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R2 CULTURA 50 VENERDÌ 20 APRILE 2012 la Repubblica CULTURA M ario Vargas Llosa aveva da un po’ di tempo la sgradevole sensazione che lo stessero prendendo in giro. Cominciò a provarla visitando mostre e biennali, nell’assistere ad alcuni spettacoli, nel vedere determinati film e pro- grammi tv, e gli accadeva anche quando si adagiava in poltrona a leggere certi libri o riviste. In quei momenti, come lui stesso racconta, lo coglieva la sensazione, poco definita al principio, di essere «indifeso di fronte a una sottile cospirazione» per farlo sentire incolto o stupido, per fargli credere che una frode era arte; un imbroglio, cultura. Da quella sensazione è sorta una convinzione e da questa un saggio, La civilización del espectáculo, edito in Spagna da Alfaguara. Nelle sue pa- gine, il Nobel per la Letteratura disseziona la trasformazione della cul- tura in un caos nel quale «poiché non c’è modo di sapere che cosa sia cul- tura, tutto è cultura e più nulla ormai lo è». Questo dissolvimento di ge- rarchie e punti di riferimento è una conseguenza, per Vargas Llosa, del trionfo della frivolezza, del dominio dell’intrattenimento. Ma gli effetti di questo clima di banalizzazione estrema non si limitano alla cultura. Lei sostiene che la cultura è diventata banale, che l’erotismo è scon- fitto a favore della pornografia, che il postmoderno è, in parte, un esperimento fallito… C’è una scappatoia? «Si può senz’altro sperare in un rinnovamento della vita culturale e che essa abbandoni il tratto sem- pre più frivolo, superficiale, che è una delle sue caratteristiche prin- cipali oggi. Non l’unica, perché ci sono eccezioni alla regola, per for- tuna. Questa banalizzazione ha delle conseguenze non solo nel campo della cultura, ma in tutti gli altri. Per questo nel libro mi riferi- sco alla politica, alla vita sessuale, ai rapporti umani. Tutte queste cose possono essere molto colpi- te se la cultura vive nella banaliz- zazione, nella “frivolizzazione” permanente». Questo le dà la sensazione di essere preso in giro. Da quando? «È un processo, non succede al- l’improvviso. Ma ricordo lo shock che fu per me, qualche anno fa, vi- sitare la Biennale di Venezia, che era un vetrina del prestigio e della modernità, dello sperimentale. A un certo punto, dopo averla per- corsa per un paio d’ore, giunsi al- la conclusione che lì c’era molta più frode e imbroglio che serietà, che profondità. Per me fu un’e- sperienza piuttosto importante, che mi portò a riflettere. Alla fine del saggio, racconto come abbia arricchito la mia vita leggere buo- ni libri, conoscere la grande tradi- zione pittorica, il mondo della musica, come questo abbia dato un senso, un ordine, un’organiz- zazione al mondo. Me lo ha reso Un saggio del Nobel mette sotto accusa tutta la nostra civiltà In Spagna ha fatto molto discutere: lo scrittore spiega le sue tesi In questo processo complesso ogni separazione corpo/mente, ragione/affetto, diventa fuorvian- te e semplicistica. Certamente quando si vuole capire o interveni- re sulla realtà di una sofferenza fi- sica o psicologica, è necessario ef- fettuare una separazione provvi- soria che aiuti a definire il campo di studio e di intervento, ma que- sto non può annullare la coscienza che al di là di questa divisione vi sia un tessuto comune che compren- de più aspetti. Proprio per questa ragione c’è bisogno di strumenti d’indagine rigorosi ma non rigidi, capaci di passare da un ordine all’altro mantenendo la coerenza. E’ quel- lo che è successo alla nascita della psicoanalisi: Freud era un neurofi- siologo intriso della scienza dell’e- poca, ma sapeva che il suo oggetto d’indagine presupponeva “l’in- venzione” di un metodo d’osser- vazione adeguato. Questo non è diverso da quello che sempre è successo nella vita scientifica e da quello che tuttora accade. Si pro- ducono immagini, si creano ipote- si, si lavora per formalizzarle e ren- derle coerenti, si annullano idee precedenti, spesso si utilizzano di nuovo. E’ un ciclo vitale che qual- siasi pensiero umano deve prati- care, pena l’asfissia e quindi la morte. La scienza degli ultimi trent’an- ni, è stata fortemente caratterizza- ta dalla coscienza di questo intrec- cio inestricabile e dell’importanza determinante dell’osservatore. E invece che la ricerca assoluta della riduzione dell’incertezza evocata da Corbellini, ha messo al centro della sua riflessione l’instabilità, la contingenza e quindi la storia, che ci consegnano un mondo caotico ma allo stesso tempo governato da leggi imprescindibili. Si tratta di una scienza critica, “flessibile” co- me si augurava Stephen Jay Gould. Non viene il sospetto che a questa nuova ondata di pensiero abbia dato un contributo la psicoanalisi, denunciando la presenza dell’e- mozione dietro alla ragione, del pensiero anche nel mondo bizzar- ro dei sogni, della psiche là dove sembrava esserci solo un corpo dolente? Non esiste pensiero non conta- minato dagli affetti, non esiste scienza che possa prescindere dalle passioni che spingono la ri- cerca. Sta alle comunità scientifi- che fare in modo che questa ibri- dazione di piani non diventi il de- lirio di qualcuno o la confusione babelica delle lingue. Nessun ana- lista che pensi la teoria psicoanali- tica ma che soprattutto faccia pra- tica terapeutica, potrebbe fare l’errore di credere che una soffe- renza possa essere solo fisica o psi- chica, essere trattata solo con i far- maci o solo con le parole, solo co- me un problema dell’individuo senza pensare all’ambiente circo- stante. Sono necessari dei sistemi integrati che rispecchino questo intreccio, la psicoanalisi lo sa, la clinica quando necessario lo pre- vede. La cura delle patologie gravi fa parte integrante della ricerca psi- coanalitica che si muove tra elabo- razione teorica ed esperienza con i pazienti. I criteri di valutazione dell’efficacia degli interventi tera- peutici non sono certo applicabili in base alle leggi della fisica o della biologia o secondo i parametri di guarigione adoperati per un corpo malato, ma si giustificano secon- do le regole che la cura psicoanali- tica prevede non diverse da quelle delle altre scienze, fatte di falsica- bilità dell’interpretazione, di rigo- re del setting, di evoluzione e di tra- sformazione del sistema costitui- to dalla coppia analitica. La scien- za è un organismo vivo che ha co- me suoi organi le comunità scien- tifiche e come tessuto la cultura sociale nella quale è trapiantata, è necessario tenerne conto per libe- rarsi dal pregiudizio. E’ in gioco non solo la sofferenza delle perso- ne, ma la visione stessa dell’uomo. (L’autrice appartiene alla Società psicoanalitica italiana) C aro direttore, intervengo sollecitata dalla lettera di Gilberto Cor- bellini sulla psicoanalisi. Si tratta di problemi che riguardano: primo, una precisa idea di cosa significhi fare scienza; secondo, di cosa voglia dire curare, e non ultimo, quale sia l’immagine del- l’uomo che queste idee sottendono. Chi mai potrebbe negare che il cer- vello è alla base di ogni nostra attività di pensiero e della vita emotiva, il problema è semmai capire in che modo queste aree si determinino a vi- cenda al punto tale da costituire un intreccio inestricabile che porta alla costituzione di quel fenomeno umano che Freud ha chiamato psiche. L’intervento dell’analista nel dibattito sullo statuto delle terapie LA SOFFERENZA E LA PSICOANALISI IL DIBATTITO Su “Repubblica” del 22 febbraio l’inizio del dibattito aperto dagli psicoanalisti © RIPRODUZIONE RISERVATA LORENA PRETA molto più interessante, ricco, sti- molante. Credo che sarebbe una tragedia se proprio in un’epoca in cui c’è un progresso tecnologico, scientifico e materiale straordina- rio, la cultura si trasformasse in puro intrattenimento, in qualco- sa di superficiale, lasciando un vuoto che niente può riempire, perché nulla può sostituire la cul- tura quando si tratta di dare un senso più profondo alla vita». La sua opera non è un esempio del fatto che la capacità di auto- critica sopravvive? «Sì, ma è preoccupante che la ricchezza più grande sia nel pas- sato più che nel presente. E c’è un altro aspetto. Oltre alla frivolizza- zione, c’è un oscurantismo bu- giardo che identifica la profondità con l’oscurità e che ha portato la critica a degli estremi di specializ- zazione che la mettono al margine rispetto al cittadino comune, al- l’uomo mediamente colto al qua- le prima la critica serviva per orientarsi davanti a un’offerta co- sì enorme». Ma lei propone di tornare a dei modelli culturali. È possibile? «Non tutti pos- sono essere colti alla stessa ma- niera, non tutti vogliono essere colti alla stessa maniera e non tutti dovreb- bero essere colti alla stes- sa maniera, ci manche- rebbe. Ci so- no dei livel- li di specia- lizzazione che sono spiegabili, a condizione che la specia- lizzazione non finisca col voltare le spalle al resto della società, perché allo- ra la cultura smette di im- pregnare l’insieme della società, scompare quel consenso, quei denomi- natori comuni che ti per- mettono di discriminare tra ciò che è autentico e ciò che è posticcio, tra ciò che è buono e ciò che è cattivo, tra ciò che è bello e ciò che è brutto». Lei estende la sua critica alla cucina o alla moda che stanno en- trando a far parte dell’alta cultu- ra. «Questa, infatti, è una delle ma- nifestazioni di quella frivolezza. “L’altro problema è l’oscurantismo bugiardo che identifica l’oscurità con la profondità” VARGAS LLOSA Mario “Perché siamo entrati nell’era della cultura frivola” JAN MARTÍNEZ AHRENS

MVargas Llosa Sulla Cultura Frivola

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R2CULTURA■ 50

VENERDÌ 20 APRILE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaaCULTURA

Mario Vargas Llosa aveva da un po’ di tempo la sgradevolesensazione che lo stessero prendendo in giro. Cominciòa provarla visitando mostre e biennali, nell’assistere adalcuni spettacoli, nel vedere determinati film e pro-grammi tv, e gli accadeva anche quando si adagiava in

poltrona a leggere certi libri o riviste. In quei momenti, come lui stessoracconta, lo coglieva la sensazione, poco definita al principio, di essere«indifeso di fronte a una sottile cospirazione» per farlo sentire incolto ostupido, per fargli credere che una frode era arte; un imbroglio, cultura.Da quella sensazione è sorta una convinzione e da questa un saggio, Lacivilización del espectáculo, edito in Spagna da Alfaguara. Nelle sue pa-gine, il Nobel per la Letteratura disseziona la trasformazione della cul-tura in un caos nel quale «poiché non c’è modo di sapere che cosa sia cul-tura, tutto è cultura e più nulla ormai lo è». Questo dissolvimento di ge-rarchie e punti di riferimento è una conseguenza, per Vargas Llosa, deltrionfo della frivolezza, del dominio dell’intrattenimento. Ma gli effettidi questo clima di banalizzazione estrema non si limitano alla cultura.

Lei sostiene che la cultura è diventata banale, che l’erotismo è scon-fitto a favore della pornografia,che il postmoderno è, in parte, unesperimento fallito… C’è unascappatoia?

«Si può senz’altro sperare in unrinnovamento della vita culturalee che essa abbandoni il tratto sem-pre più frivolo, superficiale, che èuna delle sue caratteristiche prin-cipali oggi. Non l’unica, perché cisono eccezioni alla regola, per for-tuna. Questa banalizzazione hadelle conseguenze non solo nelcampo della cultura, ma in tutti glialtri. Per questo nel libro mi riferi-sco alla politica, alla vita sessuale,ai rapporti umani. Tutte questecose possono essere molto colpi-te se la cultura vive nella banaliz-zazione, nella “frivolizzazione”permanente».

Questo le dà la sensazione di

essere preso in giro. Da quando?«È un processo, non succede al-

l’improvviso. Ma ricordo lo shockche fu per me, qualche anno fa, vi-sitare la Biennale di Venezia, cheera un vetrina del prestigio e dellamodernità, dello sperimentale. Aun certo punto, dopo averla per-corsa per un paio d’ore, giunsi al-la conclusione che lì c’era moltapiù frode e imbroglio che serietà,che profondità. Per me fu un’e-sperienza piuttosto importante,che mi portò a riflettere. Alla finedel saggio, racconto come abbiaarricchito la mia vita leggere buo-ni libri, conoscere la grande tradi-zione pittorica, il mondo dellamusica, come questo abbia datoun senso, un ordine, un’organiz-zazione al mondo. Me lo ha reso

Un saggio del Nobel mettesotto accusa tutta la nostra civiltàIn Spagna ha fatto molto discutere:lo scrittore spiega le sue tesi

In questo processo complessoogni separazione corpo/mente,ragione/affetto, diventa fuorvian-te e semplicistica. Certamentequando si vuole capire o interveni-re sulla realtà di una sofferenza fi-sica o psicologica, è necessario ef-fettuare una separazione provvi-soria che aiuti a definire il campodi studio e di intervento, ma que-sto non può annullare la coscienzache al di là di questa divisione vi siaun tessuto comune che compren-de più aspetti.

Proprio per questa ragione c’èbisogno di strumenti d’indaginerigorosi ma non rigidi, capaci dipassare da un ordine all’altromantenendo la coerenza. E’ quel-lo che è successo alla nascita dellapsicoanalisi: Freud era un neurofi-siologo intriso della scienza dell’e-poca, ma sapeva che il suo oggettod’indagine presupponeva “l’in-venzione” di un metodo d’osser-vazione adeguato. Questo non èdiverso da quello che sempre èsuccesso nella vita scientifica e daquello che tuttora accade. Si pro-ducono immagini, si creano ipote-si, si lavora per formalizzarle e ren-derle coerenti, si annullano ideeprecedenti, spesso si utilizzano dinuovo. E’ un ciclo vitale che qual-siasi pensiero umano deve prati-care, pena l’asfissia e quindi lamorte.

La scienza degli ultimi trent’an-ni, è stata fortemente caratterizza-ta dalla coscienza di questo intrec-cio inestricabile e dell’importanzadeterminante dell’osservatore. Einvece che la ricerca assoluta dellariduzione dell’incertezza evocatada Corbellini, ha messo al centrodella sua riflessione l’instabilità, lacontingenza e quindi la storia, checi consegnano un mondo caoticoma allo stesso tempo governato daleggi imprescindibili. Si tratta diuna scienza critica, “flessibile” co-me si augurava Stephen Jay Gould.Non viene il sospetto che a questanuova ondata di pensiero abbiadato un contributo la psicoanalisi,denunciando la presenza dell’e-mozione dietro alla ragione, delpensiero anche nel mondo bizzar-ro dei sogni, della psiche là dovesembrava esserci solo un corpodolente?

Non esiste pensiero non conta-

minato dagli affetti, non esistescienza che possa prescinderedalle passioni che spingono la ri-cerca. Sta alle comunità scientifi-che fare in modo che questa ibri-dazione di piani non diventi il de-lirio di qualcuno o la confusionebabelica delle lingue. Nessun ana-lista che pensi la teoria psicoanali-tica ma che soprattutto faccia pra-tica terapeutica, potrebbe farel’errore di credere che una soffe-renza possa essere solo fisica o psi-chica, essere trattata solo con i far-maci o solo con le parole, solo co-me un problema dell’individuosenza pensare all’ambiente circo-stante. Sono necessari dei sistemiintegrati che rispecchino questointreccio, la psicoanalisi lo sa, laclinica quando necessario lo pre-vede.

La cura delle patologie gravi faparte integrante della ricerca psi-coanalitica che si muove tra elabo-razione teorica ed esperienza coni pazienti. I criteri di valutazionedell’efficacia degli interventi tera-peutici non sono certo applicabiliin base alle leggi della fisica o dellabiologia o secondo i parametri diguarigione adoperati per un corpomalato, ma si giustificano secon-do le regole che la cura psicoanali-tica prevede non diverse da quelledelle altre scienze, fatte di falsica-bilità dell’interpretazione, di rigo-re del setting, di evoluzione e di tra-sformazione del sistema costitui-to dalla coppia analitica. La scien-za è un organismo vivo che ha co-me suoi organi le comunità scien-tifiche e come tessuto la culturasociale nella quale è trapiantata, ènecessario tenerne conto per libe-rarsi dal pregiudizio. E’ in gioconon solo la sofferenza delle perso-ne, ma la visione stessa dell’uomo.(L’autrice appartiene alla Società

psicoanalitica italiana)

Caro direttore, intervengo sollecitata dalla lettera di Gilberto Cor-bellini sulla psicoanalisi. Si tratta di problemi che riguardano:primo, una precisa idea di cosa significhi fare scienza; secondo,di cosa voglia dire curare, e non ultimo, quale sia l’immagine del-

l’uomo che queste idee sottendono. Chi mai potrebbe negare che il cer-vello è alla base di ogni nostra attività di pensiero e della vita emotiva, ilproblema è semmai capire in che modo queste aree si determinino a vi-cenda al punto tale da costituire un intreccio inestricabile che porta allacostituzione di quel fenomeno umano che Freud ha chiamato psiche.

L’intervento dell’analista nel dibattito sullo statuto delle terapie

LA SOFFERENZAE LA PSICOANALISI

IL DIBATTITO

Su“Repubblica”del 22febbraiol’iniziodel dibattitoaperto daglipsicoanalisti

© RIPRODUZIONE RISERVATA

LORENA PRETA

molto più interessante, ricco, sti-molante. Credo che sarebbe unatragedia se proprio in un’epoca incui c’è un progresso tecnologico,scientifico e materiale straordina-rio, la cultura si trasformasse inpuro intrattenimento, in qualco-sa di superficiale, lasciando unvuoto che niente può riempire,perché nulla può sostituire la cul-tura quando si tratta di dare unsenso più profondo alla vita».

La sua opera non è un esempiodel fatto che la capacità di auto-critica sopravvive?

«Sì, ma è preoccupante che laricchezza più grande sia nel pas-sato più che nel presente. E c’è unaltro aspetto. Oltre alla frivolizza-

zione, c’è un oscurantismo bu-giardo che identifica la profonditàcon l’oscurità e che ha portato lacritica a degli estremi di specializ-zazione che la mettono al marginerispetto al cittadino comune, al-l’uomo mediamente colto al qua-le prima la critica serviva perorientarsi davanti a un’offerta co-sì enorme».

Ma lei propone di tornare a dei

modelli culturali.È possibile?

«Non tutti pos-sono essere coltialla stessa ma-niera, non tuttivogliono esserecolti alla stessamaniera e nontutti dovreb-bero esserecolti alla stes-sa maniera,ci manche-rebbe. Ci so-no dei livel-li di specia-lizzazione chesono spiegabili,a condizione che la specia-lizzazione non finisca colvoltare le spalle al restodella società, perché allo-ra la cultura smette di im-pregnare l’insieme dellasocietà, scompare quelconsenso, quei denomi-natori comuni che ti per-mettono di discriminaretra ciò che è autentico eciò che è posticcio, traciò che è buono e ciò cheè cattivo, tra ciò che è bello e ciòche è brutto».

Lei estende la sua critica allacucina o alla moda che stanno en-trando a far parte dell’alta cultu-ra.

«Questa, infatti, è una delle ma-nifestazioni di quella frivolezza.

“L’altro problema èl’oscurantismobugiardo cheidentifica l’oscuritàcon la profondità”

VARGASLLOSA

Mario

“Perché siamo entratinell’era della cultura frivola”

JAN MARTÍNEZ AHRENS

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@VENERDÌ 20 APRILE 2012

llaa RReeppuubbbblliiccaa PER SAPERNE DI PIÙmvargasllosa.comwww.treccani.it

Il libro letto da “Repubblica” in anteprima

UN REQUIEMPER IL ’900

chiusa nell’ostilità sistematica.Fenomeni come quello degli in-dignados o di Occupy Wall Street,non le danno speranza?

«Sì, un po’ sì. Sempre che non siorientino nel senso sbagliato. Per-ché c’è un certo conformismo nel-la protesta. Foucault ha scrittodelle cose interessanti su questo.Tuttavia, credo che ci siano deifermenti tra i giovani. Le cose pos-sono cambiare per il meglio. Masu alcuni aspetti è importante unacritica molto radicale di un feno-meno che rappresenta una deca-denza».

Nelle dittature c’è più corru-zione. Ma è lì che la lotta degli in-tellettuali acquista più senso.

«Assolutamente. È un fenome-no al quale stiamo assistendo inCina: è interessantissimo il caso diAi Weiwei. Si tratta di una figurache oggi rappresenta lo spirito diresistenza, la volontà di apertura,di modernizzazione, di democra-tizzazione».

Quando parla di degrado deivalori, comprende anche il sen-sazionalismo della stampa. Leicrede che l’autoregolamentazio-ne possa essere un modo per li-

mitarlo?«Credo che sia l’unico. Che la

stampa stessa debba assumerse-ne la responsabilità. Non è una co-sa che si risolve con sistemi di cen-sura, ci mancherebbe. Penso cheil sensazionalismo sia espressio-ne di una cultura».

E c’è un effetto moltiplicatorecon le nuove tecnologie.

«Di fronte alle quali ti puoi di-fendere molto male. Ne ho fattol’esperienza tempo fa, in Argenti-na. Una signora si congratulò conme per un testo che l’aveva moltocommossa, mi disse, un omaggio

alla donna. Le dissi che la ringra-ziavo molto, ma non avevo scrittonessun omaggio alla donna. Pen-sai che se lo fosse inventato, o chesi fosse confusa. Un po’ di tempodopo mi mandano il mio elogiodella donna, comparso su Inter-net. Un testo di un cattivo gusto ta-le che mi sono vergognato per chil’ha scritto, firmato da me e lan-ciato nello spazio a motivo di nonso cosa. Come fai a difenderti?».

Bisogna però riconoscere cheInternet e i social network per-mettono ad artisti e intellettualedi esprimersi all’istante.

«Facendosi beffe di tutti i siste-mi di censura; questo è un pro-gresso. Ma al tempo stesso è an-che un altro tipo di confusione che

ha effetti molto negativi sulla cul-tura. L’eccesso di informazioni si-gnifica anche la scomparsa dellegerarchie, delle priorità. Si collocatutto a uno stesso livello di impor-tanza per il semplice fatto di staresullo schermo».

© El País 2012 (Traduzione di Luis E. Moriones)

“Non sono unconservatorenostalgico: dicocerte cose proprioper cambiarle”

IL LIBRO

Vargas Llosaha pubblicatoin Spagna “Lacivilización delespectáculo”(Alfaguara,pagg. 232,euro 17,50)Il libro uscirà inItalia tradottoda Einaudi

Èa un grande giornalista spagnolo – JuanCarlos Ruiz, uomo di cultura «sempre col suolapis e il suo taccuino» – che Mario Vargas

Llosa dedica il saggio in cui decreta la fine dellacultura «nell’accezione che a questa parolaabbiamo dato sino ad oggi» e, in subordine, lascomparsa degli intellettuali, l’affievolirsi dellaletteratura, il tramonto della politica, la mortedell’arte e in specie dell’arte visuale e plastica, ilfallimento dell’educazione scolastica. È anche daquella dedica, mi pare, che prende luce il senso dellavoro che lo scrittore peruviano ha intrapresoall’indomani del Nobel: La civiltà dello spettacolo èuna cronaca del tramonto del Novecento, unomaggio e insieme un saluto ultimo ad un tempoapparentemente prossimo eppure ormai remotoin cui le parole avevano «l’accezione che abbiamodato loro sinora», i giornalisti un taccuino, i pittoriuna tela, le parole il primato sulle immagini,l’intelligenza sull’ingegno, il valore sul prezzo. Ilsaggio, lungi dall’essere un pamphlet apocalitticoaccusatorio e nostalgico, si svolge piuttosto comeun reportage pacato, una cronaca a tratti persinodidascalica nella minuziosa osservazionedell’oggetto osservato: la morte di una forma diciviltà, la nascita di un’altra. In definitiva, avrebbedetto Ortega y Gasset, la mutazione dello spirito deltempo. La democratizzazione della cultura, nata da

volontà altruista ed egualitaria, ha portato «ad unasuperficialità dei prodotti giustificata in ragione diarrivare al maggior numero». Letteratura light.Arte-scandalo fatta con cacca di elefante. «Lacultura in cui viviamo immersi scoraggia lo sforzo».Cucina e moda occupano buona parte delle sezionicultura. Gli chef e gli stilisti hanno ruolo daprotagonisti, stelle tv e calciatori hanno l’influenzadi teologi e filosofi. Non in virtù delle loro idee, chepotrebbero essere anche interessanti, ma della loro«presa mediatica».Scomparsa la critica alla pubblicità va «il magisterodecisivo di gusti sensibilità immaginazione ecostumi». Nella civiltà dello spettacolo il comico èsovrano. Woody Allen occupa il posto di Orson Welles, AndyWarhol di Van Gogh, Dario Fo di Ibsen. Fra igiornali cresce solo la stampa scandalistica e delcuore. «Trasformare l’informazione in unostrumento di svago è aprire le porte della legittimitàallo scandalo, al pettegolezzo, alla violazione dellaprivacy quando non, nei casi peggiori, a invettivacalunnia e infondata maldicenza».Oggi diremmo alla fabbrica del fango, che disponedi siti Internet specializzati e popolarissimi perché«non è vero che quel tipo di curiosità sia di unaminoranza, i consumatori dello scandalo sono lavasta maggioranza di quella che chiamiamoopinione pubblica». Massimo successo mediaticohanno i crimini in specie con aggravante disadismo e perversione, pedofilia e delitti familiari.«Una fame di morbosità che non si sazia, col cibo,ma cresce». Un’orazione funebre del Novecento,nell’era dell’iPad e dell’e-book, della culturaglobale e della democrazia di rete. Quel che è ditutti, dice Vargas Llosa, o non è più di nessuno o ègià qualcos’altro. Se si tratti di progresso i posteridiranno.

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CONCITA DE GREGORIO

Un convegno alla Treccani

L’UMANESIMO NELLA SOCIETÀ DI OGGIROMA — Il declino della cultura umanistica è se-gnalato su fronti diversi ed è un fenomeno nonsolo italiano ma coinvolge anche il mondo an-glosassone, dove a proposito delle disciplineumanistiche non si esita a parlare di “specie invia di estinzione”. Humanities oggi: che fare? è iltitolo del convegno organizzato oggi alla Trecca-ni. Per rimettere al centro la cultura umanistica,da sempre motore di crescita civile e sociale – daqui partono Lisa Roscioni e Michele Dantini,promotori dell’incontro – è però necessario ri-pensare i percorsi formativi universitari, che og-gi producono masse di laureati privi di capacitàcritiche e competenze indispensabili. Sarà allo-ra necessario definire criteri di valutazione perqueste discipline, le più tardive nell’accettare re-gole condivise in base alle quali essere giudicate.

Su questi temi – dopo l’apertura di GiulianoAmato – si confronteranno gli studiosi, da TullioDe Mauro ad Andrea Graziosi, da Franco Beni-gno a Carlo Ossola, da Francesco Cataluccio aGiulio Sapelli, da Claudio Giunta a TomasoMontanari.

«I corsi delle facoltà umanistiche», sostengo-no Roscioni e Dantini, «dovrebbero essere con-cepiti in un modo nuovo, e integrare le compe-tenze. Pensiamo a come da circa quattro decen-ni l’analisi testuale abbia congiunto metodo filo-logico e prospettive critiche maturate all’internodi discipline quali l’etnografia, la sociologia, l’e-cologia politica e sociale. Pensiamo al ruolo civi-le svolto dagli studi sull’immigrazione o sulle po-litiche della memoria. Anche le discontinuitàstoriografiche possono produrre innovazione».

Intrattenimento

Sarebbe molto tristese proprio in questaepoca tanto ricca tuttodiventasse solointrattenimento puro,lasciando cosìun vuoto che nonsi può riempire

Banalizzazione

Adesso c’è unabanalizzazione che haconseguenze in tuttii settori: i valorivengono confusi e sisacrifica la visione alungo termineper l’immediato

DISEGNO DI TULLIOPERICOLI

Non ho nulla contro la moda, manon credo che possa prendere ilposto della filosofia, della lettera-tura, della musica colta, come re-ferente culturale. E questo è ciòche sta accadendo. Oggi parlare dicucina e parlare della moda è mol-to più importante che parlare di fi-losofia o di musica. Questa è unadeformazione pericolosa e unamanifestazione di frivolezza terri-bile. Che cos’è la frivolezza? È ave-re un quadro di valori completa-mente confuso, è il sacrificio dellavisione a lungo termine per quellaa breve termine, per l’immediato.Lo spettacolo è proprio questo».

Questa prospettiva non rac-chiude un’idealizzazione ecces-siva del passato?

«Non sono un conservatore in

quel senso, proprio no, e so che nelpassato, al tempo stesso di Cer-vantes e di Shakespeare, esistevala schiavitù, il razzismo più spa-ventoso, il dogmatismo religioso,l’Inquisizione, i roghi per i dissi-denti… So benissimo che il passa-to porta con sé tutto questo, ma altempo stesso non si può negareche in quel passato c’erano cosemolto ammirevoli, che hanno se-gnato profondamente il presente,che hanno arricchito la vita dellepersone, la sensibilità, l’immagi-nazione. E quella era un funzioneche aveva l’alta cultura, e oggi nonsi può nemmeno parlare di altacultura, perché sarebbe scorretto,politicamente scorretto».

C’è una difesa molto interes-sante dell’erotismo nel libro, co-me opera d’arte di fronte al “ses-so crudo”.

«L’erotismo è stato nel mondodell’esperienza la conversione diun istinto in qualcosa di creativo,in una vera opera d’arte e questo èstato possibile grazie alla cultura.E qui cito molto Georges Bataille,che ha sempre difeso l’erotismoproprio come una manifestazio-ne di civiltà, e che è stato molto re-ticente riguardo alla permissivitàtotale perché credeva che avrebbeucciso le forme e alla fine si sareb-be giunti, di nuovo, a una specie disesso primitivo, selvaggio. Qual-cosa del genere è accaduto nel no-stro tempo».

Cita una gioventù apatica,

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