prima le parti dell’accusatore, poi del giudice, solo in ultima battuta quelle dell’intercessore» 19.

    Questa concezione fa anche appello ad un’istanza esterna alla persona. Pur non riferendosi alla divinità personale ebraico-cristiana, è tuttavia di più ampio respiro rispetto all’essere umano in quanto tale: «Tra noi vi e uno spi-rito sacro, che osserva e vigila su quanto ci accade di bene e di male: questi ci tratta secondo come noi lo trattiamo. In verità non esiste essere umano pieno che sia realmente buono senza l’intervento del divino. [...] In ogni essere umano pieno realmente buono non si sa chi sia dio, ma un dio è presente» 20.

    2.4. Sintesi del mondo classico greco-latino

    Possiamo, quindi, affermare che la cultura greco-latina porta in eredità, al cristianesimo primitivo, una nozione di coscienza disomogenea, nella quale si ravvisa la copresenza di queste tre caratteristiche:

    - l’idoneità dell’essere umano a conoscere la propria interiorità, a partire dalla personale capacità cognitiva;

    16 Cfr. seneCa, De clementia, l, 13, 3; Ad Lucilium, V, 43, 4; VI, 59, 16; 1, 8, 1; III, 24, 12.17 Cfr. seneCa, Ad Lucilium, XVII, 105, 8.18 «Nemo mihi videtur pluris aestimare virtutem, nemo illi magis esse devotus quam qui boni viri

    famam perdidit, ne conscientiam perderet» in. seneCa, Ad Luciluim, X, 81, 20; cfr. anche III, 23, 7; XVI, 97, 12; De vita beata, XX, 4).

    19 «Quidam vitiis gloriantur: tu existimas aliquid de remedio cogitare, qui mala sua virtutum loco numerant? Ideo quantum potes, te ipsum coargue, inquire in te; accusatoris primum partibus fungere, deinde iudicis, novissime deprecatoris» (Seneca, Ad Lucilium, III, 28, 10).

    20 «Sacer intra nos spiritus sedet, malorum bonorumque nostrorurn observator et custos: hic prout a nobis tractatus est, ita nos ipse tractat. Bonus vero vir sine deo nemo est. [...] In unoquoque virorum bonorum quis deus incertum est, habitat deus» (seneCa, Ad Lucilium, IV, 41, 1).

  • 28 Giovanni Angelo Lodigiani

    - l’orientamento della vita di ogni uomo al bene, che consiste nell’adat-tarsi alle leggi del kosmos muovendo dalla chiarezza che ogni individuo ha saputo procurare a se stesso e ad acquisire su se stesso;

    - un’inequivocabile funzione accusatoria e di giudizio qualora si manife-sti un difetto di adeguamento della propria vita alle diverse scelte ed orienta-menti etici prospettati.

    Il mondo di cultura ebraico-giudaica e le fonti testuali cristiane offrono contenuti e prospettive che interagiranno con gli esiti della riflessione gre-co-latina.

    2.5. La coscienza nel Canone ebraico-cristiano: testi ed osservazioni interpretative

    Dopo aver sondato il terreno greco-latino, esaminiamo quello giudaico-cri-stiano,

    2.5.1. Il terreno biblico antico-testamentario

    Il Canone ebraico-cristiano è ampiamente implicato in questa trattazione perché ambito di formazione remota per Moro.

    Innanzitutto rileviamo che sune…dhsij, nel Primo Testamento, ha tre sole attestazioni, ovvero Sapienza 17, 10; Qoelet 10, 20 e Siracide 42, 18 21 una delle quali e dubbia 22. Non molto diversa è la situazione del verbo su-neƒdšai che, comunque, non trattiamo in questa sede.

    Considerando immediatamente i due passi 23 nei quali appare il termine sune…dhsij ci chiediamo quale valore abbia.

    In Sapienza 17, 10 (11) sune…dhsij assume una valenza critico-negativa, ovvero è l’avvisaglia che provoca, in chi compie azioni malvagie, rimorso e vergogna per le azioni compiute: «La malvagità condannata dalla propria testimonianza è qualcosa di vile e, oppressa dalla coscienza, aumenta sempre le difficoltà. La paura infatti altro non è che l’abbandono degli aiuti della ragione» 24.

    21 Cfr. sune…dhsij, in A Concordance to the Septuagint, a cura di e. hatCh - H. a. reDPath, II, Aka-demische Druck-u. Verlagsanstalt, Graz 1954, p. 1313: il termine ebraico tradotto e sempre con intelligenza; Cfr. W. Schottroff korr, in Dizionario Teologico dell’Antico Testamento, tr. it., I, Marietti, Torino 1978, col. 593.

    22 Infatti il passo del Siracide presenta il termine quale variante problematica del più probabile e†dhsij (e l’onciale Sinaitico a riportare sune…dhsij).

    23 Il riferimento è alla Versione dei Settanta, denominazione derivata dal nome latino Septuaginta; è indicata pure con LXX. Si tratta della versione della Bibbia in lingua greca. Essa è la traduzione di un testo ebraico antico leggermente diverso dal testo tramandato dal giudaismo rabbinico.

    24 Sapienza 17, 10-11. Testo CEI 2008.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 29

    Differente, invece, è il significato del vocabolo in Qoelet 10,20. In que-sto versetto sune…dhsij è l’interiorità della persona, l’ambito nel quale si meditano e decidono i comportamenti verso gli altri: «Non dire male del re neppure con il pensiero e nella tua stanza da letto non dire male del potente, perché un uccello del cielo potrebbe trasportare la tua voce e un volatile riferire la tua parola» 25.

    Le due valenze, conosciute nel mondo classico, non sembrano, quindi, particolarmente originali.

    È legittimo chiedersi, a questo punto, notando il deficit di attestazione del termine sune…dhsij nelle Scritture giudaiche, se sono rilevabili solo le due valenze di coscienza indicate sino a questo momento.

    Per provare a rispondere a questa indagine, bisogna evidenziare che nell’Antico o Primo Testamento, non è possibile riscontrare una parola che riferisca, in modo esclusivo ed immediato, il concetto di coscienza.

    La ragione è di ordine antropologico. L’uomo compare, nel Primo Testa-mento, sostanzialmente nella sua totalità relazionale, ovvero è individuato non tanto dal suo essere in sé quanto, piuttosto, dalla sua relazione con il Signore, Dio dell’alleanza sinaitica. Come sostiene Schnackenburg: «Per il fedele israelita è importante non la spiegazione di particolari fenomeni del suo essere uomo, bensì il suo comportamento di fronte a Dio e le conseguenze che ne derivano» 26.

    Questo profilo riguarda sia l’individuo, nella sua singolarità, sia nel suo essere collettività di popolo 27. Le donne e gli uomini traggono la consape-volezza della propria identità appellandosi a Dio che si comunica e si rivela nella sua parola.

    Questa comunicazione divina, che si manifesta come un indicare, uno stimolare, un onorare, un biasimare, un disapprovare, permette all’essere umano di iniziare a comprendere se stesso rendendogli possibile un agire consapevole, libero e responsabile perché questa parola la sente come vicina, prossima, al suo cuore e alla sua bocca 28

    L’apprendimento del bene e del male si ha, quindi, esclusivamente nel-la consapevolezza della volontà del Signore Dio 29. Di conseguenza la rifles-sione dell’io umano antico-testamentario su se stesso risulta essere l’ascolto obbediente di Dio. Qualora l’essere umano si trovasse interiormente in uno stato di conflitto, ritroverebbe la sua unitarietà, la sua interezza, ponendosi di fronte al Dio che gli parla. La coscienza si trasforma in ascolto, nel senso di un’appartenenza intenzionale.

    25 Qoelet 10, 20. Testo CEI 2008.26 r. sChnaCKenBurg, Il messaggio morale del Nuovo Testamento, tr. it., II, Brescia 1990, p. 65.27 A titolo esemplificativo: Es 34, 10-26; Sal 8; 139.28 Dt. 30, 14. 29 Si veda, ad esempio, Gs 24, 16-18; Sal 1.

  • 30 Giovanni Angelo Lodigiani

    La voce di Dio e la voce dell’uomo hanno modo di coincidere, nel senso di una conformità, segno di una alleanza fra l’io dell’uomo e l’espressione della volontà di Dio riconosciuta. Appare così comprensibile come la parola di Dio diventi l’indicazione risolutiva nel confronto che l’uomo istituisce con il suo vissuto.

    La conoscenza della volontà divina non rappresenta, per la cultura ebrai-co-giudaica, il rispetto di un ordine predeterminato ed eteronomo, bensì svela l’esigenza di entrare in una logica, che presenta anche aspetti di impre-vedibilità, di un Dio personale, logica pro-mettente, fatta di lealtà, fedeltà e novità: «Si tratta di uniformarsi a un disegno che si sta svolgendo. L’orizzonte della storia è aperto. Non un ordine da conservare, ma piuttosto un ordine da fare, prolungare, progettare. Non ci si può limitare a rispettare un ordine fisso, proprio perché la storia e aperta verso l’alto (all’intervento di un Dio personale) e aperta verso il futuro» 30.

    Nell’ambito dell’analisi delle motivazioni del proprio agire, quelli definiti «“impulsi della coscienza” sono per l’israelita ancorati nel cuore, l’unica e identica sede dei pensieri, dei sentimenti, dei giudizi e degli impulsi morali» 31

    Il termine che sta ad indicare radicalmente cuore, ossia: leb risulta es-sere uno dei più affini alla nozione di coscienza non soltanto in senso re-trospettivo, bensì anche direttivo-prospettico: la persona, infatti, prende le sue decisioni, e ne assume la responsabilità, nel leb, in senso individuale o collettivo 32.

    L’essere umano a partire da suo cuore, e nel suo cuore, coglie il suo rap-porto con Dio; lo coglie proprio in quella che percepisce come la relazione essenziale per la qualità ed il senso della sua esistenza 33

    Il leb biblico abbraccia tutte le dimensioni dell’esistere umano, da quella intellettuale-conoscitiva a quella affettivo-sentimentale senza additare nessu-na dicotomia 34.

    Pur considerando le limitazioni concettuali segnalate, l’Antico Testamen-to offre una connotazione eticamente più marcata del concetto di coscienza rispetto al mondo greco-latino, se non altro perché viene inteso come «giu-dizio sulla moralità di un atto da compiere o riconoscimento che un atto già compiuto è moralmente cattivo» 35.

    30 B. maggioni, La coscienza nella Bibbia, in aa.VV., La coscienza cristiana, a cura di L. Rossi, Bologna 1971, p. 26.

    31 R. sChnaCKenBurg, Il messaggio morale del Nuovo Testamento, tr. it., II, Brescia 1990, p. 65.32 Si veda, ad es., Gn 20, 5 s; 1 Sam 24, 6 s., in senso individuale. In senso collettivo, si veda, Gn

    18, 5; 42, 28; Es 35, 29.33 Si veda, Ger 31, 33-34; Ez 36, 26-27. 34 Cfr. Ger 32, 38-39. 35 J. L. mC KenZie, coscienza, in Dizionario Biblico, trad. it. Assisi, 1973, p. 204.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 31

    2.5.2. Il Nuovo Testamento

    Nel Nuovo Testamento sune…dhsij ricorre ben 30 volte 36. Uno sguardo iniziale d’insieme, permette di proporre alcune osservazioni.

    a) Innanzitutto troviamo la figura di Paolo strettamente connessa al voca-bolo coscienza. Il 70% delle attestazioni (precisamente 21 su 30) appartiene all’epistolario paolino o risulta comunque legato a lui come nel caso di Atti degli apostoli ai capitoli 23 e 24. Tutto ciò è dovuto al fatto che Paolo, dal punto di vista cronologico, costituisce la prima larga sintesi tra i due mondi culturali giudaico e greco.

    Del resto, le altre 9 attestazioni residue si trovano negli scritti neotesta-mentari 37 che testimoniano il kerygma evangelico rendendolo comprensibile a lettori ed ascoltatori che possiedono categorie culturali giudaiche.

    b) I vangeli sinottici e gli scritti del corpus giovanneo non utilizzano mai il termine sune…dhsij perché impiegano termini analoghi accordati sull’An-tico Testamento; proprio cuore (kard…a) è forse la più ricorrente: si contano 156 attestazioni 38.

    Il cuore è l’effettivo, autentico, nucleo dell’essere umano al quale il Dio di Gesù Cristo rivolge la sua attenzione: «Qui è la radice della vita religiosa che determina l’atteggiamento morale» 39

    Considerando l’ampio numero dei passi nei quali ricorre il termine cuore, prendiamo in considerazione: Mt 15, 8.18.19; Mc 3, 5; 6, 52; 7, 6.21; 8, 17; Lc 16, 15; Gv 13, 2; 14, 1.27; 1 Gv 3, 19-21. Esaminando innanzitutto questi ultimi scritti si può affermare che «il cuore retto di cui parla Gesù non è fatto solo di coraggio, fedeltà e buona memoria. È fatto di disponibilità, intenden-do con ciò libertà ed intuizione. Si tratta di creare una situazione interiore capace di conoscere Dio, il vero Dio. [...] Il cuore e il luogo dove Dio si rivela (quando dico “rivelazione” intendo quel tipo di rivelazione che coinvolge, che si fa obbligante per ciascuno, che si quotidianizza), non semplicemente il luogo dove si percepisce l’obbligatorietà di uno schema che già esiste e dove si trova il coraggio di ripeterlo» 40

    Il concetto di cuore presente nel Nuovo Testamento risulta essere altro rispetto al termine coscienza, come abbiamo potuto constatare. La manifesta complessità di quest’ultimo concetto, coinvolgente l’integralità decisionale dell’essere umano come soggetto agente unitario, abbisogna di un concet-

    36 Precisamente: Rm 2, 15; 9, 1; 13,5; 1 Cor 8, 7.10.12; 10, 25.27.28.29(2); 2 Cor 1, 12; 4, 2; 5, 11; 1 Tm 1, 5.19; 3,9; 4,2; 2 Tm 1,3; Tt 1, 15; At 23, 1;24, 16; Eb 9, 9.14; 10, 2.22; 13, 18;1 Pt 2,19;3,16.21.

    37 Vedi Eb 9, 9.14; 10, 2.22; 13, 18;1 Pt 2,19;3,16.21. 38 Cfr. F. Baumgärtel, kard…a, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, 1969, coll.

    193-216.39 F. Baumgärtel, kard…a, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Brescia, 1969, col. 212.40 B. maggioni, La coscienza nella Bibbia, in aa.VV., La coscienza cristiana, a cura di L. Rossi,

    Bologna 1971, p. 20-21.

  • 32 Giovanni Angelo Lodigiani

    to culturalmente sintetico quale sune…dhsij, in quanto Kard…a restituisce semplicemente, in forma generale ed a volte generica, l’interiorità della per-sona da cui deriva il suo esistere.

    3. Un cesello di consapevolezza, libertà e responsabilità dialogica

    Dal contesto del mondo classico ed in particolare dalla Scrittura, emerge un dato significativo: Dio non ha nessuna pretesa sull’uomo. Ovvero Dio non chiede all’uomo di dare forma, di realizzare determinati valori attraverso l’obbedienza, il rispetto, l’ossequio di uno o più ordini o di uno o più co-mandamenti. Ciò che emerge, in senso profondamente positivo è la radicale relazione, biblicamente parlando la radicale alleanza, che lega l’uomo a Dio e Dio all’uomo. Proprio nel vissuto di questa relazione, attendibile, affidabile, viene esplicitato, da parte di Dio, il desiderio che l’uomo sia consapevole, libero e responsabile delle proprie azioni. Si potrebbe affermare che tale pre-tesa etica di Dio è generativa nell’uomo della necessità morale di vivere se-condo la propria consapevolezza, libertà e responsabilità perché da Lui così strutturalmente costituito.

    L’agire personale, portando sempre impresso il segno della libertà è sempre caratterizzato da un profilo creativo di moralità. L’uomo determina, quindi, la qualità del suo agire morale proprio in forza del suo riconoscersi nella relazione con Dio, in ragione del suo riconoscersi soggetto etico in sen-so unitario. Questo appello antropologico fonda l’essere del soggetto come persona, rendendo quest’ultima creatrice proprio perché consegnata a se stessa, consegnata alla propria responsabilità 41.

    Nella specifica determinazione cristiana, la persona viene compresa nella sua relazione con Cristo, in quanto Cristo stesso si rapporta, si correla alla persona non come un principio assoluto nell’ordine metafisico e, nemme-no, come un esemplare eteronomo che mostra una possibile via di dialogo con Dio. La modalità della determinazione cristiana si può definire onto-logico-sacramentale perché Cristo sorregge la parola della persona nel suo dialogo con Dio.

    Riflettendo su questa relazione ci si accorge come Dio solleciti l’uomo a realizzarsi così come si riconosce creatura sua alleata, ovvero come esse-re morale, soggetto unitario agente che ispira il suo agire alla sua coscienza

    41 Su questo aspetto si veda: s. Bastianel, Coscienza, onestà, fede cristiana. Corso fondamentale di etica teologica, Trapani, 2018; n. salato, a. truPiano, Il Verbo si fa carne. L’umano come luogo di incontro con Dio in Gesù Cristo, Trapani, 2015; a. molinaro, «Creatività e responsabilità della coscienza», in T. Goffi, ed. Problemi e Prospettive di Teologia Morale, Brescia 1976, 149-172; Id., Libertà e coscienza. Saggi di etica filosofica e teologica, Roma 1977; Id., «Persona e agire morale», in t. goFFi - g. Piana, edd. Corso di Morale, 1. Vita nuova in Cristo. Morale fondamentale e generale, Brescia 1983, pagg. 359-374.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 33

    consapevole, libera e responsabile. Per l’essere umano obbedire a questo suo riconoscersi creatura costituisce la prima responsabilità che ha nei confronti di se stesso. Se l’uomo è quindi, prima di tutto, legge a se stesso, questa gli prescrive di divenire il valore che rappresenta.

    In filigrana appare sempre la dimensione autonoma della moralità dell’a-gire personale, non da intendersi come una rivendicazione oppositiva di due libertà, Creatore e creatura, ma da intendersi come l’accettazione di un con-fronto, di un dialogo finalizzato alla verità di se stessi. Proprio questo con-fronto, questo dialogo, come dato di partenza, fonda l’autonomia dell’agire intramondano della persona 42.

    In quest’ottica dialogica l’essere umano non deve chiedere a Dio di in-tervenire, di volta in volta, come ad un Essere superiore al quale deve remis-sivamente cedere ma sarà lui stesso, l’uomo, a trovare in modo autonomo, la modalità con la quale agire nel suo contesto di vita proprio perché concepito, tale contesto, come l’ambito privilegiato nel quale si svolge tale dialogo.

    È chiaro che la modalità dialogica, così concepita, presenta due esigenze alle quali occorre dar corso. Innanzitutto è richiesto che l’immagine di Dio sia sempre più purificata da ogni aspetto antropomorfico. Inoltre è esigito che l’uomo accolga di vivere questo dialogo come alleanza educativa nella quale è reso capace di assumersi la responsabilità di gestire se stesso e le cose in modo autonomo. Così l’uomo riesce ad essere sempre più se stesso, nella misura in cui sente questa alleanza educativa, nella quale si svolge il dialogo, come la relazione fondamentale sulla quale basa tutto il suo esistere.

    A questo proposito, è illuminante il pensiero di Karl Rahner: «La creazione (...) crea l’altro in quanto altro, in quanto lo ritiene presso

    di sé fondato e in egual misura lo abbandona alla sua autonomia. Dio (...) non sostiene la catena delle cause come un anello, quasi fosse una tra esse. La catena stessa nel suo complesso, vale a dire il mondo stesso nel suo intrec-cio (...) costituisce l’autorivelazione di Dio. (...) il fondamento non compare all’interno della realtà fondata, se esso è realmente il fondamento radicale, vale a dire il fondamento divino e non una funzione in un intreccio di fun-zioni» 43.

    Da quanto emerso nell’ambito culturale classico e dalla Scrittura notiamo che il Creatore, dunque, plasmando l’uomo come suo interlocutore libero, non si sostituisce a lui nella responsabilità di decidere il senso della sua vita da praticare nella storia. Proprio in forza dell’alleanza educativa ricordata, l’uomo ha il compito di intervenire sulla propria vita e, qualora l’uomo, igno-

    42 In particolare si rimanda alla visione di K. rahner, Corso fondamentale sulla fede, Alba 1977.43 K. rahner, Corso fondamentale sulla fede, 114.123. Cfr. anche D. mongillo, La dimensione

    etico-teologica della Summa theologiae di Tommaso d’Aquino. Ispirazione, fondazione, articolazione, Roma 2006, in particolare 189-206.

  • 34 Giovanni Angelo Lodigiani

    rando la sua costituzione etica fatta di consapevole e libera responsabilità, trascurasse di dare un significato “umano” alla sua vita, di interpretare “uma-namente” se stesso, al di là di una accettazione passiva e fatalista dell’acca-duto, allora rifiuterebbe la propria costituzione dialogica ed il proprio essere interlocutore libero.

    Tuttavia, da ciò non si può derivare la liceità di un agire arbitrario, come se l’uomo fosse in grado di creare la verità di se stesso e di manipo-larla a suo piacimento; al contrario egli realizza se stesso nel rispetto e nella ricerca della verità, così come riesce a comprenderla: questo rimane il limi-te invalicabile di un agire lecito. Non sarà mai lecito all’uomo contraddire la finalità ultima alla quale è chiamato; in pratica non potrà mai giustificare un’autonomia assoluta fuori da quella alleanza dialogica alle quale abbiamo fatto riferimento. Contemporaneamente non potrà manifestare la rinuncia ad una decisione in libera e consapevole responsabilità perché, se così fos-se, il suo agire non sarebbe autenticamente umano in quando abdicherebbe alla propria coscienza.

    Si può ritenere, quindi, che la disposizione appropriata per vivere l’alle-anza educativa, a cui abbiamo accennato, sia l’amore. L’amore, presiedendo ed ispirando la relazione e le azioni, tiene conto delle reciproche personalità e l’autonomia, se viene fondata in esso, riesce ad essere conveniente espres-sione del valore custodito nella alleanza in quanto, quest’ultima, essendo uni-versale ed impersonale, non potrà mai interpretarlo e tradurlo in pratica in modo adeguato rispetto alla situazione che si sta vivendo.

    4. Tommaso Moro. La verità della coscienza: prova acuta del senso della vita

    Sinora abbiamo cercato di rassegnare il concetto di coscienza nel mondo classico e nel Canone ebraico-cristiano ed abbiamo tentato un abbozzo siste-matico. Questi erano gli elementi che anche Tommaso Moro aveva a disposi-zione pe decidere. La domanda che resta, ancora oggi, fondamentale si può configurare così: cosa significa decidere in coscienza?

    Per quanto raccolto potremmo affermare che significa prescrivere a se stessi una norma, la quale assume la forma della promessa, capace di far cam-minare nel profilo veritativo, scoperto riflettendo sull’esperienza esistenziale, che si manifesta in una precedenza ontologica, rispetto appunto al seguire cronologico dell’azione, esigente fedele responsabilità, soprattutto, quando tale profilo veritativo è provato in un’esperienza di sofferenza. Decidere in coscienza non significa, quindi, porre un’affermazione autoreferenziale: sa-rebbe narcisismo.

    In particolare per Moro a voluto dire porsi nell’atteggiamento profondo di ascolto della quotidiana esperienza di ricerca della verità, nella quale si

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 35

    sentiva condotto dalla fedele presenza di Dio, iniziata già in giovane età 44, e conclusasi con l’esecuzione capitale avvenuta il 6 luglio 1535 sulla Tower Hill.

    Lasciando parlare Moro stesso, ed in particolare le lettere scritte da lui, possiamo ricavare gli indizi che segnalano il suo cammino veritativo di fedel-tà alla legge della “sua” coscienza.

    Scrivendo a William Gonell 45 in risposta ad una sua missiva, Moro, dopo aver ringraziato, con la sua consueta eleganza, sostiene:

    «Benché io preferisca a tutti i tesori dei re il sapere unito alla virtù, tut-tavia, la fama che viene dalla scienza, se non è accompagnata da una vita buona, che altro è se non splendida e famosa infamia?» 46.

    In questa espressione si ravvisa immediatamente come sia il sapere, sia la fama se sono fine a se stessi non giovano a nulla. Occorre che siano accordati con la virtù, la forza interiore, e la vita buona. La sintesi dove avviene questo felice connubio è proprio la coscienza, quale espressione di consapevolezza, ossia sapere, e responsabilità nell’agire che ricerca una vita esistenzialmente compiuta. Da sola la scienza viene definita «splendida e famosa infamia» ed in questo si nota il calco del pensiero paolino «la scienza gonfia, mentre la carità edifica» 47. Sola la combinazione conoscenza e virtù risulta essere espressione compiuta dell’essere umano, perché gli consente l’impegno inte-grale del suo essere.

    Questo pensiero è maggiormente esplicitato e rafforzato in questo passo: «D’altra parte, se una donna (e io desidero ciò insieme con te, loro ma-

    estro, per le mie figlie) sa aggiungere una moderata conoscenza della lettera-tura a una virtù eminente, questo le sarà di maggior giovamento che non l’ot-tenere la ricchezza di Creso e la bellezza di Elena. Non dico ciò per la gloria che ne possa trarre, quantunque la gloria segua la virtù come un’ombra segue il corpo, ma perché la ricompensa della sapienza è così sicura che non corre rischio di essere perduta come la ricchezza o di tramontare come la bellezza, poiché dipende dall’intima coscienza di ciò che è giusto, non dalle chiacchiere degli uomini, delle quali nulla è più pazzesco, nulla più pernicioso» 48.

    Si può osservare come Moro abbia la radicale convinzione che nell’in-timo di se stesso l’uomo conosce e fa esperienza di ciò che è giusto, buono,

    44 Cfr. m. Cuartero samPeri, Tommaso Moro. La luce della coscienza, Roma, 2019, pp. 115-157.45 William Gonell era un maestro di scuola, morto del 1560, che Erasmo da Rotterdam aveva

    raccomandato a Moro. Questi, nel marzo del 1518, precettore di casa Moro con ottimi risultati. La lettera alla quale ci riferiamo, fu scritta in latino, dalla Corte il 22 maggio 1518 (?). È famosa perché mostra le sue idee circa l’educazione dei figli tuttavia evidenzia anche la cura che una persona deve avere per la dimensione interiore. Cfr. t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 223-230.

    46 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 226. 47 1 Cor. 8, 2 48 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, p. 226. Il

    corsivo è personale.

  • 36 Giovanni Angelo Lodigiani

    degno di essere perseguito a qualsiasi costo per essere nella pace come affer-ma più avanti:

    «Senza dubbio l’uomo buono ha il dovere di evitare l’infamia, ma met-tersi in mostra per acquistarsi nomea è condotta d’uomo non solo orgoglioso ma ridicolo e miserabile. Un’anima che sia continuamente sbattuta dal flusso della gloria e della disillusione che provengono dalle opinioni degli uomini non può che soffrire priva di pace. Fra i benefici che il sapere concede agli uomini nessuno (ne sono convintissimo) è più eccellente di questo, che studiando i libri ci fosse insegnato, proprio dai libri, a cercare non la lode ma l’utilità. Così hanno insegnato gli uomini più saggi, specialmente i filosofi, che sono le guide della vita umana, quantunque alcuni abbiano potuto abusare della dottrina, come di altre cose buone, puramente per corteggiare la vana gloria e una fama volgare» 49.

    In questo scritto, Moro, con semplicità e concretezza, narra quali siano le virtù che occorre tenere in considerazione per camminare con coscienza retta: «…evitare i precipizi della superbia e dell’alterigia; di camminare nei prati ameni della modestia; di non essere abbagliati dalla vista dell’oro; di non lamentarsi di non possedere ciò che erroneamente ammirano negli altri; di non avere troppo grande concetto di sé perché possiedono ornamenti sfar-zosi, né di sentirsi umiliati perché non ne possiedono; di non deformare, con la negligenza, la bellezza che la natura ha dato loro, né di cercare di aumen-tarla con artificio; di mettere la virtù al primo posto, la scienza al secondo; nei loro studi di avere la più alta stima per tutto ciò che insegna la pietà verso Dio, la carità verso tutti, la modestia e l’umiltà cristiana verso se stessi. In tal modo essi riceveranno da Dio la ricompensa di una vita innocente, e nell’aspettarla (perché certo verrà) guarderanno la morte senza errore, mentre possedendo la vera gioia, non si gonfieranno, per la vuota lode degli uomini, non saranno avviliti dalle malelingue. Tutto ciò è, per me, il vero buon frutto della scienza, e benché io sappia che non tutti i dotti lo posseggono, tuttavia sostengo che coloro che si danno allo studio con questi propositi raggiungeranno facil-mente il loro scopo e diverranno perfetti» 50.

    Avviandosi all’ampia conclusione, Moro a modo di riaffermare come la pace della coscienza sia il valore da perseguire in assoluto: «Fa’ in modo, dot-tissimo Gonell, con la tua gentilezza, che le mie figliole conoscano le opere di questi santi uomini 51. In tal maniera esse impareranno quale deve essere lo scopo del loro sapere, e come dovranno cercare i frutti della loro fatica nella coscienza della rettitudine e nell’approvazione di Dio. Così, intimamen-

    49 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 226-227. Il corsivo è personale.

    50 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, p. 227. Il corsivo è personale.

    51 Si riferisce alle opere di San Girolamo e di Sant’Agostino.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 37

    te felici e tranquille, né la lode nauseante degli adulatori le commuoverà né soffriranno per le sciocchezze degli illetterati che si ridono delle lettere» 52.

    Nella penultima lettera alla figlia Margaret, datata 3 giugno 1535, nella quale Moro riferisce le interrogazioni che dovette subire, troviamo espresso tutto il suo mondo interiore. Egli non ha nessuna intenzione di essere contro qualcuno e tanto meno contro il Re, di questo è convinto ed è altrettanto con-vinto che la rettitudine della sua coscienza sarà palesata seppur in un futuro noto solo a Dio:

    «… io non nutrivo malvolere alcuno, e che quindi non ne potevo dimo-strare…

    tuttavia non possedevo nessun rimedio contro ciò, se non il conforto che mi veniva dal pensare che io sapevo benissimo che verrà un giorno che Dio farà nota la mia fedeltà verso Sua Maestà, di fronte a lui e di fronte al mondo intero. E quantunque ciò potesse sembrare solo una piccola ragione di conforto, poiché nel frattempo potevo averne danno quaggiù, ringra-ziavo Dio che il mio caso in questa faccenda era tale che, per la purezza della mia coscienza, avrei sì potuto avere dolore, ma non danno. Questo è infatti un caso nel quale un uomo può perdere la testa e non averne danno alcuno. Poiché ero sicurissimo di non possedere un affetto corrotto, ma di essermi sempre comportato con fedeltà considerando dapprima Dio, e subito dopo il re, secondo la lezione che Sua Maestà mi aveva insegnato la prima volta che m’ero messo al Suo nobile servizio, la lezione più virtuosa che mai principe insegnò a un suo servo. E che Sua Maestà avesse di me tale opinione mi era cosa molto gravosa. Ma, come dicevo, non avevo mezzo alcuno per impedirlo, se non il confortarmi nel frattempo con la speranza del giorno giocondo nel quale la mia fedeltà verso di lui sarebbe stata ben nota. E in questa faccenda non potevo andare più in là, né potevo offrire altra risposta» 53.

    Proseguendo, nella lettera, Moro esplicita con più vigore come il suo agire secondo coscienza non sia un agire contro qualcuno bensì esprima la fedeltà a ciò che ha compreso e che non può rinnegare: «Poiché se per caso la mia coscienza mi suggeriva di agire contro lo statuto (e in ciò, vale a dire in merito al modo con il quale la mia coscienza mi dava i suoi suggerimenti, non mi pronunciavo), non facendo io nulla contro lo statuto, sarebbe stato duro obbligarmi a pronunciarmi chiaramente o in favore di esso contro coscienza e con il rischio di perdere l’anima, o contro di esso, con il rischio della perdita del corpo. Allora il signor Segretario disse che, nel tempo passato, quando ero Cancelliere, avevo esaminato eretici e ladri e altri malfattori, e me ne diede gran lode, oltre il mio merito. Poi osservò che allora io, come egli riteneva,

    52 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, p. 228-229. Il corsivo è personale.

    53 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 395-396.

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    o almeno i vescovi, esaminavamo gli eretici, se credevamo che il papa era il capo della Chiesa, e li obbligavamo a essere precisi nella risposta» 54.

    Interrogato poi, in specifico, sulla questione del potere del capo della Chiesa Cattolica, in contrapposizione al potere del Re Enrico VIII, aggiunge un altro significativo tassello nel quale ribadisce che la fedeltà alla coscienza è ciò che in assoluto deve contraddistinguere la persona: «[È il Segretario che ha posto questa domanda a Moro] E perché non dovrebbe il re costrin-gere gli uomini a rispondere alla legge, qui, come s’era fatto quando si trat-tava del papa? Risposi dicendo che non avevo assolutamente intenzione di difendere l’una o l’altra parte, o di fare discussione alcuna. Ma dissi anche che esisteva una differenza tra i due casi, poiché allora, sia qui sia altrove, in tutta la Cristianità il potere del papa era riconosciuto come cosa indubbia, mentre quanto è ammesso ora in questo regno, è il contrario di quello che si ritiene vero negli altri regni. Al che il signor Segretario rispose che la gente veniva bruciata perché negava quello, allo stesso modo che viene decapitata perché nega questo: ragion per cui v’era un buon motivo di costringerla a dare una risposta precisa, sia per l’una cosa sia per l’altra. Risposi a mia volta che, in questo caso, uno non è obbligato in coscienza dalla legge di un regno, perché contro di essa, in materia di fede, vi è una legge di tutto il corpo della Cristianità. Si è obbligato dalla legge di tutto il corpo, anche se capitasse che in qualche luogo una legge locale dicesse il contrario. Perciò la ragionevolezza e la irragionevolezza nell’obbligare un uomo a dare una risposta precisa, non consiste nella uguaglianza o nella differenza tra decapitazione e arsione, ma a cagione della differenza dell’obbligo di coscienza, la differenza è tra decapita-zione e inferno» 55.

    Anche nell’epilogo della conversazione, Moro, riafferma che l’appello alla sua coscienza rimane determinato e fermo: «Ciò pose fine alla nostra conversazione, e quindi fui mandato via. Prima avevano detto che si meravi-gliavano come io mi appoggiassi tanto sulla mia coscienza, mentre, nell’ipo-tesi migliore, non ne ero sicuro. Al che avevo risposto che ero sicurissimo che la mia coscienza, informata com’era, con quella diligenza che, per lungo tempo, vi avevo dedicato, poteva accordarsi con la mia salvezza. “Io non mi impiccio con la coscienza di coloro che pensano altrimenti” Ciascuno suo domino stat aut cadit. Non sono giudice di nessuno» 56.

    La conclusione della lettera è la piena affermazione che la sua persona e la sua coscienza sono coincidenti: «M’era stato anche detto che, se m’era

    54 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 396-397. Il corsivo è personale.

    55 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 397-398. Il corsivo è personale.

    56 t. moro, Lettere. Scelte tradotte e commentate da Alberto Castelli, Milano, 2008, pp. 399. Il corsivo è nella lettera. Si riferisce a Romani 14,4.

  • Antecedenza costitutiva e riconosciuta dell’ascolto onesto 39

    indifferente essere fuori dal mondo come esservi dentro, perché dunque non parlavo chiaramente contro lo statuto? Appariva dunque ben chiaro che non ero contento di morire, quantunque affermassi di esserlo. Risposi che, com’è vero, non ero vissuto tanto santamente da sentirmi l’ardire di offrirmi alla morte, affinché Dio, per la mia presunzione, non permettesse che io cadessi, e perciò non mi facevo avanti ma mi ritraevo indietro. Ma se Dio stesso mi attrae a sé, confido nella sua grande misericordia, che non mancherà di darmi grazia e forza. Infine il signor Segretario disse che oggi gli ero piaciuto molto meno dell’ultima volta. Poiché allora, disse, aveva avuto grande compassione per me, ma ora pensava che non avessi retta intenzione. Ma Dio ed io sappia-mo che la mia intenzione è retta, e prego Dio che mi aiuti» 57.

    5. La coscienza: cella di reclusione o dimora abitabile?

    «E intanto sono convinto che l’uomo non rinuncerà mai alla vera sofferenza, cioè alla distruzione e al caos. La sofferenza... ma è l’unica origine della co-scienza. Anche se all’inizio ho dichiarato che la coscienza, secondo me, è la più grande infelicità per l’uomo, io so che l’uomo la ama e non la barattereb-be con nessuna soddisfazione. La coscienza è infinitamente superiore al due più due. Dopo il due più due, s’intende, non resterà più niente, non solo da fare, ma neppure da conoscere. Tutto ciò che allora si potrà fare è chiudere i propri cinque sensi e immergersi nella contemplazione. Ebbene, con la co-scienza invece, anche se si perviene allo stesso risultato, cioè se anche qui non ci sarà nulla da fare, almeno questa volta ci si può dare qualche frustatina, e questo è pur sempre vivificante. Per quanto retrogrado, è sempre meglio di niente» 58

    La citazione di F.M. Dostoevskij esprime, a mio avviso, in modo abba-stanza compiuto l’irrinunciabilità del confronto con la propria dimensione interiore. Irrinunciabilità che ha nella sofferenza la prova dell’autenticità.

    Certo esiste una direzione, un senso verso il quale procediamo nella no-stra vita. Le nostre coordinate esistenziali disegnano il tragitto della nostra vita. Nel cammino di ogni uomo può avvenire una comprensione autentica