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Redazione, grafica e layout: Ugo Giani, Paola Menchetti Copertina: Carlo Fiore © 2014 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 Lucca [email protected] www.lim.it SEdM Società Editrice di Musicologia, lgt. Portuense 150, 00153 Roma [email protected] www.sedm.it Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodot- ta, archiviata in sistemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccani- ca, fotocopiata, registrata o altro senza il permesso dell’editore, dell’autore e del curatore. isbn 978-88-7096-801-9 Volume pubblicato con il patrocinio del Conservatorio di Musica “G. Verdi” di Milano

Musica come pensiero e come azione

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Page 1: Musica come pensiero e come azione

Redazione, grafica e layout: Ugo Giani, Paola MenchettiCopertina: Carlo Fiore

© 2014 Libreria Musicale Italiana srl, via di Arsina 296/f, 55100 [email protected] www.lim.itSEdM Società Editrice di Musicologia, lgt. Portuense 150, 00153 [email protected] www.sedm.it

Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione potrà essere riprodot-ta, archiviata in sistemi di ricerca e trasmessa in qualunque forma elettronica, meccani-ca, fotocopiata, registrata o altro senza il permesso dell’editore, dell’autore e del curatore.

isbn 978-88-7096-801-9

Volume pubblicato con il patrocinio del Conservatorio di Musica “G. Verdi”

di Milano

Page 2: Musica come pensiero e come azione

Musica come pensiero e come azione

Studi in onore di Guido Salvetti

a cura diMarina Vaccarini – Maria Grazia Sità – Andrea Estero

Libreria Musicale ItalianaSEdM Società Editrice di Musicologia

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Sommario

Premessa dei curatori xi

Tabula gratulatoria xvii

Marcello AbbadoCarillon sopra Guido per pianoforte

Alessandro SolbiatiSol per pianoforte

Marcello Piras«Cretese sarà lei!»: indagine sulla vera identità di Mesomede 3

Agostino ZiinoTre laude per un santo e tre santi per una lauda 21

Giovanni AcciaiUt mens concordet vocis. Prassi compositiva ed esecutiva della polifonia di Nôtre-Dame di Parigi 55

Piero GargiuloLucrezia e la «città ferrarese»: scena e musica per la duchessa estense 75

Teresa M. GialdroniTurcherie ai castelli romani: il canto dell’egizia Fatima 83

Ausilia Magaudda – Danilo CostantiniA proposito del San Guglielmo d’Aquitania di Pergolesi trent’anni dopo 97

Alberto Basso«L’eruditissimo conte di San Raffaele»: un intellettuale musicista del Settecento a Torino 111

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∙ Sommario ∙

∙ vi ∙

Friedrich LippmannVincenzo Fabrizi im Verhältnis zu Giacomo Tritto und Giuseppe Gazzaniga: sein Convitato di pietra, Rom 1787 125

Francesco PassadoreMaddalena Lombardini versus Ludovico Sirmen. La carriera e la musica da camera di due coniugi violinisti del secolo xviii 147

Mariateresa Dellaborra«Viotti arrangé pour la flûte»: il caso di tre concerti 187

Marco ManganiUna passeggiata attraverso le relazioni armoniche di terza: lo ‘stile classico’ e il caso Boccherini 211

Elena PrevidiI coreodrammi parlanti: Viganò e Gioja in mano ai ‘comici’ 247

Carlo PiccardiL’orizzonte domestico dell’opera 267

Claudio ToscaniBroccoli, arrosto e brodo lungo. Sul gergo del teatro musicale italiano nel primo Ottocento 299

Marcello ConatiL’integralismo musicale di Rossini 325

Philip GossettThe first surviving letter from Verdi to Salvadore Cammarano 337

Giorgio SanguinettiGalanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento 345

Paologiovanni Maione – Francesca SellerArtigiani e mercanti: l’industria degli strumenti musicali a Napoli nell’Ottocento 363

Marina VaccariniIl fondo Villa della Biblioteca del Conservatorio di Milano. Storia di un dono 403

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∙ Sommario ∙

∙ vii ∙

Licia SirchIl Convegno (Cremona-Milano, 1856) e Paolo e Virginia (Roma, 1877). Sulla musica strumentale da camera di Amilcare Ponchielli 421

Marino PessinaLa Sinfonia in quattro tempi di Antonio Bazzini. Una ricognizione formale 455

Maria Grazia SitàAlberto Mazzucato: storia e filosofia musicale nell’Atlante della musica antica (1867) 471

Angelica BuompastoreGiovanni Pacini e il Monumento Europeo a Guido Monaco 503

Rosy Moffa«Lodatelo con l’arpa e con la cetra…». Musica sinagogale piemontese dell’Ottocento 527

Michelangelo GabbrielliI Lieder per coro a cappella di Robert Schumann 547

Bianca Maria AntoliniLiszt e Dante: l’unione delle arti nella sinfonia 563

Paolo PetazziUn Gesamtkunstwerk? Sulla Brahms-Phantasie di Klinger 607

Annalisa BiniIl Fondo Mugnone nella Bibliomediateca dell’Accademia di Santa Cecilia. Una prima ricognizione 623

Giancarlo Rostirolla‘Per il miglior esercizio’ della musica sacra nelle chiese di Roma. Provvedimenti della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia riguardanti gli organisti e la musica per organo (1828) 645

Fiamma NicolodiPizzetti saggista e critico musicale di Puccini a Firenze: la parabola di un giudizio 665

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∙ Sommario ∙

∙ viii ∙

Giovanni Morelli †Il principone fa la posta all’Opera. Un caso di Stalking 683

Cesare OrselliAnnotazioni sulla lirica da camera di Antonio Scontrino 693

Virgilio BernardoniComicità ‘goldoniane’ nell’opera italiana 1900-1930: il caso di Ermanno Wolf-Ferrari 719

Paola CarlomagnoCorreva l’anno 1940: uno ‘speciale’ della musica italiana 743

Aurora CogliandroFissità o elaborazione tematica? Riflessioni su alcuni lavori pianistici e cameristici di Ennio Porrino 763

Elisabetta AndreaniIngeborg Bachmann e la musica. Storia di una passione e di un’amicizia 777

Luisa CuringaLa concezione pedagogico-didattica di Georges Migot tra ‘nazionalismo artistico’, spiritualità e misticismo 801

Alessandro MelchiorreSchönberg e Il rapporto col testo 811

Carlo Fiore‘Stile tipografico internazionale’, cartellonistica e vita musicale 825

Marco MoiraghiVivaldi, Bach, Mozart e Beethoven: gli incubi musicali di Gino Negri 851

Alfonso AlbertiSpunti di ironia adorniana 865

Mario BaroniTimbro, tessitura, sonorità e ‘altro’. Come nominare cose innominabili 879

Quirino PrincipeLudus in Aenigmate 887

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∙ Sommario ∙

∙ ix ∙

Rossana DalmonteAlla ricerca delle coordinate interiori 897

Carla MoreniPer Guido 903

Pubblicazioni di Guido Salvetti 909

Indice dei nomi 919

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Giorgio Sanguinetti

Galanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento

Tutti conoscono la conclusione del primo Preludio della Tastiera ben temperata, primo libro, di Bach (d’ora in poi abbreviato in wtc).1 Dopo un prolungamento della dominante della durata di ben otto battute (essenziamente un’espansione della cadenza doppia), la risoluzione lungamente attesa avviene su una triade di tonica ‘sporcata’ dalla presenza di una settima minore. Ne risulta una settima di dominante della sottodominante, che si presenta in posizione di quarta e sesta perché su pedale di tonica: segue, sempre su pedale, la settima di dominante in posizione di quinta e sesta e infine l’accordo di tonica ‘pulito’. Le note melodiche prominenti di questo pedale di tonica post-cadenzale sono distribuite su diverse voci e registri, ma sono comunque chiaramente distinguibili:2 (8)-b7-6-n7-8

Esempio 1a

Prestiamo attenzione ora al primo Preludio del secondo libro: questa volta è l’apertura a presentarsi come un pedale di tonica. Se ascoltiamo con attenzione il disegno della mano destra ci accorgiamo che, armonicamente e melodicamente, è basato sulla stessa struttura della conclusione dell’altro ‘primo’ preludio, con in più l’ottava che precede la settima minore: 8-7-6-7-8.

1. Adotto questa traduzione perché più fedele al titolo originale Das wohltemperierte Klavier. 2. I numeri arabi con accento circonflesso sovrapposto indicano i gradi della scala nelle voci su-

periori. Gli stessi numeri, senza accento circonflesso, ma inscritti in un circolo, indicano i gra-di della scala nel basso (a differenza dei numeri romani che indicano invece i gradi armonici).

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∙ Giorgio Sanguinetti ∙

∙ 346 ∙

Esempio 1b

Questa successione melodica costituisce una formula estremamente frequen-te nella musica del Settecento, e spesso la si incontra anche in epoche successive. Robert Gjerdingen ha battezzato questa formula ‘Quiescenza’ e l’ha inclusa nella sua teoria degli ‘schemi galanti’.3

* * *

Che cos’è lo stile galante? Per molte storie della musica (che in genere vi dedi-cano appena un paragrafo) è uno degli stili che, più o meno in concorrenza fra loro, emersero verso la metà del Settecento, in quell’incerta fase di interregno fra i due grandi blocchi storiografici di quel secolo, lo stile barocco e lo stile classico. In questa terra di nessuno – tra il 1740 e il 1760 circa – si affermò uno stile ca-ratterizzato da facilità e gradevolezza, del tutto esente da profondità di pensiero e di sentire, e privo di figure di compositori di primo piano così come di opere significative. Il suo merito principale (forse l’unico) consiste nell’aver preparato il terreno per la fioritura del successivo stile classico.4

Tale interpretazione, per quanto sostanzialmente condivisa, è però un’inven-zione della storiografia tardo ottocentesca e novecentesca, che non ha riscontro nella cultura del Settecento. Autori come Leonard Ratner e Daniel Heartz hanno gettato le basi per una comprensione più adeguata alla realtà dello stile galante, espandendone i limiti cronologici da venti a sessant’anni (da 1740-60 a 1720-80), e così facendo minando la tacita bipartizione del secolo, impostata sull’asse

3. Robert Gjerdingen, Music in the Galant Style: Being an Essay on Various Schemata Cha-racteristic of Eighteenth-Century Music for Courtly Chambers, Chapels, and Theaters, Includ-ing Tasteful Passages of Music Drawn from Most Excellent Chapel Masters in the Employ of Noble and Noteworthy Personages, Said Music All Collected for the Reader’s Delectation on the World Wide Web, Oxford University Press, New York 2007.

4. Si veda Giorgio Pestelli, L’età di Mozart e di Beethoven, EdT, Torino 1979, pp. 8-14; Elvidio Surian, Manuale di storia della musica, Rugginenti, Milano 20105, vol. ii, pp. 234-8. Lo stile galante è invece ignorato in Donald J. Grout (Storia della musica in occidente, Feltrinelli, Mi-lano 1984) e nei volumi vi e vii della Storia della musica (New Oxford History of Music), Feltri-nelli, Milano, rispettivamente 1987 e 1978.

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∙ Galanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento ∙

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simmetrico (e altamente simbolico) dello Todesjahr bachiano, il fatale 1750: di là il barocco, di qua il classico.5

Successivamente, Robert Gjerdingen ha ulteriormente specificato i contorni dello stile galante, il cui contrassegno è l’uso di «un particolare repertorio di frasi musicali standardizzate impiegate in sequenze convenzionali».6 Queste frasi, chia-mate da Gjerdingen ‘schemi’ (un termine mutuato dalla psicologia cognitiva) sono state da lui codificate e ricondotte a prototipi, cui sono stati dati nomi convenzio-nali, talvolta desunti da fonti storiche, talvolta inventati: per esempio, ‘Romanesca’, ‘Prinner’, ‘Fonte’, ‘Do-Re-Mi’, ‘Monte’, ‘Meyer’, ‘Quiescenza’, eccetera. L’impiego degli schemi ha consentito alla musica galante di diventare un codice di comunica-zione, perfettamente parallelo agli altri codici (di comportamento, di conversazio-ne) che costituivano la raison d’être della cultura galante. Stilisticamente, dunque, la musica galante esce dal cliché della facilità e gradevolezza, per abbracciare uno spettro di generi e stili molto più ampio che comprende la musica sacra, orchestra-le, didattica, e virtuosistica: in altre parole, tutte le circostanze che un uomo, o una donna, galante potevano e dovevano incontrare nella loro vita sociale.

La frequenza degli schemi galanti nella musica del Settecento conferma l’ar-retramento cronologico proposto da Ratner e Heartz: infatti, essi si trovano in abbondanza nella musica ‘barocca’ scritta intorno al 1730, non solo in Italia ma in tutta Europa (Bach e Händel inclusi). Questo non significa però che non vi sia un termine ante quem. Se si confrontano due lavori spesso accostati per ragioni di circostanza, lo Stabat Mater di Pergolesi (1736) e quello di Alessandro Scarlat-ti (composto probabilmente all’inizio degli anni Venti),7 si nota che gli schemi galanti pervadono quello di Pergolesi, ma sono quasi del tutto assenti da quello di Scarlatti.8 Possiamo dunque considerare il secondo decennio del Settecento come l’inizio di un modo di comporre musica che, tagliando le suddivisioni con-suete, giunge fino al 1780. E dopo?

Se gli schemi hanno seguito il destino della società che ha prodotto lo stile galan-te è chiaro che la loro sopravvivenza nell’Ottocento è poco probabile: socialmente, ideologicamente, esteticamente la cultura romantica è l’opposto di quella galante. Si pensi a una delle principali invenzioni romantiche, quella dell’originalità e individua-lità della creazione artistica: in che modo potrebbe coesistere con una sopravvivenza degli schemi che, utilizzabili da più compositori, e da un medesimo compositore in più di un’opera, sono del mito dell’originalità la più radicale negazione?

5. Leonard Ratner, Classic Music: Expression, Form and Style, Schirmer, New York 1980; Daniel Heartz, Music in the European Capitals: the Galant Style, 1720-1780, Norton, New York 2003.

6. Gjerdingen, Music in the Galant Style, p. 6.7. Secondo il marchese di Villarosa (Memorie dei compositori di musica del regno di Napoli, Stam-

peria reale, Napoli 1840, p. 205) la data è il 1724. Ringrazio Luca Della Libera per la segnalazione.8. Giorgio Sanguinetti, Gli schemi di partimento in alcune composizioni sacre di Pergolesi:

modelli, materiali e trasformazioni, «Studi pergolesiani» (in corso di stampa).

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∙ Giorgio Sanguinetti ∙

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L’argomento di questo breve contributo riguarda appunto la presenza di uno di questi schemi, la Quiescenza, nella musica del periodo romantico. Dopo una concisa presentazione del modello proporrò una serie di esempi accompagnati con qualche osservazione sulla ragione di questa sopravvivenza di schemi galanti e sulle possibili trasformazioni anche di significato che il nuovo contesto romantico ha prodotto. Questa sintetica e parziale raccolta di esempi non ha nessuna pretesa di completezza: al massimo può sperare di indicare la strada per studi ulteriori.

La Quiescenza

La Quiescenza si può definire armonicamente come un pedale di tonica carat-terizzato da un movimento verso la sottodominante, seguìto dalla dominante e concluso sulla tonica. La sottodominante può essere tonicizzata (cioè preceduta dalla propria dominante): in questo caso (che è il più frequente) si produce una caratteristica linea melodica che parte dall’ottava (sul basso), scende sulla setti-ma minore, prosegue sulla sesta, risale sulla settima maggiore e ritorna sull’otta-va, così: 8-b7-6-n7-8 (Esempio 2a).9

Una versione meno tipica è quando la sottodominante non è tonicizzata: in questo caso la linea melodica è ascendente: 5-6-7-8 (Esempio 2b).

Esempio 2a e 2b: prototipi della Quiescenza

Il nome è stato inventato da Gjerdingen per assonanza con ‘cadenza’ (nel senso della cadenza improvvisata nei concerti e simili): «così come una caden-za si serve di un momento di pausa all’interno di un’importante progressione

9. A differenza di Gjerdingen mi sento di considerare parte integrante dello schema anche l’ottava: lo schema consta così di cinque tappe anziché quattro come nella formulazione di Gjerdingen.

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∙ Galanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento ∙

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cadenzale per esibire il gusto, l’invenzione e il virtuosismo di un esecutore, otte-nendo come risultato l’arresto momentaneo del progredire del discorso musica-le; allo stesso modo, una Quiescenza si serve di un momento di sospensione del discorso musicale successivo a una cadenza importante per impedire un’ulteriore prosecuzione del percorso musicale, o per ritardare la conclusione definitiva».10

Gjerdingen non è l’unico autore a descrivere la Quiescenza che, seppure con nomi diversi e con diverse, e spesso significative, varianti, non è passata inos-servata presso altri studiosi. La prima descrizione a me nota è contenuta in un breve saggio del 1972 di Bernard van der Linde.11 Van der Linde descrive un tipo di tema che compare nella musica dei periodi classico e romantico, suddiviso in due parti: la prima parte è caratterizzata dalla una successione di accordi i b7 – iv 6/4 – v 4/3 – i; la seconda parte consiste in un tetracordo discendente tra il sesto e il terzo grado. Pur essendo definita in termini puramente armonici, è evidente che la prima parte corrisponde alla Quiescenza. Considerando la Quiescenza come prima parte di un tema, ne consegue che tutti gli esempi citati da van der Linde si trovano all’inizio di composizioni o di sezioni (la funzione post-caden-zale viene però menzionata nel testo).12 Di particolare interesse (ci torneremo più avanti) è il significato che van der Linde attribuisce a questo tipo tematico: egli nota infatti che, nella musica del Sette e Ottocento, è collegato alla promessa di beatitudine celeste dopo le sofferenze terrene.13

Più recentemente, Jason Travis Stell in una tesi di dottorato (2006) dedicata al ruolo del settimo grado abbassato (la ‘sottotonica’) nella musica tonale ha inclu-so questo schema in un capitolo che tratta del conflitto tra sensibile e sottotonica: la successione 8-b7-6-n7-8 permette di evitare una troppo cruda giustapposizione delle due versioni del settimo grado della scala, e la figura risultante rientra nella categoria schenkeriana del ‘boundary play’, cioè un prolungamento che inizia e termina sulla stessa nota.14

10. Gjerdingen, Music in the Galant Style, p. 183.11. Bernard S. van der Linde, «Himmelswonn’ und Freud»: ein Thementyp der Klassik und

der Romantik, in De Ratione in Musica: Festschrift Erich Schenk zum 5. Mai 1972, hrsg. von Theophil Antonicek, Rudolf Flotzinger, Othmar Wessely, Bärenreiter, Kassel 1975, pp. 187-201.

12. Gli esempi citati da van der Linde sono: Haydn, Sonata Hob. xvi/52, i, bb. 1-4; Mozart, So-nata K. 332, i, bb. 1-9; Mozart, Concerto K. 448, i, bb. 1-4; Mozart, Sonata K. 280, i, bb. 1-8; Beethoven, Sonata op. 78, i, bb. 1-8; Beethoven, Sonata op. 28, i, bb. 1-27; Mendelssohn, Lied ohne Worte op. 38/6, bb. 1-9; Brahms, Ein deutsches Requiem, i, bb. 19-27; vii, bb. 1-10; Beethoven, Missa solemnis op. 123, Kyrie, bb. 21-37; Mendelssohn, Elias, “Sei stille dem Herrn”, bb. 1-7 e 20-2; Bach, Christus der ist mein Leben, bwv 281, bb. 1-4. Per la funzione di coda si veda van der Linde, «Himmelswonn’ und Freud», p. 199: il riferimento musicale è, oltre che ai preludi barocchi, ai corali per organo op. 122 di Brahms.

13. van der Linde, «Himmelswonn’ und Freud», p. 199.14. Jason Travis Stell, The Flat-7th Scale Degree in Tonal Music, Ph.D. Diss., Princeton

University 2006, pp. 110-5.

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∙ Giorgio Sanguinetti ∙

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L’identificazione della sottotonica come elemento essenziale per questa fi-gura, o segnale, musicale è condivisa anche da Laura Krämer che, ancora più recentemente (2010) la battezza col suggestivo nome di «settima dell’addio» («Abschiedseptime»), e così la definisce: «La ‘settima dell’addio’ è una settima minore che viene spesso aggiunta ad un accordo di tonica dopo la conclusione di una efficace cadenza conclusiva. L’accordo [risultante] non è più una tonica, ma in quanto dominante secondaria risolve sulla sottodominante».15 Krämer rin-traccia anche i precedenti storici della «settima dell’addio» tanto nella letteratura musicale quanto in quella teorica: per la prima risale alla polifonia fiamminga, per la seconda al Musikalisches Lexicon di Johann Gottfried Walther (1732). È chiaro, comunque, che la «settima dell’addio» ha forti legami con, da una parte, la tendenza verso la sottodominante che si riscontra nelle aree post-cadenzali (le ‘codette’) delle composizioni strumentali del periodo classico e barocco (con-tinuo per comodità a usare queste categorie); e, dall’altra parte, con la cadenza plagale, o cadenza dell’Amen che, partendo della musica sacra, si è trasformata in un topos di solennità e sacralità (anche quest’aspetto verrà ripreso più avanti).

La Quiescenza si può trovare nella voce superiore, in una voce interna, suddi-visa tra più voci del tessuto polifonico, o più raramente nel basso. Viene di nor-ma presentata due volte in successione diretta, e in questa veste la si trova nella sua funzione più tipica, che è quella post-cadenzale. L’esempio 3 mostra alcune tipiche realizzazioni di Quiescenza cadenzale. La posizione più ovvia è quella nella voce superiore, come nel prototipo (es. 2) e nell’esempio 1a. L’esempio 3a ne presenta una variante cromatica: prima di scendere su b7 la voce superiore passa dal n7, mentre quando la sensibile sale alla tonica il tenore scende croma-ticamente dalla sesta alla quinta. Nell’esempio 3b la Quiescenza è interamente in una voce interna, ma disposta in modo tale da essere eseguita dal pollice della mano sinistra, che le assicura una buona cantabilità. L’esempio 3c è il più incon-sueto: qui lo schema, suddiviso in due voci nella mano destra, ha una indubbia funzione post-cadenzale, e difatti segue una cadenza autentica perfetta (d’ora in poi: CAP) sul i: solo che questa cadenza si trova verso la fine della transizione, ed è seguita da una spiazzante quanto breve riconduzione che porta alla semicaden-za sul i grado («chiusa bifocale») seguita da medial caesura, recuperando quindi in extremis la possibilità di avere un tema subordinato, non mostrato nell’esem-pio (che comunque deve iniziare con ben due cadenze ausiliarie: (v) – ii / v – i).16

15. Laura Krämer, Die “Abschiedseptime” und ihre Transformation bei Schubert und Brahms, «Musik & Ästhetik», 56, 2010, pp. 60-71: 60.

16. La medial caesura è una pausa generale che si trova alla fine della transizione e precede l’at-tacco del tema subordinato. Cfr. James Hepokoski – Warren Darcy, Elements of Sonata Theory. Norms, Types and Deformations in the Late-Eighteenth-Century Sonata, Oxford Uni-versity Press, New York 2006.

Page 15: Musica come pensiero e come azione

∙ Galanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento ∙

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Esempio 3 a  –  b  –  c: esempi di Quiescenza post-cadenzale collocata in diverse posizioni. a) nella voce superiore: Bach, wtc i, Preludio 7, bb. 68-70; b) in una voce interna: Mozart, Sonata K. 309, iii: bb. 244-52; c) suddivisa tra più voci: Mozart, Sonata K. 279, i, bb. 12-14

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∙ Giorgio Sanguinetti ∙

∙ 352 ∙

Talvolta, come già abbiamo visto per il Preludio n. 1 in wtc ii, la Quiescenza si presenta, anziché alla fine, all’inizio di una composizione o di una sezione. In questi casi assume la funzione di apertura e di ‘messa in tono’, ed è propria della prassi dell’improvvisazione; come nell’esempio 1b, si trova spesso all’i-nizio di preludi composti verso il 1730, mentre diventa meno frequente verso la fine del secolo. Quando svolge una funzione di apertura, la Quiescenza non viene ripetuta, ma si presenta una sola volta. Un esempo tipico di Quiescen-za come apertura di movimento di sonata classico è mostrato nell’esempio 4a (Haydn, Sonata in La bemolle Hob. xvi/16, i).17 Specialmente quando è in funzione di apertura la Quiescenza può diramarsi e dare origine a due linee diverse: in genere questo avviene dopo aver raggiunto il sesto grado. Nel Pre-ludio in Fa maggiore del wtc i (esempio 4b), la Quiescenza inizia come una linea singola per poi diramarsi in due linee, come una ‘Y’, producendo così una sesta lineare 8-b7-6-5-4-3 e la Quiescenza vera e propria 8-b7-6-n7-8.18 La diramazione a Y della Quiescenza non è limitata al primo Settecento, né alla posizione di apertura, ma si può trovare in musica scritta in epoca posteriore, e con funzione molto diversa.19

Esempio 4a: Quiescenza come apertura, Haydn, Sonata in La bemolle Hob. xvi/16, i: bb. 1-4

La stragrande maggioranza degli esempi di Quiescenza sono nel modo mag-giore, che è il modo proprio di questo schema: infatti, in minore si produrreb-be un intervallo di seconda aumentata tra il sesto grado minore e la sensibile, intervallo che di solito viene evitato. Tuttavia occasionalmente si incontrano Quiescenze in modo minore, come il tema principale dell’Allegro molto più tosto presto della Sonata per violoncello e pianoforte op. 5 n. 2 di Beethoven.

17. Altri esempi sono: Mozart, Sonata K. 332, i; Concerto per pianoforte K. 448, i. 18. Per un altro esempio bachiano si veda il preludio per organo bwv 545, bb. 1-4. La biforcazione

della Quiescenza è implicita nella sua struttura polifonica. Nell’esempio 1a sarebbe sufficiente l’aggiunta di una nota di passaggio (5) per completare la sesta lineare che prosegue con fa (b. 2) e mi (b. 4).

19. Una Quiescenza a Y su un pedale di dominante si trova alla fine della transizione del primo movimento della Sonata op. 24, “Primavera”, di Beethoven.

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∙ Galanterie romantiche: la ‘Quiescenza’ nell’Ottocento ∙

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Qui il problema della seconda aumentata è risolto distribuendo le note carat-teristiche in voci diverse: in questo modo il b6 viene dato al contralto e il n7 al soprano, evitando così la successione diretta in una stessa voce.20

Esempio 4b: Quiescenza come apertura, Bach, wtc i, Preludio n. 11, bb. 1-2

La Quiescenza nell’Ottocento

L’Andante, un poco mosso che costituisce il secondo movimento della Sonata in La minore, op. 42 (D 845) di Schubert (1825) consiste in un tema con variazioni in Do maggiore. La serie delle variazioni è conclusa da una estesa, toccante coda che occupa ben diciannove battute e che si spegne con echi lontani di richiami di corni (Esempio 5). Il nucleo di questa coda è costituito dalla duplice presentazio-ne di una Quiescenza le cui note caratteristiche sono nascoste nelle voci interne, ma nondimeno conferiscono a questa coda l’inconfondibile sonorità dell’antico schema galante. Si osservi, inoltre, che il pedale nel basso è interrotto da un mo-vimento cadenzale, segnato ‘ben marcato’ in corrispondenza del ritorno della sensibile: questo movimento va però considerato come un abbellimento del pe-dale, che non ne altera la natura essenzialmente statica.

20. Questa soluzione è stata adottata anche da Chopin nella coda dello Studio op. 10 n. 12 (in Do minore).

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∙ Giorgio Sanguinetti ∙

∙ 354 ∙

Esempio 5: Schubert, Sonata in La minore, op. 42 (D 845): ii, bb. 163-72

Quello che cambia in quest’esempio, rispetto all’uso standard settecente-sco della Quiescenza, è il carattere straordinariamente poetico e autentica-mente romantico che l’antico schema galante conferisce alla coda di queste variazioni. L’intera serie di variazioni ha un carattere cavalleresco e cortese di Märchen, a cominciare dal ritmo di minuetto che ne anima il tema; ma si veda anche il carattere veramente ‘galante’ della melodia violoncellistica della prima variazione, l’aristocratica ‘sprezzatura’ della seconda variazio-ne, l’eroismo cavalleresco della variazione in minore (la terza), la seducente brillantezza della quarta, e gli echi di caccia nella quinta, echi che poi si pro-lungano nella coda. Si direbbe che lo schema galante qui diventi un topos: un segnale che rimanda a un contenuto.

Felicemente priva di significati reconditi è la duplice Quiescenza nella coda dello Studio op. 10 n. 8, in Fa maggiore, di Chopin (Esempio 6). In compen-so è estremamente ingegnosa la collocazione delle note caratteristiche, che – grazie al virtuosismo della scrittura pianistica – sono replicate su più registri diversi. Lo schema prende il via a b. 75 nella voce superiore da 8 su cui termi-na la CAP che chiude la parte principale dello studio, e che apre lo spazio del-la coda. La nota caratteristica successiva, b7, si trova in due voci: nella mano destra, seconda nota della quarta quartina di b. 75, e nel basso (apparente,

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a causa del pedale implicito) sul terzo movimento della stessa battuta. Il 6 si trova nella mano destra come terza nota della prima quartina, e ancora al basso apparente all’inizio di b. 76, mentre l’identificazione di n7 e 8 è più problematica: la sensibile infatti si trova nel tenore sul secondo quarto di b. 77 e nella mano destra nella stessa battuta all’inizio della terza quartina, mentre l’ottava nella stessa posizione della battuta successiva. Tanto qui quanto nella ripetizione dello schema la sensibile fa parte di una linea melodica discenden-te verso il quinto grado, che oscura la percezione del movimento ascendente (la seconda volta addirittura l’ottava inizia la frase successiva: ultimo quarto di b. 82).21

Nonostante la collocazione delle note caratteristiche, la percezione dello schema è fuori discussione: infatti la Quiescenza, come in generale gli schemi galanti, è spesso più facile da sentire che da vedere.22

Un indimenticabile impiego della Quiescenza si trova nella coda dell’An-dante del Secondo Concerto per pianoforte op. 83 di Brahms. A differenza dell’uso canonico post-cadenzale, qui lo schema si trova una sola volta: l’as-senza di ripetizione è compensata dalla notevole estensione (cinque battute in 6/4) e ricchezza di elaborazione. Brahms ha posto la Quiescenza in una posizione di primissimo piano, affidandola quasi per intero al violoncello soli-sta, mentre il pianoforte si incarica di prendere la sensibile e di trasferirla per grado congiunto di un’ottava verso il registro acuto, per poi risolverla sulla tonica: il tutto su un pedale di tonica. La particolare sonorità ‘romantica’ di questa versione dell’antico schema galante è dato dal fatto che il violoncello solo prosegue il movimento discendente oltre la sesta, toccando la sesta abbas-sata, la quinta e la quarta, in questo modo: 8-b7-6-b6-5-4.

La sensibile (il la bequadro del registro acuto) suona insieme al mi bemolle del violoncello solo, formando un tritono (quarta aumentata) che deve risolve-re su una sesta minore: si bemolle (nel pianoforte) e re naturale (non presente nella parte del violoncello, ma fortemente implicato dalla risoluzione della dis-sonanza). Si tratta dunque di una versione romantica della Quiescenza con la diramazione in due linee che abbiamo già osservato nel Preludio di Bach (wtc i, 11): solo che qui la linea discendente passa attraverso il sesto grado abbassato

21. Nelle Fünf Urlinie-Tafeln Schenker legge una linea discendente 8-b7-6-5 che, dopo due ripe-tizioni, percorre tutta l’ottava scendendo alla fine sulla tonica nell’ultima battuta. Heinrich Schenker, Fünf Urlinie-Tafeln / Five Analyses in Sketchform, David Mannes Music School, New York 1932 (rist. Dover, New York).

22. Gli altri studi di Chopin che presentano una Quiescenza in coda sono i seguenti: op. 10: n. 1, bb. 69-70 e 73-76 (seconda volta con estensione); n. 11, bb. 44-48; n. 12, bb. 77-81. Op. 25: n. 8, bb. 28-32. Tre studi postumi: n. 1, bb. 58-65 (in minore, con estensione, non ripetuta).

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Esempio 6: Chopin, Studio op. 12 n. 8, bb. 75-89

cromaticamente, il cui impiego nel modo maggiore è uno dei contrassegni dello stile romantico.23

23. Matthew Riley, The ‘Harmonic Major’ Mode in Nineteenth-Century Theory and Practice, «Music Analysis», 23/1 2004, pp. 1-26.

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Esempio 7: Brahms, Concerto per pianoforte n. 2 op. 83, iii, bb. 94-99

Quiescenza e ‘beatitudine celestiale’

Esiste una consolidata connessione tra i movimenti in direzione della sottodo-minante e l’esperienza religiosa, sintetizzata dalla clausola plagale dell’Amen. Nel caso della Quiescenza, poi, la successiva ascesa verso la tonica attraverso la sensibile può simboleggiare una rinnovata tensione spirituale verso l’alto.24 Secondo van der Linde, che si basa sull’analisi testuale di una ridotta selezione di esempi vocali di carattere sacro, il significato di questa formula musicale è quello

24. Chandler Carter, Spiritual Descents and Ascents: Religious Implications in Pronounced Motion to the Subdominant and Beyond, in Voicing the Ineffable: Musical Representations of Religious Experience, ed. by Siglind Bruhn, Pendragon Press, Stuyvesant 2002, pp. 233-64.

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della speranza in una vita di «beatitudine celestiale e gioia».25 L’esempio più pre-gnante di tale simbologia sul piano sacro è il Requiem tedesco (op. 45) di Brahms, dove la sonorità della Quiescenza pervade il primo e l’ultimo movimento, e il cui significato è reso evidente dal testo tratto dalle Beatitudini.

Tuttavia la beatitudine può essere anche di diversa natura. Mentre Violetta, nel cantabile della cavatina nel primo atto della Traviata, cerca (invano) di convincere Alfredo a dimenticarla perché lei non può offrirgli altro che ami-cizia, Alfredo tenta di farle balenare nella mente una visione di beatitudine terrena cantando una perfetta Quiescenza sulle parole «croce e delizia al cor». Qui le parole di Alfredo non coprono interamente il campo semantico dello schema galante che si incarica, quasi soltanto con le proprie forze, di prefigu-rare l’idillio campestre che apre il secondo atto (Esempio 8).

Esempio 8: Verdi, La traviata, atto i, duetto “Un dì felice, eterea”: coda

Per il mio esempio conclusivo vorrei tornare a Schubert, e precisamente al tempo lento (Adagio) del Quintetto per archi in Do maggiore, D. 956. Questo pezzo è così straordinario che ha stimolato molti tentativi di interpretazione:

25. Van der Linde, «Himmelswonn’ und Freud», p. 199.

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ne cito alcuni, scusandomi per le omissioni. Per Michael Polth (2000) le pri-me 28 battute (cioè la prima parte della forma ternaria A – B – A’) riescono a rendere uno stato di quasi perfetto silenzio e immobilità.26 Xavier Hascher nota che l’Adagio possiede le caratteristiche del genere di ‘barcarola funebre’, di cui costituisce una variante dotata di carattere sognante.27 Per John Ginge-rich «l’apertura dell’Adagio possiede una radiosità quasi dolorosa e allo stesso tempo una profonda tranquillità: tratti questi convenzionalmente associati a intensa felicità. Allo stesso tempo, la grande distanza tra l’apertura dell’Adagio e tutto quello che è venuto prima conferisce all’Adagio un’aura di irrealtà; il suo aprirsi porta con sé i fatali semi della conoscenza che tale felicità è raggiun-gibile solo nei sogni».28

Non è sfuggita ai commentatori la miracolosa conclusione della sezione principale dell’Adagio (l’Esempio 9 ne offre una sintesi su due pentagrammi). Dopo che per tutta la prima parte il primo violino ha accompagnato il corale del secondo violino, della viola e del primo violoncello con ‘suoni di natura’29 ora, verso la conclusione della prima parte, cambia completamente ruolo. A b. 24 per la prima volta il primo violino suona sul terzo movimento della battu-ta: «si tratta di un evento straordinario: finora il primo violino aveva sempre avuto una pausa in questo punto: il suo piccolo motivo e, più tardi, la sua ver-sione in pizzicato avevano sempre occupato il secondo e quarto movimento della battuta. Ora qui vi sono delle pause. La prima di queste nuove pause, a b. 24 (ottavo più quarto) è della più grande efficacia: un vuoto, improvviso e inquietante, ma dal quale fiorisce il canto».30 Ma su cosa si basa questo nuovo canto del violino primo, così incredibilmente commovente? La risposta per Bockholdt è: su una cadenza: «Risuona qui, cioè, nient’altro che una cadenza ripetuta due volte, i-i7-iv-v-i, pura e inalterata, priva di sforzo…Si tratta, nel vero significato della parola, di un epilogo: prendendone congedo, la musica si

26. Michael Polth, “Das Leuchten des Einzelnen”: Destruktion und Anspielung in Schuberts Streichquintett, in Klang, Struktur, Metapher: Musikalische Analyse zwischen Phänomen und Begriff, hrsg. von Michael Polth, Oliver Schwab-Felisch e Christian Thorau, Metzler, Berlin 2000, pp. 111-31.

27. Xavier Hascher, Eine ‘traumhafte’ barcarola funebre: Fragmente zu einer Deutung des langsamen Satzes des Streichquintetts D 956 in Schubert und das Biedermeier: Beiträge zur Musik des frühen 19. Jahrhunderts – Festschrift für Walther Dürr zum 70. Geburtstag, hrsg. von Michael Kube, Werner Aderhold e Walburga Litschauer, Bärenreiter, Kassel 2002, pp. 127-38.

28. John Gingerich, Remembrance and Consciousness in Schubert’s C-major String Quintet, D.956, «The Musical Quarterly», lxxxiv/4 2000, pp. 619-34: 623.

29. Rudolf Bockholdt, Zum langsamen Satz des Streichquintetts von Franz Schubert. Schubert und die Kadenz in Compositionswissenschaft: Festschrift Reinhold und Roswitha Schlötterer zum 70. Geburtstag, hrsg. von Sabine Kurth e Bernd Edelmann, Wißner-Verlag, Augsburg 1999, pp. 175-88: 183.

30. Bockholdt, Zum langsamen Satz, p. 184.

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ricorda di quello che era stata: è qualcosa di indescrivibilmente intimo, eppure privo di ogni traccia di sentimentalità: un addio rassegnato, riconciliato con l’irrevocabile».31

Esempio 9: Schubert, Quintetto per archi in Do maggiore D. 956, ii, bb. 24-28

L’interpretazione di Bockholdt mi trova d’accordo, tranne che per un det-taglio: per me questa ‘grande phrase’ (formalmente, un periodo simmetrico antecedente-conseguente) viene dopo la cadenza che strutturalmente conclu-de la prima parte dell’Adagio: cioè la cadenza autentica perfetta (cap) tra b. 23 e il battere di b. 24.32 Questo non toglie che, in effetti, anche la ‘grande phrase’ è, armonicamente, una cadenza ripetuta, i cui gradi armonici sono quelli indi-cati da Bockholdt: i-i7-iv-v-i. Tuttavia, melodicamente la frase è basata su una doppia Quiescenza ad Y cromatica, che anziché essere (come quasi sempre accade) appoggiata a un pedale di tonica, è sostenuta dalle fondamentali degli

31. Bockholdt, Zum langsamen Satz, p. 184.32. Anche quella che io considero frase post-cadenzale è suddivisa da due cadenze autentiche:

una imperfetta (conclusa a b. 26, primo movimento) e una perfetta (conclusa a b. 28, primo movimento). Tuttavia, ritengo che la cap di b. 23/24 sia quella strutturalmente conclusiva della prima parte dell’Adagio. Una circostanza rinforza questa mia convinzione. Secondo la prassi settecentesca, le cadenze erano classificate in base alla presenza di ritardi e alla quantità di unità metriche attribuite al quinto grado. La cadenza di bb. 23/24 oltre a possedere un ritardo 4-3 attribuisce al quinto grado ben quattro unità metriche, mentre le due cadenze della Quiescenza, pur possedendo una quarta e sesta cadenzale, hanno solo due unità metriche per il quinto grado.

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stessi gradi armonici che sarebbero rappresentati nel procedimento armonico del pedale.

Le due metà della Quiescenza sono quasi, ma non perfettamente, simme-triche (e in questo forse risiede una parte della sua forza espressiva). L’ante-cedente si biforca all’altezza del sesto grado abbassato (b6): il primo violino, che finora aveva girato attorno all’ottava, si unisce alla viola per eseguire la discesa di semitono b6-5 raddoppiandola due ottave sopra e prosegue la disce-sa che esprime sostanzialmente il quarto grado della scala; riportato nel suo registro di partenza, il quarto grado scende sul terzo per esprimere una ca-denza autentica imperfetta. La ripetizione porta il cromatismo un grado oltre: infatti, anche il quarto grado si presenta in versione cromatica e poi diatonica (secondo violino, b. 27, ultimo quarto), in modo che il secondo violino, dalla seconda metà di b. 26 a tutta la b. 27 si muove solo cromaticamente. In sintesi: la ‘grande frase’ è formalmente un periodo, basato su una duplice progressione cadenzale, con una crescente presenza di cromatismi. Tuttavia, l’elemento a mio parere decisivo ai fini espressivi è la Quiescenza. Il suo essere ‘oltre’ (oltre la cadenza: quindi oltre la conclusione vera della musica) conferisce a questa frase un carattere ultraterreno, trascendente, di autentica aspirazione verso una beatitudine celestiale.33

33. Il Quintetto venne composto nell’agosto o nel settembre 1828, quindi circa due mesi prima della morte di Schubert.