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MOSSE DI SEPPIA Rivista di poesia, narrativa e metrica Numero 0

Mosse di seppia numero 0

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Page 1: Mosse di seppia numero 0

MOSSE DI SEPPIA Rivista di poesia, narrativa e metrica

Numero 0

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SOMMARIO Editoriale .................................................................................................. 3

Pensieri introduttivi a cura di Emilio Costa

Due punti – Interviste e recensioni ..................................................... 6

La geografia del corpo – Intervista a Franco Arminio, a cura di Alessandra Passaretti

Alice Munro – Tra fine sperimentazione tecnica e appassionata ricerca espressiva, a cura

di Francesca Menna

Marcabru – Appunti di metrica e poetica .......................................... 15

Endecasillabi e settanari, a cura di Antonio Perrone

Agorà – Poesie e racconti ...................................................................... 21

In questo numero: Mario Fevola, Lisa Davide e Lucia Ronga

Tancredi – Racconti in versi ................................................................ 29

Il marinaio e l’abbandonata, di Antonio Perrone

Idea! Novità ed eventi letterari ........................................................... 33

Più libri più liberi – La fiera dell’editoria a Roma, a cura di Giulia Battinelli

Illustrazioni di copertina e interne di Gianmarco De Chiara

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Mosse di seppia Editoriale

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QUANDO SE NON A VENT’ANNI Introduzione e riflessioni per un numero “zero”

Emilio Costa

Quando introdussi nel bel mezzo di una cena a casa di amici l'argomento

della rivista di poesia mi fu risposto “quando, se non a vent'anni”. Fu

un’ottima risposta. In realtà, magari fu un enunciato inconsapevole di se

stesso, ma rese all'epoca piuttosto nitido ciò che realmente cercavo e mi

premeva scrivere nelle righe che avevo il compito di anteporre al

contenuto di Mosse di Seppia.

Anzitutto, che introdurre un numero zero avrebbe richiesto

inevitabilmente una riflessione numero zero. E che questa riflessione

numero zero, che come intestazione avrebbe dovuto riportare ciò che a

tavola quella sera mi fu detto, come infatti è stato, avrebbe dovuto

escludere dalle articolazioni del suo discorso due inopportune

componenti: parlare nello specifico di poesia ad un estremo ed elogiare

una specie di estro romantico giovanile "crociano" dall'altro. L'autentico

legame che stringe l'idea di una rivista che parli di poesia con l'avere

vent'anni si rende esplicito in un momento a tutto questo anteriore,

rappresentando in sé un nodo problematico.

La premessa: parlare di poesia è difficile. Lo è come ogni discorso

intenzionato a parlare di qualcosa di antico che nel corso della Storia ha

rivoluzionato i suoi statuti, la sua personalità, i suoi fruitori ed i suoi

obiettivi. Lo è come di sua natura ogni discorso attorno alle discipline

umanistiche: multiformi e sfuggenti, sono complesse e specialistiche

tanto quanto lasciano a tutti l'impressione di poterne parlare. Lo è infine

in modo particolare, poiché è, in ultima battuta, il più alto cimento di

chiunque aspiri ad indossare l'alloro, è la materia dotta per eccellenza, è

la grande ed ultima sfida del grande critico. La poesia, come e più

dell'altra letteratura, è argomento tale da rendere necessaria una

legittimazione per chi intenda parlarne, chiacchierarne, giocarne e

financo goderne. Ora: Mosse di Seppia non è una realtà composta da

poeti laureati e da critici letterari insigni, non è nemmeno una realtà

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Pensieri introduttivi Mosse di seppia

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accademica (elemento da cui può scaturire una qualche legittimità a

parlare di poesia), né tantomeno s'illude di essere una di queste (e questa

è una grande forza). In compenso, Mosse di Seppia ha dalla sua una

giovinezza autoevidente, la giovinezza di chi, senza porsi troppi

problemi, se ne pone anzitutto uno squisitamente euristico: quello che

pertiene il produrre, lo stampare, il raggiungere una dimensione

pubblica, e farlo presto, perché qualcuno dovrà pur farlo, e a farlo non

sono poi in tanti. È il bisogno di cominciare che preme a Mosse di Seppia

più di ogni altra cosa. Ed il vero vantaggio di quelli che “hanno vent'anni”

sta proprio nell'essere appena usciti da una condizione, quella

adolescenziale, in cui la dimensione del gioco rimane fine a se stessa, ed

essere entrati nell'età in cui il gioco perde la sua autoreferenzialità, e

diventa, in taluni casi, produzione concreta di qualcosa. In ogni caso, il

gioco resta la parte di noi che rimane più seria in ogni periodo della

nostra vita, è formato da regole ferree e portato avanti con rigore

maniacale, richiede una concentrazione autistica. Il gioco è la grande

legittimazione per chi vuole parlare di poesia, e chi non riesce ad

approdare a ciò evidentemente ha scordato come si fa a giocare, e sarà

un uomo incapace di lavorare seriamente su qualunque cosa. Chi si è

avvicinato a questa neonata realtà, Mosse di Seppia, ancora acerba ed

informe, tiene sempre a mente quanto è importante giocare. E in coda a

questa breve introduzione non posso che ricordarmelo anche io, che alla

fine non posso fare a meno di parlare di poesia e di Benedetto Croce.

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Mosse di seppia Due Punti

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LA GEOGRAFIA DEL CORPO Intervista a Franco Arminio

Alessandra Passaretti

“I luoghi come le persone possono essere attraversati ma mai raggiunti. Non si

arriva mai, non si sta mai in un luogo. La permanenza è sempre una condizione

immaginaria. La vita è sempre una faccenda di apparizioni. Si appare a

qualcuno, ci appare qualcuno.”

Nel suo ultimo libro, Geografia commossa dell’Italia interna, edito da

Mondadori, Franco Arminio ci racconta delle sue peregrinazioni fra i

paesi degli Appennini, partendo dalla terra, dalle rocce, dalle casette

sparse sui monti. Questo modo di vivere e poetare lo ha chiamato

Paesologia, la scienza del corpo, del paesaggio, della natura.

La paesologia canta il dimesso, l’usuale, il bordo, il punto

morto. Invece la poesia è il tentativo di spingere il

linguaggio al massimo punto di intensità. Da una parte

l’idea di seguire le piccole spinte del momento, lavarsi i

denti, salutare qualcuno, guardare quella persona per un

attimo in più, dare attenzione alla macchina parcheggiata.

Dall’altra la tensione all’invisibile, la sensazione che la vita non può essere quello che vediamo, quello che ci accade.

Un cammino che, dalla sua prima pubblicazione nell’85 Cimelio dei

profili, si delineava come il risultato di un’esigenza prorompente:

ricongiungere i fili di un tempo passato con un presente che sembra non

lasciare spazio alla poesia. “Io sono ciò che vedo” è il dogma del poeta

irpino, osservare, ascoltare la terra intorno a noi. Recuperare il proprio

corpo ed affidarsi a ciò che lo stesso ci permette di percepire. Nei

continui viaggi attraverso l’Italia interna denuda i luoghi della sua

memoria, i luoghi dell’emozione, dove non si trova alcun paesaggio –

nonostante il continuo dilagare del cemento – che non preservi

perlomeno un briciolo di colore, di poesia. Come un viandante sempre

curioso, si aggira tra la gente e le stradine di montagna, imparando

sempre qualcosa, ascoltando una verità che traduce in versi

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Interviste e recensioni Mosse di seppia

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epigrammatici. Perfino nel momento in cui un paese viene abbandonato

dai suoi abitanti, non risulta morto al corpo del poeta, ma vivo di tante

minuzie, come una formica, un filo d’erba, un fiore. Un paese non vive

attraverso di noi, siamo noi a vivere attraverso di esso. L’autore ci prende

per mano e ci conduce fra le pieghe della sua mente, dei suoi ricordi, nel

taschino della sua giacca. In un momento siamo all’Aquila – nella

silenziosa contemplazione della furia naturale e dell’incuria umana – ed

un momento dopo ci immergiamo nell’intimità familiare con Livio,

secondogenito del poeta, che per il suo compleanno riceve una lettera

dal padre, straripante di commozione e stima. Senza troppo pensare al

filo che il lettore cerca di tessere nella sua mente mentre sfoglia le pagine

del libro, cambia storia, cambia visione, cambia racconto, che a volte

sostituisce con delle associazioni di pensieri, quasi degli elenchi di luoghi

e sensazioni, come se potessimo scorgere una serie di fotografie nelle

quali, in ognuna, si nasconde un Franco Arminio diverso.

Cosa intendi con ricominciamo dal corpo? In che modo è

possibile farlo oggi?

Paradossalmente la Rete ha liquidato il Novecento, ha rimesso in

circolazione l’arcaico – per questo il Sud è importante in questo

momento – nel Sud c’è più arcaico, la modernizzazione non ha

bruciato tutto, non è arrivata alle fondamenta, è solo una sorta di

spolverata superficiale. Io sto molto in Rete ma allo stesso tempo sto

molto anche nei luoghi reali, nei paesi, nell’Appennino; bisogna unire

l’arcaico e il digitale, il computer e il pelo selvatico. Un ripartire dal

corpo – cosa c’è di più concreto di un corpo? – ma allo stesso tempo

non negarsi alla Rete, che secondo me, produrrà qualcosa di molto

interessante negli anni a venire, sempre che riusciamo a mantenere

un equilibrio fra i due. Se uno vive solo in Rete o pensa di risolvere

tutto restando seduto in piazza sulla panchina a fare comizi conclude

poco, diciamo che sono due posture velleitarie, bisogna attuare una

sintesi.

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Mosse di seppia Due Punti

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Corpo, Politica e Poesia. Hai accennato anche la tua esperienza

con la politica locale, cosa è successo?

Ogni volta che ho provato ad entrare in prima persona in politica –

magari anche a mio discapito, perché forse non mi conviene, forse mi

conviene far ciò che mi viene meglio ma sai le smanie che uno ha:

“voglio vedere direttamente” – fin quando fai il poeta e sei nel tuo

ambito, va tutto bene, poi se ti metti nel piatto, si verifica una sorta di

avversione, ti aggrediscono. La gente risponde che la politica e la

poesia sono due cose distinte e che la politica è una cosa seria, che

riguarda il mondo, mentre la poesia è intima, soggettiva. La verità è

che la politica è tutto un gioco di posizioni, di “fregare gli altri” e

quindi questo la allontana dalle cose vere che poi sono la morte, la

poesia, il dolore, la gioia. Queste persone hanno creato un

meccanismo per cui tutto quello che è la vita vera è fuori dal loro

interesse. E questo è molto grave, ne paghiamo le conseguenze, sono

dei miseri che rendono misera anche la vita degli altri.

Nel tuo libro parli di dittatura dell’autismo corale, di modernità

sfinita, cosa intendi?

Nel mondo contadino si era ricchi o felici tutti insieme, ora invece,

ognuno è triste o felice per conto suo. E questa è una grave perdita,

per lo meno per le generazioni come la mia, che hanno memoria di

quella sensazione di comunità. Per questo motivo parlavo di autismo

corale, dove ognuno sta nel suo mondo, come se avesse detto addio a

tutti gli altri. È una sensazione molto dolorosa. I problemi non sono

solo il lavoro, l’inquinamento, questo mito della comunicazione, il

poter scrivere una email in qualsiasi momento, chiamare chiunque in

qualsiasi parte del mondo, per molta gente è un dramma, perché si

dicono “io sono qui con il telefonino ma non mi chiama nessuno, sono

qui con la mia mail ma non mi scrive nessuno”, vivono in perenne

attesa, anche su Facebook; io lo utilizzo molto, so come funziona.

Scrivo qualcosa e gli altri commentano, mettono like, anche spesso

per farsi notare, per essere visibili, mentre un povero cristo mette una

cosa sua e non se lo caga nessuno. Certo la Rete è democratica, ma

anche lì c’è una sorta di gerarchia. È una rivoluzione molto grossa, di

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Interviste e recensioni Mosse di seppia

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questo sono abbastanza convinto. Il punto è che comunque la Rete di

fatto sta cambiando il mondo, dobbiamo mettercelo in testa, non è

un semplice ampliamento tecnologico, ma un cambiamento epocale.

Come quando l’uomo è passato alla posizione eretta.

Nella sezione dedicata alla Puglia leggiamo “Rocchetta è

andata”. È possibile trovare un equilibrio tra la modernità e il

piccolo paesino? In che modo si può preservare questa realtà

senza rimanere ancorati e rinchiusi nelle proprie tradizioni né

trasformarle in qualcosa che non sono, cioè commercializzarle?

Certamente i luoghi sono minacciati, se è morta Rocchetta ancor

prima è morta Padova, Cesena. Io sono dell’idea che comunque i

paesi, l’Appennino, l’Italia interna non moriranno. Certo bisogna

vedere che trasformazione avranno, ma non moriranno. Per assurdo

anche un paese disabitato non è un paese morto, ci vivono le

lucertole, le farfalle, e quant’altro. Poi in ogni caso non tutti i paesi

devono vivere, qualcuno può anche morire. Certo ci vogliono delle

politiche che in questi anni non ci sono state. Bisogna riportare gli

Italiani verso l’interno, svuotare un po’ le coste, ed è un processo che

in parte, lentamente, già avviene. Occorre ammettere che siamo in

una fase di confusione, io non voglio dire che ho le risposte, ma per

esempio la celebre questione del Mezzogiorno e quest’idea che

“bisogna fare come al nord”, dobbiamo diventare come Milano, quello

che penso io è che siamo noi quello che manca a Milano! io rovescerei

la medaglia. Dismettere quest’approccio da luoghi sfigati, questa idea

modernista della crescita quantitativa. Io lo chiamo Umanesimo delle

montagne – uno può chiamarlo in un altro modo – insomma bisogna

partire banalmente da quello che c’è; si può vivere nel Sannio con

mille euro in meno ma con una comunità viva e agibile – qui si tratta

anche di capirci – le persone devono cominciare a fare delle scelte,

farsi una passeggiata, stare su una panchina, respirare un’aria pulita,

sono delle risorse, cose importanti. Poi se vogliamo tutti quanti

trasformare la vita in un garage e ricoprire tutto di asfalto, come ad

esempio è avvenuto nella pianura campana, per me è una specie di

suicidio. Le spinte sono di mille tipi, io ho questa posizione, che non

è una posizione nostalgica, ruralista, ma è realista. Il futuro è la terra,

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Mosse di seppia Due Punti

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non è cemento, punto. Non è la ricchezza materiale che rende felici,

le gente anche nei “paesi ricchi” si imbottisce di psicofarmaci, si

ubriaca. C’è qualcosa che proprio non funziona nel modello

capitalista, soprattutto estremizzato come è stato fatto negli ultimi

decenni. Noi siamo indietro, bene, abbiamo capito che questo

modello non funziona, ci riallineiamo tutti e noi scegliamo di

decrescere, poi a Francoforte fanno ciò che pare a loro. Reclamare che

ciò che va bene a Francoforte non deve andare per forza bene altrove;

non vogliamo certo imporre il nostro modello a Francoforte – non

devono venire a Cicorie – si facciano pure i loro affari finanziari ma ci

lascino andare a Cicorie. Non voglio ribaltare il mondo, obbligare la

decrescita, bisogna trovare un sistema in cui tutte le posture sono

ammissibili. Secondo me si può fare un mondo così – se la democrazia

funziona – di volta in volta uno prende delle strade, che concordano

sia con le mie esigenze che con le tue.

“Il Sud dei ragazzi che restano e di quelli che provano a

tornare”. Restare o partire?

Per me i giovani dovrebbero slegarsi da questa impasse di “sgomento”

e mettere un po’ di contestazione in più in campo. Ad esempio, questa

nuova legge di stabilità per i giovani non ha misure decise, alla fine

più o meno si mantengono sempre gli stessi interessi. Cominciare con

il dire noi non ci stiamo. Ed invece non si riesce, perché c’è

quest’autismo corale, ognuno è conficcato nella sua vita e si fa fatica

a costruire movimenti collettivi, è tutto fermo. È abbastanza

sconcertante.

Se continuano ad andare via, questi ragazzi non avranno più

un’Italia a cui tornare. Eppure ci sono tanti progetti, tanti

giovani scrittori che vogliono mettersi in gioco.

Se uno racconta ciò che avviene nei luoghi, se valorizza le esperienze

positive che ci sono, crea dei collegamenti, certo è un lavoro minuto,

non è una cosa clamorosa che un giorno ti metti e fai la scelta. È un

lavoro di cucitura. Già avere un po’ più fiducia, essere più presenti a

ciò che accade, fare la sentinella quando c’è bisogno di fare la

sentinella, essere anche un po’ avventurosi, rischiare, sono tante cose.

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Interviste e recensioni Mosse di seppia

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Tutte queste posizioni insieme possono smuovere il Paese, poi certo

qualcuno dovrà trascinarsi qualcun altro che è un po’ più lento, più

pigro, è sempre stato così. C’è sempre qualcuno che fa da pioniere.

Già individuare nel gioco chi è a favore e chi contro alla tua visione

delle cose è un buon inizio. Certamente non è facile, la sensazione è

che spesso le persone non riescano a distinguere gli amici dai nemici.

In ogni caso sono abbastanza positivo riguardo al futuro, d’altronde

quello che accadeva prima in dieci anni ora accade in sei mesi, la rete

viaggia veloce. Magari fra un anno questa discussione ci sembrerà un

lontanissimo ricordo, accadranno cose che non avevamo previsto.

“Abbiamo gremito il mondo di parole e le parole ci hanno

cacciato fuori dal mondo”

Pensa un po’ alla scrittura,

vent’anni fa si diceva che il

mondo andava verso l’oralità,

l’immagine, e che la scrittura

sarebbe scomparsa. Oggi si scrive

in continuazione, non si è mai

scritto così tanto. Tutti i nuovi

media di fatto funzionano con la scrittura. Non

penso ci sia o ci sarà una persona che salverà l’Italia, che posso essere

io o chiunque altro, oggi è fitta la trama delle sensibilità e tu e tanti

altri potete dare un contributo. Non c’è più un élite che dirige e gli

altri che devono essere diretti. La cosa può zampillare da più parti.

Bisogna dare importanza a ciò che avviene a livello locale, in quel

palazzo, in quella strada, in quel comune, e la somma di queste

esperienze poi produce un clima diverso a livello generale. Io a lungo

o medio periodo sono fiducioso, certo domattina non ti so dire…

siamo in un momento “un po’ così”.

Franco Arminio

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Mosse di seppia Due Punti

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ALICE MUNRO

Tra fine sperimentazione tecnica e appassionata ricerca espressiva

Francesca Menna

Non scrivo più, alla mia età non vuoi più essere sola come uno

scrittore deve essere.

Questo l’addio della Munro al mondo della letteratura. Ha ottantadue

anni e il sorriso soddisfatto che ci si aspetta dalla tredicesima donna a

cui è stato conferito il premio Nobel per la Letteratura.

Cresciuta a Wingham, Ontario, divide con Margaret Atwood e Anne

Michaels il pregio di aver portato la letteratura canadese – pressoché

ignorata da molti prima degli anni settanta – alla portata del grande

pubblico internazionale.

Cosa si lascia alle spalle la scrittrice? Oltre al Nobel, certo, numerosi altri

premi tra i quali il Governor General’s Literary Award (Canada) e il

National Book Critics Circle Award (USA). Ma non è solo per questo che

continueremo a leggere Alice Munro, la cui storia potrebbe essere stata

scritta dalla sua stessa penna.

A tredici anni scopre la passione per il racconto e possiamo quasi

immaginarla, una bambina entusiasta, fantasiosa. Un’eccezione. A

vent’anni, studentessa ma anche grande lavoratrice. Raccoglie tabacco,

pulisce i tavoli come cameriera e intanto scrive. “Lavoravo fino all’una di

notte e mi alzavo alle sei ogni mattina. Mi verrà un attacco di cuore,

pensavo, è terribile”, racconta oggi commossa.

L’esordio è già un successo. La danza delle ombre felici (1968) è una

raccolta di quindici racconti, pochi, in fondo, se pensiamo che in essi la

scrittrice è riuscita a trasferire in una dimensione letteraria situazioni e

personaggi che nascono da suggestioni nutrite da esperienze reali ed

osservazione attenta della vita nella provincia canadese, fino ad inserire

un riferimento autobiografico, la morte della madre nel racconto La pace

di Utrecht.

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Interviste e recensioni Mosse di seppia

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Jonathan Franzen, ha fornito in uno dei saggi di Più lontano ancora,

almeno sette buoni motivi per leggere la Munro, “leggete tutto di Alice

Munro, ma per cominciare leggete Chi ti credi di essere?”.

Si potrebbe inserire questo lavoro nella tradizione dei romanzi di

formazione, ma c’è il rischio che questa classificazione risulti

approssimativa e non riesca a rendere giustizia all’originalità strutturale

dell’opera.

Anzitutto, c’è da chiedersi se si tratti effettivamente di un romanzo o se,

piuttosto, la Munro abbia voluto sfruttare la sua già nota abilità nei

racconti brevi, per descrivere la vicenda di un singolo personaggio.

L’opera si presenta, infatti, come una raccolta di racconti, tenuti insieme

da Rose, primo grande personaggio femminile dei libri dell’autrice. Allo

stesso modo c’è da chiedersi se sia, effettivamente, di formazione.

Rose cresce, ha un percorso: studia, si innamora, legge – Dickens, non a

caso. Ma è un percorso circolare. Alla fine torna nel paesino di nascita

ma, soprattutto, torna sui suoi passi. Con una nuova serenità, una nuova

maturità, ma la si vede comunque ineluttabilmente sopraffatta da un

irrazionale impulso di tornare in quel luogo sordido che più di tutto

voleva abbandonare.

La memoria è il modo in cui non cessiamo di raccontare a

noi stessi, la nostra storia, di raccontare agli altri versioni, in certa misura diverse, della nostra storia.

Racconta la Munro ed è questo il modo in cui i suoi personaggi, per

quanto imperfetti, volutamente incompleti, quasi abbozzati, restano

sempre presenti a se stessi.

La tecnica della scrittrice canadese è tanto semplice quanto raffinata.

L’elegante distacco dalla materia narrativa è forse il più evidente tratto

stilistico comune alla moderna letteratura statunitense. Pietro Citati

individua nella sua capacità di costruire intrecci e nella sua eccelsa dote

di sintesi – non solo quantitativa ma anche qualitativa: un solo gesto, una

singola, breve sequenza per caratterizzare un personaggio – una preziosa

eredità ricevuta da Henry James.

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Mosse di seppia Due Punti

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In più una decisa predilezione per soggetti femminili, descritti con

precisione e tenerezza, senza alcun tentativo di compiacere il pubblico.

Si tratta, come in Le lune di Giove, di ritratti di donne fragili e forti

insieme, sbiaditi da un ambiente che non è pronto ad accogliere e

comprendere la loro eccezionalità.

Insomma, non solo maestra del racconto breve contemporaneo – come è

stata definita dalla giuria dell’Accademia – ma anche esperta conoscitrice

dell’animo umano, Alice Munro è riuscita, senza dubbio, a nutrire il

pubblico che oggi ama ancora la grande letteratura.

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Mosse di seppia Marcabru

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QUID EST METRICA? Endecasillabi e settenari

Antonio Perrone

Qualsiasi Italiano in una conversazione qualunque compone, in maniera

del tutto involontaria e per circa il settanta percento delle sue frasi,

endecasillabi e settenari. Questo ci aiuta a comprendere quanto la

metrica, a differenza del pensiero dei più, abbia molto poco a che fare

con i concetti di artificioso o limitativo di un qualsivoglia estro poetico,

ma al contrario, essa è naturalmente radicata all’interno di quello che è

il linguaggio comune.

Un esempio al riguardo, anche se molto elementare, può aiutare subito

a schiarirsi le idee:

oggi non sono andato a lavorare; avevo l’influenza.

Analizziamo una quotidiana e banalissima frase, nella quale il periodo da

“Oggi” a “lavorare” risulta composto da un endecasillabo, l’altro da un

settenario. Entriamo nello specifico.

Og/gi/non/so/noan/da/toa/la/vo/ra/re

Il nostro esempio si compone esattamente di undici sillabe, ma è su

questo che è necessario porre maggiore attenzione. Non corrano gli

avventati nell’esclamare erroneamente che “un endecasillabo è un verso

di undici sillabe”, perché non vi è nulla di più inesatto.

Innanzitutto vi sono delle osservazioni da fare sulla divisione appena

operata, e precisamente occorre focalizzare l’attenzione sulla quinta e

sulla settima sede 1 del nostro verso (quelle segnate in grassetto). Ci

1 Utilizzeremo le diciture di sillaba e sede come sinonimi, senza differenza alcuna tra i

due termini.

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Appunti di metrica e poetica Mosse di seppia

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troviamo di fronte ad un meccanismo che esula la semplice divisione in

sillabe imparata alle elementari; questo perché – ed è uno degli enunciati

fondamentali di tale forma d’arte – la Poesia è un’azione verbale. Le

poesie nascono per essere lette, decantate, proclamate, e la loro forma

scritta è solo un metodo di conservazione delle suddette.

Dunque, appurata l’essenziale funzione verbale del nostro endecasillabo,

torniamo nuovamente alla sua analisi. La frase Oggi non sono andato a

lavorare, viene comunemente pronunciata da un italofono – ed è

necessario assimilare al più presto tale regola per capire perfettamente il

meccanismo metrico – come Oggi non son andat a lavorare,

Ogginonsonandatalavorare, come se fosse un’unica sola parola

polisillabica.

Il processo naturale della nostra lingua che ci porta a fondere, senza

rendercene conto, alcune e determinate vocali di una frase (la O finale

di sonO con la A iniziale di Andato; la o finale di andatO con la prima

della successiva) prende in poesia il nome di sinalefe (dal greco synaireo,

“prendo insieme/raccolgo”), e si indica – solo accademicamente e mai

nella pratica – con un simbolo a forma triangolare ˄.

Ritengo quasi d’obbligo, a tale occasione, citare un celeberrimo passo del

Sommo Poeta per entrare più a fondo nella questione.

Mi ritrovai per una selva˄oscura

Mi/ri/tro/vai/per/u/na/sel/vao/scu/ra

Un perfetto esempio di sinalefe, due vocali pronunciate in un unicum, in

una sola emissione di fiato. Tuttavia, è necessario operare un’ulteriore

precisazione al riguardo. Come è naturale che avvenga, non di certo tutte

le vocali danno vita al processo della sinalefe, ed è opportuno parlare, in

tali casi, dell’azione di un meccanismo opposto, ossia della dialefe (dal

greco diàireo “separo/divido”), indicata da un simbolo a forma di cono ˅.

A mo’ di esempio richiamiamo in causa Dante ed il successivo verso della

Commedia.

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Mosse di seppia Marcabru

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ché la diritta via˅era smarrita

Dove la vicinanza di via con èra non permette, stavolta, un’unica

emissione di fiato ma costringe ad una separazione vocalica.

Ché/la/di/rit/ta/via/e/ra/smar/ri/ta.

Appurate tali minuzie, cominciamo a rispondere, in parte, alla domanda

posta all’inizio dell’articolo: “Cos’è un endecasillabo e cos’è un

settenario?”.

Endecasillabo e settenario indicano innanzitutto una differenza di

accenti e non necessariamente un conteggio di sillabe. Seguendo le

indicazioni sopra riportate, allora, tentiamo l’analisi della frase Avevo

l’influenza.

Avevo l’influenza

A/ve/vo/lin/flu/én/za

Solito processo: divisione, separazione delle vocali in dialefe, ricerca di

eventuali sinalefi, ma un’ulteriore differenza su cui occorre volgere

l’attenzione. Nella nostra frase, la sesta sede è accentata. In italiano il

novanta percento delle frasi che portano l’accento sulla sesta si trovano

a terminare esattamente con una sillaba in più, e quindi sette sillabe.

Aggiungiamo inoltre che la stragrande maggioranza delle parole della

nostra lingua sono parole piane, hanno cioè l’accento sulla penultima di

sillaba, e vien da sé, quindi, che se in un verso vi si accenta la sesta, essa

è quasi sempre anche la penultima e di conseguenza darà (quasi)2 sempre

un verso lungo sette sillabe.

Ecco dunque la nostra risposta: Un settenario è un verso che pone

l’accento caratteristico3 sulla sesta sillaba.

2 Per il “quasi” vedasi gli esempi immediatamente successivi. 3 Caratteristico vuol significare fondamentale ma non unico. Nella frase Avèvo l’ìnfluènza,

abbiamo ben tre accenti, solo uno dei quali va fisso sempre sulla sesta sillaba, e gli altri due sono mobili, senza una sede predeterminata.

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Appunti di metrica e poetica Mosse di seppia

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Questo vuol significare che esistono settenari più corti, come Che buono

quel caffè! in cui l’accento cade in sesta sede e le sillabe sono esattamente

sei; o al contrario, anche più lunghi, come Che bella l’automòbile dove

abbiamo un settenario di ben otto sillabe.

Veniamo adesso all’altra parte della domanda, e cioè “Che cos’è un

endecasillabo?”. Ebbene, ancora una volta, abbiamo bisogno di differire

la risposta in vista di altri ed ulteriori approfondimenti.

In maniera del tutto semplicistica potremmo cominciare a definire

questo metro come un settenario più lungo, ma vediamo con precisione

cosa vuol significare questa affermazione.

Ricapitolando brevemente quanto detto sul settenario, e cioè che è un

verso con l’accento sulla sesta sillaba, aggiungiamo che anche

l’endecasillabo vuole un accento in sesta sede, ma non solo. Ad esempio,

nella celebre coppia di versi

Mi ritrovai per ùna selva˄ oscura

ché la diritta vìa˅ era smarrita

una (primo verso) e via (secondo verso) rappresentano le rispettive seste

sedi su cui cade l’accento caratteristico del settenario – e, ripetiamo,

anche dell’endecasillabo–; ma, tornando a quanto detto riguardo alla

lingua italiana e ai settenari in generale, e cioè che la stragrande parte

delle parole della nostra lingua sono piane, hanno cioè l’accento sulla

penultima sillaba, e seguendo lo stesso ragionamento operato in

precedenza, viene da sé che se in un verso vi si accenta la decima, essa è

“quasi” sempre anche la penultima e, di conseguenza, darà vita a un verso

lungo undici sillabe.

Nel nostro caso la penultima è rappresentata da CU in osCUra, e da RI

in smarRIta; se ci si lancia subito in un conteggio metrico notiamo che

CU e RI rappresentano le rispettive decime sedi dei due versi e che,

essendo accentate, portano necessariamente ad un verso lungo undici

sillabe.

Page 20: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Marcabru

19

La risposta, ancora una volta, vien da sé: Un endecasillabo è un verso che

pone l’accento caratteristico sulla sesta e sulla decima sillaba, ed essendo

le parole italiane per la maggior parte piane, ne consegue che,

accentando la decima (la quale equivale alla penultima), il verso risulta

lungo ben undici sillabe.

Ma non basta. Torniamo ancora a Dante e alla Commedia, questa volta

al verso 22 e seguenti del Canto I dell’Inferno:

E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva,

si volge a l’acqua perigliosa e guata

Notiamo subito che i tre versi hanno in comune l’accento caratteristico

sulla decima sillaba e che ne sono lunghi esattamente undici. Tuttavia

vengono messe in risalto, oltre alla decima, la quarta sede al posto della

sesta, nei primi due versi; e la quarta, la sesta e la decima insieme nel

terzo. Questo perché l’endecasillabo richiede talvolta accento

caratteristico anche in quarta.

Per rispondere dunque in maniera completa alla fatidica domanda

“Cos’è un endecasillabo?”, diciamo: Un endecasillabo è un verso che pone

l’accento caratteristico sulla quarta e/o sulla sesta sillaba e anche sulla

decima.

Come esempio ultimo e riassuntivo dei due schemi metrici, e per non

restare eccessivamente legati ad una visione arcaica o eccessivamente

scolastica della metrica, propongo infine un vivace ed attento ascolto alla

parte iniziale de La canzone del sole di Lucio Battisti, che abbina in

maniera magistrale settenari ed endecasillabi perfetti:

Page 21: Mosse di seppia numero 0

Appunti di metrica e poetica Mosse di seppia

20

Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi

le tue calzette rosse

e l'innocenza sulle gote tue

due arance ancor più rosse

e la cantina buia dove noi

respiravamo piano

e le tue corse, l'eco dei tuoi no […]

Page 22: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Agorà

21

NAPOLI Mario Fevola

A Piazza Dante

un pugno di ragazzi

gioca a calcio tra due borse e

un palo della luce.

A Galleria Umberto

casca il gelato a una bambina,

il gelataio le posa

un'altra palla

di nocciola sul cono.

A Port'Alba

un violinista

suona Caruso,

mentre un vecchietto scava

fra i libri

trovando Nietzsche.

Al Borgo Marinaro

tra gli scogli e i caffè

sul lungomare,

due ragazzi si baciano

e ridono.

Rido pensando

che un tempo avremmo

potuto essere noi.

Page 23: Mosse di seppia numero 0

Poesie e racconti Mosse di seppia

22

OGNI VOLTA CHE TI STRINGO Mario Fevola

Ogni volta che ti stringo

Io sono oceano di tristezza,

e Tu sponda sabbiosa

ad asciugare i miei rigetti.

Perderti silenziosa per il mare,

sei onde uguali ad un delfino

che guizzando saluta la nave

ricoperta da spuma di addio.

Page 24: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Agorà

23

GLI OCCHI DELL’ESTATE Lisa Davide

LA NOTA Lisa Davide

Vorrei avere gli occhi dell’estate

per vedere tutto in fiore.

Ma solo per un attimo perché

non riesco più a scordare

quel giorno d’inverno che ci siamo incontrati.

Nessun fiore mai

vale il tuo passo

il tuo sorriso

il mio cuore che ti ama.

Un viaggio e una valigia, partirò.

Due mani e un pianoforte, suonerò.

Ma il mio amore e i tuoi occhi, scriverò.

La nota a margine

di una poesia

che sei già tu.

Page 25: Mosse di seppia numero 0

Poesie e racconti Mosse di seppia

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LA MORTE È CAMBIATA Lisa Davide

Ora che sei distante

cambia tutto e cambia la morte

Ora risponde a tante

domande nel tuo nome

come due occhi fissi in uno sguardo.

Page 26: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Agorà

25

MIA NONNA Lucia Ronga

Mia nonna.

Mia nonna brillava

le sue mani tessevano e

tessevano adagio.

Ferma, ferma, un minuto

soltanto, no, non poteva.

Ma con i suoi occhi cobalto

lei mi insegnava tanto.

Era lì, sulla seggiola.

Parlava piano

e sorrideva.

Attenta, stai attenta alle dita

non farti male.

Uno, due, uno due, tre

prova a contare

ti può aiutare.

Mi ha insegnato a cucire

ma tessuti in cotone

non pelle, non sangue

né occhi né cuore.

Cucire due occhi

che tanto hanno visto

di tanto dolore.

Page 27: Mosse di seppia numero 0

Poesie e racconti Mosse di seppia

26

Cucire, lacerata

dal male, la pelle

Cucire il cuore

uno strappo profondo

Ma cucire il sangue, prosciugarlo

Quello non puoi, mi ha sempre detto.

Non posso. Ora ho compreso.

L’amore.

Page 28: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Agorà

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CONSIDERAZIONI DI DUBBIA IMPORTANZA Lucia Ronga

Ci avevo visto

tutta la vita

in quel caffè.

Le parole mozzate, le

sigarette fumate a metà.

La vita dell’Africa

ed il pianeta

che si ribella.

Ma io non bevo caffè

così mi è sembrata una farsa

non ci ho creduto e ho continuato

a dire “io ancora

non ci ho capito niente”.

Page 29: Mosse di seppia numero 0

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Mosse di seppia Tancredi

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IL MARINAIO E L’ABBANDONATA Antonio Perrone

In una notte estiva di stelle e di commiati sedevan sulla riva due tristi innamorati.

Francesco lui e lei Rosalba come il sole amanti a cui gli dèi felicità non vuole.

Francesco era in marina tenente al sesto anno Rosalba contadina (figlia di un tale Ermanno)

Guardavano le stelle tenendosi per mano sfiorandosi la pelle dell’uno all’altra piano. «Tu guarda come è bello il cielo all’ultim’ora ricopre in un mantello la nascitura aurora.»

«Il cielo è bello è vero ma bello più del cielo è il fremito sincero che c’è nel tuo parlare.»

«… Perché non resti qui?»

«Restare dici? E chi terrà il comando in mare quando il signor Marano ordinerà il salpare?»

Page 31: Mosse di seppia numero 0

Racconti in versi Mosse di seppia

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«Un altro capitano!»

«Un altro capitano… orsù dammi la mano»

Nella casacca blu dal fondo di un taschino un piccolo rubino Francesco tira su.

Lo tiene tra le dita ci gioca per un po’ lo infila poi all’amata nella sua gonna écru

«Amore non dovevi»

«Io resterei, lo sai non parto per diletto. Tu non scordarlo mai ma scorda chi l’ha detto»

«No amore non lo accetto!»

«Eppure devi eppur dobbiamo»

«Come scordare il petto sul quale mi tenevi amore non lo accetto! Francesco io ti amo!»

Francesco serrò il mento rimase silenzioso strinse i pugni in tormento per il desìo amoroso.

«Mia gioia, mia dolcezza il cuore mi si spezza mi esplode il petto, vedi! Ancor posaci il capo se non credi.»

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Mosse di seppia Tancredi

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E con la mano spinge l’amata al petto amante forte la stringe al cuore forte la tiene stretta da solo si ferisce ma tace il suo dolore.

Il cuor di un navigante è fuoco e fa faville ha mille e una amante e l’ama tutte e mille.

«O mia Rosalba, o vita!»

«…»

«Ammettilo, è finita»

Già l’alba sale in cielo ma ancor gli amanti stanno coperti sotto il velo d’amore, dolce inganno.

E l’onde chiama il mare il marinaio, feconde, che al suono della nave si volta e non risponde.

«Va via!» grida l’amante e leva al ciel lamento

O quante volte o quante! risuonerà nel vento.

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Mosse di seppia Idea!

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PIÙ LIBRI PIÙ LIBERI La fiera dell’editoria a Roma

Giulia Battinelli

“Non sarà un imbecille, però è un poeta, il che per me significa un

gradino appena più su di un imbecille.”

Suona così, provocatoria, la frase che pronuncia il Signor G, personaggio

di un racconto di Edgar Allan Poe, parlando dei poeti. Poe è lui stesso un

poeta, s’impasticcia le mani d’inchiostro, ma scrive tra le righe di un suo

libro che il poeta vale poco o niente, vale poco più d’un imbecille. È la

secolare voce del poeta, che nell’atto dello scrivere si guarda indietro a

cercare risposte, appigli, confuso e intrappolato nella sua stessa rete di

punti e virgola e apostrofi.

Ma chi è l’imbecille di cui parla Edgar Allan Poe? Soltanto chi fa poesia?

Chi vende di poesia? Chi legge di poesia? Addirittura chi s’intende di

poesia? La risposta potrebbe essere: tutti questi.

Per poesia non s’intende lirica in senso stretto, ma poesia come il

risultato più elevato del creare umano, alla maniera greca, dalla voce del

verbo poieo, fare, creare. Poeta è allora chi costruisce poesia: chi la fa, chi

la vende, chi la legge e ancor più chi se ne intende – chi ne parla. A tutti

questi, che esprimono differenti manifestazioni di un sentire unico,

quello del poeta, può capitare talvolta che manchino risorse, che manchi

lo spazio – non quello bianco della pagina, che riempiranno fino ai

margini con un fiume di parole – o il tempo – non si tratta di scadenze

editoriali o giornalistiche. Non c’è spazio. Ecco cosa direbbe un poeta

d’oggi. Non ho spazio. Si sente orribilmente soffocare tra la realtà

singhiozzante che lo circonda e, coinvolto nella febbre della modernità,

perde tempo. È questo il suo problema, dunque. Cosa fa, allora,

l’imbecille di Poe quando gli hanno mozzato piedi e braccia, gli hanno

chiuso ogni via ed è strangolato dalla sua stessa realtà? Si riunisce. Ecco,

ha trovato la sua forza.

Se c’è un poeta come me, ci devono per forza essere persone che leggono

e se ci sono persone che leggono, vuol dire, persino, che ci sono altri poeti

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Eventi e novità letterarie Mosse di seppia

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come me, pensa, allora, rincuorato. Si avvia così alla ricerca dello spazio

necessario, facendo del territorio conquistato la sede del banchetto della

cultura – loro, quei quattro imbecilli che scrivono, quei venticinque

lettori che leggono.

Da una statistica dell’ISTAT del 2011 è venuto fuori che gli Italiani che

leggono per motivi non scolastici o professionali rappresentano il 45,3%

della popolazione. Non sono cambiate molto le cose, allora, da

quell’esiguo manipolo di lettori di cui parlava il Manzoni nell’Ottocento.

“I lettori sono pochi” si lamentano professori, editori ed eruditi di tutta

Italia. “L’Italia è un paese che non dà spazio alla cultura” gridano gli

studenti dei licei e delle università, ed è tutto un vociare, un urlare

confuso in cui, però, mancano i fatti.

I fatti sono quelli reali, crudi e mai più veritieri della crisi che colpisce da

sei anni ogni settore e, non da ultimo, anche quello della cultura. In

questo clima di polemiche e nostalgiche ramanzine, si è presentata

anche quest’anno, a Roma, la Fiera della piccola e media editoria Più libri

più liberi, dal 5 all’8 dicembre scorso, con sede al Palazzo dei Congressi

dell’Eur.

Si tratta della dodicesima edizione di questa fiera, che si propone di

trovare spazio: per gli autori affinché si presentino, per i lettori affinché

sfamino le loro curiosità dirompenti e per gli editori affinché

mantengano vivo il grande mercato del libro. Si vuole combattere la

carenza di spazio: ecco perché, quest’anno, il programma della fiera si è

esteso al di là del consueto confine dell’Eur, per approdare nella città di

Roma, con la proposta del progetto off Più libri più luoghi, il quale dal 27

novembre al 4 dicembre ha preceduto la fiera vera e propria, ospitando

una serie di eventi di ogni genere in numerose location della capitale (i

dati parlano di tre municipi, trentotto editori, cinquanta librerie,

l’Istituzione Biblioteche di Roma ed altri spazi cittadini).

Più di cinquecento gli eventi tra presentazioni di libri, reading, concerti

e tavole rotonde. Numerosi gli ospiti presentati, i burattinai della

commedia del libro: soltanto alcuni nomi tra i tanti sono Tahar Ben

Jelloun (autore di Il razzismo spiegato a mia figlia), Andrea Camilleri

(con il suo ultimo successo La banda Sacco), Massimo Carlotto,

Page 36: Mosse di seppia numero 0

Mosse di seppia Idea!

35

Francesca Comencini, Erri De Luca (presentatosi con l’ultimo dei suoi

numerosi scritti, Storia di Irene), Diego De Silva, Melania Mazzucco

(tornata in libreria con Sei come sei), Marco Malvaldi (reduce dal grande

successo di Argento vivo) ed ancora il giovane maestro del fumetto

italiano, l’aretino romanizzato Zerocalcare, che sarà stato senza dubbio

felice di giocare in casa.

L’idea nasce ambiziosa, niente barriere d’età: il pubblico più giovane non

poteva mancare ed è stato eletto a protagonista con il suo vociare di

sottofondo – viva la speranza che si trasformi, in un domani non remoto,

in un altavociare concreto e intelligente – adatto a farsi sentire.

Tutto questo nell’ambito del progetto Più libri Junior, fatto di tante idee,

dalla lettura di libri e filastrocche, fino alla più orgogliosa partecipazione

dei bimbi a veri e propri laboratori del libro, in cui mettere in tavola la

loro fantasia.

Non è solo il mondo dell’utente, del lettore, che corre sfrenato da uno

stand all’altro, ma è anche la realtà dell’editore ad essere stata messa in

gioco in quest’occasione. Non è casuale che la fiera prenda luogo a Roma,

che è terreno vivo per l’editoria italiana, sede di numerose case editrici e

centri di sperimentazione e lavorazione del libro.

Il libro è il prodotto finito di un lungo lavoro che nasce tra le mani

dell’autore, ma cresce e prende forma tra quelle dell’editore, colui che

tramuta l’ambizione astratta dell’autore nella creazione concreta del

manufatto. È infatti proprio l’editore che rende l’oggetto–libro più

godibile, più reale, che si appresta a combattere la sete del mercato.

Tante sono state, a tal proposito, le tavole rotonde alle quali si sono

presentati numerosi esponenti del settore, editori, grafici, esperti del

marketing, tutti al lavoro per cambiare i numeri, che al momento sono

deludenti. Ogni anno sono presentate sul mercato più di 50.000

creazioni, di cui solo il 25% (un libro su quattro) ha esito favorevole nella

pubblicazione; sono dati che spaventano piccoli e medi editori di

tutt’Italia, a fronte della sempre crescente espansione dell’impero del

libro che detengono i grandi gruppi editoriali.

Page 37: Mosse di seppia numero 0

Eventi e novità letterarie Mosse di seppia

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Più libri più liberi è la fenice che si rialza dalle ceneri della crisi, è un

tentativo, quanto mai valido, di mettere in discussione il mondo del

libro, di capirlo, guardarlo da vicino, accostarvisi con passo felpato e

sguardo silente, custodendo il frutto prezioso di questo oggetto: l'essere

libero.