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I l G i o r n a l e d e l P i l o A l b e r t e l l i N o n c o n v e n t i o n a l P i l o ! Maggio/Giugno 2009 - Numero 7 - Anno II Gli addii dei terzi Raccontidiavventure...scolastiche! ChiaraBorrelli N onostante il titolo, non dico ancora addio, in realtà. È una previsione di quel che succederà, di quello di cui mi sto progressivamente rendendo conto. Infatti ancora mi illudo parzialmente che abbandonare l'Albertelli non sarà una svolta e che tutto questo non tocchi in alcun modo la bolla trascendentale di pensiero filosofico che mi ha inglobato nelle ore di filosofia o non sconvolgerà lo scienziato che è in me, che non riesce a interessarsi dell'insignificante esistenza di questi problemi paragonati ai fascinosi meccanismi dell'universo. Mi chiudo in questi consolatori mondi di conoscenza perché non riesco [...] (Segue a pagina 4) GAZA: Restiamo umani 9 Fortezza Europa 6 Terremoto Abruzzo 5 Terremoto in Abruzzo SolidarietànelleDivergenze... L'Odissea di un Viaggio ...cronacadiuna"normale"mattina! Fortezza Europa Fugadisperataversounavagasperanza... La città delle bestie Lasciami entrare Il club degli imperatori Fires in Distant Buildings Yessongs Mia è la vendetta AltRaCulturapag7,8,9 FuoridalPilopag5,6 InsidetheSchoolpag2,3,4 Pica - Valente Gli addii dei Terzi The Genius

N o n l i c v o Gli addii dei terzi G i o r n a l e I l i l l e treblA o l i e … · 2018-12-07 · Aldilà della comunicazione di nozioni o teorie ... storia, d’altra parte, non

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Il Giornale del Pilo Alber telli

Non conventional Pilo!

Maggio/Giugno 2009 - Numero 7 - Anno II

Gli addii dei terziRacconti di avventure... scolastiche!

Chiara Borrelli

N onostante il titolo, non dico ancora addio, in

realtà. È una previsione di quel che succederà, di quello di cui mi sto progressivamente rendendo conto. Infatti ancora mi illudo parzialmente che abbandonare l'Albertelli non sarà una svolta e che tutto questo non tocchi in alcun modo la bolla trascendentale di pensiero filosofico che mi ha inglobato nelle ore di filosofia o non sconvolgerà lo scienziato che è in me, che non riesce a interessarsi dell'insignificante esistenza di questi problemi paragonati ai fascinosi meccanismi dell'universo. Mi chiudo in questi consolatori mondi di conoscenza perché non riesco [...]

(Segue a pagina 4)

GAZA:Restiamo umani

9

Fortezza Europa6

Terremoto Abruzzo5Terremoto in Abruzzo

Solidarietà nelle Divergenze ...L'Odissea di un Viaggio...cronaca di una "normale" mattina!

Fortezza EuropaFuga disperata verso una vaga speranza...

La città delle bestie

Lasciami entrareIl club degli imperatori

Fires in Distant BuildingsYessongs

Mia è la vendetta

AltRa Cultura pag 7, 8, 9

Fuori dal Pilo pag 5, 6

Inside the School pag 2,3,4Pica - Valente

Gli addii dei Terzi

The Genius

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Anno II - Numero [email protected]

Nome, cognome, data di nascita.Agnese, Pica.

Giuseppe Valente 17/05/1957.

Filosofo preferito?P: Sono molti. Preferisco i più importanti, quelli

fondamentali, i cosiddetti classici (cioé quelli che sanno parlarci in ogni tempo e occorre sempre interrogare e riscoprire). Platone e Aristotele; Agostino e Tommaso; Cartesio e Hobbes; Kant, Hegel e Marx; Nietzsche e Heidegger.

V: Non ci sono filosofi preferiti! Nietzsche mi piace, ma ce ne sono tanti altri…

Come dovrebbe essere il rapporto ideale fra alunno e professore?P: Partirei da come è. Anzitutto, è sempre più

difficile, per una mentalità diffusa che mai come oggi è omologante. Aldilà della comunicazione di nozioni o teorie, credo che il professore debba alimentare il desiderio di sapere, di capire, far nascere domande, educare alla critica, introdurre alla realtà. E non bastano competenza ed esperienza senza testimonianza, autorevolezza, vicinanza e fiducia. Essendo un incontro tra persone è impegnativo, difficile, rischioso ma... il rischio è bello.

V: Di rispetto reciproco basato sul riconoscimento della rispettiva funzione e soprattutto della professionalità dell’insegnante. Voglio chiarire, però, che quello del professore è un mestiere e non una vocazione.

Quanto conta l'impostazione data dal professore nell'insegnamento?P: Impostazione in che senso? Ideologica o

metodologica? Contano molto entrambe, circa la prima, è leale dichiararla, altrimenti si rischia di essere bi-dogmatici. Quanto alla seconda, è importante una continua autovalutazione, attraverso la verifica della comprensione della comunicazione. Se poi si intende come impostazione nelle specifiche discipline che insegno, sono convinta che si debba porgere il problematico e non solo l'accertato, per stimolare l'assimilazione attiva, il vero dialogo (quello che entra nel merito). Heidegger diceva: "insegnare è imparare a far imparare".

V: Conta in maniera determinante. Cambiando spesso scuola mi ritrovo con classi nuove. Mentre in prima e in terzo liceo non ho mai problemi ad impostare la filosofia con i ragazzi, invece, in seconda, faccio sempre difficoltà perché, evidentemente, quelli di seconda sono stati già impostati in prima in un certo modo e quando in seconda arrivo io si ritrovano con una grande confusione.

Evento che ha cambiato la storia dell'umanità?P: Gesù Cristo.

V: La scoperta del fuoco.

Gruppo musicale preferito ed ultimo concerto a cui ha assistito?P: The Rolling Stones. B. Dylan. Guccini, De André,

Battisti. B. Springsteen. L'ultimo concerto a cui ho assistito è quello di Springsteen, "Human Touch Tour", allo Stadio Flaminio, il 25 Maggio 1993.

V: Ce ne sono parecchi, ma fin da quando ero piccolo mi piacciono i primi Genesis, quelli di Peter Gabriel. L’ultimo concerto che ho visto è stato quello dei Muse un anno e mezzo fa.

Progetti per le vacanze?P: Alto Adige, Sud Tirolo.

V: Il solito posto in Croazia, dove posso concedermi un po’ di riposo, necessario dopo tutto lo stress che accumulo durante l’anno, in parte per colpa vostra.

Cosa cambierebbe nell'istruzione pubblica?P: Non solo nell'istruzione pubblica, ma in generale:

più valorizzazione della didattica, incrementare la qualità e lo spessore, premiare il merito. Più armonizzazione e lavoro di squadra, collaborazione. Inoltre, bisognerebbe creare più occasioni di dialogo culturale (pubblicazioni, convegni).

V: Un’idea ce l’avrei... anche se piuttosto impopolare: realizzerei un sistema di lavoro di tipo privatistico, come in America, dove gli insegnanti vengono chiamati dalla direzione dei college e pagati quanto valgono. In Italia però una cosa del genere non può succedere, qui i professori non sono pagati secondo le loro capacità.

A cosa è utile lo studio di storia e filosofia?P: È risposta al bisogno più umano: quello

dell'intelligenza; infatti la più penosa carenza è la mancanza di capacità critiche che consentono di rendersi ragione delle cose e giudicarle. Inoltre, a essere radicali... nel senso di andare alla radice delle cose.

V: Tanti anni fa una ragazza mi disse che la filosofia serviva ad aprire la mente, cosa che ritengo vera in senso generico. Nonostante questa ragazza non avesse capito nient’altro, su questo aveva fatto centro. La storia, d’altra parte, non serve a niente, ma mi costringono ad insegnarla anche se sono laureato in filosofia. Forse potrebbe servire come esperienza nel senso di Historia magistra vitae, nella realtà, però, questo non è mai accaduto, la storia non è mai servita come patrimonio collettivo di esperienze perché gli uomini hanno sempre ripetuto e credo che fino all’eternità ripeteranno gli stessi errori. D’altra parte Freud e la psicanalisi chiamano questa tendenza coazione a ripetere; in qualche modo è come se l’umanità e l’individuo fossero costretti a ripetere gli stessi errori, nonostante avessero capito da un sacco di tempo che erano errori.

Perché ha scelto queste materie?P: Per umana passione.

V: Ho scelto solo filosofia. All’epoca era una scelta politica, perché per chi voleva fare politica filosofia era la facoltà che dava più qualificazioni.

Libro da leggere sotto l'ombrellone?P: "Leviathan" di T. Hobbes (6° Cap.).

V: Uno di spionaggio, oppure di Maigret... Se invece vuoi leggere un libro serio, "La strada" è un bel romanzo.

Quanto conta il rapporto con i colleghi?P: Ha la sua importanza, perché la scuola è

comunità: il compito educativo non è affidato al singolo. Collaborare e cooperare aiuta.

V: Non molto... In effetti non ho un gran rapporto con i colleghi.

Servono le parolacce? Se sì, quando le capita?P: No.

V: Servono per scaricarsi un po'... cercando sempre di rimanere nei limiti della decenza!

Citazione filosofica preferita?P: Posso dirne due? "L'armonia nascosta è più bella di

quella conclamata" (Eraclito). "Ama et fac quod vis" (Agostino).

V: Forse quella dell’Ideologia tedesca di Marx: “L’idea della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti”.

Nella "Scuola di Atene" punterebbe il dito in alto (Platone) o in basso (Aristotele)?P: Bel colpo. Al limite; imprendibile! In basso, con

Aristotele; con la consapevolezza che è proprio il basso che reclama poi l'alto.

V: Diciamo che, dovendo per forza scegliere, visto che mi piace Nietzsche - che è immanentista - lo punto verso terra.

A scuola che voti aveva?P: Buoni.

V: Sono sempre stato il primo della classe.

Vizi o abitudini particolari?P: Io non ne vedo. Scherzo! Ditemeli voi.

V: Sono abbastanza abitudinario e non ho molti vizi.

Intervista doppia!Pica - Valente

a cura di Lorenzo Raffio e Elisabetta Raggio

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Maggio/Giugno 2009www.ondanomalapilo.com ndanomal

IIIDElisabetta Raggio

Niente lacrime, ve lo prometto. E, a proposito, il mio non è un arrivederci, il mio è proprio un

addio. Mi sento pronta ad andarmene da tanto tempo, a lasciare queste quattro mura che mi sembravano altissime, enormi, in quarto ginnasio. Quando quelli di terzo erano grandi, fighi e sicuri di loro, e io, piccola e ingenua, me li guardavo, pensando che sarei diventata come loro. Poi dopo due anni di grammatica, abbandoni Manzoni, e inizi a contare da uno. Ora sei in primo liceo: non devi più sputare sangue sulle versioni ogni giorno e il sudore che hai speso per imparare ogni regola sintattica verrà ben ripagato dalla bellezza della letteratura.

Eppure, adesso che sono arrivata all’ultimo anno, non mi sembra vero che cinque anni siano già passati. Sarà perché non mi sento né grande, né figa, come pensavo sarei diventata… Sarà colpa del liceo classico, che ti abitua a contare gli anni di scuola partendo dal quarto e finendo in terzo… Sarà che ad un passo dall’esame mi rendo conto di quanto questo giornale mi abbia fatto crescere e dei ringraziamenti nascono spontanei.

Quindi, prima di liberarvi di me, lasciatemi dire grazie a Giorgia, sopravvissuta in questi due anni alla dura prova di essermi amica prima di tutto; grazie a Claire che, con la sua musa ispiratrice, non si è mai tirata indietro; grazie ad Armando e Lorenzo, che nonostante le numerose volte in cui gli ho sbraitato contro, hanno continuato ad amare OndanomalA (più Lorenzo che Armando) e a dare il massimo ad ogni numero (più Armando che Lorenzo). Grazie a Vale, Luca, Flavia e Cecilia che, entrati in redazione in punta di piedi, hanno messo tutto il loro entusiasmo in questo progetto.

E grazie a chi in questo elenco non è citato, ma non sa quanto mi ha reso felice, chiedendomi di OndanomalA o pretendendo una copia personalizzata; grazie anche a chi ha letto solo dopo essere stato invitato ripetute volte a farlo e a chi non ha letto proprio perché il silenzio della sua ignoranza è stata la critica più difficile da affrontare. Infine un ultimo ringraziamento va a tutti coloro che, ci voglio credere con tutta me stessa, l’anno prossimo faranno sì che questa fantastica avventura diventi sempre migliore.

Gli addii dei terziIIIF

Giorgia Fanari

Sono cinque anni che aspetto questo momento: uscire da scuola, dopo gli esami, e bruciare il libro di grammatica di greco. Lo so, non è una cosa che dovrei dire, ma è un progetto che ho dal quarto ginnasio, da quando vedendo

quell’alfabeto con lettere stranissime ho cominciato a pensare “ma chi me lo ha fatto fare?”. Sono quasi sicura che almeno una volta questa storica frase la abbiamo detta tutti. Però ora, a un mese dagli esami, non posso fare a meno di dire che scegliere il Liceo Classico, ma soprattutto questo Liceo Classico, è stata la cosa migliore che potessi fare. Anche perché mi rendo conto che non appena sarò fuori comincerò ad avere un po’ di nostalgia per tutto il tempo passato tra queste mura. Non rimpiangerò niente, e non vorrò tornare indietro, però sicuramente...

Mi mancherà il caffè della macchinetta alla seconda ora del mercoledì...che comunque non ti sveglia mai!Mi mancherà il Pedullà che entra minacciando di interrogare, e poi invece comincia a spiegareMi mancheranno i 100 giorni mai fattiMi mancherà la disorganizzazione della mia classeMi mancheranno gli “annunci pubblicitari”Mi mancherà “lo statuto della classe” fatto in un momento di rabbia generaleMi mancheranno le urla della Turchetti che dice che siamo maleducati e ignorantiMi mancherà Ondanomala, le corse per farla uscire entro il mese e la mia dittatrice-direttrice preferitaMi mancheranno le manifestazioni che ti cambiano la vitaMi mancheranno i tentativi di sabotaggio delle interrogazioni e dei compiti in classeMi mancheranno le versioni impossibili di latino (…no n’è vero..)Mi mancheranno i foglietti passati “sottobanco”…o proprio sopra il banco…bisogna farsi furbi!Mi mancheranno i permessi d’entrata…che per farli arrivi ancora più in ritardoMi mancheranno le partite a pallavolo, anche se la nostra classe ha sempre perso!Mi mancheranno le scenate in classe con i professoriMi mancherà avere accanto la mia migliore amicaMi mancheranno i pettegolezzi durante l’ora di matematica…e di inglese….e di latino…e di italiano…e di storia…Mi mancheranno le spiegazioni della prof di italiano che recita a memoria la Divina CommediaMi mancherà vedere i miei amici tutti i giorniMi mancheranno le mattate nelle camere degli hotelMi mancherà sapere che c’è sempre qualcuno al banco davanti pronto a darti un aiuto e a strapparti un sorrisoMi mancherà passeggiare per i corridoi della centrale sempre troppo pieni di genteMi mancherà passeggiare per i corridoi della succursale sempre troppo vuotiMi mancherà la centrale dove si muore di caldoMi mancherà la succursale dove si muore di freddoMi mancherà il non sapere cosa dover studiare per il giorno dopoMi mancherà pensare di essere ancora troppo piccola per decidere cosa fare del mio futuro

IIIESara Manini

III E... "E", come Ekfrasis..."E", come Eneasilviopiccolomini..."E", come Euclide e i suoi

simpatici triangoli. La nostra classe variegata e variabile, con “minoranze quartierali” ciampinesi e centrogianesi, questa sinergia, questo crogiuolo di giovani menti vagamente deviate!! Abbiamo tutti avuto dei cambiamenti ed è questo che ci unisce.

Abbiamo passato cinque anni (o più…!) in un adolescenza piena di svolte positive e negative. Ovviamente poi è dipeso da noi se reagire in modo maturo o no, se prendere decisioni, se lasciarsi andare, se nascondersi davanti alle responsabilità, ma…per fortuna potremo ricordare…: L’ANSIA! generalizzata; Istanbul e l’abbandonato Bill, la guida con i suoi “ciambello”; i centoggiorni bucolici; il

foxismo; i chiusoni; il motto “puntiamo in basso”; il Boscaiuolo, l’unico vero Uomo; Gigi!!; il delirio dell’ultimo banco…

Avremo sempre in mente questo percorso. Tra differenze ed esperienze.

[Messaggio ai posteri: …DON’T PANIC!]

Addio di un genitoreE' sembrato ieri l'ultimo giorno di scuola, ed invece si sta approssimando l'ultimo. Arriveranno i temuti esami, fonte

di lacrime, gioie, bisticci, drammi e soddisfazioni. Poi il sipario calerà su questi cinque anni e quello che sembrava un obiettivo diverrà un punto di partenza per un'avventura nuova, ricca e misteriosa. Mi vengono in mente delle crisalidi che si mutano in farfalle e l'immagine è meravigliosa ma non nasconde ai miei occhi di adulta matura una certa nostalgia. Poiché è un istante, un battito di ali e siamo già proiettati al ricordo. Come non pensare al fatto che non ci sarà più un primo giorno di scuola, non ci sarà più un compagno di banco con cui confabulare alle spalle di un professore che coscientemente ignaro non rimprovera, come non pensare alle attese trepidanti dei compiti in classe o interrogazioni, come non commuoversi nel ricordare quel compagno che

dileggiato al primo anno per la sua immaturità oggi è uno splendido ragazzo che forse perderemo di vista? Basta poco a tirare fuori ricordi, anedotti, battute che saranno domani il bagaglio emotivo che accompagnerà l'inevitabile crescita.

Con questi esami concludiamo un primo grande ciclo del nostro difficile mestiere di genitori, ed è proprio in questa occasione che mi sembra doveroso ricordare e ringraziare tutti coloro che in questi cinque anni hanno contribuito con passione a fare dei nostri figli uomini e donne consapevoli e maturi, preparati ad intraprendere strade impervie. In una scuola generalmente bistrattata ed in una società pronta a fare delle aggressioni anche verbali il solo strumento di dialogo ritengo sia doveroso rivolgere un saluto a tutti i professori che svolgono la loro professione senza clamori e anche a tutti coloro che in questa scuola, secondo l'esperienza di molti, hanno facilitato il sereno scorrere di questi anni: tutto il personale amministrativo e non docente e la Preside Emilia Marano, i vari docenti che hanno accompagnato e supportato in gite, uscite e corsi i nostri ragazzi aiutandoli ad implementare l'esperienza prettamente scolastica con quella poliedrica del mondo circostante. Spero di non aver dimenticato nessuno e rivolgo un particolare grazie alla direttrice e alla redazione tutta di questo giornale che ha rappresentato una finestra aperta su un mondo che è ormai preistoria per noi babbioni fornendo stimoli di discussione e di riflessione.

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Anno II - Numero [email protected]

IIICArianna Ventrelli

Seneca scriveva: “il tempo scorre velocissimo e ce ne accorgiamo soprattutto quando guardiamo indietro:

mentre siamo intenti al presente, passa inosservato, tanto vola via leggero nella sua fuga precipitosa”. (Epistulae ad Lucilium 49)

E come potremmo non dargli ragione? È incredibile pensare che solo cinque anni fa mettevo piede in questo edificio, di cui inzialmente non riuscivo a sentirmi parte: nuovi compagni, nuovi professori e la paura costante di aver fatto la scelta sbagliata, paura di quei muri che a volte opprimevano, altre invece facevano venire voglia di diventare una persona migliore.

Eppure proprio quando tutto sta per finire l’unica parola giusta per concludere questo lungo percorso, non credo sia “addio”…ma “GRAZIE”! Grazie alle persone che lo hanno percorso insieme a me, a tutti i momenti che, nel bene o nel male, mi hanno fatto crescere e soprattutto ai professori che inevitabilmente sono diventati un punto di riferimento assolutamente indispensabile.

In fondo gli addii non mi sono mai piaciuti… quindi mando un in bocca al lupo grandissimo al tutti quelli che come me aspettano con ansia il 24 giugno…LA NOSTRA NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI!!!

IIICIrene Rossi

Proprio oggi mi sono capitate tra le mani le foto del primo camposcuola in Grecia,e mi sono tuffata in

quei ricordi inaspettati e incredibilmente lontani di ben cinque anni fa. Quando eravamo ancora piccoli, quando ancora non avevamo studiato l’aoristo in greco, e l’esame finale ci sembrava tanto lonano che era quasi impensabile pensarci.

A quei tempi combattevamo con chi non conosceva la "classificazione" del classico e alla domanda: “Che anno frequenti?”, rispondevamo imperterriti e sempre un po’ fieri: “Il quarto!”, suscitando perennemente lo sgomento nei nostri interlocutori. Io me lo ricordo così quel primo anno, e poi quelli che seguirono sono velocemente scivolati via; ci hanno portato ad uscire dal bozzolo della pubertà in cui ancora eravamo tutti un po’ bambini (nonostante molti non volessere sembrarlo) e ci hanno catapultato in questo mondo degli adulti.

Seppure alcuni la odiano, sebbene altri non vedano l’ora di lasciarla, non possiamo negare che la scuola, questa scuola, è stata lo sfondo delle nostre piccole grandi avventure per un importante arco della nostra vita. Guardo all’Albertelli, ai suoi corridoi e ai miei professori, presenti e passati, con già un pizzico di nostalgia; ringrazio di cuore tutti coloro che mi hanno portata a crescere, ad essere quella che oggi sono, e dico addio a questa scuola lasciandomi accarezzare dai migliori ricordi che mi legano ad essa.

Nonostante il titolo, non dico ancora addio, in realtà. È una previsione di quel che succederà, di quello di cui mi sto progressivamente rendendo conto. Infatti ancora mi illudo parzialmente che abbandonare l'Albertelli non sarà una svolta e che tutto questo non tocchi in alcun modo la bolla trascendentale di pensiero filosofico che mi ha inglobato nelle ore di filosofia o non sconvolgerà lo scienziato che è in me, che non riesce a interessarsi dell'insignificante esistenza di questi problemi paragonati ai fascinosi meccanismi dell'universo. Mi chiudo in questi consolatori mondi di conoscenza perché non riesco ad ammettere che uscire da qui significherà esattamente abbandonare il cristallino e confortevole mondo della beata gioventù per saltare nel vuoto delle grandi responsabilità da adulto. Il vecchio “Pilo” è stato il teatro delle mie trasformazioni, del mio progressivo cammino più o meno felice verso una eclettica personalità, attraverso un'infarinata generale di ogni tipo di sapere, condita da un pizzico forse ancora insufficiente di maturità.

Piccola patriota della periferia sud, cinque anni fa decidevo che mi sarei sorbita 40 minuti al giorno di viaggio in metro per frequentare questa scuola, raggiungendo una delle primissime volte il pieno centro: una vera svolta per me che all'epoca non conoscevo che il mio adorato ex “nido di vespe” partigiane, il Quadraro. Ricordo che il primissimo fattore che favorì le mie simpatie verso l'Albertelli fu l'accoglienza dell'istituto, che si dimostrò aperto a chiunque, senza imporre assurdi filtri di preferenza per i residenti in precisi municipi, come invece altri presidi di licei del centro ci avevano confessato di dover necessariamente e piuttosto inspiegabilmente fare. La cosa impressionò talmente tanto positivamente me, piccola discriminata periferica, da farmi addirittura soprassedere l'orrenda, shockante visione degli animali impagliati; l'ospitalità, o quella che si dimostra tale, è sempre stata la migliore qualità del Pilo: nel corso della mia permanenza qui, l'ho visto persino dotarsi di una filiale per questo. A determinare poi la mia scelta fu infine la affascinante-e-fatiscente ben nota austerità dell'edificio. All'inizio del mio percorso mi sentivo un fagotto che, volente o nolente, veniva riempito delle più disparate nozioni, senza negare l'accesso a qualunque, anche poco attraente, conoscenza mi fosse propinata persino dai professori più demotivanti: vivevo in un'indifferenza apatica di cui mi sono presto scrollata di dosso. Il ginnasio è stato la fase di ribellione in cui passano tutti e da cui molti non escono, dato che si inizia a credere che dai libri sopra i banchi di scuola non si potrà imparare nemmeno un quarto di quello che si ricava da quelli che si leggono sotto i banchi; l'impatto con la vera grande letteratura o con lo stimolo intuitivo della chimica del liceo ha persuaso i più, compresa me, dell'utilità della formazione offertaci qui.

Il rapporto che ho sviluppato con queste quattro mura è stato piuttosto altalenante, soprattutto perché per un destino a cui non credo si è trovato ad essere teatro della mia esperienza al liceo. Liceo vuol dire amicizie, amori, ma anche compiti in classe, interrogazioni, tutti elementi pericolosi che potrebbero indurre l'individuo - incastrato in questo terribile limbo tra infanzia e età adulta - a pensare che la scuola sia l'unico aspetto della vita. Non lo è, ma è un aspetto molto importante che non va sottovalutato. Conseguentemente, a volte questo edificio potrà esservi sembrata l'orribile prigione di lavori forzati inspiegabilmente non pagati, a volte un paradiso abitato da straordinarie conoscenze, metafisiche e non. In realtà non è che un necessario ponte di passaggio estremamente fugace e faticoso, ma divertente. Credo di poter tracciare un bilancio positivo di questo soggiorno; la mia migrazione da una sezione a un'altra, oltretutto, mi ha permesso, di andare oltre una visione unilaterale di questa scuola. Ho visto tremare le mura di questo edificio, e non solo durante le storiche assemblee al piano del liceo della

IIICChiara Ridolfi

Attendi per cinque anni di assaporare la libertà dell’ultimo giorno di scuola, di quando sentirai la

campanella dell’ultima ora di liceo. Ora ci siamo, ma appare un po’ di tristezza e di paura. Abbiamo tutti paura del nostro futuro, della nostra scelta; perché a parte i pochi che hanno già deciso cosa, fare ,la maggior parte di noi brancolano nel buio. In cinque anni abbiamo condiviso gioie e dolori e per quanto si possa aver litigato e ci si possa essere arrabbiati, alla fine siamo cresciuti insieme. Non siamo mai stati una classe unita, sarebbe un’ ipocrisia affermarlo, ma bisogna dire che alla fine ci siamo voluti bene. Il nostro essere così diversi ci ha unito e ci fatto crescere, perché abbiamo imparato a sopportarci e in alcuni casi anche ad aiutarci. Abbiamo compreso che nella vita bisogna adattarsi, che si deve scendere a patti, che per il bene comune bisogna sacrificarsi.

C’è chi scriverà ringraziamenti e parole commoventi, credo sia alquanto scontato e banale ringraziare le persone che mi hanno accompagnato in questo percorso. Voglio invece lasciare un augurio di tutto cuore a coloro che per questo periodo sono stati al mio fianco : spero che nessuno in futuro dimentichi ciò che ha imparato in questi anni, che va oltre la paginetta ripetuta a memoria, spero che nessuno si lasci corrompere l’anima. Credo che questo tipo di formazione sia finalizzata a creare persone migliori che, in questi anni, hanno arricchito il loro bagaglio morale e culturale. Spero che le 26 persone che compongono il IIIC usciranno da questa scuola a testa alta, che dai così tanto odiati filosofi, scrittori, matematici, fisici, e filologi abbiano ricavato un insieme di principi di vita. Dopo cinque anni ho capito che il liceo a questo serve: a formare persone migliori, in grado non solo di criticare, ma anche di costruire un mondo migliore. Con questa visione un po’ romantica della vita e della scuola in generale faccio un caloroso augurio ai 26 stupendi alunni del IIIC che quest’anno affronteranno la temuta maturità. State tranquilli mi hanno detto che non è mai morto nessuno e che sono usciti tutti illesi,io personalmente non ci credo.

IIIAChiara Borrelli

centrale; le ho viste implodere nella mia mente dopo interminabili notti insonni, esser magicamente ridipinte in ventiquattro ore, ma solo fino al piano della presidenza. Ho conosciuto persone letteralmente meravigliose, altre un po' meno, ma sono debitrice nei confronti di tutte loro, dato che alle prime devo l'appoggio e la solidarietà di veri e propri “compagni” di vita e dato che ho sempre cercato di succhiare il massimo da ogni mia esperienza, negativa o meno che fosse (ho persino avuto modo di ricavare un po' di autostima dalle sgradevoli attenzioni che ho ricevuto a causa di un'ostinata, e per me priva di significato, competitività che qualcuno ha scelto senza ragioni di indirizzare verso me). Ho corso per i corridoi di centrale e succursale, prima per un'ingenua deformazione professionale di studentessa diligente, poi per ricoprire il ruolo di un'inadempiente e sempre in ritardo redattrice del giornalino della scuola. D'altra parte, nonostante tutto ciò mi abbia reso un'inguaribile, terribilmente lunatica insonne, è stato un valido diversivo che ho lasciato con piacere a combattere con noie e vuoti esistenziali-adolescenziali. Per chi lascia il liceo è inutile mantenere una posizione distaccata: sono tutta impregnata dell'aria di questa scuola, e persino il tentativo di ricavare dal gomitolo di sensazioni un ordinato lavoro a maglia di frasi è solo il risultato di un'abitudine, impostami negli anni dai miei severi valutatori, a raffinare il più possibile il mio ormai stanco periodare.

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Maggio/Giugno 2009www.ondanomalapilo.com ndanomal

Io per il terremoto non do un euroLorenzo Raffio

Riprendo un titolo - certamente provocatorio - di Giacomo di Girolamo. Ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà soldi dal conto telefonico, non manderò alcun sms, non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori,

al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato le trasmissioni non-stop, gli appelli televisivi, le testimonianze sospirate dei politici. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà che in questo momento io possa fare.

Non do un euro, perché è questo stereotipo dell'italiano buono e generoso che rovina il Paese, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude ma che poi, alla fine, nel momento della tragedia, sa farsi perdonare tutto e fa a gara a chi da di più. Io sono stanco di questa Italia, non voglio si perdoni più nulla; è un circolo vizioso, il giorno seguente si ricomincia come prima. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro. Quando ci fu il Belice gli italiani si mossero, e diedero un po’ dei loro risparmi alle popolazioni terremotate. Poi ci fu l’Irpinia. E anche lì molti fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale, per la ricostruzione. Dopo l’Irpinia ci fu l’Umbria, e San Giuliano, e di fronte allo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente. Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi - ogni volta - si continua imperterriti come prima?

Non do un euro, perché paghiamo le tasse. E in questi soldi ci sono già dentro quelli per la ricostruzione, per gli aiuti, per la Protezione Civile, che però vengono sempre spesi per fare altro. Ogni volta viene chiesto aiuto agli italiani. Basta. Rischiamo di farla diventare una tradizione, di lanciare (involontariamente) il pericolosissimo messaggio che poi, anche se lo Stato compie le peggiori azioni di questo mondo, ci sia il popolo, mosso da compassione, che perdona tutto e ripaga qualsiasi danno. Basta mandare qualche inviato a raccogliere bambole fra le macerie per far breccia nel cuore degli italiani e fargli dimenticare come - solo pochi decenni prima - accadeva lo stesso e i colpevoli restavano impuniti. Nelle tasse c’è previsto - infatti - anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le tasse paghiamo anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.

Non do un euro per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l’alibi per non parlare d’altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all’opposizione) perché c’è il terremoto. Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Non do un euro, ma il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno.

Lettore disattento, aspetta a darmi del bestemmiatore. Non parlo da egoista, cinico e antisociale, questo ragionamento è dettato dal serio bisogno di far cambiare le cose, di modificare questa politica di malgestione del denaro pubblico, che, ripeto, si sente "protetta" dalle associazioni di volontariato che vanno sempre a parare l'operato dello Stato pasticcione di cui si parlava prima. Guardiamo oltre il nostro naso, donando uno/due/tre euro rischiamo soltanto di favorire la passerella di politici e gente che - al contrario di chi dona soldi in modo sincero - sfrutta tragedie e disgrazie per farsi bello. Andiamo oltre, esigiamo il nostro diritto, da cittadini italiani, da contribuenti, a veder spesi in modo corretto in nostri soldi (ad esempio per la ricostruzione), altrimenti arrivederci alla prossima tragedia, chi manda indietro il nastro?

Io per il terremoto do la mia rassegnazioneElisabetta Raggio

Non è la beneficenza che rovina questo Paese e con lo sdegno non si ricostruiscono città. È vero che noi italiani, brava gente, non ci tiriamo mai indietro di fronte all’opportunità di metterci una toppa dopo ogni disastro, è vero che c’avemo ‘n core grande a cui l’indifferenza resta sconosciuta, ed è

soprattutto vero che continuiamo a fare leggi e a trovare il modo per aggirarle. Ciò nonostante non si reca torto a chi amministra lo stato se ci si rifiuta di dare una mano a chi ne ha bisogno. Lo stato, inoltre, non è il salvadanaio di tutta la beneficenza che viene sempre richiesta dalla penisola. Si pensi solo, al di fuori del terremoto, alle maratone per Telethon, alle azalee dell’AIRC, per esempio. Forse non paghiamo le tasse anche per la ricerca?! Eppure ogni iniziativa del genere riscuote un notevole appoggio.

Non credo che l’Italia sia formata per lo più da ignoranti che pagano le tasse, non sapendo dove il loro denaro va a finire. Quindi, ne deduco, che la maggioranza continua a impiegare le proprie risorse nell’unico modo possibile per tentare di cambiare le cose: se comportarsi da onesto cittadino non basta, si porta la mano al portafoglio una seconda volta. E questo non è sdegno, è peggio, è rassegnazione. Rassegnazione a offrire il doppio o il triplo purché almeno una parte ne arrivi, a non fermarmi ai miei doveri di cittadina, ma ad avvalermi dei miei diritti di persona, che ci mette poco a mettersi nei panni di qualcun altro. Rassegnazione per ora perché per oggi questo stato non cambia, perché ancora questa classe politica non disprezza la propaganda sulle disgrazie e non punisce, ma agevola chi le permette. Rassegnazione e denaro, perché con lo sdegno verso chi non gestisce bene la cosa pubblica i palazzi rimangono per terra. Non significa che appartengo a quella parte di italiani che mossi a compassioni ripagano i guai. Rappresento quelli che sanno che si sarebbe potuto fare di meglio per prevenire i danni del terremoto, quelli che non si stancano di puntare il dito, eppure non ce la fanno a pensare che tutto quello che potrebbero fare è rivolgere il proprio sdegno.

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Anno II - Numero [email protected]

È una mattina uguale a tutte le altre e, come al solito, sta per iniziare la mia quotidiana “Odissea” per

raggiungere la scuola. Scocca l’ora X: sono le 7. Arrivo alla stazione di Lunghezza, a quest’ora frequentata soprattutto da ragazzi. Volti stanchi, assonnati, con occhiaie profonde che dopo due anni riesco a riconoscere più o meno bene.

Raggiungo il mio gruppo di “compagne di viaggio” che aiutano a far passare piuttosto velocemente quest’ ora di viaggio mattutina, grazie a chiacchiere, risate, pettegolezzi…insomma, cose da ragazze di sedici anni!

Purtroppo la pace finisce subito. Ben presto, infatti, udiamo il tanto odiato segnale acustico seguito dall’altrettanto detestata voce metallica e gracchiante: “Il treno regionale proveniente da Avezzano delle ore sette e zero otto arriverà con quaranta minuti di ritardo, ci scusiamo per il disagio”. “Ci scusiamo per il disagio”… sembra quasi una presa in giro: interrogazione di Greco in seconda ora e compito in classe di Latino!Che ce ne facciamo delle vostre fredde e non sentite scuse?! Un fiotto di imprecazioni, maledizioni e ingiurie seguono il messaggio vocale. Molti ragazzi abbandonano la stazione per tornarsene a casa, altrettanti rimangono e si preparano psicologicamente alla lunga attesa. Noi siamo tra questi ultimi: non possiamo permetterci di assentarci a scuola, al massimo entriamo in seconda.

Passano i minuti e la stazione pian piano inizia a riempirsi della gente che solitamente prende i treni successivi. Finalmente, si ode il fischio del treno che sta arrivando, a testimonianza che i quaranta minuti sono passati. Però adesso si presenta il problema principale: riuscire a salire sulla vettura! Difatti la gente è moltissima e se non si è fortunati, ovvero se non ti si ferma la porta proprio davanti, si rischia di non farcela ad entrare. Il treno si ferma e (miracolo!) capitiamo di fronte all’ingresso. Entriamo, ma la gente sembra quasi impazzita: spinge, spintona, sgomita. I vagoni sono pieni, i “gabbiotti” che danno sulle porte “straripano” di gente, ne riesco a contare circa una quarantina. Siamo tutti ammucchiati, uno addosso all’altro, peggio degli animali. Dopo qualche minuto inizia a mancare l’aria e, come è già capitato altre volte, qualche persona si sente male o sviene, ma l’unica cosa che si può fare è adagiarla su un sedile, dopo aver fatto “scomodare” qualche signore. In poche parole un viaggio infernale.

Se ci si pensa è una cosa inaccettabile! Paghiamo un biglietto di un euro ogni giorno ed è questo il servizio che ci viene fornito: treni mai puntuali, tenuti in condizioni pessime, privi di riscaldamento o di aria condizionata, con limitata capienza di persone. Una situazione vergognosa! Però, purtroppo, quello dei pendolari è un problema ignorato, nessuno se ne cura, nemmeno lo stesso Stato. Posso solo sperare che nel

futuro qualcosa volgerà al meglio, anche se sono molto scettica al riguardo. Il viaggio disumano è passato. Ci “sgruppiamo*”, lentamente riusciamo a scendere dal treno e respiriamo. Una boccata di aria, aria fresca finalmente!

Ma non è finita qui! Ci aspetta ancora qualche fermata di Metro prima di poter giungere a scuola. Ovviamente anche la metropolitana non ci risparmia il “bagno” di folla! Tanto oramai per noi non è più una novità, è così tutte le mattine. Dopo un altro viaggio stipati come sardine, ci affrettiamo a raggiungere l’edificio scolastico. Arriviamo “solo” alle otto e quarantacinque così andiamo a farci compilare il foglietto che permette l’entrata in seconda ora.

Non subisco il supplizio appena raccontato ogni mattina, ma di viaggi di questo genere ce ne sono stati fin troppi in soli due anni. Il numero preciso non lo saprei quantificare, ma ciò che so per certo è che ormai ho perso fiducia e speranza nei trasporti pubblici Italiani. Pertanto,ogni mattina, posso solo sperare di non leggere sul tabellone luminoso della stazione più dei soliti cinque minuti di ritardo che porta il mio treno.

* Una delle espressioni inventate da Manzoni ne “I Promessi

Sposi”.

L'Odissea di un viaggioFlavia Tiburzi

Anche dalle spiagge dorate di Sharm el Sheik il premier Silvio Berlusconi è riuscito, con le sue dichiarazioni, a mettere in subbuglio la nazione,

difendendo la politica dei “respingimenti” e affermando:“I barconi che salpano verso il nostro paese non sono fatti occasionali ma il frutto di organismi criminali che reclutano in maniera scientifica le persone da inviare in Europa”.

Tutto ciò rappresenta l'alterazione, questa sì criminale, della realtà delle migrazioni africane. Non esiste nessuna grande organizzazione, nessun mafioso che gestisce i flussi a scopo di lucro, esiste solamente la fuga disperata e ai limiti della sopravvivenza verso una vaga e indefinita speranza. Nella zona centro-settentrionale dell'Africa è possibile individuare 36 stati, di questi 29 sono stati dichiarati “not free” (Libia, Camerun, Ciad, Sudan, etc.) o “partly free” (Nigeria, Niger, Mauritania, Etiopia, etc.). E' questa la regione dalla quale si dipartono i maggiori flussi migratori; una zona dove i regimi militari governano circa il 50% degli stati e dove anche le più basilari libertà sono messe al bando da dittature mascherate da democrazie. Un'area del mondo che, a causa delle politiche economiche e della recente crisi, è e probabilmente sarà per sempre tagliata fuori dai mercati internazionali, destinata quindi ad un irreversibile processo di impoverimento.

Chi parte non sono criminali o avanzi di galera, sono persone che nel loro paese avevano un lavoro, una famiglia, sono persone che hanno studiato e che proprio per questo si ribellano ad una società repressiva e ad una sempiterna condizione di povertà che, come una spada di Damocle, pende sempre sulle loro teste ricordandogli chi è ad essere nato nella parte ricca del mondo. Sono persone che, risparmiando per anni, riescono a racimolare i soldi necessari a partire e, una volta pronti, scoprono che il viaggio tanto sognato è una fuga disperata tra le dune del deserto, a cavallo

di vecchi camion carichi di varia umanità.Soffrono di fame e di sete sognando la loro terra promessa fino a quando non prendono coscienza di essere solamente granelli di polvere risucchiati dagli ingranaggi perfetti delle politiche europee. La disperazione, la frustrazione di rendersi conto di aver speso i risparmi di una vita e la loro stessa esistenza per andarsi ad infrangere contro le barriere poste dall'Europa.E questi, questi uomini e queste donne che avranno per tutta la vita marchiata a fuoco sul volto la loro sconfitta, sono i più fortunati. Sono scampati alle stragi dimenticate del Sahara, ai naufragi e ai massacri silenziosi delle polizie di confine. Si calcola, basandosi solamente su fonti governative che, dal 1988 ad oggi, 13.771 persone siano “morte di frontiera”. Migliaia di uomini, donne e bambini che sono stati schiacciati dal loro stesso sogno, dalla loro volontà di rivalsa; annientati semplicemente per aver desiderato condurre una vita

degna di questo nome, aspirazione decisamente troppo grande per i regnanti della Fortezza Europa.

Eh già, perché quella che in tutta l'Africa è vagheggiata come una terra incantata di promesse e opportunità, una specie di nuova America del XXI secolo, è in realtà una vera e propria fortezza, circondata da un'inespugnabile barriera di acqua.Il Mediterraneo ha ormai perso la sua antica valenza di mare nostrum, di punto di scambio e di unione tra le civiltà, per diventare null'altro che una muraglia invisibile innalzata a proteggere la ricchezza e la purezza del “vecchio continente” dalla disperazione, dal disordine eppure dalla calda vivacità dell'Africa.

Tra il 2002 e il 2009 il governo italiano ha fornito alla Libia del colonnello Gheddafi, a scopo di deterrente contro i flussi migratori: jeep4x4, camion, gommoni, 6 unità navali della Guardia di Finanza e soldi in quantità di circa 5 miliardi di dollari. Ha inoltre finanziato la costruzione di tre centri di reclusione in territorio libico(Kufrah, Sabha, Gharyan) i quali, nonostante le continue violazioni dei diritti umani, sono stati dichiarati dall'Ue "accettabili alla luce del contesto generale".

Coloro i quali giungono a destinazione sono dunque un ristretto gruppo di persone frutto della selezione innaturale compiuta dalle politiche europee. Allora possiamo facilmente dire, come da anni sostiene il giornalista Stefano Liberti, che è l'Europa a decidere chi vive e chi muore in Africa.

Fortezza EuropaAndreas Iaccarella

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Maggio/Giugno 2009www.ondanomalapilo.com ndanomal

"Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae,

nuntia vetustatis." (La storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra di vita, messaggera dell'antichità) sosteneva Cicerone nel de Oratore. La storia è l'unica via per imparare a conoscere e a comprendere fino in fondo il nostro passato, la vita quotidiana, e il nostro avvenire. La vita dell'uomo è un ripetersi di comportamenti e atteggiamenti che in forme e in vie differenti si manifestano con guerre, tradimenti, vittorie, alleanze, tragedie e trionfi. Questo è l'insegnamento che William Hundert (l'ottimo Kevin Kline), stimato docente di Civiltà Classica del prestigioso St. Benedict College, cerca di imprimere, oltre alle nozioni di storia greco-romana, nelle menti dei suoi giovani studenti, figli di esponenti della classe dirigente statunitense.

Un professore dovrebbe essere capace di trasmettere ai suoi allievi non solo le conoscenze e la passione per la materia, ma dovrebbe anche essere in grado di impartire la disciplina e insegnare loro a vivere e a inserirsi nella società. William Hundert adempie al suo compito delicato con estrema cura e impegno, lavorando con una classe attenta e intraprendente. Questo equilibrio viene, però, scalfito dall'arrivo del turbolento Sedgewick Bell (Emile Hirsch), figlio di un eminente senatore. La spavalderia e l'arroganza ostentata dal giovane non intimoriscono il prof. Hundert, il quale, al contrario, cerca di stimolarlo allo studio e al rispetto, risultato ottenuto solo dopo aver conferito col padre, tanto assente quanto severo e autoritario, dal quale Sedgewick

erediterà l'ambizione, il carattere sprezzante e la professione.

Durante la prova finale del tradizionale torneo del college per l'attribuzione del titolo di "Giulio Cesare", al quale Bell era stato ammesso irregolarmente, la fiducia che Hundert aveva riposto nel ragazzo crolla del tutto. Avendolo sorpreso a barare, Hundert finisce per agevolare l'alunno più meritevole e, profondamente deluso, si rende conto di aver inseguito una pallida illusione, a causa della sua ingenua - e quasi presuntuosa - pretesa di poter plasmare l'animo di Sedgewick. E commette lo stesso errore 25 anni dopo, allorché, essendo stato invitato

insieme agli alunni del proprio corso di studi,

da un Bell ormai quarantenne, e credendo che questi sia ormai divenuto un uomo moderato e giusto, accetta di giocare nuovamente il ruolo dell'arbitro in un remake della gara d'erudizione in storia classica, e lo scopre per l'ennesima volta a imbrogliare per aggiudicarsi la vittoria. La delusione, l'insoddisfazione e l'impotenza di Hundert sono prova del suo fallimento professionale, fallimento che, solo

in conclusione, al protagonista appare chiaro essere un caso isolato, avendo ricevuto prove tangibili di saggezza e riconoscenza da parte dei suoi ex-studenti.

Come lo spettatore può facilmente prevedere, la vicenda si chiude con un monito severo e perentorio, che ricorda

l'ammonimento di Frate Cristoforo a Don Rodrigo ("Verrà un giorno..."): "Tutti quanti prima o poi siamo costretti a guardare noi stessi allo specchio e a vedere chi siamo davvero. E quando verrà il suo giorno, Sedgewick, lei avrà di fronte a sé un'intera esistenza vissuta senza virtù e senza principi. E per questo ho pietà di lei. Fine della lezione". Bell continuerà a essere un uomo dalle molteplici facce, senza principi morali, né virtù, quale era suo padre, ma ciò che più getterà Hundert nello sconforto è la candidatura del meschino uomo d'affari alle elezioni politiche.

Il regista Michael Hoffman denuncia con pessimismo e rassegnazione la povertà d'animo e l'ipocrisia della politica americana, (e perché non della politica in generale?), che è sempre stata strumento di potere per uomini simili a Bell - come la storia insegna - che come unico obiettivo hanno il raggiungimento del potere, il prevalere su tutti e su tutto. Il messaggio più evidente di questa commedia amara può essere brevemente riassunto nella celebre frase di Eraclito, che più volte viene sottolineata ed esplicitata nel film: "il carattere di un uomo è il suo destino".

Tuttavia, ciò che più mi ha divertito di questo film, talvolta fin troppo prevedibile e scontato, è il metodo d'insegnamento adottato dal professore, l'idea di far indossare le "vesti virili" ai propri allievi e l'aria di competizione che aleggia attorno allo studio e all'apprendimento della storia romana, che ho imparato ad amare e ad apprezzare. Sarebbe didatticamente stimolante poter partecipare a

FILMIl club degli imperatori

Cecilia Lugi

Tinte fosche ingrigiscono la Stoccolma inizio-anni-ottanta nell'esordiente lavoro

cinematografico, "Låt den rätte komma in", uscito in Italia come "Lasciami entrare", del regista Tomas Alfredson.

La tacita condizione che sottomette il dodicenne Oskar ai colpi sferzati da coetanei bulli sembra essere incrinata dall'arrivo in città della giovane Eli. L'incontro dei due determina la nascita di un'amicizia, per mezzo della quale le inquadrature paiono voler affrontare temi cruciali.

Il silenzio delle distese nevose vede muoversi un coro di personaggi afflitti dalla loro solitudine, che rimangono incapaci di ribellarsi al torpore che flagella il luogo. Prima conformato all'immobilismo, il volto assorto del protagonista, offuscato in apertura scenica da un placido candore glaciale, sembra poi aggredire la staticità silente, rischiarato gradualmente, con l'intrusione di Eli, dal plasmarsi di una nuova consapevolezza acquisita secondo un fluido sviluppo narrativo. Alle angosce che dilaniano l'uomo il regista propone la terapia dell'amicizia, una passione incontrollata che scioglie nel suo fervore divampante le rigide strutture cristalline degli edifici cittadini. Le lingue di fuoco dei due ragazzi scintillano fino a fondere l'ambiente circostante, celebrando l'universalità dell'amore, svincolato, nelle sue molteplici implicazioni, da precetti di natura morale.

La pellicola solleva più spunti critici, che rivelano uno stile ancora immaturo: il tentativo di creare un parallelismo tra la ricostruzione della dinamica del sentimentalismo e le reazioni inaspettate a causa dello spessore emotivo dell'agente, un dodicenne frustrato (da dire che quest'accusa è più imputabile al romanzo omonimo di John Ajvide Lindqvist da cui cui è tratto il lungometraggio) risulta nella forma adottata inefficace. Tonalità acerbe anche nell' irrilevanza assegnata alla musica, che si riduce a commentare la scena, introducendo un parametro soggettivo estraneo all'impersonalità della muta voce narrante.

Nonostante questo, l'opera persegue l'obiettivo cui mirava: denunciando la realtà esistente, si autopone come certezza che si appella ad una sospensione scettica del giudizio mettendo in dubbio l' effettivo riconoscimento sociale dei diversi rapporti umani.

Lasciami entrareFederico Borrelli

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Anno II - Numero [email protected]

Sara Manini

Avrei potuto recensire qualcosa di allegro, giusto per “allegreggiare” con l’arrivo

dell’estate. Avrei potuto recensire l’ultimo disco dei Velvet (???). Ma…no: la tentazione di lasciare un’ ultima recensione “mariottidiana” sull’ultimo numero dell’ultimo giornalino liceale della mia vita è stata troppo forte, perché è sempre meglio male.

Gravenhurst è il progetto solista di tale Nick Talbot da Bristol, giovane cantautore turbato&malinconico che, stando a quanto traspare dai testi di quest’album, è un po’ fissato con i fiumi e i canali di scolo. Il Talbot sa di Radiohead, ma è molto più astenico; sa di Simon&Garfunkel, ma è più mesto assai. La sua timbrica pavida e sottile regge il gioco ad un onnipresente reverb confuso, stile “nebbia-di-Fiumicino-alle-quattro-di-mattina”, talvolta sfregiato da attacchi distorti che scongiurano ogni possibile istinto narcolettico nell’ascoltatore. E in questo è evidente il disagio psichico del giovane Nick, combattuto fra armonia e rumore.

Quest’album di degno alternative rock vagamente inquietante racchiude diverse perle di genio musicale malato, prima fra tutte “Songs from under the Arches”, una straziante ballata di indescrivibile perfezione; notevoli anche il singolo “The Velvet Cell” e il brano conclusivo “See My Friends”, azzeccata cover dei Kinks, riletta in chiave doorsiana. Ma è necessario ascoltare ogni traccia per comprendere il senso che permea questo lavoro: l’abbandono, l’invidia, le oscure pulsioni di un uomo quasi astratto, che quasi si guarda dall’alto in una condizione di corrotta salvezza, senza altra via d’uscita dal Nulla che tentare il peggio.

E se il simpatico Nick non fosse stato così perso e abbattuto senza motivo, ma felice e contento, non esisterebbe l’insostituibile Fires in Distant Buildings. Perché stare bene sarà pure piacevole, ma stare male è senza dubbio più interessante.

Fires in Distant Buildings

Immaginate la musica più bella mai eseguita su un palco, in un teatro, davanti

quarantamila persone, con tutta la scenografia, mantelli luccicanti, e poi urla, emozioni, tutto. Live.

Yessongs è stato il primo album ufficiale, interamente dal vivo, triplo- ovvero con tre dischi di vinile dentro- ad arrivare primo in classifica. Prima di Yessongs già Close to the edge, immediatamente precedente, era stato campione di vendite. Così nel ’72, insieme a

tutta la troupe, gli Yes partono per una grandiosa tournée attraverso l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone. All’epoca vengono accompagnati da circa quaranta tecnici, con i rispettivi manager. Tecnici che si occupano delle luci, della strumentazione, del palco e della scenografia sotto la direzione artistica di Roger Dean, che per cinque anni ha disegnato le stupende copertine degli album.

Un progetto del genere era sostenuto dall’Atlantic Records di cui in quel periodo gli Yes, insieme ai Led-Zeppelin, erano il gruppo di punta. Il risultato dell'esperimento uscì nel’73, passando alla storia come uno dei cardini fondamentali del rock progressive, come lo possono essere Trilogy degli Emerson o Valentie Suite di Colosseum. Ma anche così è dir poco. Gli Yes avevano un feeling ed un'omogeneità straordinaria sul palco. Così risuonando i loro dischi precedenti, questa volta dal vivo, li caricano di un'energia nuova e di un significato diverso. Tutto il concetto musicale di Yessongs rimane puro e autentico e, nonostante racchiuda in sé i brani di quattro dischi diversi e quindi due anni di lavoro, ascoltando il disco si nota una sorta di filo conduttore tra un lato e l’altro, quasi come si trattasse di un concept-album. Ad ogni modo non sarebbe la prima volta che un disco dal vivo ripropone con maggiore efficacia la musica del disco in studio. E bisogna ricordare che si tratta comunque di interpreti straordinari, provenienti da una preparazione classica- in modo particolare Rick Wakeman-

passando poi per il rock ‘n’ roll fino al progressive, seguendo l’ondata della fine degli anni sessanta, e imbottendosi le orecchie senz’altro della musica nera americana, quindi blues e jazz.

Questo avevano in più gli Yes rispetto agli altri: vantavano una cultura musicale e un talento unici, arrivando così ad elaborare una raffinata sintesi di generi e stili diversi. Il massimo lo raggiungeranno poi con lo spirituale Tales from topographic ocean, 1974, concepito- come racconta Jon Anderson- proprio mentre erano in tournée tra il ’72 e il ’73. In quest’album gli orizzonti si allargano in modo spaventoso, ma è sicuramente legato a Yessongs, quasi ne fosse il seguito.

Yessongs (1973)I dischi che hanno fatto la storia della musica

Luca Davoli

MUSICA

The GeniusClaudia Severa

Io non mi lamento [di essere nato cieco]... poteva andarmi peggio:

pensa se fossi nato negro!

Nell’America segregazionista degli anni ’30, non è certo d’aiuto nascere nero e per di più povero.

Tanto meno diventare cieco appena bambino e in seguito trovarsi senza più genitori. Anzi, questa situazione sarebbe stata senza alcun dubbio presagio di un’esistenza destinata al fallimento…Ma questo non fu certo il caso di Ray Robinson Charles (1930-2004), che oggi, come ben noto, non solo è considerato un vero e proprio pilastro della musica contemporanea, ma è ricordato sicuramente per la sua intensa e coraggiosa voglia di vivere, sempre alimentata da quello che fu il suo enorme amore per la musica e il suo talento unico. Questi elementi furono sempre le colonne portanti della sua realtà, per mezzo delle quali, non in pochi casi, trovò la forza di superare gravi disagi –quali la cecità e, in età adulta, la dipendenza dall’eroina.

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Maggio/Giugno 2009www.ondanomalapilo.com ndanomal

La citta delle bestie e’ un romanzo di Isabel Allende, scritto per gli adolescenti, ma

adatto anche ad un pubblico adulto. Narra la storia di Alex, un normalissimo ragazzo americano, amante della lettura, della musica e dell’avventura. All’improvviso la madre si ammala gravemente ed il giovane viene affidato alla nonna Kate, un’intrepida giornalista membro dell’International Geographic. Kate e’ in viaggio per l’Amazzonia, alla ricerca di una bestia leggendaria, in grado di paralizzare con il suo odore chi la incontra e decide di portare con se anche suo nipote.

Fanno parte della spedizione personaggi particolari e fuori dal comune: il severo professore Leblanc, il riservato fotografo inglese Timothy Bruce e il suo assistente messicano Gonzàlez, la bellissima dottoressa Torres e César, la guida brasiliana con sua figlia Nadia di 13 anni. Quest’ultima, durante il viaggio stringe amicizia con Alex e i due diventano presto amici inseparabili. Vivranno insieme le emozioni di questo viaggio incredibile, immersi nella natura e verranno a contatto con animali selvatici, spiriti magici e sciamani dagli straordinari poteri. Scopriranno anche che alcuni membri della spedizione vogliono sterminare gli Indios e solo alla fine riusciranno a scoprire il segreto della Bestia e a s alvare gli indigeni.

Un ritmo incalzante, descrizioni

dettagliate e tanta capacita di trasmettere

emozioni sono le caratteristiche principali che

rendono questo romanzo straordinariamente

avvincen te, mai noioso e assolutamente da leggere.

Armando Pitocco

“Immagina dei teneri gattini, e mettili dentro una scatola. Ora sigillala bene, e

con tutto il tuo peso saltaci sopra con forza, sino a quando non senti scricchiolare gli ossicini, e l'ultimo miagolio soffocato. Immagina ora lo sdegno che susciterebbe una scena simile nell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste” Così parla il dr Jamal

dell'ospedale di Al Shifa, di fronte a sé ha delle scatole. “Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola dell'ONU e l'ha schiacciata con il peso delle proprie bombe. La reazione del mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, non palestinesi”. Il chirurgo ora apre la scatola: arti mutilati, braccia e gambe dei feriti provenienti dalla scuola ONU di Al Fakhura a Jabalia.

“Gaza: Restiamo Umani” è la testimonianza terribile e vera di quella che è stata l'ennesima strage, l'ennesimo insulto alla nostra umanità, che quest'inverno s'è compiuto in Palestina. L'autore è Vittorio Arrigoni, volontario dell'International Solidarity Movement (ISM), che ogni giorno lotta a Gaza con le armi della nonviolenza: si offre come scudo umano contro gli attacchi israeliani, nelle autoambulanze durante i bombardamenti, nei campi per difendere gli agricoltori dai cecchini di Tsahal (l'esercito di “difesa” israeliano).

Arrigoni è stato probabilmente l'unico giornalista italiano che ha raccontato dall'interno l'assedio di Gaza, pubblicando sul suo blog (guerrillaradio.iobloggo.com) la cronaca della strage. Quegli stessi articoli ora sono raccolti tutti insieme in questo libro eccezionale, da comprare e diffondere.

Leggetelo e apprenderete finalmente come stanno le cose in Palestina. Proverete finalmente orrore della guerra e la ripudierete in ogni sua forma. Capirete che l'unico modo per eliminarla e costruire la pace è una reazione nonviolenta di massa, di indignazione globale, boicottando e isolando i criminali, e tutti coloro che li appoggiano, li giustificano, o semplicemente tacciono.

Dopo averlo letto non saremo più capaci di rimanere complici silenziosi. E non ci basterà pretendere la pace e la giustizia per la Palestina, ma la vorremo anche per lo Sri Lanka, l'Afghanistan, il Pakistan, l'Iraq, la Somalia, e per qualsiasi altro paese nel mondo.

GAZA: Restiamo umaniVittorio Arrigoni, 7 €, ManifestolibriLIBRI

“Io sono nato con la musica dentro di me. È l'unica spiegazione che conosco per quello che hoIl tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine. realizzato nella vita.” , diceva Ray. E questo si può udire chiaramente in ogni suo singolo componimento.

Il suo stile è assolutamente inconfondibile sin dagli esordi: con l’apertura quasi frenetica del piano di “Mess Around”, per esempio, diventa pressoché impossibile ascoltare passivamente e non lasciarsi trasportare da quel ritmo che strega; lo stesso vale per la musicalità così leggera e accattivante di “I’ve Got A Woman”, un movimentato R&B che Ray Charles compose da un inno gospel ascoltato per caso in radio. Se questi erano gli anni ’50, con le memorabili “This Little Girl Of Mine” o “Hallelujah I Love Her So”, gli anni ’60 furono caratterizzati da un fascino diverso, più malinconico e dolce, perfettamente rappresentato dalla sua celebre ed incantevole versione di “Georgia On My Mind”. E cosa dire delle sensazioni che riesce a trasmettere la sua voce accompagnata da quel piano fluido e dai caratteristici cori soul di “I Can’t Stop Loving You”? Un sogno –non a caso è stata valutata come una delle 500 canzoni migliori della storia della musica della famosa rivista americana “Rolling Stone”-.

Possiamo dire che, in gran parte, la genialità di Ray fu nella sua “elasticità mentale”, che lo portò a non limitarsi a seguire un'unica influenza o genere, per essere così “etichettato” con essa, ma a sperimentare, creare, mescolando tra loro stili diversi, come il blues, il gospel, il jazz, il soul... Per questo molto spesso venne criticato soprattutto dai religiosi, che ritenevano blasfemo il suo “sfruttamento”-se vogliamo definirlo in questo modo- della musica gospel. “Gioco nell’unico modo in cui Ray Charles sa giocare”, era la sua risposta.

In conclusione, The Genius non solo fu un uomo estremamente forte e passionale, con un desiderio ardente di realizzarsi affrontando difficoltà anche piuttosto consistenti sempre con quel suo caratteristico filo di ironia , ma a questo aggiunse talento puro: non ebbe mai timore di sondare nuovi territori musicali, non si ritirò mai dal voler stupire i suoi ascoltatori, fu un “pioniere”, come è spesso stato detto. E, a mio parere, questo fece di lui un artista nel vero senso della parola.

La città delle bestieValeria Tiburzi

Mia è la vendettaGiorgia Fanari

Se è vero che scrivere rende eterni, Edward Bunker ne è un esempio. Nonostante Bunker sia venuto a mancare 4 anni fa, il suo ultimo manoscritto, dal titolo “Mia è la vendetta” è stato

pubblicato in anteprima mondiale proprio in Italia, come un addio dello scrittore ai suoi lettori che hanno imparato a conoscerlo e ad amarlo grazie all’impegno e alla passione della sua traduttrice italiana, la professoressa Emanuela Turchetti, insegnante di inglese nel nostro liceo.

Ambientato nei carceri statunitensi, il libro si articola in 5 storie in cui Bunker, autore anche della autobiografia “Educazione di una canaglia”, riporta le molte esperienze avute nel corso della sua vita, descrivendo con minuzia di particolari agghiaccianti luoghi e persone che popolano l’ambiente carcerario, dai secondini ai “morti che camminano”. Il razzismo , lo scontro fisico tra bianchi e neri in America è già vivo nel 1927, anno in cui si ambienta il primo racconto ed è uno dei fili conduttori dell’opera, che l’occhio per niente moralista di Bunker inquadra dando dell’America una sua personale lettura. I colpi di scena non mancano, il libro si legge tutto d’un fiato, soprattutto grazie alla caratterizzazione dei personaggi che, seppur delinquenti, riescono a coinvolgere il lettore fino al punto di farlo sperare in una loro evasione o in una loro miracolosa assoluzione ai processi.

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Anno II - Numero [email protected]

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Maggio/Giugno 2009www.ondanomalapilo.com ndanomal

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Salviamo le capre dell’ Eritrea! ***

W la “Posa Poseidonica”! Angelo non ci fare brutti scherzi! Ti vogliamo bene

***By Roscia Focosa e Dolce Morte -

***Elisabetta, Chiara e Giorgia, il

prossimo anno il giornalino non sarà più lo stesso senza di voi! By lettori

appassionati ***

-Ginnasio, ci mancherai da morire! Cex & Flo

***Cex: ”Ago! Ripeti dopo di me…Sexy

Sadie, what have you done?...***

Ago: “…you made a fool of everyone!”***

Baci! Flops & Cex P.S.: Ago, sei una mamma/nonna!

***Per il proprietario della vespetta verde

parcheggiata sotto scuola: Chi sei?! Due fan ginnasiali del tuo locomotore!

***All'imperatore che regna sovrano in 5 b: datti una calmata e poni un limite al

tuo estro. Sai che fine fece Caligola?***

“A chi`, mo o’dai un goccio d’Ace? Carcola te sto a vole` troppo

bene!”Ahahah! Solo al mare co voi potevamo becca` certa gente!XD Vi

voglio bene, quella dell’Ace! ***

E` nato il fan-club di Marco Valerio e GiulioCesare!

***Spatocco tranquillo, le dimensioni

non contano! Sei cmq il piu` figo! G. ***

Che ce frega del Ricciardi noi c’avemo Pisty Gol Pisty Gol, Pisty Goool!

***Al nano del IB con il piercing sulla

lingua: se e` vera la legge della “L” sei il migliore della scuola! Ti aspetto

ogni giorno alla macchinetta, voglio il tuo numero! Puffetta ‘93

***L’Angelo e il Demone marchiano a fuoco Kake! Angelo, ti adoro trpp

***La sfida del mese:far dire a Giovanni "Sassari, Sassuolo e sul Gran Sasso"

***Certa gente... Coerenza ZERO! Tanti bei discorsi e poi... vero Giovanni?

***Oh , yes... we love orsetto gommoso e

rimmel! ***

Violè... 'sti giorni troppi capricci, vero?! = D

***Il prossimo anno ci mancheranno il

prof. Ricciardi ed il suo malefico dado a 30 facce!

***Demone (o Polipo..XD) ti

adorooooooooooo! Dal tuo Angelo…A Dario IB: occhi aperti a scuola…P.S

Posticino sul motorino e non solo….By Anonima

***"Avete il morbooo! Untori!!!"

***A Nico del IB sei proprio un cucciolo!!

***A Tito del IIA: “Hai delle mutandine celestine fantastiche proprio…..!!”

***Per l'ultima edizione di ondanomala della nostra vita da liceali(si spera) la

mia prima e ultima dedica! Love of my life you hurted me...ma comunque

non posso fare a meno di amarti...-El-***

A Dario del IC: perché non mi rispondi? Sai che sei veramente

carino!!!!

La Posta

TeatroNel cortile della Sede Succursale, Sabato 6 Giugno (ore 21.00), si svolgerà lo spettacolo di teatro.

L'opera rappresentata sarà la tragedia degli Atridi raccontata da vari autori, partecipate numerosi!

Ringraziamo i collaboratori di questo numero:

Federico Borrelli, Andreas Iaccarella, Cecilia Lugi, Sara

Manini, prof.ssa Agnese Pica, Chia-ra Ridolfi, Irene Rossi, Claudia

Severa, prof. Giuseppe Valente, Arianna Ventrelli

DIRETTORE:Elisabetta Raggio

REDATTORI:Chiara Borrelli

Luca DavoliGiorgia Fanari

Armando PitoccoLorenzo RaffioValeria Tiburzi

IMPAGINAZIONE:Lorenzo Raffio

AcrosticiRigorosoInquisitoreCelebraConversioneInnominatoAdoraRotolareDadoInterrogando

FilosofeggiaOstentandoGenialitàLeonardescheIntricandoEquazioniTeoremiTriangoliAlgoritmi

SublimaCattedraliObelischiTempliOnoraGiottoNeoclassiciEvocaLeggendeLocalitàArcheologiche

Cecilia Lugi