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collana diretta da Antonio Paolucci 20

Museo Storia Naturale_imp

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collana diretta daAntonio Paolucci

20

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Museo di Storia Naturaledell’Universitàdegli Studi di FirenzeGuida alla visita delle Sezioni

a cura diFausto Barbagli e Giovanni Pratesi

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Enti promotoriEnte Cassa di Risparmio di Firenze Regione ToscanaMuseo di Storia Naturale dell’Università degli Studi di Firenze

Con il patrocinio diMinistero per i Beni e le Attività CulturaliMinistero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico

Regionale per la Toscana - Direzione GeneraleUniversità degli Studi di FirenzeAssociazione Nazionale Musei Scientifici

In collaborazione conDirezione Regionale Beni Culturali e Paesaggistici della ToscanaSoprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico

e per il Polo Museale della città di FirenzeSoprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici

ed Etnoantropologici per le province di Firenze, Pistoia e Prato Soprintendenza Archeologica della Toscana

RealizzazioneEnte Cassa di Risparmio di FirenzeSupervisione generaleAntonio GherdovichProgetto e coordinamento generaleMarcella Antonini e Barbara Tosti

Comitato scientificoPresidente: Antonio PaolucciCristina AcidiniPaolo GalluzziGuido GoriGiovanni PratesiClaudio RosatiCarlo Sisi

Musei scientifici fiorentini

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Guida alle Sezioni del Museo di Storia Naturale dell’Università di Firenze

Coordinamento redazionale e cura scientifica Fausto Barbagli & Giovanni Pratesi

EditingBaldo Conti

Autori dei testiAlessandro Asprea, Fausto Barbagli, Luca Bindi, Teresa Catelani, Piero CuccuiniStefano Dominici, Luciana Fantoni, Lorenzo Montemagno Ciseri, Chiara NepiMaria Gloria Roselli, Monica Zavattaro

Progetto graficoPolistampa

Referenze fotograficheSaulo Bambi/Museo di Storia Naturale/Firenze: pp. 8, 12, 14 (2), 15, 17(2), 18, 19, 20,

24, 25, 26, 27, 28, 30, 31, 32, 33, 35, 36 (2), 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47,48, 49, 50, 51, 52, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 61, 62, 63, 65 (2), 66, 67, 69, 70 (2), 71, 72,73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 84, 85, 87, 89, 90, 100, 101, 104, 105, 106,107, 109, 110, 117, 121, 135, 140, 141, 142, 146, 155, 156, 161, 162, 164, 165, 166167, 168 169, 170, 172, 173, 174, 175, 176, 177 (2), 179, 187, 188, 191, 193 (in alto),198, 200, 201, 202, 203, 204, 207, 210, 212, 213, 214, 215, 218, 225

Archivio fotografico Antropologia: pp. 13, 94, 97, 102, 112, 116, 120, 123, 125, 127, 129,130, 132, 133, 136, 137, 139, 143, 145, 147, 148, 149, 150, 152, 153 ,154

Archivio fotografico Paleontologia: pp. 189, 190, 193 (in basso), 195, 199, 206, 209, 216Archivio fotografico Mineralogia: pp. 220, 226, 228, 230, 232, 234, 235, 236, 238, 241,

243, 244, 245, 248(3), 249, 250Luciano Di Fazio/Museo di Storia Naturale/Firenze: pp. 268 (2), 292Andrea Grigioni/Museo di Storia Naturale/Firenze: pp. 261, 262, 264, 265(2), 266, 267,

273, 274, 276, 277, 279, 280, 283, 285, 287(2), 289, 290, 291, 293, 294Paolo Luzzi/Museo di Storia Naturale/Firenze: pp. 263, 269, 271(2), 272, 281, 284, 288Osvaldo Negra/Museo Tridentino di Scienze Naturali/Trento: pp. 115, 118, 119Riccardo Sanesi: pp. 113, 114

RingraziamentiCristina Andreani, Tiziana Bolis, Filippo Ceccolin, Claudia Corti, Alessandra Lombardi,

Alba Scarpellini

www.firenzescienza.it

© 2009 Edizioni PolistampaVia Livorno, 8/32 - 50142 FirenzeTel. 055 737871 (15 linee)[email protected] - www.polistampa.com

ISBN 978-88-596-0679-6

In copertina:Zemi, divinità caraibica. Particolare di un un vassoio cerimoniale dei Taino di Santo Domingo. Collezioni medicee

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Q uando alcuni anni fa l’Ente Cassa di Risparmio diFirenze, sollecitata anche da autorevoli esponenti del

mondo della cultura, sostenne la necessità di valorizzare,attraverso un coordinamento di rete, i musei scientifici diFirenze, altro non faceva che esprimere una semplice con-statazione: il patrimonio storico di ambito scientifico e tec-nologico tramandatoci dal passato è altrettanto significati-vo e importante quanto quello che attiene alle testimonian-ze artistiche e letterarie.Se oggi una città come Firenze riesce a concentrare in unambito territoriale relativamente contenuto centri di eccel-lenza nell’ambito sia artistico che scientifico, ciò è dovutoessenzialmente a come nei secoli si è venuta dispiegando unaciviltà umanistica che riservava uguale attenzione a setto-ri disciplinari differenziati, nei quali spesso il capoluogo to-scano ha svolto un ruolo pionieristico, salvo poi lasciare adaltri lo sviluppo successivo di idee e progetti.La nuova iniziativa Firenze Scienza. Le collezioni, i luo-ghi e personaggi dell’Ottocento è stata voluta e promos-sa dall’Ente Cassa, nell’ambito del Progetto Piccoli Gran-di Musei, proprio per dare continuità al suo iniziale inten-dimento e creare, attorno ai musei scientifici dell’Univer-sità, del Museo di Storia della Scienza, della FondazioneScienza e Tecnica, una migliore visibilità e consapevolezzaper collezioni straordinariamente ricche e fondamentali perla nostra comune conoscenza.In questo contesto si inseriscono le due guide dedicate rispet-tivamente al Museo di Storia Naturale dell’Università degli

Presentazioni

vii

MicheleGremigniPresidente Ente Cassa di Risparmio di Firenze

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viiimichele gremigni

Studi di Firenze e al Gabinetto di Fisica dell’Istituto Tecni-co Toscano, due realtà prestigiose che appartengono all’areaculturale di cui parliamo e che presentano ancora ampi mar-gini per essere visitate ed apprezzate dal grande pubblico.Non è un caso poi che tali pubblicazioni siano andate adimplementare, con i numeri 19 e 20, la stessa collana, di-retta da Antonio Paolucci e curata dall’Ente Cassa, per laquale sono state via via realizzate nel tempo le guide deivari luoghi museali diffusi sul territorio della provincia diFirenze, che hanno ospitato le precedenti edizioni espositi-ve dei Piccoli Grandi Musei.Il principio dell’unità culturale tra arte e scienza, traman-datoci dalla tradizione, si riflette dunque anche negli stru-menti editoriali che la nostra Fondazione ha messo a di-sposizione di quanti vogliano avvicinarsi per la prima vol-ta a singoli aspetti messi in luce dal progetto o rispolverarenozioni acquisite. Comunque sia, si tratta di un’occasionein più per scoprire itinerari alternativi in una città comeFirenze che non finisce mai di stupire.

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ixpresentazioni

Da Leonardo a Galileo, da Meucci fino ai 7.800 ricer-catori che oggi lavorano al Sant’Anna di Pisa, al

CERM di Sesto Fiorentino o negli altri istituti presenti, laToscana è da sempre terra di grandi scienziati.Oggi la nostra regione è sede di un consolidato sistemadella ricerca scientifica specializzata, all’avanguardiasia in Italia che in Europa, con oltre 100 laboratori, 15centri di ricerca, 7 dipartimenti universitari, 2 centri dieccellenza in tecnologie informatiche e della comunica-zione. Quel che è certo è che la grande attenzione per la ricercascientifica di oggi, affonda le sue radici nel lascito di inte-re generazioni di toscani, che, con la loro passione e dedi-zione per le diverse sfaccettature della cultura scientifica,hanno negli anni dato vita alla formazione di collezionimuseali dal valore inestimabile.L’intento dell’edizione di quest’anno dei Piccoli GrandiMusei è proprio quello di valorizzare queste collezioni,coinvolgendo la città di Firenze e i suoi musei scientificiche, anche se non si possono definire “minori”, sono sicu-ramente meno conosciuti dalla maggioranza dei turisti, masoprattutto dei cittadini toscani. Le guide al Museo di Storia Naturale dell’Università de-gli Studi di Firenze e al Gabinetto di Fisica della Fonda-zione Scienza e Tecnica, si inseriscono in questo contestovolto, nello spirito che da anni caratterizza l’iniziativaPiccoli Grandi Musei, a far meglio conoscere e apprezza-re questi luoghi, splendida testimonianza dello strettissi-

ClaudioMartiniPresidente della RegioneToscana

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mo connubio tra scienza e arte che la bellezza e la prezio-sità delle relative collezioni rappresenta.Iniziative come questa della Fondazione Cassa di Rispar-mio di Firenze sono fondamentali perché possono far co-noscere al grande pubblico la Toscana della scienza di ie-ri, di oggi e, ne siamo convinti, anche di domani.

xclaudio martini

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xipresentazioni

Cristina AcidiniSoprintendenteper il PatrimonioStorico Artistico edEtnoantropologicoe per il PoloMuseale dellacittà di Firenze

P er chi si occupa di musei, uno dei più importanti fron-ti d’impegno – e una delle più frequenti occasioni

d’insuccesso – è trasmettere il senso della storia del museo:che sia antica o recente, che sia lineare o complessa, ognistoria inizia con una formazione ed è spesso caratterizza-ta, nel suo sviluppo cronologico, da trasformazioni. Il mu-seo non “è”, sic et simpliciter, ma nasce, esiste, diviene e,in casi sporadici e dolorosi, finisce. Cultura, volontà, ri-sorse di molti confluiscono in questi processi e li rendonopossibili: ma dell’immenso lavoro erogato, del sapere sot-teso, della dedizione profusa ben poco trapela sino a rag-giungere il visitatore. Anche per questo sono particolarmente preziose queste gui-de al Museo di Storia Naturale dell’Università degli Stu-di di Firenze e al Gabinetto di Fisica della FondazioneScienza e Tecnica, nell’ambito dell’iniziativa “PiccoliGrandi Musei” che quest’anno l’Ente Cassa di Risparmiodi Firenze meritoriamente dedica ai musei scientifici. Itesti e il ricco corredo d’immagini ricompongono quel tes-suto pulsante di ricerche scientifiche e di applicazioni tec-nologiche che caratterizzò la storia ottocentesca di Firen-ze – nel solco peraltro degli interessi scientifici tenuti in granconto dai Medici –, e che fu lo humus da cui trassero ori-gine e spinta vitale i musei scientifici della città, non solonumerosi, ma quanto mai vari per l’ampiezza degli am-biti rappresentati.Oggi che il nostro passato si allontana dalla nostra vitaquotidiana con la velocità di una galassia in fuga, è reale

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il rischio che intere collezioni perdano di significato per legenerazioni a venire. Perché se un’opera d’arte antica, chepur non corrisponde più ai canoni estetici odierni, è comun-que tutelata dal consenso critico che le si è costruito e strut-turato attorno nel nome di una bellezza o di un valore sto-rico che trascendono il tempo, un preparato o un manu-fatto creati in ambito scientifico rapidamente passano al-l’obsolescenza funzionale, e da quella all’oblio o peggio.Ma farli rivivere, e restituir loro la memoria dell’utilitàed eventualmente dell’innovazione che espressero, è un’a-zione altissima che dalla conoscenza conduce direttamen-te alla tutela; e di questo sono particolarmente lieta.

xiicristina acidini

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xiiipresentazioni

La pubblicazione di questa “Guida alla visita delle Se-zioni” del Museo di Storia Naturale dell’Università

degli Studi di Firenze – che rappresenta un importantecomplemento di alcune prestigiose opere editoriali recen-temente pubblicate sulle collezioni – assume un significa-to particolare per il momento storico in cui viene a collo-carsi e per le profonde trasformazioni che hanno interes-sato il Museo in questi ultimi anni.La riforma del modello di governo, varata nel 2004 conla pubblicazione del nuovo regolamento, ha consentito dipotenziare i servizi e l’offerta del Museo e di innescare unmoto di rinnovamento che ha portato a una rilevante cre-scita del numero di visitatori – addirittura triplicati nelcorso di cinque anni – unitamente ad un nuovo radica-mento sul territorio e nella comunità scientifica, testimo-niato dai molteplici incarichi e riconoscimenti che il Mu-seo ha ricevuto da enti e istituzioni oltreché da un note-vole incremento nel numero delle pubblicazioni.Il valore patrimoniale delle collezioni, a seguito di un pun-tuale processo di rivalutazione inventariale, è addiritturadecuplicato arrivando a superare i 400 milioni di euro.Alcune Sezioni hanno poi fatto registrare importanti in-terventi di restauro e di riqualificazione architettonica,come quelli legati ai locali che ospitano la straordinariamostra dei Cristalli e quelli relativi al Torrino, situatientrambi nell’edificio della Specola in via Romana cheospita la Sezione di Zoologia. In altri casi si è procedu-to al rifacimento integrale del percorso espositivo e del-

AugustoMarinelliRettoredell’Universitàdegli Studidi Firenze

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xivaugusto marinelli

l’allestimento, come per la Sezione di Mineralogia in viaLa Pira.Confido dunque che l’uscita di questo volume, che narrauna straordinaria storia di continuità scientifica e che pe-raltro coincide con il termine del mio mandato rettorale,sia foriera di una continuità anche politica e program-matica di cui il Museo ha assoluta necessità.

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Fu nel contesto di un progetto illuministico di accul-turazione popolare che il Granduca Pietro Leopol-

do fondò l’Imperiale e Reale Museo di Fisica e StoriaNaturale affidandone la direzione a Felice Fontana(1730-1805), naturalista trentino di chiara fama, con ilcompito di organizzare le collezioni naturalistiche e glistrumenti scientifici dell’Accademia del Cimento, finoad allora conservati nella Galleria degli Uffizi. L’aper-tura al pubblico dell’istituzione, nel 1775, costituì unevento senza precedenti nel panorama dei musei di sto-ria naturale, fino ad allora considerati appannaggio so-lo di nobili e studiosi. Nel giro di pochi anni il Museodivenne il maggior centro italiano di ricerca fisica e na-turalistica e le sue collezioni ebbero un incremento ta-le da essere considerate tra le più importanti d’Europa.A ciò contribuì anche la creazione dell’officina ceropla-stica che produceva fedeli quanto spettacolari modellianatomici umani in cera. Negli anni Ottanta del Set-tecento fu anche portata a termine l’edificazione delTorrino con l’osservatorio astronomico, ulteriore pas-so verso il compimento dell’idea di riunire in un’unicasede tutte le discipline scientifiche. L’insegnamento non era contemplato nell’originale pro-getto museale di Fontana che prevedeva la realizzazio-ne di un palazzo della scienza dove le collezioni fosse-ro organizzate in maniera unitaria secondo un pianoespositivo che andava dalla terra al cielo e che avrebbedovuto essere completato con l’istituzione di un’acca-

Introduzione

FaustoBarbagli

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2museo di storia naturale

demia sperimentale sul modello di quella del Cimen-to. In questo contesto i reperti consentivano al visita-tore l’autoapprendimento, come testimonia la collezio-ne di cere anatomiche in cui ogni preparato è correda-to di un acquerello che lo ritrae e ne evidenzia gli aspet-ti salienti con linee e numeri di rimando che trovanola loro spiegazione in fogli calligrafati, a disposizione delvisitatore, contenuti in piccoli cassetti metallici al disotto delle teche espositive.A far diventare il Museo sede dell’insegnamento supe-riore a Firenze fu Maria Luisa dei Borbone di Parma,reggente del Regno d’Etruria, che nel 1807 creò il Li-ceo di Fisica e Scienze Naturali, istituendovi le catte-dre di Astronomia, di Fisica, di Chimica, di Anatomiacomparata, di Mineralogia e Zoologia e di Botanica. IlLiceo ebbe vita breve, poiché nel 1814 fu chiuso con laRestaurazione e il ritorno di Ferdinando III che con-vertì il Museo in un annesso, “di suo privato piacere”,alla residenza granducale.Per quasi un ventennio l’insegnamento rimase banditodall’I.R. Museo di Fisica e Storia Naturale, ma nel 1833fu il nuovo direttore Vincenzo Antinori, legato al Gran-duca Leopoldo II da personale amicizia, ad ottenere cheil sovrano reintroducesse in Museo l’attività didattica,destinando lo stabilimento alla pubblica istruzione.Nel 1859, durante il governo provvisorio della Toscana se-guito alla cacciata dei Lorena, per dare ulteriore impul-so all’insegnamento superiore, venne creato l’Istituto diStudi Superiori Pratici e di Perfezionamento, che fu pro-pedeutico alla fondazione dell’Università di Firenze. IlMuseo divenne allora sede della Sezione di Scienze Na-turali, omologa all’attuale Facoltà di Scienze.Con l’aumentare dell’importanza della didattica, cheassunse ruolo primario, le cattedre si moltiplicarono ela sede del Museo iniziò a non essere più sufficiente per

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ospitare gli insegnamenti e le collezioni, divenute nelfrattempo molto estese. Le raccolte furono annesse al-le rispettive cattedre divenendo così strumenti di sup-porto alla didattica e, con il progressivo trasferimentodegli insegnamenti in altri luoghi della città, le colle-zioni subirono lo stesso destino facendo perdere al Mu-seo la sua unità.Le prime collezioni a lasciare la sede di Via Romana fu-rono quelle di Etnografia (i cosiddetti «utensili dellenazioni barbare») che nel 1869 furono trasferite primain Via Ricasoli poi in Via Gino Capponi, nel Museo diAntropologia e Etnologia fondato da Paolo Mantegaz-za non appena chiamato a ricoprire la cattedra di An-tropologia. Nel 1872 anche l’osservatorio astronomicofu trasferito nella nuova sede di Arcetri e di lì a pocoavvenne il trasloco dei laboratori di Fisiologia, di Chi-mica e di Fisica, seguito nel 1880 dallo spostamento del-la Geologia, della Mineralogia e della Paleontologia nelcomplesso di Piazza San Marco. Gli anni Ottanta vi-dero anche il passaggio a San Marco della Botanica e ilprogressivo abbandono dell’Orto Botanico del Museocon trasferimento delle piante al Giardino dei Sempli-ci. Rimasero a Palazzo Torrigiani solo la Zoologia e il

3introduzione

AnielloLamberti:veduta del RealMuseo di Fisica,e d’IstoriaNaturaledalla parte delReal Giardinodi Boboli(incisione, finexviii sec.)

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4museo di storia naturale

Museo degli strumenti antichi, comprendente tra l’al-tro i cimeli galileiani e dell’Accademia del Cimento cheerano ospitati nella Tribuna di Galileo. La strumenta-ria antica restò alla Specola fino agli anni Trenta del No-vecento, dopo la trasformazione dell’Istituto di StudiSuperiori Pratici e di Perfezionamento in Università av-venuta nel 1924. Fu in seguito alla Prima EsposizioneNazionale di Storia della Scienza, tenutasi nel 1929, chel’Università decise di dare in deposito le collezioni me-diceo-lorenesi di strumenti scientifici al Museo dell’I-stituto di Storia della Scienza dove tutt’oggi si conser-vano.Durante il Novecento i musei scientifici fiorentini, se-guendo una tendenza generale tra i musei universitaridel nostro Paese, persero completamente la loro auto-nomia divenendo semplici laboratori all’interno degliistituti universitari. Solo nel 1971, quale primo segno diun rinato interesse per la museologia, i musei dell’U-niversità di Firenze tornarono ad avere dotazioni, spa-zi e personale propri.Finalmente, nel 1984, l’Università di Firenze ricostituìil Museo di Storia Naturale riunendo insieme tutti imusei scientifici universitari: sia quelli originati dall’an-tico Museo di Fisica e Storia Naturale, sia quelli nati au-tonomamente, come il Giardino dei Semplici e il Mu-seo Nazionale di Antropologia.Oggi il Museo di Storia Naturale dell’Università di Fi-renze è costituito da sei sezioni che insieme accolgono intotale circa 8 milioni di esemplari e che comprendono lecollezioni naturalistiche dell’Imperiale e Reale Museo diFisica e Storia Naturale e i successivi arricchimenti.

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Sezioni

Orto Botanico - Via Micheli, 350121 Firenze

BotanicaVia La Pira, 4 - 50121 FirenzeAperture solo su appuntamentotelefonico tel. +39 055 2346760

Geologia e PaleontologiaVia La Pira, 4 - 50121 Firenze

Mineralogia e LitologiaVia La Pira, 4 - 50121 Firenze

Antropologia ed EtnologiaVia del Proconsolo, 1250122 Firenze

Zoologia “La Specola”; Salonedegli Scheletri; TorrinoVia Romana, 17 - 50125 Firenze

+39 055 2346760;www.msn.unifi.it

Museo di Storia Naturaledell’Università di Firenze

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Sezionedi Zoologia“La Specola”

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Il Torrino della Specola fu progettato da Niccolò Ma-ria Gaspero Paoletti, architetto delle Fabbriche gran-

ducali, alla fine del xviii secolo. I lavori di realizzazio-ne comportarono il rafforzamento delle strutture esi-stenti con l’idoneo dimensionamento del perimetromurario basamentale sul quale montare l’osservatorio,la sostituzione dei solai esistenti a trabeazione ligneacon strutture a volta e la riduzione a forma ottagonaledei vani di appoggio. Ai livelli sottostanti la sommitàdel Torrino vennero realizzati altri ambienti destinatialle ricerche astronomiche e scientifiche, compresa lasala della meridiana. Di fatto operativo solo dal 1807, quando fu nominatoprofessore di Astronomia Domenico De Vecchi, l’osser-vatorio disponeva di una dotazione strumentaria di tut-to rispetto, in parte di produzione locale e in parte ac-quistata dai migliori artefici europei, ma non godevadelle migliori condizioni logistiche come testimonia unpasso del rapporto dello stesso De Vecchi: “La fabbricadell’osservatorio, sebbene comparisca elegante, non èné la più vantaggiosa per le osservazioni, né la più co-moda per l’osservatore. Indipendentemente dallo statodel suo orizzonte dominato (ad eccezione d’una solaparte) dagli edifizi e dai colli vicini, non bene riuscì nelsuo intento chi intraprese il primo a collocarla”.La scelta dell’infelice posizione per l’osservatorio fu do-vuta al direttore Felice Fontana che voleva tutte le scien-ze concentrate in un’unica costruzione. A nulla valse la

Il Torrino della Specola

FaustoBarbagli

Il Torrinodella Specola

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10museo di storia naturale

proposta del vicedirettore Giovanni Fabbroni di erige-re la Specola sul colle di Boboli, rifacendosi al model-lo, già in uso in molti paesi, di costruire gli osservatoria piano terra su colline rocciose fuori dai centri urba-ni, rinunciando alla tradizione di collocarli nella som-mità di edifici a torre nel cuore delle città. Un altro grande limite nella realizzazione del Torrinofu l’affidamento dei lavori all’architetto delle Fabbri-che granducali, senza alcuna interazione da parte di unastronomo. Solo successivamente si tentò di correre airipari sentendo i pareri tecnici, ma quelli che fu possi-bile operare furono solo aggiustamenti. Nel corso dell’Ottocento l’osservatorio fu diretto da il-lustri scienziati quali Jean-Louis Pons, Giovan BattistaAmici e Giovan Battista Donati. Fu quest’ultimo che,ritenendo la posizione dell’antica Specola ormai pocoidonea per i moderni studi, si fece artefice del trasferi-mento della ricerca astronomica sulla collina di Arcetri. Presso l’osservatorio fiorentino furono compiuti studidi notevole interesse, descritti negli “Annali dell’Impe-rial Museo di Firenze” e nelle “Obsérvations astrono-miques à Florence” del Pons, che richiamarono l’atten-zione della comunità scientifica internazionale sull’i-stituzione fiorentina.Tra le numerose osservazioni compiute negli anni dalTorrino della Specola vi furono anche le scoperte di trenuove comete da parte del Donati: una il 3 giugno 1855,una il 10 novembre 1857 e una il 2 giugno 1858, quest’ul-tima osservata e studiata anche dall’ormai anziano Gio-van Battista Amici.L’osservatorio astronomico composto da vari locali ave-va il suo fulcro nella sala della meridiana, dove veniva-no osservati i passaggi dei corpi celesti, e nella sala su-periore ottagona, da cui erano compiute le osservazio-ni del cielo a 360 gradi.

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Sulla sommità dell’edificio del Museo aveva anche luo-go la raccolta di dati meteorologici che dette continuitàalle osservazioni condotte nel secolo precedente dall’Ac-cademia del Cimento tra il 1654 e il 1670, coprendo i pe-riodi che vanno dal 1797 al 1808 e dal 1832 fino al 1854.Nel xx secolo, rimaste nel palazzo della Specola soltan-to le discipline zoologiche, l’osservatorio astronomicoandò incontro a un lungo periodo di abbandono e allosvuotamento dei locali dalla strumentazione originaria.Nel 2009 il Torrino è stato restaurato, grazie ad un con-tributo della Regione Toscana, e riaperto al pubblicocon il nuovo allestimento realizzato dall’Ente Cassa diRisparmio di Firenze nell’ambito dell’iniziativa “Picco-li Grandi Musei”.

La visitaIl percorso espositivo ci riporta alle origini dell’Impe-riale e Reale Museo di Fisica e Storia Naturale e ripro-duce, in poche sale, quello spirito di unitarietà del sa-pere scientifico e quella direzionalità disciplinare, dalbasso verso l’alto, che fu alla base dell’idea originale. Ilprogetto museale di Pietro Leopoldo e Felice Fontanaprevedeva, infatti, la realizzazione di un Palazzo dellascienza dove le collezioni relative a tutte le disciplinescientifiche fossero organizzate in maniera unitaria se-condo un piano espositivo che andava dalla terra al cie-lo e che avrebbe dovuto essere compiuto attraverso l’i-stituzione di un’accademia sperimentale sul modello diquella del Cimento.Accedendo al Torrino, sulla sinistra, si trova quella cheun tempo era la camera oscura per gli esperimenti diottica, caratterizzata dal pavimento realizzato con gros-se lastre di ardesia e dalle pareti dipinte di nero. Attual-mente adibita a sala proiezioni, mostra un audiovisivo

11il torrino della specola

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12museo di storia naturale

che ci accompagna attraverso la storia del Museo finoalla situazione odierna, illustrandone la genesi e spie-gando la diversa ubicazione delle sei attuali Sezioni.In questa sala ha anche inizio il percorso espositivo conun piccolo campionario di oggetti facenti parte dellaCollezione Medicea di pietre lavorate, i cui esemplari,originariamente conservati nella Tribuna degli Uffizi,confluirono alla fine del Settecento nell’I.R. Museo diFisica e Storia Naturale, di cui andarono a formare par-te del nucleo iniziale. Si tratta di pregevoli e preziosi ma-nufatti di vario uso quali vasi, coppe, oggetti ornamen-tali, ecc., che risalgono a differenti epoche comprese trail xv e il xviii secolo. Oltre a costituire un’interessantetestimonianza dei criteri collezionistici che caratterizza-rono l’alba del Museo, secondo i quali tali oggetti era-no considerati reperti di storia naturale in virtù dei ma-teriali lapidei con cui sono realizzati, essi rappresentanouno splendido esempio di arte glittica rinascimentale. Il percorso prosegue nella sala inferiore ottagona, dovetre antiche nicchie in cui erano in origine riposti stru-menti astronomici costituiscono oggi altrettante vetrine. Nella prima trovano posto alcune delle produzioni na-turali originariamente esposte nella “Galleria Imperia-le” (gli Uffizi) e passate al Museo al momento della suafondazione, accanto ad acquisizioni dei primi decennidi vita dell’istituzione. Par-ticolare interesse per la sto-ria delle scienze della ter-ra riveste una calcite dellasecentesca collezione mi-neralogica di Niccolò Ste-none, i cui campioni ser-virono per le sue osserva-zioni sulla costanza degliangoli diedri che segnò la

Calcite dellacollezione diNiccolò Stenone

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nascita della cristallografia. Al xviisecolo risalgono anche i modellipomologici in terracotta ricondu-cibili alle raccolte del naturalistaolandese Georg Everhard Rumpf,acquistate da Cosimo iii de’ Me-dici nel 1662. Presenti anche oggetti etnograficidi grande importanza, come trecucchiai d’avorio, di arte afro-portoghese, provenienti dall’anti-co regno del Benin o regno Edo

che, tra il xiv e il xv secolo, conobbe una fase imperia-le arrivando a occupare parte dell’odierna Nigeria. Que-sto tipo di opere era realizzato dagli artigiani Edo sucommissione dei portoghesi che, geograficamente bensituati per la loro posizione sull’Oceano Atlantico, fu-rono favoriti nello stabilire traffici commerciali conqueste popolazioni. Tali cucchiai risultano già descrit-ti nell’Inventario del Guardaroba di Cosimo I de’ Me-dici del 1555 ed entrarono a far parte del patrimonio delMuseo fin dalla sua formazione.Nella stessa vetrina figurano anche alcuni oggetti etno-grafici appartenenti alla collezione radunata da JamesCook durante il suo terzo viaggio nel Pacifico (1776-1779), nel quale perse la vita. Ai primi anni del Museo risale anche la creazione dell’of-ficina di ceroplastica presso la quale operarono nel tem-po grandi artisti quali Clemente Susini, Francesco Calen-zuoli, Luigi Calamai ed Egisto Tortori. Oltre ai numero-sissimi preparati anatomici, conosciuti in tutto il mon-do, furono prodotti anche splendidi modelli in cera dipiante e frutti a grandezza naturale, un piccolo campio-nario dei quali è esposto accanto al bozzetto originale delbusto di Clemente Susini, realizzato da Egisto Tortori.

13il torrino della specola

Cucchiaiin avorio d’arteafro-portoghese

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14museo di storia naturale

La seconda nicchia è dedicata all’Ottocento granduca-le e accoglie reperti naturalistici che testimoniano l’im-portanza scientifica e il ruolo di centralità che il Museorivestì in quest’epoca in Italia. La mandibola incomple-ta di Anancus arvernensis, studiata e figurata da FilippoNesti nel 1808, è uno dei numerosi campioni della Col-lezione di Vertebrati fossili del bacino del Valdarno, cheagli inizi del xix secolo assunse notorietà internaziona-le grazie al famoso naturalista francese Georges Cuvier,formulatore della teoria catastrofista, che la visitò e uti-lizzò per le sue ricerche sulla storia della terra.La coppia di scimmie leonine presente in questa vetri-na fa parte del materiale raccolto da Giuseppe Raddi,custode del Museo e celebre botanico, durante la spe-dizione effettuata in Brasile nel 1817, quando, per com-piere raccolte nel Nuovo Mondo, fu aggregato dal Gran-duca al seguito della principessa Leopoldina d’Asbur-go, in sosta a Firenze durante il viaggio per Livorno do-ve doveva imbarcarsi alla volta del Brasile per sposare il

Modelli in ceradi piante:Nelumbiumspeciosum(sinistra)e Magnoliagrandiflora

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Principe ereditario Don Pedro di Braganza. Si trattò diuno dei primi viaggi organizzati da un museo italianoin paesi esotici col fine esclusivo di effettuare raccoltenaturalistiche. Prima di allora numerose collezioni dipaesi lontani erano comunque entrate a far parte di va-ri musei, compreso quello fiorentino, ma si era quasisempre trattato di collezioni radunate su iniziativa pri-vata e solo in un secondo tempo acquistate da istitu-zioni in cerca di rarità.Sono esposti inoltre alcuni fogli dell’Erbario CentraleItaliano che vanta oggi oltre 4 milioni di campioni e chefu fondato nel 1841 da un ampio consesso di botanicidurante la Terza Riunione degli Scienziati Italiani. Laproposta fu formulata dal palermitano Filippo Parlato-re che venne chiamato l’anno successivo dal Granducaa ricoprire la cattedra di Botanica e Fisiologia vegetalee a dirigere l’erbario di cui può dirsi il vero artefice. Fula prima di una serie di istituzioni con carattere nazio-nale che furono create presso il Museo fiorentino suproposta della comunità scientifica che riconosceva in

Leopoldo ii il più affidabile e gene-roso promotore delle scienze in Ita-lia, in virtù anche del ruolo determi-nante avuto dal Granduca nella na-scita delle riunioni preunitarie de-gli scienziati italiani.La terza vetrina è dedicata alle gran-di acquisizioni dell’Ottocento: col-lezioni di inestimabile valore scien-tifico che pervennero intorno allametà del secolo. Vi figura, in primoluogo, l’erbario di Andrea Cesalpi-no, datato 1563, uno dei più antichidel mondo e in assoluto il primo del-la storia in cui le piante sono ordi-

15il torrino della specola

Scimmie leonineraccolte daRaddiin Brasile

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16museo di storia naturale

nate secondo un preciso ordine sistematico. Dedicatodal Cesalpino al vescovo di Sansepolcro, Alfonso Tor-nabuoni, ebbe vari passaggi di proprietà per linea ere-ditaria, finché, fra il 1818 e il 1819, il Granduca Ferdi-nando III non lo fece acquistare per la Biblioteca Pala-tina. Dietro richiesta di Filippo Parlatore l’erbario pas-sò al Museo di Storia Naturale nel 1844 e, poiché il suooriginario assetto in un unico voluminoso tomo lo ren-deva difficilmente consultabile senza pregiudicare l’in-tegrità dei campioni, lo stesso Parlatore lo fece divide-re in tre eleganti volumi in marocchino rosso. Recen-temente il prezioso erbario è stato sottoposto a un in-tervento di restauro che, per garantire la conservazio-ne del prezioso materiale, ha portato alla rinuncia del-la legatura a vantaggio della soluzione a fogli sciolti chegarantisce la migliore conservazione degli exsiccata. Vi è poi la collezione naturalistica dei Targioni Tozzet-ti, iniziata da Giovanni e arricchita dal figlio Ottavia-no e dal nipote Antonio, comprendente anche le rac-colte del celebre botanico fiorentino Pier Antonio Mi-cheli, che giunse in Museo in più riprese. Un primonucleo di 7500 campioni, fra minerali, rocce, fossili eanimali, pervenne nel 1838, tramite Bettino Ricasoli chel’aveva acquistata dagli eredi di Ottaviano Targioni Toz-zetti, per salvarla da una sicura dispersione e perché fos-se utilizzata per diffondere fra i giovani l’amore per lescienze. In seguito, nel 1845 Antonio Targioni Tozzetticedette l’erbario, ricco di oltre 19.000 campioni e, suc-cessivamente, nel 1859, venne offerta al Museo la colle-zione di prodotti vegetali. Tra gli oggetti proposti figu-ra l’ammonite fossile della collezione Micheli, rinve-nuta nelle cave di pietraforte di Bellosguardo non piùesistenti, nella quale il naturalista Paolo Savi descrisse,con il nome di Mortoniceras michelii, una specie nuo-va per la scienza di cui questo reperto costituisce l’olo-

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tipo. Presente anche un singolare manufatto etruscoche evidenzia la preminenza dell’interesse per l’aspettomineralogico su quello archeologico nella descrizioneche lo stesso Giovanni Targioni Tozzetti ne dette nelcatalogo della sua collezione: “Un’antica Testa Etruscadi statua d’uomo sedente, che serviva di coperchio aduna cassetta assuaria, scolpita in una specie di Traver-tino […]. Vi sono incorporate molte molecole ferree opiritiche nericce, e scure, […] scelsi questa testa fra va-ri rottami di urne cinerarie, che si trovano intorno aisepolcri ipogei di Volterra. La pietra è del monte me-desimo dov’è Volterra, e forse è il tufo descritto dal Bal-dinucci […]”. Completano la selezione dei reperti tar-gioniani alcuni fogli dell’erbario ed esemplari di varianatura che documentano la ricchezza e la completezzadella raccolta, che aveva dignità di un vero e proprio mu-seo privato, radunato nell’arco di oltre un secolo e di-sposto in ordinati contenitori ed eleganti supporti. Nella stessa vetrina sono presenti anche alcuni fogli del-l’erbario del botanico inglese Philip Barker Webb, la-sciato da questi in eredità al Granduca di Toscana nel1854 insieme a una biblioteca tematica di oltre 5000 vo-

17il torrino della specola

Esemplaridella collezioneTargioni Tozzetti:testa etruscain travertino(sinistra)e cartelladell’erbario

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18museo di storia naturale

lumi. Si trattava della collezione di exsiccata più impor-tante d’Europa, ricca di oltre 300.000 campioni di80.000 specie, il cui arrivo a Firenze nel 1856 rese l’I.R.Museo di Fisica e Storia Naturale una delle principaliistituzioni botaniche nel panorama internazionale.L’unica parete della sala priva di aperture ospita due te-le dipinte a olio da Bartolomeo Bimbi: “Popone di Pon-te a Cappiano”, del 1694, e “Due rami di pere e un’u-pupa”, dipinto nel 1717. Si tratta di opere a caratterepomologico facenti parte della collezione di 58 dipintidi nature morte del Museo di Storia Naturale che do-cumentano l’affascinante connubio fra arte e scienza dicui fu teatro la Firenze fra xvii e xviii secolo, grazie al-la lungimirante committenza dei Medici e, in partico-lare, di Cosimo iii.Al centro della sala si trova il tubo di telescopio conicoper spettroscopia stellare ideato da Giovan Battista Do-nati, direttore dell’osservatorio del Museo dal 1864 e suc-cessivamente promotore del trasferimento della ricercaastronomica dal Torrino della Specola al nuovo osser-vatorio di Arcetri. Con tale apparecchio, su cui era mon-

BartolomeoBimbi, Poponedi Ponte aCappiano, 1694

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tata la lente ustoria del Bregans e unospettroscopio a prisma costruito ap-positamente da Giovan BattistaAmici, Donati iniziò i suoi pionieri-stici studi di spettroscopia stellareche costituiscono le prime ricerche acarattere astrofisico compiute a Fi-renze e tra le prime al mondo. Questo strumento traghetta il visita-tore dal tema delle scienze naturali aquello dell’astronomia che trova il suoculmine nella sala della meridiana, osala delle cicogne, a cui si arriva salen-do una scala stretta contenuta nellospessore murario perimetrale. Essa siconnota per il particolare interesse ar-

tistico, oltre che scientifico, vista la presenza di elemen-ti decorativi a stucco che rappresentano una serie di ci-cogne nell’atto di spiccare il volo, ideate a metà degli an-ni Quaranta dell’Ottocento dall’architetto Giuseppe Mar-telli per coprire le mensole che reggono la travatura delsoffitto.Sul pavimento è posto un orologio solare in marmo, ra-me e argento con segni zodiacali in scagliola decorata,ancora funzionante e in ottimo stato di conservazione,realizzato nel 1784 e sovrastato, all’altezza di tre metri,da un foro gnomonico. Al centro della sala, ancorata sulle colonne originali inpietra, si trova una replica dello strumento dei passaggicostruito dal fabbricante inglese Sisson, il cui originaleè andato perduto. Il suo meccanismo mostra le moda-lità operative che venivano messe in atto per effettuarele osservazioni sul passaggio degli astri attraverso le fi-nestre orizzontali che tagliano il soffitto della sala.Della dotazione originale fanno invece parte i due tele-

19il torrino della specola

Particolare delledecorazionidella sala dellameridiana

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20museo di storia naturale

scopi posizionati nell’angolo opposto all’entrata: quelloin legno e metallo di tipo Gregory del costruttore JamesShort di Londra, lungo 205 cm, e quello a rifrazione conconfigurazione terrestre, interamente fabbricato in ot-tone e dotato di livella e cercatore, firmato dalla dittaDollond di Londra, che fu utilizzato da Giovan BattistaDonati per misurare l’altezza delle protuberanze solari du-rante l’eclisse totale del 18 luglio 1860 a Torreblanca, inSpagna.La vetrina a destra della linea meridiana è dedicata aJean-Louis Pons, direttore dell’osservatorio dal 1824 al1831, anno della sua morte. Vi è esposto un suo ritrattoa olio originale, sul retro del quale è disegnata un’inedi-ta veduta del Torrino nei primi decenni dell’Ottocen-to, accompagnato da alcuni documenti autografi dell’a-stronomo e dalle “Obsérvations astronomiques à Flo-rence”, pubblicate nel 1828, con le quali Pons per la pri-ma volta portò l’osservatorio fiorentino all’attenzionedella comunità scientifica internazionale. Presente an-che il Cannocchiale a lui appartenuto, costituito da duesezioni di cartone e da un piccolo tubo di ottone. È com-pleto di obiettivo, di oculare composto e di diaframmi,apparentemente risultato dell’assemblaggio di parti di

Il mezzogiornoastronomicosulla meridiana

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fatture diverse, poiché la parte in cartone sembra italia-na, mentre quella in ottone inglese o francese. Fu dona-to all’Istituto e Museo di Storia della Scienza dagli ere-di dell’astronomo dopo la prima Esposizione Naziona-le di Storia della Scienza, svoltasi a Firenze nel 1929.La sala superiore ottagona era in origine il luogo dove sitrovavano i telescopi, che potevano essere puntati al cie-lo in ogni direzione grazie alla ampie finestre che occu-pano tutte le pareti. Uno schizzo inedito di GiuseppeMartelli della metà dell’Ottocento mostra la presenza ditali strumenti in questa sala. Al centro della sala è espo-sto il grande telescopio costruito da Tito Gonnella e pre-sentato a Firenze nel 1841 durante la Terza Riunione de-gli Scienziati Italiani, lo stesso evento che vide l’inaugu-razione della Tribuna di Galileo. Costituiva un’innova-zione nel campo dei telescopi riflettori perché Gonnellain esso aveva sostituito il secondo specchio, tipico delladisposizione ottica newtoniana, con un prisma a rifles-sione totale, migliorando così di circa il 10% la lumino-sità del telescopio. Tale sperimentazione si inseriva nel vi-vace dibattito del tempo tra i sostenitori di telescopi ri-frattori, che riproducevano l’immagine astronomica permezzo di lenti, e telescopi riflettori, che invece impiega-vano specchi ma portavano con sé il limite della bassa ri-flettività delle superfici, prima che fossero introdotte leprocedure di alluminatura, oggi in uso. Dalle otto fine-stre si può godere uno dei rari punti panoramici di Fi-renze a trecentosessanta gradi, con una vista che è sicu-ramente la più bella e suggestiva dell’Oltrarno. Il Torri-no e i locali sottostanti, fino al livello del primo piano,erano (e in parte lo sono ancora) attraversati da un foroche poteva essere reso continuo attraverso l’apertura diuna botola per ciascun piano. Si trattava di un pozzoastronomico per osservare corpi celesti alla massima de-clinazione.

21il torrino della specola

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delPianta MuseoSezione di Zoologia “La Specola”

9 Roditori, trofei Conte di Torino

10 Cetacei e ippopotamo

11 Diorama Somalia

12 Cervi e lama

13 Scimmie simili all’uomo

14 Scimmie, canguri, koala, ornitorinco,formichieri, pipistrelli, insettivori

15 Mostre temporanee

16 Canti degli uccelli, uccelli italiani

17 Uccelli italiani, coccodrilli

18 Nidi uccelli, fagiani

19 Sala grande uccelli

20 Uccelli tropicali

21 Tartarughe, coccodrilli

22 Anfibi, serpenti

24 Squali

25 cere anatomicheda a

1 Biglietteria, shop

i Informazioni

2 Spugnee coralli

3 Molluschi

4 Insetti

5 Granchi,ragni

6 Vermi, tenia

7 Stelle di marericci di mare

8 Carnivori egrossi erbivori

23 Pesci

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Sala I - Biglietteria e bookshop

Nella piccola sala, adibita a biglietteria e bookshop,è presente un piccolo diorama dedicato alle colli-

ne fiorentine. Esso mostra un ambiente di pineta fre-quentato dallo scoiattolo rosso (Sciurus vulgaris), unaspecie che almeno in Toscana è ancora piuttosto comu-ne. Lo sfondo del diorama, realizzato alla fine degli an-ni ’60, ritrae la zona intorno al Castello di Vincigliata.

Sala II - Poriferi, Cnidari e CtenoforiSulla sinistra di questa prima sala dedicata alla Zoolo-gia si trovano i modelli di alcuni Protozoi, animali uni-cellulari microscopici, dotati di un complesso rivesti-mento rigido che, alla morte degli animali, si deposi-ta sul fondo dei mari. Le restanti vetrine ospitano esem-plari di alcuni grandi gruppi di animali, prevalente-mente marini, dalla struttura molto semplice e “primi-tiva”. Nella vetrina subito a destra dell’entrata si tro-vano i Poriferi o Spugne, di cui conosciamo oltre 6.000specie che rappresentano i più semplici tra gli organi-smi animali pluricellulari, il cui particolare aspetto tras-se in inganno i primi naturalisti, che li ritennero ap-partenenti al Regno vegetale. Tutte le spugne vivonoattaccate ad un substrato, solitamente uno scoglio, maanche coralli o conchiglie e trascorrono l’intera esi-stenza nel medesimo luogo, filtrando l’acqua per trar-

Le sale di Zoologia

TeresaCatelani

AlessandroAsprea

LorenzoMontemagnoCiseri

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24museo di storia naturale

ne i nutrienti. Il corpo delle spugne,infatti, presenta numerosi pori col-legati da una rete di canali dove l’ac-qua passa, dall’esterno all’interno eviene filtrata trattenendo microsco-piche particelle alimentari. La gigan-tesca spugna nettuno (Poterium nep-tuni), nell’angolo a sinistra, eviden-zia bene quanto descritto. Le dimen-sioni e la forma delle spugne sonomolto variabili. Alcune hanno unaspetto “incrostante”, altre sono ra-mificate, altre ancora sono la classi-ca “spugna da bagno”, come l’esem-plare che si vede al centro della vetri-na (Hippospongia communis), sfrut-tato commercialmente come spugna naturale. Una specie molto particolare è il cestello di Venere (Eu-plectella aspergillum), visibile nell’angolo a destra. Que-sta spugna ospita una coppia, maschio e femmina, diuna specie di gamberetti che vi entrano e vi trovano ri-paro quando sono ancora di piccole dimensioni. Unavolta accresciuti, però, non possono più uscirne e tut-ta la loro vita si compie in questa sorta di “prigione d’a-more”, dove si cibano del plancton portato all’internodalle correnti d’acqua della spugna. In Giappone la spu-gna ed i suoi due gamberetti venivano usati come do-no di nozze, a simboleggiare l’idea del “finché morte nonvi separi”. Nella vetrina più grande sono rappresentati i Celente-rati o Cnidari, ossia i polipi e le meduse. Questi anima-li, anche se appaiono a prima vista molto dissimili, pos-seggono un’identica struttura corporea: le meduse han-no dimensioni maggiori, nuotano libere nel mare edhanno la bocca rivolta verso il basso, i polipi abitano i

Spugna comune(Hippospongiacommunis)

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coralli, sono fissi sui fondali ed han-no la bocca rivolta verso l’alto. Tuttisono muniti di tentacoli, con struttu-re urticanti. Le meduse presenti nelMediterraneo generalmente non so-no molto pericolose, ma alcune spe-cie tropicali sono invece velenosissi-me. I polipi possono presentarsi in for-me coloniali, che sono comunemen-te chiamate coralli, le cui parti dure,ovvero gli “scheletri”, di molti esem-plari sono qui visibili in vetrina. Inbasso si osserva il corallo rosso (Coral-lium rubrum), sia al naturale sia comeappare dopo che è stato lavorato. In al-to si vedono le belle gorgonie, dai co-

lori solitamente vivaci, che in natura ondeggiano al “ven-to” delle correnti marine. A sinistra, infine, alcuni bel-lissimi pezzi di madrepore (Acropora sp.), che costitui-scono la maggior parte delle barriere coralline. Sulla si-nistra di questa vetrina, dentro alcuni barattoli, vi sonogli Ctenofori: piccolo Phylum di animali marini moltoparticolari, che annovera circa 50 specie, alcune dellequali presenti e visibili anche nel Mediterraneo.

Sala III - MolluschiQuesta sala è interamente dedicata al Phylum dei Mol-luschi, che annovera diverse specie ben note, comechiocciole, vongole, ostriche e calamari. Sono note piùdi 100.000 specie viventi di Molluschi, più almeno35.000 fossili. Il corpo dei Molluschi è molle e per que-sto motivo la maggior parte di essi costruisce una ca-ratteristica conchiglia, peraltro l’unica parte che si con-serva nei fossili, che l’animale abita per tutta la vita. La

Cestellodi Venere(Euplectellaaspergillum)

25le sale di zoologia

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maggior parte dei Molluschi è acquatica e respira tra-mite branchie, ma esistono anche specie terrestri dota-te di polmoni. Nella prima vetrina a destra dell’entra-ta sono rappresentate due Classi molto antiche di Mol-luschi: Monoplacofori e Poliplacofori. I Monoplacofo-ri, come dice il nome, sono caratterizzati da una con-chiglia singola, simmetrica, dalla forma di uno scudo.Quelli esposti sono modelli in resina ingranditi 80 vol-te. I Poliplacofori viventi, rappresentati in basso, sonochiamati anche Chitoni. Nella vetrina accanto e nelle successive due si trovanoalcuni rappresentanti della più ampia Classe di Mollu-schi: i Gasteropodi, che vivono sui fondali marini, inacqua dolce e anche sulle terre emerse, come le chioc-ciole e le lumache che tutti conosciamo. La conchigliadi questi animali, che si presenta spiralata e solitamen-te conica, contiene e protegge le viscere dell’animale.La conchiglia può avere la spirale destrorsa o sinistror-sa. Nella seconda vetrina in alto vediamo le cosiddette“orecchiette di mare”, Molluschi del genere Haliotis e

Particolaredelle vetrinedei Gasteropodi

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diffusissime anche nei nostri mari. Le cipree (Cypraeaspp.), esposte a metà altezza nella vetrina, sono dette an-che “porcellane” e le loro conchiglie sono spesso utiliz-zate come soprammobili. Nella vetrina successiva vi so-no specie con grandi ed elaborate conchiglie. Sono perlo più animali carnivori, come ad esempio i comuni co-ni (Conus sp.), diffusi soprattutto nei mari tropicali.I Polmonati sono una Sottoclasse di Gasteropodi cheannovera soltanto specie terrestri e d’acqua dolce, la cuicavità del mantello si è evoluta in un polmone in gra-do di assorbire ossigeno dall’aria. Diversi Polmonati,anche riprodotti come modelli in resina, sono visibilinelle vetrine verticali e nella vetrinetta al centro dellasala. In quest’ultima, interessante da osservare è la se-quenza delle tre fasi dell’accoppiamento nella specieCantareus aspersus (su un lato della vetrina). Nelle suc-cessive due vetrine sono esposti i Bivalvi, come le coz-ze e le vongole, in cui un potente muscolo chiude ledue parti della conchiglia quando l’animale è disturba-to. La Pinna nobilis è il più grande bivalve presente nelnostro mare, dov’è rigorosamente protetta; essa viveconficcata nei fondali sabbiosi e saldata a piccole pie-

27le sale di zoologia

Guantie cinturerealizzaticon il bissodella Pinnanobilis

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28museo di storia naturale

tre con il bisso, sostanza un tempofilata per produrre un prezioso tes-suto. Una particolarità di certi bi-valvi è la produzione delle perle.Queste non sono altro che dei cor-pi prodotti accidentalmente dalmantello del mollusco, in particola-re dalle ostriche. Quando un gra-nello di sabbia rimane all’internodella conchiglia, i tessuti circostan-ti, irritati, iniziano a produrre la so-stanza madreperlacea di carbonatodi calcio che costituisce anche lostrato più interno della conchiglia;questa sostanza si deposita in tantistrati finissimi sul granello di sab-bia, ingrossandolo fino a trasformarlo in una perla. Nella vetrina accanto alla porta sono esposti i modelliin resina e le conchiglie di alcune specie di Cefalopo-di, una Classe di Molluschi pressoché sprovvisti di con-chiglia e pertanto considerati i più organizzati ed evo-luti dell’intero Phylum. Una conchiglia sviluppata sitrova ad esempio nel Nautilus, diffuso nel Pacifico oc-cidentale. In calamari e seppie la conchiglia è molto ri-dotta ed interna, mentre nei polpi manca completa-mente. Un cefalopode molto particolare è l’argonauta,la cui specie più nota e diffusa nel Mediterraneo è Ar-gonauta argo (al centro sulla sinistra). Il calamaro gi-gante (Histhioteuthis sp.), in basso a destra, è un anima-le ancora poco conosciuto perché vive negli abissi de-gli oceani. Soltanto nel settembre del 2005 è stato fil-mato per la prima volta un individuo vivo. In preceden-za erano stati osservati solo esemplari morti spiaggiati,o rinvenuti nello stomaco di capodogli o pescati acci-dentalmente. Su questo gigantesco animale, che può

Saliera del xvisecolo realizzatacon conchigliadi Nautilusmontata suargento dorato

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misurare diversi metri di lunghezza tentacoli compre-si, sono sorte tante leggende e probabilmente fa partedi quella serie di mostri marini descritti dai primi na-vigatori oceanici. Nella prima vetrina della parete di sinistra sono espo-sti alcuni esemplari della collezione Soderi-Annovazziprovenienti dalla Somalia. Infine, nella seconda vetri-na della parete di sinistra, si possono vedere alcuni og-getti realizzati con le conchiglie dei molluschi o con iloro derivati di cui già si è accennato. Tutti questi og-getti sono piuttosto antichi, prevalentemente del xviisecolo e sono un esempio di quello che si poteva trova-re nelle famose “stanze delle meraviglie” (Wunderkam-mer), ossia le collezioni che andavano di moda nel ’600e ’700 e che erano costituite da stranezze varie il cuiunico scopo, lungi dall’essere “scientifico”, era appun-to meravigliare gli ospiti del proprietario.

Sala IV - InsettiQuesta sala è dedicata agli Insetti, il più numeroso grup-po animale esistente in natura in termini di specie. Sene conoscono, infatti, più di un milione e mezzo, divi-se in trenta Ordini, tra i quali quello dei Coleotteri lafa da padrone con circa 950.000 specie (ma ogni annose ne scoprono di nuove). Nonostante appaiano anchemolto diversi tra di loro, gli insetti presentano semprela stessa struttura del corpo. Questo risulta organizza-to in tre parti: capo, torace e addome. Sul capo sonopresenti la bocca, due antenne, due occhi (semplici ocomposti) e un numero variabile di ocelli più piccoli.Sul torace si trovano sempre sei zampe e per questo gliinsetti sono chiamati anche “esapodi”. La maggioran-za delle specie presenta anche due paia di ali, variamen-te conformate a seconda della specie.

29le sale di zoologia

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30museo di storia naturale

Nella sala ci sono vetrine tematichededicate ai tanti e diversi aspetti del-la vita, delle forme e dei colori degliinsetti. Alcune dedicate al dimorfi-smo sessuale, ovvero la differentemorfologia tra maschi e femmine diuna stessa specie, altre ancora illu-stranti le infinite varietà di colorazio-ne. Notevole, tra le varie curiositàesposte, è il raro “coleottero titano”(Titanus giganteus), della Famiglia deiCerambicidi, che è uno dei più gran-di insetti del mondo; vive nella fore-sta amazzonica e può raggiungere an-che i 18 cm di lunghezza. Anche lasua larva è davvero notevole (misurainfatti circa 25 cm) e si sviluppa nel legno morto o mar-cescente degli enormi alberi della foresta tropicale. È unanimale piuttosto raro e, fino alla fine dell’Ottocento,se ne conoscevano pochissimi esemplari, trovati mortidopo le piene dei grandi fiumi nelle foreste vergini del-l’Amazzonia e raccolti da indios e missionari. Solo apartire dalla seconda metà del Novecento se ne comin-ciarono a raccogliere i primi esemplari viventi. Questoinsetto è attivo di notte e, cosa strana a dirsi, è anche ingrado di volare, nonostante la mole gigantesca. Una ve-trina riproduce in scala il modellino di una comuneabitazione e mostra quali insetti possano trovare il lo-ro habitat nei diversi ambienti delle nostre case. Troviamo poi esposte una gran quantità di farfalle, Or-dine dei Lepidotteri, ben caratterizzate dalla forma edal colore delle ali. Le farfalle diurne, ed in special mo-do quelle tropicali, hanno solitamente una colorazio-ne molto vivace a differenza di quelle notturne nellequali le tonalità sono più smorte e uniformi. Il risulta-

Coleotterotitano(Titanusgiganteus)

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to di una severa selezione naturale si esprime in unostrumento molto efficace e diffuso negli insetti, vale adire il mimetismo. Alcune specie utilizzano i colori, laforma o i disegni delle ali e del corpo per confondersicon l’ambiente in cui vivono e “scomparirvi” dentrorendendosi in qualche modo invisibili agli occhi deipredatori (mimetismo criptico); altre al contrario sfrut-tano queste stesse caratteristiche al fine di rassomiglia-re addirittura, per forma e colore, ad altre specie, soli-tamente più aggressive o non commestibili, così da sco-raggiare eventuali attacchi di predatori (mimetismo ba-tesiano).Tra i Coleotteri nostrani si riconoscono bene il cervovolante (Lucanus cervus) e lo scarabeo rinoceronte(Orictes nasicornis), mentre tra le farfalle ricordiamoil macaone (Papilio machaon), frequentatore comunedei nostri prati e dei nostri giardini, e la ben più rarasfinge “testa di morto” (Acherontia atropos). Questafalena notturna deve il suo macabro soprannome al ca-

ratteristico disegno giallognolo cheporta sul dorso e che ricorda in mo-do evidente la parte superiore di unteschio.Nella vetrina dedicata alle straordi-narie costruzioni ad opera di insettisociali vediamo i nidi di alcune spe-cie di formiche, api, calabroni, vespee termiti che sono in grado di edifi-care strutture assai complesse e dal-le dimensioni decisamente notevoli.Uno dei nidi più imponenti che os-serviamo nella vetrina è quello dellaVespa crabro, la più grande vespa ita-liana, comunemente nota come ca-labrone. Dopo aver trascorso l’inver-

Dimorfismosessualenel LepidotteroOrnithopteraparadisea

31le sale di zoologia

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no in luoghi riparati, questi animali iniziano a costrui-re il nido in primavera utilizzando piccoli pezzetti dilegno, masticati ed impastati con la saliva. Essi otten-gono così un materiale della consistenza del cartone,con cui costruiscono la struttura portante del nido,una sorta di torta rovesciata a più piani, protetta ester-namente da una serie di involucri sovrapposti. L’ulti-ma vetrina riproduce il modellino di una comune abi-tazione e mostra quali insetti possano trovare il lorohabitat nelle nostre case.

Sala V - Chelicerati e CrostaceiIn questa sala sono esposti diversi gruppi di invertebra-ti appartenenti a due grandi sottogruppi del Phylum de-gli Artropodi, quello dei Chelicerati e quello dei Cro-stacei. Nella vetrina posta entrando a sinistra, possia-mo vedere, partendo dall’alto, i limuli (Ordine Xipho-sura). Questi sono Chelicerati marini carnivori e si nu-trono di vermetti, piccoli molluschi e crostacei che tro-vano sui fondali marini. Sono veri e propri “fossili vi-venti”, noti almeno fin dalSiluriano (circa 400 milio-ni di anni fa) ed ancora og-gi, praticamente immuta-ti, sono rappresentati da 7specie, distribuite lungo lecoste americane atlantichee nel sud-est asiatico finoad una profondità di 30 m.Più in basso nella stessa ve-trina si osservano due te-che con molti rappresen-tanti della Classe Aracnida.Gli Aracnidi comprendo-

Limulo(Limuluspolyphemus)

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no tutti gli ordini di Chelicerati terrestri, quali i ragni(Ordine Araneae, teca di destra), gli acari e le zecche(Ordine Acarina, teca di sinistra) e gli scorpioni (Or-dine Scorpiones). Ve ne sono altri poi meno noti e spes-so caratterizzati da forme piccole e notturne, quali gliOpiliones, i Solifuga, gli Pseudoscorpiones, gli Am-blypygia, gli Uropygia, e altri ancora. Quasi tutti gliAracnidi si nutrono di altri artropodi, per lo più inset-ti di cui sono predatori attivi. I ragni e gli scorpioni, adesempio, sono tutti provvisti di veleno, più o meno pe-ricoloso anche per l’uomo, che utilizzano sia per pre-dare sia per difendersi. Possiamo vedere la vedova neraeuropea (Latrodectus tredecimguttatus), chiamata anche“malmignatta” o “ragno volterrano” e caratterizzata dal-l’avere 13 macchie rosse sull’addome nero. Questo ra-gno è molto simile alla ben più famosa vedova neraamericana (Latrodectus mactans), dove però la macchiarossa, a forma di clessidra, è solo una e si trova al di sot-to dell’animale, tra il cefalo-torace e l’addome. Nella teca sottostante i ragni vediamo diversi animaliche fanno tutti parte del gruppo dei cosiddetti Myria-poda. Sotto questo nome si comprendono diversi tipidi Artropodi di cui i più noti sono sicuramente la sco-

Particolaredella vetrinadei CrostaceiDecapodi

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lopendra (Chilopoda) ed i millepiedi (Diplopoda). Glialtri due gruppi invece (Symphyla e Pauropoda), sicu-ramente meno note, sono costituiti da un numero mol-to ridotto di specie. Nelle altre vetrine della sala sono esposte molte speciedi Crostacei, Artropodi per la stragrande maggioranzamarini o d’acqua dolce. Esistono, tra quelli qui espo-sti, molti piccoli ma interessanti gruppi che vanno daimeno comuni, come i Cirripedi ed i Copepodi, a quel-li come gli Isopodi (meglio conosciuti come porcellinidi terra) e come gli Anfipodi (le cosiddette pulci di ma-re). Vi sono poi specie molto importanti per la catenaalimentare degli oceani come gli Eufasiacei, solitamen-te ricordati con il nome di “krill”, che costituiscono ilprincipale nutrimento di molte specie di balene. I Cro-stacei più noti di tutti sono però sicuramente quelli condieci zampe (Ordine Decapoda). Questi hanno dimen-sioni maggiori e comprendono specie commercialmen-te molto importanti per l’industria alimentare qualigamberi, aragoste, astici e granchi. Come detto si trat-ta di animali per lo più marini, ma esistono comunqueintere Famiglie che si sono specializzate a vivere in am-biente terrestre. Queste sono, ad esempio, i paguri ter-restri (Cenobititi), e i granchi terrestri (Gecarcinidi), masi tratta di specie esclusivamente tropicali. Altri hannoinvaso le acque dolci, come i gamberi e i granchi di fiu-me, comuni anche in Italia.

Sala VI - Anellidi, Onicofori, Nematodi,Platelminti, Sipunculidi e Brachiopodi Questa piccola sala contiene una grande varietà di in-vertebrati che in natura comunemente non ricevonotroppa attenzione e apprezzamento, ovvero gli Anelli-di, animali che possiedono un corpo molle, allungato,

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diviso in segmenti. Il Phylum de-gli Anellidi comprende circa13.000 specie, per la maggior par-te marine, ma anche terrestri ed’acqua dolce. I più noti anima-li della sala sono sicuramente ilLombricus terrestris, il lombricodi terra, e l’Hirudo medicinalis, lacomune sanguisuga dei nostri cli-mi. Proseguendo troviamo ilgruppo dei Nematodi: animalivermiformi dal corpo sottile enon segmentato, sia liberi sia pa-rassiti. Ancora si vedono i Platel-

minti, animali vermiformi appiattiti, filiformi o na-striformi, spesso parassiti. Il platelminta più celebre è latenia, ben visibile al centro della vetrina (Taenia solium).

Sala VII - EchinodermiGli Echinodermi rappresentano un gruppo di animalimarini e comprendono forme di diverso aspetto (gigli dimare, stelle, ricci, oloturie e ofiure), ma con caratteristi-che comuni. Esistono cinque classi di Echinodermi, rap-presentate nel Mediterraneo da circa 150 specie: Echi-noidei, Asteroidei, Ofiuroidei, Oloturidi e Crinoidi. Adestra dell’ingresso ecco gli Echinoidei, i ricci di mare:sono erbivori, hanno forma globosa e non hanno brac-cia, ma uno scheletro esterno formato da piastre saldatee ricoperto di spine ed aculei, grazie ai quali sono in gra-do di muoversi, e che talvolta possono rilasciare tossine,anche pericolose. Le vetrine seguenti contengono la classe degli Asteroidei,le stelle di mare (di cui sono note circa 2.000 specie), dal-la caratteristica forma del corpo, dal quale si dipartono

AnellidiIrudinei

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cinque o più braccia; essi procedono sul fondo lentamen-te, usando i pedicelli ambulacrali per spostarsi e le brac-cia per sollevarsi. Sono tutti carnivori e si cibano preva-lentemente di molluschi bivalvi e gasteropodi.Gli Ofiuroidei (ofiure, stelle serpentine) hanno corpoappiattito costituito da un disco centrale e da cinquebraccia molto lunghe, sottili e serpentiformi, partico-larmente mobili, che permettono un movimento velo-ce. La loro colorazione in natura è generalmente pocoappariscente e mimetica, ma alcune specie presentanouna livrea vivace e colorata. Vivono sotto le roc-ce o sepolte nei substrati mobili. Si nutrono didetriti, materiale in sospensione o piccoli inver-tebrati, che portano all’aperturaboccale con l’ausilio delle brac-cia. Negli Oloturidi (cetrioli dimare, oloturie, visibili in baratto-lo nella vetrina a sinistra dell’entrata) ilcorpo può essere molle o rigido, coriaceo.Strisciano lentamente sul fondo e sinutrono di detriti. I Crinoidi (gigli dimare) hanno il corpo a forma di cali-

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Riccio matita(Heterocentrotusmammillatus)

La stellamarinaProtoreasterlincki

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ce e generalmente vivono attaccati mediante un pedun-colo a superfici rocciose; alcune specie, come gli Ante-don, possono nuotare liberamente. I Crinoidi si nutro-no di plancton e detriti. In genere possiedono lunghebraccia sottili ricoperte di piccole appendici che dan-no loro l’aspetto di animali piumati. Il numero di brac-cia varia a seconda della specie, arrivando anche ad ol-tre 200 nelle grosse comatule tropicali.

Sala VIII - Carnivori, Artiodattili,PerissodattiliQuesta sala ospita rappresentanti di diversi Mammife-ri terrestri e di alcune specie adattatesi alla vita acqua-tica. Le vetrine laterali contengono soprattutto esem-plari appartenenti alle principali famiglie di Carnivo-ri. Appena entrati probabilmente la prima cosa che sinoterà saranno i grandi felini esposti nella grande ve-trina di fronte. Qui sono esposte diverse specie distri-buite un po’ in tutti i continenti: il leone (Panthera leo),il leopardo (P. pardus), il ghepardo (Acinonyx jubatus),la lince (Lynx lynx), il gatto selvatico (Felis silvestris), il

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Serval(Felis serval)

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puma (Felis concolor), il giaguaro(Panthera onca) e il serval (Felis serval)che vive nelle savane africane. La Fami-glia dei Canidi include specie come vol-pi, sciacalli e, particolarmente rilevanteper l’Italia, il lupo (Canis lupus). L’esem-plare qui esposto, in atteggiamento dipredazione, è stato volutamente rappre-sentato accentuandone la ferocia secon-do canoni ottocenteschi oggi non piùseguiti. Il fennec (Fennecus zerda), il piùpiccolo Canide esistente (1-1,5 kg), è al-tamente specializzato per la vita in am-biente desertico, mentre le iene non so-no Canidi ma costituiscono una Famiglia a sé stante(gli Ienidi), composta da quattro specie diffuse preva-lentemente in Africa. Differentemente da quanto co-munemente noto, le iene non sono animali esclusiva-mente spazzini, ma cacciano anche grossi ungulati, en-trando in diretta competizione con i leoni. Gli orsi sono qui rappresentati da diverse specie, pre-senti sia in America sia in Europa e Asia. L’orso bianco(Ursus maritimus) vive nell’Artico ed ha spiccate abitu-dini acquatiche. Il suo habitat preferito è la banchisa po-lare, dove può vagare per migliaia di chilometri, special-mente in inverno, alla ricerca delle foche, sue prede fa-vorite. L’orso bruno è invece la forma euroasiatica, dif-fusa in diverse regioni montane dalla Spagna alla Scan-dinavia e dai Carpazi fino alla Russia. In Italia è presen-te con tre popolazioni locali.Foche, trichechi e otarie sono mammiferi carnivori adat-tatisi alla vita acquatica e costituiscono l’ordine dei Pin-nipedi. I loro arti sono modificati in pinne, mentre siail pelo sia la pelle hanno caratteristiche che facilitanol’idrodinamicità. Il tricheco (Odobenus rosmarus), che

Orso bianco(Ursusmaritimus)

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nei maschi raggiunge un peso massimo di circa 1.700kg, si ciba prevalentemente di crostacei e molluschi cheindividua sui fondali grazie ai suoi sensibili “baffoni” eche scova con le lunghe zanne. Otarie e foche (distin-guibili fra loro dalla presenza o meno dei padiglioni au-ricolari) si cibano in prevalenza di pesce e di krill. Nella vetrina centrale sono conservati alcuni esempla-ri di Ungulati africani. Il rinoceronte bianco (Cera-totherium simum) può pesare fino a 1,7 tonnellate nel-le femmine e 3,5 tonnellate nei maschi. Un altro im-portante esemplare presente in questa vetrina è l’oka-pi (Okapia johnstoni), una rarissima antilope della Fa-miglia dei Giraffidi. L’okapi vive nelle fitte foreste afri-cane del Congo, in un’area molto ristretta, tanto che èrimasto completamente sconosciuto agli europei finoalla fine del secolo xix. Soltanto nel 1890, il noto esplo-ratore Henry Stanley, in Africa alla ricerca di Living-stone, apprese della sua esistenza. Alle due estremitàdella vetrina centrale sono conservati dei bellissimiesemplari di gerenuk (Litocranius walleri), dik dik (Ma-

doqua sp.) e gazzella di Grant(Gazella granti), tre specie diantilopi africane. Nelle altre vetrine laterali so-no rappresentati i Mustelidi,una Famiglia cosmopolitache comprende specie note epresenti anche in Italia, co-me la faina (Martes foina) e ladonnola (Mustela nivalis), iltasso europeo (Meles meles),animale molto versatile, lamoffetta comune (Mephitismephitis), un mustelide ame-ricano dalle tipiche strisce

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Gazzelladi Grant(Gazellagranti)

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bianche e nere, spesso erroneamente chiamata puzzo-la (in realtà la vera puzzola è la specie europea Mustelaputorius). I suricati (Suricata suricatta) sono mangusteche vivono negli ambienti semi aridi dell’Africa meri-dionale ed orientale e, come le altre specie, si cibano pre-valentemente di piccoli artropodi e rettili.

Sala IX - Roditori, Lagomorfi, trofei contedi TorinoNell’angolo di questa sala sono esposti alcuni dei nu-merosi trofei di caccia raccolti da Vittorio Emanuele diSavoia Aosta conte di Torino e donati al Museo dallaFamiglia Reale nel 1923. Le due teste di rinoceronte (ri-noceronte bianco cartellino n. 5 e rinoceronte nero n.6). Al centro della collezione si trova un dente di nar-valo (Monodon monoceros, n. 12), un cetaceo parentedei delfini che vive nell’Oceano Artico. Nei maschi,l’incisivo sinistro è fortemente modificato in questa lun-ga “zanna” che perfora il labbro superiore e si proten-de in avanti, fino a 3 m di lunghezza. Nei secoli passa-

Alcunidei trofeidel contedi Torino

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ti si credeva che questa zanna d’a-vorio, magari ritrovata sulle spiag-ge senza che l’animale intero venis-se mai visto, fosse il corno del mi-tico unicorno. I crani di elefantehanno alimentato un’altra leggen-da, quella mitologica dei ciclopi.Osservando i due crani di elefantemoderno qui esposti (elefante in-diano Elephas maximus, cartellini

n. 11 e 13), si nota l’ampia apertura in mezzo alla fron-te, che corrisponde alle narici e da cui si diparte la pro-boscide; non si fatica a credere che questa apertura pos-sa essere stata interpretata in antichità come l’orbita diun unico grande occhio centrale in un cranio apparte-nente ad un gigante. Nelle due vetrine della sala sono rappresentate alcunespecie di Roditori (topi, ghiri, scoiattoli, marmotte,istrici) e tre specie di Lagomorfi (lepri e conigli). L’istri-ce (Hystrix cristata) vive in Europa, mentre i porcospi-ni (Erethizon dorsatum e Chaetomys subspinosus) sonoamericani. Il jerboa egiziano (Jaculus orientalis) è un to-polino che si muove con salti lunghi diversi metri, chepossono giungere fino a quasi un metro di altezza; conla sua andatura può coprire anche più di 10 km in unanotte.

Sala X - Cetacei, Ungulati, Roditori, SirenidiIn questa sala sono esposti esemplari appartenenti adiversi Ordini di Mammiferi. La vetrina centrale ospi-ta alcuni Cetacei, due dei quali (beluga, Delphinapte-rus leucas e focena, Phocoena sp.) sono modelli in ges-so. Nonostante l’aspetto di questi animali ricordi quel-lo dei pesci, essi sono Mammiferi e ovviamente ne con-

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Jerboa egizianomaggiore(Jaculusorientalis)

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servano tutte le prerogati-ve, come la viviparità el’allattamento. I Sirenidi(il dugongo e le tre speciedi manati o lamantini),presenti nei mari e pressol’estuario di fiumi delle re-gioni tropicali, sono ungruppo particolare diMammiferi acquatici sor-prendentemente impa-rentato con gli elefanti. L’indole pacifica di questi er-bivori e la loro scarsa capacità visiva li mettono in pe-ricolo quando si avvicinano alle zone frequentate dal-l’uomo. Una specie molto particolare, esposta in questa sala,è l’asino selvatico (Equus africanus). Quasi scompar-so in natura, è originario dell’Africa ed è il progeni-tore di tutte le varietà domestiche di asino. Infine l’ip-popotamo (Hippopotamus amphibius) è tra i più vec-chi esemplari conservati a “La Specola”, poiché figu-ra nel primo inventario delle collezioni granducali sti-lato da Targioni Tozzetti nel 1763. A quanto pare fudonato, vivo, dal Viceré d’Egitto al Granduca di To-scana nel ’700. L’animale fu probabilmente tenuto inuna vasca nel giardino di Boboli e mostra ancora, sul-la pelle del collo, il segno della corda con cui era lega-to. Da notare che la bocca è stata riprodotta modifi-candone la dentatura, secondo il tipico approccio del-l’epoca: il preparato doveva soprattutto impressiona-re lo spettatore, più che essere fedele all’aspetto natu-rale dell’animale; per ottenere questo effetto, si accen-tuavano i caratteri più particolari ed aggressivi dellaspecie.

Ippopotamo(Hippopotamusamphibius)

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Sala XI - Diorami e ecosistemi somaliQuesta sala, fra le più moderne del Museo, è intera-mente dedicata agli ecosistemi della Somalia, i cui aspet-ti zoogeografici sono spiegati nella vetrina subito a si-nistra. Il diorama che domina la sala rappresenta inve-ce un ambiente semiarido della Somalia al tramonto.È a quest’ora che il caracal (Felis caracal) lascia il suo ri-fugio per andare a caccia di piccole prede, come i duedik dik (Modoqua saltiana) che si vedono nell’angolo,in atteggiamento di allerta. Al centro della scena si trova un grande termitaio, unelemento caratteristico nel panorama delle aree semide-sertiche somale, la cui mirabile struttura interna e il re-lativo ruolo ecologico sono spiegati nella vetrina di fron-te. Completa la sala un secondo diorama, più piccolo edi più antica fattura, che riproduce l’ambiente in cuivivono le procavie (Heterohyrax brucei), piccoli mam-miferi sociali che trovano rifugio nelle zone rocciosedella Penisola arabica e di alcune regioni del MedioOriente.

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Il dioramadell’ambientesemiarido dellaSomalia

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Sala XII - ArtiodattiliQuesta sala è dedicata interamente agli Artiodattili, ungruppo di Mammiferi che comprende circa 140 specie.Alpaca (Lama pacos) e guanaco (Lama guanicoe) sonodue specie che vivono in Sudamerica, sulle Ande. Persecoli i guanachi (ma anche le vigogne, Vicugna vicu-gna, qui non rappresentate) sono stati cacciati per la lo-ro bella pelliccia. Al centro della sala si trovano i buoi muschiati (Ovibosmoschatus), grossi erbivori artici che, nonostante il no-me e l’aspetto, sono evolutivamente più imparentaticon pecore e capre che con bufali e bisonti. Nello stam-becco (Capra ibex) le corna sono spesso usate come mez-zo di difesa contro i predatori, ma anche come arma du-rante i combattimenti tra i maschi per la conquista del-le femmine. Cervi, daini e caprioli fanno parte dellafauna italiana e sono variamente e diversamente diffu-si, soprattutto nelle zone alpine ed appenniniche. Il cer-vo rosso (Cervus elaphus) in primo piano nella vetrina

Particolaredella vetrinadei Cervidicon il cervoin primo piano

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è una recente acquisizione del Museo. Questo giovanemaschio è stato trovato morto investito lungo una stra-da in provincia di Prato nel 1998.

Sala XIII - ScimmieQuesta sala è interamente dedicata alle scimmie (Ordi-ne dei Primati). La vetrina centrale contiene esemplaridi tre scimmie antropomorfe (o scimmie senza coda):gorilla (Gorilla gorilla), scimpanzé (Pan troglodytes) edorango (Pongo pygmaeus). Come si vede, uno spazio è la-sciato vuoto ed è dedicato all’uomo (Homo sapiens), qua-le primate tra i Primati, che condivide con lo scimpanzéed il gorilla circa il 98% del suo patrimonio genetico.L’orango ormai è confinato in pochi fazzoletti di forestatropicale sopravvissuti alla deforestazione sulle isole diBorneo e Sumatra. Lo scimpanzé vive quasi esclusiva-mente nelle foreste dell’Africa centrale, dov’è presente an-che la specie sorella, il bonobo o scimpanzé pigmeo (Pan

paniscus). Lo scimpanzé ha uno stiledi vita che, più di ogni altra scimmia,potrebbe essere simile a quello delleprimitive popolazioni di progenitoridell’uomo. Il gorilla vive in gruppisociali non troppo numerosi (5-30 in-dividui) con a capo il maschio domi-nante, riconoscibile per la schiena gri-gio-argento. Questo animale è ormaiuno dei simboli della conservazionedella natura ed è stato reso famoso daipionieristici studi della primatologaDiane Fossey, peraltro uccisa propriodai bracconieri negli anni ’80. Tutte le altre specie qui conservatesono scimmie con la coda. Tre vetri-

Gorilla(Gorillagorilla)

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ne ospitano le scimmie caudate delVecchio Mondo. Nelle vetrine a sini-stra dell’entrata sono esposte alcunescimmie africane, tra cui i babbuini(Papio sp.) ed i macachi (Macaca sp.).La bertuccia (Macaca sylvanus) si tro-va anche sulla Rocca di Gibilterra,nella Penisola iberica meridionale edè l’unica scimmia presente in Europa.Nella vetrina a destra vediamo la na-sica (Nasalis larvatus), dal buffo e ca-ratteristico naso allungato, che neimaschi è talmente prominente dascendere oltre la bocca. Nell’ultimavetrina, infine, vi sono le scimmie conla coda del Nuovo Mondo, presentiin America centrale e meridionale. Caratteristica esclu-siva di queste scimmie è l’uso della coda come “quintoarto”, tanto che essa è dotata di callosità atte a miglio-rare la presa sui rami. In primo piano, la scimmia piùarboricola di tutte, opportunamente definita scimmiaragno (Ateles sp.) e le scimmie urlatrici (Aluatta sp.),cosiddette per le loro caratteristiche vocalizzazioni chepossono udirsi anche a chilometri di distanza nelle fit-te foreste dell’Amazzonia.

Sala XIV - Scimmie, Proscimmie,Tubulidentati, Sdentati, Marsupiali,Dermotteri, Chirotteri, Monotremi, InsettivoriIn termini di diversità di specie e di ordini di Mammi-feri rappresentati, questa è sicuramente la sala più ric-ca. Lungo la parete di destra troviamo le Proscimmie,quasi tutte del Madagascar, con abitudini notturne, for-temente arboricole e capaci di agili balzi per spostarsi

Particolaredella vetrinacon le scimmiedel Nuovo Mondo

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di ramo in ramo. Gli occhi sono grandi e posti frontal-mente, caratteristica tipica di tutti i Primati (uomo com-preso), evolutasi nei loro progenitori proprio come adat-tamento alla vita arboricola. Tutte le Proscimmie sono“vegetariane”, ossia si cibano prevalentemente di fogliee frutta, e soltanto alcune talvolta mangiano insetti elarve.Un lemure molto particolare è l’aye-aye o daubento-nia (Daubentonia madagascariensis), visibile nella vetri-netta centrale della parete. Nonostante l’aspetto un po’inquietante, è un animale schivo, che si ciba esclusiva-mente di frutta e larve d’insetti, ma a causa del suoaspetto esteriore, i malgasci l’hanno sempre cacciataperché la ritengono portatrice di sfortuna. Nella vetri-na accanto a sinistra sono visibili altri lemuri, come ilsocievole Lemur catta ed il raro indri (Indri indri), en-trambi presenti soltanto in Madagascar. Una curiosità:“indri” significa “eccolo lì” in malgascio e si può benimmaginare come sia successo che gli zoologi europeiabbiano dato questo nome alla specie.

Nella vetrina centrale sono ospitatidiversi esemplari di Mammiferi Mar-supiali, dai piccoli opossum fino aigrandi canguri. Il marsupio, caratte-ristica di questi animali, è una tascaventrale (presente soltanto nelle fem-mine), nella quale si trovano i capez-zoli e dove si sviluppa l’embrione del-l’animale. Fra i tanti Marsupiali espo-sti, il tilacino (Thylacinus cynocepha-lus) è molto importante, poiché rap-presenta una delle tante specie estin-te conservate in questo Museo. Il ti-lacino, o “lupo marsupiale”, vivevaesclusivamente in Tasmania, di cui

Aye aye(Daubentoniamadagascariensis)

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oggi è il simbolo nazionale.Ironia vuole che siano statiproprio i colonizzatori eu-ropei – gli stessi che oggi nesfruttano commercialmen-te l’immagine e che lo han-no promosso a simbolo na-zionale! – a sterminarlo du-rante il xix secolo. L’ultimotilacino selvatico è stato uc-ciso nel 1930, l’ultimo esemplare in cattività è morto nel1936. Il koala (Phascolarctos cinereus) vive per quasi tutta la vi-ta sugli alberi e si ciba quasi esclusivamente di foglie dieucalipto. Il diavolo della Tasmania (Sarcophilus harri-sii), reso celebre da un cartone animato, a dispetto delnome era presente anche in Australia almeno fino a400-600 anni fa, ma poi scomparve probabilmente inseguito alla competizione con il dingo (Canis familia-ris dingo), il cane selvatico australiano. Il diavolo di Ta-smania ha abitudini notturne e di giorno capita di tro-varlo a riposare nelle tane del vombato (Vombatus ur-sinus), un altro marsupiale terricolo visibile in questavetrina.Altri mammiferi piuttosto singolari presenti in questasala sono i pangolini e gli armadilli. I primi si trovanoin Africa ed in Asia, mentre i secondi sono presenti inAmerica centrale e meridionale. Entrambi hanno unacorazza squamosa che serve come difesa quando l’ani-male si appallottola in caso di pericolo. I grossi unghio-ni non servono per difendersi o per aggredire, ma perscavare le tane e per cercare nel terreno gli insetti chesono la base della loro dieta. Nella vetrina a sinistra ac-canto al corridoio vi sono i pipistrelli, i Mammiferi chehanno conquistato il volo. Le sottili ossa che sorreggo-

Tilacino(Thylacinuscynocephalus)

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no l’ala, e che assomigliano alle stecche di un ombrel-lo, non sono altro che le falangi modificate delle cin-que dita, ossia le stesse ossa che anche noi abbiamo nel-la mano. Il pipistrello più grande qui rappresentato èla cosiddetta “volpe volante” (Pteropus giganteus) che,a dispetto del nome da carnivoro, ha una dieta comple-tamente a base di frutta. Questi grandi pipistrelli vivo-no soltanto nelle zone tropicali africane ed asiatiche esono diurni. Le specie più piccole, invece, sono nottur-ne e prevalentemente insettivore. Di seguito sono esposti due esemplari di MammiferiMonotremi: l’ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus) el’echidna (Tachiglossus aculeatus). Il primo è esclusiva-mente australiano, mentre il secondo si trova anche inNuova Guinea e Tasmania. La loro caratteristica è quel-la di fare le uova ma, allo stesso tempo, di produrre illatte per nutrire i cuccioli. L’ornitorinco vive in tane sca-

vate presso laghi o torrentipuliti, dove va in cerca di ci-bo durante le ore notturne.Quello che sembra essere unbecco, in realtà non lo è af-fatto: è invece un sensibilis-simo organo tattile con cuil’ornitorinco percepisce per-fino l’attività elettrica deimuscoli delle prede.

Sala XV - Corridoio mostre temporaneeCome risultato del riallestimento della sala xiv, dallafine del 1996 è stato ricavato questo particolare spazio,dedicato ad ospitare mostre temporanee. Il corridoio fuinaugurato nel 1997 con la mostra, organizzata dal Mu-seo e dal Dipartimento delle Politiche Territoriali ed

Ornitorinco(Ornithorhynchusanatinus)

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Ambiente della nostra Regione, dal titolo “Parchi e AreeProtette della Toscana”. Da allora vi vengono ospitate,in maniera pressoché continua, esposizioni di opere diartisti italiani e stranieri che hanno tratto ispirazione dalMuseo.

Sala XVI - Uccelli italianiNella sala si individua subito il fenicottero (Phoenico-pterus ruber), inconfondibile per la sua colorazione ro-sea ed il grosso becco piegato quasi ad angolo retto. Vi-cino troviamo la rara cicogna nera (Ciconia nigra) e lacicogna bianca (Ciconia ciconia), che negli ultimi anniè tornata a nidificare in Italia. Accanto si trovano uccel-li tuffatori come strolaghe e svassi, fra i quali lo svassomaggiore (Podiceps cristatus), che durante il periodo ri-produttivo sviluppa un vistoso collare di piume dalle to-nalità che vanno dall’arancione al nero. Nella sala è presente un sistema interattivo dotato dimonitor con touch screen, che permette di ascoltare ericonoscere il canto degli uccelli conte-nuti nella vetrina corrispondente, suddi-visi in quattro relativi ambienti. La ve-trina a fianco è occupata dagli Ardeidi,uccelli tipici degli ambienti umidi e ca-ratterizzati da un lungo collo che in vo-lo tengono piegato ad “S”, come aironi,garzette, nitticore e tarabusi. Accanto tro-viamo alcuni grossi rapaci diurni (aqui-le, capovaccai, avvoltoi) ormai purtrop-po raramente osservabili, se non del tut-to scomparsi nel nostro Paese (avvoltoiomonaco, Aegypius monachus). Il gipeto(Gypaetus barbatus), i cui ultimi esem-plari erano presenti in Sardegna fino agli

Civetta(Athene noctua)

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anni ’70 dello scorso secolo, è stato reintrodotto in Au-stria e Svizzera ed è dunque ricomparso sulle Alpi. L’a-quila reale (Aquila chrysaetos), visibile in alto, vive in zo-ne rocciose impervie e poco disturbate dall’uomo. Dall’altra parte della stanza troviamo altri rapaci diur-ni: le albanelle, il falco di palude (Circus aeruginosus),il falco pescatore (Pandion haliaetus) che si nutre di pe-sci che riesce a trattenere grazie ai suoi poderosi artigli,la più comune poiana (Buteo buteo) e l’abile falco pel-legrino (Falco peregrinus), uno degli uccelli più ambitidai falconieri per le sue capacità predatorie, che puòraggiungere in volo la velocità di 150 km orari. Nella stes-sa vetrina ci sono poi i rapaci notturni, il più grande deiquali è il gufo reale (Bubo bubo), mentre i più comunie ormai anche adattati alla città sono l’allocco (Strixaluco) e la civetta (Athene noctua). Il barbagianni (Tytoalba) presenta le penne del disco facciale distribuite nel-la caratteristica forma a cuore, la cui funzione è quelladi convogliare i suoni verso il padiglione auricolare perpercepirli nel minor tempo possibile e meglio localiz-zarne l’origine.

Particolare dellavetrina con icoraciformiitaliani

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Nella vetrina centrale si trovano gli uccelli italiani piùvistosi e colorati. Il martin pescatore (Alcedo atthis), l’u-pupa (Upupa epops), ben riconoscibile per la vistosa cre-sta che solleva in caso di allarme o corteggiamento, ed igruccioni (Merops apiaster), grandi mangiatori di api.In basso e nel resto della stanza troviamo i Passeriformi,un ordine molto ampio di uccelli abbastanza piccoli,buoni volatori, adattati a svariati ambienti, alcuni deiquali possiedono deliziose qualità canore. Comprendo-no anche i Corvidi: gracchi (Genere Pyrrhocorax), cor-nacchie e corvi (Genere Corvus), ma anche la colorataghiandaia (Garrulus glandarius) e la sventurata gazza (Pi-ca pica), alla quale è comunemente attribuito l’appella-tivo di “ladra” di oggetti luccicanti, comportamento inrealtà mai dimostrato per gli individui in libertà.

Sala XVII - Uccelli italiani e coccodrilliAppena entrati in questa sala si nota la grande vetrinacentrale contenente i coccodrilli, posizionata qui perragioni storiche. In essa si trova un esemplare di Plu-vianus aegyptius, detto guardiano dei coccodrilli, un uc-cello che ne condivide gli stessi ambienti. Nelle vetrine poste alle pareti si possono individuare ilpellicano comune (Pelecanusonocrotalus) e il pellicano ric-cio (Pelecanus crispus) che sidistingue per le piume delcollo più lunghe e arriccia-te. Più comuni sono i cor-morani, anch’essi Peleca-niformi in quanto presenta-no zampe palmate conmembrana interdigitale cheunisce tutte le quattro dita.

Pellicano riccio(Pelecanuscrispus)

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In basso a sinistra troviamo due specie di uccelli delle tem-peste (Oceanites oceanicus e Oceanodroma leucorhoa), vo-latori efficientissimi capaci di ampie trasvolate sui mari.I Columbidi invece hanno attitudini totalmente differen-ti e la forma domestica del piccione (Columba livia) pro-lifera ormai diffusamente. A sinistra si vedono i Gruifor-mi: gru (Grus grus) e altri uccelli quasi tutti associati adambiente acquatico palustre. Nel restante spazio di que-sta parete ci sono gabbiani, sterne ed altri uccelli con va-ri caratteri di adattamento alla vita marina, nonché gliAnatidi, comprendenti anatre, oche, cigni e simili.

Sala XVIII - Nidi di uccelliEntrando in questa sala si notano, nella vetrina centra-le, alcune specie di Fasianidi particolarmente vistose eprovenienti da diverse parti del mondo. Il più cono-sciuto e il più grande è il pavone (Pavo cristatus), origi-nario dell’India e di Ceylon, il cui maschio esibisce unavariopinta “ruota” di penne durante il corteggiamento.Appariscente e unica anche la parata nuziale dell’argo(Argusianus argus), una specie che vive in Malesia, Bor-neo e Sumatra. Originario dell’Asia, ma ampiamentediffuso in moltissime altre zone, il fagiano comune (Pha-sianus colchicus).Le vetrine laterali presentano tipi diversi di nidi, concaratteristiche particolari e curiose, a seconda della for-ma e del materiale usato per costruirli. Tra le varie uo-va esposte sono interessanti quelle di alcuni uccelli eso-tici non volatori, come emù, nandù e struzzi. Partico-lare è l’uovo del kiwi perché, in proporzione alle di-mensioni dell’uccello, è il più grosso che esista in na-tura. Le specie che nidificano al suolo appartengono adiversi gruppi, come per esempio Galliformi e Passe-riformi; sono qui esposti nidi e uova di pettegola (Trin-

53le sale di zoologia

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ga totanus), succiacapre (Caprimulgus europaeus) e usi-gnolo (Luscinia megarhynchos). Come descritto nel pan-nello ci sono diversi e peculiari comportamenti nidifi-catori, come ad esempio quello mostrato dal nittibio co-mune (Nyctibius griseus) o dalla sterna bianca (Gygis al-ba), che covano un uovo in bilico sui rami senza costrui-re un nido.

Sala XIX - Uccelli esoticiQuesta sala è una delle più grandi e ricche del Museoper la gran varietà degli esemplari esposti. La vetrina cen-trale contiene uccelli che hanno perso la capacità di vo-lare come lo struzzo (Struthio camelus), la rea o nandù(Rhea americana), gli emù australiani (Dromaius no-vaehollandiae), i casuari della Nuova Guinea e dell’Au-stralia (Genere Casuarius). A concludere questo grup-po si trova il piccolo kiwi (Genere Apteryx), oggi sim-bolo della Nuova Zelanda. Proseguendo incontriamoi pinguini, fra tutti gli uccelli quelli meglio adattati al-la vita acquatica, con le loro alitrasformate in vere e propriepinne, la coda in timone ed ilpiumino molto sviluppato checonsente loro di difendersi dalfreddo. Gli altri esemplari chevediamo sono Ciconiformi, ge-neralmente caratterizzati dalunghe zampe e collo allungatoe mobile. Le vetrine laterali contengonorapaci notturni e pappagalli.Questi ultimi sono diffusi nel-le regioni intertropicali e, fin daitempi antichi, allevati in catti-

Kiwi(Apteryxaustralis)e suo uovo

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vità per la bellezza della loro livrea a splendidi colori eper l’abilità nell’imitare le parole del linguaggio uma-no. Si caratterizzano per una testa grande con becco ro-busto e incurvato, corpo tozzo e zampe brevi. I Caca-tuidi si riconoscono per la cresta erettile e spesso colo-rata che aprono in particolari situazioni; questi pappa-galli vivono in Australia, Nuova Guinea e Isole Moluc-che. Vi sono poi i pappagalli dell’America centrale emeridionale, fra cui le ara sono le specie più grandi edai colori più sgargianti, come per esempio l’Ara ara-rauna; loro caratteristica è l’assenza di penne sulle guan-ce, intorno agli occhi e un becco molto forte. Nella stes-sa vetrina in alto si trovano i lori o lorichetti, originaridell’Australia e della Nuova Guinea che possiedono unalingua filamentosa particolare e si cibano di fiori, net-tare e frutti. In un’altra vetrina troviamo i Columbidi, diffusi nelleregioni temperate e tropicali, buoni volatori di corpo-ratura massiccia, le più appariscenti sono le colombe co-ronate o gura (Genere Goura), diffuse in Nuova Gui-nea ed Australia. Nelle quattro seguenti vetrine sonocontenuti i Galliformi, specie prevalentemente terrico-

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Particolaredella vetrinadegliPsittaciformi

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le di dimensioni variabili, che pre-sentano dimorfismo sessuale pro-nunciato, becco forte, zampe e pie-di robusti, spesso forniti di spero-ni. Sono presenti inoltre fagiani,pernici e tacchini di diverse partidel mondo, tra cui il tacchino co-mune (Meleagris gallopavo), dasempre apprezzato per la qualitàdella sua carne, già allevato dagliAtzechi e introdotto in Europa ver-so la metà del Cinquecento.Passando ai rapaci diurni, troviamoquelli definiti come “avvoltoi delNuovo Mondo”, poiché distribui-ti in tutto il continente america-no. Come i loro parenti del Vecchio Mondo, si nutro-no prevalentemente di animali morti o in decomposi-zione, talvolta anche catturando prede vive. Fra tali Fal-coniformi rientra uno dei volatori più grandi del mon-do, il condor delle Ande (Vultur gryphus), la cui aper-tura alare negli adulti può arrivare a 3,5 m. Accanto èesposto un altro particolare rapace, il serpentario (Sa-gittarius serpentarius), che vive in Africa e caccia ser-penti camminando nelle zone di savana e boscaglia ecolpendoli con i forti artigli.Dopo altre vetrine contenenti altri rapaci diurni esoti-ci, incontriamo i Gruiformi ed i Caradriformi, ottimivolatori e migratori di lungo corso. In basso, sotto chiur-li, piro-piro, pittime, piovanelli e corrioni, troviamo ildroma (Dromas ardeola), diffuso sulle coste dell’Ocea-no Indiano. La vetrina accanto contiene alche, urie epulcinella di mare, che sono particolarmente adattate al-l’immersione e al nuoto come i pinguini, di cui ricor-dano anche un po’ l’aspetto, ma che vivono nella parte

Alca impenne(Pinguinusimpennis)

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settentrionale degli Oceani Atlanti-co e Pacifico. Proseguendo si trovano i Peleca-niformi, e poi gli albatri (generi Dio-medea e Phoebetria), grandi uccellimarini, con un’apertura alare chepuò superare i 3 m, che volano su-gli oceani dell’emisfero australe, al-cuni cibandosi anche dei rifiuti ri-lasciati dalle navi. Vi è poi, all’usci-ta della sala, la vetrina dedicata agliuccelli estinti o in grave pericolo diestinzione. Non ancora estinti so-no l’ibis crestato del Giappone(Nipponia nippon), il chiurlo eschi-mese o boreale (Numenius borealis)

e, forse, l’anatra dalla testa rosa (Rhodonessa caryophyl-lacea). Le maggiori minacce per queste specie sono co-stituite dall’uomo che le cattura e ne limita fortementei loro habitat. Estinta invece è l’alca maggiore o impen-ne (Pinguinus impennis), inetto al volo ma eccellentetuffatore e nuotatore, popolava con milioni di indivi-dui le isole del Nord Atlantico; oggetto di caccia per ilgrasso e per le piume, già scarseggiante ai primi del 1800e perciò ricercatissimo anche dai collezionisti, si estinseverso la metà del secolo. In basso vediamo due pappa-galli ormai scomparsi: il nestore neozelandese dell’Iso-la di Norfolk (Nestor productus) e il parrocchetto dellaCarolina (Conuropsis carolinensis) che fu sterminato daicoltivatori dei frutteti che avevano soppiantato le sueforeste natie nel Sud Ovest degli Stati Uniti. È espostaanche una colomba migratrice (Ectopistes migratorius),che fin verso la metà del 1800 era la specie più numero-sa del Nord America. Catturata per diversi motivi (ascopo alimentare, per i piumini, per fare medicamenti

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Particolaredella vetrinacon i pinguini

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con le viscere e il sangue, da vivi per iltiro al piccione), fu segnata dall’avven-to del telegrafo e dalla rete ferroviaria,che agevolarono l’individuazione deglistormi e la caccia. L’ultimo esemplaremorì nel 1914 nello zoo di Cincinnati.Nella stessa vetrina possiamo vedereuna coppia di uja (Heteralocha acutiro-stris), una specie di Passeriformi dellaNuova Zelanda, molto valorizzata daiMaori, che ne usavano le penne comesegno di rispettabilità. Nel piano in bas-so notiamo uno scheletro di emù nero(Dromaius ater), una specie australia-na endemica dell’Isola di King, scom-parsa nei primissimi anni del xix seco-lo. Vicino ad esso si trovano alcuni resti (penne, fram-menti di guscio d’uovo, sassolini del ventriglio) di moa(Genere Dinornis), gli uccelli giganti vissuti in NuovaZelanda fino all’arrivo dell’uomo. In basso a destra pos-siamo vedere il calco della testa di dodo, il Raphus cu-cullatus, un goffo ed inoffensivo Columbiforme dell’I-sola Mauritius, estinto alla fine del xvii secolo a causadella colonizzazione, che comportò la sua caccia e l’in-troduzione di predatori (cani, ratti e maiali) prima ine-sistenti sull’isola.

Sala XX - Uccelli esotici: paradisee,costruttori di capanne, colibrìe raccolte di Odoardo BeccariQuesta sala si distingue per l’abbondanza delle famigliepresenti e per le loro peculiarità; qui sono rappresenta-te ben 79 famiglie di Uccelli, cioè quasi la metà di quel-le esistenti. È presente un multimediale sul naturalista

Colombamigratrice(Ectopistesmigratorius)

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fiorentino Odoardo Beccari e sulle collezioni di uccellidel paradiso e uccelli giardinieri, dei quali è possibileascoltare suoni, vedere video ed immagini digitali e leg-gere ipertesti di approfondimento. La vetrina centrale contiene gli uccelli del paradiso o pa-radisee, dallo splendido piumaggio, utilizzato un tem-po per ornare i cappellini delle signore e per secoli co-nosciuti solo attraverso esemplari frettolosamente pre-parati, che offrivano un’idea abbastanza precisa della lo-ro bellezza, ma non dell’aspetto naturale e delle loro abi-tudini. Una particolarità è quella dell’ambliornite disa-dorno (Amblyornis inornatus), un uccello costruttore dicapanne grosso poco più di un merlo, mancante deglismaglianti colori dei suoi affini e provvisto di un ciuffodi vivace colore arancione limitatamente all’epoca degliamori. Il maschio di questa specie, per attrarre la fem-mina, costruisce una graziosa capanna davanti alla qua-le prepara con soffice muschio un elegante praticello sulquale depone fiori dai vivaci colori, rimovendoli via viache appassiscono e rimpiazzandoli con altri freschi. Nelle vetrine a destra dell’entrata nella sala, si possonovedere varie specie di cuculi, alcuni dei quali hanno l’a-

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Particolaredella vetrinadelle paradisee

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bitudine di deporre le uova in nidi di altre specie, fa-cendo loro covare e crescere i propri pulcini. Accantotroviamo esemplari appartenenti alla stessa famiglia delbucero (Rhinoplax vigil), caratterizzati da un becco mol-to sviluppato con cui possono arrivare a mangiare i frut-ti tropicali che in genere si trovano alle sottili parti pros-simali dei rami. Nella vetrina a destra del multimedia-le si distingue in alto l’elegante e famoso quetzal (Pha-romachrus mocinno) uccello sacro dei Maya, che vivenelle foreste dell’America centrale ed è caratterizzatodalla lunga coda e dalla splendida colorazione. A sini-stra si trovano i colibrì, o uccelli mosca, i più piccoli uc-celli esistenti, che vivono in America centro-meridio-nale e si nutrono di nettare dei fiori suggendolo conl’affilato becco mentre rimangono sospesi in volo gra-zie a rapidissimi battiti delle ali: fino ad 80 al secondo!

Sala XXI - Rettili: tartarughe, coccodrilliIniziamo dai Rettili Testudinati: immediatamente di-stinguibili per avere gran parte del corpo rivestito da unasorta di dura corazza costituita da uno scudo squamo-so o coriaceo dorsale (carapace) e da uno scudo osseoventrale (piastrone). Sono tutti ovipari e dimorano sianegli habitat terrestri che in quelli acquatici, non han-no denti ma una specie di becco, così che la maggiorparte delle specie terrestri sono erbivore, mentre quel-le acquatiche sono onnivore. Nella vetrina centrale no-tiamo due esemplari di testuggine gigante delle Galá-pagos (Geochelone nigra), famose per essere uno dei sim-boli dell’arcipelago reso celebre da Charles Darwin edonate al Museo ai primi del ’900 dal Barone Roth-schild. Nella vetrina laterale di destra sono presenti spe-cie semiacquatiche, come per esempio la tartaruga pa-lustre europea Emys orbicularis, dal carapace liscio, scu-

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ro con screziature gialle, situata sulripiano centrale. Si possono vedere inoltre specie dul-cacquicole come le cosiddette tarta-rughe dal “collo laterale” (Pelomedu-sa subrufa e Pelusios sinuatus) le qua-li, non potendo ritrarre completa-mente i loro lunghi colli, riposanoappoggiando la testa lateralmentelungo l’interno del carapace.Nelle vetrine della parete opposta sitrovano i Loricati, il cui corpo è ri-coperto da piastre cornee con rinfor-zi ossei sottostanti. Hanno coda ap-piattita lateralmente, provvista di

una possente muscolatura, che ne fa un mezzo di pro-pulsione e di offesa. Si distinguono tre famiglie: Gavia-lidi, Alligatoridi e Crocodilidi. I primi sono rappresen-tati dalla specie Gavialis gangeticus (gaviale del Gange),il cui muso è caratteristicamente stretto e molto allun-gato, con numerosi denti aguzzi pressoché uguali tra lo-ro per forma e grandezza. Gli Alligatoridi hanno unmuso relativamente corto e largo, comprendono la spe-cie del Mississippi (Alligator mississippiensis), quelle delSud America (generi Caiman, Melanosuchus e Paleosu-chus) e la rarissima specie cinese (Alligator sinensis). I Coccodrilli propriamente detti, sono variamente dif-fusi nelle zone tropicali ed hanno abitudini e forma ge-nerale simili agli alligatori, ma il loro muso è caratteriz-zato da un’incisione nella mascella attraverso la quale abocca chiusa sporge il quarto dente della mandibola. Del-lo stesso genere del coccodrillo Indo-Pacifico (Crocody-lus porosus), possiamo vedere qui un esemplare mummi-ficato di coccodrillo del Nilo (Crocodylus niloticus) pro-veniente dall’Egitto.

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Testugginegigante delleGalápagos(Geochelonenigra)

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Sala XXII - Rettili e AnfibiNella vetrina centrale della sala troviamo la tartaruga ver-de Chelonia mydas e la più grande tartaruga vivente, laDermochelys coriacea o tartaruga liuto, il cui nome scien-tifico deriva dal fatto che è la sola ad avere il carapace ri-vestito da pelle cuoiosa. I serpenti (o Ofidi) sono carat-terizzati dalla mancanza di zampe e dal corpo ricopertoda squame. Tra i Colubridi italiani vediamo la biscia dalcollare (Natrix natrix) e della natrice viperina (Natrixmaura), spesso purtroppo scambiate con la vipera e per-ciò uccise. Vicino possiamo vedere anche il biacco (Co-luber viridiflavus), il colubro d’Esculapio o saettone(Elaphe longissima) e il cervone (Elaphe quatuorlineata,il più grande serpente che viva in Italia, può raggiunge-re la lunghezza di 2,50 m). Una specie invece esotica vi-sibile nella stessa vetrina è il falso serpente corallo, Erythro-lampus aesculapii, diffuso in area amazzonica e coloratocon bande trasversali nere alternate da una gialla, su sfon-do rosso. I Viperidi sono rappresentati in Italia da quat-tro specie quali il marasso (Vipera be-rus), la vipera dal corno (Vipera am-modytes), la vipera di Orsini (Viperaursinii) e la vipera comune (Viperaaspis). Hanno generalmente un cor-po dalla forma tozza che di rado su-pera gli 80 cm, una coda ben distin-ta e breve, la pupilla verticale e lesquame del capo piccole e disposte ir-regolarmente. Il loro morso è peri-coloso per l’uomo, ma di rado haconseguenze mortali. Prima della porta possiamo vederelo sfenodonte o tuatara (GenereSphenodon), componente l’ordine

Clamidosauro(Chlamidosauruskingii)

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dei Rincocefali ormai presente solo in alcune isole dellaNuova Zelanda e per questo da considerarsi un interes-santissimo fossile vivente. A destra della porta troviamoil gruppo dei Sauri, di aspetto lacertiforme (lucertole,ramarri, gechi, agame, camaleonti, varani) o serpentifor-me (luscengole e orbettini, che sono caratterizzati da ar-ti ridotti o assenti). In alto s’individua il moloch (Molo-ch horridus) per il caratteristico corpo coperto di “spine”e presente nelle zone desertiche e semidesertiche del con-tinente australiano, e il drago volante (Draco volans),specie arboricola delle foreste tropicali dell’Asia, che ef-fettua planate a qualche metro di altezza grazie alle pie-ghe cutanee stendibili lateralmente a ventaglio. Sotto sitrova l’uromastice (Uromastix) e ancora più in basso ilclamidosauro (Chlamydosaurus kingii), presente nella sa-vana australiana e in Nuova Guinea e che per difesa puòerigere un “collare” membranoso intorno alla testa, spa-lancare la bocca in modo minaccioso e darsi alla fuga su-gli alberi correndo sulle sole zampe posteriori.Possiamo poi vedere i Lacertidi, famiglia diffusa nellafascia mediterranea, come il ramarro (Lacerta bilinea-ta) e la lucertola muraiola (Podarcis muralis). Accanto

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Salamandragigantedel Giappone(Andriasjaponicus)

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si trovano esemplari di Camaleonidi, famiglia a cui ap-partiene il camaleonte comune (Chamaeleo chamae-leon), caratterizzato da una lunga coda prensile, un cor-po lateralmente compresso, una lingua lunga la cuiestroflessione permette di catturare prede con estremarapidità, occhi prominenti dal movimento indipenden-te, che permettono il controllo su due diversi campi vi-sivi, e la capacità di cambiare colore. In basso sono si-tuati i Varanidi, famiglia costituita attualmente dal so-lo Genere Varanus e distribuita in Australia, Africa eAsia meridionale. A completare la stanza vi sono Anfi-bi come il rospo comune Bufo bufo e il rospo ostetricoAlytes obstetricans. Gli Urodeli (o Caudati) sono rico-noscibili per la presenza della coda, la pelle nuda, ver-rucosa o liscia, e comprendono tritoni, geotritoni, sa-lamandre, protei. Nella vetrina più vicina alla porta sinota il calco in gesso dipinto di un esemplare apparte-nente alla Famiglia di Urodeli più grandi: la salaman-dra gigante del Giappone (Andrias japonicus), conside-rata afrodisiaca nella farmacopea orientale.

Sala XXIII - Pesci ossei e cartilagineiAi lati della sala sono esposti diversi esemplari di pescicartilaginei e di pesci ossei. Questi due grandi gruppisi sono evoluti indipendentemente da due diversi cep-pi di antichi progenitori e, mentre i pesci cartilagineisono quasi esclusivamente marini, i pesci ossei sono dif-fusi in tutti gli ambienti acquatici. Tra i pesci ossei spic-cano i due grandi esemplari di pesce re (Lampris gutta-tus, qui col vecchio nome specifico regius) e di pesce lio-corno (Lophotus lacepede), entrambi pescati nel Tirre-no. In basso, nella stessa vetrina, si trova la rana pesca-trice (Lophius piscatorius), dalla classica forma appiat-tita. Il suo buffo nome è dovuto al caratteristico filamen-

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to sul capo che simula l’esca in fondo ad una canna dapesca. La rana pescatrice sta mimetizzata sul fondo emuove leggermente la sua “esca” attirando le ignare pre-de. Non appena la preda è a tiro questa scatta e la in-ghiotte.Il pesce palla (Arothron hispidus), visibile subito a de-stra dell’entrata, è curioso per la sua strategia antipre-datoria: quando si sente minacciato si gonfia letteral-mente come un palloncino, diventando problematicoda afferrare per un eventuale predatore. Il pesce pallavive nella fascia tropicale sulle barriere coralline, dovesi ciba di vari invertebrati ed alghe.Impressionante è la grande pastinaca o trigone spino-so (Dasyatis centroura), una grande razza diffusa nell’A-tlantico e nel Mediterraneo che può raggiungere i 2,20m. Come tutte le razze in genere questa vive sui fonda-li marini sabbiosi dove si ciba di pesci e di invertebra-ti. La grande spina che si vede sulla pinna codale è pe-ricolosa perché può inoculare del veleno, cosa peraltrocomune a molte altre razze. La torpedine nera (Torpe-do nobiliana) è famosa per le sue scosse elettriche, usa-

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Pesce luna(Mola mola)

Pesce liocorno(Lophotuslacepedei)

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te per stordire le prede, la cui scarica può arrivare finoa 220 v (come infilare le dita in una presa di corrente!).La mobula o diavolo di mare (Mobula mobular) è pre-sente nel Mediterraneo, dove però è in pericolo per ef-fetto dell’impoverimento della qualità dell’habitat e del-l’elevata mortalità dovuta alle reti da pesca. Nonostan-te le sue dimensioni, quest’animale mangia esclusiva-mente krill, come le balene. Tra gli squali esposti in questa sala si segnala il pesce se-ga (Pristis pectinata), un vero relitto del Mesozoico, i cuifossili risalgono al Cretaceo (140-65 milioni di anni fa),molto raro nel Mediterraneo è invece più diffuso nell’A-tlantico. La chimera (Chimaera monstrosa) è ritenuta mol-to importante dagli zoologi perché rappresenta un grup-po di pesci cartilaginei molto antico, risalente al Devo-niano (410-360 milioni di anni fa).

Sala XXIV - Squali, pesci ossei e CiclostomiLa vetrina centrale di questa sala ospita esemplari di va-rie specie di grandi squali, molti dei quali presenti an-che nel Mediterraneo come losqualo volpe (Alopias vulpi-nius), la cui pinna caudale èlunga quasi quanto il resto delcorpo, e lo squalo elefante (Ce-torhinus maximus) che è il se-condo squalo più grande do-po lo squalo balena. Semprenella vetrina centrale, è espostolo scheletro della bocca di unosqualo bianco (Carcharodoncarcharias). Si notino i dentiaffilatissimi e taglienti come ra-soi, disposti in diverse file, ca-

Mandiboladi squalo bianco(Carcharodoncarcharias)

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ratteristica di quasi tuttigli squali predatori. Nella vetrina laterale a si-nistra dell’entrata sonoesposti vari esemplari dipesci ossei d’acqua dolcecome il barbo (Barbus ple-bejus), la carpa (Cyprinuscarpio) e la trota (Salmotrutta), che sono specieben note e diffuse in mol-

ti corsi d’acqua italiani. In un piccolo scomparto dellastessa vetrina si vedono due piraña (Serrasalmo). Que-sti non sono certo i voraci mostri che c’immaginiamo;vivono sia presso il fondale del fiume sia in superficie,hanno una dentatura formidabile ed attaccano in bran-co qualsiasi animale che cade accidentalmente in ac-qua o che vi muore. Dalla parte opposta della sala, la piccola vetrina centra-le contiene esemplari di un particolare gruppo (Sotto-classe) molto antico di pesci ossei: i Dipnoi. Nella ve-trina a destra sono esposti il rombo (Scophthalmus rhom-bus) e la comune sogliola (Solea solea, qui col vecchionome specifico vulgaris). La loro caratteristica forma èstata acquisita secondariamente da “antenati” simili adun pesce “normale” per schiacciamento laterale. Altroanimale molto particolare è la lampreda di mare (Pe-tromyzon marinus), uno dei pochi rappresentanti vi-venti degli Agnati, ossia i pesci privi di una vera boccaarticolata.

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Lampredadi mare(Petromyzonmarinus)

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LE CERE ANATOMICHELa collezione delle Cere anatomiche, voluta inizialmen-te da Pietro Leopoldo di Lorena e da Felice Fontana, oc-cupa otto sale del Museo e la disposizione segue un pre-ciso ordine che riproduce i diversi aspetti del corpo uma-no. Queste opere straordinarie furono realizzate in pocomeno di un secolo, dal 1771 fino alla metà dell’800, nontanto e non solo per la pura soddisfazione del senso este-tico del visitatore ma, al contrario, con lo scopo di otte-nere un vero e proprio trattato didattico-scientifico che,senza il bisogno di ricorrere all’osservazione diretta di uncadavere, illustrasse l’anatomia del corpo umano. Le ce-re sono infatti affiancate, nella loro ostensione, dai rela-tivi disegni illustrativi a tecnica mista (tempera, acquerel-lo, matita), con tanto di legenda e pagine di spiegazione,contenute un tempo in appositi cassettini ancora oggi vi-sibili al disotto delle teche. La collezione comprende untotale di oltre 1400 pezzi conservati in 562 teche. La scuo-la di ceroplasti che realizzò questa collezione ebbe il suomaggior artefice nel fiorentino Clemente Susini (1754-1815), caposcuola di un gruppo di abili modellatori, chepossiamo definire come il vero artista che definì la qua-lità, delle cere della Specola. Altri modellatori che lavora-rono con Susini, o ne proseguirono la tradizione, furonoFrancesco Calenzuoli (1796-1829), Luigi Calamai (1800-1851) ed Egisto Tortori (1829-1893) che realizzò molte del-le splendide riproduzioni di anatomia animale visibili nel-l’ultima sala del Museo. Infine sono qui conservate cin-que opere di Gaetano Zumbo, di cui si dirà in seguito.

Sala XXVAlle pareti della sala troviamo modelli che studiano l’ap-parato osseo e quello muscolare, a diversi livelli diprofondità, dal più superficiale al più interno. Ad in-

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tervallare la successione di piccole te-che che riproducono vari particolaridei due apparati si distinguono le quat-tro grandi vetrine contenenti modellia figura intera. I modelli a figura inte-ra, tanto quelli in piedi quanto quellisupini, hanno un’armatura interna dimetallo che, come una sorta di schele-tro, li rende stabili e resistenti anche inposizioni altrimenti impossibili da ri-produrre con la sola cera. Tra le ceredelle teche laterali vi sono quelle raffi-guranti i muscoli oculomotori e cra-niali, molto studiati anche nell’arte enella fisiognomica. Al centro della sa-

la vi sono tre teche con altrettanti modelli raffigurantiil sistema circolatorio ed i vasi sanguigni. Le cere dei duecorpi supini mostrano, in particolare, la “grande circo-lazione” arteriosa e il corrispondente apparato venoso.In tutte le cere della collezione i vasi arteriosi sono raf-figurati in color “rosso corallo” e tutte le vene in un co-lor verde risultato dall’alterazione dell’originale pig-mento blu.

Sala XXVIIn questa piccola sala troviamo una vetrina centralecon il modello in cera di uno scheletro umano com-pleto nel quale si distinguono bene le articolazioni,con il loro complesso di tendini e legamenti. Vediamola gabbia toracica, con i muscoli intercostali e le guai-ne tendinee che la rivestono come in una fasciatura, co-sì come, sulla scatola cranica, osserviamo le strutturecompletamente cartilaginee del naso e delle orecchie.Da alcune caratteristiche anatomiche di questo sche-

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Statua erettache mostrala muscolaturasuperficiale

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letro, come la larghezza del ba-cino, la strettezza delle spallenonché l’altezza degli zigomi, sipuò dedurre che si tratti delloscheletro di una donna. Alle pa-reti molti altri modelli che, oltreallo studio dell’apparato osseo emuscolare, si focalizzano sui ten-dini e sulle strutture articolari.Di particolare effetto, inoltre, leraffigurazioni delle strutture muscolari e tendinee distrati diversi della pianta e del dorso del piede.

Sala XXVIIIn questa sala troviamo una vetrina centrale con unmodello a figura intera, disteso, che illustra ed analiz-za, tra le altre cose, il sistema linfatico. I sottili vasi co-lor latte che vediamo aggrovigliarsi e correre lungo edentro l’intero corpo sono appunto capillari linfatici.L’analisi non si limita però a que-sto apparato ed il modello ci offreanche una visione globale di mu-scolatura e circolazione sanguigna.In particolare notiamo il cuore, cheè qui racchiuso nella membrana pe-ricardica, riprodotta con un sotti-le strato di cera giallo chiaro e se-mi-trasparente.Alle pareti si trovano molte techecon incredibili studi delle reti ca-pillari dell’apparato circolatorio ar-terioso e venoso attorno alle ossadegli arti principali. Un dettaglia-to studio del cuore, della sua strut-

Cuore adultospogliatodel pericardio

Statua giacenteche mostrai legamentidelle ossa

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tura muscolare e della sua circolazione è illustrato da va-ri modelli che ne analizzano il funzionamento. Da no-tare due vetrine in cui si osservano modelli per lo stu-dio comparato del cuore dell’embrione e delle sue com-ponenti circolatorie. Infine, troviamo alcune teche constudi particolari ed accurati sulle linfoghiandole e i re-lativi vasi linfatici afferenti ed efferenti.

Sala XXVIIIIn questa sala troviamo, nelle teche lungo le pareti, stu-di relativi al cervello, al sistema nervoso centrale ed agliorgani di senso per il gusto, la vista e l’udito. Nelle te-che centrali due modelli a figura intera illustrano an-cora lo studio sul sistema linfatico, interno e superfi-ciale. Alcune delle cere laterali riproducono particola-ri anatomici magnificati, come osservati sotto una len-te d’ingrandimento o addirittura al microscopio. Dueintere pareti sono occupate dal grande numero di mo-delli dedicati al cervello, al cervelletto, al midollo al-lungato, ai nervi encefalici e facciali. È qui senz’altro di notevole rilievo la presenza della fa-mosa cera detta “lo spellato”, opera sublime del gran-de ceroplasta Clemente Susini. La cera raffigura l’inte-ro corpo umano come si presenta in seguito alla com-

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Statua giacentemaschile detta“lo spellato”

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pleta asportazione della pelle. L’opera, non dovendosifocalizzare su di un particolare aspetto anatomico, maessendo una visione d’insieme, permise al Susini diesprimere il meglio del suo lato artistico, oltre a quelloscientifico. La posizione del corpo, disteso in posa qua-si michelangiolesca, l’espressione sofferta del viso e losguardo assente degl’occhi, ne fanno una vera operad’arte unica al mondo nel suo genere.

Sala XXIXIn questa sala, diversa-mente dalle altre, tutti imodelli a figura intera so-no femminili e ne vedia-mo uno, in piedi alla pa-rete, e tre distesi nelle te-che al centro della stanzacaratterizzati da dolci fi-sionomie di fanciulle dal-la pelle diafana e dallosguardo languido. Le ca-pigliature sono di veri ca-pelli e, nel gusto dell’epoca, la lunga treccia tenuta dauna delle donne tra le dita, doveva suonare come un toc-co di grazia da riservare al modello femminile. In que-sti tre modelli si studia l’intero apparato digerente, apartire dall’esofago e dallo stomaco, sino alle ultime viedell’intestino. Alle pareti si trovano molti altri studi sempre relativi al-l’anatomia dell’addome e degli organi interni. Qui so-no visibili il cuore e i polmoni, il colon, ov’è ben rico-noscibile l’appendice, il fegato, spesso alzato a mostra-re la colecisti con il suo dotto biliare ed il peritoneo, lagrande membrana che riveste le pareti interne dell’ad-

Statua giacentefemminile

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dome e avvolge quasi tutti gli organi interni. Nelle al-tre teche si osserva lo studio minuzioso del sistema ner-voso ed in particolare dei nervi di origine encefalica emidollare. Da segnalare, infine, lo studio dei polmonie della relativa circolazione sanguigna.

Sala XXXQuesta piccolissima sala di passaggio è occupata al cen-tro da un modello di un giovane uomo sdraiato, il ven-tre è aperto e le gambe sono recise poco sotto l’inguine.Il cartellino recita: “Tronco di un giovane eseguito daLuigi Calamai per concorso al posto di modellatore incera, 1838”. Quest’opera è la testimonianza della capacitàdimostrata dall’artista nella prova di esame per entrare a

far parte della scuola fiorentina di cero-plastica. Calamai, infatti, non riprodu-ce un particolare anatomico specifico,ma compie uno studio che comprendela maggior parte delle strutture, degli or-gani e degli apparati, per dimostrare co-sì la propria abilità nel riprodurre qual-sivoglia aspetto dell’anatomia umana. Alle pareti molti studi dedicati all’ap-parato digerente ed escretore, ove si ap-prezzano diverse sezioni e prospettivedel fegato, dello stomaco e dell’intesti-no tenue e, in particolare, uno studiodel pancreas. Per ciò che riguarda l’ap-parato escretore meritano una segnala-zione le cere raffiguranti i reni ed i ca-nali escretori, le due uretere, che li col-legano alla vescica.

73le sale di zoologia

Troncodi un giovaneeseguito daLuigi Calamai

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Sala XXXIQuesta è la cosiddetta sala di ostetricia, dedicata allo stu-dio degli apparati genitali, della crescita dell’embrionedurante la gravidanza nel corpo della madre, dell’ana-tomia dell’embrione stesso, delle strutture legate al suosviluppo e del parto. Sicuramente il modello più straor-dinario è la figura femminile giacente che si trova alcentro della sala, opera di Clemente Susini del 1781-1782, detta “la Venere”. Molto nota, oltre che per la suabellezza, per il fatto che sia stata concepita come mo-dello con parti mobili sovrapposte ad incastro e scom-ponibili.Alle pareti si osservano gli studi sugli organi genitalimaschili e femminili. Dei preparati femminili osservia-mo studi sull’anatomia della mammella, sulla vagina,sull’utero, sulle tube uterine e sulle ovaie. Notevoli imolti modelli sulla struttura della placenta e dell’uteroa diversi stadi della gravidanza, spesso con sezioni del-la cavità addominale a mostrare il feto all’interno delcorpo materno. Famosa, anche da un punto di vista ar-tistico, la cera che raffigura una gravidanza al nono me-se di due gemelli dicoriali, le cui sembianze, molto ab-bellite, possono ricordare quelle dei classici putti di Do-

Statua giacentefemminilescomponibiledetta “Venere”

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natello o dei Della Robbia. Da segnalare le tre techecon lo studio dei diversi stadi dell’accrescimento em-brionale dalle prime fasi successive al concepimento si-no al nono mese. La particolarità di questi modelli stanell’essere tra le poche raffigurazioni errate che vi sononella collezione. Questo per via delle evidenti difficoltàdi indagine che, con gli strumenti dell’epoca, si pote-vano avere nel verificare l’anatomia di un feto ai primis-simi stadi di sviluppo.

Sala XXXIIPiù che una vera e propria sala questo è un piccolo cor-ridoio di passaggio dove sono state sistemate una serie

di vetrine con modelli che mostrano di-versi aspetti dell’apparato scheletrico,di quello cartilagineo e articolare. Vi so-no cere dedicate allo studio particolaredelle ossa della mano, ove tutte le pic-cole ossa delle falangi, del carpo e delmetacarpo, sono riprodotte anche sin-golarmente. La scatola cranica, così co-me il bacino, sono presentate in diver-se prospettive ed in sezione, orizzonta-le e verticale, ad evidenziarne anche lestrutture interne. Molto studiate sonoanche le ossa della colonna vertebrale edella gabbia toracica. Per ciò che con-cerne le articolazioni ritroviamo qui duebelle visioni, una anteriore ed una po-steriore, dell’articolazione del ginocchio,la più complessa del nostro corpo. Il corridoio unisce la sala d’uscita delMuseo con uno spazio della sala xxivdove campeggia la grande vetrina del

75le sale di zoologia

Scheletro umanogigantescoimitato dal vero

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“Gigante” della Specola, opera di Clemente Susini del1806. Sulla storia e sulla figura di questa statua non sisa molto, ma pare che quest’uomo affetto da giganti-smo, realmente vissuto a Firenze alla fine del Settecen-to nel quartiere popolare di San Frediano vicino al Mu-seo, date le sue condizioni di indigenza e l’ecceziona-lità del suo fisico, si accordò per lasciare, alla sua mor-te, il proprio corpo al Museo stesso. In cambio sembrache l’Istituzione gli corrispondesse un piccolo vitaliziomensile. Come spesso accade però, e qui viene il bellodella storia, quando il gigante morì e si andò ad analiz-zarne il corpo, si scoprì che era affetto da una formamolto avanzata di osteoporosi, malattia che arriva a di-vorare letteralmente a rendere fragilissime le ossa delloscheletro. Impossibilitati alla sua conservazione si de-cise allora di riprodurlo in un modello di cera, a gran-dezza naturale.

Sala XXXIIIQuesta sala, molto particolare, raccoglie cinque operein cera dell’abate siciliano Gaetano Zumbo (1656-1701),famoso ceroplasta che lavorò a Parigi sotto Luigi xiv eda Firenze per conto diCosimo iii de’ Medici.La raccolta de “La Spe-cola” rappresenta il grup-po più consistente di la-vori di questo artista anoi giunto e fu acquista-to, in via definitiva per ilMuseo, dal GranducaFerdinando iii di Lorenanel 1793, dopo molte vi-cissitudini e almeno tre

GaetanoGiulio Zumbo,Preparatoanatomicodi una testa,1695-1696

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passaggi di mano. Durante l’alluvione del 1966 le ope-re si trovavano esposte al Museo di Storia della Scien-za e furono gravemente danneggiate. In seguito al re-stauro trovarono finalmente alloggio nella sede attua-le. Qui osserviamo il preparato anatomico di una testa,posto al centro della sala, nel quale la parte in cera è mo-dellata su di un osso cranico vero, e quattro “teatrini”,così detti per la loro caratteristica composizione figura-tiva. Due di questi rappresentano, in aspetti diversi, glieffetti della peste, un altro, il più danneggiato, quellidel “morbo gallico”, ovvero la sifilide. L’ultimo è un“trionfo” e mostra la corruzione dei corpi per effettodel tempo. In quest’ultima opera si osserva, in un an-golo in basso, sotto la figura del vecchio che rappresen-ta appunto il tempo, un piccolo autoritratto ovale del-lo stesso Zumbo. Nella vetrina opposta invece, la figu-ra di un monatto che trasporta il corpo di un appesta-to è rappresentata con un fazzoletto attorno al naso, te-stimone circa la credenza dell’epoca secondo la qualela peste si trasmetteva per via aerea. Ma sono ugual-

77le sale di zoologia

Gaetano GiulioZumbo,Il Trionfodel Tempo,1691-1694

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mente presenti ai suoi piedi quelli che sappiamo oggiessere il vero veicolo della malattia, i topi. Essendo sta-ti realizzati un secolo prima della collezione voluta daPietro Leopoldo e Felice Fontana, e non facendonequindi direttamente parte, i lavori dello Zumbo nonhanno un’attinenza diretta ma possono, di buon gra-do, essere considerate opere pionieristiche nell’appli-cazione della ceroplastica allo studio dell’anatomia.

Sala XXXIVUltima sala del Museo, è dedicata allo studio dell’Ana-tomia comparata. Osserviamo qui nella serie di vetri-ne alle pareti, le raffigurazioni in cera di gatti, cani, tar-tarughe e galline, così come di pesci ossei e cartilaginei.Sulla parete dell’uscita vediamo una teca dedicata allostudio delle varie fasi di sviluppo e della vita del Bom-bix mori, il baco da seta, e sotto le fibre muscolari, i ten-dini e le trachee di una mosca comune. Vicino alla por-ta del corridoio invece si trovano due vetrine il cui con-tenuto non appare chiaro a prima vi-sta. Si tratta di due strutture, osservatecome al microscopio, che raffigurano iparticolari delle radule, una sorta di lin-gue dentate, di due molluschi. Al cen-tro della sala si trova una vetrina conl’anatomia esterna e superficiale di unmontone a figura intera, opera di Egi-sto Tortori del 1863, sicuramente tra lepiù recenti della collezione. Nell’altrateca a fianco si osserva invece l’interoapparato digerente di un ruminante,con i suoi tre stomaci ed il lunghissimotratto intestinale.

Anatomiadel gatto

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Al primo piano del Museo attraverso una grandeporta in legno e vetro si accede alla Tribuna di Ga-

lileo, raro esempio di architettura tardo neoclassica, rea-lizzata su progetto architettonico di Giuseppe Martel-li, e decorata dai principali artisti toscani in base al pia-no iconografico di Vincenzo Antinori.Si tratta di un vero e proprio tempio laico dedicato aGalileo, voluto da Leopoldo ii per dare degna colloca-zione agli oggetti appartenuti allo scienziato e ai suoiseguaci, riconoscendo così a tali strumenti il valore direliquie scientifiche. L’idea di dedicare a Galileo e ai suo strumenti una sa-la del piano nobile del Museo rappresenta una testi-

La Tribuna di Galileo

FaustoBarbagli

LeonardoDa Vincialla presenzadi Lodovicoil Moro, affrescodi NicolaCianfanelli

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monianza materiale della grande ammirazione delGranduca nei confronti di Galileo che si concretizzònella volontà di celebrare il grande scienziato con unmonumento che attestasse la venerazione in cui veni-vano tenuti i suoi cimeli. L’interesse speciale del Gran-duca per il sommo scienziato affondava le sue radicinegli anni giovanili, quando la salute malferma e l’e-straneità alle faccende di governo in cui il padre Fer-dinando iii lo teneva gli facevano dedicare le sue gior-nate alla letteratura, alle scienze e alle arti e trascorre-re molto del suo tempo nella Biblioteca Palatina. Eglistesso, nelle sue memorie, racconta del lavoro di rior-dino dei manoscritti di Galileo e dell’Accademia delCimento e della nascita della sua grande amicizia conVincenzo Antinori, scienziato e storico della scienzache, alcuni anni più tardi, il sovrano volle alla direzio-ne dell’Imperiale e Reale Museo di Fisica e Storia Na-turale. La grande lapide che sovrasta l’entrata della Tribuna nericorda l’inaugurazione, il 15 settembre 1841, in occa-

Galileoche dimostrala leggedella cadutadei gravi,affrescodi GiuseppeBezzuoli

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81la tribuna di galileo

sione della Terza Riunione degli Scienziati Italianiquando i partecipanti, convenuti nel capoluogo tosca-no in numero superiore a ottocento, dopo aver assisti-to alla Messa nella chiesa di Santa Croce e al discorsoinaugurale di Cosimo Ridolfi, Presidente generale delCongresso, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vec-chio, da lì mossero verso la Specola passando per le sa-le degli Uffizi, il corridoio Vasariano, Palazzo Pitti e in-fine, attraverso il corridoio pocciantiano, giunsero inMuseo.

La visitaVarcato l’elegante accesso, stando nel vestibolo e rivol-gendosi alla lunetta affrescata di sinistra, si osserva Leo-nardo da Vinci mentre presenta a Lodovico il Moro,duca di Milano, i risultati delle sue scoperte nei cam-pi dell’arte, della meccanica e della fisica. Leonardo,considerato il precursore di Galileo nello studio delladinamica e dell’idraulica ha accanto Luca Pacioli, che

Tre episodidella vita diGalileo dipintida LuigiSabatellinell’abside

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ebbe il merito di riordinare le dottrine algebriche in Ita-lia. Proseguendo sul lato sinistro troviamo nella lunet-ta della sala quadrilatera Galileo a Pisa intento a di-mostrare sperimentalmente la legge della caduta deigravi in una pubblica lezione a cui assiste anche Gio-vanni de’ Medici, avverso al grande scienziato perchéquesti, dietro richiesta, aveva dimostrato la fallacia diuna sua invenzione ideata per svuotare la darsena di Li-vorno. Nella tribuna semicircolare sono illustrati tremomenti del genio galileano: in età giovanile, quandoosservando la lampada del Duomo di Pisa mossa dalvento scopre l’isocronismo del moto pendolare; in etàadulta, quando presenta al doge di Venezia il cannoc-chiale; e, infine, in età senile, quando ormai cieco det-ta la dimostrazione della legge della caduta dei gravi aisuoi discepoli Torricelli e Viviani. Al centro dell’absi-de campeggia la grande statua a figura intera di Gali-leo con lo sguardo rivolto al firmamento, mentre conla mano destra addita un manoscritto con le due sco-perte sulla scomposizione del moto e sull’accelerazio-

Una riunionedell’Accademiadel Cimento,affrescodi GasperoMartellini

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ne dei gravi. Nelle nicchie ai lati della statua si trova-no i busti dei quattro più celebri allievi di Galileo, os-sia Benedetto Castelli, Bonaventura Cavalieri, Evan-gelista Torricelli e Vincenzo Viviani, mentre le deco-razioni sull’arco che separa la tribuna alla sala quadri-latera raffigurano le sue scoperte astronomiche: Vene-re falcata, i monti della Luna, i satelliti di Giove, lemacchie solari e Saturno tricorporeo, quest’ultima do-vuta ad un illusione ottica. Nelle paraste dei pilastridell’arco stesso sono invece rappresentate con bassori-lievi in marmo le scoperte “terrestri” di Galileo: il pen-dolo, la bilancia idrostatica, il termometro, il compas-so di proporzione, l’armatura delle calamite, il telesco-pio e il microscopio. Continuando il percorso in senso orario, nella lunettadella sala quadrilatera troviamo raffigurata una torna-ta dell’Accademia del Cimento, ovvero quella dove siintende provare se il freddo del ghiaccio si rifletta suglispecchi come il caldo delle braci accese, alla quale assi-stono anche il Granduca Ferdinando ii e il suo fratello

AlessandroVolta presental’esperimentodella pilaal PrimoConsole, affrescodi GasperoMartellinisu cartonedi NicolaCianfanelli

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Leopoldo che si riconoscono in pri-mo piano. Nel fregio sottostante sitrovano dieci medaglioni in marmocon i ritratti degli accademici del Ci-mento in bassorilievo.Nelle decorazioni dell’arco e delleparaste che separano la sala quadri-latera dal vestibolo sono illustratistrumenti e scoperte dell’Accademiadel Cimento, eseguiti in bassorilie-vo; così vi troviamo: gli esperimen-ti sulla propagazione del suono e delcalore, i globi per provare le rarefa-zione dell’acqua, gli apparecchi perle attrazioni magnetiche, l’ombrache getta saturno sul suo stesso anel-lo, l’insegna dell’Accademia del Ci-mento, gli apparecchi per la pressio-ne dell’aria, l’igrometro per condensazione, la pallad’oncia, la gabbietta a palline e il pendolo perfeziona-to per la misura del tempo.Infine, tornando nel vestibolo, nell’ultima lunetta af-frescata, incontriamo Alessandro Volta mentre, al co-spetto di Napoleone, presenta all’Istituto di Francia gliesperimenti relativi all’invenzione della pila. Anche nel vestibolo sono presenti medaglioni di mar-mo con i ritratti di personaggi importanti per la storiadella scienza: sulla sinistra Leon Battista Alberti e Gio-van Battista della Porta, ricordati come inventori ri-spettivamente della camera oscura e della camera otti-ca; sulla destra Francesco Maria Grimaldi scopritoredel fenomeno della diffrazione e Domenico Cassini,continuatore delle scoperte celesti di Galileo. Nella parte centrale del vestibolo si incontrano i bustidi Ferdinando ii, promotore dell’Accademia del Ci-

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Statuadi Galileoscolpita daAristodemoCostoli

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mento, di suo fratello il Principe Leopoldo, presiden-te della stessa Accademia, di Pietro Leopoldo, fonda-tore dell’I.R. Museo di Fisica e Storia Naturale e, ulti-mo solo in senso cronologico, di Leopoldo II, che la Tri-buna stessa fece erigere.Fino alla fine degli anni Venti del secolo scorso, la Tri-buna di Galileo e le sale retrostanti ospitavano la stru-mentaria antica del Museo di Storia Naturale. Dopo laPrima Esposizione Nazionale di Storia della Scienza del1929, tutte le collezioni di antichi strumenti del Museofurono passate in deposito al Museo dell’Istituto di Sto-ria delle Scienza, dove oggi si conservano.Grazie a testimonianze fotografiche e bibliografichesappiamo che nella nicchia alla sinistra della statua diGalileo si trovavano i due cannocchiali originali e lalente obiettiva, con cui furono scoperti i satelliti di Gio-ve, montata nella cornice di ebano e avorio eseguita daVittorio Crosterr. Nella nicchia alla destra erano inve-ce sistemati il compasso di proporzione, la calamita ar-mata, il disegno dello scappamento ideato da Galileo e

85la tribuna di galileo

Gli strumentidell’Accademiadel Cimentoin Tribuna inuna foto deiprimi del ’900

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il suo dito conservato all’interno di un’urna di vetro. Su pavimento, ai lati della tribuna si trovavano duegrandi oggetti delle collezioni medicee: a sinistra il Qua-drante di Carlo Renaldini, mentre a destra la Grandelente ustoria di Benedetto Bregans che servì per gli espe-rimenti sulla combustione del diamante di GiuseppeAverani, Cipriano Targioni e Humphrey Davy. Gli al-tri oggetti esposti in Tribuna erano distribuiti in ottovetrine, ripartiti in maniera tematica: strumenti topo-grafici, strumenti vari dell’Accademia del Cimento,strumenti topografici di gnomonica, strumenti di gno-monica, termometrica, igrometrica, telescopica e astro-labica occupante due vetrine.

86museo di storia naturale

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Nel Salone degli Scheletri sono conservati crani, os-sa e scheletri completi di numerose specie di Ver-

tebrati, soprattutto Mammiferi. In molti casi sono glischeletri degli stessi esemplari la cui pelle è montatanelle sale di Zoologia al piano superiore. Si tratta di re-perti di animali moderni e non di fossili, come si po-trebbe erroneamente immaginare. Le 120 vetrine delsalone ospitano circa 3.000 reperti osteologici, alcunimontati per essere esposti al pubblico, molti altri con-servati nelle vetrine sul ballatoio e non visibili, che nelcomplesso costituiscono un grande tesoro scientificoconsultato ogni anno da esperti di tutto il mondo.

Il Salone degli Scheletri

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Vedutad’insiemedel Salonedegli Scheletri

AlessandroAsprea

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88museo di storia naturale

Gli esemplari posti al centro del salone e quelli appesial soffitto attirano subito l’attenzione del visitatore an-che se, un’attenta osservazione delle vetrine laterali, faràloro scoprire molte curiosità: dagli scheletri di anima-li estinti come il tilacino, a quelli di specie molto par-ticolari come formichieri, echidna, canguri e bradipi,tutti visibili nelle vetrine subito a destra dell’entrata,dove si può osservare anche lo scheletro di un serpen-te, con la sua lunga sequenza di costole. Davanti alle diverse vetrine dedicate ai Primati è inte-ressante confrontare le caratteristiche dello scheletroumano con quello di altre scimmie antropomorfe no-stre “parenti” evolutive. La parte più bassa del bacinodell’uomo, il cosiddetto “osso sacro”, è una delle carat-teristiche che ci “rammentano” la nostra discendenzacomune con le scimmie, perché è il residuo di un’an-tica coda. La forma del cranio invece ci contraddistin-gue, poiché nell’uomo, oltre ad avere un volume mol-to più grande, è anche più “diritto” ed arrotondato,meno “prognato”, come si dice, ossia meno allungatoin avanti. A seguire troviamo una carrellata di crani di Carnivo-ri, con le loro formidabili dentature in cui si notanobene, oltre ai canini, i cosiddetti “denti ferini”, una cop-pia di denti formata dal quarto premolare superiore edal primo molare inferiore che funziona come una sor-ta di forbice. Appesi al soffitto si trovano tre scheletri di Cetacei: lozifio (Ziphius carvirostris), il globicefalo nero (Globi-cephala melas) e la megattera (Megaptera novaeangliae).Zifio e globicefalo sono Odontoceti, in quanto dotatidi denti, dunque parenti di orche e delfini. Lo zifio èun delfino dal muso corto, piuttosto diffuso negli ocea-ni ed anche nel Mediterraneo, capace di lunghe immer-sioni (fino a 30 minuti), durante le quali caccia calama-

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ri e pesci di profondità. Il globicefa-lo, di colore nero, vive prevalente-mente nelle acque temperate dell’e-misfero australe; come lo zifio si nu-tre spesso di calamari e s’immerge fi-no a grandi profondità. La megatte-ra è invece un Misticeto (dunque unabalena) caratterizzato dalle lunghe“pinne”. Nel suo scheletro, più o me-no all’altezza di dove dovrebbe esse-re il bacino, si noteranno dei piccoliossicini “sospesi”, che sono le vesti-gia delle ossa ormai scomparse delbacino, ad ulteriore testimonianzadell’origine evolutiva dei Cetacei daTetrapodi terrestri. Al centro del Salone svetta la giraffa

(Giraffa camelopardalis), dove si può vedere come levertebre cervicali (quelle dalla testa al torace) siano sem-pre sette, come in quasi tutti gli altri mammiferi, uo-mo compreso. L’allungamento del collo della giraffa,evolutosi dai suoi progenitori, non è dunque avvenu-to tramite la moltiplicazione del numero di vertebre,che per motivi embriologici non era evidentemente piùpossibile, ma con l’allungamento di quelle che già esi-stevano nei progenitori di questa specie.Davanti ad essa si trova il grande scheletro dell’elefan-te indiano (Elephas maximus) che, secondo il naturali-sta settecentesco Giovanni Targioni Tozzetti, alla metàdel xvii secolo era esposto, vivente, nella Loggia deiLanzi. Quando morì, nel 1655, per ordine del Grandu-ca ne fu fatto conservare lo scheletro e montare la pel-le sopra una armatura di legno che rispettasse la formae le dimensioni dell’animale. Entrambi i preparati, alungo esposti nella galleria degli Uffizi, pervennero in

89il salone degli scheletri

Scheletro diElefanteindiano(Elephasmaximus)

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90museo di storia naturale

Museo al momento della sua fondazione, ma solo loscheletro è giunto ai giorni nostri In fondo alla sala sono accumulati vari crani di altri Ce-tacei, tra cui quello del narvalo, col suo lungo incisi-vo, e quello enorme del capodoglio (Physeter catodon).I crani dei Cetacei sono così grandi perché devono con-tenere un cervello che, rispetto alle dimensioni del cor-po, è molto sviluppato, soprattutto a livello di area udi-tiva (quella olfattiva è invece pressoché inesistente). ICetacei sono, infatti, dotati di un complesso sistemadi ecolocazione e comunicazione ed hanno la necessitàdi percepire precisamente i suoni sott’acqua. Le carat-teristiche vocalizzazioni ultrasoniche, costituite da sem-plici “click” e “fischi”, fino ai famosi “canti” delle me-gattere, sono prodotte probabilmente in una serie disacchi aerei posti all’interno di un soffice tessuto pre-sente intorno agli sfiatatoi (che sono le narici). I “fi-schi” ed i “canti” sono un sistema di comunicazione traindividui, mentre i “click”, o “schiocchi”, servono peril sistema di orientamento con ecolocazione. Una vol-ta prodotti, gli schiocchi verrebbero rimbalzati pro-prio sulla base concava del cranio e quindi direziona-ti attraverso un organo particolare situato nella parteanteriore del cranio, il cosiddetto “melone”, una spe-

Mesoplodontedi Longman(Indopacetuspacificus)

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cie di tasca piena di grasso che dà la classica forma bi-torzoluta alla testa dei delfini. Questo sistema serve so-prattutto per individuare la preda, infatti è particolar-mente sviluppato in tutte quelle specie di Odontoce-ti che usano cacciare a grandi profondità, dove la luceè completamente assente. Di grande interesse il cranio di mesoplodonte di Long-man (Indopacetus pacificus) raccolto in Somalia nel 1955,rivelatosi essere il secondo esemplare conosciuto al mon-do del più raro Cetaceo vivente.Le vetrine sul lato sinistro del Salone contengono pre-valentemente crani di Ungulati. Si notino in partico-lare le differenti forme dei “palchi” nei Cervidi e delle“corna” nei Bovidi, pieni e caduchi i primi, cave e per-sistenti le seconde. Spiccano i grandi palchi “a pala” del-l’alce (Alces alces), la specie più grande della Famiglia deiCervidi, presente nelle foreste temperate boreali, dal-l’America all’Eurasia. La dentatura degli erbivori èprofondamente diversa da quella di Carnivori e Prima-ti, poiché i canini sono assenti ed i denti sono general-mente alti ed adatti a masticare foglie ed erba. Nel cin-ghiale (Sus scrofa), che è onnivoro, i denti sono invecegrossi e bitorzoluti, adatti a triturare i diversi tipi di ci-bo di cui l’animale si nutre, specialmente ghiande, ca-stagne o i frutti del faggio. I denti ricurvi del cinghialesono dei canini modificati, chiamati “difese” e sono ca-ratteristici dei maschi; nelle femmine sono presenti, mameno sviluppati e difficilmente visibili.

91il salone degli scheletri

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Sezionedi Antropologiae Etnologia

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La Sezione di Antropologia e Etnologia del Museo diStoria Naturale deve il suo legame con le altre Se-

zioni ad alcuni oggetti già appartenuti all’Imperiale eReale Museo di Fisica e Storia Naturale. Queste raccol-te, descritte in un catalogo dal titolo “Utensili di Na-zioni barbare”, includono, tra l’altro, rari manufatti rea-lizzati dai popoli caraibici, giunti a Firenze nel xvi se-colo, grazie ai Medici, che collezionavano oggetti “me-ravigliosi”, radunandoli a Palazzo Pitti e agli Uffizi.Sempre del nucleo originario fanno parte i reperti rac-colti da James Cook nelle isole del Pacifico e dall’esplo-ratore lucchese Carlo Piaggia al confine tra Sudan e Re-pubblica Democratica del Congo.Il 28 novembre 1869 fu istituito, con Regio Decreto, ilMuseo Nazionale di Antropologia e Etnologia, ideatoda Paolo Mantegazza, che nello stesso anno fu chiama-to a ricoprire la prima Cattedra italiana di Antropolo-gia presso l’Istituto di Studi Superiori Pratici e di Per-fezionamento. Il Museo, in un primo tempo, era com-posto solo da una raccolta paletnologica provenientedall’Isola d’Elba e pochi reperti osteologici raccolti inArgentina. Inizialmente, vi confluirono le collezioni et-nografiche già custodite alla Specola, le collezioni an-tropologiche aumentarono in consistenza grazie al con-tributo di molte istituzioni italiane mentre con le spe-dizioni scientifiche nuove raccolte etnografiche arriva-rono in Museo. Nel 1875, dalla sua prima sede in via Ri-casoli il Museo fu trasferito nella nuova sede in Via Gi-

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Cenni storici e introduttivi

MonicaZavattaro

Maria GloriaRoselli

Veduta dellasala 7,collezioniperuviane

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96museo di storia naturale

no Capponi, dove rimase fino al 1924, quando fu rial-lestito nell’attuale sede di Palazzo Nonfinito. Nel 1889 Mantegazza creò il Museo Psicologico, unasezione del Museo Etnografico che raccoglieva oggettitestimoni delle passioni e dei sentimenti umani e nel1891 il Museo di Antropologia e Etnologia incorporò lecollezioni del “Museo Indiano”, fondato da Angelo DeGubernatis, che fino ad allora aveva avuto sede in Piaz-za San Marco negli attuali locali del Rettorato dell’U-niversità. Il Museo, nel tempo, si è arricchito di alcuneimportanti donazioni, come quella del pittore GalileoChini, che donò un insieme di oggetti della Tailandia,e quella di oggetti della cultura ainu del viaggiatore an-tropologo Fosco Maraini. Attualmente le collezioni an-noverano: circa 25.000 oggetti etnografici provenientida tutto il mondo, 7.000 reperti osteologici dalla prei-storia all’epoca odierna, 26.000 stampe fotografiche e7.000 negativi, 800 calchi anatomici in gesso, una col-lezione di circa 80 strumenti scientifici. Inoltre, il Mu-seo possiede un archivio di 545 unità, tra lettere, docu-menti e manoscritti, preziosa testimonianza dell’atti-vità e del pensiero di Paolo Mantegazza e della sua scuo-la. Per la loro storia e per gli aspetti scientifici e meto-dologici che ne hanno determinato la formazione, le col-lezioni della Sezione di Antropologia e Etnologia co-stituiscono oggi un importante documento delle cul-ture dei popoli del mondo e dell’evoluzione del pensie-ro antropologico in Europa.

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Collezioni Medicee

IMedici, Signori di Firenze, come altri sovrani illuminati nell’Europadel xvi e xvii secolo, impreziosivano le loro corti con oggetti raffinati,

esposti nelle cosiddette Wunderkammer. Antesignane dei musei, questeavevano lo scopo di stupire il visitatore con oggetti straordinari, naturalio creati dall’uomo. In Italia prendevano il nome di guardaroba, studio-lo, gabinetto. Il primo nucleo di oggetti della collezione medicea servì perla realizzazione dell’I.R. Museo di Fisica e Storia Naturale. Dal 1870 al-cuni oggetti furono assegnati alla sezione di Antropologia e Etnologia.

Tromba da guerra del CongoDalla zona dell’attuale Zaireproviene la tromba con imboc-catura laterale, ricavata da unazanna di elefante. Nel rivesti-mento di cuoio nero è impresso uno stemma con le armi di casa Medi-ci e Toledo, a ricordo delle nozze di Cosimo i con Eleonora di Toledo,avvenute nel 1539. Il corno è esposto nella vetrina centrale della sala 15e fa parte delle collezioni del Regio Opificio delle Pietre dure (1928).

Clave e mantelli dei TupinambaI Tupinamba occupavano, in epoca precolom-biana, la costa atlantica del Brasile. Adorava-no il dio Sole e praticavano una forma di can-nibalismo a scopo rituale. Clave e mantelli deiTupinamba compaiono nell’inventario del-l’Armeria di Ferdinando iidel 1631, dove le pri-me sono descritte come “legni indiani di differenti sorte” e i mantelli diIbis rubra, indossati dai sacerdoti del culto del dio Sole, relativi al cultodel dio Sole, come “… zimarre di penne rosse alla indiana e altri colo-ri”. Le clave e i mantelli sono esposti in sala 2.

97antropologia e etnologia

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delPianta MuseoSezione Antropologia e Etnologia

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salaconferenze uffici

laboratorio i

1 Introduzione

2 Sud America

3 Nord America4

5 Ainu

6 Allestimenti temporanei

7 Perù antico

13 Polinesia

14 Nuova Guinea

16 Africa centro-meridionale

16a Somalia

17 17a 18 Eritrea ed Etiopia

15 Africa centralei Informazioni

8 Indonesiada a 12

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Sala 1 - L’approccio antropologico e lespedizioni scientifiche di PaoloMantegazza

Gli oggetti esposti in questa sala introducono alla fi-gura di Paolo Mantegazza (1831-1910), fondatore

del Museo, e ai suoi molteplici approcci allo studio del-l’uomo. La macchina fotografica era utilizzata dallo stu-dioso per i ritratti antropologici; gli strumenti scienti-fici (antropometro da campo, goniometro facciale) perla rilevazione delle misure antropometriche. In campomorfometrico, la scuola di Mantegazza svolgeva infat-ti studi nel settore della craniologia, come testimonia-no anche i diversi strumenti esposti nella vetrina esa-gonale al centro della sala: craniometri e craniostati,compasso a branche curve, un recipiente metallico daun litro, usato per la misura della capacità cranica.Nella vetrina 1 si trovano alcuni oggetti appartenenti al-le collezioni del Museo Psicologico, un “Museo dentroil Museo” che Mantegazza fondò nel 1889: una serie diantiche chiavi testimonia l’ingegno umano, alcuni pic-coli busti di terracotta erano usati negli studi di fisio-gnomica.Nella stessa sala sono esposte le raccolte derivanti dalleprime spedizioni scientifiche svolte nell’ambito dell’at-tività del Museo: ancora nella vetrina 1 la collezione cheMantegazza raccolse durante il suo viaggio in Lapponia,intrapreso nel 1879 in compagnia del botanico Stephen

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Sommier, suo amico e collaboratore. Gli oggetti pro-vengono dal villaggio lappone dell’altopiano di Ojun-gen e in parte furono acquistati nella cittadina di Trom-sø. Il manichino indossa l’abbigliamento maschile tra-dizionale, composto da abito e scarpe in pelliccia di ren-na, mantello in pelliccia di orso e cappello di panno dilana bordato di pelliccia. Appeso al collo, un borsellinodi pelle contenente tabacco e una pipa di legno di be-tulla. Accanto, la tipica slitta di legno chiamata pulka e,nell’angolo, alcuni oggetti usati quotidianamente dalledonne: un piccolo telaio di osso di renna con nastro dilana colorata in lavorazione, due agorai in pelle e ossodi renna con decorazioni incise, una culla di pelle di ren-na con bordi di panno e nappe di lana rossa. Nella vetrina 2 è esposta una raccolta donata da StephenSommier che, nel giugno del 1880, partì per la Siberiacon lo scopo di studiarne l’ambiente naturale e le popo-lazioni locali di Ostiacchi e Samoiedi, abitanti della pe-nisola di Jamal. Gli oggetti testimoniano l’economia disussistenza di questi popoli, basata sulla caccia e la pe-sca: archi, frecce, trappole per la cattura di piccoli mam-miferi, nasse, reti da pesca. L’abbigliamento è costitui-to da calde pellicce di renna, che nella versione femmi-nile sono ornate da accessori decorativi come la cintu-ra dalla vistosa fibbiad’ottone e la sova, cap-puccio fornito di duelunghe code con appesiornamenti e amuleti. Lacorteccia di betulla eramateria prima per la co-struzione di varie suppel-lettili, scatole, gerle peril trasporto degli alimen-ti e perfino la culla, do-

100museo di storia naturale

Shaitan, spiritidella natura,Siberiaoccidentale

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tata di un sospensorioper poterla appendere alcentro della cium (ten-da conica). Dentro laculla sono collocate al-cune bambole, la cui te-sta è ricavata dal beccodi un palmipede, vesti-te con i tradizionali abi-ti di pelliccia. Elementocaratteristico di queste

popolazioni è la pratica dello sciamanesimo, testimo-niata da numerosi oggetti. Le sculture lignee antropo-morfe che figurano nella vetrina, addossate intorno al-la base di un ricostruito albero sacro, sono dette shaitane rappresentano gli spiriti della natura. Davanti all’al-bero lo sciamano svolgeva il suo ruolo di intermediariotra gli uomini e le divinità, innalzando preghiere, of-frendo sacrifici, compiendo riti propiziatori, accompa-gnando il tutto con il suono del penser, un tamburo acornice che è lo strumento principale di ogni sciamano.Ancora alla sfera della spiritualità appartengono i due pu-pazzi rivestiti di panno. Sono chiamati sciongot e rappre-sentano gli spiriti dei defunti. Quello vestito di rosso rap-presenta una donna, l’altro, in verde, un uomo. Sono unamanifestazione del culto dei morti degli Ostiacchi, chericordano in questo modo i loro cari scomparsi. Le maschere di corteccia di betulla a sinistra della vetri-na erano usate dagli Ostiacchi durante le rappresentazio-ni teatrali, pantomime rituali dedicate all’orso, animaleappartenente alla sfera mitologica di questi popoli. Le rappresentazioni erano accompagnate dalla musicaprodotta dal toropin, arpa tradizionale, di cui Sommieracquistò due esemplari, esposti nella vetrina centraleinsieme alla dombra, una cetra a tavola con 6 corde.

Arpadegli Ostiacchi,Siberiaoccidentale

101antropologia e etnologia

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102museo di storia naturale

Paolo Mantegazza(1831-1910)

La figura di Paolo Mantegazza continua tuttora a esercitare un fasci-no sugli studiosi contemporanei. Mantegazza non fu solo un antro-

pologo, ma un pioniere di un filone di studi che ruotavano intorno allescienze dell’uomo. Era nato nel 1831 in Lombardia, dove si laureò inMedicina all’Università di Pavia. La madre, Laura Solera, era unadelle esponenti di spicco del mondo intellettuale del periodo, fortemen-te impegnata nel sociale e personale conoscente di Giuseppe Garibaldi.La sua forte personalità contribuì alla formazione del carattere dellostudioso, che le fu profondamente legato per tutta la vita. Dopo la lau-rea, Mantegazza si recò in Argentina e vi rimase per circa quattroanni, visitando anche Paraguay, Brasile e Bolivia. Studiando la cultu-ra degli Indios ebbe inizio la sua passione per l’etnologia. In Argentina,sposò Jacobita Tejada e con leifece ritorno in Italia nell’apriledel 1858. Tornato in Italia, otten-ne l’insegnamento di Patologiapresso l’Università di Pavia e nel1862 fondò il Laboratorio diPatologia Sperimentale. La forte curiosità intellettuale diMantegazza lo spingeva versouna visione multidisciplinaredella scienza, la sola medicinaera troppo riduttiva per la suasete di esplorazione. La rapidaevoluzione delle conoscenze e il

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103antropologia e etnologia

fervore positivista che stava attraversando l’Europa nella II metàdell’800 videro in Mantegazza un protagonista appassionato, affascina-to dalle teorie darwinane dell’evoluzione degli esseri viventi in relazio-ne al principio della selezione naturale. Lo studio dell’uomo e del suorapporto con l’ambiente fornirono a Mantegazza la spinta decisivaverso il mondo delle scienze naturali. Nel 1869 si trasferì a Firenze doveottenne, primo in Italia, la cattedra di insegnamento di Antropologiapresso il Regio Istituto di Studi Superiori e di Perfezionamento. L’Antro-pologia, nuova disciplina di insegnamento, doveva occuparsi secondoMantegazza di tutti quegli aspetti dell’uomo utili a definirne la storianaturale e evolutiva. Il 28 novembre dello stesso anno, con Regio Decre-to, prendeva vita il Museo Nazionale di Antropologia e Etnologia,voluto da Paolo Mantegazza, un contenitore dove raccogliere, cataloga-re, studiare e esporre l’uomo, valutandone le varietà e le differenzenon solo fisiche, ma culturali. Due anni dopo fondò la “Società Italia-na per l’Antropologia, la Etnologia e la Psicologia Comparata”, chedivenne da subito una delle associazioni più prestigiose del mondo. Nel1879 intraprese un viaggio in Lapponia insieme all’amico botanicoStephen Sommier. Oltre ad arricchire il Museo con le raccolte lapponi,Mantegazza produsse un album di fotografie antropologiche. Egli eraconvinto che la fotografia fosse un nuovo e utilissimo strumento per ladocumentazione della variabilità umana. Col suo spirito pionieristicoimparò le tecniche di ripresa e mise a punto alcune regole per la stan-dardizzazione delle immagini nel campo dell’antropologia. Nel 1885, inun clima intellettuale generale di interesse verso l’orientale, Mantegaz-za si recò India, a studiare Indu e Dravidiani. Nel 1889 fondò, all’in-terno del Museo di Antropologia, il Museo Psicologico che raccoglie,secondo le stesse sue parole “quei documenti che illustrano le passioni oi particolari atteggiamenti del pensiero”. Mantegazza fu deputato al Parlamento italiano dal 1865, eletto perquattro legislature consecutive e infine nominato senatore nel 1876.

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Sala 2 - America meridionale:Amazzonia e Gran ChacoLa seconda sala del percorso espositivo raccoglie le col-lezioni provenienti dall’America meridionale. Le collezioni dell’Amazzonia sono il frutto di donazio-ni di viaggiatori e diplomatici del secolo xix che ebbe-ro rapporti con Paolo Mantegazza e parteciparono al-le attività del Museo e della Società di Antropologia eEtnologia, come Ernesto Mazzei e Enrique Lopez Net-to. Accanto alle raccolte amazzoniche, si trovano quel-le provenienti dal Gran Chaco, territorio che si esten-de tra i fiumi Paraguay e Paranà e l’altopiano andino,interessando gli Stati di Argentina, Bolivia, Paraguay eBrasile occidentale. Il Museo possiede, inoltre, una im-portante collezione di manufatti dell’etnia dei Chama-coco, raccolta da Guido Boggiani, artista piemonteseche a partire dal 1888 si dedicò all’esplorazione della fo-resta, dove morì nel 1901.Spiccano per la loro rarità e spet-tacolarità alcuni manufatti delpopolo dei Tupinamba, che oc-cupavano la costa atlantica delBrasile fino al xvi secolo: una cla-va da guerra, quattro archi e duemantelli di penne rosse di Ibis ru-bra, al centro della sala. I man-telli sono oggetti rituali ricondu-cibili al culto del dio Sole. Dob-biamo questo cimelio al collezio-nismo mediceo. I popoli dell’Amazzonia, l’im-mensa foresta che comprende gliStati delle Guiane, del Venzuela,del Brasile e della Colombia, so-

104museo di storia naturale

Diadema dipenne,Americaequatoriale

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no rappresentati da numerosi ogget-ti caratteristici. Tra questi le teste-trofeo, che i nativi realizzavano at-traverso complicati processi di essi-cazione e mummificazione delle te-ste dei nemici uccisi in battaglia econservavano con venerazione, inquanto ritenute ricettacolo e veico-lo delle virtù del defunto. Se ne os-servano due a grandezza naturale,opera dei Mundurucù del Brasile; lealtre due, di dimensioni ridotte gra-zie ad una particolare tecnica di pro-gressiva disidratazione dei tessuti, so-no chiamate tsantsa e sono un pro-dotto dei Jivaros dell’Equador. Ca-ratteristica anche l’arte plumaria, nel-

la quale erano maestri i popoli dell’Amazzonia brasilia-na. La presenza di innumerevoli specie di uccelli dalpiumaggio variopinto ha ispirato gli abitanti della fo-resta a impiegare le piume come materia prima per laconfezione di copricapo e ornamenti, indossati preva-lentemente come segnali di appartenenza etnica o distatus sociale.

Sale 3 e 4 - America del Nord:dalle coste della California ai ghiaccidella GroenlandiaLa vastissima area geografica degli Stati Uniti e del Ca-nada è la patria di più di 500 culture native, molte del-le quali sono scomparse dopo l’occupazione europea ealtre sopravvivono a stento, confinate nelle riserve. Lapenetrazione degli europei nel continente nord ameri-cano iniziò nel xvi secolo in Florida e successive spedi-

105antropologia e etnologia

Testa trofeodei Mundurucù,Amazzoniabrasiliana

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zioni portarono gli spagnoli a raggiungere il Mississip-pi, il Grand Canyon e le Grandi Pianure. La maggiorparte degli insediamenti spagnoli furono realizzati lun-go la costa californiana e il fiume Santa Fe in New Mexi-co. Le terre lungo le coste furono colonizzate principal-mente dai britannici nel xvii secolo. I francesi parteci-parono alla corsa alla colonizzazione occupando e con-trollando, fino a tutto il xviii secolo, il territorio dellaNuova Francia, la cui parte preponderante era costitui-ta dalla colonia de La Louisiane. Era un territorio im-menso, che andava dai Grandi Laghi al Golfo del Mes-sico. L’arrivo e la permanenza degli europei provocòprofonde trasformazioni nella espressione culturale in-digena, riscontrabile anche nelle caratteristiche dei ma-nufatti, che si modificarono per l’introduzione di nuo-ve materie prime, di nuove tecniche di lavorazione eper gli stili decorativi che subirono l’influenza del gu-sto europeo. Le regioni più settentrionali del Nordame-rica, a partire dalla metà del xviii secolo, furono inve-ce invase dai Russi che, attratti soprattutto dalla cacciaagli animali da pelliccia, occuparono l’Alaska, le isoleAleutine e si spinsero più a sud, nella British Colum-bia, nello Stato di Washington, nell’Oregon, fino all’a-vamposto più meridionale di Fort Ross in Ca-lifornia. La Groenlandia, abitata dai cacciatoriInuit fin dal 2000 a.C., ha subito per secoli ildominio danese. Le collezioni etnografiche esposte nella sa-la 3 e 4 testimoniano la ricchezza e varietàdelle culture native e il loro incontro conl’uomo bianco. Sono composte da nucleidiversi per provenienza e datazione. Tra glioggetti più antichi, raccolti durante il terzoviaggio dell’esploratore James Cook (1776-1779)e quelli più recenti, appartenenti ad una collezio-

106museo di storia naturale

Cesto degliApache,Americasettentrionale

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ne donata al Museo nel 1925 dalla signoraKingsmith Mavis, si trovano altri nuclei rac-colti da collezionisti, viaggiatori e studiosicome Borg De Balzan, Paolo De Vecchi eFederico Triebel o acquisiti dal Museo gra-zie alla collaborazione con Istituzioni qualila Smithsonian Institution ed il Museo diCopenaghen.Percorrendo la sala 3, si ammirano i manu-fatti delle culture della California e del Su-dovest: i cesti abilmente intrecciati e spes-so ornati di piume di quaglia, perline e con-chiglie, dei popoli Pomo, Chumash, Yu-rok, Apache, il telaio ed il tappeto dei Na-vajo, le mattonelle di terracotta dipinta de-gli Hopi. Nella vetrina successiva, oggetti maschili deipopoli dell’Altopiano e delle Pianure, comei gruppi Sioux Dakota e Lakota, gli Ara-

paho, i Crow, i Cheyenne: ami per la caccia, elementidi abbigliamento ed accessori, ornamenti, diversi tipi dipipe tra le quali quelle cosiddette “della pace”, oggettiriferibili alle pratiche sciamaniche e cerimoniali.La vetrina 4 mostra manufatti dei popoli Ojibwa, Pe-nobscott, Potawatomi, Cree, delle aree del Nordest e delSubartico: una bellissima bandolier bag, oggetto statussymbol maschile consistente in una borsa a tracolla invelluto, con fitta applicazione di perline di vari coloria formare un motivo floreale, poi ancora racchette daneve da bambino, giocattoli di legno raffiguranti unuomo ed una donna con abbigliamento tradizionale eracchette da neve ai piedi.Nella vetrina centrale fa da protagonista un abito fem-minile in pelle di daino, decorato sullo sprone con per-line bianche e nere. Fu donato al Museo da Paolo De

107antropologia e etnologia

Bandolier bag,Ojibwa

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Vecchi alla fine dell’800, insieme ad altri oggetti delleregioni del Sudovest. Fu catalogato dallo stesso PaoloMantegazza che lo descrisse come “Veste della principes-sa Vinamucca”. La principessa indiana Sarah Winne-mucca, il cui nome nativo era Thocmetony, nacque nel1844. Il padre era un capo dei Northern Paiute, abitan-ti delle terre situate tra il Nevada occidentale, la Califor-nia settentrionale e l’Oregon meridionale. Quando erabambina il territorio del suo popolo fu invaso dai bian-chi e lei assimilò alcuni elementi di quella cultura stra-niera: sapeva parlare lo spagnolo e l’inglese, in aggiun-ta a tre lingue indiane, scrisse diversi libri sulla culturadel suo popolo e divenne una delle principali voci a so-stegno dei diritti degli indiani nel tardo xix secolo.La sala 4 è relativa alle culture più settentrionali delcontinente nordamericano. La vetrina 1 mostra alcuni indumenti provenienti dal-le isole Aleutine, situate nell’estrema propaggine sud-occidentale dell’Alaska: sono lunghe vesti con cappuc-cio, realizzate con intestino di cetaceo, impermeabili,decorate con applicazioni di stoffa, piume e ciuffi di la-na. Sotto le vesti, due zanne di tricheco pittografate, sucui sono incise scene della vita di tutti i giorni e un in-sieme di piccole sculture d’avorio raffiguranti vari ani-mali. Queste miniature, realizzate talvolta per far gio-care i bambini, spesso diventavano oggetti sciamanicicon scopi propiziatori. Nell’estrema destra della vetri-na, un tamburo sciamanico Inuit della Groenlandia èassociato a una piccola scultura antropomorfa di legnodi abete: si tratta di un tupilak, oggetto di esclusiva pro-prietà dello sciamano, raffigurante una creatura miticae spirituale che viene ritenuta dotata di poteri sopran-naturali. Nei ripiani inferiori della stessa vetrina vi so-no alcuni elementi di abbigliamento: da notare i cal-zoncini in pelle di foca, indossati dagli uomini duran-

108museo di storia naturale

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te i giochi e le cerimonie tradiziona-li degli Inuit, che si svolgevano neivillaggi all’interno degli igloo. Nella vetrina 2, oltre ai capi d’abbi-gliamento in pelliccia, è esposto unpropulsore in legno di abete, deco-rato con piccole sculture d’avorioraffiguranti mammiferi marini, og-getto di fine fattura appartenuto aun valoroso cacciatore di Angmas-salik, villaggio della Groenlandiaorientale. Le vetrine 3 e 4 contengono alcunioggetti provenienti dal iii viaggio di

James Cook, che nel marzo del 1778 toccò le coste del-la British Columbia per spingersi lungo quelle dell’A-laska, fino allo Stretto di Bering. Si nota un propulso-re per arpioni da caccia fornito di un galleggiante rica-vato da una vescica di foca e alcuni oggetti cerimonia-li, come la bellissima maschera in legno dei Nuu-chah-nulth, popolo dell’isola di Vancouver conosciuto an-che con il nome di “Nootka”, che veniva indossata du-rante le commemorazioni dei defunti e la clava “slavekiller” in legno e basalto.

Sala 5 - Gli Ainu di HokkaidoLa sala 5 ospita le rarissime collezioni relative agli Ainu,popolazione di particolare interesse etnologico presentein Hokkaido, Giappone, già dal i secolo d.C. La colle-zione esposta è stata raccolta interamente da Fosco Ma-raini, studioso fiorentino che nel 1938 partì per Hokkai-do, dove rimase alcuni anni usufruendo di una borsa distudio finalizzata allo studio della cultura Ainu. Nella vetrina 1 a sinistra sono esposti due attush, uno

109antropologia e etnologia

MascheraNuu-chah-nulth,Canadaoccidentale

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maschile e l’altro femminile. Sono vesti-kimonotradizionali, realizzati con fibre grezze, di cotoneo di olmo, con motivi decorativi geometrici ti-pici degli Ainu. Il manichino maschile hala sciabola di legno, con impugnatura inmetallo e sul capo il sapaumbe, una co-rona con una scultura in legno raffigu-rante l’orso, animale sacro, portatadagli anziani in segno di autorità.Sul manichino femminile la tipicabenda frontale a motivi geometrici, ol-tre a gioielli in perle di vetro di fabbricazio-ne giapponese e orecchini di ottone. Ai pie-di dei manichini, un bauletto laccato nero amotivi floreali dipinti, di fabbricazione giap-ponese (fine xviii sec.).Segue una serie di inau. Gli inau sono dei ba-stoncini, variabili per grandezza, messaggeridi preghiere alle divinità, che venivano fab-bricati dagli anziani con il legno di salice, con-siderato sacro. Alcuni inau venivano piallati aduna estremità, ottenendo dei trucioli (kike). Laforma, la disposizione e la lunghezza dei trucioli confe-riva specifico significato a ciascun inau. Questi “baston-cini sacri” venivano offerti durante le varie cerimoniededicate alle divinità o in corrispondenza di eventi im-portanti per la comunità. Sulla destra della vetrina alcuni utensili per la tessiturae per le attività della vita quotidiana: spatole, mestoli,cucchiai, vassoi di legno con intagli ornamentali e taz-ze laccate con sostegno, usate per contenere la bevan-da sacra da aspergere durante alcuni dei riti sacri Ainu,compreso lo Iyomande, cerimonia dell’uccisione ritua-le dell’orso. La stuoia in fibra vegetale serviva da coper-tura del pavimento, delle pareti e talvolta come suda-

110museo di storia naturale

Kimonofemminiledegli Ainu,Isola diHokkaido,Giappone

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rio per i defunti. Gli orsetti in legno sono invece statifabbricati a scopo commerciale. Sono esposte inoltre alcune sciabole con il fodero inta-gliato e decorato, oggetti per la caccia come archi, frec-ce e faretre di legno, intagliate e impreziosite con bor-chie metalliche. Una cassetta di legno contiene dellespeciali punte di freccia, decorate con intagli e a pun-ta arrotondata, che venivano scagliate contro l’orso du-rante lo Iyomande.Le due vetrine a tavolo contengono una ricca collezio-ne di iku-bashui, bacchette di legno con la faccia supe-riore decorata e incisa con simboli sacri. Letteralmen-te iku-bashui significa “bacchetta-bere” e, in effetti, ve-nivano usate anche per tenere sollevati i baffi degli an-ziani mentre bevevano le sacre bevande fermentate du-rante le cerimonie. Gli iku-bashui sono dei veri e pro-pri messaggeri, ai quali è affidato il compito di portareinvocazioni e preghiere alle divinità. Un tipo partico-lare di iku-bashui è il kike-iku-bashui, riconoscibile perla presenza di trucioli piallati.

Sala 7 - Il Perù precolombianoLa possibilità di ammirare questi reperti di culture pre-colombiane ci è data dal collezionismo di alcuni per-sonaggi che ebbero contatti con il Museo all’epoca del-la direzione Mantegazza. Primo fra tutti Ernesto Maz-zei, un medico oculista fiorentino che soggiornò a Li-ma per lunghi anni, dove raccolse molti degli oggettiesposti per donarli al Museo tra il 1875 e il 1884. Un al-tro medico italiano che contribuì notevolmente ad ar-ricchire le collezioni fu Oscar Perrone, al quale si devo-no le mummie naturali provenienti da Cuzco, oltre aceramiche e manufatti metallici. Infine, le donazionidel barone Felipe Lopez Netto, personaggio illustre del-

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la politica e della diplomazia internazionale di fine ’800che, oltre ai reperti del Perù antico, donò al Museo di-versi manufatti delle popolazioni dell’Amazzonia, delVenezuela e del Paraguay esposti nella sala 2.Le collezioni raccolte in questa sala sono relative alleculture del continente sudamericano prima della con-quista spagnola. Nella prima vetrina si possono ammi-rare numerosi esemplari di ceramiche prodotte princi-palmente dalle culture Mochica (o Moche) e Chancay,entrambe anteriori all’occupazione del grande imperoInca di tutta la costa ovest del continente. La culturaMochica si sviluppò nella costa settentrionale del Perùtra il i e il vii secolo d.C. La ceramica era una delle for-me artistiche più comuni e le variazioni stilistiche eiconografiche segnano le cinque diverse fasi di questacultura. Venivano realizzate statuette, vasellame, anfo-re e bottiglie, in genere rosso-arancio, a volte nero fu-mo, decorate con pitture raffiguranti scene di vita rea-le o figure simboliche fantastiche, antropomorfe o zoo-morfe. Tipiche di questa cultura sono le ceramiche con-figurate, vasi che riproducono figure umane o parti delcorpo umano, spesso a carattere erotico con valore sim-

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Ceramicachimù, Perùprecolombiano

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bolico e rituale. Le ceramiche monocroma-tiche esposte nella vetrina 3 risalgono inve-ce al periodo chimù, cultura che sorse sullecoste peruviane settentrionali sui resti dellaciviltà Moche intorno al xii secolo e che fusoppiantata dall’impero Inca 50 anni primadell’arrivo dei Conquistadores. I manufatti,spesso antropomorfi o zoomorfi o con ele-menti decorativi a forma di frutti o di pic-coli animali, sono caratteristici per il lorocolore nero lucente, ottenuto attraverso unmetodo di cottura che impedisce all’ossige-no di reagire con la ceramica.Nella vetrina 2 molte testimonianze dellacultura inca, affiancate da altre del periodoChancay. Ad attirare l’attenzione sono so-prattutto le mummie, alcune provenientidalla regione di Cuzco, dove si trova l’omo-nima città che fu capitale dell’impero Inca,altre dalla Bolivia settentrionale appartenen-ti ad individui di lingua Aymara. Le mum-

mie erano accompagnate da un corredo di oggetti uti-li nella vita ultraterrena e venivano anche esposte du-rante alcuni rituali e celebrazioni. Gli Inca praticava-no la deformazione artificiale del cranio che variava pertecnica e risultato estetico. La deformazione circolareera ottenuta stringendo intorno alla testa dei neonatidelle fasce di tessuto, cosa che produceva, con la cre-scita, una forma stretta e alta; la deformazione fronto-occipitale prevedeva invece lo schiacciamento di fron-te e nuca del neonato, per conferire alla testa una for-ma larga e appiattita. La pratica, di origini molto an-tiche, era usata per marcare le differenze di etnia all’in-terno dell’Impero Inca. Accanto ai crani deformati,uno con un grosso foro laterale è la testimonianza di

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Mummianaturale inca,Perùprecolombiano

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una trapanazione cranicapraticata sul vivente, ascopo terapeutico. Gli In-ca eseguivano operazionichirurgiche e praticavanola medicina con l’ausiliodi rimedi farmacologiciderivanti da piante, inparticolare dalle foglie dicoca (Erythroxylum coca),in associazione con prati-che magiche atte ad al-lontanare gli spiriti. Nella stessa vetrina si possono am-mirare diversi esemplari di tessuto, riconducibili alleculture Huari, Chancay e Chimù, realizzati con diver-se tecniche di lavorazione e motivi ornamentali e ico-nografici. I filati erano ottenuti dal cotone e dalla lanadi camelide, tinti con pigmenti di origine animale o ve-getale.La vetrina a tavolo contiene un esemplare di quipu, uninsieme di cordicelle con nodi avente funzione di co-dice per trasmettere e memorizzare dati relativi alla po-polazione, ai commerci, a fatti storici e tutte le notizieutili alla gestione dello stato inca. L’interpretazione deiquipu si basa sul colore e la lunghezza delle cordicelle,sulla quantità e la posizione reciproca dei nodi ed erariservata ad una categoria speciale di funzionari stata-li, chiamati quipumayuc. Appartengono alla civiltà inca anche i due troni di pie-tra collocati fuori dalle vetrine, provenienti dai territo-ri del Manabì in Ecuador, i più settentrionali dell’im-pero, mentre la statua in pietra raffigura Tlaloc, dio del-le acque e della fecondità della terra, uno dei più vene-rati dagli Aztechi, altra grande civiltà che si sviluppò nel-l’attuale Messico tra il xiv e il xiv secolo e che non so-

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Trono di pietrainca, Manabì,Equador

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pravvisse, come quella inca, all’arrivo dei conquistato-ri spagnoli.

Sale 8-9-10-11-12 - Dal Golfo del Bengalaall’Arcipelago indonesianoCon la sala 8 inizia un percorso tre le culture dell’Arci-pelago indonesiano, che ospita svariate etnie dai trattiantropologici e culturali molto diversificati. La vetrina 1 della sala 8 ospita manufatti provenienti daSulawesi (chiamata Celebes dai portoghesi che la do-minarono tra il xvi e il xvii secolo), come lo scudo inlegno scuro decorato con conchiglie del genere Nassa eciuffi di capelli, una cetra a bastone, realizzata con le-gno e canna e con la scorza di mezza zucca a fare da cas-sa di risonanza. Sul lato sinistro della stessa vetrina, unoscudo più grande e dipinto di ocra rossa proviene dal-la regione di Sarawak, sulle coste nord occidentali delBorneo. I due crani trofeo, uno dei quali è dipinto e de-corato con conchiglie di Cypraea e semi di Abrus, ap-partengono ai Daiacchi del Borneo. La pratica di con-servare i crani dei nemici uccisi in battaglia è diffusa trale culture native di tutta l’Indonesia e si espande finoalla Nuova Guinea e alle altre isole melanesiane e poli-nesiane. Si ritiene che la testa di un guerriero ucciso neconservi le virtù: conservare il cranio significa appro-

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Scudo diSulawesi(Celebes)

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priarsi del suo valore, del suo coraggio e della sua for-za. Ancora dal Borneo provengono la sciarpa in tessu-to rosso e il pettorale di pelle, entrambi decorati con bot-toni di madreperla di fattura europea.Nel lato destro della vetrina 2 spicca una scultura lignearaffigurante un personaggio femminile con il volto di-pinto di rosso, occhi di madreperla e alcuni lembi di tes-suto legati al collo ed ai fianchi. Si tratta della rappre-sentazione di una divinità protettrice dalle malattie pro-veniente dalle isole Nicobare (Golfo del Bengala, In-dia), dove è usanza collocarla davanti alle abitazioni. Illato sinistro della vetrina mostra alcuni oggetti dell’iso-la di Giava: flauti di canna e un singolare scacciapensie-ri dotato di cassa di risonanza, un liuto ad arco con pia-no armonico in pelle e le marionette per il tradizionaleteatro delle ombre. Nella parte inferiore di entrambe levetrine si possono ammirare i parang, tipici coltelli daguerra, e nelle teche centrali si hanno modelli di imbar-cazioni e di abitazioni.

Sala 9, vetrina 3:manufattidell’isoladi Nias,Indonesia

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Nella sala 9, vetrina 1, alcune testimonian-ze della cultura degli abitanti delle isoleAndamane, situate nel Golfo del Benga-la a nord delle Nicobare. Gli elementi piùnotevoli sono il tipico arco “ad S” e il cra-nio rituale dipinto di ocra rossa, oggettodi culto e devozione familiare.Con la sala 9 ha inizio l’esposizione di unadelle più importanti collezioni del Museoper numero e varietà degli oggetti che lacompongono. La collezione, che si arti-cola fino alla sala 12, è frutto di un preci-so progetto di indagine sugli usi, costumie vita quotidiana dei popoli dell’Indone-sia, portato avanti tra il 1886 e il 1894 dacolui che fu uno dei più preziosi collabo-ratori di Paolo Mantegazza, il viaggiatorenaturalista Elio Modigliani (1860-1932).Era il 1886 quando, a soli 26 anni, Modi-gliani intraprese il suo primo viaggio ver-so l’Indonesia, che lo portò a soggiornaresei mesi a Nias, piccola isola ad ovest diSumatra, dove raccolse circa 180 oggettiche al suo rientro in Italia donò al Museo.

Molti di questi oggetti sono esposti nelle vetrine 3, 4 e5 della sala 9. Nella parte destra della vetrina 3 alcunesculture antropomorfe di legno testimoniano la vitaspirituale del popolo di Nias: rappresentano gli spiritiprotettori, chiamati Adu, ciascuno dei quali ha attribu-ti specifici. Appoggiati sul fondo si notano alcuni stru-menti musicali, xilofoni, una cetra tubolare, flauti escacciapensieri, tutti fabbricati con legno di bambù.Al centro un manichino di gesso dipinto, realizzato nellaboratorio del Museo alla fine dell’800; il manichinorappresenta Canólo, il figlio del capo del villaggio Hila

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Canólo,figlio di uncapo villaggio,Nias, Indonesia

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Ngiono, vestito con l’abbigliamento tipico dei guerrie-ri di Nias.Tra i capi d’abbigliamento esposti nel settore sinistrodella vetrina si trovano indumenti di corteccia battu-ta o tapa, cappelli di foglie di palma, accessori e orna-menti come collane e diademi in lamina d’ottone, brac-cialetti e orecchini portati sia dagli uomini che dalledonne. A testimonianza di una attività commercialeesistente nella comunità, una piccola bilancia correda-ta da una serie di pesi per l’oro, un’asta di legno usatacome misura lineare ed alcuni recipienti cilindrici dibambù per misurare le quantità di riso.Nelle vetrine 2 e 4 sono esposte armi da offesa e da dife-sa, lance, scudi, pugnali da guerra kriss, con impugnatu-re abilmente scolpite e forniti di piccoli involucri porta-amuleti di fibre vegetali intrecciate, all’interno dei qualivenivano custoditi i portafortuna. Da notare, nella ve-trina 2, i baffi da combattimento, sorta di mascherine diferro annerito con la fuliggine, usati per impressionare ilnemico rendendo terrificante il volto del guerriero. Nella teca all’inizio della sala 10 unmodello di osalé, casa collettiva riser-vata agli uomini, dove si svolgevanoadunanze per discutere i problemidella comunità di Nias e dove eranoconservati i crani trofeo.La sala 10 mostra gli oggetti raccoltiin una tappa successiva del viaggiodi Modigliani: l’isola di Engano del-l’arcipelago Mentawei a ovest di Su-matra, dove l’esploratore si recò nel1891. Nei ripiani alti della vetrina 1 sinotano gli epácu, copricapo di legnosovrastati da sculture antropomorfee ornati di lunghe piume colorate,

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Epácu,copricapodelle donnedi Engano,Indonesia

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indossati dalle mogli dei guerrieri valorosi. Più in bas-so, le sculture raffiguranti uccelli marini, collocate sul-la prora delle imbarcazioni per scrutare i fondali con iloro grandi occhi di madreperla. Le imbarcazioni era-no canoe a doppio bilanciere, di cui è esposto il model-lo. Sulla sinistra della vetrina troneggia un grande “scu-do-fortezza”, dietro al quale, durante le battaglie, po-tevano ripararsi più guerrieri insieme. Nella vetrina 2 si ammirano cinture e gonnelline diperle di vetro, collane fatte con le stesse perline e ar-ricchite da pendenti di conchiglia di Nautilus, a voltecon motivi ornamentali intagliati o traforati, cappellidi foglie di banano a forma di cornucopia, indossatinelle occasioni di lutto. Accanto, alcuni elementi del-l’architettura locale: le porte di legno di forma roton-deggiante scolpite con motivi floreali e antropomorfiin rilievo, la scala di accesso, la scultura avimorfa ad alispiegate che gli abitanti di Engano collocavano sul tet-to, una sorta di “tappo” che impediva all’acqua piova-na di entrare all’interno, e quelle antropomorfe a brac-cia aperte, usate come capitelli alle colonne di soste-gno del pavimento. La posizione, la funzione e la strut-tura dei vari elementi architettonici sono visibili nel

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Collanacon conchigliadi Nautilus,Sipòra,Indonesia

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modello di casa su palafitte, posta in una teca di fron-te alla vetrina.Ancora dall’isola di Engano provengono le lance da cac-cia e da guerra, le reti per la caccia al cinghiale, i coltel-li per uso domestico, due conchiglie di Charonia trito-nis, usate come trombe da richiamo per radunare i guer-rieri e i cacciatori.La sala 2 è relativa alla cultura di Sipòra, altra isolettadell’arcipelago Mentawei dove Modigliani soggiornòtra il 1893 e il 1894. Appeso al soffitto, un amuleto pro-tettore della casa di notevoli dimensioni, formato daalcuni tamburi cilindrici sospesi ad una struttura ligneaa forma di tartaruga.Nella vetrina sulla destra si trovano gonnelline e cappel-li di foglie di Pandanus, collane di perline con penden-ti di madreperla, sottili cinture di giunco (Calamus ro-tang) tinte di rosso o di nero e gli utensili necessari a pra-ticare l’elaborato tatuaggio tipico degli abitanti dell’iso-la. Nella stessa vetrina e in quella successiva si trovanooggetti e suppellettili della vita domestica e delle attivitàdi pesca e navigazione: vari esemplari di pipe, utensiliper la preparazione dei cibi, ventole per il fuoco, gran-di vassoi per il riso, astucci di bambù dove riporre lefrecce, galleggianti per le reti da pesca, remi ad uso de-gli uomini, di foggia diversa da quelli usati dalle donne.Nelle teche a sinistra troviamo due manichini di gesso

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Traversadi imbarcazione,Engano,Indonesia

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dipinto, raffiguranti un uomo ed una donna locali nelloro abbigliamento tradizionale. Sono da notare le ri-produzioni, sul corpo dei manichini, dei tatuaggi tradi-zionali maschili e femminili. Nelle isole Mentawei il ta-tuaggio del corpo costituisce un rito di passaggio dall’in-fanzia all’età adulta. I disegni seguono schemi tradizio-nali e l’esecuzione del tatuaggio avviene perforando la pel-le con un ago di ottone precedentemente immerso inuna miscela di nerofumo e succo di canna da zucchero.Di fronte, una grande vetrina con la splendida colle-zione di oggetti che Elio Modigliani raccolse duranteil suo soggiorno a Sumatra (1890-1891), tra i Batak, abi-tanti della regione interna della grande isola, sulle ri-ve del lago Toba. I Batak sono un popolo di circa unmilione e mezzo di individui, il più numeroso popo-lo nativo di Sumatra, diviso in diverse unità linguisti-che e culturali. Tra gli oggetti della collezione, le scul-ture lignee nei ripiani alti della vetrina, figure di spiri-ti protettori, alcuni con arti snodati, a volte ornati con

ciuffi di crine e lembi di tessutoe, più in basso, i “bastoni del ma-go”, interamente scolpiti a moti-vi antropomorfi, utilizzati a dife-sa dagli spiriti nefasti. Al centrodella vetrina gli interessanti ca-lendari oracolari e le lettere, scrit-ti su cilindri di bambù con carat-teri e simboli pirografati, ed i li-bri di fogli di corteccia chiamatipustaha. I calendari e i libri ba-tak sono antichi codici nei qualiè racchiuso il loro patrimonio dimiti, leggende e credenze religio-se. Oltre alle borse di pelle di bu-falo e a diversi modelli di pipe,

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Modellodi abitazionebatak,Sumatra

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sono esposti alcuni braccialetti e orecchini di ottone euna bella cintura di panno sul quale sono applicate de-corazioni di perle di vetro e cauri con fermaglio in os-so, indossata dalla moglie del capo in occasione di ce-rimonie e danze rituali. Da notare i piccoli mortai dibambù per la preparazione del betel, una miscela di fo-glie e frutti di Piper betel e calce viva che viene masti-cata e produce effetti euforizzanti, il cui uso è larga-mente diffuso in tutta l’Indonesia. Nella parte destradella vetrina gli attrezzi per il lavoro agricolo e dome-stico: lame d’ascia e di zappa, rastrelli, scalpelli, ra-schiatoi, un aratro, trappole per piccoli animali e gab-bie per il loro trasporto. Troviamo anche un telaio coni suoi accessori e un arcolaio, assieme a un esemplaredei tipici tessuti batak lavorati a motivi geometrici dirighe e losanghe di vari colori.Nella vetrina 2 della sala 12 numerosi strumenti musi-cali: alcune cetre tubolari, flauti e xilofoni e l’intera or-chestra tradizionale batak, il godang sabagunan, com-posta da sette tamburi cilindrici di dimensioni diverse,un oboe e una coppia di cimbali. Accanto, alcuni ele-menti decorativi delle imbarcazioni e, nella vetrina 3,un modello di abitazione e i fregi decorativi della casa,sculture di legno raffiguranti Singa, animale fantasticoche viene collocato sui pilastri di sostegno. Fuori dalle vetrine troviamo due esemplari di tudducan,uno nella sala 11 e uno nella sala 12. Il tudducan è untamburo a fessura interamente di legno, che veniva usa-to all’interno dei villaggi per richiamare i membri del-la comunità in occasioni di adunanze, riunioni, feste ecerimonie. È composto da una grande cassa di risonan-za a forma di barca, con una apertura nella parte supe-riore sulla quale vengono appoggiati due tronchi di di-mensioni diverse, che percossi producono un suonoforte e cupo.

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Sala 13 - Polinesia, Micronesia, Australiae MelanesiaIl fascino dell’Oceania avvolge il visitatore nella sala 13,dove sono esposti manufatti prodotti dagli aborigeniaustraliani e dagli abitanti delle isole della Polinesia,Micronesia e Melanesia. I popoli che abitano i com-plessi insulari polinesiano e micronesiano, nonostantela separazione fisica esistente tra un’isola e l’altra, pre-sentano molti elementi comuni nella struttura sociale,nell’economia, nell’espressione artistica e religiosa. Leisole della Polinesia possono essere individuate trac-ciando il perimetro di un triangolo avente per vertici leisole Hawaii a nord, la Nuova Zelanda a sud-ovest e l’i-sola di Pasqua ad est. I navigatori, gli esploratori e i colonizzatori occidentaliche tra il xvi ed il xviii secolo conobbero queste terrenel momento della loro pienezza tradizionale, descris-sero una cultura basata sulla pesca, praticata sia nel ma-re sia nelle acque interne dei fiumi e delle lagune, e sul-la coltivazione di specie vegetali commestibili come il ta-ro (Colocasia esculenta), l’igname (Dioscorea alata), il ba-nano (Musa sapientum), la palma da cocco (Cocos nuci-fera), l’albero del pane (Artocarpus incisa) e di specie uti-

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Tapa decorata,Hawaii,Polinesia

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lizzate per usi diversi come il Pandanus, dal quale si ri-cavavano le fibre per l’intreccio. La corteccia dei grandialberi, ammorbidita nell’acqua e successivamente bat-tuta, diventa una specie di feltro chiamato tapa, che al-l’aspetto risulta fine e setoso, come una vera e propriastoffa. L’allevamento, poco diffuso, era ridotto a maia-li, cani e polli. La caccia era poco praticata, più per sco-pi ludici e competitivi che per necessità alimentari.Nella vetrina 6 troviamo gli elementi decorativi dellacasa di un capo maori. In Nuova Zelanda, le dimore deicapi erano più grandi delle altre e avevano la facciata, ipali e le pareti interne dipinti in rosso e ornati con ele-ganti motivi decorativi, figure umane stilizzate sul cuivolto erano spesso riprodotti i tatuaggi tradizionali. An-che le grandi piroghe da guerra, che potevano traspor-tare fino a 200 persone, venivano decorate con la tec-nica del bassorilievo e della scultura, come mostrano fi-gure antropomorfe delle prore delle imbarcazioni nel-la vetrina 5, evocanti esseri marini mitici. Nella vetrina centrale ottagonale, ancora tipici oggettimaori: cofanetti di legno finemente intagliati, amuletidi giada chiamati hei-tiki, collegati con il culto degli an-tenati, clave spatuliformi di osso di cetaceo, di basalto edi nefrite, insegne di comando e un mantello portato daicapi fatto con piume di kiwi (Apteryx australis), un pic-colo e antichissimo uccello, endemico della Nuova Ze-landa, che i Maori credevano sotto la protezione divina.Nella vetrina 4 alcuni esempi di decorazione della ta-pa, collane di denti di cetaceo e conchiglie del genereLittorina, asce cerimoniali di Mangaia, isola dell’arci-pelago Cook, e lo spettacolare abito da lutto che gli in-digeni di Tahiti chiamavano Heva. Realizzato con laqualità più fine di tapa, arricchito da un pettorale di le-gno di palma con conchiglie di Pinctada applicate, so-vrastato da una valva di Atrina vexillum che porta an-

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cora le vestigia di una corona di penne caudali dell’Uc-cello del Sole (Phaethon rubricauda), l’abito cerimonia-le veniva indossato nei riti funebri dedicati a un gran-de capo. Questo straordinario reperto fu raccolto nel-l’isola di Tahiti insieme a quelli esposti nella vetrina 3,tra i quali si trovano anche manufatti delle isole Tongae Hawaii e della Nuova Zelanda, dal capitano della ma-rina inglese James Cook, durante il suo terzo viaggio diesplorazione del Pacifico, avvenuto tra il 1776 e il 1779.

Si tratta di oggetti realizza-ti prima delle influenze deicolonizzatori: collane dispecie diverse di conchi-glie, dalle piccolissimeBuccinum, alle Cellanasandwicensis, acheogaste-ropodi della famiglia del-le patelle, alle madreporedella specie Orbitolitescomplanata, di forma di-scoide a margini ondula-ti, alle quali si alternanoframmenti di tubipore. Ilmantello e gli elmi di fibreintrecciate erano un tem-

po coperti di piume colorate e costituivano l’abbiglia-mento dei capi e dei re. Le conchiglie della specie Strom-bus maculatus, fissate a un supporto di fibre vegetali in-trecciate, formano un sonaglio che, fissato alla gamba,segnava il ritmo durante le danze. La piccola clava spa-tuliforme in legno è fornita di un tagliente di 12 dentidi pescecane. L’ingegno dei popoli polinesiani nell’uti-lizzo delle risorse naturali e delle specie animali e vege-tali per la realizzazione di utensili e suppellettili è testi-moniato anche nella parte inferiore della vetrina 3: per

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Mascheratatanùa,arcipelagoBismarck,Melanesia

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La Heva di James Cook

La preziosa collezione arrivò a Firenze poco dopo la fine della spedi-zione, grazie al soggiorno londinese di Felice Fontana e Giovanni Fab-

broni, rispettivamente direttore e assistente dell’Imperiale e Reale Mu-seo di Fisica e Storia Naturale fondato nel 1775 dal Granduca Leopol-do di Lorena, allora sovrano di Toscana. I due, che erano stati inviatidal Granduca in viaggio per l’Europa in cerca di strumenti scientifici enuovi reperti che andassero ad arricchire il Museo fiorentino, si trova-rono a Londra nel 1780, lo stesso anno in cui le navi del Capitano Cookrientrarono dal loro viaggio. Grazie agli amichevoli contatti intercorsitra Giovanni Fabbroni e Joseph Banks, direttore della Royal Society,l’accademia nazionale inglese delle scienze, i manufatti raccolti dall’e-quipaggio di Cook furono aggiudicati agli inviati del Granduca e giun-sero a Firenze.La heva è un costume da lutto, collegato al culto del dio della guerra e del-la morte. Veniva indossato nelle cerimonie dedicate alla morte del caposupremo della comunità, considerato la rappresentazione della divinità interra. Senza la guida del capo e dunque privata della protezione del divi-no, l’intera comunità entrava in uno stato di estrema vulnerabilità. Si te-mevano guerre, distruzione, malattie, sciagure. I riti funebri duravano unmese circa, fino alla designazione del nuovo capo. Durante questo inter-regno il sacerdote indossava la heva che gli conferiva poteri assoluti e, acapo di un corteo, imperversava sul villaggio seminando terrore e violen-za in tutto il territorio. Solo quando il sacerdote si spogliava delle hevanella comunità tornava la normalità e la pace. Il costume è formato dauna serie di pezzi di elementi, il cui valore simbolico è legato alla rappre-

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sentazione delle varie compo-nenti dell’universo. In alto unavalva di Atrina vexillum allaquale venivano fissate a raggie-ra, nell’estremo superiore, pen-ne bianche o rosse. Segue la ma-schera, fatta con due valve diPinctada margaritifera, chepresenta un foro all’altezza del-l’occhio sinistro. Il pettorale è dilegno di cocco, al quale sono ap-plicate 5valve di Pinctada mar-garitifera. La frangia sottostan-te è formata da una serie di pez-zi di madreperla forati e colle-gati fra loro. La veste, la fusciac-ca e il mantello sono fatti di ta-pa (corteccia battuta). La de-corazione della veste è stata rea-lizzata applicando dischi di en-docarpo di drupa di cocco.

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levigare i manufatti di legno gli abitanti delle isole Ton-ga hanno costruito una lima fissando ad una impugna-tura di legno una pelle di Urogymnus asperrimus, unaspecie di razza chiamata anche “porcospino” per le du-re asperità presenti sulla sua pelle dorsale. Anche negli arcipelaghi della Micronesia si sono svi-luppate culture con caratteristiche simili, tuttavia que-ste isole risentono della vicinanza dell’Indonesia e del-le Filippine, dalle quali hanno assorbito alcune parti-colarità. Se in Polinesia l’arte scultorea del legno è la principaleforma di espressione artistica, in Micronesia sono i la-vori di intreccio a raggiungere notevoli livelli di qualitàtecnica e formale: ne sono un esempio le corazze di fi-bre di cocco intrecciate presenti nel settore “B” della ve-trina 4. Provenienti dalle isole Kingsmill e in uso an-che nelle Gilbert, proteggevano efficacemente i guer-rieri dai colpi delle armi nemiche, sostituendo gli scu-di, assenti in queste culture.L’Australia è il più grande Stato dell’Oceania ed è for-mato da una grande isola continentale, la Tasmania ealcune isole minori. Fino al xviii secolo è stata la terradegli Aborigeni, un popolo che la conquista dei bian-chi ha depredato e oppresso fisicamente e culturalmen-te. La loro vita era molto povera sul piano tecnologicoe economico, ma straordinariamente ricca su quello so-ciale, spirituale ed artistico. Gli oggetti esposti nelle vetrine 2 e 1 provengono prin-cipalmente dalle regioni nord-orientali (Northern Ter-ritory e Queensland), qualche esemplare anche dallezone meridionali (New South Wales e Victoria). Si han-no armi da offesa e da difesa: propulsori, clave, basto-ni, scudi e le famose armi da lancio chiamate boome-rang, strumenti di legno usati sia per la caccia sia per laguerra, che in caso di mancato bersaglio tornano ai pie-

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di del lanciatore grazie alle loro particolari proprietà ae-rodinamiche. Nella parte inferiore della vetrina 2 sonoesposte collane di cannucce, di madreperla e di fibrevegetali tinte con ocra, un pennacchio di piume di emùusato come ornamento per la capigliatura, alcune bor-sette di cordicella intrecciata e tinta con ocra e calce, duechuringa, strumenti musicali classificabili come “aerofo-ni liberi” che producono un suono sibilante se fatti ro-teare nell’aria. Il churinga è un oggetto sacro di antichis-sime origini che gli aborigeni australiani usano per sco-pi rituali, considerandolo un legame con gli antenati. La Melanesia comprende le isole della Nuova Guinea edella Nuova Caledonia, le Figi, Salomone, Vanuatu el’Arcipelago delle Bismark. Il nome “Melanesia” signifi-ca “isole dei neri” (dal greco !"#́$% = nero – e &'~()% =isola). Il mondo melanesiano è vasto e complesso, popo-lato da centinaia di tribù, talvolta con elementi cultura-li comuni nelle strutture economiche, sociali e religiose.La vetrina 7 contiene manufatti provenienti dalle iso-le Figi. In alto, mazze e clave da guerra in legno scolpi-to, decorate con finissime incisioni di tipo geometrico,collane di denti di cetaceo, rari esempi di ceramica in-

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Coprispalle di ossoe madreperla,isole Figi,Melanesia

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vetriata e, sul fondo della vetrina, due forchette di le-gno destinate al consumo di carne umana. Il canniba-lismo era strettamente circoscritto a occasioni cerimo-niali a carattere collettivo, come pure il consumo dellakawa, la bevanda inebriante ottenuta dalla fermenta-zione e spremitura della radice di Piper methysticum,per la preparazione della quale si usavano grandi reci-pienti di legno come quello esposto nella bacheca.Nella vetrina 8 si possono ammirare i manufatti delleisole Salomone e Santa Cruz. Un oggetto che incurio-sisce è un lungo nastro di fibre vegetali intrecciate, concentinaia di piccole piume rosse inserite nell’intreccioarrotolato a spirale ed esposto sulla parete sinistra del-la vetrina: si tratta dell’esemplare di un particolare ti-po di moneta, che gli abitanti delle isole utilizzavanoper transazioni importanti come i matrimoni o l’acqui-sto di canoe d’alto mare. Al centro si osservano pagaieda parata, ornamenti realizzati con la conchiglia di Tri-dacna gigas e scaglie di tartaruga finemente lavorate atraforo, collane di denti e di frammenti di conchiglia,eleganti lavori di intreccio che impreziosiscono pettini

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Vetrinacon manufattidelle isoleSalomone,Melanesia

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e ornamenti per la capigliatura. Nel settore destro del-la vetrina, diversi tipi di armi provenienti dall’arcipela-go delle Bismarck: clave, bastoni e lance di foggia di-versa, due delle quali hanno la punta in ossidiana, unmateriale usato fin dall’antichità in queste isole. Stessaprovenienza per le suggestive maschere-elmo della ve-trina 9, conosciute con il nome di Tatanúa. Sono con-nesse ai riti chiamati malanggan e rappresentano i de-funti che vengono commemorati in tali riti. Ciascunadi queste maschere rappresenta un oggetto unico, per-ché i modelli non vengono mai ripetuti.Ancora esemplari di armi e alcuni ornamenti delle iso-le melanesiane si osservano nei settori “E”, “F”, “G” e“H” della vetrina ottagonale centrale. Queste splendi-de collezioni sono giunte in Museo in modi e tempi di-versi. Le monumentali sculture maori furono acquista-te da Paolo Mantegazza dal collezionista Giuseppe Bel-lenghi nel 1871, molti reperti dell’Australia e delle iso-le melanesiane furono donate al Museo nei primi annidel ’900 da Arthur Scheidel, ingegnere tedesco che liaveva collezionati durante la sua prolungata permanen-za a Sidney, alcuni provengono dai viaggi di personag-gi come Otto Finsch, ornitologo, etnologo e pionieredel colonialismo tedesco, conservatore del Museo diStoria Naturale di Leiden, in Olanda, che viaggiò intutto il mondo e fu negli arcipelaghi melanesiani tra il1879 e il 1884. Anche Giovanni Podenzana, direttoredel Museo Etnografico di La Spezia, viaggiò in Austra-lia nel 1891-1892 e in Nuova Guinea nel 1896 e contri-buì alla crescita delle collezioni fiorentine come pureGiovanni Branchi, diplomatico toscano anch’egli a fi-ne ottocento in Nuova Guinea e isole Figi.

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Sala 14 - Nuova Guinea Le collezioni della Nuova Guinea provengono dai viag-gi di esploratori dell’800. Si ricordano in particolare ilbotanico fiorentino Odoardo Beccari, protagonista dimolte spedizioni e autore di una grande raccolta di re-perti naturalistici e etnografici e Luigi Maria D’Alber-tis, genovese, cugino del capitano di Marina Enrico Al-berto D’Albertis, con il quale condivise la passione peri viaggi e le Scienze Naturali. Furono i primi europei aviaggiare nelle zone interne della Nuova Guinea tra il1871 e il 1876 e scoprirono molte nuove specie animali evegetali, entrando in contatto con popolazioni fino adallora sconosciute agli europei. Altre raccolte si devonoa vari personaggi che viaggiarono in Nuova Guinea enelle isole circostanti, alcuni dei quali già ricordati a pro-posito delle raccolte provenienti dall’Australia e dalleisole Bismark, ai quali si aggiungono Lamberto Loria,etnologo appartenente alla scuola antropologica fioren-tina che si recò in Nuova Guinea due volte, nel 1889 enel 1891, e Ugo Biondi, artista e diplomatico fiorentino.

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Veduta dellasala 14:manufattidei popoli degliarcipelaghimelanesiani

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L’ambiente geografico neoguinea-no, frammentato in isole e reso im-pervio da imponenti catene mon-tuose, ha favorito l’isolamento deigruppi umani, conservandone trat-ti somatici e culturali. I Papua oc-cupano la maggior parte dell’isolae rappresentano i discendenti deipiù antichi abitanti, come le formepigmoidi che vivono nelle foresteinterne. Sono divisi in centinaia digruppi etnici diversi che presenta-no però tratti culturali comuni, co-me l’economia basata sulla coltiva-zione di tuberi, l’allevamento deimaiali, l’organizzazione sociale in

clan a carattere totemico, la residenza in villaggi econo-micamente autonomi. La parte nord-occidentale dell’i-sola e le isole vicine sono maggiormente influenzate dal-la cultura indonesiana, basata sull’agricoltura alla zap-pa di alcuni tuberi e palme, in particolare il cocco e ilsago, e caratterizzata dall’utilizzo del betel, sostanza psi-cotropa ottenuta mescolando foglie di pepe, frutti del-la palma Areca catechu e calce viva. Le zone costiere del-l’estremo sud-orientale dell’isola e gli arcipelaghi vicinifino alle Nuove Ebridi e alle Figi, sono abitate da popo-lazioni melanesiane che presentano, nei tratti somaticicome in quelli culturali, maggiori affinità con i popolidella Polinesia: l’adattamento alla vita sul mare, una eco-nomia basata sulla pesca e l’orticultura, una elevata stra-tificazione sociale, la diffusione del consumo della kawa,bevanda inebriante ottenuta dalla macerazione delle ra-dici della pianta del pepe.Nella vetrina 1 sono allineate lunghe lance di legno, l’ar-ma più diffusa nella regione interna e sulla costa nord-

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Tamburoa clessidra,Baia diHumboldt,Nuova Guinea

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orientale, e diversi tipi di frecce; appesi in alto due scu-di da arciere.Nella vetrina 2 tre scudi di legno con rivestimento difibre di Pandanus, provenienti dalla regione del Golfodi Papua. I due scudi a destra sono invece delle isoleTrobriand, uno di questi con un motivo ornamenta-le dipinto con pigmenti naturali, riconducibile a unasimbologia molto complessa di elementi mitologici esessuali. La rassegna di armi continua con le mazze daguerra, gli archi e i coltelli. Le popolazioni neogui-neane sono molto bellicose, motivo per cui viene de-dicata tanta cura nella preparazione delle armi, pro-dotte in grande quantità e finemente decorate: saràl’elemento artistico, che questi popoli associano allareligione e alla magia, a conferire all’arma un poteresuperiore.La vetrina 3 mostra vari utensili per la pesca, elementidi piroga decorati con sculture raffiguranti esseri uma-ni o animali stilizzati, accette costruite con basalto, dio-rite e conchiglia di Tridacna, utensili domestici comele spatole per mescolare la polenta di sago o i bastonidi legno per accendere il fuoco con il metodo della ro-tazione. A destra della vetrina si trovano gonnelline difibre vegetali indossate dalle donne, una grande sportalavorata a rete per il trasporto degli alimenti, alcuneborse e cestini che testimoniano la perizia di questi po-poli nell’arte dell’intreccio.La vetrina 4 è occupata quasi interamente da una sug-gestiva maschera da lutto, fatta di tapa (corteccia bat-tuta) e fibre vegetali, dipinta con ocra, nero-fumo e cal-ce. La forma stilizzata e appariscente del volto ha lo sco-po di rendere visibile il soprannaturale, che per i popo-li della Nuova Guinea, come per tutti i popoli di inte-resse etnologico, è insito in tutte le cose terrene e si ma-nifesta nel momento del passaggio dalla vita alla mor-

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te. In basso, si trovano due pagaieda danza e una “tavoletta di ante-nato”, proveniente dal Golfo di Pa-pua. Un oggetto simile è appesosul lato sinistro della vetrina 5. Letavole scolpite e dipinte sono con-siderate portatrici dello spirito deidefunti e per questo sono oggettodi culto. In alto, una serie di tavo-lette di legno intagliato e dipintocon due sporgenze laterali: si trat-ta di ganci per sospendere oggettidiversi all’interno delle capanne,per difenderli dagli attacchi dei to-pi. Più in basso nella vetrina, sta-tue di legno decorate con incisio-ni e pigmenti naturali. Se ne di-

stinguono due tipi diversi per stile scultoreo e decora-tivo, oltre che per significato funzionale: le prime pro-vengono dal distretto di Massim, all’estremo orientaledell’isola e sono amuleti per le abitazioni, le altre, nelripiano più in basso, sono chiamate korvar e provengo-no dall’area della Baia di Geelvink (costa nord-occiden-tale dell’isola). Realizzate in occasione di un decesso, era-no considerate portatrici dello spirito del defunto. Inentrambi i casi, l’intenzione è quella di riprodurre glispiriti degli antenati e perpetuare nel tempo le lorovirtù. Sui ripiani inferiori si hanno poggiatesta, scultu-re zoomorfe con significato totemico, asce cerimonia-li con lame di basalto perfettamente levigate e un cra-nio umano della regione del Sepik, trattato con creta eresine vegetali, decorato con pigmenti naturali, che ri-produce le fattezze del defunto. Nel naso è infilato unbastoncino ricavato dalla conchiglia di Tridacna, com’ècostume tra i viventi.

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Mascherakorvar,Nuova Guinea

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Nella vetrina 6 troviamo una serie di crani-trofeo. I mo-tivi che sostenevano la caccia alle teste in Nuova Gui-nea erano molteplici: vendicarsi ed umiliare il nemico,acquisire prestigio sociale e influenza nei consigli triba-li, impadronirsi del mana (lo spirito, la virtù) del guer-riero ucciso. Una volta tagliata la testa della vittima,questa subiva una lunga preparazione, durante la qua-le veniva liberata dai tessuti molli e i crani messi a nu-do erano in seguito decorati con incisioni e pitture. Inalto nella vetrina sono esposte armi particolari chiama-te “acchiappauomini”. Sono composte da un cappio ri-gido e una lancia appuntita: il cappio viene passato in-torno al collo del nemico in fuga per arrestarne la cor-sa, mentre la punta aguzza gli perfora la nuca, ucciden-dolo. L’esemplare più piccolo serviva per far esercitarei bambini.A segnare la continuità culturale tra la Nuova Guineae le altre isole della Melanesia, al centro della sala tro-neggia un’imponente canoa dei cacciatori di teste del-le isole Salomone. All’interno della vetrina centrale de-cine di manufatti: spatole di ebano per la preparazionedel betel, vari tipi di ornamenti come cinture, collane,diademi e pettorali d’onore, braccialetti, orecchini e ba-stoncelli foranaso, pettini di legno, osso e bambù, or-namenti di penne di casuario e di pappagallo.

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Cinture e collanedi fibre vegetalie conchiglie,Nuova Guinea

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Sala 15 - Africa subsaharianaLa porzione del continente africano che si trova a suddel deserto del Sahara è un immenso territorio grandequasi tre volte l’area dell’Europa, dove si incontrano de-cine di diversi ecosistemi, dai deserti alle catene mon-tuose, dalle savane alle foreste tropicali, dagli altopia-ni alle isole coralline. Il popolamento di questa gran-de area geografica è avvenuto in tempi preistorici, inseguito all’inaridimento della regione sahariana, ferti-le e abitata fino al neolitico. L’avanzamento del deser-to spinse le popolazioni bantu a colonizzare le aree in-terne, cosa che avvenne con successo vista la perizia diqueste popolazioni nell’agricoltura e nella metallurgia.Diversi gruppi bantu si insediarono in regioni doveesistevano popolazioni autoctone, assimilandole o ve-nendone assimilati e dando quindi origine a una va-rietà di culture che può in parte essere apprezzata at-traverso le collezioni esposte.

La presenza in Museo di questeraccolte è dovuta alla generositàdi alcuni italiani, in particolaremedici e militari, che operarononelle strutture che i belgi in Con-go, gli inglesi in Uganda, i fran-cesi in Africa occidentale aveva-no insediate in quelle che all’e-poca erano colonie e protettora-ti. Fra questi, il medico Aldo Ca-stellani soggiornò tra Kenya edUganda in qualità di membro diuna commissione scientifica chestudiava le malattie tropicali edonò la sua collezione di ogget-ti al Museo all’inizio del ’900.Nello stesso periodo, giunsero in

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Sala 15,vetrina 6:strumentimusicalidell’Africacentrale

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Museo anche le raccolte congolesi di Federico Proven-zal, ispettore forestale, e di Ernesto Brissoni, al serviziodell’amministrazione del territorio. Lorenzo Poggioli-ni raccolse gli oggetti dell’Africa occidentale durante lasua permanenza in Nigeria al servizio del governatore.La collezione dell’Alto Nilo, esposta nella vetrina 4, sideve a Carlo Piaggia, esploratore originario della pro-vincia di Lucca, che nel 1856-1857 compì il suo primoviaggio lungo il corso del Nilo e in seguito, nel 1860,accompagnò Orazio Antinori nel viaggio lungo il ba-cino di Bahr el Ghazal, nel Sudan meridionale. Moltidegli oggetti esposti nella vetrina 1, provenienti dalleregioni più meridionali del continente africano (Zulu-land, Zambia e Zimbabwe) si devono ai viaggi di LidioCipriani avvenuti tra il 1927 e il 1930.Nella vetrina 3 si hanno bellissimi esempi di tessitura eintreccio di alcune etnie bantu, in particolare alcunitessuti di fibre vegetali usati come indumenti femmi-nili e due copri-glutei delle donne Mangbetu. Anchein Africa viene prodotta la tapa e utilizzata nell’abbiglia-mento, nella vetrina tre grandi pezze arrotolate mostra-no come la qualità sia molto inferiore di quella prodot-ta in Polinesia. Oltre agli elementi di abbigliamento, trai quali alcuni cappelli di paglia di ottima manifattura,la vetrina mostra altri oggetti di uso quotidiano comeborse e bisacce, pettini di legno, canestri e stuoie.Nella vetrina 4 la raccolta di Carlo Piaggia, provenien-te dalle regioni dell’Alto Nilo e relativa al popolo Zan-de (o Azande), mostra molte armi, lance, archi, faretrecon frecce, coltelli da getto tra cui un “multipunte”, ar-ma micidiale diffusa in tutta l’area bantu, che veniva lan-ciata contro le gambe del nemico. Sul ripiano inferio-re della vetrina oggetti di legno vagamente zoomorfi:sedili con un braccio allungato e un alloggiamento con-cavo nel quale veniva appoggiato il fornello delle pesan-

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ti pipe esposte accanto. Sul ripiano a destra della vetri-na troviamo bracciali d’avorio e di ferro, ornamenti di-versi ed una serie di clave, alcune delle quali in legnod’ebano.La vetrina 5 espone alcuni manufatti masai del Kenya,tra i quali spicca il grande scudo in pelle di bufalo, conle tipiche decorazioni in rosso e nero. Molti oggetti ap-partengono a etnie dell’Uganda, come i Nyoro, i Wake-di e i Ganda, fabbricatori delle tipiche zappe con taglien-te cuoriforme, delle accette, delle terrecotte nere, degliscudi di fibre vegetali, delle lire e dei tamburi e puredella grande pezza di tapa decorata, arrotolata sul latodestro della vetrina.La vetrina 6 offre un suggestivo panorama degli stru-menti musicali dell’Africa centrale: in alto un balafon,xilofono composto da 10 tasti di legno fissati su una ta-vola rettangolare, a ogni tasto corrisponde un risuona-tore di zucca. Al di sotto del balafon si notano alcuni

cordofoni più o meno complessi: ce-tre su bastone, un esemplare di plu-riarco, le belle arpe dei Mangbetucon il manico antropomorfo, cetrea tavola e idiofoni come campane,sonagli, crepitacoli, raschiatoi, san-ze. Nelle società africane la musicaè un elemento indispensabile dellaritualità e religiosità e gli strumentinon sono soltanto degli utensili perprodurre musica, ma veicoli per co-municare con il divino, per evocaregli spiriti e gli antenati.Nella porzione inferiore sinistra del-la vetrina 1 le “cinture da danza”, do-tate di sonagli metallici o crepitaco-li di zucca, che risuonano segnando

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Sala 15,vetrina centrale:armi dei Bantu

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il ritmo durante le danze. La parte superiore della ve-trina 1 ospita oggetti provenienti dalle culture bantumeridionali degli Zulu e dei Rotse: ornamenti ed ac-cessori dell’abbigliamento decorati con perline di vetrodai colori sgargianti, ceramiche invetriate, piccoli con-tenitori per il tabacco, poggiatesta zoomorfi ed un gran-de scudo di pelle di bufalo.Davanti alla finestra una piccola bacheca offre un cam-pionario di medicine tradizionali e di rimedi controavversità di varia natura: radici, foglie, cortecce ed er-be ma anche talismani di perle di vetro e corni di gaz-zella per combattere non solo le malattie del corpo, maanche la cattiva sorte, il “malocchio” e la ferocia deileoni.Nella vetrina 2 sono esposti i pochi reperti dell’Africaoccidentale presenti in Museo, dov’è maggiormenterappresentato il popolo Haussa della Nigeria. Il gran-de boubou (tunica) di cotone con sprone ricamato co-me pure i sandali di cuoio appartennero a personaggidi alto rango; questi ultimi furono di un fabbro, per-sonaggio che in molte culture dell’Africa occidentaledetiene un ruolo particolare. La maschera-elmo di le-gno appartiene invece all’etnia degli Ekoi, abitante ai

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Poggiatestadei Luba,Africa centrale

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confini con il Camerun,conosciuta per l’arte scul-torea caratterizzata da unforte realismo. Tra i brac-cialetti d’avorio e di me-tallo, i pugnali e le frecceed i vari oggetti di usoquotidiano esposti anchenel settore inferiore dellavetrina, si nota un repertoche incuriosisce: è una te-sta di uccello ricoperta dipelle e decorata con semirossi di Abrus. Serviva aicacciatori Kanu della Ni-

geria settentrionale, che lo indossavano legandolo allatesta, per mimetizzarsi ed avere più facilità nell’avvici-nare le prede.Il panorama delle culture dell’Africa subsahariana cul-mina nella vetrina centrale della sala 15, dove si trova-no bellissimi esemplari dell’arte metallurgica bantu, chesi esprime soprattutto nella fabbricazione di armi di va-rie fogge e dimensioni. La vetrina centrale espone an-che alcuni interessanti esemplari dell’arte scultorea lu-ba, come le statuette d’avorio e il poggiatesta attribui-to ad un maestro scultore luba di Kinkondja (Repub-blica Democratica del Congo) che gli specialisti han-no chiamato “maestro delle capigliature a cascata”. Ap-partiene invece all’etnia Lobala il bellissimo tamburo afessura scolpito in un unico pezzo di legno, che venivautilizzato per i richiami a distanza.Nella bacheca è esposta la kabila, scultura lignea lubache rappresenta uno spirito tutelare femminile depu-tato alla protezione delle puerpere.

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Kabila,spirito tutelarefemminiledei Luba,RepubblicaDemocraticadel Congo

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Sala 16 - La foresta dell’Ituri e il desertodel KalahariNella sala 16 sono raccolte le testimonianze di culturesuperstiti dei popoli cacciatori-raccoglitori, vale a diredella più antica economia di sopravvivenza sperimen-tata dalla specie umana. La foresta dell’Ituri costituiscel’estremità orientale della foresta tropicale del bacino delCongo che, con i suoi 172 milioni di ettari di estensio-ne, è di importanza vitale per la preservazione dell’eco-sistema del pianeta, insieme alle foreste dell’Amazzo-nia e dell’area indonesiana. Ancora oggi nella foresta dell’Ituri vive il popolo Mbu-ti, nome con il quale si identificano tre tribù (gli Aka,i Sua e gli Efe) a noi meglio note con il nome, deriva-to dalla loro bassa statura, di Pigmei. Gli Mbuti vivo-no in gruppi formati da 15 a 30 adulti, in accampamen-ti di capanne “ad alveare” formate da una armatura dirami flessibili piegati ad arco e ricoperti con larghe fo-glie di Phrynium, che spostano più volte l’anno nell’a-rea della foresta. Ricavano il cibocacciando gli animali selvatici pre-senti nel loro territorio e raccoglien-do piante ed arbusti. I manufatti esposti nella vetrina 3sono il semplice corredo di questavita nella foresta: gli archi e le frec-ce, il perizoma di tapa (corteccia bat-tuta) e di foglie, unico indumentoindossato, la borsetta di fibre vege-tali intrecciate per la raccolta di frut-ti e piccoli animali. Gli Mbuti, chenon fabbricano oggetti in metallo,hanno ottenuto le lame di lance ecoltelli e le punte di frecce in ferrodai Bantu che vivono ai margini del-

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Sala 16,vetrina 2:manufatti deiBoscimani delKalahari

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la foresta, offrendo loro in cambio i pro-dotti della caccia.La sala 16 ospita inoltre manufatti pro-dotti da un altro gruppo umano che ma-nifesta uno straordinario adattamentobiologico e culturale all’ambiente estre-mo in cui vive: i Boscimani del Kalaha-ri. Il Kalahari è una vasta distesa sabbio-sa che comprende gli stati del Botswa-na, della Namibia, del Sudafrica e delloZimbabwe, dove la sopravvivenza è con-dizionata dal clima molto caldo e secco.I Boscimani, che sono gli abitanti piùantichi dell’Africa australe dove vivonoda più di 20.000 anni, hanno sviluppa-

to caratteristiche biologiche specifiche per la sopravvi-venza nel deserto, la più vistosa delle quali è la steato-pigia, termine che indica un accumulo del grasso sot-tocutaneo nella regione dei glutei con accentuazionedella lordosi lombare. La vetrina 2 mostra i manufatti di questo popolo: ele-menti di abbigliamento in pelle e ornamenti realizzaticon i gusci di uova di struzzo, cinture-sonaglio fatte congusci di larve di lepidottero, indossate per accompa-gnare le danze durante i riti di iniziazione puberale, unapipa ricavata dal corno di un’antilope ed alcuni ogget-ti legati alle credenze religiose: legnetti cuneiformi, stru-menti per la divinazione, un amuleto propiziatorio del-la caccia fatto con il carapace di una tartaruga, alcunicampioni di frutti e bacche alla base della dieta. Sul la-to destro si hanno faretre, archi e frecce con punta mo-bile di osso, che i Boscimani usano avvelenare con lalinfa di euforbia per narcotizzare l’animale. Infine, dueesempi di petroglifi, la loro principale forma di arte dicui sono ricchi i siti archeologici della Namibia.

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Amuleto deiBoscimanidel Kalahari

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Le raccolta degli oggetti dei Boscimani e dei Pigmei, ef-fettuata da Lidio Cipriani durante i suoi viaggi in Afri-ca (1927-1930), rappresenta una preziosa testimonian-za di quelle culture, basate sulla profonda conoscenzadell’ambiente naturale, oggi purtroppo in estinzione.

Sala 16a - Popoli della SomaliaLe raccolte etnografiche della Somalia si devono a trespedizioni scientifiche avvenute nel 1913, nel 1924 e nel1935, che videro protagonista Nello Puccioni il quale,per la sua assidua, approfondita e proficua dedizione al-lo studio dell’antropologia e dell’etnologia della Soma-lia, si guadagnò il riconoscimento di specialista del set-tore e la carica di direttore del Museo dal 1931 al 1937. La sala 16a raccoglie gli oggetti prodotti dalle culturedella Somalia. Il sud-ovest del Paese, dove si incontra-no i due fiumi principali, il Giuba e l’Uebi Scebeli, haun’importanza particolare da un punto di vista dellageografia umana, dal momento che lungo i loro corsi sisono insediati gruppi di origine bantu. La popolazionedella Somalia è formata da diversi gruppi etnici, concontatti e influenze culturali reciproche che però, alme-no fino all’epoca delle raccolte etnografiche qui presen-ti (1935), difficilmente si assimilavano le une nelle altre,in quanto la struttura sociale, basata su un sistema ge-rarchico di caste, ne ostacolava la commistione attraver-so gli scambi matrimoniali. Questi numerosi gruppipossono essere ricondotti a due unità principali: i So-mali, che popolavano i territori della Somalia settentrio-nale già 5.000 anni prima di Cristo e che, islamizzati trail vii ed il xiii secolo, si spinsero nelle regioni meridio-nali del Paese e i Bantu, cacciatori, pescatori ed agricol-tori stanziali o seminomadi, concentrati nelle valli flu-viali ricche di foreste, selvaggina e terreni fertili.

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La cultura materiale di questi ulti-mi è in parte rappresentata daglioggetti esposti nella vetrina 1: ma-schere maschili e femminili – dizucca o di legno, con denti di me-tallo o di conchiglia, capelli di fi-bra vegetale e baffi di crine – in-dossate durante le danze rituali, di-versi ornamenti portati da donnee uomini. Interessanti gli strumen-ti musicali, il grande tamburo a ca-lice, la tromba ed il piccolo tam-buro a barile, la lunga cavigliera,formata da 132 crepitacoli di fogliedi palma riempite di semi, indos-

sata come mostra la foto a sinistra della vetrina, per se-gnare il ritmo durante le danze. Da notare è l’oboe dilegno realizzato in 4 pezzi ad incastro, con rinforzi difilo di rame. Le piccole sculture in legno e le terrecot-te testimoniano un’attività artigianale a scopo commer-ciale.Nella vetrina 2 sono esposti i manufatti prodotti daigruppi di pastori somali: armi da offesa e da difesa, tracui il caratteristico piccolo scudo rotondo in pelle diippopotamo, appartenenti a diverse tribù del gruppodei somali nobili Hawiya, antichi cucchiai artistica-mente scolpiti, provenienti dal nord della Somalia, unportavivande in fibre vegetali intrecciate completamen-te ricoperto da una fitta decorazione di perline, ulte-riormente impreziosita da conchiglie di Cypraea. Sihanno poi diversi tipi di ornamenti: un pendaglio incuoio con perle di vetro per le acconciature femmini-li, che viene indossato dalle donne come mostra la fo-to, braccialetti di ferro, collane-amuleto e pettini di le-gno. Da notare il poggiatesta matrimoniale dei Raha-

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Sala 16a:capanna deipastori nomadidella Somalia

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nuin, gruppo di somali considerati di “bassa casta” perla loro propensione al lavoro agricolo ed alla frequen-tazione dei Bantu. Il poggiatesta è molto diffuso tra lepopolazioni melanoderme, che lo usano per preserva-re la foggia delle loro complicate acconciature. L’atti-vità agricola che il gruppo dei somali Rahanuin eser-cita accanto alla pastorizia nomade è testimoniata daquesti due rudimentali attrezzi agricoli: un’ascia per di-sboscare aree di terreno e una piccola zappa per la se-mina. Tipici dei pastori nomadi sono invece gli ogget-ti a corredo della cavalcatura del cammello: due staffedi legno per fissare le stuoie sul dorso dell’animale, uncampanaccio da appendergli al collo, una collana di se-mi con la quale si usava ornare le femmine dei cammel-li o delle vacche, lo sgabello di legno con sedile di pel-le ed il recipiente usato per abbeverare i cammelli. Sul fondo di entrambe le vetrine sono appesi modellifacciali in gesso ripresi sul vivente, con lo scopo di stu-diare le variazioni delle caratteristi-che morfologiche del volto nei di-versi gruppi umani. Al centro della sala, la capanna deiGalgial, tribù nomade del gruppoHawiya, costituita da una intelaia-tura di legni ricurvi, legati insiemecon grosse corde e ricoperti dastuoie di fibre vegetali. Fu raccoltaa Bugda Acable, Somalia centro-meridionale, insieme alle suppellet-tili di corredo: stuoie e pelli di Oryxper dormire, recipienti in cuoio, le-gno e vimini per il trasporto di ali-menti.

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Portavivandedecorato conperlinee conchiglie,Somalia

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Sala 17a - I Dervisci contro l’occupazioneitaliana in EritreaLa quasi totalità dei reperti esposti in questa sala pro-viene dal campo di battaglia di Agordat (battaglia del1893), al confine tra Eritrea e Sudan. Al termine dellacruenta battaglia, Peleo Bacci, ex Commissario civile delGoverno italiano a Keren, raccolse ciò che rimaneva sulterreno. Molti deglioggetti, come la ban-diera da combatti-mento, le cotte, le ar-mi e le armature, l’e-quipaggiamento delcavaliere, appartengo-no ai Dervisci, gentimusulmane che in va-rie occasioni organiz-zarono incursioni adifesa del confine eri-treo contro l’occupa-zione italiana.

Sale 17 e 18 - Eritrea ed Etiopia Le sale 17 e 18 ospitano collezioni provenienti dall’Eritreae Etiopia, in gran parte frutto di una spedizione gover-nativa effettuata nel 1905-1906, denominata “MissioneEritrea”. Alla spedizione, sussidiata dal Ministero dellaPubblica Istruzione del tempo, parteciparono l’antropo-logo Aldobrandino Mochi, l’etnologo Lamberto Loria,il geologo Giotto Dainelli e il geografo Olinto Marinel-li. Scopo della missione era la ricerca sul campo su usi ecostumi delle popolazioni Saho, pastori musulmani no-madi dell’altopiano dell’Assaorta, oltre a delineare le map-pe etniche, geografiche e geologiche dell’intero territo-

Equipaggiamentodei cavalieriDervisci, Sudan

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rio. La ricca collezione portata a Firenze assume dunqueun particolare valore museografico, poiché rappresentaun esempio di raccolta realizzata per essere esposta. Gli oggetti relativi ai Galla-Oromo, altra popolazioneetiopica, sono stati raccolti da Vittorio Bòttego intor-no agli anni 1890 e, in anni più recenti, 1927-1928, daEnrico Cerulli, governatore in Etiopia. Altre raccolte fu-rono effettuate nel 1902-1903 da Ferdinando Martini,all’epoca Governatore dell’Eritrea, e dal suo segretarioPeleo Bacci.Le vetrine 1 e 3 della sala 17 ospitano oggetti dei Galla-Oromo. Nella vetrina 1 una maschera di pelle di scim-mia e alcuni oggetti cerimoniali usati durante i riti dipassaggio di status sociale. Nella vetrina 3 ancora ogget-ti Oromo, in particolare armi a lama, monili. La vetrina 2 è dedicata ai Danachil (Afar dell’Etiopianord-orientale), con le tipiche armi a lama ricurva, brac-ciali a pugnale, scudi rotondi, insieme ad altri oggettiquali bracciali e sandali.

148museo di storia naturale

Vedutadella sala 17:manufattidei popoliSahodell’Assaorta,Eritrea

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Le vetrine 4, 5 e 6 ospitano manufatti appartenenti aiSaho. Nella vetrina 4 alcune pelli di animali conciate,usate per farne otri e ghirbe per il trasporto dell’acqua,a destra una serie di poggiatesta. In basso, il giabanat,bricco per servire il caffè poggiato su un incavo del le-gno per mantenerne il calore, oltre a posate e suppel-lettili in legno, contenitori in legno e terracotta, vassoi,stoviglie, recipienti per il latte ornati di cipree. Lo stiledi vita dei Saho, essenzialmente nomade, impone lafabbricazione di oggetti leggeri, facilmente trasporta-bili e resistenti agli urti. La vetrina 6 contiene alcune lance e attrezzi per l’agri-coltura. Sulla destra amuleti e strumenti per la scarifi-cazione, pratica che prevede la produzione di tagli nel-la pelle che cicatrizzandosi formano disegni in rilievo. Nella vetrina 6 oggetti di uso comune dei popoli Bariae Cunama (Eritrea occidentale): un bilanciere per il tra-sporto dell’acqua composto da un bastone e due con-tenitori di fibra vegetale resi quasi impermeabili da unafitta intrecciatura avvolta a spirale. Seguono alcuni og-getti dei Beni Amer (Eritrea nord-occidentale), tra cui

149antropologia e etnologia

Pitturaa soggetto sacro,Amhara, Eritrea

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uno strumento musicale a corde e alcune armi, mentreil velo facciale è dei Rasciaida, gruppo arabo stabilito-si nella costa eritrea. Seguono suppellettili e oggetti diuso comune dei Bogos (Bileni a nord di Keren). La vetrina centrale contiene un grande tappeto di pel-le di capra, usato anche come divisorio delle case as-saortine. In basso borse di cuoio ornate di cipree, col-lane, bracciali, fasce frontali e monili delle donne saho,realizzate con l’uso di perline.La sala 18 è dedicata alle popolazioni etiopiche di lin-gua amhara, che all’epoca della Missione Eritrea eranochiamate anche “abissini”. Nelle vetrine a tavolo 1, 2 e3 sono mostrati rispettivamente monili in argento del-le classi sociali più elevate, monili di perle di vetro diquelle meno abbienti e infine bracciali, rasoi, conteni-tori per l’henné. Nella vetrina centrale i finimenti per la bardatura delcavallo, in stoffa e cuoio. Vi sono poi alcuni strumen-ti musicali, a corda e a percussione, in legno e pelle, ar-mi e scudi rotondi. Nella vetrina 5 una serie di vasi, vassoi e contenitori difibre vegetali intrecciate, alcuni panetti di sale, prezio-

150museo di storia naturale

Servizio dacaffè dei Saho,Etiopia

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sissimo in queste zone tanto da essere usato come mo-neta di scambio. Alcuni strumenti rudimentali usati inagricoltura indicano una pratica agricola modesta, vi-sto la scarsa fertilità del suolo roccioso. Sopra la vetri-na un aratro, detto “a chiodo”, che molto semplicemen-te ha la funzione di scavare solchi sul terreno. La vetrina 6 è occupata da armi da parata, sciabole e scu-di di dignitari abissini, in pelle e con bordature d’argen-to. A destra i paramenti sacri del sacerdote abissino, cri-stiano di pratica copta, insieme a incensieri e parti diVangelo in pergamena. Nella parte inferiore gli attrez-zi del fabbro: il mantice per attizzare il fuoco e gli stam-pi in cui colare il metallo fuso.

151antropologia e etnologia

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Oltre l’esposizione! Collezione antropologicaA disposizione di studiosi e visitato-ri, solo su appuntamento, la cranio-teca e l’osteoteca del Museo. Sonoconservati oltre 5000 reperti ossei,provenienti da tutto il mondo. Il ma-teriale, raccolto fin dalla fondazionedel Museo, doveva servire, per desi-derio di Mantegazza, a documenta-re le differenze somatiche fra i popo-li e fra gli individui. Si tratta di sche-letri completi e soprattutto di crani,oltre a una piccola collezione di tipo-logie psicologiche “Lombrosiane” euna collezione di crani di primati.Sono presenti inoltre alcuni repertianatomici e capelli.

! GipsotecaNella gipsoteca del Museo sono con-servate circa 600 maschere facciali ingesso. Questa collezione documen-ta un metodo di rappresentazione deicaratteri somatici che gli antropolo-gi adottarono nel periodo compresotra la seconda metà del xix e i primianni del xx secolo. Oltre alle masche-re sono presenti alcuni busti, calchicranici e calchi di primati.

! Archivio fotograficoIl Museo conserva un nucleo anticodi circa 25.000 immagini fotografi-che, raccolte a partire dalla fondazio-

ne nel 1869. La parte più cospicua èrelativa alla documentazione dei ti-pi umani. Le immagini provengonoin gran parte da missioni in paesi ex-traeuropei. Al nucleo storico si sonoaggiunte nel tempo altre 10.000 im-magini, in anni più recenti.

! Museo IndianoIl Museo Indiano fu fondato dall’o-rientalista Angelo De Gubernatis(1840-1913) nel 1886 a Firenze, nei lo-cali dell’allora Regio Istituto di StudiSuperiori, che nel 1924 sarebbe diven-tato Università degli Studi di Firenze.Le collezioni che diedero vita al Mu-seo Indiano erano state messe insiemeda De Gubernatis, che aveva effettua-

152museo di storia naturale

Archivio fotografico: Algeria, stampa all’al-bumina

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to un viaggio di studio in India, conl’intento di analizzarne le culture, i ri-ti, le tradizioni, le religioni. Nel 1890De Gubernatis ottenne l’insegnamen-to di sanscrito a Roma e Mantegazzaprese volentieri in custodia il Museoe anzi lo arricchì del materiale raccol-to durante un suo viaggio di studiodel 1881-1882. Sono presenti oltre 2500oggetti, di cui un quinto circa provie-ne dalla collezione Mantegazza, oltrea piccoli fondi di collezionisti, comeTyrrel Leith (1883) presidente della So-cietà Antropologica di Bombay chedonò alcuni utensili sacri dei brahmi-ni, il Raja Sourindro Mohun Tagoredi Calcutta (1884), Elio Modigliani(1887), Borg de Balzan (1889), lo stu-dioso indo-portoghese Gerson da Cu-na di Bombay. Tra i reperti più significativi sono daricordare una serie di bronzi di signi-ficato religioso, alcune formelle in avo-rio con scene a sfondo erotico prove-nienti dal trono di Tanjore, sculture eframmenti architettonici di templi,una testa di Buddha in pietra risalen-te al vi secolo, giochi, ritratti commis-sionati da De Gubernatis raffigurantii benefattori del Museo, ceramiche,stoffe e tessuti provenienti dal Kash-mir. Tra gli oggetti della collezioneMantegazza sono da ricordare i gioiel-li dei Toda e le sculture Lepcka. Ad in-crementare le collezioni indiane si èaggiunta la raccolta di Gastone Uguc-

cioni, donata nel 1999. Il Museo India-no è alloggiato al pianterreno, visita-bile solo su appuntamento.

! TibetLa collezione di oggetti tibetani pro-viene da una spedizione scientifica ef-fettuata da Filippo De Filippi, nel1913-1914. De Filippi era un medicofisiologo (1869-1938) che, con la “Spe-dizione Italiana De Filippi”, alla qua-le parteciparono fra gli altri ancheGiotto Dainelli e Olinto Marinelli,si spinse fino ai ghiacciai di Hima-

153antropologia e etnologia

Statuetta di Krishna in legno e stucco, Indiameridionale

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laya e Karakorum, visi-tando e studiando lepopolazioni delle pro-vince del Baltistan e La-dakh, ai piedi delle ca-tene montuose. In par-ticolare egli studiò i ca-ratteri fisici e culturalidei Ladakh, con riferi-mento a oggetti usatidurante i riti religiosi.Tra gli oggetti liturgiciun grembiule cerimo-niale ottenuto conframmenti di ossaumane forate, un pu-gnale trilame per in-chiodare simbolica-mente il malvagio,tamburi ricavati da calotte cranicheumane, le bellissime tangka, stendar-di di seta preziosa con raffigurate ledivinità del pantheon lamaista, ap-pese alle pareti e ai pilastri dei tem-pli, il libro di preghiere. La raccoltafu donata al Museo dalla nipote Ed-mea De Filippi nel 1952. La sezionerelativa al Tibet è alloggiata al pian-terreno, visitabile solo su appunta-mento

! I Kalash del PakistanLa collezione relativa ai Kalash (o Ka-firi) proviene da due viaggi di PaoloGraziosi, il primo nel 1955 e l’altronel 1960. Paolo Graziosi (1906-1988)

era antropologo, pa-leontologo, docente al-l’Università di Firenzee per un lungo periododirettore del Museo, alquale donò la collezio-ne nel 1980. Gli ogget-ti provengono dal Chi-tral (nord-ovest delPakistan) e sono relati-vi alla valle di Rumbure del Birir. Un altro pic-colo corpo della colle-zione proviene dalladonazione Morandi(1970) relativa a pochimateriali kafiri raccol-ti durante una missio-ne di studio del ’69 nel-

le valli del Chitral. Un terzo corpoproviene dalla donazione e in parteacquisizione, avvenute poco alla vol-ta dal 1979 al 1988, di oggetti kafiriraccolti da Gabriele Romiti duranteil suo soggiorno in Nuristan (Afgha-nistan) nel 1978. Tra gli oggetti da ricordare, la gran-de e scenografica statua equestre dilegno, le statue funebri ad altezza na-turale raffiguranti uomini armati adifesa delle sepolture. Inoltre le sup-pellettili, in legno e finemente inta-gliate, nonché particolari architetto-nici come travi e architravi, con figu-re scolpite. La raccolta è visitabile so-lo su appuntamento.

154museo di storia naturale

Statua equestre dei Kalash,regione del Chitral,Pakistan

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Sezione di Botanica

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157

L ’illustrazione delle collezioni botaniche del Museodi Storia Naturale non può che prendere spunto

dalla figura di Filippo Parlatore (1816-1877), il vero ar-tefice della Sezione Botanica. Fu con il suo arrivo a Fi-renze per ricoprire la Cattedra di Botanica e Fisiolo-gia vegetale e dirigere l’Erbario Centrale Italiano, nel1842, che ebbero inizio l’epoca d’oro delle collezionivegetali che assunsero ben presto dimensioni impo-nenti. La scomparsa di Parlatore, negli anni in cuiprendeva forma il R. Istituto di Studi Superiori, fu se-guita da momenti di crisi e di stasi per questo settoredel Museo e, sotto la direzione di Teodoro Caruel, ini-ziò il trasloco delle collezioni botaniche da Via Roma-na alla sede attuale. Il trasferimento, molto contrasta-to, si protrasse almeno fino al 1905 durante le direzio-ni di Oreste Mattirolo e Pasquale Baccarini, prima ditrovare una sistemazione stabile nei nuovi locali. Gra-zie proprio a Baccarini sappiamo che, nel 1914, gli er-bari occupavano il primo piano dell’edificio, mentretutte le altre collezioni, da quelle ancillari, ai prodot-ti vegetali, ai modelli, il secondo piano. Tra gli erbari,a differenza di oggi, le grandi collezioni, come quelledi Chabert, di Biondi-Giraldi (importantissima perl’estremo Oriente) e di Levier (fondamentale per lacrittogamia), erano tenute separate dalla collezionegenerale.Con il loro continuo e costante incremento di questecollezioni, gli spazi dedicati all’ostensione ed alla didat-

Cenni storici e introduttivi

PieroCuccuini

Chiara Nepi

Vedutadella saladell’ErbarioCentraleItaliano

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tica, persero a poco a poco la lo-ro importanza, fin quasi a scom-parire. Le collezioni divennerosolo strumenti per la ricercascientifica, a scapito dell’aspet-to educativo, così importantenella sede originaria. In pratica,complici anche le vicende am-ministrative della neonata Uni-versità, che videro il passaggiodegli erbari e di tutte le colle-zioni collegate sotto la gestionedell’allora Istituto Botanico, l’a-spetto museologico venne ab-bandonato. Collezioni impor-tantissime dal punto di vistastorico-artistico come le cere, adesempio, vennero relegate in ar-madi non visibili, mentre i di-pinti di natura morta furono collocati nelle sale deglierbari, sopra i grandi armadi degli exsiccata. Anche icosiddetti “prodotti vegetali” a cui Filippo Parlatoreaveva dedicato pagine e pagine nella sua descrizionedelle collezioni botaniche del vecchio Museo di Via Ro-mana, illustrandone la provenienza geografica e le par-ticolarità, rimasero come semplice collezione ancillaredi quella principale: gli erbari. Questi ultimi, al con-trario, assunsero sempre più importanza per la ricercascientifica, con l’adesione ai grandi progetti a livellonazionale inerenti sia la flora sia la vegetazione italianee mediterranee. Fu solo negli anni ’60 del Novecentoche si cercò di ricavare di nuovo uno spazio per l’osten-sione e la didattica, con l’allestimento di una sala delsecondo piano che permise di riaprire al pubblico laSezione Botanica, allora chiamata Museo Botanico.

158museo di storia naturale

Filippo Parlatore, busto in marmo

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Alle scolaresche e ai gruppi di appassionati veniva illu-strata la storia degli erbari, grazie alla presenza di pre-ziosissime collezioni, oppure la scoperta delle nuovespecie vegetali, attraverso i reperti riportati dai grandiviaggi di esplorazione. Anche collezioni più neglette,come quella importantissima dei fossili o dei prodottiricavati dalle piante, con questa sistemazione assunse-ro di nuovo un ruolo non solo scientifico, ma anche di-vulgativo. Purtroppo, negli ultimi anni le esigenze sem-pre più pressanti di spazi per le collezioni e il dovero-so adeguamento alle norme di sicurezza hanno fatto sìche al momento attuale la Sezione Botanica sia visita-bile dal pubblico solo su appuntamento e con visiteguidate.

159botanica

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1

2

3 4

5

6

delPianta MuseoSezione di Botanica

7

8 9

10

Erbari antichi,Modelli di funghi

Cere botaniche,Nature morte

Erbario Webb, Beccari(Malesia), Nature morte

Erbario Pichi SermolliECI Crittogame7

8 Fossili

9

10

Piano I Piano II

1 Erbario CentraleItaliano, Fanerogameda a 6

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Oltre l’esposizione! Gli erbari cinquecenteschi:Merini e CesalpinoAl pari degli Orti Botanici, anche gliHorti sicci o erbari nascono “allascienza” nel xvi secolo e proprio inItalia. Infatti, mentre Pisa, Padova eFirenze, in rapida successione tra il1542 ed il 1543, assistono alla nascitaall’interno delle loro mura di spazidedicati allo studio delle piante vi-ve, ancora a Pisa si cominciano ad al-lestire piccole collezioni di piante es-siccate e “agglutinate” (cioè incolla-te) su fogli di carta per poterle con-servare, confrontare e scambiare trastudiosi. Ma non è tutto: quasi inuna sorta di Rinascimento della bo-

tanica, praticamente contemporaneoa quello delle altre discipline, le pian-te che si studiano e si confrontano,negli Orti come negli Erbari, non so-no più solo quelle medicinali, i co-siddetti “semplici”, ma sono tutte lepiante, a prescindere dal loro uso edalle loro proprietà. Alcuni dei primi erbari preparati aPisa agli albori di questa vera e pro-pria rivoluzione nello studio dellepiante sono conservati nella SezioneBotanica, a costituire quasi le pietrefondanti di tutti gli altri erbari che visi trovano: si tratta delle collezioni ri-spettivamente di Michele Merini edi Andrea Cesalpino. Del primo si saveramente poco: prete lucchese chestudiò botanica nell’Università di Pi-

161botanica

L’erbario allestito da Michele Merini (metà XVI secolo)

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162museo di storia naturale

sa sotto la guida del grande Luca Ghi-ni (1490-1556), di colui cioè che ave-va fondato l’Orto Botanico e “inven-tato” l’Erbario come strumento distudio delle piante, allestì una picco-la raccolta di una cinquantina di fo-gli, con sopra incollati due o tre re-perti per foglio, dal tipico aspetto diuna collezione fatta da un diligentestudente che segua le lezioni del suomaestro e conservi i campioni per ri-cordarne i nomi, come si può legge-re proprio su un reperto in cui vienecitato il nome del “magister Lucas”.Frutto di un altro allievo di Luca Ghi-ni, l’Erbario di Andrea Cesalpino vie-ne universalmente riconosciuto co-me il primo erbario al mondo dalpunto di vista scientifico, in quantoil suo costitutore, il medico aretinoCesalpino (1525-1603) dispose i reper-ti vegetali sui fogli secondo precisi cri-teri di somiglianza che enuncerà suc-cessivamente nel suo libro “De Plan-tis Libri xvi” del 1583. L’erbario fu rea-lizzato nel 1563, come si legge nellalettera posta all’inizio dei più di 200fogli che lo costituiscono. I 768 cam-pioni essiccati che lo compongonofurono presumibilmente raccolti neidintorni di Pisa e sull’Appennino to-scano e ciascuno di essi è indicato conil nome in greco, latino e volgare. Laloro disposizione, in moltissimi casi,corrisponde alle odierne Famiglie: ab-biamo così gruppi di Boraginaceae

(la Famiglia del “non ti scordar dime”), di Asteraceae (la Famiglia del-la margherita), di Apiaceae (la Fami-glia del prezzemolo e della carota),ecc. e questa modernità di pensiero èveramente sorprendente se si pensache Cesalpino visse due secoli primadi Linneo, che avrebbe basato la suaclassificazione delle piante grosso mo-do sui caratteri già individuati dal me-dico aretino. L’Erbario venne trasferito al Museodi Storia Naturale su richiesta di Fi-lippo Parlatore, che riteneva che lasua collocazione tra i libri del Gran-duca di Lorena nella Biblioteca Pala-

Un foglio dell’erbario di AndreaCesalpino con campioni di Asteraceae

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tina di Palazzo Pitti non fosse la piùidonea. Questo era stato l’ultimo ap-prodo dell’Erbario Cesalpino, che erapassato in più famiglie nel corso deisecoli per poi essere acquistato dalgranduca Ferdinando iii di Lorena. Il passaggio al Museo avvenne nel1844 e precedette di un anno l’acqui-sizione di un altro grande erbariopre-linneano, quello di Pier AntonioMicheli: Parlatore infatti, benché fer-mamente proiettato verso un futurodi nuove acquisizioni per l’ErbarioCentrale, capiva anche il valore ine-stimabile e l’importanza di questecollezioni storiche, che costituivanole pietre angolari su cui tutte le altrepotevano reggersi.

!L’Herbarium Centrale Italicum(H.C.I.) o Erbario CentraleItaliano (E.C.I.)La collezione principe della SezioneBotanica è sicuramente costituitadall’Herbarium Centrale Italicum.Questo è a tutt’oggi il più grande er-bario italiano e uno dei più grandidel mondo. Principale artefice ne fuFilippo Parlatore, grande botanico diorigine siciliana, il quale venne chia-mato nel 1842 a dirigerlo dal Gran-duca di Toscana Leopoldo II di Lo-rena, dopo che lo stesso Parlatore ave-va pubblicato e inviato da Parigi al-la Terza Riunione degli Scienziati Ita-liani, un memorandum dove mette-

va in evidenza le carenze dello statodella Botanica in Italia auspicandola costituzione di un grande stru-mento di ricerca: un erbario, appun-to, che propose di chiamare, con pre-veggenza politica e scientifica, Erba-rio Centrale Italiano (E.C.I.). Taleerbario, fu un innesto veramentenuovo sul corpo piuttosto gracile del-le collezioni botaniche fino allora esi-stenti a Firenze. Solo l’appello di Par-latore e i conseguenti invii di mate-riali essiccati sia prima della nominagranducale sia appena un anno do-po, raddoppiarono le collezioni esi-stenti e, dopo la successiva donazio-ne del suo erbario personale, quellodel Museo era già una grande realtà,la maggiore italiana. Alla morte diParlatore (1877) l’Erbario CentraleItaliano era una collezione di quasi250.000 campioni, altamente sele-zionati e frutto sia delle campagne diraccolta della nascente istituzione,realizzate in gran parte da Parlatorestesso, sia di tantissimi apporti do-vuti agli scambi e alle donazioni adopera di botanici e di grandi istitu-zioni europee e americane, segnoquesto dell’avvenuta accoglienza del-l’E.C.I. nel consesso scientifico mon-diale dell’epoca. Da allora l’E.C.I. siè sviluppato in modo sostanzialmen-te armonico, continuando ad accre-scersi nonostante i numerosi muta-menti politici e giuridici succeduti-

163botanica

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164museo di storia naturale

si sino ad oggi. Il suo sviluppo ha ov-viamente risentito dei cambiamentiintervenuti per le mutate condizio-ni della ricerca scientifica. Infatti, dal-la morte di Parlatore fino quasi al se-condo conflitto mondiale, è preval-so un accrescimento dovuto ad ag-giunte di grandi collezioni persona-li di famosi botanici. Fra gli esempipiù significativi e citandone, anche diessi, solo alcuni, possiamo ricordarecronologicamente rispetto alle acces-sioni, l’erbario di Henry Groves (nel1891), naturalista di origine inglesema italiano di adozione, con colle-zioni provenienti in prevalenza da re-gioni italiane centro-meridionali,quello di Alfred Chabert (nel 1911),nato suddito sabaudo e divenuto

francese, che apportò gran parte del-le collezioni algerine possedute dal-l’Erbario Centrale, e ancora gli erba-ri di Emilio Levier (dal 1912 al 1915)che costituirono la base della Sezio-ne Crittogamica dell’Erbario Cen-trale, in particolare per le briofite. Perfinire, gli erbari di altri due famosibotanici: quello di Ugolino Martel-li (nel 1937), un erbario a distribu-zione mondiale con il quale perven-nero a Firenze due preziose collezio-ni ancora oggi al centro dello studiodi due gruppi tassonomici a distri-buzione quasi interamente tropicale:la collezione dei Pandani e il cosid-detto Herbarium Palmarum – affida-togli dagli eredi di O. Beccari suomaestro – e l’Erbario personale di

Campione di Schwetschkea sinesis C. Müller conservato nell’ErbarioCentrale sez. crittogamica, proveniente dall’Erbario Levier

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Adriano Fiori, incluse le raccolte diFelci (dal 1929 al 1952), che di fattofu la base della “Nuova Flora Anali-tica Italiana”. A cavallo del secondoconflitto mondiale e subito dopo laguerra cambiarono le coordinatescientifiche della ricerca botanica; sifecero più approfondite le ricerchedi tipo fitogeografico-ecologico, sidiffuse lo studio della citologia e del-la genetica e, conseguentemente, an-che le raccolte furono molto più mi-rate e quantitativamente molto ri-dotte. Anche negli ultimi decenni so-

no pervenuti altri erbari come adesempio quello pteridologico di Ro-dolfo Pichi Sermolli, ma esso stessoera di natura strettamente sistemati-ca incentrato su pochi campioni dipregio per ciascuna entità tassono-mica e sui typi, cioè i campioni suiquali vengono descritte le specie nuo-ve per la scienza. Tutto il resto del-l’accrescimento è stato frutto discambi internazionali o di ricerchemirate e revisioni di gruppi tassono-mici di vario rango sia di flora italia-na che straniera o anche revisionimondiali. Attualmente l’E.C.I. ècomposto da due sezioni, la fanero-gamica (ca. 3.500.000 campioni) e lacrittogamica (ca. 800.000), ed è col-locato su due piani dell’edificio cheospita la Sezione Botanica “F. Parla-tore” del Museo di Storia Naturale.La sua organizzazione non prevedepiù la suddivisione delle antiche col-lezioni originarie, ad eccezione del-l’Herbarium Palmarum, che si trovainserito all’interno della Sezione Fa-nerogamica dell’E.C.I, e dell’Erba-rio Pteridologico di Pichi Sermolli,che è nella stanza della Sezione Crit-togamica.

! L’Erbario WebbLa notizia della morte dell’amicoPhilip Barker Webb (1793-1854) col-se di sorpresa Filippo Parlatore, fon-datore dell’Erbario Centrale Italiano

165botanica

Campione di Primula acaulis Hill conser-vato nell’Erbario Centrale Italiano sez. fa-nerogamica proveniente dall’Erbario Fiori

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166museo di storia naturale

nel Museo di Storia Naturale, che su-bito, con il permesso del GranducaLeopoldo II, si recò nella residenzaparigina del botanico inglese per fa-re l’inventario del suo preziosissimoerbario. Infatti P.B. Webb aveva sta-bilito nel testamento che tutta la suacollezione di piante essiccate, insie-me alla biblioteca botanica e ad unaricca rendita ottenuta dalla venditadella casa di Parigi venissero a Firen-ze presso il Museo in nome dell’ami-cizia con Filippo Parlatore. In effet-ti, il lascito dell’inglese costituiva unapreziosissima opportunità per l’Er-bario fiorentino e lo stesso Museo in

quanto la sua collezione di exsiccataera considerata una delle più impor-tanti del tempo, sia dal punto di vi-sta quantitativo sia del contenuto: isuoi quasi 300.000 campioni rappre-sentavano, infatti, la più grande col-lezione privata in Europa ed il fattoche questi provenissero in grandissi-ma parte da zone fino ad allora ine-splorate ne facevano una collezionemolto ricercata dagli studiosi di bo-tanica. Ancora oggi l’Erbario Webb è senzaalcun dubbio una delle collezioni piùrichieste e consultate della SezioneBotanica: di esso fanno parte sia leraccolte personali del suo antico co-stitutore, relative al bacino mediter-raneo, ma soprattutto all’arcipelagodelle Isole Canarie del quale egli de-scrisse la flora, sia quelle dei botani-ci ed esploratori che, tra il xviii ed ilxix secolo, riportarono da lontaneregioni extraeuropee le prime raccol-te. In effetti, la preziosità dell’Erba-rio Webb risiede proprio nel grandenumero di campioni typus, così fre-quenti se consultiamo le raccolte, adesempio, di Labillardière dall’Austra-lia sud-occidentale e dalla Tasmania,oppure di Ruiz e Pavon dal Cile e dalPerù, così come quelle di Aucher-Eloy dal Medio Oriente o di Desfon-taines dal nord Africa. Di questogrande erbario fanno parte, infatti,alcune tra le più importanti collezio-

Ritratto di Philip Barker Webb

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ni di campioni essiccati realizzate daibotanici europei nel periodo d’orodelle esplorazioni naturalistiche ePhilip Barker Webb riuscì a procu-rarsele, sia finanziando direttamen-te le spedizioni, sia acquistando dalraccoglitore oppure dagli eredi le rac-colte. Addirittura, per avere la colle-zione Lambert, botanico e grandecollezionista egli stesso, possessore diuno dei più grandi erbari in Europa,partecipò all’asta indetta dopo la suamorte e riuscì ad accaparrarsi unaparte cospicua di quella collezione,

comprese le prime raccolte effettua-te dal Segretario dell’Ambasciata in-glese G. Staunton in certe regionidella Cina.L’interesse e l’importanza dell’Erba-rio Webb sono testimoniati dalla fre-quenza di richieste di consultazionee studio da parte dei botanici, so-prattutto stranieri che, spesso, han-no bisogno di venire a Firenze (o dirichiedere l’immagine digitale deicampioni) per studiare i primi esem-plari raccolti magari nei loro paesi,ma conservati in questo erbario per

Un campione di una specie nuovadi Crassulaceae raccolto alle IsoleCanarie da Webb

167botanica

Un campione di Banksia raccoltoda Labillardière in Australia(Nova Hollandia)

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168museo di storia naturale

le ragioni sopra esposte: non è raroavere infatti, come ospiti, botaniciaustraliani o latino-americani, soloper fare un esempio, che consulta-no questa collezione per le loro ri-cerche. L’erbario è costituito dalla parte fa-nerogamica (quella, cioè, delle pian-te che possiedono fiori più o menoevidenti) e dalla parte crittogamica(con funghi, alghe, muschi, lichenie felci): la prima è quella numerica-mente più importante, ma anche lacrittogamica ha notevole interesse,perché costituita con le collezioni deimaggiori studiosi ottocenteschi diquella branca della sistematica vege-tale, come Montagne o Meneghini.Tra le crittogame, in particolare, nonè raro trovare i reperti raccolti in etàgiovanile da Odoardo Beccari nellecampagne lucchesi e pisane: si trat-ta di quei campioni che Parlatore in-trodusse nell’Erbario Webb dopo lamorte del suo donatore, non presa-gendo che un giorno si sarebbero tro-vati nella stessa sala, insieme a quel-li raccolti da Beccari, in età più ma-tura e provenienti dalle note spedi-zioni in Malesia.

Le collezionidi Odoardo BeccariAlla fine del xix secolo, grazie allarendita lasciata da Philip BarkerWebb, donatore anche dell’omoni-

mo erbario e di una ricchissima bi-blioteca, il Museo di Storia Natura-le poté acquisire una raccolta di cir-ca 16.000 exsiccata più centinaia dicampioni in barattolo, messi insie-me dal naturalista fiorentino Odoar-do Beccari (1843-1920) nel corso ditre spedizioni, durate in complessopiù di 9 anni, nella lontana regionedella Malesia. Si trattava delle pian-te, per lo più nuove per la scienza,raccolte in una delle zone menoesplorate della terra e sicuramente piùpericolose, sia dal punto di vista na-turale (basti pensare alle foreste im-

Ritratto di Odoardo Beccari

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penetrabili, ai corsi d’acqua impetuo-si, agli animali selvatici) sia da quel-lo delle popolazioni locali, spesso co-stituite da tribù primitive e bellico-se, per non parlare di quelle antro-pofaghe. In pratica Beccari si trovòspesso a fronteggiare da solo situa-zioni molto critiche, ma che riuscìsempre a superare grazie alla sua tem-pra ed alla grande passione naturali-stica che lo animava. Egli mise insie-me un patrimonio naturalistico fat-to non solo di reperti vegetali, ma an-che zoologici ed etnografici che ar-ricchirono, oltre al Museo di Firen-ze, pure quello di Storia Naturale diGenova che aveva parzialmente fi-nanziato le sue spedizioni. Tra le piante riportate da questa vastaregione, fatta di isole molto estese, co-me Borneo, Giava e Sumatra, ma an-che di piccoli arcipelaghi quasi sco-nosciuti, come le isole Kei, ci sono ov-viamente moltissime specie mai de-scritte prima, appartenenti a generitalvolta molto particolari, come le Ne-penthes insettivore o, al contrario, leMyrmecodia ospitatrici di formiche,ma ci sono anche i fiori più grandi delmondo, come quelli della Rafflesia edell’Amorphophallus, per trasportarei quali Beccari dovette utilizzare alcu-ni portatori locali, per non parlare del-le affascinanti e numerose specie diorchidee e, soprattutto, di palme, lequali costituiranno l’oggetto di stu-

dio degli ultimi 20 anni della sua vi-ta insieme a quelle dell’altro suo gran-de erbario, più sotto descritto, chia-mato per l’appunto “Palmitico” o“Palmarum”.I campioni della Malesia sono con-servati in 32 banchini collocati nellastessa sala dell’Erbario Webb e costi-tuiscono sicuramente una delle rac-colte più richieste da parte degli stu-diosi della flora tropicale. Oltre al-l’innegabile e prezioso aspetto scien-tifico, essi presentano anche un’altraparticolare caratteristica museologi-ca: nella loro stragrande maggioran-za sono anche campioni molto belliper l’accuratezza della preparazione

Un campione in alcool di Myrmecodiatuberosa Jack, raccolto da Beccariin Borneo

169botanica

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e la precisione dei dati che li accom-pagnano. Grazie alle loro etichette,infatti, fatte fare appositamente daBeccari e la cui intestazione indicadirettamente la zona di provenienzadel campione, abbiamo le “PianteBornensi”, quelle “Sumatrane”, quel-le “Papuane”, quelle “delle Moluc-che”, ecc., ognuna individuata da unnumero di raccolta che permette ilsuo reperimento all’interno della col-lezione, per facilitarne lo studio. Insomma, una raccolta preziosissima

che, insieme a quella di P.B. Webbdette un volto internazionale all’Er-bario di Firenze, portandolo a com-petere con i grandi erbari europei.Come si è visto precedentemente,Odoardo Beccari da un certo mo-mento in poi si occupò esclusiva-mente di Palme come se esse fosserouna affinità elettiva; infatti il primolavoro che le riguarda è del 1871 (cioèdopo il suo primo viaggio in Borneo)e ad esso ne seguirono più di 70 ri-guardanti quella Famiglia.

Alcuni dei reperti relativi alla famiglia delle Palme conservati nell’Erbario Palmitico

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Una scelta così radicale è legata ingran parte alle sue vicende personalie professionali, e in particolare ai rap-porti conflittuali nei confronti delleautorità accademiche della Facoltà diScienze della costituenda Universitàdi Firenze. Egli uscì sconfitto da que-sta disputa e dopo anni di isolamen-to e di parziale cessazione della suaattività di studioso, nel 1904, decisedi riprendere gli studi dedicandosisolo alle Palme. È praticamente daquel momento che prende formal’Erbario Palmitico, una collezioneche costituì il suo principale strumen-to di confronto e ricerca. Tale colle-zione, accresciuta per tutta la sua vi-ta ed oltre (le aggiunte avvennero in-fatti anche per tutto il periodo cheUgolino Martelli, suo discepolo, eb-be in custodia la collezione) si formòper scambi e donazioni con tutti glistudiosi di Palme dell’epoca. Infatti,il livello degli studi del botanico fio-rentino lo fece presto assurgere a fa-ma internazionale e nello stesso tem-po egli divenne il maggior specialistadi Palme del mondo.Quando la collezione pervenne neilocali dell’Erbario Centrale a Firen-ze, dopo la morte di Martelli (1937),era costituita da 426 pacchi di essic-cati e 451 contenitori di vario tipo dialtri prodotti vegetali sistemati, ingran parte, in carpoteca. Ma la suapeculiarità si scoprì all’apertura dei

pacchi, i quali non erano costituti so-lo da essiccati, ma anche da migliaiadi stampe in folio, foto di diverso for-mato e ancora disegni in gran parteacquerellati a china, sia di Beccari siadi altri autori e interi epistolari di-sposti sui fogli oltre ai vari prodottivegetali di carpoteca e non, già ram-mentati. Insomma chi aprì i pacchisi trovò di fronte a un vero e proprioMuseo delle Palme. Successivi studihanno appurato che i reperti giuntia Beccari furono inviati da circa 290donatori (persone o istituzioni) percomplessivi 490 raccoglitori checomprendevano: le grandi istituzio-ni, i botanici di professione, viaggia-tori, esploratori e missionari ed infi-ne gli introduttori, o importatori, diflora esotica! Un piccolo universo.Attualmente, con le successive siste-mazioni in erbario, la collezione de-gli essiccati è conservata in 386 pac-chi sistemati nella sala 5 dell’ErbarioCentrale Italiano. Si tratta di una mo-le di campioni così grande e di cosìvasta provenienza geografica che an-cor oggi la distribuzione che si può ri-cavare dai reperti conservati presen-ta un’estrema concordanza con l’at-tuale areale delle Palme nel mondo.

! La XylothecaFra le collezioni ancillari conservatenella sezione si trova una grande Xy-lotheca, di fatto l’unica presente nel-

171botanica

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le collezioni universitarie italiane, chesi è formata nel corso di tutta la sto-ria del Museo, dalla sua fondazionegranducale fin quasi ai nostri giorni.Infatti, già i cataloghi inventariali del1793 indicano la presenza di campio-ni di legni, rotelle o pezzi di tronchidi diverse dimensioni. Le provenien-ze interessano tutto il mondo conuna netta prevalenza di specie esoti-che. Anche nei primi apporti sonopresenti campioni che assommanoalla funzione scientifica anche un cer-to gusto estetico delle forme, comenel caso dei tronchetti incernieratidi Fenzi o i pezzi modellati a formadi libretto donati da Lopez Netto,provenienti dal Brasile. Già nei pri-mi decenni del ’900 l’allora diretto-re del Museo P. Baccarini parlandodei criteri di ordinamento della col-

lezione, collocata al 2° piano del lo-cale oggi posto in Via La Pira, dichia-rava che essa contava ben 10 sezionigeografiche relative a tutti i conti-nenti o aree geo-climatiche. Non eraperò ancora una moderna Xylothe-ca. Perché lo diventasse si dovetteaspettare il secondo dopoguerra, du-rante gli anni ’70, periodo nel qualel’allora direttore G. Moggi decise dinormalizzare i vari reperti ricondu-cendoli alle dimensioni internazio-nali standard (10!7!2 cm), in mododa favorire gli scambi con le altre se-di. Questo è avvenuto e Firenze è po-tuta entrare a far parte dell’Index Xy-lariorum (con l’acronimo FIw) arric-chendo le proprie collezioni. Attual-mente la Xylotheca contiene oltre5400 campioni numerati e alcune se-rie complete di duplicati. A parte al-

Campioni di legni brasiliani a forma di libretto donati da L. Netto

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cuni campioni storici, la grande mag-gioranza di essi è conservata in unasede distaccata del Museo.

! Le cereLa collezione dei modelli in cera del-la Sezione Botanica è meno cono-sciuta di quella della Sezione di Zoo-logia, ma proviene dalla medesimaOfficina di Ceroplastica del Museodi Fisica e Storia Naturale nella qua-le furono realizzate le famose Cereanatomiche. Essa consiste di centi-naia di modelli che possono esseresuddivisi secondo due tipologie: (1)modelli di piante in vaso e di fruttia grandezza naturale e (2) tavole ana-tomiche.Tutti i modelli furono realizzati trala fine del xviii secolo e la secondametà di quello successivo dai vari ce-raioli che si succedettero nell’Offici-na: Clemente Susini, Francesco Ca-lenzuoli, Luigi Calamai e Egisto Tor-tori, spesso sotto la guida degli scien-ziati che lavoravano nello stesso Mu-seo, come l’ottico Giovan BattistaAmici e il botanico Filippo Parlato-re. In effetti, tutta la collezione, co-sì bella e affascinante dal punto di vi-sta della straordinaria verosimiglian-za con la realtà, è di per sé anche undocumento scientifico in quanto rea-lizzata proprio allo scopo di mostra-re certe particolarità anatomiche co-sì come alcuni aspetti della riprodu-

zione nelle piante o di alcune loropatologie, per finire con la illustrazio-ne delle mille forme e colori dellepiante a fiore, la cui grandissima va-riabilità in natura viene esemplifica-ta dai quasi 200 modelli in vaso.Senza dubbio quest’ultima collezio-ne è quella che stupisce e meraviglia

173botanica

Il modello in cera di Camellia japonicaL., probabilmente realizzato da ClementeSusini alla fine del XVIII secolo

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174museo di storia naturale

maggiormente i visitatori, che si tro-vano al cospetto di un vero e proprio“giardino artificiale”, costituito da de-cine e decine di piante alloggiate inpreziosissimi vasi di porcellana diDoccia, illustranti specie per lo piùesotiche, che furono ritratte spessopoco tempo dopo essere state scoper-te e introdotte in Europa da paesi lon-tani e inesplorati. La Strelitzia reginaeo l’Aloe succotrina o, ancora, la Bur-chellia capensis, così come diverse spe-cie di Euphorbia dal Sudafrica, la Pas-siflora quadrangularis, i Cactus, leMammillaria e altre Aloe dalle Ame-riche, la Camellia japonica, il Nelum-bium speciosum ed altre dall’Asia fan-no bella mostra di sé in una vetrinadella Sezione, ognuna identificata dal

nome vergato in bella scrittura sul car-tiglio bianco del vasetto. E proprio ilnome costituisce un altro elementodi interesse scientifico in quanto testi-monia la sollecita accoglienza, da par-te del Museo, della nuova nomencla-tura linneana, stabilita solo dal 1753,anno di pubblicazione dello SpeciesPlantarum da parte di Carlo Linneoe destinata a soppiantare tutti i siste-mi di classificazione e di denomina-zione dei vegetali fino ad allora usati.Ma non solo: ogni modello in vasopossedeva una “nicchia” (conchiglia),sempre in porcellana, in cui erano ri-prodotti, ingranditi, gli organi ma-schili e femminili di ciascuna pianta,ad esemplificare proprio l’adozionedella classificazione linneana delle

La conchiglia in porcellana contenente la sezione del fiore di Passiflora quadrangularis L.

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piante a fiore, basata sul numero e ladisposizione di stami e carpelli. Pur-troppo, oggi solo pochi modelli con-servano ancora le loro conchiglie dicorredo, come ad esempio quello del-la Passiflora quadrangularis.Accanto a quella delle piante in vaso,anche la collezione dei frutti e ortag-gi “imitati in cera” rappresenta mo-tivo di particolare interesse, soprat-tutto dal punto di vista documenta-rio e storico. Costituita anch’essa dapoco meno di 200 modelli, stupisceper la ricchezza di varietà colturali ri-prodotte, soprattutto per quanto ri-guarda gli agrumi, quasi a ripropor-re, anche dentro il Museo lorenese,una sorta di “citromania” così cara aiMedici nei secoli precedenti.

Una funzione più specificamente di-dattica era poi assegnata alle tavolecon preparati in cera, illustranti par-ticolari anatomie vegetali così comepeculiari processi riproduttivi o pa-tologici: ecco allora, solo per fare po-chi esempi, le tavole su alcune ma-lattie fungine della vite o della rosao, ancora, la riproduzione dei siste-mi vascolari delle piante, per finirecon la rappresentazione del proces-so fecondativo nel fiore di zucca (Cu-curbita pepo), vera “primizia” scien-tifica, usata in un Congresso di scien-ziati per illustrare questa importan-te scoperta nelle piante a fiore.La collezione dei modelli in cera del-la Sezione Botanica, veramente uni-ca al mondo per bellezza, varietà e

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Uno degli agrumi appartenenti alla collezione dei frutti ‘imitati’ in cera

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numero dei soggetti è purtroppo, almomento attuale, un vero e propriotesoro nascosto che attende la suapiena valorizzazione: quella che le erariservata nelle antiche sale dell’Im-periale e Regio Museo, così come te-stimoniata dai primi Inventari cheelencavano diligentemente e in bel-la scrittura le diverse “Piante imita-te in cera in vasi di porcellana” insie-me con i “Frutti imitati in cera sot-to campane di vetro” negli scaffali enegli armadi alle pareti.

! FunghiFra le altre collezioni di modellisticadidattica della Sezione si trova quel-la dei Funghi attualmente costituitaper la quasi totalità dai modelli mi-cologici di Jean-Baptiste Barla. Bar-la, fondatore del Museo di Storia Na-turale di Nizza quando la città eragià francese, è stato uno studioso ot-tocentesco di formazione umanisti-ca, ma contemporaneamente uomodi scienza e in particolare un appas-sionato botanico eccellendo nella mi-cologia. Quella che all’inizio della vi-cenda poteva essere considerata unapassione, si trasformò in poco tem-po in una vera e propria “manifattu-ra” di modellistica fungina. I model-li riproducevano i corpi fruttiferi dimolti macrofungi dell’area mediter-ranea. Essi furono realizzati con va-rie tecniche anche se quella preva-lente usò stampi vuoti che furonoutilizzati più volte. I materiali usatifurono il gesso, la cartapesta, vari ti-pi di resine e anche la terracotta. Imodelli erano colorati al naturale edebbero due tipologie riproduttive. Laprima rappresentò insiemi di funghiin varie fasi di sviluppo, incluse an-che loro sezioni, montati senza mo-strare l’ambiente, la seconda tenneconto dell’ambiente in cui il miceteviveva. Si trattò di una serie che in-teressò circa 450 specie fungine conuna produzione di alcune migliaia di

La tavola con la preparazione in ceradella fecondazione della zucca realizzatada L. Calamai

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modelli. A Firenze i modelli di Bar-la, per circa 200 unità, arrivarono dal1869 al 1874, grazie all’amicizia e airapporti di lavoro e di studio del na-turalista nizzardo con Filippo Parla-tore. Attualmente essi sono conser-vati in gran parte nelle vetrine del la-boratorio fotografico della sezione.

! I FossiliNella Sezione i fossili rappresentanouna collezione sia pure minore macospicua. La sua importanza è lega-ta al fatto che essi costituiscono lachiave di volta per capire l’evoluzio-ne della vita. A differenza di ciò cheaccade nei musei paleontologici, inquelli botanici i fossili sono conser-vati in genere in ordine sistematico,cioè per Famiglie e Generi. La colle-zione di fatto è iniziata con la presen-za di Filippo Parlatore e si è svilup-

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Campione fossile di Geonomites saturniaVis. proveniente dai terreni miocenici delBolca

Modello in gesso di una composizione di Boletus edulis Bull., realizzato da J.-B. Barla

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178museo di storia naturale

pata in gran parte nel periodo dellasua direzione del Museo (1842-1877);dopo di essa è degna di nota la rac-colta effettuata, nel decennio 1980-1990, nei depositi lignitiferi del Val-darno superiore alla cessazione del-l’attività di scavo della miniera. Fra glioltre 8000 campioni presenti nellasezione, di varie epoche e dimensio-ni, possiamo accennare a quelli delPaleozoico del volterrano donati daBiondi, quelli Eocenici della Lessi-nia (Verona) donati da A. De Zigno,

ma anche da A. Massalongo e R. DeVisiani che fra l’altro sono esposti inparte al pubblico sulle pareti del gran-de scalone di accesso alla Sezione. So-no presenti anche i materiali del Car-bonifero e del Triassico provenientidall’Europa centrale inviati rispetti-vamente da E. Sismonda e W.P.Schimper. Da segnalare fra i mate-riali lignitiferi (Pleistocene) della Ma-remma i reperti relativi a una Palma,la Flabellaria saviana, che Parlatoredescrisse come nuova.

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Sezione di Geologiae Paleontologia

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542 Milioni di anni fa

251 Milioni di anni fa

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CAMBRIANO

SILURIANO

ORDOVICIANO

DEVONIANO

CARBONIFERO

PERMIANO

TRIASSICO

GIURASSICO

CRETACEO

PALEOGENE

NEOGENE

ERAPERIODO

M.A.

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Tra i personaggi che maggiormente contribuirono al-la formazione delle collezioni paleontologiche va ri-

cordato Filippo Nesti, docente di Mineralogia e Zoo-logia nel Liceo di Scienze Fisiche e Naturali dal 1807 al1814 e successivamente reintegrato da Leopoldo II nelruolo di professore presso il Museo nel 1835. Nesti fu ilfondatore della Collezione di Vertebrati fossili del Mu-seo fiorentino, raccolti per la maggior parte nel bacinofluvio-lacustre del Valdarno superiore e sui quali dettealle stampe una serie di memorie illustrative. Grazie al-le pubblicazioni di Nesti e del suo più famoso contem-poraneo, George Cuvier, del Muséum National d’Hi-stoire Naturelle di Parigi, che visitò la Toscana nei pri-mi anni dell’800, la collezione fiorentina acquisì noto-rietà nel mondo scientifico. Nel 1845 confluì nel Museo anche la collezione paleon-tologica del naturalista fiorentino Giovanni TargioniTozzetti, dalla quale proviene l’esemplare di Mortoni-ceras michelii, ammonite trovata ai primi del ’700 dalbotanico Pier Antonio Micheli nella pietraforte dellacollina di Bellosguardo. Dopo la fondazione dell’Istituto Superiore di Studi Pra-tici di Perfezionamento le collezioni furono notevol-mente arricchite grazie all’opera di geologi insigni, qua-li Iginio Cocchi, Antonio Stoppani, Cesare d’Ancona,Carlo De Stefani.Agli inizi degli anni ottanta dell’Ottocento raccolte pa-leontologiche lasciarono Palazzo Torrigiani per essere

Cenni storici e introduttivi

ElisabettaCioppi

StefanoDominici

Cronologiadelle Eregeologiche

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trasferite nell’antico palazzo della Sapienza, in Piazza SanMarco, dove occuparono parte dei locali dell’attualeRettorato.L’edificio di Via La Pira 4 che ospita oggi le collezionipaleontologiche e il settore geologico del Dipartimen-to di Scienze della Terra fu portato a termine nel 1921,dopo più di un quarantennio di lavori di ristruttura-zione dell’antico complesso di scuderie medicee chesorgevano nell’area. Sul cornicione interno al cortile diVia La Pira è ancora leggibile la scritta “Regio Museodi Geologia e Paleontologia”, affiancata da un lato dal-la croce di Savoia e dall’altro dal Giglio di Firenze, condecorazioni a crani di orsi e conchiglie, appositamen-te eseguite per richiamare le collezioni paleontologicheche l’edificio andava ad ospitare. La Sezione conserva rocce, invertebrati, flora e verte-brati fossili.La Collezione degli Invertebrati fossili è sistemata neidepositi al secondo piano, ad eccezione di una limita-ta scelta di esemplari rappresentativi delle varie ere geo-logiche collocata nella sezione ostensiva al piano terra.Essa è aperta al pubblico solo su appuntamento, am-monta a circa 200.000 esemplari e vi si trovano pezzidi elevato valore storico e scientifico, provenienti datutti i continenti e relativi a tutte le ere geologiche: dairesti di trilobiti, graptoliti e brachiopodi della Sardegna,del Friuli e della Sicilia alla fauna paleozoica europea(Inghilterra, Svezia, Germania, Spagna, Francia) ed ex-traeuropea (Cina, Siberia, Tibet, Caracorum, Stati Uni-ti), dalle ammoniti mesozoiche italiane (Veneto, Friu-li, Toscana, Umbria) e straniere (Inghilterra, Francia,Austria) alla ricchissima Collezione di Molluschi plio-cenici toscani. La collezione paleobotanica comprende più di 8000 re-perti che documentano significativamente l’evoluzio-

182museo di storia naturale

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ne del mondo vegetale: la ricca flora palustre paleozoi-ca del Monte Pisano, dominata da forme arboree digrandi dimensioni e lianiformi, come felci arboree, equi-setali e licopodiali; quella della Germania; quella me-sozoica, eocenica ed oligocenica del Veneto e di altre lo-calità europee, quella mio-pliocenica e quaternaria to-scana.La Collezione Strozzi – oggetto di recente risistemazio-ne e conservata nell’omonima Sala al piano terreno –fu donata nel 1910 all’Istituto di Studi Superiori di Fi-renze dal nipote del marchese Carlo Strozzi e compren-de reperti di vertebrati, vari invertebrati e la splendidaraccolta di flora fossile italiana, oggetto di un’importan-te monografia del 1858, tutti sistemati nei bianchi mo-bili lignei ove ancor’oggi si possono ammirare.I vertebrati, oltre al loro grandissimo valore come og-getto corrente di ricerca, formano anche la parte dellacollezione che maggiormente si presta ad essere apprez-zata dal pubblico ed è quella correntemente aperta aivisitatori nel settore espositivo del piano terra.

183geologia e paleontologia

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delPianta MuseoSezione Geologia e Paleontologia

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uscitadi sicurezza

ingresso

sala

in all

estim

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inver

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auladidattica

Sala 1

BiglietteriaBookshop

Sala 2

Sala 3

Sala 4

Sala 5

Sala 6

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Sala 8

Sala 9

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Sala 1

La raccolta di Vertebrati è formata per la maggior par-te da fossili italiani e l’esposizione è intesa ad illu-

strare in particolare la storia paleontologica dell’Italia,la sua paleogeografia e la successione delle faune terre-stri e marine.La vetrina centrale della prima sala intende introdurreil visitatore ai processi modificatori della crosta terre-stre: origine delle rocce ignee, sedimentarie e metamor-fiche, processi tettonici a varie scale, erosione, traspor-to e sedimentazione dei materiali in ambiente marino econtinentale. Informazioni riguardanti la tettonica delle placche nel-l’area mediterranea si trovano nella lunga vetrina a pa-rete. Durante la parte finale del Messiniano (5,7-5,2 mi-lioni di anni, Ma) i mutui movimenti della placca afri-cana ed eurasiatica interruppero la comunicazione conl’Oceano Atlantico, innescando un parziale prosciuga-mento dell’area mediterranea, facilitato dal clima caldoe semiarido con un bilancio idrico decisamente defici-tario. Notevoli spessori di rocce evaporitiche (calcari,dolomia, gesso, anidrite e salgemma) si accumularonosul fondo di questi vasti laghi salati. La cosiddetta “ve-na del gesso” è un orizzonte guida ben riconoscibile sulterreno anche sull’Appennino tosco-romagnolo dove,presso Brisighella (Faenza), è stata recuperata una fau-na continentale messiniana della quale sono qui espo-

185

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sti alcuni modelli, tra cui resti di rinoceronte (Stepha-norhinus cf. megarhinus), un formichiere africano (Oryc-teropus sp.), un piccolo ienide (Plioviverrops faventinus). Nella vetrina a sinistra della finestra sono schematizzatied esemplificati i vari processi di fossilizzazione, dalla piùconsueta mineralizzazione alle forme più rare di piritiz-zazione, silicizzazione, inglobamento in ambra e conge-lamento. Quest’ultima modalità di fossilizzazione ha per-messo la conservazione dei peli di mammut qui esposti,provenienti da depositi di permafrost della Siberia. La vetrina sotto finestra espone resti di Artiodattilisuiformi della Famiglia degli Antracoteridi (letter. “ani-mali del carbone”), simili agli ippopotami nel modo divita, condotta in foreste subtropicali di tipo paludoso.È esposto, tra l’altro, un modello dell’unico cranio no-to del Genere Anthracotherium istituito nel 1822 da Cu-vier, proveniente dai depositi lignitiferi oligocenici (30Ma) di Cadibona presso Savona. Sempre al Terziario inferiore appartengono i due schele-tri di Sirenidi esposti nella vetrina di cristallo al centro.Questi mammiferi acquatici erbivori, probabilmente al-l’origine della leggenda delle sirene, sono ancor oggi rap-presentati dai Manati o Lamantini delle coste tropicaliatlantiche dell’Africa e dell’America e dai Dugongidi del-l’Oceano Indiano. Il corpo di tali animali è adattato al-la vita acquatica con arti anteriori trasformati in pinne eposteriori ridotti a rudimenti, coste molto pesanti e in-grossate per fungere da zavorra nelle immersioni sul fon-dale marino. La dentatura è caratterizzata da incisivi su-periori sviluppati in piccole zanne. Halitherium schinzi,il più grande dei due scheletri, è un modello di un esem-plare oligocenico proveniente dalla Germania e andatodistrutto nei bombardamenti della Seconda guerra mon-diale; l’altro, Prototherium veronense, invece è un origi-nale dell’Eocene del Veneto, recuperato presso Lonigo.

186museo di storia naturale

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Nella vetrina al lato sinistro dell’entrata sono esposti re-perti provenienti dalle vecchie miniere di lignite dellaMaremma toscana e della Val di Cecina, un’area nellaquale nel Tortoniano (circa 10-8,5 Ma) si diffuse una fau-na endemica con coesistenza di elementi di provenien-za africana (scimmie, coccodrilli, antilopi) ed europea(carnivori, roditori, cinghiale). In particolare nella mi-niera di Baccinello, piccolo paese minerario a circa 30km ad est di Grosseto, fu ritrovato nel 1958 dal Prof.Hürzeler di Basilea lo scheletro del primate Oreopithe-cus bambolii. Al centro della vetrina si trova il cranio re-staurato nel 1996 grazie al prezioso lavoro svolto pressoil Laboratorio del nostro Museo dal paleoantropologoRonald Clarke dell’Università di Witwatersrand, Johan-nesburg. Per anni attribuito alternativamente ad ominoi-di o Cercopitecini, è attualmente definito come rappre-sentante endemico specializzato della Famiglia Dryo-pithecinae, scimmie antropomorfe diffuse in Eurasiadurante il Miocene superiore. Dall’analisi dello schele-tro si deduce un’altezza di 120 cm, con arti superiori mol-

Scheletro di Oreopithecusbambolii

187geologia e paleontologia

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to sviluppati, sino a poco tempo faconsiderato esclusivo adattamento lo-comotorio arboricolo. Ma alcuni stu-di hanno recentemente riaperto il di-battito su questa specie mettendo inluce le sue capacità di locomozionecaratterizzata da bipedismo abitualee la capacità manipolativa di precisio-ne. È certo che questa scimmia ma-remmana è un rappresentante parti-colare e significativo del camminoevolutivo dei Primati e costituisce unaspecie chiave per la comprensione del-la specie umana. Il ritrovamento diuna mandibola (esposta anch’essa invetrina) aveva permesso nel 1872 ladefinizione di questa nuova specie daparte di Paul Gervais del Muséum National d’HistoireNaturelle di Parigi. Solo nel 1958 nella miniera di ligni-te di Baccinello fu rinvenuto questo importante schele-tro, unico al mondo, resto del più antico rappresentan-te dei Primati fino ad ora trovato in Italia. Dopo anni dipazienti ricerche, nella notte del 2 agosto, due minato-ri segnalarono finalmente al paleontologo svizzero – ilProf. Hürzeler di Basilea – la presenza di uno scheletroquasi completo e dall’imbocco della galleria della mi-niera venne alla luce lo scheletro di questo reperto uni-co al mondo. Il paleontologo lo attribuì inizialmente adun ominide, dandogli il soprannome di Sandrone. Ne-gli anni successivi si aprì un vivace dibattito scientifico,sfociato nell’attuale classificazione sistematica nel grup-po di scimmie antropomorfe Driopitecine.Sono esposti inoltre alcuni elementi della fauna ende-mica della Maremma, tra i più significativi: coccodril-lo (Crocodilus bambolii), tartaruga d’acqua dolce (Emys

188museo di storia naturale

Cranio di Oreopithecusbambolii

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depressa), una piccola antilope tipo dik-dik (Tyrrheno-tragus gracillimus), un damalisco (Maremmia haupti),un cinghiale (Eumaiochoerus etruscus), un urside (Hyae-narctos anthracitis) e Mustelidi.

Sala 2La seconda sala e le successive dell’ala destra del Museosono dedicate principalmente alle faune continentali delPliocene e del Pleistocene. In esposizione soltanto alcu-ni reperti di Mammiferi acquatici documentano la gran-de trasgressione marina avvenuta nel Pliocene inferiore,quando nell’area mediterranea il mare raggiunse la suamassima espansione. Essi sono esposti nella prima vetri-na a sinistra e appartengono a Sirenidi rinvenuti pressoSiena e in Piemonte. Oltre a questi molti altri fossili ma-rini della Toscana (balene, delfini, pesci e invertebrati) so-no presenti nelle collezioni del Museo e costituiranno labase di un prossimo ampliamento degli spazi espositivi. Nella parte destra della sala sono esposti alcuni repertirelativi alle faune terrestri del paleoambiente del Villa-franchiano inferiore (3,5-2,5 Ma), tra i quali segnalia-

Leptobosetruscus

189geologia e paleontologia

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mo il tapiro, il mastodonte ed un orso di piccole di-mensioni probabilmente arboricolo (Ursus minimus),proveniente dalle ligniti della miniera di Gaville (Arez-zo), simile all’orso sud-asiatico (Ursus tibetanus). Tali ele-menti sono indicativi di un ambiente forestale di cli-ma caldo-umido.In diverse regioni interne dell’arco appenninico movi-menti tettonici distensivi, instaurati dopo il sollevamen-to della catena, crearono bacini intermontani occupatida laghi più o meno estesi o profondi. La presenza diquesti antichi laghi è oggi registrata nei sedimenti dellevallate longitudinali all’arco appenninico settentriona-le, dalla Lunigiana e Garfagnana al Valdarno e Val diChiana. Durante tutto il Villafranchiano (Pliocene sup.-Pleistocene inf., 3,5-1,0 Ma) l’area dell’attuale Valdarnoè stata a più riprese sede di tali bacini lacustri. Il Valdar-no è uno dei bacini fossiliferi più famosi per le faune vil-lafranchiane, esposte e conservate in massima parte inquesto Museo. In particolare, la fauna vissuta durante laseconda fase lacustre del Valdarno superiore è eccezio-nalmente ricca e variata. La comparsa del genere Canis,

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Eucladocerosdicranios

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il “wolf event” che marca l’inizio del Villafranchiano su-periore, è documentata dai resti delle tre specie di canivillafranchiani (C. etruscus, C. arnensis e C. falconeri, que-sti ultimi due sono esemplari Tipo) esposti in una vetri-na sulla sinistra della seconda sala, dove possiamo osser-vare anche l’orso Ursus etruscus. Sempre in questa salatroviamo abbondanti resti di Cervidi di varie dimensio-ni, tra i quali predomina, posto nella teca centrale, uncranio con palco di corna di 180 cm di apertura, esem-plare Tipo del grande cervide Eucladoceros dicranios.Al centro della sala 2, sulla sinistra, il reperto IGF 9315vrappresenta una porzione di un abbondante accumu-lo ossifero a mammiferi fossili scoperto nel 1995 in unacava di argilla presso Matassino, Poggio Rosso, Valdar-no superiore. I reperti dell’accumulo consistono prin-cipalmente in arti (per lo più articolati) e crani, moltidei quali associati con mandibole. Molti campioni pre-sentano tracce di graffi e morsi. Abbondanti i coproli-ti raccolti. Le specie identificabili sono relative ad Ar-tiodattili (Bovidi, Suidi, Cervidi), Perissodattili (Equi-di), Carnivori (Canidi, Ursidi) e Roditori (Castoridi).La peculiarità del sito consiste nella modalità di accu-mulo dei resti: le ossa infatti sono state ritrovate in am-

Accumulofossilifero diPoggio Rosso

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massi, prive della parte assiale dello scheletro e presen-tano visibili tracce dell’attività di iene. Una iena di ta-glia particolarmente grande, Pachycrocuta brevirostris,era allora diffusa nel territorio valdarnese ed è qui te-stimoniata anche dai numerosi coproliti ritrovati nelsito. I resti dell’accumulo in esposizione sono proprionella posizione originaria. L’accumulo fa supporre unmomento di caccia intensa dovuto ad un inaridimen-to del clima. Il giacimento fu scoperto e segnalato al Mu-seo nel 1995 in una cava di argilla per laterizi a Matas-sino, nota già dal 1964 per altri ritrovamenti. La tota-lità degli esemplari – circa 1000 – era concentrata in unazona di affioramento di 50 m2. I resti mostravano ungenerale allineamento, al quale contribuì forse un’allu-vione locale, ma la tafonomia e le caratteristiche de-scritte dimostrano il ruolo fondamentale dell’azionepredatrice delle grandi iene. In seguito al consenso dipubblico per la mostra temporanea allestita nel 1997presso il Museo, dal titolo “La tana delle iene di Pog-gio Rosso”, il reperto in questione occupa un posto dirilievo nell’esposizione permanente del Museo.Sempre al centro, a fianco del reperto di Poggio Rosso,è montato su una pedana uno scheletro compilato, cioèmontato con ossa appartenenti a vari individui, di Lep-tobos etruscus, artiodattilo simile ad un’antilope azzur-ra indiana, molto comune fra le specie che popolava-no la Toscana nel Villafranchiano.

Sala 3Volendo trovare un elemento caratterizzante di questasala segnaliamo la presenza di molti Tipi di specie dimammiferi villafranchiani: Equus stenonis (equide digrossa taglia, la cui specie fu istituita da Cocchi nel 1867e dedicata a Nicolò Stenone), Equus stehlini (di dimen-

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sioni minori, definito da Augusto Az-zaroli nel 1965), Leptobos etruscus (lagrande antilope, di Falconer 1856),Leptobos vallisarni (affine ai bisonti,seppure di forma più snella, specieistituita da Giovanni Merla nel 1949),Stephanorhinus etruscus (rinocerontedalle due corna, Falconer 1868), Susstrozzii (Meneghini & Major 1881, si-mile all’attuale cinghiale di Giava),varie specie di Carnivori, esposti nel-la vetrina sulla sinistra, tra cui Ho-motherium crenatidens (Fabrini 1890)

e Megantereon cultridens (Cuvier 1824), Felidi della Sot-tofamiglia dei Macaroidontini, le cosiddette “tigri daidenti a sciabola” ed al centro Hippopotamus antiquus(Desmarest 1821). Lo scheletro montato di ippopotamo,di grande taglia, è pressoché completo e le caratteristi-che anatomiche sono simili a quelle degli ippopotamiattuali, con muso allargato sul davanti e occipitale ri-levato, ad indicare che questi animali svolgevano mol-ta attività nelle acque dolci degli ambienti lacustri este-si, tipici dei laghi intermontani interappenninici, do-

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Homotheriumcrenatidens

Hippopotamusantiquus

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194museo di storia naturale

Fossili di Firenze e dintorni

È difficile rivolgere il nostro pensiero ai fossili o al substrato rocciosopasseggiando per Firenze, attratti dalle mille forti sollecitazioni che

un passato assai più vicino di quello geologico e ben più visibile ci ha la-sciato. Nel territorio cittadino affiorano terreni mesozoici, la Pietraforte creta-cea, e terreni cenozoici, il Macigno oligo-miocenico e i depositi lacustrivillafranchiani. La Pietraforte consiste in un’alternanza di strati di arenaria torbiditicaquarzoso-calcarea e di argilliti. Talora vi si ritrovano lenti di microcon-glomerati quarzoso-calcarei detti “cicerchina”. Si presenta molto compat-ta, di colore giallastro e costituisce un corpo roccioso, spesso fino a 800 m,all’interno della Formazione di Sillano (Cretaceo superiore). Per la suabuona resistenza e per gli abbondanti affioramenti presenti nella zona suddi Firenze, essa è stata largamente impiegata come materiale da costru-zione, basti per tutti l’esempio di Palazzo Vecchio.Il Macigno è una formazione torbiditica consistente in potenti strati, spes-si anche decine di metri, arenacei con sottili interstrati argillosi o argillo-so-siltosi. La formazione affiora estesamente nell’area dell’Abetone e deiMonti del Chianti, dove raggiunge 1600 m di spessore, di età compresa tral’Oligocene superiore e il Miocene inferiore. Superiormente passa alla For-mazione delle Arenarie di Monte Modino, presente a nord di Firenze(Monte Rinaldi e Monte Ceceri). Di colore grigio-azzurro al taglio frescoe ocra all’alterazione costituisce la cosiddetta pietra serena, il famoso e co-mune materiale lapideo usato in molte opere architettoniche fiorentine.I depositi lacustri riconosciuti oggi nelle aree di fondovalle sono rappre-sentati da argille, sabbie e conglomerati plio-pleistocenici giacenti in ge-

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nere orizzontalmente, in discordanza angolare, sul substrato roccioso in-teressato dai corrugamenti appenninici.Proprio dai terreni sottostanti il suolo cittadino o affioranti nei suoi im-mediati dintorni provengono alcuni resti fossili per lo più scavati duran-te vari lavori di ampliamento cittadino, fin dagli anni di Firenze capi-tale. Ma la raccolta dei fossili fiorentini ha inizio molto tempo prima einizia proprio nei terreni più antichi. Nel 1776, nelle “Lettres sur la Mi-neralogie e sur divers autres objets de l’Histoire Naturelle de l’Italie”, Fer-ber narra della raccolta di un “corno d’ammone” pietrificato da parte delnaturalista Pier Antonio Micheli in una cava di Pietraforte, detta in cer-ti casi Bardellone, a Le Campora, presso Marignolle a sud di Firenze. An-cora oggi i visitatori possono osservare quest’esemplare conservato nelle no-stre collezioni, Tipo della specie Mortoniceras michelii, ammonite dal-la conchiglia moderatamente evoluta con giri a sezione subquadrata, de-

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dicata all’illustre raccoglitore da Paolo Savi nel 1846 (Hamites miche-lii), specie riveduta poi da Ardito Desio nel 1920.Dalla Pietraforte delle cave di Monteripaldi, sempre a sud di Firenze, pro-vengono ancora molti esemplari di ammoniti e alcuni inocerami (Lamelli-branchi mesozoici dalla conchiglia inequivalve a ornamentazione concentri-ca) conservati al Museo, raccolti fino al 1920 circa, periodo in cui si conclusel’attività estrattiva nelle suddette cave, oggi completamente abbandonate. Il Museo conserva inoltre diversi esemplari di tracce di organismi mari-ni vari (vermi, gasteropodi, trilobiti, ecc.) tra cui il Tipo del Genere Pen-natulites istituito da De Stefani (1885) rinvenuto nella Pietraforte affio-rante lungo la valle del torrente Mugnone, presso Pratolino.I depositi lacustri affiorano in alcune aree limitate presso Fiesole a norde lungo la Via Senese a sud; per il resto sono ricoperti da una coltre di se-dimenti alluvionali dello spessore di 10-12 m, perciò i fossili villafranchia-ni sono stati raccolti o in queste zone o in scavi, pozzi e gallerie cittadi-ne. Col trasferimento della capitale da Torino a Firenze, nel 1866 il Con-siglio comunale fiorentino approvò una serie di ammodernamenti dellacittà, consistenti nell’ampliamento delle strade cittadine e conseguente ab-battimento delle mura medievali. I lavori ritardarono per varie difficoltàeconomiche e solo dal 1880-1881 interessarono ampie zone dell’abitato.Dagli scavi di quegli anni e successivi vennero alla luce diversi resti alcu-ni conservati nel Museo e appartenenti alle seguenti specie: Anancus ar-vernensis, Mammuthus meridionalis, Elephas antiquus, Leptobosetruscus, Stephanorhinus etruscus. Le località di raccolta sono i Lun-garni, il Viale dei Colli, il Cimitero degli Allori, la galleria ferroviariadel Pellegrino in Via Bolognese, pozzi alle Cascine, le fornaci ai Renaipresso Signa. In particolare si può ammirare una bella zanna di Mam-muthus meridionalis donata al Museo da Sua Maestà Vittorio Ema-nuele nel 1864, rinvenuta in terreni di regia proprietà, presso La Pacefuori Porta Romana, durante i lavori in zona Bobolino.

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ve potevano trascorrere gran parte della loro esistenza.Possiamo osservare ancora esemplari – alcuni Tipo – dimolte specie di piccoli mammiferi villafranchiani e inparticolare: arvicola, volpe, mustelide, gatto selvatico,lepre, bertuccia, istrice, castoro. L’associazione faunisti-ca valdarnese del Villafranchiano superiore risulta quin-di assai variata e ricca, interamente composta da specieoggi estinte, con elementi di clima caldo-umido o tem-perato, ma di ambiente più aperto rispetto alla fitta fo-resta che regnava nella prima fase lacustre.Sempre nella terza sala, nella vetrina sottofinestra sonoraccolti vertebrati ed invertebrati fossili, accomunatidalla provenienza fiorentina o degli immediati dintor-ni (vedi box di approfondimento).

Sala 4Le ultime tre sale dell’ala destra sono interamente dedi-cate ai Proboscidati ed i resti qui conservati (Anancus ar-vernensis, Mammuthus meridionalis) testimoniano comequesto gruppo di animali fosse assai diffuso e ben rap-presentato durante tutto il Villafranchiano (2,5-1,0 Ma),sia nel Valdarno superiore sia in altre località toscane.A sinistra lo scheletro montato IGF 319 di mastodonteAnancus arvernensis (mastodonte d’Alvernia), probosci-dato primitivo estinto, diffuso in Europa durante il Plio-cene. Era dotato di molari bunodonti, ossia provvisti ditubercoli mammellonati (da cui il nome “mastodon-te”), mandibola corta, difese o zanne superiori moltolunghe e diritte (“anancus” = senza curve, in greco). L’e-semplare fu recuperato da Filippo Nesti nel 1826 pres-so il monastero di Montecarlo (Arezzo) in depositi del-la prima fase lacustre del Valdarno superiore. Le difeseoriginali sono collocate sempre sulla pedana, a causa delloro consistente peso. L’habitat di questi animali era fo-

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restale, con ambiente di fitta vegetazione dove per pa-recchie ore poteva sostare a cibarsi, senza dover affron-tare grandi spostamenti che la conformazione corporeamassiccia e ingombrante non avrebbe consentito. Il re-perto è indicato familiarmente col soprannome “Pip-po”, a ricordare il suo scopritore. Sempre in sala 4, sulla pedana a destra, è montato unoscheletro incompleto di un grande elefante, esemplaredella sottospecie Mammuthus meridionalis vestinus rac-colto presso l’Abbazia protoromanica di Farneta in Valdi Chiana, in una cava di sabbia. Si tratta di un enor-me scheletro di femmina purtroppo incompleto, la cuialtezza supera i 4 m, amichevolmente chiamato “Lin-da” dal nome di una ragazza presente durante lo scavoeffettuato nella primavera del 1973. Della stessa sotto-specie un imponente scheletro trovato a Scoppito, vi-cino L’Aquila, nel 1954, è conservato presso il Castellode L’Aquila, rimasto fortunatamente integro dopo il ca-tastrofico terremoto aquilano del 6 aprile 2009. La vol-ta cranica di questi elefanti è molto sviluppata verso l’al-to, ma appiattita in senso antero-posteriore, la fronte lar-ga e i premascellari lunghi. I fossili di Farneta e dintor-

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Anancusarvernensis

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ni sono stati recuperati nei deposi-ti pleistocenici del bacino della Valdi Chiana. Tale bacino, che si esten-de da Arezzo fino a Chiusi, è attra-versato dalla Chiana – un tempo af-fluente del Tevere – il cui CanaleMaestro fu fatto scavare nel 1338 perdeviarne il corso verso l’Arno. Dalla località nota come Farneta edalle aree limitrofe provengono mol-ti importanti reperti fossili recupe-rati nei decenni scorsi principalmen-te ad opera dell’appassionato ed in-faticabile don Sante Felici, parroco(1937-1992) dell’Abbazia di Farneta.Il materiale paleontologico che inpassato era ospitato presso l’Abba-

zia costituisce una parte di più vaste raccolte, anche ar-cheologiche e demoetnoantropologiche, custodite dadon Sante ed esposte nel “Museo fatto in casa”, comeegli soleva chiamare quell’Antiquarium, da tanti amatoe ben noto a studiosi e appassionati. I luoghi dove sonoavvenuti i più importanti rinvenimenti paleontologicidella zona, sono oggi visitabili percorrendo un sentieropaleontologico recentemente allestito, che partendo dal-la ex scuola elementare di Farneta oggi ristrutturata, pro-cede per 5,5 km in un percorso a bassa difficoltà, even-tualmente percorribile anche in bicicletta o a cavallo.

Sala 5Il cranio situato a sinistra nella sala, proveniente da de-positi ghiaiosi presso Sant’Andrea in Percussina (Val diPesa, Firenze) appartiene alla specie di mastodonteAnancus arvernensis (IGF 1068) fu trovato presso Villa

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Mammuthusmeridionalisvestinus

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Pietta e donato dal Cav. E.O. Fenzi nel 1883. La villadel ritrovamento appartenne in origine alla famiglia diNiccolò Machiavelli. Una delle due difese si presentamolto più corta dell’altra ma ben appuntita, cosa chefa supporre che si fosse spezzata in vita e riaffilata conl’uso. Dal nome della località di rinvenimento tale re-perto è soprannominato “Andrea”.A destra nella sala, uno scheletro di un individuo gio-vanile di Mammuthus meridionalis proveniente dal Val-darno superiore (“Marta”), privo degli arti.

Sala 6La specie Mammuthus meridionalis (elefante) è presen-te in abbondanza nella seconda fase lacustre del Villa-franchiano superiore. Si tratta nell’insieme di un ani-male meno massiccio del mastodonte e capace di muo-versi liberamente in ambienti più aperti, temperati enon più di foresta calda e fitta come quella in cui vive-va il mastodonte. L’esemplare più rappresentativo e completo di Mam-muthus meridionalis è quello qui esposto. Questo esem-plare fu recuperato dal Prof. Augusto Azzaroli a Borro al

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Anancusarvernensis,cranioincompleto

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Quercio presso Montevarchi nel 1953 e fu scoperto a po-chi centimetri di profondità durante i lavori di prepara-zione di una vigna. Si tratta di un maschio adulto quasicompleto trovato in connessione anatomica, dell’altezzadi 3,95 m. Soltanto l’arto anteriore sinistro e la parte som-mitale del cranio si presentavano lievemente danneggia-ti, tutto il resto era in perfette condizioni e disposto suun fianco. Fu recuperato e trasportato a Firenze nei lo-cali del Museo; qui rimase in attesa di restauro e mon-taggio finché non furono trovati spazi e personale neces-sari per affrontare il grande lavoro, terminato nel 1968.Il soprannome di questo elefante è “Pietro”, dalla for-ma della sinfisi mandibolare che richiamò alla mente ilpizzetto di un geologo fiorentino. Comunque il sopran-nome è risultato calzante per questo imponente sche-letro ed ormai schiere di ragazzi venuti in visita al Mu-seo sono rimaste affascinate e lo ricordano familiarmen-te come “Pietro”.

Mammuthusmeridionalis

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Esso rappresenta una specie simile all’attuale elefanteafricano, assai diffusa nell’ambiente di savana mista aboscaglia che caratterizzava il Valdarno superiore in-torno a un milione e mezzo di anni fa. Da notare l’e-semplare Tipo della specie, il cranio posto su una basea sinistra dell’entrata.La vetrina sottofinestra illustra lo sviluppo della denta-tura di M. meridionalis. In questo genere, come del re-sto in tutti i proboscidati evoluti, la dentatura è specia-lizzata e costituita dai soli molari, tre per quadrante. Lelamelle che costituiscono i molari sono di dentina, co-perte da smalto e collegate da cemento ed aumentano innumero dal primo al terzo molare. In seguito all’usura imolari sono progressivamente spinti in avanti e sostitui-ti da quelli posteriori che entrano in funzione scorrendocosì dal dietro in avanti. Nella vetrina da destra verso si-nistra sono esposti resti di individui di età crescente, daun individuo giovane fino a un resto di uno assai vecchio,con il terzo molare quasi del tutto consumato.Nella sala troviamo esposte alcune difese di dimensio-ni imponenti e crani di altri individui, sempre rinve-nuti in località toscane.

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Dentature dielefanti

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Sala 7La sala 7 è interamente dedicata alle faune tardo-quaternarie del Pleistocene superiore e Olocene italia-no, caratterizzati da numerose oscillazioni climatiche,con periodi glaciali freddi intervallati da fasi interglacia-li temperate o calde. Queste alternanze climatiche han-no fortemente influenzato la flora e la fauna provocan-do migrazioni o adattamenti evolutivi. Sono esposti va-ri resti fossili recuperati in grotte italiane. Resti di camo-scio alpino (Rupicapra rupicapra) qui esposti nella vetri-na a parete destra provengono dall’Abisso dei Draghivolanti nelle Alpi Apuane, latitudine più bassa raggiun-ta da questa specie. Più avanti resti scheletrici di leonedelle caverne e di leopardo, recuperati durante gli scavieffettuati ai primi del secolo scorso nella Grotta di EquiTerme (Alpi Apuane, Lunigiana). Dalla stessa grotta pro-viene lo scheletro compilato di Ursus spelaeus, collocatocentralmente nella sala, specie comparsa in Europa nelPleistocene. La sua estinzione sembra legata alla drasti-ca diminuzione di cibo dovuta alla scomparsa di molteforeste durante l’ultimo glaciale (Würm). L’orso dellecaverne differiva dall’attuale orso bruno per le dimen-

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Ursus spelaeus

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Il Ciclope Polifemo e gli elefanti

L’aspetto del cranio degli elefanti fossili è caratterizzato dalla grandecavità nasale centrale a forma di otto dove in vita si innestava la

proboscide, che per la sua natura cartilaginea non può fossilizzare. Alcu-ne faune nane, analoghe e contemporanee a quelle diffuse in ambientecontinentale, popolavano la Sicilia, Magna Grecia degli antichi. L’aspet-to tipico del cranio era presente anche negli elefanti fossili nani (Elephasfalconeri) che vivevano nelle grotte della Sicilia durante l’ultimo milio-ne di anni. Ciò ha fatto ipotizza-re che il mito di Polifemo e dei Ci-clopi, mostri con un unico occhioposto al centro della fronte, abbiatratto origine proprio da un’erratainterpretazione di questi reperti chenell’antichità furono assimilati amostri con un unico occhio centra-le, abitanti in grotte o spelonche.Uno degli episodi principali del-l’Odissea (Omero, Odissea, libroix) è dedicato infatti all’avventu-ra di Ulisse che incontra il ciclopePolifemo nella sua grotta da pasto-re e – dopo averlo accecato – riescea trarsi in salvo, insieme ai suoicompagni, grazie all’applicazionedi un famoso stratagemma.

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sioni maggiori e per la fronte rilevata del cranio, assai mas-siccio. Il nome della specie deriva dal fatto che questogrande mammifero viveva appunto in grotte e caverne,dove trascorreva il periodo invernale in letargo. Alcunistudi compiuti su una gran quantità di resti di orso del-le caverne hanno evidenziato frequenti patologie delleossa, che causavano seri problemi alla vita di questo grup-po di animali, documentate da alcuni reperti esposti nel-la vetrina sottofinestra. Sempre in questa vetrina si tro-va anche una piccola raccolta di faune insulari prove-nienti dalla Sicilia, Sardegna, Pianosa, con casi di nani-smo o gigantismo tipici dell’endemismo insulare. Al centro della sala sono conservati un cranio ed un ar-to della Val di Chiana appartenenti a Elephas (Paleoloxo-don) antiquus, specie di elefante di grandi dimensionidel Pleistocene medio e superiore europeo, in linea evo-lutiva con l’elefante indiano. Un altro cranio di questoelefante – che aveva dimensioni veramente notevoli – fuscoperto nel 1965 nella cava di farina fossile di Valle Noc-chia, presso Pitigliano (Grosseto) ed è esposto in questasala. Il cranio di questi elefanti presenta volta cranica lar-ga, con una pronunciata cresta soprafrontale di osso pneu-matizzato, adatto ad assorbire urti e sostenere probosci-de e difese; i molari sono stretti e allungati. Nella stessacava nel 1992 fu recuperato un cranio qui esposto di uncervide direttamente correlato al cervo nobile europeo.Tre imponenti crani con corna di Bos primigeniussono esposti nella sala e provengono dai deposititardo-pleistocenici del Valdarno superiore, della Val diChiana e di Ponte Molle presso Roma. Si tratta dell’u-ro, grande bovide estinto, comune nel Pleistocene su-periore europeo.

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Sala 8La penultima sala dell’ala sinistra è dedicata ai fossili deicontinenti extraeuropei. Al centro vi è una collezionedi cinque scheletri di uccelli non volatori (Moa), vissu-ti fino a due secoli fa in Nuova Zelanda e caratterizza-ti dall’atrofizzazione totale degli arti superiori. Questiesemplari provengono dai depositi delle torbiere diGlenmark (Isola del Sud, Nuova Zelanda) e furono do-nati al museo nel 1872 dal Prof. Haast. Appartengonoalle specie Dinornis giganteus, Euryapteryx geranoides.Alcuni frammenti di uova e piume di moa dalla Sezio-ne di Zoologia del Museo di Storia Naturale sono espo-sti qui, essendo l’estinzione avvenuta in epoca storica ecausata dalla caccia indiscriminata tra il xvii e il xviiisecolo; inoltre qui sono visibili alcuni modelli delle uo-va di questi uccelli.Dalla parete di sinistra in sequenza le vetrine conten-gono resti provenienti dal Nordamerica, Asia, Africa eSudamerica. Da segnalare, un modello del cranio delgrande dinosauro saurisco er-bivoro Diplodocus carnegieidel Giurassico superiore delNordamerica; alcuni crani diCoelodonta antiquitatis o ri-noceronte lanoso e molari epeli di mammut (Mam-muthus primigenius) del tar-do quaternario della Siberia;ricostruzioni e resti di dino-sauri saurischi (Gallimimusbullatus e Prenocephale prenes)del Cretaceo del deserto delGobi, Mongolia; un model-lo del cranio e la ricostruzio-ne di Goronyosaurus nigerien-

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Moa

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La tigre dai denti a sciabola

Studi recenti sulla potenza del morso dello smilodonte hanno dimostra-to che essa era di appena un terzo rispetto a quella di un leone dei gior-

ni nostri. Come siamo arrivati a tale affermazione? Utilizzando una tec-nica computerizzata per calcolare con precisione ingegneristica i carichiche poteva sopportare la loro struttura cranica. Gli smilodonti usavanoquindi la potenza per atterrare le prede e poi infierire morsi letali che re-cidevano le vene giugulari o la trachea, uccidendole in pochissimo tempo.Inoltre potevano aprire la mandibola fino a 120°, contro i normali 65° diun carnivoro qualsiasi e raggiungevano 400 kg di peso. Le loro prede era-no di grandi dimensioni, come mammuth, bisonti, cavalli o bradipi gi-ganti. Vivevano in savane con cespugli da usare come nascondigli. Moltischeletri di smilodonti (Smilodon ca-lifornicus) sono stati ritrovati in sedi-menti bituminosi risalenti a circa40.000 anni fa nel famoso sito fossilife-ro di Rancho la Brea, presso Los Ange-les (USA). In questi laghi di bitume –talora mascherate da acqua stagnante– rimanevano intrappolati durante leloro battute di caccia, attirando altriindividui che a loro volta rischiavanodi non uscirne. Questa specie è entrataa far parte della cultura popolare, spe-cialmente in seguito al cartone anima-to “L’era glaciale” (ruolo di Diego) e alsequel che ne è derivato.

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sis, mosasauro marino cretacico della lunghezza di 10m, raccolto negli anni ’70 dal personale del Museo fio-rentino nella Nigeria nord-occidentale; esemplari e mo-delli di gliptodonte e di bradipo gigante (Megatheriumcuvieri) del Pleistocene dell’Argentina. Nella vetrina delSudamerica si trova anche un modello del cranio di ungrande carnivoro dotato di denti canini eccezionalmen-te lunghi, circa 28 cm, Smilodon neogaeus, la più gran-de tigre dai denti a sciabola mai esistita.

Sala 9Questa sala è interamente dedicata all’evoluzione degliEquidi. Al centro della sala troviamo 5 scheletri dispo-sti in ordine progressivo di dimensioni, corrisponden-te ad un ordine progressivo di età geologica. La storiadi questa Famiglia inizia 55 milioni di anni fa, durantel’Eocene, quando fece comparsa un tipo di equide(Eohippus o Hyracotherium, nella vetrina a destra) mol-to diverso dall’attuale cavallo, di dimensioni assai piùridotte, con zampe e cranio diversi. Il più remoto an-tenato del cavallo era di taglia piccola, come un cane dimedia statura, con 4 dita della mano e 3 del piede e den-ti a corona bassa. Nei 50 milioni di anni seguenti, gliadattamenti all’ambiente, che nel frattempo si era tra-sformato, portarono questi animali a profonde modi-fiche, con forme più grandi, muso e denti più lunghi ezampe sempre più adatte alla corsa. Oggi il cavallo(Equus caballus) appoggia in terra l’unghia del terzo di-to, lo zoccolo, risultando specializzato negli spostamen-ti di corsa. Le modifiche della dentatura furono provo-cate da adattamento nell’alimentazione, inizialmentebasata su foglie e poi su erbe, più dure e abrasive. Quin-di si passa da primitivi cavalli brucatori di cespugli o al-beri a basso fusto in foreste umide, a nuovi tipi di ca-

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valli adatti a corse in grandi praterie. Nel grande tabel-lone posteriore si nota l’albero evolutivo con la diffu-sione degli equidi nei vari continenti. La comparsa de-gli equidi avvenne in Nordamerica, da dove migraro-no nel Miocene (circa 10 milioni di anni fa) verso l’Eu-rasia. L’evoluzione dei cavalli rappresenta un esempioclassico ricorrente nei testi e nelle schematizzazioni del-le teorie evolutive, data l’abbondanza di reperti docu-mentanti le successive modificazioni apportate all’ana-tomia di questi animali nel corso di 50 milioni di anni.A sinistra dell’ingresso una bacheca di vetro contieneuna sepoltura rituale di un cavallo, proveniente da unatomba paleoveneta (vi-v sec. a.C.) di una necropolipresso Padova. I pannelli descrittivi alle pareti infinesono relativi alle fasi dell’addomesticamento, alle sele-zioni delle varie razze, all’arte equestre ed allo sviluppodelle bardature del cavallo.

Corridoio centraleLa tematica che unifica l’esposizione nel corridoio cen-trale è la storia della vita sulla terra, con enfasi sull’evo-luzione degli organismi fotosintetici, dai batteri alle pian-

Evoluzionedegli equidi

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te, e degli animali, invertebratie vertebrati. All’ingresso, cen-tralmente, è posto un calco a di-mensioni reali del cranio di Ty-rannosaurus rex, il grande dino-sauro carnivoro vissuto nel con-tinente nordamericano duranteil Cretaceo superiore. Più avan-ti si staglia nella sua spaventosainterezza un ceratosauro, raffi-gurato da un modello in scalanaturale inserito in uno scenariodi caccia, nell’atto di predare al-cuni esemplari in fuga di scutel-losauro. Le impronte che il ce-ratosauro lascia sul fondo fan-goso sono una copia di quelleoggi visibili in Trentino, nella zona dei Lavini di Marcopresso la città di Rovereto. Qui affiora una successionerocciosa del Giurassico inferiore (190 Ma circa) formatada sedimenti di ambiente intertidale oggi litificati, im-magini di antichi fondali che preservano in vari straticentinaia di altre piccole e grandi impronte di dinosau-ri erbivori e carnivori. Alla parete sinistra venendo dall’entrata troviamo un al-lestimento dedicato all’origine e all’evoluzione dei ver-tebrati, il più complesso e articolato gruppo di organi-smi viventi sulla Terra, e delle grandi piante che carat-terizzano la vita sul nostro pianeta. L’aspetto degli an-tenati dei vertebrati moderni è felicemente reso da mo-dellini in cera posti in un contesto tridimensionale cheillustra il loro rispettivo ambiente di vita. Le forme inmostra costituiscono una specie di “marcia trionfale”volta a mostrare la progressiva conquista delle terre emer-se e l’avvicendarsi di grandi rettili e mammiferi seguito

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Ceratosaurus eScutellosaurusricostruzione inscala naturaledi una scenadi caccia,Giurassicoinferiore

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all’estinzione al termine del Cretaceo. Gli organismirappresentati comprendono gli antenati dei pesci e ditutti i vertebrati, come Hemicyclaspis e Bothryolepis, al-cuni dei primi anfibi come Ichthyostega, i grandi rettiliterrestri come Tyrannosaurus e, infine, mammiferi e uc-celli scomparsi, con volti per noi più familiari e i cui re-sti si trovano nei terreni terziari di tutto il mondo. Tradi essi troviamo il Megatherium dell’America latina stu-diato da Georges Cuvier e Charles Darwin e il gigante-sco Baluchitherium. Sullo sfondo una seconda “marciatrionfale” in forma di silhouette di piante appartenen-ti al periodo geologico corrispondente agli animali ri-tratti di fronte. Attraverso questa semplice successionedi disegni è possibile percepire il progressivo aumentodi dimensione delle piante terrestri e riconoscere il pas-saggio da una biosfera dominata da licopsidi e felci, fi-no a quella moderna dominata dalle angiosperme.La prima vetrina del corridoio è dedicata agli organi-smi che hanno determinato la presenza di ossigeno li-bero tra i gas componenti l’atmosfera nella quale ci tro-viamo immersi: le piante e altri organismi fotosinteti-ci. In primo luogo troviamo, in forma di rocce dettestromatoliti, quelli che si pensa siano i fossili di algheverdi-azzurre, resti dei primi organismi fotosintetici delpianeta. Sono i fossili più antichi conservati nel nostromuseo, provenienti da rocce precambriane (700 milio-ni di anni fa circa) della Mauritania. Hanno la tipicastruttura laminata e concentrica prodotta dall’alternan-za di tappeti algali e fango. Con un salto temporale diqualche centinaio di milioni di anni, passiamo dallestromatoliti alla flora tardo-carbonifera (circa 300 mi-lioni di anni fa) raccolta in Toscana sul Monti Pisani ea Iano, presso Montaione, composta da felci comeAcitheca, le tipiche piante vascolari del tardo Paleozoi-co. Sempre appartenenti al gruppo delle pteridophyte

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sono le flore fossili del giurassicoprovenienti dall’Inghilterra (Cy-clopteris huttoni) e da altre impor-tanti località paleobotaniche ita-liane, questa volta in Veneto (Cy-cadopteris brauniana). Profonda-mente diversa è la flora che si evol-ve nel Cretaceo e che si espandedurante il Paleogene per domina-re attraverso il gruppo delle angio-sperme, o piante con fiore, il pa-norama vegetazionale della terra.Sono in esposizione frutti fossili diantiche piante intertidali cono-sciute (Nypa, una palma), dall’Eo-cene del Belgio, accanto a foglie efrutti raccolti nelle successioni li-gnitifere plioceniche del Valdarnosuperiore.A partire dalla seconda vetrina possiamo seguire la sto-ria di alcuni gruppi di animali invertebrati e della straor-dinaria varietà dei loro adattamenti. Le associazioni difossili sono suddivise per intervallo di tempo e per lo-calità geografica. Nella seconda vetrina del corridoio sitrovano quattro faune del Paleozoico (o Primario), ri-spettivamente rappresentative delle epoche Cambria-no, Ordoviciano, Devoniano e Permiano. Tra gli esem-plari della fauna del famoso giacimento di Burgess (Ca-nada), testimonianza della grande diversità di piani cor-porei presenti nei mari del Cambriano medio (510-500Ma), troviamo le piccole Marrella splendens e Burgessiabella e i trilobiti Ptychagnostus e Ogygopsis. Questi ap-partengono a gruppi di Artropodi senza affinità con leforme oggi viventi (crostacei, insetti, aracnidi) e che so-lo in parte lasciarono discendenti nelle epoche succes-

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Acithecaisomorpha,PermianoInferioreMonte Vignale(Pisa)

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sive (Trilobiti). La fauna fossile ordoviciana della regio-ne nordamericana di Ohio e New York evidenzia gli ef-fetti della più impressionante radiazione evolutiva del-la storia della vita, quella che portò all’avvento delleprincipali linee evolutive degli animali oggi viventi. Traquesti fossili riconosciamo il trilobite predatore Isote-lus maximus e il crinoide Carabocrinus vancortlandti.Dal Devoniano della regione di Eifel, in Germania (395Ma), provengono i grossi Brachiopodi spiriferidi espo-sti. La vetrina dedicata al Paleozoico è completata dalPermiano di Sosio, in Sicilia (266 Ma), con le sue ma-gnifiche faune raccolte entro la Pietra di Salomone, uncarbonato bianco a grana fine. Tra di esse troviamo al-cune specie di Brachiopodi, oggi estinti, con adatta-menti alla vita intertidale realizzati da una valva a for-ma di “tappo”, esempio della straordinaria plasticitàraggiunta da questo gruppo, prima della grande estin-zione che segna la fine del Paleozoico.La terza vetrina è dedicata alle faune fossili rappresen-tative del Mesozoico (o Secondario), con associazionidel Trias di Dolomiti e Montenegro, del Dogger ingle-se e del Cretaceo superiore francese. I grandi protago-nisti di questo spazio espositivo sono le ammoniti, mol-luschi cefalopodi oggi estinti, ma con struttura similea quella del vivente Nautilus, partecipi della radiazione

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Encrinuslilliformis,Trias medio diBeyrenth(Germania)

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evolutiva che seguì la maggiore estinzione della storiaal termine del Permiano. La fauna triassica della Dolo-mia Principale comprende i grossi bivalvi megalodon-ti tipici delle pendici delle Dolomiti, come Gemellaro-dus seccoi, vissuti sulle piattaforme carbonatiche in cli-ma tropicale, nelle propaggini più occidentali dell’o-ceano Neotethys che si andava aprendo in mezzo al su-percontinente di Pangea (205-215 Ma). Fossilizzate in carbonato di colore rossastro troviamole ammoniti del Montenegro come Gymnites stefanii eCeratites boljovicensis, con diversi tipi di sutura. L’asso-ciazione e il tipo di roccia sono indicativi di un am-biente pelagico, di mare aperto. Da località di grande importanza storica come Lyme Re-gis e altre dell’Inghilterra già note ai padri della geolo-gia e della paleontologia, provengono fossili di formeimparentate con alcune viventi, come la stella serpen-tina (Ophioderma egertoni, Lias) e il riccio di mare (Dia-dema pseudodiadema, Dogger), e forme estinte (Cosmo-ceras jason, un’ammonite dell’Oxfordiano). Da una lo-calità tedesca viene invece Apiocrinus parkinsoni, orga-nismo affine ai moderni gigli di mare (sono animali, adispetto del nome).

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Megalodonte

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Come mostra l’esposizione di fossili francesi e inglesi,le ammoniti del Cretaceo superiore presentano formenon più solo ad avvolgimento planispirale chiuso, maaperto (Crioceras), elicoidale (Turrilites) o a bastone(Hamites), tutti abili nuotatori in mare aperto. Sui fon-dali bassi si trovavano invece bivalvi (Radiolites) conadattamento simile ai moderni coralli. Al termine delCretaceo, a circa 65 Ma, una seconda importante rivo-luzione, legata all’impatto di un asteroide con il nostropianeta, portò interi gruppi di organismi marini all’e-stinzione, tra cui le ammoniti e le rudiste, cambiandoin modo radicale l’aspetto della biosfera.L’ultima vetrina del corridoio è dedicata alla vita anima-le durante il Cenozoico (o Terziario) e la seconda epocaa noi più vicina, il Pleistocene (o Quaternario), dallaquale ci separa l’Olocene, gli ultimi 10.000 anni. Duran-te l’Eocene (55-37 Ma) la terra e le forme sopravvissuteall’estinzione di fine-Cretaceo sperimentarono le più al-te temperature mai registrate nel Cenozoico, quando unclima subtropicale si estendeva alla latitudine di Londra.Tipici di acque calde sono i grossi protozoi (non pro-priamente “animali”) qui rappresentati da Nummulites

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PectenJacobaeus

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carteri della Somalia, guscio fos-silizzato di 3-4 cm fabbricato daun organismo unicellulare (lerocce delle piramidi sono costi-tuite quasi esclusivamente dagusci fossili di questi protozoi).Dal Bacino di Parigi provengo-no il più grande gasteropodemai vissuto, Campanile gigan-teum e i gasteropodi di mangro-vieto come Tympanotonos trica-rinatus. Di analogo significatocaldo-umido sono i fossili diBolca e di altre località del Ve-neto, come la grande aragosta Palinurus, esposta sullaparete accanto alle vetrine, il gasteropode Rostellaria, igrossi bivalvi a forma di cuore (Cardiidi) e i crostacei de-capodi (Harpactocarcinus quadrilobatus). Nell’epoca se-guente, l’Oligocene, dopo una fase di raffredamento glo-bale, si instaurò una fauna progressivamente più similea quella odierna, come mostrano i coralli e gasteropodifossili delle prealpi vicentine. Dopo una nuova lunga fa-se calda si è evoluta la fauna marina i cui resti fossilizza-ti sono oggi presenti in grande varietà di forme in mol-te colline della Toscana, quegli stessi gusci la cui presen-za ispirò Leonardo da Vinci a formulare una teoria sul-l’origine organica dei fossili. Dal Pliocene toscano (5,5-1,6 Ma) sono in mostra Echinidi (Clypeaster pliocenicus),bivalvi di grosse dimensioni (Pelecyora brocchii), crosta-cei decapodi (Eriphia cocchii) e altre specie di molluschitra cui specie viventi e specie estinte.Due ultime faune, dominate da molluschi bivalvi e ga-steropodi, chiudono l’esposizione, a rappresentare i ter-reni del Pleistocene, di cui pure la nostra regione è ric-ca. La prima è di clima più freddo rispetto a quello del

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Strombusbubonius,Quaternario,Isola di Pianosa

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Pliocene e caratterizzata da forme dell’Atlantico setten-trionale, note come “ospiti freddi”, oggi non più pre-senti in Mediterraneo (Arctica islandica, Mya truncata).Essa testimonia dei primi importanti episodi di raffred-damento che caratterizzarono l’era glaciale. Infine lafauna a Strombus bubonius, gasteropode oggi vivente nelSenegal, ci documenta il temporaneo ritorno a condi-zioni subtropicali avvenuto circa 120.000 anni fa.

Sala Strozzi La Collezione Strozzi è sistemata nell’omonima sala alpiano terreno. La storia di questa collezione inizia nel1910 con la donazione da parte del marchese Carlo Stroz-zi all’Istituto di Studi Superiori di Firenze della collezio-ne raccolta dall’omonimo nonno, insigne naturalista,nella villa di Lavacchio presso Pontassieve (Firenze). Uni-ca condizione che fosse riunita tutta in una sala intito-lata all’autore. Tale sala fu disponibile solo dopo il 1925quando finalmente tutti i reperti furono sistemati neibianchi mobili lignei che ancora oggi contengono que-sta collezione. Nella Sala Strozzi – oggetto di recente ri-sistemazione – si possono quindi osservare più di 6500campioni tra vertebrati (mammiferi del Valdarno supe-riore), invertebrati di varie località fossilifere della To-scana, del Veneto ma anche europee, rappresentanti deiprincipali gruppi e periodi geologici e una splendidaraccolta di flora fossile italiana. Questi ultimi campio-ni provengono dalla Maremma, dai travertini pressoMassa Marittima, dal Valdarno superiore e inferiore esono stati figurati e descritti dal marchese Strozzi e dalfamoso botanico svizzero Charles Théophyle Gaudin inun’importante monografia del 1858.

(visitabile il sabato e la domenica)

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Oltre l’esposizione! Deposito collezioni - II pianoAl secondo piano dell’edificio di ViaLa Pira sono custodite ricchissimecollezioni di invertebrati e piante.Molti campioni sono conservati inoriginali vetrine lignee collocate in 6grandi sale, disposti in ordine geo-cronologico, dal Precambriano alQuaternario. Sono presenti campio-ni da ogni continente. A metà del1800 doveva sorgere a Firenze la Col-lezione Centrale Italiana di Paleon-tologia, curata dal Prof. Cesare D’An-cona. Il progetto non fu concluso, male collezioni fiorentine si arricchiro-no notevolmente di materiale prove-niente da tutto il mondo. Infatti, congli oltre 200.000 esemplari, costitui-sce una delle più importanti collezio-ni paleontologiche presenti al mon-do. Importantissima la collezione deimolluschi pliocenici toscani (oltre16.000 scatole). Rilevante anche lacollezione di tracce fossili qui presen-ti, tra cui la Collezione Fucini raccol-ta e pubblicata dal geologo AlbertoFucini in due grandi monografie(“Problematica Verrucana”), con ich-nospecie di Tetrapodi dei Monti Pi-sani, come le orme lasciate da un pic-

colo dinosauro toscano vissuto nell’a-rea (Grallator toscanus).La collezione di piante fossili paleo-zoiche è molto ricca, con esemplaridi rilievo provenienti dai depositi delCarbonifero della Germania e deiMonti Pisani. I campioni raccolti inquest’ultima zona da Carlo De Ste-fani alla fine del 1800 rappresentanouna meravigliosa documentazionedella flora esistente in Toscana circa300 milioni di anni fa.

Veduta dei depositi delle collezioni diinvertebrati e piante

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Sezione di Mineralogiae Litologia

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Nel 1880 le collezioni mineralogiche lasciarono glioriginari locali di Via Romana, sede dell’Impe-

rial e Regio Museo di Fisica e Storia Naturale, per tra-sferirsi nella sede attuale. L’impossibilità di mantene-re unito il Museo scaturiva dai divergenti interessi scien-tifici delle varie discipline, ma anche e soprattutto dal-l’aumentata consistenza delle collezioni naturalistiche.Lo spostamento nella nuova sede, che nella Firenzegranducale era destinata alle scuderie reali, avvennesotto la guida dell’allora direttore Prof. Giuseppe Grat-tarola.Il 4 ottobre 1881, in occasione della visita dei parteci-panti del Congresso Geologico Internazionale di Bo-logna, fu inaugurato ufficialmente il nuovo “Museo eLaboratorio di Mineralogia”. Gli ambienti espositivicomprendevano spazi molto più ampi degli attuali, male successive esigenze di far posto ai nuovi laboratoridi ricerca hanno portato a diverse ristrutturazioni fi-no a giungere nel 1973 a disporre di soli 380 m2, daglioltre 2000 iniziali.Con l’istituzione dell’Università (1924), il Museo per-de la sua autonomia, divenendo un’appendice dell’I-stituto di Mineralogia, fino alla riunificazione (1984),prima su base federativa poi effettiva, del Museo diStoria Naturale, articolato in sei Sezioni, dislocate invarie parti della città.Nella delicata fase di riunificazione, fondamentale èstata l’opera del Prof. Curzio Cipriani, che ha gestito,

Cenni storici e introduttivi

Luca BindiLucianaFantoniLuisa Poggi

Nuovoallestimento:vetrinadella collezionemediceadi pietrelavorate

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in particolare, la Sezione di Mineralogia. Fra le raccol-te storiche, di particolare rilievo è la collezione sette-centesca di Giovanni Targioni Tozzetti, costituita da cir-ca 5000 esemplari, corredata da cataloghi originali ma-noscritti. Di notevole importanza scientifica e storicasono i campioni portati a Firenze da Stenone, alcunidei quali studiati dal danese per giungere all’enuncia-to della legge “non mutatis angulis”, che ha determina-to la nascita della Cristallografia. Recentemente sonostati identificati alcuni di questi esemplari, ma altre in-dagini saranno necessarie per ritrovare quelli di ema-tite e quarzo a cui è legata la formulazione della leggefondamentale della cristallografia. Nelle collezioni delMuseo di Storia Naturale sono stati anche individua-ti alcuni esemplari provenienti dalla Sicilia e forniti alMuseo stesso da Déodat de Dolomieu nel 1788. Ac-canto a quest’ultimi vanno ricordate la collezione me-dicea di pietre lavorate e la collezione elbana. Di ac-quisizione più recente (nell’arco del Novecento) sono

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GiovanniTargioniTozzetti

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le collezioni Ciampi, Racah, Capacci, Ponis, Giazot-to e quella di micromount di Koekkoek.La consistenza numerica dei campioni (oltre 50.000),continuamente incrementata con l’acquisizione di nuo-vo materiale, e l’alto valore scientifico e storico dellecollezioni fanno di quello dell’Università di Firenzeforse il più importante Museo mineralogico italiano euno dei più conosciuti all’estero. Importanti lavori diristrutturazione hanno interessato nel 2008 e 2009 ilsalone espositivo, che riapre ora con un nuovo allesti-mento progettato dall’Arch. Piero Roberto Papi e re-so possibile anche grazie ad un contributo concessodall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.

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delPianta MuseoSezione Mineralogia e Litologia

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ingresso

Collezione Ponis

Trasparenze

Sezione Didattica

MineraliFluorescenti

Collezione Elbana

CollezioneMedicea

Berillo varietàacquamarina

Topazio

Piano di tavolointarsiato

Pietre ornamentali edure pietre sintetiche

Collezionesistematica

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Ingresso

A ll’entrata il visitatore è accolto dalla statua del Prof.Giuseppe Grattarola (1844-1907), direttore del Ga-

binetto e Museo di Mineralogia, sotto la cui direzionela sezione di Mineralogia si è trasferita dalla sede origi-naria dell’I.R. Museo di Fisica e Storia Naturale di ViaRomana a questi locali. A lui si deve l’ac-quisizione delle collezioni Foresi e Roster,che formano il nucleo principale dellacollezione elbana. L’opera fu realizzatain bronzo da Antonio Ippazio Borto-ne e poggia su un blocco di grani-to elbano (dono dell’allievo G.Pullè).Gli armadi ottocenteschi all’in-gresso forniscono un piccolosaggio delle collezioni del Mu-seo, da quelle storiche, a quel-le più recenti, compresi al-cuni strumenti, una volta diuso comune nel Museo e neisuoi laboratori. Un recenterestauro ha permesso di re-cuperare una piccola partedegli arredi originali ottocen-teschi, dotandoli dell’impian-to di illuminazione.

Statuain bronzo diG. Grattarolarealizzatada A.I. Bortone

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TrasparenzeSpettacolare la serie di fette sottili di minerali, illumina-te ad evidenziare, in trasparenza, disegni e colori. Si trat-ta in prevalenza di parti di noduli di quarzo varietà aga-ta, provenienti dal Brasile. In due casi è presentata la se-rie completa di sezioni del blocco. Il nome agata derivadal fiume Acate (Sicilia), antica zona di estrazione del mi-nerale. L’agata è un quarzo microcristallino che presen-ta successioni di strati di diverso colore e grado di tra-slucidità, formatisi in cavità di dimensioni variabili. Ladeposizione avviene in strati concentrici, solo raramen-te con strati piani, creando dei disegni, messi in risaltodal taglio delle fette. Estratta fino dall’antichità, era con-siderata utile contro il morso di ragni e scorpioni, maanche per estinguere la sete e gli ardori della febbre. Pli-

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Fetta sottiledi tormalina delMadagascar,retroilluminataper evidenziarele fasidell’accrescimentodel cristallo

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nio racconta che Pirro, re dell’Epiro, possedeva un’aga-ta in cui si identificavano Apollo e le Muse. Le zone diprovenienza, dopo secoli di sfruttamento dei deposititedeschi, sono oggi principalmente Brasile e Uruguay.Per qualità cromatiche, però, spiccano su tutti gli esem-plari la fetta di rodocrosite, di intenso colore rosa, pro-veniente dall’Argentina, la fluorite con i suoi meravi-gliosi colori e le tre fette di tormalina, provenienti dalMadagascar, che mostrano un evidente accrescimentosulle varie facce del cristallo con relativo sviluppo diuna variazione di colore, disposta secondo le regole del-la cristallografia.

Collezione PonisLa collezione Ponis, acquistata dal Museo nel 1988, è co-stituita da circa 2700 esemplari, in maggioranza pro-venienti dal Brasile e dall’Italia. La specie più rappre-sentata è il quarzo seguito da calcite e da minerali delgruppo della tormalina; ma, senza dubbio, di granderilievo sono gli esemplari di tutti i minerali pegmatiti-ci del Brasile, presenti nella collezione in campioni an-che di grosse dimensioni.Le pegmatiti sono un particolare tipo di rocce formatein una fase avanzata del processo di cristallizzazione mag-matica, spesso associate ai graniti. Le caratteristiche piùevidenti sono la grana sempre grossa, talora grossissima(con dimensione dei cristalli da decimetriche a metri-che), testimone di un ambiente di formazione a bassaviscosità, il forte contenuto in componenti volatili e laloro giacitura nelle porzioni marginali dei plutoni (mas-se magmatiche intrusive). Inoltre le pegmatiti conten-gono, oltre ai costituenti principali – quarzo, feldspatie miche – anche minerali più rari contenenti elementichimici che non riescono ad inserirsi nei comuni mine-

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rali delle rocce, come litio, cesio, berillio, boro, fluoro.Si originano così, fra gli altri, anche berillo e tormalinanelle loro diverse varietà.I più grandi depositi pegmatitici sono sicuramente quel-li brasiliani della porzione nord-orientale dello Stato diMinas Gerais. Tali giacimenti presentano la maggioreconcentrazione di pegmatiti granitiche che contengo-no ricche quantità di berillo (varietà morganite e ac-quamarina), crisoberillo, topazio, minerali del gruppodella tormalina e kunzite (varietà di spodumene). Lepegmatiti di Minas Gerais furono scoperte circa 400anni fa e negli ultimi 100 anni il Brasile ha sfruttato atal punto tali depositi da risultare il principale fornito-re di enormi minerali pegmatitici nei mercati interna-zionali. Da ricordare che il più grande deposito peg-matitico al mondo per cristalli di berillo varietà mor-ganite fu scoperto a Corrego do Urucum (Stato di Mi-nas Gerais, Brasile) nel 1973. In un piccolo canale cilin-drico furono trovati cristalli di berillo fino a 10 kg.Nella collezione Ponis sono imponenti il quarzo varietàaffumicato di 135 kg, con notevole estensione delle fac-ce, e la porzione di geode di quarzo varietà ametista dioltre 200 kg che il visitatore si trova davanti entrando.

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Grosso cristallodi berillovarietàmorganite,in associazionecon elbaitee albite, Brasile

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Degni di nota sono sicuramente gli enormi esemplaridi berillo varietà morganite (42407 - 42406 - 42389), dicolore rosa carico. Due cristalli sono su albite bianca conschorl (specie appartenente al gruppo della tormalina),mentre il terzo, dal peso di oltre 5 kg, è un cristallo iso-lato, che spicca per la perfezione della forma esagona-le. Tutti questi esemplari provengono da Urucum, Ga-lileia, nello Stato di Minas Gerais in Brasile. È presen-te anche un trasparentissimo cristallo di berillo varietàmorganite (42383) di colore rosa tenue, attraversato dalunghi individui aghiformi di schorl. Insieme al beril-lo acquamarina, la morganite si rinviene in Brasile, an-che in qualità gemmologica, a differenza dello smeral-do. Proviene dalla miniera di S. José de Safira, nello Sta-to di Minas Gerais in Brasile.Fanno parte di questa importante collezione anche glispettacolari intrecci di cristalli di tormalina allungati disvariati colori, a volte associati a variopinte miche, allacandida albite e al quarzo. Talvolta le tormaline sono inindividui sottili e slanciati, talvolta più massicci e di di-mensioni ragguardevoli. Le colorazioni variano dal ver-de, più o meno tendente all’azzurro, al rosso, fino al ne-ro. Di particolare effetto gli esemplari di schorl che stac-cano sulla matrice bianca di albite (varietà cleavelandi-te) e di elbaite (varietà rubellite). In alcuni campioni icristalli di tormalina sono policromi, dal rosa-rosso al ver-de-azzurro. Tutti questi esemplari provengono dal Mi-nas Gerais, in Brasile, prevalentemente dalle miniere diNovo Cruzeiro e di Governador Valadares.

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Sezione didatticaOltre ad una chiave di lettura estetica e storico-scienti-fica, l’allestimento offre al visitatore la possibilità di av-vicinarsi al mondo della mineralogia, guidandolo in unpercorso didattico. Partendo dalla definizione dei con-cetti basilari di questa disciplina scientifica, passandoper la genesi dei minerali e l’illustrazione delle loro pro-prietà, il pubblico viene accompagnato nella conoscen-za del ruolo dei minerali negli impieghi tecnologici e al-la scoperta delle relazioni fra minerali e ambiente.Il percorso inizia con la nascita del pianeta Terra e l’af-fascinante mondo delle meteoriti. Sono esposti duegrossi esemplari di “meteoriti ferrose”: la Chupaderos,ritrovata nel 1852 in Messico ed appartenente al grup-po chimico iii ab, e la Sikhote Alin, caduta in Russianel 1947 ed appartenente al gruppo chimico ii ab. In-teressanti anche le meteoriti cadute in Italia, fra cui sisegnala quella di Siena del 16 giugno 1794. Si proseguecon la definizione di rocce e minerali, con esemplari diminerali delle rocce, quali un quarzo varietà ialino dinotevoli dimensioni (150 kg), per passare poi agli am-bienti genetici. Viene poi illustrata, con l’ausilio di mo-nitor, l’influenza delle condizioni geologiche nella for-mazione dei vari tipi di rocce, con particolare riferi-mento alle rocce magmatiche(intrusive ed effusive), metamor-fiche e sedimentarie. Ma come siformano i cristalli? Il percorsoprosegue con la spiegazione del-le leggi che in Natura regolano imeccanismi di crescita, determi-nando la forma cristallina di ogniminerale, anche se apparente-mente uno stesso minerale puòpresentarsi con aspetti diversi.

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Meteorite(ottaedrite) delpeso di 20,7 kg,caduta aSikhote Alinin Russia

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Tipici esempi sono quelli della calcite e del quarzo. Ven-gono poi illustrate più in dettaglio le simmetrie che sirintracciano nei cristalli e nelle strutture cristalline. Lascienza che si occupa di determinare la disposizione de-gli atomi nei solidi (nel caso nei minerali) è la cristal-lografia. Prima dell’avvento della diffrazione dei raggix, lo studio strutturale dei minerali era basato sulla geo-metria dei cristalli. Questo richiedeva la misurazione de-gli angoli che le facce dei cristalli formavano rispetto agliassi di riferimento teorici (detti assi cristallografici). Ta-le misura veniva eseguita per mezzo di un goniometro.La posizione nello spazio tridimensionale di ogni fac-cia del cristallo veniva tracciata su un apposito retico-lo (detto reticolo di Wulff ) per ottenere una proiezio-ne stereografica. In realtà, sul reticolo di Wulff venivatracciata la normale di ogni faccia; ogni punto venivapoi etichettato con il suo indice di Miller. Il modellofinale permetteva di stabilire la simmetria del cristallo.Negli ultimi anni sono stati compiuti passi da gigantein questa disciplina: è stato infatti provato sperimen-talmente che nelle strutture dei minerali gli operatoridi simmetria regolano la disposizione degli elementichimici che entrano in gioco nella stessa struttura. Si affrontano quindi le proprietà fisiche dei minerali, apartire dalla densità per arrivare a durezza e sfaldatura.In particolare, per l’utilizzo dei minerali come gemme,le ultime due hanno un ruolo fondamentale, basti pen-sare che una pietra preziosa, per potere essere impiega-ta efficacemente in gioielleria, deve avere almeno du-rezza 7 nella scala di Mohs. Ma la proprietà fisica piùappariscente è forse il colore. A seconda delle colora-zioni che possono assumere, i minerali si suddividonoin idiocromatici, che presentano sempre il medesimocolore (come la malachite, il cinabro e lo zolfo), ed al-locromatici, che possono presentare colori differenti

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(come il berillo, la fluorite e il quarzo). Fra i mineraliidiocromatici occorre notare che, spesso, lo stato di ag-gregazione influisce sensibilmente sul colore. Ad esem-pio, l’ematite in cristalli è sempre grigio-nera, moltolucente e di aspetto metallico mentre, se ridotta in pol-vere, essa è sempre di colore rosso-sangue ed opaca. Lacostanza del colore nei minerali idiocromatici è dovu-ta alla presenza di elementi che si ritrovano costante-mente nella loro composizione. Nei minerali allocro-matici la colorazione invece può essere determinata dapiù fattori fra i quali: (1) la presenza di elementi cro-mofori nella struttura dei minerali, stavolta però comeioni estranei; (2) la presenza di difetti strutturali nel re-ticolo (centri di colore); (3) la presenza di inclusioni dialtri minerali colorati. Durante il percorso vengono il-lustrate le cause della variabilità cromatica, anche inuna stessa specie mineralogica. In seguito si trovano poii principi fondamentali delle tecniche di indagine perl’identificazione dei minerali, basate soprattutto su in-dagini ottiche e per diffrazione di raggi x. Conclude ilpercorso un settore dedicato a minerali e ambiente e al-l’impiego dei minerali dal punto di vista tecnologico.

Minerali fluorescentiLa fluorescenza è l’emissione diuna radiazione a energia minorein seguito all’assorbimento diun’altra più energetica. In parti-colare, interessante è l’emissionenel visibile (variazione di colore)durante esposizione a radiazioneultravioletta (UV).Non tutte i minerali presentanofluorescenza agli UV e il colore e

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Spettacolarigiochi di coloridovutia emissioneper fluorescenzaprovocatida radiazioneultravioletta

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la sua intensità dipendono dalla lunghezza d’onda (#)utilizzata. Inoltre, non sempre due esemplari di unostesso minerale hanno lo stesso comportamento agliUV, perché impurità e difetti strutturali possono mo-dificare l’emissione.Spesso vengono utilizzate radiazioni UV a diversa #:366 nm (lunga), 312 nm (media) e 254 nm (corta). Sipossono verificare casi in cui la fluorescenza si osservaper entrambe le lunghezze d’onda (e spesso con coloridiversi) o per una sola.

Collezione elbanaLa collezione elbana fu così battezzata da Federico Mil-losevich, direttore del Gabinetto di Mineralogia, chenel 1914 pubblicò un catalogo ragionato delle raccolteelbane, dal titolo “I 5000 elbani del Museo di Firenze”.Nell’introduzione Millosevich precisa che la collezio-ne risulta dall’accorpamento di tre diverse raccolte, ilmateriale antico del Settecento e primo Ottocento, laraccolta Foresi e quella Roster, acquistate rispettiva-mente nel 1877 e nel 1888.La collezione Foresi è presente con circa 2500 esempla-ri, la Roster con 1500 e i restanti risalgono alle colle-zioni preesistenti nei depositi del Museo. Purtropposolo per la collezione Roster esistono dettagliatissimicataloghi originali, mentre per la Foresi solo elenchisommari.Dell’Isola d’Elba si possono ricordare zone di partico-lare interesse come il Monte Capanne, le pegmatiti diSan Piero e Sant’Ilario in Campo, le miniere di Rio edinfine quelle di Calamita. Tutte queste zone sono signi-ficativamente rappresentate nella collezione elbana, conparticolare evidenza di campioni della zona pegmatiti-ca di San Piero e Sant’Ilario e di quelli delle miniere di

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Rio, come dimostra la presenza di ben628 ematiti, 574 tormaline e 555 orto-clasi.Si può dire che le raccolte si integra-no a vicenda distinguendosi per unamaggiore o minore presenza di certiminerali. Ciò può essere dovuto a di-versi fattori, come la preferenza delraccoglitore o la disponibilità di affio-ramenti. Particolarmente conosciutisono i minerali del gruppo della tor-malina, borosilicati che cristallizzanonel sistema trigonale con cristalli chepresentano un habitus prismatico ecolore bruno, verde, nero e rosa. Ven-gono ritrovati tipicamente nelle pegmatiti ma che puòessere accessorio in rocce eruttive e metamorfiche. So-no particolarmente belli i cristalli policromi con sfuma-ture di colore che vanno dal fucsia al verde e i campio-ni caratterizzati da magnifici “fiori” rosa, ovvero asso-ciazioni raggiate di cristalli varietà rubellite su uno sfon-do luccicante formato da lepidolite (fillosilicato, mi-ca). Le tormaline presentano il fenomeno della piezoe-lettricità e per questo vengono usate nei manometri peralte pressioni. In particolare sono esposti della collezione:Un campione di “limonite” (oggi goethite) stalattitica(Collezione Foresi, Miniera di Rio - 1927E) con ecce-zionale lucentezza e iridescenza, che gli conferisce colo-razione in tutte le tinte e tonalità. Insieme a questo esem-plare nella collezione ce ne sono numerosi altri, ognu-no con caratteristiche cromatiche diverse, che vanno dalblu-viola, al giallo-verde. Significativo è il campione diematite (Collezione Foresi, Miniera di Rio - 1536E) chesi presenta con la cristallizzazione caratteristica dell’Iso-

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Goethitestalattitica,Rio nell’Elba

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la d’Elba, cioè con individui lenticolari (ematite mica-cea) iridescenti. L’iridescenza è dovuta ad un’incipientealterazione, per rivestimento dei cristalli con sottili pel-licole che producono interferenza tra i raggi riflessi daivari strati. Da notare il campione di berillo varietà mor-ganite (3345E) che, nonostante le dimensioni non ecce-zionali, è formato da un cristallo di decisa colorazionerosa e notevole trasparenza. La morganite è accompa-gnata da tormalina, quarzo e albite e proviene da Grot-ta d’Oggi, San Piero in Campo. Dal catalogo Roster siapprende che è stato raccolto durante l’escursione delmarzo 1880. Uno dei campioni più significativi della col-lezione elbana e di tutto il Museo è l’esemplare di “tor-malina” (oggi elbaite) (4970E) verde scuro e verde chia-ro (132 cristalli), con 9 berilli incolori limpidissimi in-sieme ad ortoclasio, albite e zircone. Proviene dalla Grot-ta d’Oggi, nella zona pegmatitica granitica di San Pie-ro in Campo, all’Isola d’Elba. Erroneamente indicato nelcatalogo dei “5000 elbani” come proveniente dalla col-lezione Foresi, in realtà è stato acquistato da Roster se-paratamente dalla collezione, ma negli stessi anniÈ da segnalare un altro stupendo esemplare di elbaite(4294E) costituito da cristalli multipli ingrossati all’a-

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Ematitemicaceacon cristalliiridescenti,Rio nell’Elba

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pice, di colore rosa, con quarzo, ortoclasio e albite, sugranito e in mezzo alla lepidolite. Questo campione sipresenta con individui di colorazione omogenea, men-tre spesso le “tormaline” elbane hanno cristalli decisa-mente policromi, con colorazione che varia dal rosa, alverde, al nero. Raccolto nel maggio 1881 durante l’e-scursione a Catalianella, nei pressi di Grotta d’Oggi,proviene dalla collezione Roster.Unico è il colossale esemplare di ilvaite (3822E) in gros-si cristalli sulla massa dello stesso minerale, in parte co-perti da una patina di alterazione. È forse il più grossocampione (50x35x20 cm) che sia stato estratto da Torredi Rio, località tipo per questa specie, identificata ai pri-mi dell’Ottocento e così nominata proprio dal nome la-tino dell’Elba (Ilva). Proviene dalla collezione Foresi.Di grande importanza scientifica è il cristallo di pollu-cite (3234E) di eccezionali dimensioni (87 g) per l’Iso-la d’Elba, proveniente da Grotta d’Oggi. La pollucite èuna delle poche specie a cesio conosciute; degno di no-ta il fatto che questo minerale è stato identificato pro-prio in un campione proveniente dall’Isola d’Elba. Il suonome, rifacendosi al mito di Castore e Polluce, è dovu-to al fatto che costantemente il minerale risultava asso-

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Elbaite rosain cristalliallungati,Grotta d’Oggi,Isola d’Elba

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ciato alla “castorite” (oggi nota come petalite). Più dif-fusi dei cristalli isolati, sono i rinvenimenti in piccolegeodi presenti in grossi esemplari, come i famosi “Evan-gelisti”, pezzi di spicco della collezione Foresi.Tipico dell’Isola d’Elba è il gruppo di cristalli di pirite(97E), con cristallizzazione pentagonododecaedrica, for-matisi su una matrice di ematite. I minerali di ferro (ela loro estrazione) hanno avuto importanza fondamen-tale per la vita dell’isola, dove erano attive in passato nu-merose miniere che hanno rappresentato la fondamen-tale attività dell’Elba nei secoli passati. Estratto dalla mi-niera di Rio Marina, proviene dalla collezione Foresi.Ancora caratteristica è l’ematite varietà oligisto (1552E)con cristalli ben formati marcatamente iridescenti. Icampioni di oligisto sono particolarmente spettacolarie vengono utilizzati per ricavarne materiale ornamenta-le, come collane. Raccolto durante un’escursione del1876 alla miniera di Rio, faceva parte della collezioneRoster.

Collezione MediceaLa collezione medicea di pietre lavorate è costituita dacirca 700 esemplari, originariamente conservati nellaTribuna di Galleria (Uffizi), che alla fine del Settecen-to furono trasferiti al Museo di Fisica e Storia Natu-rale.Questi manufatti (coppe, vasi, tabacchiere, ecc.) risal-gono ad epoche variabili fra il Quattrocento (le coppedi Lorenzo il Magnifico) e il Sei-Settecento, con una pre-valenza di manifattura locale (la così detta Galleria deiLavori), ma anche come opera di lapicidi milanesi, co-me Gasparo Miseroni. Personalità in visita a Corte por-tavano in dono oggetti, spesso con provenienze parti-colari, dall’Oriente o dall’America centrale. Della Nuo-

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va Zelanda sono invece alcuni oggetti raccolti da Cook,nel corso del suo viaggio in Oceania.Numerose sono le gemme sfaccettate che hanno la par-ticolarità di essere state lavorate da Francesco I, che sidilettava, non solo di alchimia, ma anche dello studiodel trattamento di pietre per riscaldamento.Della collezione sono esposti, tra gli altri:Vaso a navicella (13144) in quarzo ialino, nei cataloghistorici definito come cristallo di monte. La parte infe-riore è sbaccellata a conchiglia con foglia d’acanto. Illabbro aggettante e sagomato è decorato da un fregiodi delfini e da un mascherone sulla presa. Ricavato daun unico blocco di cristallo, poggia su di un piedistal-lo rotondo in legno modanato e dorato. Di manifattu-ra fiorentina, risale alla ii metà del xvi sec. Fa parte diun gruppo di oggetti prelevati dalla Tribuna degli Uf-fizi nel 1782, per essere collocato nel Museo di Fisica eStoria Naturale.Vaso in quarzo ialino (13145) a forma di bicchiere. Sulcorpo è incisa una scena marina con tritoni e delfini;lungo il labbro corre un fregio con racemi e delfini. Lapresa, ricavata nello stesso blocco di cristallo del vaso,è scolpita a voluta e ornata da un motivo a scaglie, men-tre il piede è bordato da un anello d’oro smaltato. Dimanifattura milanese, risale alla ii metà del xvi sec. Pro-

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Vaso a navicellain quarzo ialino (cristallo di monte),di manifattura fiorentina, ii metàdel xvi sec.

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babilmente ad ornare il labbro e l’ansa c’era una mon-tatura in oro, manomessa poi nel corso del xviii sec.Stemma ovale in lapislazzuli (13149) con tre gigli a rilie-vo in quarzo citrino, detto all’epoca “topazzo di Boe-mia”. Realizzato a Firenze nella Galleria dei Lavori, nel-la ii metà del xvi sec., proviene dal tesoro della Tribunadegli Uffizi ed era riposto nel perduto stipo del Gran-duca Ferdinando. Nel 1780 fu trasferito al Museo di Fi-sica e Storia Naturale, insieme allo stipo dove era custo-dito. Nel 1704 lo stemma risulta incastonato in rame eorlato da una fascia d’oro. L’originaria montatura è sta-ta però rimossa probabilmente nel corso del xviii sec.Stemma mediceo in quarzo affumicato (13201) ovalesfaccettato. Sul lato anteriore sei mezze sfere di quarzoialino formano lo stemma mediceo; queste, sul fondo,sono smaltate con i colori araldici della famiglia: rossequelle laterali, gialla quella inferiore e azzurra quella su-periore. Lo stemma campeggiava al centro del perdu-to stipo del Granduca Fernando i, come risulta dalle de-scrizioni del mobile, ed è stato realizzato fra il 1593 e il1599 nelle botteghe granducali.Tre coppe (13210 - 13504 - 13636) rispettivamente in dia-spro rosso e rosa con corniola e ametista, in diasprogiallo e in giada nefrite con l’incisione LAURMED.Mentre per le prime due la realizzazione, probabilmen-te fiorentina, risale al xv sec., per la terza non si esclu-de una possibile provenienza dall’estremo oriente. I tremanufatti fanno parte del nucleo delle collezioni deiprimi Medici, come attesta la sigla scolpita con la qua-le Lorenzo il Magnifico aveva contrassegnato alcunipezzi in pietra dura di sua proprietà.Testine di cane in quarzo ametista e in onice (13221 -13364), con l’occhio realizzato in metallo e corno. Pro-babilmente elementi di collane, riferibili al verismo az-teco (1430 - 1520), appartenevano alla collezione della

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Guardaroba di Cosimo I e risultano nell’elenco deglioggetti conservati nello stipo di Ferdinando i. Serie di quattro vasetti di plasma (13344): due, schiac-ciati, sono a forma di anfora con la base del corpo scol-pita a baccelli, coperchio e anse in oro, base in cornio-la, mentre gli altri due sono piccole ciotole, con mani-co d’oro da cui pende una perla scaramazza. Realizzatinella Galleria dei Lavori alla fine del xvi sec., questi og-getti risultano descritti negli inventari degli Uffizi del1769.Coppa in diaspro (13503) su piedistallo rialzato in aga-ta. Il piede e il labbro sono profilati da fascia d’argen-to dorato con merlatura e perline alla base. La vite diferro che congiunge la coppa con la base ha come ter-minale un cervo d’argento fuso. Databile intorno al xvsec., non si conosce l’esatta manifattura. Si rintraccianegli inventari degli Uffizi a partire dal 1704, descrittafra gli oggetti conservati nella stipo di Ferdinando I.Coppa in diaspro giallo (13505) rotonda con superficieliscia e scanalatura lungo il labbro da cui sporgono dueattacchi per le anse; poggia su basso piede rotondo sa-gomato. Sotto il piede sono scolpiti il monogrammaFM, la data 1582 e la corona granducale, ad indicarel’appartenenza dell’oggetto a Francesco i de’ Medici.Realizzata nelle botteghe granducali del Casino di SanMarco, prima che nel 1588 avvenisse il trasferimentoagli Uffizi delle manifatture di corte, compare nell’in-ventario della Tribuna del 1589.Tabacchiera rettangolare composta da sei formelle dimalachite con montatura e cerniere d’oro (13530); sullato interno della montatura si legge l’incisione: Che-valier orf.vre du Roy Madrid. Pedro Chevalier, attivoper alcuni anni nella manifattura del Buen Retiro a Ma-drid, è segnalato nei documenti in Spagna fra il 1760 eil 1764. La tabacchiera è presumibilmente un dono, for-

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se diretto al granduca Pietro Leopoldo, che nel 1765aveva sposato la figlia di Carlo iii di Spagna.Coppe ricavate in un solo pezzo di giada a forma di fio-re di loto con un intreccio di racemi e fiori scolpito agiorno sulle pareti esterne (13633 - 13634). Di manifat-tura cinese, le coppe furono realizzate in epoca Ming(xiv - xvii sec.). I due esemplari, particolarmente raf-finati, furono donati al Granduca Cosimo iii dal prin-cipe moscovita Galitzin, come attestato dagli inventa-ri di Galleria.Tre scuri levigate (13650 - 13651 - 13652), con una estre-mità affilata, realizzate in giada (nefrite, giadeite, tre-molite). Questi oggetti, appartenenti alla cultura Mao-ri, risalgono alla metà del xviii sec. e furono portati inEuropa dall’esploratore James Cook. Nel Museo di Fi-sica e Storia Naturale inizialmente furono collocati nel-lo “stanzino delle nazioni barbare”, per passare in segui-to alla Mineralogia.Tazza in lapislazzuli (13682), di forma ovale irregolarecon la sagoma di una palmetta e di una grande fogliaintagliate sul corpo; il labbro è parzialmente rovescia-to verso l’interno con doppia voluta intagliata. Sotto latazza è incisa la corona granducale sovrapposta alla si-gla FM e alla data 1600. Il manufatto è stato realizzato

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Coppain diasproappartenutaa Lorenzoil Magnifico

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nelle botteghe di Galleria negli anni di Ferdinando i,come attestano monogramma e data. Nel corso del xviisec. venne collocata nella Tribuna degli Uffizi. Gli in-ventari di Galleria attestano che il vaso, nel corso delxviii sec., poggiava su un piede di legno raccordato alpiccolo piedistallo ovale scolpito sul fondo del vaso. Vaso in lapislazzuli molto profondo (13683), con la sa-goma di una conchiglia scolpita all’esterno; questa é av-vinghiata dai tentacoli di un mostro la cui testa, a tut-to tondo, emerge dal bordo del vaso. Il tutto posa suuna tartaruga. La tartaruga, insieme al motto festinalente, era stata scelta da Cosimo i come suo simbolo.Realizzato dal lapicida milanese Gasparo Miseroni e ac-quistata da Cosimo i nel 1563, la tazza viene descrittadettagliatamente da Vasari nel 1568.

Berillo varietà acquamarinaCristallo di berillo varietà acquamarina (42420), tra-sparente, appartenente alla Collezione Ponis. Di pro-venienza brasiliana, l’esemplare presenta una zona, ab-bastanza ampia, sfruttabile per ottenere gemme, di par-ticolare pregio, dal caratteristico colore verde acqua. Ilcampione, del peso di 98 kg, mostra sulla faccia supe-riore del cristallo evidenti tracce di corrosione. Il berillo, con formula chimica Al2Be3(Si6O18), cristal-lizza nel sistema esagonale e forma individui che han-no generalmente un habitus prismatico. è un tipico mi-nerale delle pegmatiti, dove i singoli cristalli possonoraggiungere dimensione dell’ordine dei metri e il pesodi diverse tonnellate. A questo proposito è interessan-te notare che il più grande cristallo naturale in assolu-to, il cui ritrovamento sia stato debitamente documen-tato, è proprio un cristallo di berillo proveniente daMalakialina (Madagascar) che misurava 18 m in lun-

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ghezza e 3,5 in diametro, per un peso complessivo di cir-ca 380 tonnellate! Non è possibile sapere se questo cri-stallo presentasse porzioni trasparenti ma è plausibileritenere che – come sovente accade per i cristalli di gran-de dimensione – che non ve ne fossero. Comunque levarietà limpide e trasparenti sono usate come gemmedi grandissimo valore. Lo smeraldo è la varietà verde edeve il suo colore alla contemporanea presenza di cro-mo e vanadio. Attualmente la maggiore estrazione si hain Colombia. L’acquamarina invece è la varietà di co-lore azzurro per la presenza di ferro ferroso, si rinvienein pegmatiti e depositi alluvionali. I maggiori giacimen-ti sono in Brasile, Urali, Madagascar. Di minore im-portanza sono le varietà di altri colori, come la morga-nite (rosa), l’eliodoro (giallo verde) e il berillo aureo(giallo oro).Sono esposte insieme numerose pietre preziose, a par-tire dai diamanti (tra cui spicca un ottaedro grezzo di20 carati), ai berilli, dagli zirconi ai granati.Una pietra preziosa è, per definizione, bella, dura, re-sistente e rara. In realtà la pietra preziosa ha una seriedi proprietà oggettive (resistenza, durezza, colore, in-dice di rifrazione) e soggettive (bellezza). I minerali,

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Cristallodi berillovarietàacquamarinadel peso di98 kg, Brasile

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quando presentano le caratteristiche sopra dette, pos-sono essere tagliati secondo regole ben precise e si ot-tengono le gemme. Il taglio viene effettuato per farepiù bella una pietra, ovvero per migliorarne lucentez-za e colore. Per le gemme colorate si prediligono taglia tavola e gradini che, grazie alla estensione della facciasuperiore (tavola), ne valorizzano a pieno il colore. Peri diamanti il taglio classico è quello a brillante, che neaccentua la lucentezza e quello che in gemmologia si di-ce “fuoco”. Le dimensioni delle gemme vengono espres-se in peso, usando come unità di misura il carato me-trico (c.m.), che è pari a 0,200 g; se le gemme sono mol-to piccole si usa il punto, pari a 1/100 di carato. In ge-nere il costo di una gemma aumenta in maniera espo-nenziale con l’aumentare del peso.

TopazioEccezionale cristallo di topazio giallo (13358) del pesodi 151 kg (755.000 carati), il secondo nel mondo per di-mensioni. Proviene dalla Fazenda doFenil, nello Stato brasiliano del Mi-nas Gerais e sembra sia stato rinve-nuto da un contadino, mentre ara-va un campo. È stato acquisito dalMuseo nel 1947, per scambio con uncollezionista americano, che ebbe 151esemplari, in prevalenza dell’Isolad’Elba e della Sardegna. Notevole laperfetta cristallizzazione e le nettis-sime tracce di sfaldatura. Il topazio,di formula Al2(F,OH)2(SiO4), si pre-senta generalmente in cristalli di co-lore molto variabile da incolori lim-pidi a gialli, verdi, bianchi e rossi.

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Cristallodi topaziodi 150 kg.Minas GeraisBrasile

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L’habitus è quasi sempre prismatico con una perfettasfaldatura basale. È un tipico minerale accessorio di roc-ce eruttive acide ed è considerato una gemma di note-vole valore, se perfettamente trasparente. Circondano il topazio numerose gemme sfaccettate,definibili non preziose o per la bassa durezza, o la scar-sa resistenza chimica, o per la diffusione. Alcune sonopietre conosciute ed apprezzate fino dall’antichità (co-me l’ambra), altre sono usate in gioielleria da tempo(come il quarzo ametista), altre infine sono essenzial-mente materiale da collezione.

Piano di tavolo in legno e pietre durePiano di tavolo in ebano intarsiato in pietre dure, qua-li lapislazzuli, diaspro, calcedonio, agata, corniola; letessere sono bordate da un filo di rame dorato. Sembrache facesse parte dello stipo di Ferdinando i e sia statorealizzato a Firenze da Domenico del Tasso. Il mobilefu trasferito al Museo di Storia Naturale nel 1780 e ven-ne poi smembrato perché ritenuto “barbaro alquanto”

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Piano di tavoloin ebanoe pietre dure

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dal vice-direttore del Museo, Giovanni Fabbroni. I ma-teriali lapidei furono inseriti nelle collezioni, mentre ilpiano fu dotato di nuova struttura. Infatti nell’inven-tario del Museo del 1793 non è più riportato lo stipo,ma figura una tavola di ebano decorata da lastre di pie-tre dure, corrispondente al piano estraibile del mobiledi Ferdinando. Anche se gli storici dell’arte non sonoconcordi sull’appartenenza o meno del piano allo sti-po, tutti sono d’accordo su una sua datazione attornoal 1580.

Pietre ornamentali e duree pietre sintetiche e artificialiPietre ornamentali e dureLe pietre ornamentali sono materiali non trasparentiche, pur non raggiungendo le caratteristiche necessa-rie per essere definite pietre preziose, hanno aspetto gra-devole e sono usate per ornamento. Fra queste ci sonole così dette pietre dure, soprattutto le diverse varietàdi quarzo microcristallino, come calcedonio, agata, dia-spro, ma anche altri minerali con durezza un po’ infe-riore, quali giada, malachite, lapislazzuli, turchese.

Pietre sintetiche e artificialiVisto l’elevato costo delle pietre preziose, fino dall’an-tichità l’uomo ha cercato di imitarle. Dalle prime imi-tazioni con vetri colorati, si è passati alla creazione didoppiette e triplette, ottenute con vetri colorati e pie-tre naturali, incollate in due o tre strati. Successivamen-te si è passati alla riproduzione, cioè alla realizzazionedi prodotti sintetici che hanno la stessa composizionechimica e aspetto identico alle pietre naturali. Il pro-cesso di riproduzione negli anni si è affinato, fino a riu-scire ad ottenere materiali quasi indistinguibili da quel-

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li naturali, comprese imperfezioni e microinclusioni.Poiché per certe pietre la riproduzione si presentava dif-ficile e non conveniente economicamente, sono staticreati materiali artificiali, cioè nuovi composti chimicicon caratteristiche proprie delle pietre preziose, ma chenon hanno riscontro in natura. Questo è il caso dellacubic zirconia, che ha proprietà ed aspetto molto simi-li al diamante, ma composizione chimica diversa.

Collezione sistematicaUna serie di vetrine contiene una ristretta scelta di esem-plari, esposti secondo criteri sistematici. La classifica-zione comunemente adottata è fondata cioè sulla com-binazione di più di un criterio ed ha lo scopo di ordi-nare i minerali tenendo conto del maggior numero pos-sibile di analogie e differenze. Questo è ciò che fu fat-to da H. Strunz nel 1941 che cercò di combinare il cri-terio chimico con quello strutturale. I minerali sonodivisi in dieci classi nel seguente modo:• 1° classe - Elementi e leghe, carburi, nitruri e fosfuri• 2° classe - Solfuri, seleniuri, arseniuri, tellururi e solfo-sali• 3° classe - Alogenuri e alogenosali• 4° classe - Ossidi e idrossidi• 5° classe - Carbonati, nitrati, arseniti, seleniti, telluri-

ti e iodati• 6° classe - Borati• 7° classe - Solfati, tellurati, cromati, molibdati e wol-

framati• 8° classe - Fosfati, arseniati e vanadati• 9° classe - Silicati • 10° classe - Composti organici

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1° classe - Elementi e leghe, carburi, nitruri efosfuriIn questa classe vengono riuniti gli ele-menti che si trovano in natura già allostato nativo; i più diffusi sono i metal-li propriamente detti ma si possonoavere anche minerali costituti soltantoda elementi non metallici (per esem-pio grafite e diamante).Da ricordare, in questa classe, l’argen-to, in fili e dendriti, il platino, di cui èesposta un’eccezionale pepita dal pesodi 1,3 kg donata dal Granduca Niccolò di Russia nel 1871,l’oro in lucenti pepite e dendriti e il rame, dal classicocolor salmone. Importanti e conosciuti per il loro uti-lizzo (in campi diversissimi) i due minerali costituiti chi-micamente da solo carbonio, cioè diamante e grafite.

2° classe - Solfuri, seleniuri, arseniuri, tellururi esolfosaliQuesta classe, molto numerosa e importantissima,comprende minerali di estremo interesse industriale eriunisce composti formati da elementi metallici conelementi come zolfo (solfuri), selenio (seleniuri), tel-lurio (tellururi) e come arsenico, antimonio e bismu-to (arseniuri, antimoniuri e solfosali). Tra le caratteri-

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Oro in sottilifoglioline, conquarzo, Messico

Cristalli dicinabro, di colorerosso brillante,su dolomite, Cina (a sinistra)

Covellinain grandi cristallitabulari,di formaesagonale, Sardegna(a destra)

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stiche fisiche sono da citare la tipica lucentezza metal-lica e il peso specifico generalmente elevato. Campio-ni di eccellenza assoluta sono le covelline della Sarde-gna, in grandi cristalli tabulari, appartenenti alla col-lezione Ciampi.

3° classe - Alogenuri e alogenosaliQuesta classe contiene un numero piuttosto limitato dispecie, la maggior parte delle quali presenta strutturecristalline relativamente semplici dal punto di vista geo-metrico e generalmente dotate di elevata simmetria. Ilpiù appariscente dei minerali di questa classe è la fluo-rite, che si presenta in cristalli cubici o ottaedrici, an-che di notevoli dimensioni, con le più svariate colora-zioni, dall’incolore al giallo, dal verde al blu, fino al vio-la. Conosciuto da tutti è il salgemma, l’analogo natu-rale del sale da cucina, che in natura si riviene in cri-stalli cubici, quasi sempre biancastri, ma talvolta blu orosa.

4° classe - Ossidi e idrossidiNonostante l’ossigeno rappresenti l’elemento più ab-bondante sulla superficie del nostro pianeta, i minera-li appartenenti a questaclasse non sono moltonumerosi e possono for-marsi in condizioni am-bientali molto varie. Al-cuni possono derivaredalla diretta solidifica-zione dei magmi, altricome ossidazione super-ficiale di minerali metal-liferi, principalmentesolfuri.

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Fluoritein grossicristalli cubicidi colore viola,Illinois (USA)

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Il corindone, di durezza molto elevata, è particolarmen-te noto nelle sue varietà rossa (rubino) e blu (zaffiro),che danno gemme di gran pregio, conosciute fin dal-l’antichità. Meno nota è la varietà smeriglio, ampia-mente utilizzata come abrasivo. L’ematite è uno degliossidi di ferro, usato già nell’antichità come pigmentorosso. Si può trovare in bei cristalli di aspetto metalli-co – famosi sono quelli dell’Isola d’Elba – ma anche inesemplari massivi. Sempre ossido di ferro è la magne-tite, che deve il suo nome alle sue proprietà magneti-che; infatti è la calamita naturale.

5° classe - Carbonati, nitrati, arseniti, seleniti, tel-luriti e iodatiIn questa classe si riuniscono i minerali che dal puntodi vista chimico possono venir considerati sali conte-nenti gruppi anionici XO3, dove X = C, N, As, Te, I.Di gran lunga più importanti in natura sono i carbo-nati, alcuni dei quali sono largamente diffusi come mi-nerali delle rocce, particolarmente sedimentarie. Ca-ratteristica comune dei carbonati è la durezza non su-periore a 5 nella scala di Mohs. Calcite e aragonite, le due forme cristalline del carbo-nato di calcio, sono i minerali più importanti di que-

250museo di storia naturale

Azzurrite in splendidicristallitabularidi colore blu,Sardegna

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sta classe; in particolare la calcite è una delle specie piùdiffuse e si presenta quasi sempre in cristalli bianchitraslucidi, eccezionalmente in individui trasparentissi-mi con evidente birifrazione (varietà spato d’Islanda).L’aragonite si trova talvolta in esemplari arborescenti ocoralloidi. La dolomite, che deve il suo nome al geolo-go Dolomieu, è il minerale principale della dolomia,roccia costituente le Dolomiti. Azzurrite e malachitesono i due carbonati basici di rame, spesso strettamen-te associati. L’azzurrite, generalmente più rara, deve ilsuo nome all’intenso colore azzurro-blu ed ecceziona-li sono gli esemplari provenienti dalle ormai dismesseminiere sarde. La malachite, di colore verde si rinvienemolto raramente in cristalli distinti, mentre è più fre-quente in masse concrezionate stalattitiche, globulario fibrose. Viene utilizzata anche come pietra ornamen-tale di grande pregio.

6° classe - BoratiNonostante la loro relativa scarsità in natura, i boraticostituiscono un gruppo di minerali abbastanza nu-meroso. La genesi principale per i borati è legata adesalazioni di vapore surriscaldato come quella dei ce-lebri soffioni boraciferi. Una caratteristica importan-te per i borati è che l’elemento boro può formare conl’ossigeno poliedri di coordinazione sia triangolari pla-nari che tetraedrici. Il borace, uno dei minerali più co-muni della classe dei borati, fin dai tempi più remotiha trovato molteplici applicazioni in varie tecnologiechimiche. Si presenta in cristalli prismatici tozzi, in-colori e con lucentezza vitrea. L’ulexite è detta “pietratelevisione” perché i suoi cristalli si comportano comefibre ottiche trasmettendo l’immagine da un’estremitàall’altra.

251mineralogia e litologia

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7° classe - Solfati, tellurati, cromati, molibdati ewolframatiIn questa classe si riuniscono i minerali che dal puntodi vista chimico possono venir considerati sali conte-nenti gruppi anionici XO4, dove X = S, Se, Cr, Te, Mo,W. I solfati predominano largamente su tutti gli altri.Il gesso, solfato idrato di calcio, è assai diffuso in natu-ra e forma talvolta depositi molto consistenti che sonosfruttati per l’utilizzo del materiale soprattutto in cam-po edilizio. Caratteristici sono i geminati a ferro di lan-cia o a coda di rondine, bianchi o incolori e spesso lim-pidissimi. Assai tenero, si riga facilmente con l’unghiae ciò rappresenta un sicuro e semplice elemento dia-gnostico di riconoscimento. La barite, solfato di bariodeve il suo nome alla sua composizione ed è un mine-rale molto comune e abbondante. Caratterizzato da unelevato peso specifico, viene utilizzato nella preparazio-ne dei vari derivati del bario. Con vivace colorazionearancione e cristalli aciculari sottili, va ricordata la cro-coite (cromato di piombo) dagli importantissimi gia-cimenti australiani della Tasmania. Sempre di colorearancione giallastro, ma in individui tabulari, spicca lawulfenite (molibdato di piombo) proveniente dai gia-cimenti del Messico.

8° classe - Fosfati, arseniati e vanadatiQuesta classe è costituita da un numero molto rilevan-te di minerali, ma pochi di essi, soprattutto l’apatite ealcuni composti contenenti terre rare e torio, presenta-no importanza geochimica od anche semplicementeeconomica notevole. Col nome di apatite si indicanovarie specie mineralogiche di formula generaleCa5(PO4)3(OH,F,Cl): quando prevale OH avremo apa-tite-(CaOH), quando prevale il fluoro apatite-(CaF) e,infine, quando prevale il cloro avremo apatite-(CaCl),

252museo di storia naturale

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una volta dette rispettivamente idrossi-, fluoro-, clo-roapatite. L’apatite, di grande importanza per il conte-nuto in fosforo, è uno dei costituenti principali di den-ti e ossa. Il turchese è molto noto quale pietra semipre-ziosa. Si presenta normalmente in noduli, di regola opa-che di colore ceruleo caratteristico e lucentezza grassa.Importante è la serie piromorfite-mimetite-vanadinite,rispettivamente fosfato, arseniato, vanadato di piom-bo. La prima, in generale, si presenta in cristalli di unbel color verde acceso e proviene dalla Francia, la secon-da in individui tendenti al giallastro dal Messico, men-tre la vanadinite compare in cristalli tozzi con colora-zione tra l’arancione e il rosso dai giacimenti del Ma-rocco.

9° classe - SilicatiI silicati costituiscono oltre il 90% della crosta terre-stre e presentano genesi magmatica, metamorfica e se-dimentaria. Vengono classificati su criteri strutturalied in particolare sulle modalità di concatenamento deitetraedri SiO4. Di questa classe fanno parte mineralimolto conosciuti come il quarzo, i berilli, il topazio ele tormaline. Con il nome granati si indica un gruppodi sei minerali cubici: piropo, almandino, spessartina,grossularia, andradite e uvarovite. Questi termini pu-ri sono estremamente rari; in genere, infatti, essi for-mano miscele isomorfe binarie e ternarie. I granati lim-pidi possono essere usati come gemme di pregio nonelevato. Il dioptasio si presenta in bei cristalli prisma-tici di un bellissimo colore verde intenso, che ricordaquello dello smeraldo, ma a causa della sua bassa du-rezza (5 nella scala di Mohs) non può essere usato co-me gemma. I minerali del gruppo dell’epidoto si pre-sentano generalmente con un abito rombico ed unafacile sfaldatura basale. Fra i membri di questo grup-

253mineralogia e litologia

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po è opportuno ricordare l’epidoto vero e proprio dalcolore verde e la zoisite, dal colore bianco, verde azzur-ro, rosa, ma più conosciuta è la tanzanite, di coloreviola intenso, usata come gemma e visibile appuntonelle vetrine dedicate alle gemme. Molto conosciutoè l’opale, silice idrata parzialmente amorfa, che si rin-viene in varie colorazioni dal bianco latte al rosso, dalmarrone al verde, dal giallo al blu e proviene classica-mente dall’Australia e dal Messico. Spesso presenta ilfenomeno dell’opalescenza, cioè un gioco di colori eluce, dovuto a interferenza e diffrazione della luce. Pre-giate come gemme sono l’opale di fuoco, quello nobi-le e quello arlecchino. Fra i pirosseni e gli anfiboli, im-portantissimi gruppi di minerali delle rocce dai tipiciaggregati fibroso-raggiati, si segnala l’hedenbergite inindividui di colore verde. Le miche, silicati con strut-tura a fogli, dalla facilissima sfaldabilità, si rinvengo-no in pacchetti di cristalli dai contorni molto nitidi. Aquesto proposito vanno ricordati gli esemplari di flo-gopite, muscovite, lepidolite e biotite. Il talco, cono-sciuto e utilizzato già nel passato, si presenta in cristal-li untuosi al tatto, di tenue colore verdolino, con lu-centezza grassa. Fra i feldspati, minerali che costitui-scono da soli circa i due terzi della crosta terrestre, siricordano l’ortoclasio, spesso in cristalli di dimensio-ni ragguardevoli con colorazioni estremamente varia-bili dal bianco al rosa, dall’azzurro-verde al marrone,il microclino in cristalli sovente ben sviluppati e talo-ra colorati in celeste (varietà amazzonite) e l’albite, incristalli di colore bianco (il nome deriva dal latino al-bus, bianco).

254museo di storia naturale

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10° classe - Composti organiciDi questa classe, composta da pochi minerali, il più co-nosciuto è l’ambra, a tutti ben nota sia perché impie-gata per ricavarne monili ed altri oggetti ornamentali,ma anche per la sua capacità di elettrizzarsi per strofi-nio. Si tratta di una resina fossile, con trasparenza e co-lore variabile. Può essere molto limpida, oppure a chiaz-ze appena traslucide entro una massa trasparente, o deltutto opaca. Il colore varia dal giallo molto chiaro algiallo-arancio al rosso. Sono da ricordare alcuni esem-plari limpidi che includono resti fossili vegetali o an-che insetti perfettamente conservati.

255mineralogia e litologia

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Sezione Orto Botanico

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delPianta MuseoSezione Orto Botanico

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10

10

via Michelivia

La M

arm

ora

12 Percorso evolutivo

13 Festuche

22 Alberi monumentali

1 2 3 Serra calda

4 Laghetto

5 6 Apuane e ofioliti

7 Medicinali e velenose

8 Giardino orientale

9 Giardino segreto e all’italiana

10 Piante alimentari

11 Montagnola

14 Serra freddada a 17

18 Serretteda a 21

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I l “Giardino dei Semplici” venne istituito il 1° dicem-bre 1545 da Cosimo I dei Medici come Giardino di

piante medicinali (dette al tempo Semplici) ad uso de-gli studenti di Medicina ed è il terzo Orto botanico piùantico del mondo dopo quelli di Pisa e Padova. Un pe-riodo di particolare prestigio risale agli inizi del xviii se-colo quando fu affidato alle cure della Società Botani-ca Fiorentina ed ebbe come direttore Pier Antonio Mi-cheli, uno dei fondatori della Società stessa. Pier Anto-nio Micheli trasformò lentamente l’Orto Botanico inun Orto sistematico recidendo quel legame strettissi-mo che ancora allora legava la medicina alla botanica erese il giardino dei Semplici un’istituzione di fama eu-ropea.Alla fine del xviii secolo, quando passò alle dipenden-ze dell’Accademia dei Georgofili, cambiò radicalmen-te configurazione, destinando ampi spazi alle coltureagrarie, ma già ai primi del xix secolo quando prese ladirezione la famiglia Targioni Tozzetti, riacquistò lasua caratteristica di Giardino sistematico. Alla fine delxix secolo Teodoro Caruel fece costruire le grandi ser-re situate su Via Micheli e sotto la sua direzione l’Or-to fu assegnato al Regio Istituto di Studi Superiori Pra-tici. Negli anni seguenti fu realizzato il progetto di riu-nire l’Istituto Botanico, fondato da Filippo Parlatorenel Museo di Via Romana, al Giardino dei Semplici.Nell’ottobre 1905 si conclusero le operazioni di tra-

LucianoDi FazioMarinaClauserPaolo Luzzi

259

Cenni storici e introduttivi

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sferimento di tutte le più importanti istituzioni bota-niche (Biblioteca ed Erbario) nei locali prospicienti alGiardino dei Semplici e si costituì l’Istituto e Orto Bo-tanico con annesso Museo Botanico con l’HerbariumCentrale Italicum. Intorno al 1925, sotto la direzione diGiovanni Negri, per rendere visibile il Giardino al pub-blico, furono demoliti gli alti muri che lo circondava-no dalla parte di Via La Pira e di Via Gino Capponi.Durante la seconda guerra mondiale, nel 1944, quan-do Firenze era attraversata dal fronte, alcune aiuole del-l’Orto furono adibite alla sepoltura dei morti che furo-no riesumati solo dieci anni più tardi, trascorsi gli an-ni di legge.

Il giardino oggiL’Orto Botanico è una sezione del Museo di Storia Na-turale dell’Università di Firenze; si sviluppa su un’areadi 2,3 ha, con un complesso di aiuole tematiche, di per-corsi espositivi, di grandi serre e serrette. Molti sono gliallestimenti realizzati recentemente per le finalità del-la didattica, della divulgazione, della ricerca scientificae della conservazione della biodiversità. Nel 2004 l’Or-to è stato nominato cesfl (Centro per la conservazio-ne ex situ della flora) dalla Regione Toscana e svolge ta-le attività in collaborazione con gli orti di Pisa e Siena.Da maggio 2008 sono disponibili percorsi multisenso-riali tattili e olfattivi per non vedenti.

La visita al giardinoLa presente guida illustra sinteticamente le collezioni piùsignificative, ma ricordiamo che da maggio a ottobre lepiante custodite all’interno delle grandi serre vengono tra-sportate nelle aiuole esterne e, pertanto, si modificano i

260museo di storia naturale

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percorsi espositivi descritti di seguito. La mappa ripor-tata all’inizio del capitolo è stata inserita per rendere piùagevole la visita, in quanto permette di localizzare più fa-cilmente le collezioni ed itinerari che man mano vengo-no descritti. Il percorso consigliato parte dalla visita al-la serra calda, prosegue nelle aiuole e quadri esterni delgiardino e termina con la serra fredda e serrette. Ultimaavvertenza: le serrette, per motivi logistici, sono visita-bili solo su richiesta al personale dell’Orto.

La serra caldaAmorfofalloAmorphophallus titanum fu scoperto da Odoardo Bec-cari, insigne naturalista fiorentino, nel 1878 nell’Isola diSumatra. Nel 1994, l’allora direttore dell’Orto Botani-co Fernando Fabbri organizzò una missione a Sumatraper commemorare i 150 anni dalla nascita di Beccari eprelevare dei semi da coltivare nel Giardino dei Sem-plici. Nel 2002, per la prima volta in un orto botanicoitaliano, sono fioriti due individui con un’infiorescen-za che ha raggiunto i 2,35 m di altezza.

Il vialedelle azalee

261orto botanico

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Questa specie, appartenente alla fa-miglia delle Araceae, raggiunge di-mensioni ragguardevoli, certamentele maggiori all’interno del genere.Possiamo a tutti gli effetti conside-rarla un’erba “gigante”: il tubero rag-giunge e supera i 50 kg di peso e l’u-nica foglia che produce (ogni anno)è alta fino a 5-6 m, costituita da ununico picciolo, verde e abbondante-mente maculato e da una lamina sud-divisa in tre “ramificazioni” principa-li, a loro volta ulteriormente suddivi-se. Dopo 8-11 anni al posto della fo-glia il tubero produce una enorme in-fiorescenza di 2,5-3 m di altezza cheproduce un odore nauseabondo per attirare le moscheresponsabili della fecondazione. La collezione dedica-ta al Genere Amorphophallus è ospitata nella serra cal-da, settore sc4, e comprende una quarantina di indivi-dui appartenenti a quattro specie.

Le piante utiliNella serra calda, settore sc7, sono presenti numerosespecie officinali delle Regioni tropicali e subtropicali.Questi esemplari costituiscono un importante docu-mento sulle tradizioni culturali ed etnobotaniche dipaesi molto lontani dal nostro, ma legati a noi da una“cultura delle erbe” veramente internazionale, espres-sione della stessa volontà umana di sfruttare i doni del-la natura per migliorare le condizioni di vita.Molte piante sono legate ad antichi sistemi di caccia(Acokanthera e Antiaris dai cui succhi si traggono vele-ni per le frecce); altre entrano in rituali religiosi o ma-gici (Ilex paraguariensis da cui si ricava il matè, Datura,

262museo di storia naturale

Fioritura diAmorphophallustitanum

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Psychotria nervosa, ecc.); altre, prima consumate soloda poche popolazioni, sono divenute un patrimoniocomune a tutti come il caffè, il thè, il cotone, il cacao;altre, subito dopo la loro scoperta, hanno assunto unruolo determinante fin dal Medioevo nella vita econo-mica, come il pepe, lo zenzero, il cardamomo; molte al-tre ancora sono divenute, ai giorni nostri, importantialternative come la jojoba il cui olio viene adesso uti-lizzato in sostituzione dell’olio tratto dal grasso di ca-podoglio.Si tratta quindi di un grosso patrimonio di notizie ecuriosità per coloro che vengono a visitare l’Orto conintenti conoscitivi; soprattutto una miniera preziosis-sima di stimoli diretti, immediati, per i ragazzi chepossono letteralmente “toccare con mano” piante spes-so conosciute solo attraverso i frutti esposti ai merca-ti o ridotte a poche note sulle etichette delle confezio-ni industriali di alimenti inscatolati, surgelati o liofi-lizzati.

263orto botanico

La pianta delcaffè con frutti

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Le aiuole esterne e i percorsi didatticiLe acquaticheL’Orto Botanico ha allestito un’esposizione di pianteacquatiche per favorire la comprensione, da vari pun-ti di vista, delle problematiche legate alle aree umide;il percorso si snoda dalla serra calda alle aiuole del giar-dino. Nella serra calda (settore sc5) due acquari ospi-tano idrofite natanti e radicate che mostrano gli adat-tamenti più significativi: organi galleggianti, eterofil-lia, radici avventizie, colorazione rossa e diversi tipi dimorfologia fogliare: laciniata, capilliforme, nastrifor-me e rotondeggiante. Un acquario marino ospita duespecie di Caulerpa, alga che rappresenta una seria mi-naccia per le piante del Mediterraneo: Caulerpa taxifo-lia e C. racemosa var. cylindracea hanno un comporta-mento altamente invasivo essendo in grado di elimi-nare completamente intere comunità del piano infra-litorale e disturbare il ciclo stagio-nale delle praterie di Posidonia ocea-nica. Nella stessa serra si possono osser-vare il papiro, la mangrovia e il gia-cinto tropicale. I relativi pannelliillustrativi approfondiscono aspet-ti peculiari di tali piante: la tecnicache gli antichi egizi usavano perfabbricare la carta dai fusti di Cy-perus papyrus; i mangrovieti comehabitat prezioso per offrire riparo ecibo a molte specie animali e per li-mitare l’erosione costiera; i rischiderivanti dal giacinto tropicale (Ei-chhornia crassipes), considerata unadelle piante invasive più pericolo-

264museo di storia naturale

Laghetto

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se per habitat tropicali e temperatiin tutto il mondo.La visita alla collezione delle acqua-tiche prosegue all’esterno. La vasca v1che troviamo all’uscita della serra cal-da, ospita le ninfee: appartengono algenere Nymphaea più di 40 specieprovenienti da climi tropicali e tem-perati; a queste si aggiungono centi-naia di ibridi e varietà di incerta de-terminazione. Le ninfee sono rizofi-te perenni rizomatose, con le parti ve-getativa e riproduttiva emerse e of-frono una ricca fioritura per un lun-go periodo dell’anno.Nel “Laghetto”, situato verso Via La

Marmora, crescono altre varietà di ninfea e il fior di lo-to. Quest’ultimo, Nelumbo nucifera, è spontaneo nel-l’Asia centro orientale dove è pianta sacra e simbolo spi-rituale, ed è naturalizzato anche in zone temperate co-me a San Rossore e Massarosa in Toscana. Nella “Montagnola” ci sono vasche (v2, v3, v4, v5) conidrofite ed elofite toscane. Le piante provengono da suc-

Fior di loto

Le vaschedelle pianteacquatiche dellaMontagnola

265orto botanico

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cessive raccolte in pro-vincia di Arezzo. Sonopresenti specie merite-voli di conservazionecome Typha minima,indicata come vulne-rabile (VU) per la To-scana e Cladium ma-riscus, inserito nella li-sta di attenzione dellaRegione Toscana co-me LR (a minor ri-schio). Nelle vasche vi-vono diversi esempla-ri di tritone crestatoitaliano o tritone car-

nefice (Triturus carnifex). Ai margini delle vasche vivo-no gli alberi igrofili. La collezione delle acquatiche comprende anche i tas-sodi, alberi che vivono in ambienti ripariali e umidi delcontinente americano e che sono disposti nei quadriq20 e q21. Il cipresso calvo (Taxodium distichum) pre-senta, alla base del fusto, delle strutture radicali coni-che, dette “pneumatofori”, letteralmente “portatrici diaria”, che si formano come risposta adattativa all’am-biente paludoso nel quale vivono le piante: tali radicisono ricche di spazi aeriferi che – come succede nelleradici respiratorie delle mangrovie – garantiscono il tra-sporto di aria alle parti sommerse.

Flora delle ofiolitiLe formazioni ofiolitiche derivano da frammenti di cro-sta oceanica e sottostante mantello che in epoche remo-te si sollevarono fino ad affiorare. Il termine ofioliti, diderivazione greca ()*+% = serpente e #+́,)% = roccia), è

266museo di storia naturale

Taxodiumdistichum

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dovuto alla caratteristica colorazione verdognola simi-le a quella di molti rettili. In Toscana sono presenti va-rie aree caratterizzate da tali formazioni: le aree più este-se le troviamo in Val Tiberina e nell’alta Val di Cecina,mentre affioramenti minori sono presenti sul MonteFerrato di Prato e nei pressi dell’Impruneta. Su tali sub-strati, ricchi di elementi potenzialmente fitotossici (ni-chel, cromo, cobalto, boro), si sono evolute alcune spe-cie capaci di vegetare in tali condizioni estreme. Le areeserpentinicole sono quindi di grande interesse natura-listico in quanto ospitano un elevato numero di ende-mismi e sono quindi da considerare delle vere e proprie“isole di biodiversità”. Tra le specie serpentinicole tipi-che delle ofioliti toscane ricordiamo Alyssum bertolonii,Stachys recta subsp. serpentini, Armeria denticulata, Cen-taurea aplolepa subsp. carueliana. Alcune specie serpen-tinicole sono coltivate nella roccaglia situata fra il La-ghetto e la serra calda.

Flora delle Alpi ApuaneLe Alpi Apuane, per la loro localizzazione geografica,per la particolare struttura geologica prevalentementecalcarea e per le peculiarità climatiche, ospitano unaricca e unica flora, con un notevole apporto di specie

267orto botanico

Alyssumbertolonii

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endemiche ristrette. Possiamo anche in questo caso, co-me per le sopra accennate aree ofiolitiche, definirle “iso-le di biodiversità”. Gli ambienti più significativi di que-ste montagne, da un punto di vista floristico, sono quel-li rupestri in quanto proprio in essi si trova la maggiorquantità di endemismi. Tali ambienti comprendono lepareti rocciose verticali, gli stillicidi, i ghiaioni detriti-ci, i tavolati calcarei, le praterie sommi-tali discontinue. Ciascuna di queste si-tuazioni presenta un quadro vegetazio-nale peculiare e ricco di specie altamen-te specializzate. Tra le entità apuane piùtipiche ricordiamo: Aquilegia bertolonii(endemismo ligure-provenzale), Astran-tia pauciflora var. pauciflora (endemi-smo apuano), Athamanta cortiana (en-demismo apuano), Biscutella apuana(endemismo apuano), Carum apuanum(endemismo apuano), Centaurea mon-tis-borlae (endemismo apuano), Cera-stium apuanum (endemismo apuano),Festuca apuanica (endemismo apuano),

268museo di storia naturale

Androsacevillosa

Aquilegiabertolonii

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Galium palaeoitalicum (endemismo appenninico), Glo-bularia incanescens (endemismo apuano-nordappenni-nico), Leontodon anumalus (endemismo apuano-nordappenninico), Polygala carueliana (endemismoapuano), Rhamnus glaucophylla (endemismo apuano),Salix crataegifolia (endemismo apuano), Santolina leu-cantha (endemismo apuano), Silene lanuginosa (ende-mismo apuano), Silene pichiana subsp. pichiana (ende-mismo apuano), Thesium sommieri (endemismo nor-dappenninico). Anche questa roccaglia, come la prece-dente, è situata nei pressi del Laghetto.

Le medicinali e velenoseLa collezione di piante medicinali dell’Orto Botanicoè caratterizzata da centinaia di specie distribuite in va-ri settori dell’Orto. In particolare, nelle aiuole “storiche”lungo Via La Pira (a12, a13, a14, a15, a16), sono raccol-te specie di varia provenienza divise per lo più per fa-miglia. Si possono così ammirare le due aiuole dellepiante aromatiche con una bella collezione del Genere

Salvia, il settore delle Solanaceae chepresenta la famosa mandragora, il set-tore delle piante grasse usate molto, algiorno d’oggi come potenti antinfiam-matori e cicatrizzanti. Inoltre per divulgare i risultati di unostudio sulle piante officinali toscane, èstata creata un’aiuola dedicata intera-mente alle specie spontanee o natura-lizzate in Toscana e tradizionalmenteutilizzate in fitoterapia. L’aiuola (q7)),dedicata al Prof. Romano Gellini cheebbe l’intuizione di valorizzare tale pa-trimonio culturale, è stata realizzatamettendo in coltivazione un centinaio

269orto botanico

Digitalispurpurea

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di piante disposte secondo le esigenze ecologiche e l’am-biente, marino, collinare, montuoso, di provenienza. Altre piante medicinali di provenienza tropicale, sonoraccolte nel “torrino” (sc7) della serra calda. La collezione di piante velenose si trova nell’aiuola q5prospicente l’entrata dell’Orto (specie italiane) e in ser-ra calda (tropicali). Tale collezione è stata allestita a seguito di un lavorofatto in collaborazione con il Centro Antivelenidell’A.O. Universitaria di Careggi. Sono state censite eriunite in un CD-Rom interattivo le piante potenzial-mente pericolose della flora italiana evidenziandone siagli aspetti botanici sia gli aspetti patologici con i con-seguenti trattamenti medici di urgenza e terapia. Co-noscendone solo alcune caratteristiche (ad es. il colo-re, la zona in cui è stata trovata e la stagione), si può fa-cilmente rintracciare la pianta responsabile dell’intos-sicazione aiutando l’intervento medico immediato. Lestesse piante sono state poi poste in coltivazione inun’aiuola in modo da farle conoscere e riconoscere “dalvivo” al pubblico e agli studenti di Medicina. Nei cartellini di ogni pianta è evidenziato il livello dipericolosità, lieve, moderato, severo.

Il giardino orientalePer illustrare in maniera semplice il concetto di “medi-cina olistica” proprio delle culture orientali, un concet-to che basa la cura delle malattie non solo intervenen-do sulle cause fisiche (batteri, virus, ecc.), ma anche su-gli equilibri psichici del corpo umano, sono state orga-nizzate tre aiuole sul lato di Via La Pira vicino agli edi-fici del Dipartimento di Biologia Vegetale. Nella pri-ma (A17) sono coltivate, in maniera tradizionale, alcu-ne piante medicinali caratteristiche della medicinaorientale come lo zenzero, la curcuma, il timo orienta-

270museo di storia naturale

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le, ecc.; nella seconda metà della seconda (A18) è statoricostruito uno “Tsuboniwa”, piccolo giardino “dell’a-nima” che unisce una porzione di terreno con le pian-te e alcuni elementi simbolici (le rocce, la pagoda, ilpunto d’acqua); nella seconda metà della stessa si è crea-to un giardino “Karesansui” (Zen), detto anche “pae-saggio secco”, senza piante, realizzato solo con piccolisassi bianchi su cui, ogni mattina è possibile creare undisegno nuovo, e rocce di particolare bellezza. La realizzazione ha tenuto conto delle regole fondamen-tali del “giardino secco” per non tradirne l’originaria im-postazione, ma ha adattato la disposizione e il numerodelle rocce in modo da riprodurre simbolicamente l’Ar-cipelago toscano con le sue sette isole. Chi ha avuto la ventura, in una mattina chiara, di in-travedere dal Monte Capanne, sull’Isola d’Elba, lo spet-tacolo delle isole dell’Arcipelago, comprenderà il mes-saggio di pace e calma mentale che si è cercato di ripro-durre.

271orto botanico

Giardino Zen

Aiuola delleortensie

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Nella terza aiuola, a lato del Dipartimento di Scienze del-la Terra, è stata ospitata una collezione di antiche e bel-lissime ortensie giapponesi regalate da un vivaio pistoie-se. Presenti diverse varietà sia di Hydrangea macrophyl-la, sia di H. serrata, H. paniculata e H. involucrata.

Giardino all’Italiana e giardino segretoIn tre aiuole distinte è stato riprodotto il “Giardino al-l’Italiana”. Nella prima (q6) si è ricostruito un parter-re di essenze sempreverdi, soprattutto bosso, moltoschematico dove, nella bella stagione sono alloggiateanche alcune piante di agrumi; nella seconda aiuola(q11) sono coltivate rose antiche e vecchie cultivar dipiante da frutto per ricostruire il “giardino segreto”,giardino di fiori e frutti. Nella terza infine (q12), sonostati piantati arbusti e alberi della parte “boschiva” delgiardino, parte selvatica contrapposta alla razionalitàgeometrica delle altre due. In particolare ci sono specietipiche della macchia mediterranea e dei boschi puri omisti di sclerofille (piante a foglie piccole e dure) sem-preverdi e latifoglie eliofile (piante a foglie larghe aman-ti della luce). Non interferendo molto con le architet-

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Giardinosegreto

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ture del giardino, rappresentano simbolicamente il per-durare del potere del signore, immutabile attraversostagioni naturali e politiche. Sono piante per lo più in-digene, robuste, già abituate al clima e al suolo dellazona e quindi facilmente curabili; in più quasi tuttepossono essere potate a piacimento e ridotte in formee dimensioni consone alla regola razionale che l’uomoimpone alla Natura.

Piante alimentariI quadri q3 e q4, vicino alla fontana centrale, sono de-dicati alle piante alimentari e suddivisi in parti dedica-te rispettivamente alla domesticazione, alle insalatespontanee della Toscana e agli ortaggi insoliti.Nel settore della domesticazione si sono voluti eviden-ziare i cambiamenti che insorgono in questo lungo pro-cesso che ha riguardato cereali, ortaggi e legnose da frut-to: l’uomo ha imparato ad addomesticare le piante uti-li osservando la variabilità delle popolazioni selvatiche,sfruttando le mutazioni e le ibridazioni naturali, incro-ciando e selezionando le piante, modificandone i carat-teri morfologici e alterandone il ciclo vitale. A seconda

Nespolo

273orto botanico

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della stagione, osservando le progenitrici selvatiche mes-se a diretto confronto con le varietà coltivate, è possi-bile osservare alcuni mutamenti come i frutti molto piùgrandi nelle cultivar di nespolo rispetto al selvatico, op-pure la spiga che rimane intatta a maturità nelle varietàcoltivate mentre nelle ancestrali si disarticola comple-tamente. Nella stagione invernale è poi possibile ap-prezzare come da un’unica specie spontanea di cavolo(Brassica oleracea ssp. oleracea) siano derivate tante for-me differenti: cavolfiore, cavolo nero, verza, cappuc-cio, cavolini di Bruxelles, nonché i cavoli ornamentalidalle foglie variegate bianche e viola. Analogo discorsovale per bietole, cicorie, cereali e legumi.Nel settore delle selvatiche commestibili della Toscana,sono messe in coltivazione e ordinate secondo il crite-rio sistematico, più di 190 specie, tutte provenienti dasuccessive raccolte nel territorio regionale. Nei singolicartellini sono riportate sinteticamente le informazio-ni sull’utilizzo, l’epoca di raccolta e le note di attenzio-ne per quelle piante che si possono confondere con al-tre velenose e per quelle che si devono usare solo in pic-cole quantità.

274museo di storia naturale

Zafferano

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Il settore delle piante meno note, infine, ospita le spe-cie e varietà dalle quali si ricavano coloranti alimenta-ri come lo zafferano, spinacio, barbabietola; gli ortag-gi e aromatiche curiose come le patate viola, le carotebianche, l’arachide, le specie che si utilizzano come ca-glio vegetale, le fonti alimentari alternative, diversi ti-pi di basilico e prezzemolo.

L’aiuola di Libereso GuglielmiUna piccola striscia di terra, all’interno del quadro q8,è dedicata a Libereso Guglielmi che, oltre ad essere unfamoso giardiniere, è uno dei maggiori sperimentatorie conoscitori di piante selvatiche e coltivate. Nel suogiardino di Sanremo coltiva piante provenienti da tut-to il mondo e seleziona nuove varietà. Da qualche tem-po è iniziata una bella collaborazione fra Libereso Gu-glielmi e l’Orto Botanico con la sua partecipazione nel2003 alla mostra collettiva “Arte in Orto” dove ha espo-sto i suoi acquerelli, proseguita con gli incontri con ilpubblico nell’Orto di Firenze. Negli ultimi anni ha do-nato all’Orto numerosi semi di curiosità botaniche col-tivate periodicamente in questa aiuola: piante orna-mentali (fiordaliso a fiore doppio, echinacea purpurea),ortaggi poco conosciuti (fagiolo asparago, cece nero,fagiolo cocco), piante dimenticate (guado), aromati-che conosciute solo localmente (basilico di Sanremo,aglio profumato, crescione da giardino).

La MontagnolaNella “Montagnola” oltre alle già descritte vasche cheospitano idrofite e elofite toscane sono presenti, ai mar-gini delle stesse, alberi igrofili: ontano nero (Alnus glu-tinosa), pioppo bianco (Populus alba), frassino ossifillo(Fraxinus oxicarpa), farnia (Quercus robur), carpinobianco (Carpinus betulus). Gli alberi igrofili sono tipi-

275orto botanico

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ci di habitat, meritevoli di conservazione, che offronoriparo, luogo di riproduzione e cibo a numerosi ani-mali – uccelli, mammiferi, anfibi, rettili – e che sonoin forte regressione a causa di bonifiche, attività agri-cole, residenziali e industriali, inquinamento del suoloe delle acque, competizione di specie esotiche invasive.

Le rose La collezione delle rose è stata recentemente revisio-nata dal punto di vista della determinazione e del con-trollo nomenclaturale; parallelamente si è realizzatoun nuovo percorso basato sulla storia delle rose e sul-le linee di sviluppo delle varietà. In seguito alle recen-ti acquisizioni, oggi la collezione annovera 130 esem-plari dislocati in diversi settori dell’Orto. Nel quadroq11, nei pressi della vasca centrale, trovano posto le ro-se antiche (Cinesi e loro ibridi, rose rifiorenti), le Mu-schiate e la prima rosa moderna (“La France”, creatanel 1867). Nelle immediate vicinanze, nel quadro q9,trovano posto gli ibridi di Tea e gliarbusti moderni. Le Sarmentose eOrnamentali sono coltivate sugli or-ci disposti lungo il viale che costeg-gia la cancellata verso Via La Mar-mora (Rose Rambler), lungo i muridella serra calda (Climber e Rambler)e della serra fredda (Climber), al la-ghetto (Arbusti), al pergolato davan-ti alla palazzina di Via Micheli(Climber). Nelle aiuole semicircola-ri A1 e A5 al di sotto del pergolatotrovano posto le “Rose del Plebisci-to”, vincitrici di un concorso indet-to nel 1878 dal Presidente della So-cietà d’Orticoltura di Wittstock

276museo di storia naturale

Rosa mermaid

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(Prussia): si tratta delle rose più apprezzate per ricchez-za nella fioritura, rifiorenza, fragranza, perfezione nelportamento e alti caratteri. Le Rose hanno targhette in ceramica scritte a mano: visono riportate le informazioni essenziali per collocaregli esemplari nel quadro generale della storia delle ro-se orticole: è indicato il Gruppo di appartenenza (siglache identifica le Rose Botaniche, Rose Antiche e RoseModerne secondo la terminologia di riferimento del-l’American Rose Society), il Nome (fra virgolette per lecultivar, in corsivo e senza virgolette per le specie) e laData (anno di divulgazione per le varietà, anno in cuisono state descritte per le specie).

Le festucheDalla metà degli anni ’90 un gruppo di ricercatori del-l’Università di Firenze ha iniziato la revisione del gene-re Festuca creando una raccolta – situata di fronte allaserra fredda – di circa 300 esemplari che rappresenta-no una delle collezioni più importanti in Europa. Dalmomento della sua istituzione, ricercatori italiani e stra-nieri hanno usufruito della collezione per controlli del

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Rosa“Blue Moon”

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loro materiale e hanno contribuito alla sua formazionedonando esemplari. Sono presenti alcuni campioni rac-colti nelle località dove la specie è stata descritta per laprima volta (locus classicus) e quindi rappresentano deiveri e propri “tipi viventi”. In alcuni esemplari sono sta-ti fatti studi sui corredi cromosomici e questo aumen-ta moltissimo il loro valore biologico e storico. Dal punto di vista delle utilizzazioni, molte specie sonousate per pascoli, rinverdimento di cave e pendici, iner-bimento di campi da gioco, come lo storico campo datennis di Wimbledon. La collezione è ospitata lungo lafacciata esterna del settore sf2 della serra fredda. Unpannello illustrato fornisce le informazioni essenziali subiologia, ecologia e utilizzazioni di questo genere.

Percorso evolutivoÈ stato stimato che le prime piante vascolari compar-vero sulle terre emerse circa 420 milioni di anni fa. Daquelle epoche remote, nel corso di un lunghissimo ecomplesso percorso evolutivo, si sono formati gruppivegetali sempre più complessi e differenziati, alcuniestintisi senza dare progenie, altri che invece, mutan-do ed evolvendosi, hanno originato le piante vascolariattuali, in un intreccio estremamente complesso ed ar-ticolato di legami filogenetici. In tale percorso vengo-no evidenziati i collegamenti esistenti, in senso evolu-tivo, tra i vari taxa di piante vascolari oggi esistenti. Ven-gono utilizzate specie attualmente viventi, ma che ap-partengono a gruppi che ebbero una grande importan-za nelle flore del passato. Sono presenti i “fossili viven-ti” come le cicadee, le cui antenate delle specie attualidominarono le flore del Mesozoico. Per rappresentarequeste piante è stato realizzato un “boschetto” con va-ri esemplari di Cycas revoluta. Le felci, con vari esem-plari di Dicksonia anctartica, una specie arborea dell’e-

278museo di storia naturale

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misfero Australe, le cui antichissime progenitrici pro-speravano già nel Paleozoico. Gli equiseti, piccole pian-te erbacee eredi dei grandi calamiti arborei del Paleo-zoico. Le conifere rappresentate da Metasequoia glypto-stroboides i cui resti fossili risalgono al Pliocene inferio-re, Wollemia nobilis, specie australiana che si credevaestinta da 2 milioni di anni, Araucaria cookii una coni-fera australe di aspetto molto simile alle “conifere wal-chiane” del Carbonifero. Ginkgo biloba, ultimo rappre-sentante di un gruppo (ordine Ginkgoales) estrema-mente diffuso nel Mesozoico e Terziario. Infine, Psilo-tum nudum, piccola pianta erbacea che da un punto divista anatomico e morfologico ricorda moltissimo al-cune delle prime piante vascolari paleozoiche che co-lonizzarono le terre emerse. Il percorso si sviluppa al-l’interno dei quadri q20 e q21 dedicati alle conifere edè corredato da due grandi pannelli generali ed alcunipannelli dedicati alle singole specie utilizzate.

Alberi – Alberi monumentaliSono più di 220 gli alberi presenti nell’Orto. Fra que-sti meritano particolare attenzione i 5 alberi monumen-tali censiti secondo la Legge Regionale Toscana n. 60

Percorsoevolutivo

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del 1998 che tutela gli individui di alto pregio natura-listico, storico, paesaggistico e culturale: nel quadro q16nei pressi della Montagnola si può osservare il Tasso(Taxus baccata), l’albero più antico dell’Orto Botanico,piantato nel 1720 da Pier Antonio Micheli; di fronte èla sughera (Quercus suber), piantata nel 1805 da Otta-viano Targioni Tozzetti, con una circonferenza del tron-co di 427 cm e l’area di insidenza della chioma di circa430 m2; spostandosi al quadro q19 verso Via La Piratroviamo Zelkova serrata, individuo secolare provenien-te dal Giappone e che ha sviluppato una chioma che siespande per più di 700 m2; al lato opposto del giardi-no, nel settore che si affaccia su Via Capponi, nel qua-dro q21, osserviamo il tassodio messicano (Taxodiummucronatum) alto più di 25 m; infine, tornando versola serra fredda, nel quadro q1, si trova Zelkova crenata,albero maestoso pur avendo subito una forte capitoz-zatura in seguito a un attacco di grafiosi che ha ridottola chioma un tempo molto più ampia.Alberi molto più giovani, introdotti recentemente, so-no parimenti importanti per gli aspetti conservazioni-stici. Nel quadro q21 dedicato alle conifere e che si af-

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Zelkova serrata

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faccia su Via Capponi, è in coltivazione il cipresso al-gerino (Cupressus dupreziana), originario dell’area deiTassili N’Ajjer: in natura ne esistono pochi esemplari,circa 200, è in rarefazione ed è classificato come “Cri-tically Endangered”. Di fronte, nel quadro q20, è pre-sente l’abete dei Nebrodi (Abies nebrodensis), endemi-co del Monte Scalone nelle Madonie: in natura sonopresenti poco più di 30 individui e la specie, classifica-ta “Critically Endangered”, rientra fra le Top 50 Medi-terranean Island Plants; i fattori di minaccia, oltre all’e-siguità della popolazione, sono rappresentati dal degra-do dell’habitat e dal pericolo d’incendio. Nella parte opposta del giardino, verso l’edificio cheospita il Dipartimento di Biologia Vegetale, nel quadroq18 dedicato alle querce, possiamo vedere la rovere(Quercus petraea) proveniente da seme raccolto nella Di-spensa di Tatti, situata nella Foresta di Berignone-Tattidi Volterra (Pisa) e il frainetto (Quercus frainetto), pro-veniente dalla Maremma e inserito nella lista delle pian-te meritevoli di conservazione della Legge Regionale To-scana 56/2000 sulla tutela della biodiversità. Sempre nel-

La sughera(Quercussuber)

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lo stesso quadro è presente Quercus gambelii var. boni-na quercia endemica di Salt Lake City, Utah (USA). Altri alberi introdotti come supporto all’insegnamen-to della botanica forestale e delle discipline conserva-zionistiche sono i frassini (orniello nel quadro q8, fras-sino maggiore nel quadro q9, ossifillo alla Montagno-la), i sorbi italiani (quadri q3 e q4) e gli alberi igrofili.Fra gli alberi igrofili caratteristici di habitat meritevolidi conservazione come i boschi ripari, planiziari e pa-lustri, ricordiamo l’ontano nero (Alnus glutinosa) nelquadro q18, il pioppo bianco (Populus alba), il frassinoossifillo (Fraxinus oxicarpa) e la farnia (Quercus robur)alla Montagnola, il carpino bianco (Carpinus betulus)al quadro q10. Nei quadri q3 e q4, nei pressi della vasca centrale, no-tiamo le introduzioni riguardanti la domesticazione del-le legnose da frutto: accanto alle relative varietà coltiva-te, si trovano le progenitrici selvatiche di pero, melo, ne-spolo, sorbo, ciliegio, amareno. Nello stesso settore unospazio è dedicato ai frutti poco conosciuti: fra quellispontanei ricordiamo il corniolo (Cornus mas), il perocorvino (Amelanchier ovalis), il crespino (Berberis vulga-ris); fra quelli di origine colturale l’eleagno autunnale(Elaeagnus umbellata), il susincocco (x Armenoprunusdasycarpa), la ciliegia cuccarina (Prunus tomentosa), ilcapuli (Prunus serotina ssp. capuli), il nashi khosui (Py-rus pyrifolia) e la banana indiana (Asimina triloba).

Arbusti mesofiliNel Quadro q10 che si affaccia su Via La Marmora, so-no messi in coltivazione alcuni arbusti mesofili (specieche si pongono in situazioni intermedie rispetto al di-verso fabbisogno di acqua) spontanei della Toscana: visi trovano specie comuni come il maggiociondolo (La-burnum anagyroides), il corbezzolo (Arbutus unedo), il

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sanguinello (Cornus sanguinea) e altri più rari e inseritinella lista delle piante meritevoli di conservazione del-la Legge Regionale 56-2000: fra questi l’albero della neb-bia (Cotinus coggyria), il nespolo (Mespilus germanica),il melo ibrido (Malus florentina), l’ossicedro (Juniperusoxycedrus ssp. oxycedrus), il bosso (Buxus sempervirens).

Percorso per non vedenti e ipovedentiIl percorso per i non vedenti e ipovedenti, realizzatocon la stretta collaborazione dell’Unione Italiana Cie-chi e con la Regione Toscana, è articolato in tre sezio-ni: lungo Via La Pira un percorso costituito da 10 pian-te aromatiche con cartellini in Braille dove sono indi-cati il nome scientifico e volgare della pianta, le carat-teristiche terapeutiche e le parti usate. Questi cartelli-ni sono posti su appositi sostegni, ad altezza d’uomo,in modo che le piante stesse possano essere facilmentemanipolate e odorate. Un altro percorso che copre tutto il giardino riguardagli alberi storici o di particolare interesse per grandez-za o utilità; anche in questo caso cartellini in Braille in-dicano l’altezza. Il diametro del tronco, l’età della pian-ta considerata.

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Uno scorciodell’aiuola dellespecie mesofile

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Un’altra serie di cartelli e cartellini in Braille illustranoinfine, all’esterno, nelle serre calde e fredde e in tutte leserrette tematiche le principali caratteristiche delle col-lezioni più importanti (ad es. le cicadee, le palme, lecarnivore, le felci, le orchidee, ecc.).È stata anche creata una mappa, sempre in Braille, ditutto l’Orto, con la posizione delle specie illustrate.

Percorso sulle piante allergenicheIl crescente impatto sanitario e sociale delle allergie, fe-nomeno sicuramente ingigantito dall’inquinamento at-mosferico e da alterati stili di vita, ha suggerito questopercorso didattico in continua evoluzione, monitoratotutti gli anni dagli esperti allergologi del Laboratorio diAllergologia e Immunologia dell’Ospedale San Giovan-ni di Dio di Firenze. Questo percorso è stato creato a se-guito di un preciso lavoro sulle piante allergeniche del-la zona fiorentina, edito dal Museo in collaborazionecon l’AIA (Associazione Italiana di Aerobiologia), per fa-cilitare medici, studenti o pazienti nel riconoscimentodelle specie responsabili dei fenomeni allergenici.

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Cupressussempervirens

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Con particolari cartellini che presentano un bollinorosso, si sono individuate, nell’Orto Botanico, le prin-cipali specie allergeniche presenti a Firenze e sono sta-ti anche creati alcuni cartelli che illustrano le principa-li caratteristiche delle famiglie coinvolte maggiormen-te nei processi.

La serra freddaLe cicadeeLe cicadee rappresentano uno dei gruppi vegetali piùantichi all’interno delle Gimnosperme. Sono conside-rate “fossili viventi” in quanto, pur essendo comparse inere remote (i loro antenati più antichi sono riferibili al-la fine del Paleozoico), ebbero la massima espansionedurante il Mesozoico e sono giunte ai giorni nostri pres-soché immutate nei caratteri fondamentali, già riscon-trabili nelle specie estinte. Sono attualmente distribui-te nelle regioni comprese tra le fasce subtropicali del pia-neta e comprendono 11 generi con circa 160 specie. Mol-te specie sono inserite nelle liste di attenzione e il loro

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Encephalartosalteusteinii

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commercio è vincolato dalle restrizioni imposte dallacites (Convention on International Trade in EndangeredSpecies of Wild Fauna and Flora). Tutte le cicadee sonoinserite nelle Appendici I e II della cites. In particola-re tutte le specie appartenenti ai generi Ceratoramia,Chigua ed Eucephalartos sono in Appendice I.La collezione dell’Orto è una delle più significative e sto-ricamente rilevanti fra quelle presenti nel territorio na-zionale. Alcuni esemplari sono, infatti, in coltivazionedai primi anni del 1900 e derivano da una grande col-lezione privata costituitasi alla fine dell’800 (collezio-ne Garbari di Trento) e successivamente acquisita dalRegio Istituto di Studi Superiori e Pratici. Attualmen-te sono presenti oltre 200 esemplari appartenenti a 9generi. Alcuni di essi raggiungono dimensioni ragguar-devoli raggiungendo i fusti in alcuni casi l’altezza di 4,5m ed un diametro di 1,5 m. Tale collezione è ospitataper la maggior parte nel settore sf3 della serra fredda,mentre vari esemplari di minori dimensioni e le giova-ni piante di recente introduzione sono conservate nel-la serretta di propagazione (s4).

Gli agrumiApprezzati da sempre, gli agrumi sono diventati, nel cor-so dei secoli, oggetto di studio e collezionismo per il va-lore ornamentale, l’infinita varietà dei frutti, le proprietàalimentari e medicinali. Nel settore sf2 della serra fred-da sono presenti più di 50 esemplari: oltre agli agrumipiù conosciuti, ci sono varietà antiche o poco note co-me il limone cedrato di Firenze, il cedro degli Ebrei, l’a-rancio amaro cornuto, l’arancio d’Otaiti, il limone pe-retta di San Domenico, il pommelo, la mano di Buddha. È presente anche la bizzarria, descritta così da Targio-ni Tozzetti nel 1896: “i frutti di questa pianta … sonoun miscuglio di limone, di cedro e di arancio (…) ta-

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lora sulla stessa pianta ve ne sono di semplice limone oarancia o cedrato, altri misti d’arancia e di cedro, o dilimone e d’arancia, o di limone e di cedro”. La storiariporta che la prima bizzarria sia stata rinvenuta nel1644 nella tenuta Panciatichi, ubicata in Via Torre de-gli Agli a Firenze, dal giardiniere che si prendeva curadei frutti. Oggi sappiamo che la bizzarria è una chime-ra d’innesto, ma fino al secolo scorso i botanici si sonotrovati davanti a un vero e proprio enigma che ha datoluogo alle interpretazioni più varie.La collezione, durante la stagione calda, è disposta at-torno alla vasca centrale.

Le palmeLa collezione delle Arecaceae (comunemente dette Pal-me) consta di circa 250 esemplari divisi in 40 generi e82 specie.La parte storica della collezione comprende una tren-tina di piante, 13 delle quali sono ultracentenarie, pro-venienti da donazioni di privati (Garbari, Migliorati,Roster) o da altri Orti botanici italiani (Roma, Paler-mo, Napoli, Hambury) e stranieri (Valencia, Calcutta,Vera Cruz, Vilmorin, Parigi, Buenos Aires, Lisbona),

287orto botanico

CitrosaurantiumBizzarria

La manodi Buddha

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avvenute negli ultimi anni del xixsecolo. In particolare, la palma più“vecchia” è Latania lontaroides do-no, nel 1883, del Ministero dell’A-gricoltura.Nel secondo dopoguerra la colle-zione si è accresciuta grazie a spe-dizioni di raccolta in America la-tina, in India e in Nepal; attual-mente è in rapida espansione tra-mite acquisto e scambio di nume-rosi esemplari da altri orti botani-ci e appassionati del settore.La collezione è ospitata per la mag-gior parte nella serra fredda (sf1)ed in misura minore nella serra cal-da. A livello didattico, interessan-ti sono gli esemplari di Phoenix dactylifera (palma da dat-teri) e Arenga pinnata (sugar palm); tali specie sono im-portanti per l’alto contenuto di glucidi presente neifrutti della prima e nelle infiorescenze maschili della se-conda. Ripercorrendo poi un’antica funzione dell’Or-to Botanico, sono state allestite due aiuole (q1 e q2) di“acclimatazione” di Palme esotiche che vivono così sem-pre all’aperto. Le piante, nei primi anni protette nella stagione inver-nale, provengono per lo più da zone montane del con-tinente asiatico. In particolare interessanti sono diver-se specie del genere Trachycarpus, Butia, Sabal, Serenoa,una Jubaea chilensis e la rara Phoenix theophrastii. Imponenti tre esemplari, una Brahea edulis e una Wa-shingtonia filifera nell’area del laghetto e una Phoenix ca-nariensis del quadro q2.

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Veduta dellacollezioneospitata nelTiepidario

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Le succulente

Le succulente, conosciute come“piante grasse”, sono diffuse in am-bienti aridi e devono il loro nomee il loro aspetto alla presenza di unparenchima acquifero che serve dariserva idrica utilizzabile nei perio-di di siccità prolungata. Il tessutospecializzato può essere localizzatonelle foglie, nei fusti e nelle radiciche di conseguenza s’ingrossano di-venendo carnosi, succulenti. La collezione, situata nel settore sf1della serra fredda, conta 850 esem-plari appartenenti a 28 famiglie e148 generi, suddivisi in gruppi di-

versi in modo da dare maggior risalto alle varie strate-gie adattative: esempi di evoluzione convergente in Aga-ve e Aloe e nelle euforbie e cacti colonnari; presenza dicaudice (organo perenne ingrossato ma, a differenzadelle succulente vere e proprie, non fotosintetizzante)in Nolina, Adenium, Pachypodium; mimetismo e “fine-stre” nei Lithops (sassi viventi). Molte specie presentisono tutelate dalla legge e il loro commercio è vincola-to dalla cites.Nel cassone c4 posto davanti alla serra fredda, sono pre-senti 144 cactacee appartenenti a 36 generi, provenien-ti da donazioni della Sezione toscana dell’AssociazioneItaliana Amatori Succulente; mentre nel cassone c1, inprossimità della serra calda, sono alloggiate Crasula-ceae, agavi e opuntie.

Carallumanegevensis

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Le serrette

Le BromeliaceeParte della collezione proviene da missioni effettuatedall’Orto Botanico negli anni ’70, in America centra-le e meridionale. Le Bromeliaceae possono essere ter-restri, rupicole o epifite. Le foglie sono disposte a ro-setta che riceve l’acqua piovana e spesso serve da rifu-gio per rane e piccoli invertebrati. Le radici sono qua-si sempre ridotte e l’assorbimento dei nutrienti avvie-ne tramite i tricomi, peli multicellulari presenti sullefoglie. Il frutto può essere una bacca, una capsula o unsincarpo come nel caso dell’ananas, il cui frutto è ric-co di vitamine, sali minerali e zuccheri; da esso si estraela bromelina, ad azione antidolorifica. Un’altra brome-liacea particolare è Tillandsia usneoides, conosciuta “bar-ba di vecchio”: le radici sono assenti e i piccoli fusti lun-ghi e sottili hanno foglie quasi invisibili coperte di sca-glie grigio-biancastre. Vive in America centrale e spes-so la si può vedere appesa ai fili della rete elettrica. Lacollezione è ospitata nella serretta S1.

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Nidularium

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Le felciCon il nome “felci” so-no impropriamentedefinite tutte le piantevascolari che si ripro-ducono per spore. Intermini più corretti sideve parlare di “pteri-dofite”. Queste piantesono caratterizzate daun ciclo riproduttivoche vede l’alternanza didue fasi nettamente di-stinte: lo sporofito cheè la struttura vegetaleche ben conosciamo, dotata di fronde, fusto e radici eche appunto produce le spore, e il gametofito, piccoloe quindi di difficile individuazione, nel quale vengonoprodotti i gameti.Indubbiamente l’età d’oro delle felci è rappresentatadal Paleozoico, con particolare riferimento al Carboni-fero, tant’è che a formare i depositi fossili di tale perio-do concorsero grandemente proprio le felci che pro-speravano in quelle remote epoche.Questo grande gruppo vegetale è ancor oggi costituito dauna gran numero di specie e distribuito praticamente sututte le terre emerse ad eccezione delle regioni polari.Questa collezione è una delle più ricche presenti nel-l’Orto Botanico, infatti comprende oltre 300 esempla-ri appartenenti a 64 generi. Alcuni esemplari sono an-tichi, essendo in coltivazione presso il “Giardino deiSemplici” dai primi anni del xx secolo. La collezione èospitata nella serretta s2.

291orto botanico

Adianthumreniforme

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Le orchideeLe orchidee rappresentano un vastissi-mo ed affascinante gruppo di piante er-bacee diffuse in quasi tutti gli ambien-ti e latitudini. Spesso mostrano signifi-cativi adattamenti per vivere in condi-zioni climatiche e trofiche difficili. Lamaggior parte vive nelle regioni tropi-cali e moltissime si sono adattate allacondizione epifitica: trascorrono cioè laloro esistenza aggrappate ai tronchi erami degli alberi delle foreste tropicali.Altra caratteristica di spicco è la forma,colori e complessità delle strutture fio-rali, legata alla necessità di attrarre gli in-setti impollinatori. Molte specie botaniche hanno datoorigine, grazie alla selezione artificiale, ad un grandissi-mo numero di varietà apprezzatissime dagli appassiona-ti di tutto il mondo. La serretta delle orchidee ospita ol-tre 100 specie di origine tropicale, appartenenti ad unatrentina di generi. La collezione è ospitata nella serret-ta S3.

Le carnivoreLa collezione, ad uso prevalentemente didattico, è col-locata nella serretta di fronte all’ingresso principale. Lecarnivore vivono su terreni poveri di sostanze nutritivecome le torbiere e hanno sviluppato vere e proprie trap-pole per catturare insetti e, in certi casi, piccoli roditorie anfibi dai quali estraggono i nutrienti. Si possono os-servare le trappole “a carta moschicida”, con foglie alta-mente adesive come nelle specie europee dei generi Dro-sera e Pinguicola; trappole ad ascidio (imbuto) nei gene-ri Sarracenia (che vive all’aperto in due teche poste a la-to della serretta) e Nepenthes; trappola a scatto in piante

Vanda tricolor

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che catturano la preda con un movimento rapido dellefoglie, come nel genere Dionaea; piante, infine, che han-no delle trappole ad aspirazione formate da una vescico-la che attira al proprio interno i piccoli animali da cat-turare come Utricularia vulgaris che si trova per le sue ca-ratteristiche in un acquario all’interno della serra calda. La collezione è ospitata in una piccola serretta a latodella serra s1.

Le begonieLa collezione di begonie comprende un’ottantina diesemplari appartenenti a oltre 30 tra specie e varietà. Ta-li piante provengono da aree tropicali e necessitano diun clima caldo-umido che alle nostre latitudini può es-sere assicurato solo dalla coltivazione in serra calda. Lebegonie sono apprezzate come piante ornamentali siaper la bellezza del fogliame sia per le spesso rigogliosefioriture. Mentre il fogliame può essere apprezzato du-rante tutti i periodi dell’anno, per le fioriture, almenoper ciò che riguarda quelle appartenenti alla nostra col-lezione, il periodo migliore va da gennaio a marzo. Nelmese di maggio, al termine quindi delle fioriture, si

Foglia a cartamoschicida inDrosera

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provvede alle necessarie operazioni di rin-vasatura.Tra gli esemplari ricordiamo quelli ap-partenenti alle specie B. maculata e B.sanguinea non già per particolarità bota-niche, ma in quanto legate al loro scopri-tore, Giuseppe Raddi (1770-1829), illu-stre botanico fiorentino che le descrisseper primo, durante un viaggio in Brasilenel 1817-1818. La collezione è ospitata nel-la serretta s5.

Le Aracee Nella serretta s6 sono ospitati un centinaio di esempla-ri appartenenti alla Famiglia delle Aracee. I generi piùrappresentati sono Anthurium e Philodendron. Le Ara-ceae sono una grande famiglia che comprende oltre 100generi e più di 3000 specie, diffuse su tutto il pianetacon prevalenza nelle aree tropicali nelle quali moltissi-me specie sono adattate alla condizione epifitica. La ca-ratteristica principale che accomuna queste piante è latipica infiorescenza a spadice, spesso avvolta da unabrattea fogliosa e spesso vistosamente colorata, dettaspata. Un’altra settantina di aracee sono ospitate nelsettore sc4 della serra calda, tra le quali ricordiamo unbellissimo esemplare di Philodendron speciosum, origi-nario della Bolivia e Brasile.

294museo di storia naturale

Begoniafuksioides

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GlossarioCamilla Saccardi

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Accademia del CimentoChiamata anche Accademia dell’espe-rimento fu fondata a Firenze nel 1657dal principe (poi cardinale) Leopoldode’ Medici e dal granduca Ferdinan-do ii de’ Medici. Fu una delle primesocietà a carattere scientifico in Euro-pa. Durante le riunioni, che si tene-vano solitamente a Palazzo Pitti, si in-tendeva verificare, secondo la meto-dologia sperimentale galileiana, iprincipi della filosofia naturale conl’obiettivo di rinnovare e diffondereil sapere scientifico. Da qui il celebremotto “provando e riprovando”. Nefecero parte anche Alfonso Borelli,Carlo Dati, Francesco Redi, CarloRenaldini, Vincenzo Viviani e Loren-zo Magalotti. Quest’ultimo, in qua-lità di segretario della Società, pub-blicò nel 1666 i “Saggi di naturaliesperienze fatte nell’Accademia delCimento”, in cui vennero presentatii risultati conseguiti nel decennio disperimentazioni. L’attività dell’Acca-demia cessò nel 1667.

AstrofisicaBranca dell’astronomia che studia lanascita, l’evoluzione e le proprietà fi-siche degli oggetti celesti e dell’uni-verso intero mediante lo studio spet-troscopico delle radiazioni emesse daicorpi stessi e con l’ausilio di modellimatematici e sistemi numerici com-plessi. Le origini dell’astrofisica si pos-sono rintracciare nel xix secolo, conl’applicazione delle tecniche spettro-scopiche allo studio dei corpi celesti.Primo ad analizzare la radiazione so-lare mediante uno spettroscopio fu ilfisico tedesco Joseph Fraunhofer cheottenne così le prime importanti infor-mazioni sulla natura chimica della no-stra stella.

CeroplasticaTecnica che si avvale della cera per ri-creare oggetti di vario tipo nonché es-seri viventi o parti di questi. Già co-nosciuta dai Fenici, dagli Egizi e daiRomani ha avuto una grande impor-tanza fino all’800. Piuttosto economi-ca e facile da reperire, la cera venneutilizzata sia nelle arti figurative sia perla realizzazione di immagini per i piùsvariati scopi.

CCiimmeelliiooOggetto raro e prezioso, appartenutoa un personaggio illustre, risalente auna determinata epoca o testimonian-za di una scoperta.

Collezioni ancillariCollezioni di supporto alla collezioneprincipale o propedeutiche per lo stu-dio o l’apprendimento di una deter-minata disciplina.

CoproliteLa parola deriva dal greco “kopros”,sterco e “lithos”, pietra. Normalmen-te il termine coprolite è riferito a tut-ti gli escrementi fossili all’interno deiquali sono talvolta riconoscibili restivegetali e animali che fornisconoinformazioni sulla dieta di chi li haprodotti e sui parassiti intestinali.

CordofoniStrumenti musicali a corda.

CristallografiaQuesta parola, che deriva da quellegreche “krystallos” = ghiaccio e“graphe” = “scrivere”, indica la disci-plina che studia come gli atomi sonodisposti nei solidi. Nacque nel xvii se-colo come branca della mineralogia;all’epoca, la disciplina era prevalente-

297glossario

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mente rivolta allo studio della formadei cristalli.

CrittogameNella classificazione Linneana ne fa-cevano parte quelle piante prive di or-gani riproduttori visibili, contrappo-ste alle fanerogame, piante dotate difiore in cui, appunto, gli organi depu-tati alla riproduzione sono ben ricono-scibili. Si annoverano fra le crittoga-me, ad esempio, i muschi e le felci.

Declinazione degli astriLa distanza angolare degli stessi dall’e-quatore celeste che viene definito co-me la proiezione dell’equatore terre-stre sull’immaginaria sfera celeste.

DendriteIn mineralogia indica un minerale cheha un aspetto ramificato.

DioramaAmbientazione che ricrea scene di va-rio genere. In museologia naturalisti-ca è una “vetrina” che riproduce undeterminato luogo in un preciso mo-mento ed espone esemplari della flo-ra e della fauna locali, documentan-done anche le caratteristiche ecologi-che ed etologiche.

DrupaÈ un frutto carnoso generalmente mo-nospermo, con endocarpo legnoso.Tipici esempi di drupa sono i fruttidel ciliegio e del pesco.

EndemicoIn zoologia e botanica sta a significaredi specie o altre categorie sistematiche(animali o vegetali) che vivono esclu-sivamente in un territorio circoscrittodi dimensioni più o meno ampie.

EndocarpoPorzione più interna dei frutti car-nosi, cioè quella che racchiude il se-me.

ErbarioCon questo termine si intende un in-sieme di piante essiccate e classificate,nonché una collezione di raccolte diexsiccata conservata presso una istitu-zione.

Exsiccata, sing. Exsiccatum (ital. Essic-cati)Campioni di piante pressate, essicca-te e fissate su un foglio per un erbario.

Foro gnomonicoApertura attraverso la quale passa ilfascio di luce che va ad indicare l’orasu una meridiana.

GameteCellula riproduttiva di organismi a ri-produzione sessuale contenente lametà dell’informazione genetica di unindividuo.

GlitticaTermine che indica l’arte con la qua-le vengono incise o intagliate pietredure e gemme nonché lo studio di ta-li lavorati. Le prime testimonianze ditali manufatti risalgono alle civiltà me-sopotamiche per poi diffondersi an-che presso gli antichi egizi, gli etru-schi, le civiltà dell’Egeo e l’antica Ro-ma, dove la glittica raggiunse livelli as-sai alti. Molto diffuse in età paleocri-stiana e nel mondo bizantino le im-magini sacre realizzate secondo questatecnica, utilizzata poi anche nel Me-dioevo e, con ancora maggiore impul-so, nel Rinascimento.

298museo di storia naturale

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IntertidaleArea della fascia costiera situata fra illivello minimo e quello massimo del-la marea.

PandanoPianta appartenente alle monocotile-doni. Le varie specie di Pandanus so-no originarie di molte regioni tropi-cali del pianeta e vengono coltivate unpo’ ovunque a scopo ornamentale. Innatura può raggiungere anche gli 8metri di altezza. Il fusto si sorreggespesso su lunghe e solide radici aereeancorate al terreno; alle estremità deirami si inseriscono ciuffi di foglie li-neari e appuntite, ciascuna delle qua-li può raggiungere anche 2 metri dilunghezza.

PermafrostDefinizione convenzionale che indicaun terreno ghiacciato da almeno 2 an-ni, presente primariamente nelle re-gioni artiche, ma anche in alta mon-tagna. Di solito è caratterizzato da uno stra-to attivo superficiale, che si sviluppain profondità fino a diversi metri, e dauno strato sottostante sempre ghiac-ciato. La parte superficiale è sensibileai cambiamenti stagionali, arrivandoa scongelarsi in parte durante il perio-do estivo per poi ricongelare d’inver-no, mentre quello profondo è un pro-dotto conservatosi fino ai nostri gior-ni dall’ultima glaciazione (circa 10.000anni fa).

PomologiaDisciplina che studia in maniera siste-matica gli alberi da frutto e i loro pro-dotti classificandone e distinguendo itempi di maturazione, le dimensioni,

il colore della superficie e della polpa,la resistenza della pianta alle avversità.

Pozzo astronomicoStruttura tubolare per l’osservazionedegli astri allo Zenit.

SciamanesimoInsieme di credenze e pratiche di vitasorto presso le culture dei cacciatori-raccoglitori che ruota attorno alla fi-gura dello sciamano, un saggio-guari-tore generalmente di sesso maschile.Attraverso la sua attività magico-reli-giosa si fa portavoce degli spiriti, re-sponsabili della sorte e degli avveni-menti terreni. Affrontando numero-se prove e stati di trance, ottiene vi-sioni in grado di risolvere i possibiliproblemi della comunità e del singo-lo (salute, riproduzione, sussistenza).Inoltre, lo sciamano officia i riti di pas-saggio: propizia la stagione della cac-cia e svolge funzione di psicopompo(colui che accompagna nell’oltretom-ba) guidando nell’aldilà le anime deimorti. Gli sciamani non derivano daun’istituzione ma possiedono facoltàinnate e occupano una posizione so-ciale ed economica elevata, special-mente se diventano famosi come gua-ritori.

Sistematica (ordine sistematico)Scienza che classifica gli esseri viven-ti. Tentativi di classificazione sono esi-stiti fin dall’antichità (si ricordano, tragli altri, Aristotele e Plinio il Vecchio)ma è con le opere Species Plantarum(1753) e Systema Naturæ (1758) di Lin-neo (nome italianizzato del naturali-sta svedese Carl von Linné, 1707-1778)che la sistematica acquista una formascientifica. In questo testo Linneo de-scrisse tutte le specie viventi allora co-

299glossario

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nosciute, assegnando a ciascuna di es-se un doppio nome (nomenclatura bi-nomia): genere e specie.

SpettroscopiaLo studio degli spettri associati all’e-missione o all’assorbimento di radia-zione elettromagnetica da parte di ato-mi o molecole. È un efficacissimo me-todo di indagine che consente di ca-ratterizzare la materia anche a grandidistanze, come accade tipicamentenella ricerca astronomica e astrofisica.

TapaFeltro ottenuto dalla macerazione ebattitura della corteccia d’albero, conil quale si confezionano abiti, tendedivisorie per l’interno delle abitazionio stuoie leggere per coprire i pavimen-ti. La tapa è diffusa in Africa, Asia e so-prattutto in Polinesia, dove è spessodecorata con motivi geometrici poli-cromi e raggiunge caratteristiche qua-litative eccellenti.

Tassonomia(Dal greco, taxis, “ordinamento”, enomos, “norma” o “regola”) la scien-za della classificazione con riferimen-to, generalmente, agli organismi vi-venti.

TotemEntità naturale o soprannaturale consignificato simbolico per l’individuo,per il clan o la tribù, con il quale si sta-

bilisce un legame per tutta la vita. Es-so viene rappresentato nella gran par-te dei casi da una specie animale op-pure da una pianta, da un minerale oda un fenomeno naturale. Il terminetotem evoca anche gli alti pali di legnoche i popoli nativi del Nord Americaerigevano in segno di devozione del-l’entità venerata.

TubiporaTipo di corallo, caratteristico dell’O-ceano Indiano e delle zone occidenta-li del Pacifico, con uno scheletro for-mato da tubi calcarei, in genere rossobrillante, paralleli tra loro dalla cuiestremità fuoriescono dei tentacoli ver-di o grigi. Questi sono generalmenteestesi di giorno ma si ritraggono da-vanti a un qualsiasi elemento di distur-bo. Le colonie possono raggiungere lagrandezza di un metro. Vivono in ac-que poco profonde e tendenzialmen-te protette. Si cibano di plankton.

Typus, typi (tipo, tipi)L’individuo o gli individui usati perla descrizione scientifica di una spe-cie nuova per la scienza. Ad essi vie-ne fatto riferimento per la corretta ap-plicazione di un nome zoologico obotanico.

XylotecaRaccolta di campioni di legni che ser-ve al loro studio dal punto di vista bo-tanico e tecnologico.

300museo di storia naturale

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Apparati

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303

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L.M. D’Albertis, Alla Nuova Guinea,Firenze, 1880.

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A. Azzaroli, E. Cioppi, M. Mazzini,Il Museo di Geologia e Paleontologiadell’Università degli Studi di Firenze –

Bibliografia essenziale

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304museo di storia naturale

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M. Clauser, Le piante grasse. Ecologia eadattamenti; la collezione del Giardinodei Semplici, Firenze 2004.

M. Clauser, B. Foggi, Le piante ali-mentari nell’Orto botanico. La domesti-cazione; le piante selvatiche commesti-bili della Toscana, Firenze 2004.

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M. Clauser, L. Di Fazio, P. Roma-gnoli, Gli alberi dell’Orto Botanico,Firenze 2005.

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305bibliografia essenziale

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307

Alberti Leon Battista 84Amici Giovan Battista 10, 19, 173Antinori Orazio 138Antinori Vincenzo 2,79, 80Aucher-Eloy Pierre Martin Rémi 166Averani Giuseppe 86Azzaroli Augusto 193, 200Baccarini Pasquale 157, 172Bacci Peleo 147, 148Baldinucci 17Barla Jean-Baptiste 176, 177Beccari Odoardo 58, 59, 132, 164, 168,

169, 170, 171, 261Bellenghi Giuseppe 131Bimbi Bartolomeo 18Biondi Ugo 132, Biondi Antonio 157, 178Boggiani Guido 104Bonaparte Napoleone 84Borbone (dei) Maria Luisa 2Bortone Antonio Ippazio 225Bòttego Vittorio 148Branchi Giovanni 131Bregans Benedetto 19, 86Brissoni Ernesto 138Calamai Luigi 13, 68, 73, 173, 176Calenzuoli Francesco 13, 68, 173Capacci Celso 222Carlo III di Spagna 241Caruel Teodoro 157, 259

Cassini Domenico 84Castellani Aldo 137Castelli Benedetto 83Cavalieri Bonaventura 83Cerulli Enrico 148Cesalpino Andrea 15, 16, 161, 162, 163Chabert Alfred 157, 164Chevalier Pedro, 240Chini Galileo 96Ciampi Adolfo 222, 249Cipriani Curzio 221Cipriani Lidio 138,144Clarke Ronald 187Cocchi Iginio 181, 192Cook James 13, 95, 106, 109, 125, 126,

238, 241Cosimo I de’ Medici 13, 97, 240, 242, 259Cosimo III de’ Medici 13, 18, 76, 241Crosterr Vittorio 85Cuvier Georges 14, 181, 186, 193, 211da Cuna Gerson 153Dainelli Giotto 147, 153, D’Albertis Enrico Alberto 132D’Albertis Luigi Maria 132D’Ancona Cesare 181, 218Darwin Charles 60, 211Davy Humphrey 86De Balzan Borg 107, 153de Dolomieu Déodat 222, 251De Filippi Filippo 153

Indice dei nomi

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308museo di storia naturale

De Filippi Edmea 154De Gubernatis Angelo 96, 152, 153, della Porta Giovan Battista 84Della Robbia 75del Tasso Domenico 245Desfontaines René Louiche 166Desio Ardito 196De Stefani Carlo 181, 196, 218De Vecchi Domenico 9, 24, De Vecchi Paolo 107, De Visiani Roberto 178De Zigno Achille 178Dollond 20Donatello 75, 76Donati Giovanni Battista 10, 18, 19, 20Don Pedro di Braganza 15Eleonora di Toledo 97Fabbri Fernando 261Fabbroni Giovanni 10, 126, 246Falconer Hugh 193, Felici Sante 199Fenzi E.O. 172, 200Ferber 195Ferdinando I de’ Medici 239, 240, 242,

245, 246, Ferdinando II 83, 84, 97, Ferdinando III (di Lorena) 2, 16, 76,

80, 163Finsch Otto 131Fiori Adriano 165, Fontana Felice 1, 9, 11, 68, 78, 126Foresi Raffaello 225, 233, 234, 235, 236,

237.Fossey Diane 45Francesco I 238, 240Fucini Alberto 218Galilei Galileo 4, 21, 79, 80, 81, 82, 83,

84, 85

Galitzin 241Garbari 286, 287Garibaldi Giuseppe 102Gaudin Charles Théophyle 217Gellini Romano 269Gervais Paul 188Ghini Luca 162Giazotto Adalberto 222Giovanni de’ Medici 82Giraldi Guseppe 157Gonnella Tito 21, Grattarola Giuseppe 221, 225Graziosi Paolo 154Grimaldi Francesco Maria 84Groves Henry 164Guglielmi Liberemo 275von Haast John Francis Julius 206Hambury Thomas 287Hürzeler Johannes 187, 188Kingsmith Mavis 107Koekkoek Niko 222Labillardière Jacques Julien Houton de

166, 167Lamberti Aniello 3Leith Tyrrel 153Leonardo Da Vinci 81, 216Leopoldina d’Asburgo 17Leopoldo II di Lorena 2, 15, 78, 79, 84,

85, 126, 163, 166, 181, Levier Emilio 157, 164, Linneo Carlo162, 174Livingstone David 39Lodovico il Moro 81Lopez Netto Enrique 104, 172, Lopez Netto Felipe 111,Lorenzo il Magnifico 237, 239, 241Loria Lamberto 132, 147Luigi XIV 76

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Machiavelli Niccolò 200Mantegazza Paolo 3, 95, 96, 99, 102,

103, 104, 108, 111, 117, 131, 152, 153Maraini Fosco 96, 109Marinelli Olinto 147, 153Martelli Giuseppe 19, 21, 79,Martelli Ugolino 164, 171, Martini Ferdinando 148Massalongo Abramo 178Mattirolo Oreste 157Mazzei Ernesto 104, 111Meneghini Giuseppe 168, 193Merini Michele 161Merla Giovanni 193Micheli Pier Antonio 16, 163, 181, 195,

259, 280, Migliorati 287Millosevich Federico 233Miseroni Gasparo 237, 242Mochi Aldobrandino 147Modigliani Elio 117, 118, 120, 121, 153, Moggi Guido 172Montagne Jean Pierre François Camille

168Morandi 154Negri Giovanni 260Nesti Filippo 14, 181, 197, Niccolò di Russia 248Pacioli Luca 81Panciatichi 287Paoletti Niccolò Maria Gaspero 9Papi Piero Roberto 222Parlatore Filippo 15, 61, 157, 158, 162,

163, 164, 165, 166, 168, 173, 177, 178 ,259

Pavon Jose Antonio 166Perrone Oscar 111Piaggia Carlo 95, 138

Pichi Sermolli Rodolfo 165Pietro Leopoldo (di Lorena) 1, 11, 68,

78, 85, 241Podenzana Giovanni 131Poggiolini Lorenzo 138Ponis Alberto 222, 227, 228, 242Pons Jean-Louis 10, 20Provenzal Federico 138Puccioni Nello 144Pullè Giulio 225Racah 222Raddi Giuseppe 17, 294Renaldini Carlo 86Ricasoli Bettino 16Ridolfi Cosimo 81Romiti Gabriele 154Roster Giorgio 225, 233, 235, 236, 237, 287Rothschild Walter 60Ruiz Hipolito 166Rumpf Georg Everhard 13Savi Paolo 16, 196Scheidel Arthur 131Schimper Wilhelm Philipp 178Short James 20Sismonda Eugenio 178Sisson Jeremiah 19Soderi-Annovazzi 29Solera Laura 102Sommier Stephen 100, 101, 103Stanley Henry 39Staunton Gorge Leonard 167Stenone Niccolò 12, 192, 222Stoppani Antonio 181Strozzi Carlo 183, 217Strunz Hugo 247Susini Clemente 13, 68, 71, 72, 74, 76, 173Tagore Sourindro Mohun 153Targioni Cipriano 86

309indice dei nomi

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310museo di storia naturale

Targioni Tozzetti Antonio 16, 286Targioni Tozzetti Giovanni 16, 17, 42,

89, 181, 259Targioni Tozzetti Ottaviano 16, 280Tejada Jacobit 102Thocmetony (Sarah Winnemucca) 108Tornabuoni Alfonso 16Torricelli Evangelista 82, 83Tortori Egisto 13, 68, 78, 173Triebel Federico 107

Uguccioni Gastone 153Vasari Giorgio 242Vittorio Emanuele di Savoia Aosta

conte di Torino 40Viviani Vincenzo 82, 83Volta Alessandro 84Webb Philip Barker 17, 165, 166, 167,

168, 169, 170Winnemucca Sarah (Thocmetony) 108Zumbo Gaetano 68, 76, 77, 78

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311

Presentazionivii di Michele Gremigniix di Claudio Martinixi di Cristina Acidini

xiii di Augusto Marinelli

1 Introduzionedi Fausto Barbagli

Sezione di Zoologia “La Specola”9 Il Torrino della Specola

di Fausto Barbagli23 Le sale di Zoologia

di Teresa Catelani, Alessandro Aspreae Lorenzo Montemagno Ciseri

87 Il Salone degli Scheletridi Alessandro Asprea

Sezione di Antropologia e Etnologia95 Cenni storici e introduttivi

di Monica Zavattaro e Maria Gloria Roselli152 Oltre l’esposizione

Sezione di Botanica157 Cenni storici e introduttivi

Piero Cuccuini e Chiara Nepi161 Oltre l’esposizione

Sezione di Geologia e Paleontologia181 Cenni storici e introduttivi

di Elisabetta Cioppi e Stefano Dominici

Indice

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Sezione di Mineralogia e Litologia221 Cenni storici e introduttivi

di Luca Bindi, Luciana Fantoni e Luisa Poggi

Sezione Orto Botanico259 Cenni storici e introduttivi

di Luciano Di Fazio, Marina Clauser e Paolo Luzzi

295 Glossario

Apparati303 Bibliografia essenziale307 Indice dei nomi

312museo di storia naturale

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Finito di stampare in Firenzepresso la tipografia editrice Polistampa

Ottobre 2009

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