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93 MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VENEZIA LE COLLEZIONI DEL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VENEZIA ALCUNE PROPOSTE DI PERCORSO Maria Cristina Dossi Il Museo Archeologico Nazionale di Venezia è situato in una delle piazze più belle al mondo, Piazza S. Marco, e raccoglie un’importante raccolta di sculture antiche, fra le quali alcuni considerevoli originali greci e un buon numero di opere romane. Possiede inoltre un ricchissimo fondo numismatico, un'interessante raccolta ceramica, bronzi e gemme di inestimabile valore. La sua storia è notevolmente diversa dagli altri musei archeologici del Veneto, poiché le sue collezioni si sono costituite nel corso dei secoli grazie alle ricche donazioni di alcuni patrizi veneziani alla Repubblica: non sono quindi presenti reperti da scavo, a parte qualche rara eccezione, ma una ricca raccolta di opere provenienti da tutto il bacino mediterraneo e dal mondo romano. Il primo donatore fu il cardinale Domenico Grimani (1461–1523), appartenente alla ricca famiglia dei Grimani di Santa Maria Formosa: lasciò in testamento la sua collezione che aveva radunato negli anni in cui era residente a Roma: la sua volontà era di offrire alla città un bene di inestimabile valore e di perpetuare la memoria delle sue azioni e di quelle del padre, il doge Antonio. Nel 1499 la flotta veneziana era stata sconfitta dai turchi nella battaglia dello Zonchio ed Antonio, il comandante, era stato ritenuto il responsabile della sconfitta e, come tale, condannato a morte. La pena venne poi commutata in esilio a vita nell’isola di Cherso. Il Grimani riuscì però a fuggire e a ritirarsi a Roma presso il figlio da dove, nei difficili momenti della Lega di Cambrai, condusse una delicata operazione diplomatica a favore della Serenissima per convincere papa Giulio II ad avvicinarsi alla fazione veneziana. Come segno di riconoscenza la città revocò la condanna fino ad eleggerlo doge. Le opere riunite da Domenico furono ritrovate per la maggior parte a Roma, dove nei primi decenni del Cinquecento ferveva l'attività di scavo: tra i pezzi donati alla Repubblica ricordiamo in questa sede

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MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DI VENEZIA

LE COLLEZIONI DEL MUSEO ARCHEOLOGICO

NAZIONALE DI VENEZIA ALCUNE PROPOSTE DI PERCORSO

Maria Cristina Dossi Il Museo Archeologico Nazionale di Venezia è situato in una delle piazze più belle al mondo, Piazza S. Marco, e raccoglie un’importante raccolta di sculture antiche, fra le quali alcuni considerevoli originali greci e un buon numero di opere romane. Possiede inoltre un ricchissimo fondo numismatico, un'interessante raccolta ceramica, bronzi e gemme di inestimabile valore. La sua storia è notevolmente diversa dagli altri musei archeologici del Veneto, poiché le sue collezioni si sono costituite nel corso dei secoli grazie alle ricche donazioni di alcuni patrizi veneziani alla Repubblica: non sono quindi presenti reperti da scavo, a parte qualche rara eccezione, ma una ricca raccolta di opere provenienti da tutto il bacino mediterraneo e dal mondo romano. Il primo donatore fu il cardinale Domenico Grimani (1461–1523), appartenente alla ricca famiglia dei Grimani di Santa Maria Formosa: lasciò in testamento la sua collezione che aveva radunato negli anni in cui era residente a Roma: la sua volontà era di offrire alla città un bene di inestimabile valore e di perpetuare la memoria delle sue azioni e di quelle del padre, il doge Antonio. Nel 1499 la flotta veneziana era stata sconfitta dai turchi nella battaglia dello Zonchio ed Antonio, il comandante, era stato ritenuto il responsabile della sconfitta e, come tale, condannato a morte. La pena venne poi commutata in esilio a vita nell’isola di Cherso. Il Grimani riuscì però a fuggire e a ritirarsi a Roma presso il figlio da dove, nei difficili momenti della Lega di Cambrai, condusse una delicata operazione diplomatica a favore della Serenissima per convincere papa Giulio II ad avvicinarsi alla fazione veneziana. Come segno di riconoscenza la città revocò la condanna fino ad eleggerlo doge.

Le opere riunite da Domenico furono ritrovate per la maggior parte a Roma, dove nei primi decenni del Cinquecento ferveva l'attività di scavo: tra i pezzi donati alla Repubblica ricordiamo in questa sede

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solo la statua di Ulisse, copia romana del secondo secolo d.C. da un originale ellenistico e il cosiddetto Ritratto dell’imperatore Vitellio, in realtà realizzato nella prima metà del II secolo d.C., tra le opere più famose e ammirate, tanto da ispirare nel corso dei secoli numerosi artisti, tra cui Veronese, Tintoretto, Jacopo Bassano e Palma il Giovane. I sedici pezzi scelti dalla Repubblica furono inizialmente alloggiati nella sala delle teste in Palazzo Ducale. Il nipote di Domenico ebbe la stessa passione dello zio: Giovanni, patriarca di Aquileia, era un uomo di raffinata cultura umanistica, di acuta sensibilità verso le antichità e le arti a lui contemporanee, disponendo di una discreta ricchezza. L'antico palazzo di famiglia presso Santa Maria Formosa venne restaurato e completato proprio da Giovanni, secondo schemi che appartengono più alla tradizione centroitaliana che a quella veneziana. La maggior parte della collezione di anticaglie era posta nella Tribuna, un ambiente quadrato, illuminato da una lanterna centrale dove i reperti erano collocati secondo un principio di ordine e simmetria; il fascino e la suggestione della stanza rendeva quasi doverosa la visita al palazzo – tra gli ospiti si ricordano in particolare Enrico III di Francia e Alfonso d'Este - che era arricchito da opere classiche anche in altri ambienti. Anche la vita di Giovanni fu colpita da una grave accusa: in seguito ad alcuni mormorii e, soprattutto, ad una lettera del 1546 in cui sembrava difendere alcune posizioni luterane, il patriarca di Aquileia venne incolpato di eresia. Completamente scagionato nel 1563 da una commissione riunita durante il Concilio di Trento, non riuscì comunque mai a raggiungere l'ambita porpora cardinalizia. Il 3 febbraio del 1587, more veneto 1586, Giovanni, temendo la dispersione della collezione e volendo omaggiare la città, offriva la sua collezione di antichità, circa 200 pezzi alla Repubblica, chiedendo di trovare un luogo che fosse adeguato alla bellezza delle opere: venne scelta l'Antisala della libreria Marciana. Nasce così lo Statuario della Serenissima. Alla morte del patriarca Grimani, avvenuta nel 1593, gli eredi contestarono la donazione e, dopo un lungo contenzioso, riuscirono ad ottenere che i rilievi infissi nei muri e alcune grandi statue rimanessero nel palazzo. Ne risentì la disposizione delle opere nell'Antisala Marciana: il progetto era stato elaborato dallo stesso Giovanni e la privazione di alcuni dei pezzi più importanti ne metteva in discussione le sue volontà, evidenziando la necessità di riempire i vuoti rimasti. E' Federico Contarini (1538-1613), che aveva seguito i lavori di allestimento, a risolvere la situazione, offrendo 17 sculture

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antiche, tra cui pregevoli originali greci, scelte dalla sua bellissima collezione. In seguito sono molti i patrizi veneti che offrono le proprie collezioni o parte di esse alla Serenissima: si ricordano Giacomo Contarini (1536–1595): le sue opere entreranno però nello Statuario all’estinzione della discendenza maschile, solo nel 1713 e Giovanni Mocenigo (1531–1598) per i marmi, Pietro Morosini (1611–1683) e Domenico Pasqualigo (1674–1746) per la collezione numismatica.

Continuarono a confluire nella ormai ricchissima raccolta anche i beni del convento di San Giovanni di Verdara di Padova, soppresso su decisione della Repubblica nel 1783: le collezioni furono smembrate e affidate a varie istituzioni. Al futuro Museo Archeologico arrivarono alcuni bronzi rinascimentali “all'antica”, come l’Adriano attribuito a Ludovico Lombardo, gemme, avori e monete. Un'altra importante donazione si deve a Girolamo Zulian (1730–1795), importante uomo politico della seconda metà del Settecento: la collezione era costituita da opere romane, greche, bronzi, gemme e da ceramiche. La sua dimora padovana era abbellita da marmi romani, provenienti anche da Palazzo Venezia, sede degli ambasciatori veneti presso la Santa Sede, incarico ricoperto da Zulian dal 1779 al 1783, e da opere greche dal Mediterraneo orientale (Costantinopoli e Alessandria in particolare) dove era stato portato dalla sua brillante carriera diplomatica. Molto amico di Antonio Canova, si faceva consigliare dall'artista per i suoi acquisti: la loro corrispondenza continuò anche quando Zulian rientrò in patria; i pezzi arrivavano in Veneto e sotto la supervisione dello scultore. Nel suo palazzo veneziano conservava la raccolta di glittica: il pezzo più famoso è il cammeo raffigurante Giove Egioco, notevole esemplare della glittica antica per la squisita fattura e l'innegabile eleganza. Un nucleo, poco considerato dallo stesso collezionista, riguarda le antichità egizie, usate spesso come merce di scambio per le più amate opere classiche: oggi è presente in museo una piccola, ma interessante, scelta di reperti egizi. Siamo ormai alla fine della lunghissima storia della Repubblica di Venezia e la sala dello Statuario non riesce più a contenere i marmi che si stipavano da ogni dove: Canova e il custode della collezione, Jacopo Morelli, provarono a studiare un modo per distribuire le statue anche negli altri ambienti di Palazzo Reale. Non ci fu il tempo per ampliare e sistemare il museo: con la caduta della Serenissima cominciarono le pressioni per spostare le sculture in Palazzo Ducale; ciò avvenne nel 1811, quando le opere ricevettero una sistemazione

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negli spazi della sala del Maggior Consiglio e in quella dello Scrutinio, sistemazione approssimativa e priva dei chiari criteri di lettura estetica che avevano reso famoso lo Statuario. Continuarono comunque le donazioni alle raccolte archeologiche della città: Venezia è ora parte dei domini asburgici, prima, e del Regno d'Italia poi; i collezionisti offrono le loro opere alla città di Venezia e quindi al nuovo Museo Civico Correr. Queste opere saranno depositate presso il Museo Archeologico dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto la direzione di Bruna Forlati Tamaro. Girolamo Ascanio Molin (1738–1813), uomo politico di spicco e importante collezionista, destinò al Museo una ricca raccolta archeologica, costituita di marmi, bronzi, cammei, vetri, ceramiche, monete e alcuni reperti egizi. Giovanni Davide Weber (morto a Venezia nel 1847), industriale, collezionista e mercante d'arte tedesco, come segno del suo amore per Venezia, donò una notevole selezione di marmi, acquistati nell'ancora fiorente mercato antiquario. Verso la fine dell'Ottocento, alcuni bassorilievi di arte assira, provenienti dai palazzi reali di Ninive e Nimrud, furono donati da Austen Henry Layard (1817–1894) in ricordo delle sue campagne di scavo in Mesopotamia. Nel 1899 Salvatore Arbib donò alle collezioni civiche alcuni reperti egizi, tra cui due mummie del I- II sec. d.C. Dopo le vicende belliche della Prima Guerra Mondiale, che videro il ricovero delle opere a Firenze, si assegnarono alle collezioni archeologiche alcune sale delle Procuratie Nuove, prossime all'antica sede dello Statuario. L'allestimento, seguito da Carlo Anti, docente di archeologia a Padova, seguiva i criteri storico-artistici comuni alla sua epoca: si cominciava quindi dall'arte della Grecia arcaica per arrivare al ritratto e ai rilievi di epoca romana. Inoltre, il desiderio di tornare alla forma “originale” dell'opera classica spinse l'Anti – come molti altri suoi colleghi in tutta Europa - ad eliminare molti dei restauri storici che avevano completato le statue antiche fin dal Cinquecento: la perdita di questi interventi, molto spesso eseguiti da grandi artisti, quali i Lombardo, Alessandro Vittoria, Tiziano Aspetti, ci priva del confronto, importantissimo dal Rinascimento in poi, tra opera antica e intervento moderno e, allo stesso tempo non ci permette di godere la statua nella sua originalità, poiché il restauro e la storia ne avevano ineluttabilmente già cambiato l'aspetto. Nel 1961, ad arricchire ulteriormente le raccolte veneziane fu la definitiva assegnazione all’Italia, nell’ambito degli accordi post-bellici, di parte delle collezioni del Museo di San Donato di Zara, comprendente ceramiche, vetri, gemme e gioielli: nei primi anni

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Quaranta, durante il conflitto mondiale, si decise di ricoverare per motivi di sicurezza i beni dell'Istria e della Dalmazia, allora sotto la sovranità italiana, presso Palazzo Ducale. Le casse in cui erano conservati furono quasi dimenticate fino ai primi anni Sessanta quando si giunse ad un accordo che prevedeva il ritorno in Jugoslavia di alcune statue di età imperiale e la cessione degli altri reperti, per la maggior parte ritrovati presso la necropoli di Nona, allo stato italiano. Al 1982 si data infine la donazione di armi e utensili protostorici e di un elmo a calotta carenata di produzione etrusca da parte di Giancarlo Ligabue: si tratta di un notevole gruppo di bronzi – purtroppo non tutti esposti - che provengono dalla zona di Treviso, spesso ritrovati durante i lavori di cava presso il fiume Sile. Secondo gli studiosi, questi manufatti, di cui fortunatamente si ha un'indicazione certa di provenienza, erano destinati a tombe o a depositi votivi. La collezione Ligabue ha quindi origine da una raccolta privata e al tempo stesso è costituita da materiali rinvenuti nel territorio veneto. A conclusione di questo breve excursus sulla storia del Museo Archeologico, restano da segnalare alcuni oggetti provenienti da ritrovamenti fortuiti, come le monete dei ripostigli di Meolo e Albaredo d’Adige che hanno arricchito la già cospicua collezione numismatica, la capsella di Samagher (presso Pola), importantissima testimonianza dell'arte eburnea della prima metà del V secolo a.C., il piatto in argento di Castelvint (località presso Mel in provincia di Belluno), raro esemplare di produzione alessandrina. Pochissimi bronzi provengono dal territorio prossimo a Venezia: il Poseidone, rinvenuto nel 1963 al largo di Malamocco; il Cinghiale di Lova di Campagna Lupia; l'applique con guerriero di Oderzo (TV). Negli ultimi anni due iniziative hanno caratterizzato le vicende del Museo: nel 1997 la mostra sullo Statuario con la ricostruzione dell’allestimento di due pareti dell’Antisala Marciana e, nel 1999, l’apertura del percorso integrato di Piazza San Marco. L’esposizione del 1997 ha avuto il merito di far conoscere le collezioni archeologiche, un po’ trascurate nei percorsi veneziani e per questo si è deciso di lasciare le opere sulle pareti dello Statuario. La scelta, anche se motivata dall’indubbio fascino del luogo, non consente la migliore conservazione delle opere e non permette uno studio diretto delle stesse. Il Percorso Marciano ha consentito un notevole incremento del numero dei visitatori, che spesso però non riescono a rendersi conto delle diverse realtà museali: non c’è soluzione di continuità tra le collezioni del Museo Civico Correr, attinenti alla storia della città e

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che comprendono anche una ricca pinacoteca, quelle statali archeologiche e le Sale Monumentali della Biblioteca Marciana – tra cui anche lo Statuario - ospitanti spesso mostre che poco si collegano agli altri istituti. Negli ultimi anni si è quindi deciso di potenziare gli apparati didattici in varie lingue e di impegnarsi nell’attività con le scuole, contando sull’importanza della conoscenza scolastica come primo mezzo per la difesa e la tutela del nostro patrimonio nazionale. Oggi il Museo Archeologico è tra gli istituti della Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Veneziano, che comprende anche le Gallerie dell'Accademia, la Galleria Franchetti alla Ca' d'Oro, il Museo d'Arte Orientale e il futuro Museo di Palazzo Grimani, con il quale sarà strettamente legato. Con questa scelta si è inteso sottolineare il legame delle collezioni archeologiche con la storia e lo sviluppo dell'arte veneta e la sua eccezionalità per la storia del collezionismo. Gli esempi paragonabili alla sua formazione non trovano facilmente dei paralleli; lo Statuario è stato, con i Musei Capitolini, tra le prime collezioni pubbliche di scultura classica; ha costituito una palestra artistica e di confronto per gli scultori e i pittori dal Rinascimento in poi; è stato testimone e vittima degli eventi storici e culturali dal Cinquecento fino ai nostri giorni. Per concludere, si presenta un quadro generale dell’attività didattica svolta presso il museo, dando una breve introduzione per tutti i percorsi proposti.

La statuaria antica Prendendo spunto dalla eccezionale raccolta di statue e rilievi in marmo, il percorso si propone di far conoscere la scultura antica analizzandone tipologie, materiali, tecniche e modelli iconografici, nonché i diversi utilizzi e funzioni. Il ritratto antico Il percorso presenta la storia del ritratto dall’antica Grecia a Roma, specificandone funzioni e significato e introducendo i concetti di ritratto intenzionale, tipologico, fisiognomico-realistico; una particolare attenzione viene dedicata alla ritrattistica romano-imperiale, di cui si conservano numerosi esempi (Augusto, Tiberio, Domiziano, Traiano, Adriano, Settimio Severo, per ricordarne alcuni) e alla sua funzione propagandistica.

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La scrittura nel mondo antico Il percorso è dedicato all’evoluzione dei sistemi di scrittura, dai pittogrammi agli alfabeti, con particolare attenzione al cuneiforme, ai geroglifici e all’alfabeto greco e romano, attraverso l’analisi e la lettura delle testimonianze epigrafiche di ambito pubblico, religioso e funerario conservate nel museo. Dioniso e il dono del vino Partendo dalle immagini di Dioniso e dei personaggi del suo corteo, satiri e menadi, il percorso si sofferma sulla figura del dio che donò il vino agli uomini, presentandone prerogative, attributi e caratteristiche; quindi, l’attenzione si sposta al vino e al rituale del simposio analizzato attraverso le raffigurazioni sui rilievi funerari e le forme e le funzioni del vasellame da mensa. Caron dimonio con occhi di bragia. La celebrazione della morte presso gli antichi È un percorso dedicato alla sfera funeraria, che affronta il concetto di morte e di vita oltre la morte presso greci e romani, presentando i rituali e le usanze legate alla sepoltura, al culto dei morti e alla loro memoria attraverso l’analisi dei monumenti funerari esposti (rilievi funerari, stele, altari, urne, sarcofagi) e delle ceramiche da mensa che componevano i corredi. Alla ricerca dell’eternità. I riti funerari degli E gizi Dedicato alla piccola collezione di antichità egizie del museo, che comprende due mummie ed altri oggetti di ambito ed uso funerario, il percorso illustra i rituali di sepoltura degli antichi egizi, le loro credenze religiose e ultraterrene, prendendo spunto dall’osservazione e dall’analisi degli oggetti che componevano i corredi funebri e soffermandosi sulle tecniche di mummificazione.

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PERCORSO MUSEALE UN ESEMPIO: DEI ED EROI

DEL MONDO ANTICO

Maria Cristina Vallicelli Le origini collezionistiche del Museo Archeologico Nazionale di Venezia conferiscono a questo museo un carattere molto particolare, che non si lega all’archeologia del territorio, ma alla storia del collezionismo di antichità veneziano, che ci ha lasciato una ricca e preziosa raccolta di opere e manufatti antichi di varia natura e provenienza. Tra i materiali che il museo conserva, il nucleo più consistente è rappresentato dalle sculture in marmo, principalmente copie e rielaborazioni romane di modelli greci ma anche un pregevole gruppo di originali greci attraverso i quali è possibile ripercorrere gli sviluppi dell’arte antica dall’età classica all’età ellenistica. Particolarmente noti sono, al riguardo, il gruppo delle “Statuette Grimani” altrimenti note come “Peplophoroi”, originali greci di fine V - metà IV sec. a.C. identificabili con Demetra e Kore; la cosiddetta “Cleopatra”, in realtà una statua di Musa di produzione tardo-ellenistica reinterpretata da un restauro cinquecentesco attribuito a Tullio Lombardo; l’Ulisse e le tre statue di Galati, copie romane di originali ellenistici, rinvenuti a Roma e appartenenti alla collezione di Domenico Grimani. Numerosi sono i rilievi, che appartengono principalmente a monumenti funerari di ambito greco e romano, quali stele, urne, altari e sarcofagi; altri hanno carattere votivo, come quelli greci a Eracle e a Ares e Afrodite o quelli romano-imperiali di Mitra che uccide il toro e del Trono di Saturno. Celebre è anche la cosiddetta “Ara Grimani”, probabile base di statua di officina romana realizzata nel I sec. a.C., elegantemente decorata a rilievo con soggetti dionisiaci. Di grande interesse è la galleria dei ritratti appartenenti alle collezioni di Domenico e Giovanni Grimani; gli esemplari esposti coprono un arco cronologico che va dal III sec. a.C. fino a oltre il III sec. d.C. e comprendono opere greco-ellenistiche (quale il ritratto di Tolomeo III Evergete) e soprattutto esempi di ritrattistica romana repubblicana e imperiale (lo pseudo-Silla, Pompeo, Augusto, Traiano per ricordarne alcuni). Oltre ai marmi, il museo conserva una consistente collezione di ceramiche antiche delle quali espone una accurata selezione: i materiali esposti vanno dal IX al III sec. a.C. e comprendono ceramica

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greca e italiota figurata, ceramica a vernice nera, buccheri etruschi e ceramiche venete preromane. Si tratta per lo più di vasellame da mensa e piccoli contenitori per profumi, provenienti quasi certamente da contesti tombali dove erano stati deposti come corredo funebre. Molto ricca è la collezione numismatica, che ammonta attualmente a oltre 9000 esemplari greci, romani, ostrogoti, bizantini e veneziani; l’esposizione è dedicata principalmente alla monetazione romana, dall’età repubblicana a quella imperiale, e presenta inoltre alcuni esempi di “contorniati” (pseudo-monete di età tardo romana), il ripostiglio di denarii d’argento rinvenuto a Meolo e un gruppo di monete greche soprattutto di zecche adriatiche orientali dalla collezione del Museo di San Donato di Zara. Infine, oltre all’esposizione di un gruppo di bronzetti di produzione etrusca e romana e alla collezione di intagli e cammei di età ellenistica e romana, va ricordato il nucleo di antichità egizie e assiro-babilonesi, tra le quali due mummie, un papiro frammentario con testi tratti dal Libro dei Morti, due esemplari di statua cubo, alcuni vasi canopi ed altri oggetti di uso funerario. Proprio prendendo spunto dalla particolare natura e dalla diversa tipologia di questi materiali sono stati pensati ed elaborati i percorsi didattici a tema, che affrontano i principali aspetti del vivere quotidiano, della cultura e dell’arte nel mondo greco e romano. I percorsi sono rivolti alle scuole di ogni ordine e grado, dalle elementari alle secondarie inferiori e superiori, adattando contenuti, livello di approfondimento e linguaggio all’età ed alle competenze delle classi. Tra le varie proposte disponibili, viene presentato in questa sede il percorso dedicato alla mitologia classica, “Dei ed eroi del mondo antico”, che è senza dubbio la scelta verso la quale i docenti si orientano più frequentemente. L’idea di un percorso mitologico, suggerito dalle numerosissime rappresentazioni di divinità e soggetti mitici tra le opere esposte, nasce con l’intento di avvicinare gli studenti al mondo e all’arte antica attraverso una chiave di lettura curiosa e affascinante quale può essere la narrazione delle complesse vicende di cui sono protagonisti dei ed eroi. Gli obiettivi sono quelli di comprendere il mito, le sue origini ed il suo significato, associando la narrazione all’analisi iconografica e stilistica delle immagini presenti nel museo, che offrono un riscontro immediato e concreto di come gli antichi concepivano e rappresentavano le divinità e i personaggi del mito.

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Il percorso si articola sostanzialmente in due momenti. Il primo è volto a fornire alcune informazioni di carattere generale sul significato della parola “mitologia”, sull’origine e le funzioni del mito, sui caratteri della religione greca e sui concetti basilari di politeismo, antropomorfismo e metamorfosi; inoltre, facendo riferimento alla Teogonia di Esiodo, si ripercorre a grosse tappe la storia della nascita degli dei, dalla prima coppia divina, Urano e Gea, fino alle più note divinità olimpiche. Il secondo momento consiste nella visita vera e propria attraverso le sale del museo, seguendo un percorso “mirato” che seleziona e considera solo le opere che hanno attinenza con l’argomento trattato. Di ogni opera selezionata si offre una dettagliata descrizione storico-artistica ma soprattutto iconografica, che punta l’attenzione sulle modalità di rappresentazione delle divinità e sull’importanza degli attributi che le contraddistinguono; si approfondiscono caratteristiche e significati del soggetto rappresentato e si richiamano le principali vicende mitiche ad esso legate. In questa fase il percorso offre, inoltre, la possibilità di coinvolgere direttamente gli studenti in un esercizio di “riconoscimento” e di “applicazione” di conoscenze già note o apprese nella fase introduttiva, invitandoli all’interazione e ad una partecipazione attiva alla visita. I materiali analizzati durante il percorso consistono quasi esclusivamente in statue e rilievi in marmo, che rappresentano le principali divinità greche ed alcuni famosi eroi. Le sculture sono principalmente copie romane di opere greche, ma sono presenti anche preziosi originali di età classica ed ellenistica. Zeus, signore dell’Olimpo, figlio di Crono e Rea, è rappresentato con i suoi principali attributi, scettro, fulmine ed aquila, nella riproduzione romano-imperiale di un originale attribuibile a Lisippo (fig. 16). Al dio e alle sue avventure con gli umani si ricollegano inoltre due gruppi scultorei: Leda sedotta dal cigno, unione dalla quale nasceranno i Dioscuri ed Elena di Troia; l’aquila che rapisce Ganimede, giovane di rara bellezza che sarà portato sull’Olimpo per diventare il coppiere degli dei.

Poseidone, dio del mare, è raffigurato in un bronzetto romano ispirato ad un originale greco attribuibile a Lisippo, con il tridente ed il delfino.

Una statua greca di età classica rappresenta Demetra, dea dell’agricoltura, con il polos sul capo coperto dal mantello. Un frammento di sarcofago a ghirlande di età romano-imperiale

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rappresenta, invece, l’episodio del rapimento di sua figlia Persefone da parte di Ade, signore degli Inferi, che ne farà la sua sposa, famosissimo mito dell’antichità correlato all’alternarsi delle stagioni.

Numerose sono le raffigurazioni di Atena, una statua ed alcuni busti che la rappresentano con il capo elmato e il gorgoneion, donatole da Perseo, al centro dell’egida (fig. 17); figlia di Zeus e della sua prima moglie Metis, Atena nasce direttamente dalla testa del padre, già armata di tutto punto; dea della sapienza ma anche delle arti femminili, offre lo spunto alla narrazione di alcune vicende quali l’episodio di Aracne trasformata in ragno e l’avventura di Perseo per uccidere la Gorgone Medusa. Un raffinato piatto in argento del V sec. d.C. rinvenuto a Mel, inoltre, rappresenta l’episodio di Tiresia, punito con la cecità per averla vista nuda durante il bagno, ma poi compensato della perdita con il dono della preveggenza.

Apollo, figlio di Zeus e della ninfa Latona, è raffigurato sia con arco e frecce, in una copia romana dell’Apollo Liceo di Prassitele, sia con la cetra, quale dio della musica e delle arti in genere, alle quali rimanda anche la grande statua della Musa Melpomene, che regge in mano una maschera tragica. Due statue, inoltre, rappresentano la sorella gemella del dio, Artemide, dea della caccia, con arco e faretra ed il cane al suo fianco. Alle loro vicende si riconnette l’episodio della strage dei Niobidi rappresentato sulla fronte di un sarcofago romano, dove i quattordici figli di Niobe vengono uccisi a colpi di freccia dalla coppia divina per vendicare l’onore della madre Latona. Un accenno va fatto anche ad Asclepio, figlio di Apollo e di Coronide, dio della medicina, ritratto con il serpente avvolto intorno al bastone.

Numerose sono le raffigurazioni di Dioniso, dio del vino, figlio di Zeus e di Semele, con il capo cinto da una corona di edera, come pure dei personaggi del suo corteo, i Satiri con attributi ferini e le Menadi. Un rilievo da sarcofago, inoltre, lo rappresenta insieme ad Arianna, figlia di Minosse, che il dio incontra sull’isola di Nasso dove era stata abbandonata da Teseo.

Afrodite, dea della bellezza nata dalla schiuma del mare, è raffigurata in alcune copie romane di originali greci di età ellenistica; spesso compaiono al suo fianco un delfino e il piccolo Eros, suo figlio, dio alato dell’amore, ritratto anche singolarmente mentre incorda l’arco con il quale lanciava le sue frecce d’oro o di piombo per generare l’amore o l’odio.

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Meno frequenti sono le immagini degli eroi. Un bronzetto romano del I sec. d.C. rappresenta Eracle, figlio di Zeus e della regina Alcmena, con la clava e con la pelle di leone e i pomi delle Esperidi, in riferimento a due delle celebri dodici fatiche compiute al servizio di Euristeo, re di Micene. Tra le opere più famose del museo è la statua di Ulisse (fig. 18), copia romana di un originale ellenistico, che ritrae l’eroe omerico con la barba ricciuta, vestito solo di un corto mantello e con il capo coperto dal pileus, una sorta di berretto appuntito; la statua faceva probabilmente parte di un gruppo che lo raffigurava insieme a Diomede nell’impresa del ratto del Palladio dal santuario di Atena sull’acropoli di Troia. Di un altro famoso eroe omerico, Achille, offre una bella immagine l’applique in bronzo rinvenuta ad Oderzo (TV) che lo rappresenta nel gesto di disarcionare Troilo. Un ultimo accenno merita la lastra di loculo della metà del II sec. d.C. che narra la vicenda di Cleobis e Biton, figli di Cidippe, sacerdotessa di Era, che ottennero dagli dei, come compenso ai servigi offerti alla madre, il dono della morte.

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Fig. 16 Zeus, copia romana di II sec. d.C. da un modello lisippeo. Collezione Giovanni Grimani

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Fig. 17 - Atena, opera greca della fine del V sec. a.C. Collezione Federico Contarini

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Fig. 18 - Ulisse, copia romana di II sec. d.C. da un modello ellenistico. Collezione Domenico Grimani

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MUSEO DI SCIENZE ARCHEOLOGICHE E D’ARTE

Università di Padova Dipartimento di Scienze dell’Antichità

LA CERAMICA GRECA NEL PANORAMA STORICO

ANTICO: DALLA GRECIA AL CONTESTO MAGNOGRECO E ITALICO

Alessandra Menegazzi

La ceramica greca nel Museo di Scienze archeologiche e d’Arte 1.1 Premessa Il Museo di Scienze archeologiche e d’Arte è un museo universitario di antiche origini in quanto il suo atto di nascita deriva da una donazione all’Ateneo del 1733. In quell’occasione arrivarono, tra gli altri, numerosi reperti archeologici (tra cui sculture greche ma anche qualche pregevole vaso) i quali, nel corso del secolo successivo, furono organizzati in un museo autonomo, collegato alla cattedra di Archeologia15. Le collezioni ebbero un secondo incremento agli inizi del XX secolo, intorno al 1925, con l’arrivo di parecchi lotti di ceramiche magnogreche derivanti dall’acquisto della collezione privata del triestino Eugenio Neumann. Seguirono, nel secondo dopoguerra, alcuni depositi e qualche dono che portarono la consistenza delle collezioni allo stato attuale. Da questa rapidissima introduzione si comprende come la composizione generale delle collezioni del museo derivi da raccolte precedenti e non direttamente da scavi. Questa peculiarità impone alcuni limiti e alcune attenzioni. Il museo infatti non documenta contesti di scavo (non ricostruibili dalle scarse o nulle informazioni derivanti dai precedenti collezionisti) ma è tuttavia ricco di interessanti serie tipologiche, utilissime nella pratica formativa degli studenti di archeologia ma non solo, in quanto, anche studenti delle scuole primarie e secondarie possono utilmente conoscere, visitando il nostro museo, classi di materiali ceramici non presenti in altri musei del territorio padovano (come, ad esempio, la ceramica cipriota). 1.2 La composizione delle raccolte di ceramica greca 15 Per la storia del museo si veda: G.Gorini, A.Menegazzi 1996, pp. 49-59.

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Le raccolte ceramiche che rientrano nel percorso da noi proposto spaziano notevolmente sia per quanto riguarda l’ambito cronologico (dai materiali dell’età del bronzo e del ferro di area cipriota sino alla ceramica cosiddetta Alto-Adriatica), sia per quanto riguarda le produzioni documentate. Questo consente di proporre un percorso didattico molto articolato che comprende non solo le produzioni tipicamente greche continentali (ceramiche corinzia e ceramica attica a figure nere e a figure rosse) ma anche i materiali ceramici di area magnogreca (produzioni apule, di Egnathia e campane), dell’Italia padana e di area etrusca (ceramiche di imitazione di forme e di modelli iconografici greci). A corollario di questa ampia rassegna inoltre, vi è la possibilità di mettere a confronto tutte queste produzioni “greche” con produzioni italiche indigene che ne hanno ripreso stilemi decorativi (è il caso delle cosiddette “ceramiche geometriche” apule) o forme (es.: i kantharoi etruschi in bucchero). 1.3 I criteri espositivi Le collezioni di ceramica greca si trovano nel settore centrale del museo dove sono esposte le raccolte archeologiche a prevalente utilizzo didattico. Finalità di questa sezione espositiva è quella di fornire un’ampia documentazione sulle classi ceramiche e gli oggetti d’uso quotidiano delle principali civiltà del Mediterraneo antico. Per la gran parte i materiali greci ivi conservati, come già sopra detto, non sono giunti in museo direttamente da scavi regolari ma in vario modo e i lotti più consistenti provengono dall’acquisto della collezione di Eugenio Neumann di Trieste e da sequestri di scavi clandestini di tombe effettuati nella zona di Comacchio (area dell’antica città di Spina). Nel nuovo progetto espositivo le collezioni greche, come anche le altre, sono state riaggregate per insiemi culturali e cronologici che potessero fornire, in sintesi, un quadro generale il più possibile documentato per ogni singolo ambito. A questo scopo si è proceduto ad una scelta mirata degli oggetti da esporre, ampliando le classi documentarie, precedentemente limitate per lo più alla ceramica, e integrandole con materiali d’uso quotidiano quali ad es., nel settore greco, lucerne, specchi, balsamari, statuine votive in terracotta, sculture in pietra di piccole dimensioni. “Fossile–guida” di questo percorso rimane tuttavia proprio la ceramica greca che costituisce una classe di materiali tra le più note e studiate dell’antichità classica, come bene illustra Monica Baggio in altra parte di questo scritto (paragrafo 2).

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1.4 Divulgazione e didattica A seguito del grande intervento di riallestimento che ha comportato il completo rinnovo di tutti i settori espositivi (1999-2004) è stata posta particolare attenzione alle esigenze del nostro pubblico che in questi anni si è ampliato ed è costituito oramai non solo dall’utenza universitaria , ma anche da un sempre crescente pubblico “esterno” all’Università. Per questo motivo sono stati avviati numerosi progetti didattici rivolti a vari segmenti di utenti, differenziati per fasce di età e per interessi (es: attività per la terza età, corsi per insegnanti, didattiche speciali) oltre ad un generale rinnovo della comunicazione nel museo. Intervenendo ancora nella fase progettuale del nuovo allestimento, ogni saletta del settore centrale è stata identificata da un logo, realizzato con un oggetto significativo della stessa (fig. 20). Questo logo compare, in ciascuna sala del museo, nelle schede informative mobili, i cui testi sono anche presenti, riadattati, nel sito Web del museo: (www.musei.unipd.it/archeologia) del quale in questo momento si sta approntando anche una versione in inglese. Per quanto riguarda nello specifico la didattica, ciascuna vetrina contiene, nelle cassettiere chiuse collocate sotto i piani espositivi, una seconda scelta di materiali archeologici che possono venir esposti a rotazione in vetrina oppure utilizzati nei laboratori didattici per attività di manipolazione guidata, disegno, riproduzione con creta e/o Das e calchi su carta nel caso di manufatti contenenti bolli epigrafici e/o stampiglie decorative. Allo stato attuale sono stati selezionati ed opportunamente siglati tutti i materiali destinabili alle attività laboratoriali e si sta procedendo alla redazione di apposite schede informative didattiche che, per quanto riguarda la ceramica greca, avranno una parte comune con altre classi ceramiche relativa alla tecnologia ceramica e alcune schede specifiche dedicate alle principali produzioni ceramiche greche e loro funzioni ed ai temi decorativi dei vasi greci (aspetti mitologici, politici, economici, di costume)16.

16Tutte le nostre proposte didattiche (percorsi e laboratori) sono stati oggetto in questi mesi di un’indagine sul loro gradimento presso le scuole medie e superiori della città di Padova svolta grazie ad una tesi di laurea : C. Falchi, Un progetto di promozione delle attività didattiche del Museo di Scienze archeologiche e d’Arte, tesina triennale, corso di studio in Progettazione e Gestione del turismo culturale, a.a .2 004-2005, relatori prof. P. Zanovello, dott.A. Menegazzi.

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LA CERAMICA GRECA: NUOVI APPROCCI DI METODO

Monica Baggio

Nel breve tempo che questo seminario mette a disposizione, si cercherà di analizzare “una delle più alte espressioni figurative dell’artigianato ceramico” in tutto il bacino del Mediterraneo, quale quello prodotto nell’Atene di età arcaica e classica. Guarderemo alla produzione ceramica greca tenendo conto dei più moderni approcci metodologici, maturati negli ultimi vent’anni del Novecento, studi che fanno del vaso decorato non solo un oggetto bello da vedere, di alto godimento estetico, ma un oggetto che è prima di tutto si fa documento storico. Come scrive F. Ghedini (Iconografia 2001: riflessioni sull’immagine):” …esiste la convinzione ferma e radicata, che l’immagine non è neutra, non è decorativa, non è accessoria, bensì è portatrice di un messaggio che è nostro dovere tentare di interpretare, anche se esso non è sempre esplicito e perspicuo…L’operazione di decodificazione è un mezzo per avvicinarci alla cultura e società nell’ambito della quale l’immagine è stata creata.”. Necessariamente, per comprendere il significato ultimo dell’immagine bisogna tener conto di alcuni fondamentali parametri: l’identificazione del tema, l’identificazione dello schema, la tipologia del manufatto (nel caso della produzione ceramica ci sono dei vasi che proprio per forma – come le loutrophoroi, i lebetes gamikoi, i kantharoi - ci dicono di appartenere non a funzioni quotidiane ma a specifici ambiti rituali; altri vasi, come il cratere, erano specificamente impiegati durante il simposio), la destinazione (tomba, spazi privati o spazi pubblici). Per entrare nel mondo della lettura iconografico-iconologica delle immagini, fondamentali per i numerosi articoli incentrati esclusivamente su problemi di lettura dell’immagine antica sono gli atti dei due convegni promossi dal Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Padova (Iconografia 2001 e Iconografia 2005), che per gli interventi proposti offrono numerosi spunti di riflessione. Vale tuttavia la pena ricordare come le più recenti linee metodologiche siano comunque debitrici di un fondamentale volume La città delle immagini, edito a cura di A. Pontrandolfo nel 1984, che

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ha nella scuola francese del Centro L. Gernet (J.-P. Vernant, F. Lissarrague, A. Schnapp, F. Frontisi-Ducroux) i più importanti ispiratori. Il merito del volume è quello di aver ispirato una prospettiva di lettura antropologica delle immagini. Emergono, accanto alle ricchissime serie mitologiche, temi che ricorrono con enorme frequenza: il giovane, il guerriero, la donna ed il mondo femminile che ruota intorno a lei, il tema della morte, il tema della religione. E’ interessante osservare, di contro, come altre tematiche non compaiano mai o quasi mai: ad esempio, la città nella sua dimensione architettonica, la politica “attiva”, le assemblee dei cittadini…Questo ci fa dire che i pittori, gli artigiani del Ceramico, operano da subito una scelta, una selezione consapevole di ciò che deve o non deve essere rappresentato. In quest’ottica le straordinarie collezioni vascolari conservate nei musei di tutto il mondo, Roma, Napoli, Taranto, Parigi, Londra, Bonn, Colonia, New York, raccolte di oggetti di cui, nella maggior parte dei casi non si conosce la provenienza perché frutto di scavi ottocenteschi o - più frequentemente - di acquisti fatti sul mercato antiquario, possono mantenere intatto il loro valore perché la forma, che ci rimanda alla sua antica e prima funzione, unita alla decorazione, fanno del vaso un documento pienamente leggibile in prospettiva antropologica. Accanto alle tematiche, quanto emergerà dalla proiezione delle diapositive sarà che il sistema figurativo vascolare non si costruisce come la semplice illustrazione “di un discorso” né come la riproduzione fotografica della realtà. La produzione delle immagini è una costruzione, una modellizzazione/idealizzazione della realtà, strutturata secondo regole complesse che è necessario decodificare. I segni che compongono le immagini dipinte non hanno un semplice valore estetico, ma vengono a costituire una sorta di linguaggio autonomo, auto referenziale, fatto di elementi che ci rimandano al pensiero, all’ideologia della società che ha prodotto tali immagini. Come già abbiamo detto dunque, leggere le immagini significa, dunque, prima di tutto penetrare il codice visuale greco, codice per noi talvolta oscuro ma che per i contemporanei doveva essere assolutamente comprensibile. Durante il seminario analizzeremo le immagini tenendo conto della consueta scansione temporale in: - periodo protogeometrico: secoli XI-X a.C., caratterizzato da vasi di piccole dimensioni, con decorazione molto varia a semplici linee o fasce di linee o linee ondulate; evidente in questa fase è l’incapacità di

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affrontare la figura umana (astrazione decorativa). Le ceramiche di questo periodo sono molto numerose ad Atene ed in Attica e per la maggior parte si rinvengono come corredo per il defunto nell’oltretomba. Già in questa fase il livello artigianale è molto notevole. - periodo geometrico: fine X - fine VIII secolo a.C. Già a partire dall’VIII secolo a.C. erano ad un livello elevatissimo presso i pittori di vasi la capacità di sfruttare al massimo il medium comunicativo, il controllo tecnico sulle materie prime, gli strumenti, le infrastrutture e i cicli di produzione ceramica. Il momento culminante di questa fase si raggiunge intorno alla metà dell’VIII secolo a.C. con l’anfora del Maestro del Dipylon (804, attualmente ad Atene, al Museo Archeologico Nazionale; questa come le anfore e i crateri vengono utilizzati come semata, come insegne sulle tombe dei morti). L’anfora datata al 735 a.C. vede nella posizione più importante, al centro delle due anse, la rappresentazione del defunto sul catafalco ed il corteo funebre. - periodo orientalizzante: VIII-VII secolo a.C. Questa fase è caratterizzata dalla produzione proto-attica, che anticipa la grande produzione a figure nere del secolo successivo, dove troviamo la rappresentazione dei miti primitivi del patrimonio religioso. Dal punto di vista tecnico cominciano ad apparire l’uso del ritocco in bianco e rosso. In questo periodo anche la vicina Corinto svolge un ruolo molto importante nello sviluppo dello stile figurato con caratteri ben precisi che si possono riassumere: nella scansione dello spazio da decorare in fasce sovrapposte decorate con motivi tratti dal patrimonio microasiatico di area orientale, diffuso lungo le rotte commerciali nell’uso della linea incisa; nel miniaturismo; nell’impiego dei quattro colori: il bianco, il rosso, il nero ed il giallo. - età arcaica: 600-480 a.C. E’ il momento di massimo splendore della ceramica a figure nere e ceramica a figure rosse. - età classica: 480-323 a.C. In questa fase, a partire dall’ultimo ventennio del V secolo a C. assistiamo ad un importante cambiamento: dalla ceramica prodotta ad Atene si passa alla ceramica a figure rosse prodotte nelle diverse

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officine della Magna Grecia. Esiste, è stato osservato, una macroscopica differenza tra la produzione attica e quella italiota: la prima è legata alla attività del Ceramico di una sola polis, mentre i vasi italioti sono l’espressione di più centri di produzione che storicamente non possono neppure venire appiattiti nei due pur utili raggruppamenti di “scuola lucana e scuola apula”. Bibliografia La città delle immagini, Modena 1984. A.Giuliano, Arte greca, I e II, Milano 1986. G.Gorini, A.Menegazzi, Il Museo di Scienze archeologiche e d’Arte, in I musei, le collezioni scientifiche e le sezioni antiche delle biblioteche, a cura di C.Gregolin, Padova 1996, pp.49-59. Iconografia 2001: studi sull’immagine, Atti del Convegno (Padova 2001), a cura di I. Colpo, I. Favaretto, F. Ghedini, Roma 2002.

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Fig. 19 Forme della ceramica greca

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fig. 20 – Pianta del museo con i loghi rappresentativi delle salette del settore centrale.

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MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI MUSEO CIVICO ARCHEOLOGICO DI ODERZOODERZOODERZOODERZO

100 ANNI DI ARCHEOLOGIA AD ODERZO:

LE DOMUS ROMANE

Elisa Possenti 1) Il Museo Archeologico “Eno Bellis” e la ricerca archeologica a Oderzo Le prime scoperte archeologiche a Oderzo risalgono all’Ottocento quando numerosi reperti, in particolare funerari, cominciarono ad emergere dal sottosuolo della città. In un primo tempo i materiali furono accolti presso alcune facoltose famiglie opitergine; successivamente furono ospitati, a partire dal 1881, nella sede del Museo Archeologico, formalmente istituito nel 1876. In questi anni figura di primo piano fu il bergamasco Gaetano Mantovani, studioso che nel 1875 diede alle stampe il volume Museo Opitergino, opera all’interno della quale erano ordinatamente presentate le principali testimonianze archeologiche cittadine fino ad allora note. In questi primissimi tempi il Museo era ospitato al primo piano di Palazzo Saccomani, oggi sede del Municipio di Oderzo; successivamente, dopo la seconda guerra mondiale, in una palazzina appositamente costruita in fianco al Municipio. Dal 1 ottobre 1999 il Museo Civico Archeologico di Oderzo ha sede all’interno della Barchessa di Palazzo Foscolo. Il 1976 segna una data importante per le ricerche archeologiche opitergine. Risale infatti a quell’anno la decisione, da parte del Comune di Oderzo, di richiedere il nulla osta preventivo della Soprintendenza per i Beni Archeologici per tutti i cantieri edilizi nel centro storico della città. Tale norma ha consentito l’acquisizione di preziosissimi dati per la ricostruzione del tessuto urbano di Oderzo in età preromana e romana e, quindi, anche, la scoperta di nuovi e importanti testimonianze musive. 2) Le pavimentazioni musive opitergine Le pavimentazioni musive opitergine attualmente visibili al pubblico sono in parte custodite all’interno del museo archeologico, in parte musealizzate in situ nell’ambito degli

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“Itinerari Archeologici Opitergini”, un percorso archeologico che tocca più punti della città. Una delle prime scoperte risale al 1897, quando durante lavori di sistemazione dell’area destinata ad accogliere il foro boario, furono rinvenuti alcuni lacerti di mosaico. Questi frammenti, in un primo tempo ricoperti, furono successivamente nel 1913 riportati alla luce e portati in Museo di cui divennero ben presto una delle principali attrazioni. Si tratta dei resti di una pavimentazione musiva di età tardoantica, caratterizzata da una decorazione con scene di caccia e vita rustica che finora per complessità e pregio artistico non ha confronti in tutta l’Italia settentrionale. In particolare la fattura va quasi certamente attribuita a maestranze di alto livello, paragonabili a quelle che realizzarono i mosaici della Villa di Piazza Armerina in Sicilia. Cronologicamente il mosaico si inquadra in un orizzonte di III secolo d.C.. Dal punto di vista iconografico la composizione si articola su almeno tre diversi registri orizzontali, secondo uno schema comune alle pavimentazioni tardoantiche. Non conosciamo la reale estensione del pavimento musivo; in ogni caso i resti conservati sono una parte di un tessellato ben più grande. Questa pavimentazione non era probabilmente isolata; è stato infatti supposto che alla medesima domus appartenessero altri due frammenti solo leggermente più tardi (inizi del IV secolo d.C.), sempre conservati presso il Museo Archeologico, l’uno con un coppiere, l’altro con un servo che incita dei cani, tra cui uno di nome Romanus; un’altra pavimentazione coeva, purtroppo distrutta, era infine costituita dal cosiddetto “mosaico del triclinio” che, custodito nel castello di Collalto (Conegliano), fu distrutto durante la prima guerra mondiale. Altri due frammenti di pavimentazione musiva conservati in museo sono relativi ad altrettante domus messe in luce nel XX secolo in località S. Martino e nei pressi del Duomo. Di queste una ha una decorazione con maschere teatrali, l’altra presenta alcuni motivi floreali inseriti in una decorazione geometrica. Come accennato, altre pavimentazioni musive di epoca romana sono visibili nei siti archeologici della città. Un primo nucleo è inserito nel percorso relativo alla domus di via Mazzini, situata nei pressi dell’area forense; la domus era un edificio caratterizzato dalla presenza di due nuclei distinti di ambienti con orientamenti diversi, relativi ad altrettante fasi cronologiche. In particolare degli ambienti particolarmente notevole è l’insieme costituito da tre triclinii (sale da pranzo)

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orientati in modo da poter essere utilizzati durante le varie stagioni dell’anno. Altre pavimentazioni musive sono state messe in luce nella cosiddetta domus di via dei Mosaici, un edificio scavato a più riprese tra gli anni ’50 e ’80 i cui lacerti di pavimentazione musiva a tessere bianche e nere (II sec. d.C.) sono stati musealizzati nella piazzetta antistante l’edificio di età moderna.

PERCORSO MUSEALE:

TECNICHE COSTRUTTIVE E REPERTORI ICONOGRAFICI DEL MOSAICO ROMANO.

LE PAVIMENTAZIONI OPITERGINE

Marta De Vecchi - Alessandra Iannacci

1) Tecniche costruttive del mosaico romano Particolarmente ricco e variegato è il patrimonio musivo romano, per il quale esiste una terminologia specifica, dipendente dalla tipologia e forma dei materiali impiegati. Su suolo italico la comune pavimentazione locale, sobria e semplice, consistente in un battuto di calce e mattoni frantumati (opus signinum), conosce una vasta diffusione in età repubblicana, perdurando fino al I sec. d.C., grazie alle sue caratteristiche di notevole compattezza e impermeabilità; ma già prima della fine del II sec. a.C., i contatti con le raffinate decorazioni pavimentali ellenistiche segnano completamente il panorama della produzione musiva romana. Infatti nelle regioni greco-orientali, a partire dal IV-III sec. a.C., prende avvio un processo di sperimentazione che porta progressivamente a sostituire le pavimentazioni di ciottoli in altre costituite da cubetti e tessere lapidee, di forma regolare - materiale più facile da reperire, che permette di seguire più agevolmente il tracciato del disegno e che contribuisce a formare superfici lisce, uniformi, atte ad essere levigate, lucidate e pulite. I mosaici greco-ellenistici si caratterizzano così per avere un pannello centrale (emblema), riproducente l’apparato figurativo più raffinato, composto da tessere di circa 1 cm di lato (opus tessellatum) o più minute (opus vermiculatum) e una restante superficie pavimentale semplicemente battuta o decorata con scaglie di pietra o sassolini. Il mondo romano, da un lato accoglie rapidamente ed entusiasticamente l’arte musiva ellenistica, importando

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emblemata, maestranze ed iconografie greco-orientali, dall’altro rielabora tale insegnamento secondo il gusto e le esigenze tipicamente locali: le pavimentazioni in signino vengono, ad esempio, arricchite inserendo nel fondo tessere, sassi colorati o frammenti marmorei policromi, sparsi o disposti in semplici motivi lineari e geometrici; gli emblemata in tessellato o vermiculato sono inseriti in pavimentazioni italiche; a partire dall’epoca imperiale inoltre, aumentando le richieste di tessellati da parte di un vasto ceto medio emergente che esigeva una pavimentazione semplice ma decorosa per tutti i vani della casa - e per la concezione stessa che i Romani avevano del pavimento musivo, non inteso come un quadro a sé stante o un tappeto, ma come una superficie parte integrante dell’architettura e della decorazione di tutta la stanza - i tessellati si distribuiscono su tutto il pavimento, nella forma bicroma, più economica e secondo composizioni geometriche, di rapida e semplice esecuzione: viene così inaugurata la produzione musiva su vasta scala ad opera di maestranze anche poco specializzate. Lo stile bianco e nero gode di una vasta popolarità solo in Italia dove raggiunse l’acme nel periodo adrianeo e antonino mentre il tessellato policromo si integra con il monocromo in ogni schema compositivo in base alle potenzialità economiche dei committenti, al livello delle maestranze, alla ricezione di certi motivi di particolare successo e alla funzione delle stanze, ottenendo quell’armonica fusione di utilitas e decor, che è uno degli aspetti più significativi ed originali dell’arte romana.

2) Repertori iconografici delle pavimentazioni opitergine

La concezione dell’arte nel mondo antico presenta due aspetti che rendono la produzione del tempo sostanzialmente diversa rispetto ai giorni nostri: essa è funzionale ad una committenza, quindi manca di autonomia e, in quanto tale, è riproducibile. I soggetti vengono scelti, dapprima dal potere politico, poi dalla committenza privata, per esprimere particolari messaggi; gli schemi iconografici di volta in volta creati sono copiati e trasmessi secondo varie modalità, fino a divenire modelli ampiamente diffusi e compresi. I vettori di trasmissione delle iconografie (vd. GHEDINI E.F., Trasmissione delle iconografie. Grecia e mondo romano, in Enciclopedia dell’Arte Antica, II Suppl., V, 1997, pp. 824-836) si diversificano in base alla tipologia di manufatto; si possono

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citare, ad esempio, i calchi e i modelli in gesso, gli artigiani itineranti formatisi nelle botteghe, i punzoni - utilizzati nella produzione ceramica - e i cartoni, schizzi realizzati nella fase preparatoria di opere di particolare complessità. Tale premessa trova una evidente esemplificazione nei due mosaici opitergini tardoantichi con scene di caccia. Il tema, originariamente caratterizzato da grande valenza simbolica, si presenta con particolare frequenza come soggetto figurativo nei pavimenti musivi delle ville nord-africane; gli schemi iconografici creati dai mosaicisti locali si diffondono in seguito anche in altre regioni dell’Impero, per il tramite di cartoni o di maestranze itineranti. Il mosaico c.d. “di Romanus”, databile alla prima metà del IV secolo d.C., fonde in un unico quadro due diversi momenti della tradizionale caccia a cavallo: l’inizio e la fine della corsa dei levrieri (fig. 22). Notevoli sono le analogie formali con le pavimentazioni nord-africane, in particolare con il mosaico di El-Jem (fig. 23). Il grande mosaico con scene di caccia e villa rustica, risalente al III secolo d.C., unisce schemi della tradizione figurativa africana ad elementi riferibili ad altri ambienti - Roma in particolare - e alla realtà locale. Significativa, a tal proposito, è la nota scena di aucupium, in cui la civetta, secondo un’usanza diffusa fino a qualche decennio fa nelle campagne venete, viene usata come richiamo per gli uccelli, catturati quindi con la pania. L’abilità tecnica del mosaicista e la sua capacità di dare unitarietà compositiva alla pavimentazione hanno fatto supporre (vd. BERTACCHI L., Ricomposizione del Mosaico opitergino con villa rustica, in Mosaïque. Recueil d’hommage à Henri Stern, Paris 1982, pp. 65-73) si possa trattare di un artigiano itinerante.

LE PROPOSTE DIDATTICHE DEL MUSEO

ARCHEOLOGICO ENO BELLIS Percorso guidato al museo P.

SEC. I SEC. II

Oderzo città archeologica

SEC.II

Lo scavo archeologico

P SEC. I

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La prospezione e lo scavo stratigrafico SEC.II

LA PREISTORIA

Il Paleolitico: le prime attività umane

P

Il Paleolitico: le prime manifestazioni artistiche

P

Il Neolitico: aspetti della sedentarizzazione

P

L’età dei metalli: il rame e il bronzo P

I GRECI

I giochi olimpici P La ceramica attica P I santuari P

GLI ETRUSCHI

Gli abitati P SEC.II La vita quotidiana P SEC.II La religione e i luoghi di culto P SEC.II I riti funerari e le necropoli P SEC.II La pittura P SEC.II

I VENETI

Gli abitati P SEC.I SEC.II La vita quotidiana P SEC.I SEC.II La scrittura P SEC.I SEC.II La religione e i luoghi di culto P SEC.I SEC.II I riti funerari e le necropoli P SEC.I SEC.II La ceramica P SEC.I SEC.II L’arte delle situle P SEC.I SEC.II

I CELTI

I Celti in Europa: la cultura hallstattiana P SEC.II

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I Celti in Italia: la cultura lateniana P SEC.II

I ROMANI

Le tecniche costruttive P SEC.I SEC.II La città P SEC.I SEC.II Le vie di comunicazione e i viaggi P SEC.I SEC.II Le abitazioni private P SEC.I SEC.II L’affresco P SEC.I SEC.II Il mosaico P SEC.I SEC.II Giochi e giocattoli P SEC.I SEC.II L’educazione P SEC.I SEC.II La cucina e le abitudini alimentari P SEC.I SEC.II L’abbigliamento e la cura del corpo P SEC.I SEC.II La medicina P SEC.I SEC.II L’organizzazione militare P SEC.I SEC.II I riti funerari e le necropoli P SEC.I SEC.II La religione e i luoghi di culto P SEC.I SEC.II La mitologia romana P SEC.I SEC.II Il calendario e le feste P SEC.I SEC.II Il teatro P SEC.I SEC.II Gli spettacoli gladiatorî P SEC.I SEC.II Gli spettacoli del circo P SEC.I SEC.II Le rappresentazioni teatrali P SEC.I SEC.II L’artigianato fittile P SEC.I SEC.II La ceramica P SEC.I SEC.II La moneta romana P SEC.I SEC.II

L’EPIGRAFIA ROMANA

Il mestiere del lapicida P SEC.I SEC.II La vita privata SEC.II La vita pubblica SEC.II Il lavoro dell’epigrafista SEC.II

LA CRISTIANIZZAZIONE

Le catacombe e il rituale funerario P SEC.I SEC.II I primi luoghi di culto P SEC.I SEC.II

L’ALTO MEDIOEVO

La città SEC.I SEC.II

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L’arte bizantina SEC.I SEC.II L’arte longobarda SEC.I SEC.II L’abbigliamento SEC.I SEC.II La cavalleria SEC.I SEC.II Il castello SEC.I SEC.II Il monastero e il convento SEC.I SEC.II La città SEC.I SEC.II Le arti e i mestieri SEC.I SEC.II I luoghi di culto SEC.I SEC.II Le vie di comunicazione e i viaggi SEC.I SEC.II L’educazione SEC.I SEC.II L’abbigliamento SEC.I SEC.II La cucina SEC.I SEC.II Le feste e il gioco SEC.I SEC.II La scienza e la medicina SEC.I SEC.II La pittura SEC.I SEC.II Le immagini dell’Aldilà SEC.II Il Veneto tra Duecento e Trecento SEC.II

FUORI DAL TEMPO

La ceramica nel mondo antico P SEC.I SEC.II Le antiche scritture P SEC.I SEC.II La mitologia: eroi a confronto P SEC.I SEC.II Legenda: P = SCUOLE PRIMARIE; SEC. I = SCUOLE SECONDARIE DI I GRADO; SEC. II = SCUOLE SECONDARIE DI II GRADO Per informazioni più dettagliate si può consultare il sito: www.oderzocultura.it

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Fig. 21 Oderzo, indicazione del museo e ubicazione delle aree archeologiche opitergine (area della domus di via Mazzini, n. 4; area della domus di via dei mosaici n. 5).

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Fig. 22 Mosaico “di Romanus”, Oderzo, Museo Archeologico Eno Bellis

Fig. 23 Mosaico della caccia di El Jem, Tunisia