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20 Nel centenario della nascita del dirigente Ricordo di Totò Di Benedetto dall’antifascismo all’impegno come sindaco di Raffadali Dopo il carcere e una lunga detenzione nel confino po- litico di Ventotene seppe costruire in Milano, negli an- ni 1937 – 1943, un centro cospirativo che incise profon- damente sui processi formativi di quell’antifascismo che fu poi sigla e comune denominatore della Resistenza. Nel centenario della sua nascita questa presenza di Totò Di Benedetto in Milano, in anni cruciali, merita di es- sere ricordata. Di Benedetto, dopo il confino di polizia sofferto in Ventotene, si trasferì in Milano in clandestinità e sep- pe, in una città di tradizioni sociali operaie, costruire un centro cospirativo molto forte, aggregando le tradi- zioni operaie con le avanguardie culturali presenti allora nella città. Milano, in quel periodo, era del tutto priva di una gui- da dirigente del Partito Comunista Italiano che, nel nord d’Italia, arrivò soltanto dopo il 1942 con Umberto Massola. Negli anni 1934 - 1936 il Partito Comunista fu in Milano rappresentato da dirigenti di alto valore, come Giovanni Nicola e Francesco Scotti, i quali, condannati a molti an- ni di carcere dal Tribunale speciale nel 1938, nel gran- de processo che colpì il gruppo dirigente del Partito, ri- tornati in libertà nel 1934 a seguito di una amnistia, res- sero in Milano le sorti del partito clandestino sino al 1936, quando furono costretti ad allontanarsi dalla città per sottrarsi ad un imminente nuovo arresto. Il 18 novembre del 1911 nasceva in Raffadali, in Sicilia, Salvatore Di Benedetto, Totò per tutti. Un militante comunista che entrò nel Partito clandestino in Sicilia nel 1932. Il folto gruppo di antifascisti al confino a Ventotene negli anni in cui sull’isola era detenuto Di Benedetto. Qui sotto Totò con Gianfranco Maris a Milano nel 1940, il periodo della clandestinità.

Nel centenario della nascita del dirigente Ricordo di Totò ...Ar i c o r d a re Di Benedetto al teatro Pirandello di Agrigento il pubblico delle grandi occasioni. Oltre a D’Alema,

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Nel centenario della nascita del dirigente

Ricordo di Totò Di Benedettodall’antifascismo all’impegnocome sindaco di Raff a d a l i

Dopo il carcere e una lunga detenzione nel confino po-litico di Ventotene seppe costruire in Milano, negli an-ni 1937 – 1943, un centro cospirativo che incise profon-damente sui processi formativi di quell’antifascismoche fu poi sigla e comune denominatore della Resistenza.Nel centenario della sua nascita questa presenza di To t òDi Benedetto in Milano, in anni cruciali, merita di es-sere ricordata. Di Benedetto, dopo il confino di polizia sofferto inVentotene, si trasferì in Milano in clandestinità e sep-pe, in una città di tradizioni sociali operaie, costruireun centro cospirativo molto forte, aggregando le tradi-zioni operaie con le avanguardie culturali presenti alloranella città.Milano, in quel periodo, era del tutto priva di una gui-da dirigente del Partito Comunista Italiano che, nel nordd’Italia, arrivò soltanto dopo il 1942 con UmbertoM a s s o l a .Negli anni 1934 - 1936 il Partito Comunista fu in Milanorappresentato da dirigenti di alto valore, come GiovanniNicola e Francesco Scotti, i quali, condannati a molti an-ni di carcere dal Tribunale speciale nel 1938, nel gran-de processo che colpì il gruppo dirigente del Partito, ri-tornati in libertà nel 1934 a seguito di una amnistia, res-sero in Milano le sorti del partito clandestino sino al1936, quando furono costretti ad allontanarsi dalla cittàper sottrarsi ad un imminente nuovo arresto.

Il 18 novembredel 1911 nascevain Raffadali, inSicilia, SalvatoreDi Benedetto,Totò per tutti. Un militantecomunista cheentrò nel Partitoclandestino inSicilia nel 1932.

Il folto gruppo di antifascisti al confino a Ventotene negli anniin cui sull’isola era detenuto Di Benedetto. Qui sotto Totò conGianfranco Maris a Milano nel 1940, il periodo dellac l a n d e s t i n i t à .

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e del PCI

Nel gruppo culturale del centro cospirativo di SalvatoreDi Benedetto confluirono in Milano Ernesto Tr e c c a n i ,Elio Vittorini, Giovanni Ferro, l’Ingegner Cuff a r o ,Alfonso Montuoro, Albe e Lica Steiner, Corrado DeVita, Raffaelino De Grada, Piero Montagnani, molti pit-tori, come Guttuso e Birolli, critici d’arte come Raff a e l eGiolli, che furono poi tutti presenti nella Resistenza ealcuni dei quali caddero nelle mani della Gestapo e fu-rono deportati nel campo di Mauthausen nel quale la-sciarono la loro vita.Dopo l’8 settembre del 1943, lo stesso Salvatore DiBenedetto fu in Milano, sino al gennaio del 1944, ispet-tore delle Brigate Garibaldi, prima di essere trasferitoa Roma dove il suo volto fu straziato nel corso di un’o-perazione partigiana nel comune di Tivoli, negli ultimigiorni prima dell’abbandono della città di Roma da par-te dei nazisti.Salvatore Di Benedetto partecipò poi attivamente allavita politica del nostro Paese, come dirigente del PartitoComunista e del movimento per la pace, come parla-mentare e come Sindaco di Raffadali, sino alla sua mor-te nel maggio del 2006.Nei momenti difficili della storia del nostro Paese sonoquesti gli uomini che è colpa non ricordare, comeTriangolo Rosso intende fare, nel centenario della loronascita.

A r i c o r d a re Di Benedetto al teatro Pirandello di Agrigento ilpubblico delle grandi occasioni. Oltre a D’Alema, pre s e n t iA l e s s a n d ro Di Benedetto, il figlio di Totò, Gianfranco Marisnella foto qui sotto durante il suo ricordo. Marisa Ombra,Anna Steiner, Maurizio Masone, Angelo Lauricella, MariellaLo Bello. A sinistra il manifesto della manifestazione.

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Il primo grande storico della deportazione Italo Ti b a l d iad un anno dalla suas c o m p a r s a

di Pietro RamellaSi è tenuto a Torino un convegno per r i c o r d a re ItaloTibaldi a un anno dalla morte, organizzato dalConsiglio regionale del Piemonte e dal ComitatoResistenza e Costituzione con la collaborazionedell’Istituto piemontese per la storia della Resistenza edella società contemporanea “Giorgio Agosti” di To r i n o( I s t o re t o ) .

Renato Placido, vicepresidente del Consiglio regionale ep residente del Comitato, ha affermato che l’aver v o l u t or i c o r d a re la figura di Italo Tibaldi, partigiano e depor-tato, è la dimostrazione come tutto il Consiglio senzadistinzione di parte condivida i valori del Comitatostesso, per la cui nascita Tibaldi, all’epoca dipendentedel Consiglio regionale, si batté con passione.

Antonio Nicolino, sindaco di Vico Canavese, paese doveTibaldi trascorse gran parte della sua vita, lo ha ricor-dato come amministratore eletto malgrado la diff i d e n z apaesana perché era “uno che veniva da Torino”. Fuprima amministratore, poi sindaco e in ultimo pre s i-dente della Comunità montana. Era un uomo sempliceche sapeva parlare a tutti. Claudio Della Valle, pre s i-dente dell’Istoreto, ha ricordato come Italo Tibaldi fuun depositario della memoria.

Partigiano giovanissimo, deportato, rientrato in Italiaterminò gli studi poi iniziò la sua ricerca sullaDeportazione. Non voleva che la memoria di quanto

era successo fosse dimenticata, forse presagì che in futuroil ricordo si sarebbe attenuato. Sfruttando le sue capacità direlazioni umane iniziò a raccogliere e catalogare le me-morie dei “compagni di viaggio”, a trarre notizie da saggi,libri e pubblicazioni e con metodo artigianale a sottoli-neare, annotare e creare come si direbbe oggi un “data ba-se”. Fece la Storia, voleva che l’esperienza del male cheaveva vissuto, moltiplicata per le migliaia di deportati, fos-se ricordata. Il suo impegno si è moltiplicato nel corso de-gli anni quando comprese che le nuove generazioni nonvenivano formate per conoscere il passato immediato.Infatti, considerando come la storia della persecuzioneebraica, tragica nei suoi numeri, si sia ampliata, quella po-

litico-antifascista lo è stato molto meno. Esiste come unadicotomia tra le due memorie, mentre occorre conoscere ilMale nella sua complessità. Il tenere viva la memoria delpassato nelle sue tragedie è tenere viva la memoria di ItaloTibaldi e dei suoi, già nominati, “compagni di viaggio.

Ferruccio Maruffi, ex-deportato, presidente Aned diTorino, ha ricordato l’amico Italo come rappresen-tante nel Comitato Internazionale del campo di

Mauthausen. Egli ha l’abitudine di scrivere ai compagniche via via muoiono una lettera di commiato e ne ha scrit-ta una anche a Ti b a l d i .

Lucio Monaco, ricercatore Istoreto confessa di averlavorato molto con le scuole grazie alle ricerche diTibaldi. Era una persona oltremodo precisa, ricorda

come durante un’intervista nel parlare della sua esperien-za partigiana volle che le sue parole fossero supportate dadocumenti e interrompendo il colloquio si alzò e prese dauna cartella il suo certificato di partigiano. Raccolse mol-ta documentazione, ma si mosse tra due tonalità, una sog-gettiva, le testimonianze personali dei deportati, possibilid’errori, e una oggettiva data dai documenti da cui le pri-me dovevano trovare conferma. Tibaldi partito dalla rico-struzione del suo trasporto decide di ampliare la ricerca,scrive a tutti i sopravvissuti e riceve migliaia di risposte,da quel momento cataloga tutto: nome e cognome, luogoe data di nascita, motivo della deportazione (partigiano, la-

Nella bella foto diSimone Grosso eccoTibaldi in una visita ad un campo diconcentramento. Nella pagina accanto il presidente Napolitanoin occasione dellacelebrazione del"Giorno dellaMemoria" nel gennaio2009 saluta Italo Ti b a l d ie Gianfranco Maris,ricevuti al Quirinale perp re s e n t a re “Il libro dei deport a t i ” .

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e ricordato in un convegno a To r i n ovoratore per sciopero, ebreo), luogo e data di partenza deltrasporto, numero di matricola, campi e sottocampi, nomi-nativi di altri compagni. Integra il suo lavoro leggendo i li-bri sulla deportazione che via via escono, una fonte di no-tizie è la Gazzetta Ufficiale da quando questa inizia a pub-blicare gli elenchi dei vitalizi, tutte le sezioni dell’Anedcontribuiscono, nota negativa le Ferrovie dello Stato chenegano ogni possibilità di accedere ai loro archivi. Le suericerche trovarono espressione nel libro “Compagni di viag -gio” definito “un intrigo di dolore e di passione”. Ricorda il prestigio internazionale che Tibaldi godeva al-l’estero dove la sua ricerca era conosciuta. Degno di rilie-vo infine il suo intervento al Convegno Internazionale te-nutosi a Torino sul tema “Gli ultimi giorni dei lager” do-ve fu ricostituito il momento conclusivo e più drammaticodell’esperienza del Lager nazista, quando sotto la spinta de-gli eserciti alleati, i tedeschi disposero le atroci marce dievacuazione per impedire che i prigionieri potessero cade-re vivi nelle mani dei nemici e recare testimonianza dell’a-bominio compiuto contro di loro. Tibaldi fu uno dei relato-ri sulla base della sua esperienza vissuta nel sottocampo diE b e n s e e .Dopo la lettura della sceneggiatura creata da Carlo GreppiCompagni di viaggio”, R a c c o n t a re il viaggio verso il lagerhanno ricordato Titaldi un sacerdote e il prof. Daniele Jalla.

Nel pomeriggio il prof. Bruno Maida ha ricordato nel-la sua relazione che l’impegno di Tibaldi non siesaurisce nella ricerca intrapresa, ma è prodigo di

informazioni ai parenti dei deportati che si rivolgono a lui,è ormai divenuto un punto di riferimento sulla deportazio-ne. È stato un uomo battagliero che lotta affinché i compa-gni ottengano un vitalizio e per l’Aned affinché coordinan-do le sezioni locali questa diventi un presidio di Libertà edemocrazia. Per formare le nuove generazioni è stato de-terminante il grande lavoro di Italo Ti b a l d i .

Dario Venegoni ha introdotto il tema dell’archivio diTibaldi che egli conobbe quando accompagnò suamadre a Vico ed ebbe l’immagine di un uomo avvolto

dalle carte, una montagna di carte. Per rispondere alle domande traeva da contenitori diversi fo-glietti scritti di suo pugno dimostrando di lavorare esclusi-vamente sulla sua memoria e denunciando una certa preoc-cupazione, temeva che i compagni dell’Aned non capisse-ro cosa stava facendo. Mentre Venegoni raccoglieva materiale per il libro sui de-portati nel lager di Bolzano il suo contatto con Tibaldi divennequasi giornaliero. Sono interessanti le sue carte, ora custo-dite presso la Fondazione della Memoria della Deportazione,in particolare le risposte che Tibaldi ebbe dai sopravvissu-ti. Vi è sintetizzato tutto il dramma della deportazione. Lasua ricerca non si è limitata ai trasporti ma ha cercato di in-dagare anche sui trasferimenti sulle persone giunte ai cam-pi e non classificate, su quelli arrestati all’estero e sui mili-tari italiani internati a Buchenwald.

Il prof. Brunello Mantelli ha parlato del “L i b ro deiD e p o rt a t i” da lui curato con il prof. Nicola Tranfaglia acui hanno collaborato un centinaio di ricercatori. Due

ex deportati sono stati basilari nella riuscita dell’opera:

Bruno Vasari per lo stimolo profuso e Italo Tibaldi per ilmateriale raccolto che costituì la prima fonte su cui lavora-re. Ricorda la soddisfazione del vecchio ex deportato quandoil libro fu presentato al Presidente Napolitano: “non un li-bro ma un monumento alla memoria di tante vittime del na-zifascismo”. Il volume non gli fu dedicato perché era in vi-ta, lo sarà il quarto in corso di edizione unitamente al nomedi Bruno Vasari.

Gianfranco Maris, presidente dell’Aned nazionale, haringraziato il Consiglio Regionale del Piemonte e ilComitato Resistenza e Costituzione per l’org a n i z-

zazione del convegno. Ricordati i meriti di Tibaldi che è stato un elemento fonda-mentale nella politica dell’Associazione. Parla quindi del-lo sviluppo della stessa da singole unità locali che denun-

ciavano un limite reducistico che con l’unione a livello na-zionale diventano parte di un organismo a netta matrice an-tifascista. Dalla fondazione avvenuta a Verona l’Aned èsempre rimasta l’unica associazione unitaria, che portò avan-ti l’unità resistenziale antifascista. Questo merito va a un gruppo di dirigenti di cui Italo Ti b a l d ifu un monumento. Partigiano a sedici anni, arrestato vennemandato a Mauthausen nel gennaio 1944, vi rimase fino al-la liberazione per diciotto mesi, in un campo dove la mor-talità tocco il 55% degli internati. Rientrato in Italia, ripre-se gli studi e si diplomò geometra. Prima per curiosità personale: volle sapere il destino di quan-ti furono deportati con lui con il trasporto n. 18. Poi la ricercasi ampliò a tutti i trasporti, ottenne il sostegno dell’Aned, scris-se dappertutto, fu affiancato da una ricercatrice professio-nista pagata con continue borse di studio. Pignolo e preciso segnava tutte le spese che sosteneva, dap-prima restio ad usare l’elettronica, quando ne capì l’eff i-cienza richiese computer più veloci. Quando esce “Il librodei deport a t i” è amareggiato, anzitutto per il numero di de-portati individuati: 23.826 mentre lui ne aveva indicati44.488. Anche Maris si allea con Tibaldi e contesta al prof. Mantelliche nel libro da lui curato manchino i deportati di Bolzano,i fucilati di Fossoli, i prigionieri della Risiera di San Sabba,in quanto, considerando anche gli ebrei, i deportati sareb-bero 60.000 circa.

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La drammatica accusa della vedova Maddalena ai carnefici fascisti: “Nessuno

Pietro Pagliolico, nella vitaun semplice falegname, eral ’ u fficiale di collegamentofra Casale Monferrato da cuii partigiani partivano in tre-no o su automezzi di fortu-na e la Val d’Aosta, utiliz-zata come base per ulterio-ri arruolamenti e per l’i-struzione militare. Un uo-mo coraggioso, esperto, au-tore sin dalle immediate oresuccessive all’8 settembredi numerose azioni e per que-sto ricercatissimo dalla Rsi.

Le nostres t o r i e

di Franco Giannantoni

Poco prima di cadere sotto ilfuoco fascista nei pressi delcimitero di Cugliate Fa-biasco, lungo un muro di pie-tre vive, al grido di “Vi v al’Italia libera”, pronunciatocon voce alta e commossasecondo la testimonianza dellegionario Ferruccio Ve n-turelli, al maresciallo A n t o-nio Rizzardi che lo stavabendando, senza liberagli lemani dalle manette che ilmorituro gli aveva chiestodi fare, aveva rivolto parole

d’ammonimento e di impli-cita condanna: “Badate be-ne che avrete un rimorso dicoscienza per tutta la vita”,al che il sottufficiale dellaGnr aveva replicato con ci-nismo: “Io non ne voglio sa-pere niente!”.Ma in che modo, con chemezzi e per quale motivo ilcapo partigiano si era tra-sferito in Lombardia in luo-go di trovare più comodo ri-fugio nel Torinese, comeavevano fatto molti suoicompagni dopo la disfatta? Le carte del processo cele-brato davanti alla Corted’Assise, Sezione Speciale

di Varese, nel gennaio 1946,permettono, a oltre mezzosecolo dai fatti. di poter ri-costruire lo scenario di uncrimine perseguito con de-terminazione dalle autoritàdella Rsi per “dare una le-zione” ai “traditori dellaPatria”, violando in modoclamoroso il “bando Mus-solini” e per stroncare un fe-nomeno ribellistico che sta-va assumendo proporzionimolte vaste. Un contributo documenta-rio che permette di superareprecedenti letture riduttivedell’episodio con clamorosierrori storiografici.

Era già buio quel tardo pomeriggio dell’8m a rzo 1944 quando un plotone di militidella Guardia Nazionale Repubblicana agliordini del maresciallo Antonio Rizzardi, si

a p p restava a fucilare, a Cugliate Fabiasco, un paesinodi poche centinaia di anime del basso Luinese, PietroPagliolico, 34 anni, di Casale Monferrato, part i g i a n odella “Banda dei Casalesi”.

Ben organizzata, armata a sufficienza con ilmateriale abbandonato nelle caserme dopol’armistizio, finanziata tra gli altri dall’inge-g n e r Adriano Olivetti, attestata fra Graines-

A rcesaz e i villaggi di Fruny e Amay nel comune diBrusson in val d’Ayas, formata quasi per i n t e ro dau fficiali e soldati dell’ex Regio Esercito italiano, il 13d i c e m b re 1943 la formazione era stata rastrellata edispersa da re p a rti della Milizia Confinaria re p u b b l i-cana. Fra gli arrestati di A m a y, Primo Levi, LucianaNissim e Vanda Maestro che morirà ad A u s c h w i t z .

Li ammonì:“badate bene che ne avreterimorso di coscienza per tutta la vita”

P i e t ro Pagliolico,c o l l e g a t o re della"Banda deiCasalesi" fraC a s a l eMonferrato eA rc e s a z - B r u s s o nin Val d’Ay a s(Aosta). La formazionep a rt i g i a n a ,costituita in granp a rte da uff i c i a l ie soldati dell’exRegio Esercito, fusgominata il 13d i c e m b re 1943 daun rastre l l a m e n t odella MiliziaConfinaria. Nella stessaazione fucatturato Primo Levi. Nella pagina a lato:il cippo a CugliateFabiasco in suamemoria, senza un fiore .

Falsificate le pro v ep e r p o t e r f u c i l a rel ’e roico part i g i a n oP i e t ro Pagliolico

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Scampato al rastrellamen-to, Pietro Pagliolico in basead un accordo fra il Cln delPiemonte e quello dellaLombardia, si era rifugiatoin Val Marchirolo, appuntoa Cugliate Fabiasco, con laprospettiva, appena fossestato possibile, dopo aver“agganciato” la formazio-ne partigiana militare auto-noma “Lazzarini” di Vo l-domino (Luino), elementoperaltro non riscontrato nel-le carte, di rientrare dallaSvizzera in Val d’Aosta pertentare di ricostituire la for-mazione partigiana andatadistrutta. Il viaggio di trasferimentoera avvenuto in compagniadella giovane moglie Mad-dalena Coppi, un modo, pro-

babilmente, per dare menonell’occhio in una zona pe-raltro presa d’assalto da cen-tinaia di sfollati da Milanodistrutta dai bombardamentianglo-americani. Il 20 gennaio 1944 i due ave-vano raggiunto CugliateFabiasco in condizioni diapparente sicurezza pren-dendo dimora in un piccoloappartamento di via Ri-ghetti, nel cuore del paese,che ho potuto individuareattraverso la preziosa col-laborazione della signoraMaria Luisa Spertini e delmarito Angelo Chini, un belsignore di 88 anni, allora al-pino ad Aosta, poi rifugiatosinella vicinissima Confe-derazione Elvetica sino altermine del conflitto.

Un fonogramma da Luino informava della sua presenza in zonaDa quella abitazione, assaimodesta, il Pagliolico erariuscito a muoversi senzatroppe difficoltà, pur con ledovute cautele, tanto da po-tersi recare il 28 febbraionel Municipio di Marchirolo(da cui Cugliate Fabiasco aquel tempo dipendeva) perregolarizzare la sua posi-zione militare e farsi rila-sciare le tessere alimentari.Visto il tragico evolversi de-gli eventi, quella decisionedi “rendersi pubblico” co-

La motivazione della medaglia di bronzo al valor m i l i t a re

di voi saprebbe morire come mio marito con la parola Patria sulle labbra.”

Dopo il rastrellamento la prospettivadi rientrare in Val DAosta e ricominciare

stituì quasi certamente unerrore e la molla che ali-mentò, sostenuta da qualchesempre possibile spiata, l’at-tenzione delle locali auto-rità fasciste.All’improvviso infatti il 2marzo 1944 lo scenario cam-biò. Dal Comando della Gnr diLuino era giunto un fono-gramma che, riprendendol’analogo rapporto n. 34/77della Gnr di Casale Mon-ferrato, informava le auto-

P a rtigiano di raro coraggio, si distingueva in azioniarmate ed in una continua rischiosa opera dip ropaganda e di reclutamento. Catturato in seguito adelazione, sopportava stoicamente crudeli sevizie senzaf o r n i re alcuna notizia. Condannato a morte e postodavanti al plotone di esecuzione rivolgeva parole dicaldo amor patrio ai suoi carnefici, incitandoli a passarenelle fila partigiane. Cadeva al grido di “Viva l’ItaliaLibera!

Cugliate (Varese) 8.3.1944”.

rità di polizia che nella zonarisiedeva “il pericoloso ri-belle Pietro Pagliolico, ri-cercato dalla Questura diAosta, risultando uno dei piùattivi ribelli del concentra-mento di Arcesa in Va ld’Aosta, autore di violenzaarmata commessa nel di-cembre u.s. a Casale Mon-ferrato contro militi in ser-vizio al posto di blocco; difurto di automobile; di ri-bellione alle Forze A r m a t edi Aosta”. L’ordine tassativoera stato quello di procede-re, appena individuato, alsuo fermo.L’operazione, sviluppata gra-dualmente per evitare chePagliolico ne avesse in qual-che modo sentore, era statacoordinata dal podestà e se-gretario del partito repub-blicano di Marchirolo Sera-fino Serafini, 47 anni, diCormons, un fanatico fasci-sta alla caccia di riconosci-menti presso i suoi superio-ri. Aveva pedinato il parti-giano nei suoi spostamentiperaltro rari e circospetti nel-le viuzze del paese, avevamesso a fuoco la geografiadella abitazione e degli im-mediati paraggi, si era ac-certato se godesse di even-tuali protezioni come era as-sai probabile. Al momentoopportuno aveva deciso disferrare l’attacco incarican-do della perquisizione do-miciliare il marescialloAntonio Rizzardi, 50 anni,di Idro di Brescia, fascistadella prima ora, stretto col-laboratore del Serafini di cui

era succubo ed il legionarioFerruccio Venturelli, 43 an-ni, di Trento, moglie e figlial seguito, trasferito daVarese a Cugliate Fabiascoda poco tempo per ricoprireun posto rimasto vacante.Il Venturelli alle 20,30 del 7marzo 1944 si era presenta-to con il Rizzardi all’usciodi casa di Pagliolico. Il processo verbale n. 3 dell’8marzo, redatto dai due mi-litari e indirizzato al Co-mando Provinciale Gnr diVarese e ad altri comandi pe-riferici, riassume il fatto nel-le diverse fasi.Per poter procedere alla fu-cilazione era necessario af-fermare che il catturando/cat-turato era stato sorpreso conle armi in mano. Non era an-data così come vedremo piùavanti ma Rizzardi eVenturelli, che nell’inizialerapporto del 7 marzo seraavevano riferito le modalitàdell’arresto secondo verità(Pagliolico non aveva armiaddosso), una volta a Va r e s e ,per ordini superiori, si eranosbarazzati di quel docu-mento, di cui non vi è trac-cia e a cui arriviamo per de-duzione logica, confezio-nandone un altro alle ore 21dell’8 marzo, un’ora e mez-zo dopo la fucilazione, checorrispondesse alle volontàomicidiarie. A fferma il “falso” verbaleche il Pagliolico “era statosorpreso sul tetto della pro-pria abitazione in Cugliatedove erasi rifugiato per sot-trarsi alle nostre ricerche, ar-

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mato di pistola automatica“Beretta” calibro 9, caricadi 9 colpi, che teneva in pu-gno”. Era la specifica con-dizione perchè fosse appli-cato il “bando Mussolini”che comminava la morte achi si fosse venuto a trova-re in quelle circostanze. “Questa è la sorte - avevacommentato con toni ulti-mativi il quotidiano “Cro-naca Prealpina” per la pen-na del direttore Angelo LuigiArrigoni, il “vice” di NiccolòGiani alla Scuola di MisticaFascista- riservata a chi de-tiene armi senza autorizza-zione, a chi non ascolta loStato che chiama alla lotta,a chi diserta le fila dell’e-sercito repubblicano. Bisogna che quelli che an-cora non lo credono si per-suadano che la Repubblicaha la volontà e i mezzi di col-pire chi l’aggredisce (…).Non è possibile tollerare at-tentati alla Patria. Il popo-lo, il popolo sano che lavo-ra e virilmente sopporta que-sti anni di sacrificio e dà san-gue e braccia allo Stato, hail diritto che lo Stato lo pro-tegga da chiunque. Così sifa, così si farà, senza debo-l e z z e ” .La verità era un’altra e du-rante il dibattimento in Corted’Assise era emersa nellasua completezza dall’ine-vitabile contrasto esplosofra le diverse e contraddito-rie deposizioni degli impu-tati e dei testimoni, impe-gnati a sfuggire alle loro re-sponsabilità. Il quadro deifatti smentiva infatti il rap-porto uff i c i a l e .Quando il marescialloRizzardi e il legionarioVenturelli avevano bussato

alla porta di casa del ricer-cato, ad affacciarsi era statala moglie Maddalena che,intuendo il pericolo, avevacercato di prendere tempoconsentendo al marito diguadagnare il piano supe-riore e poi il tetto. Raggiunto dai militari, cer-ti di poterlo scovare,Pagliolico, a conoscenza del“bando Mussolini” e dellesue fatali conseguenze, siera liberato dell’arma sca-gliandola lontano. Al mo-mento del fermo era dunqued i s a r m a t o .Trascorsa la notte, pianto-nato in casa, non essendociuna cella in zona dove tra-sferirlo, alle ore 14 del po-meriggio del giorno suc-cessivo, 8 marzo 1944,Pagliolico aveva fatto il suoingresso, accompagnato daRizzardi e Venturelli, nelcarcere dei Miogni di Va r e s e“consegnato-recita il ruoli-no dell’Ufficio Matricola-da Arma per rimanere a di-sposizione del PubblicoAccusatore del Tr i b u n a l eStraordinario Provinciale diVarese anzi Gnr 8a LegioneUpi”. La scheda dell’Uff i c i oMatricola n. 9058 “Atto diconsegna del detenuto” cuiseguivano i “connotati sa-lienti: statura 1.78, capellineri, viso regolare, soprac-ciglie scure, occhi castani,naso regolare, bocca rego-lare, assenza di baffi, men-to regolare, barba rasa”, in-dica quale “Titolo del rea-to” “imputato di reati politicie minaccia a mano armataalle Forze Armate” senza al-cun riferimento all’episodiodella pistola della sera pre-cedente.

Nelle stesse ore al Comandod e l l ’ U fficio Politico Inve-stigativo della Gnr, la fami-gerata “Villa Triste” di viaDante, luogo di torture e vio-lenze inenarrabili, duecen-to metri lontano dalle car-ceri, era iniziato un dibatti-to sulla sorte da riservare alprigioniero. Due dei presenti,il capitano dei carabinieriGuido Di Prisco, in rappre-sentanza del comandante, iltenente colonnello SalvatoreSinisi che, fiutando il peri-colo di una deriva repressi-va, si era tenuto prudente-mente alla larga e il capo deiServizi d’Istituto l’ex magi-strato ordinario Michele

“...era stato incaricato di accompagnareun borghese a Marchirolo...”

Poddighe, avevano espressoparere contrario alla fucila-zione perché, a loro dire, “iltetto era da considerarsi suo-lo pubblico”. La pistola era stata recupe-rata fra le tegole in pietra percui Pagliolico non rientravanei casi previsti dal bandodel duce. Si era trattato diuna calzante osservazionegiuridica contro cui si eranettamente opposto il capi-tano Giovanni BattistaTriulzi, il feroce comandantedell’Upi- Gnr mentre il co-mandante provinciale dellaG n r, tenente colonnello EliaCaldirola, aveva mostratoqualche perplessità che ave-

Falsificate le pro v ep e r p o t e rf u c i l a rel ’e roico p a rt i g i a n oP i e t ro Pagliolico

Le nostres t o r i e

La registrazione all’UfficioMatricola dell’ingresso diPietro Pagliolico nelcarcere dei Miogni diVarese alle ore 14 dell’8marzo 1944, poche oreprima della fucilazioneavvenuta nei pressi delcimitero di CugliateFabiasco in Val Marchirolo(Luino) da parte di militidella Gnr.

Page 8: Nel centenario della nascita del dirigente Ricordo di Totò ...Ar i c o r d a re Di Benedetto al teatro Pirandello di Agrigento il pubblico delle grandi occasioni. Oltre a D’Alema,

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va superato solo quando,contattato per telefono ilCapo della Provincia MarioBassi, aveva ottenuto l’au-torizzazione di procedere al-l’esecuzione. Aquel punto,fra le 16 e le 17 circa,Pagliolico, dal carcere di Va-rese (dalla scheda del-l ’ U fficio Matricola non ri-sulta alcuna annotazione, ilche conferma la “clandesti-nità” dell’operazione e lacompleta sudditanza delCorpo carcerario che per-mette la sottrazione del de-tenuto senza registrare il fat-to), Pagliolico era stato ri-condotto a Cugliate Fabiasco,dove in fretta e furia, mentrescendeva la sera, si era or-ganizzata la fucilazione. Erano le 19, 30 quando aRizzardi e Venturelli si era-no affiancati, giunti daVarese, per comporre il plo-tone d’esecuzione, i militidella Gnr Ferruccio A n t o n i n i ,Cesare Treddenti e GiuseppeP i r r o n e .Quest’ultimo davanti allaprossima barbarie aveva si-mulato un improvviso ma-lore (così risulta dagli atti)e si era sottratto in extremisal compito aff i d a t o g l i .Era stato il Venturelli il 19maggio 1945 al Com-missario di Pubblica Sicu-rezza Rosario Cimino, de-legato del Pubblico Ministerodella Corte d’Assise per l’in-terrogatorio, a ricostruire lefasi del crimine: “Giunti sulposto dell’esecuzione, e cioèall’esterno del cimitero, èstato fatto scendere dall’au-tomobile il Pagliolico ed ac-compagnato presso la scar-pata che trovasi presso il mu-ro di cinta del cimitero. IlPagliolico fu accompagna-to sul posto dallo stesso ma-

resciallo Rizzardi. Dopo diche, il maresciallo ha ben-dato il Pagliolico. L’ o r d i n edi esecuzione è stato dato dalmaresciallo Rizzardi con leparole, uno, due, tre. Un attimo prima che l’ese-cuzione avesse luogo ilPagliolico ha gridato ad altavoce: “Viva l’Italia libera!”e con queste parole sulle lab-bra è caduto”. Il corpo, una volta accertatoil decesso da parte del dot-tor Emilio Scolari, medicocondotto di Marchirolo, do-po il colpo di grazia esplo-so quasi certamente dal mi-lite Cesare Treddenti (su que-sto punto i giudici non sonoriusciti a dire una parola de-finitiva) era stato sepolto.L’Upi-Gnr aveva così por-tato a compimento il suo pro-gramma ma, a conferma del-la confusione che regnavanella Rsi, la Questura diVarese non era stata mini-mamente informata del fat-to, tanto che il QuestoreAntonio Solinas si era atti-vato per avere dettagliateinformazioni. Si era trattatoprobabilmente di un espe-diente difensivo dell’alto fun-zionario a sua volta proces-sato perchè la versione erastata smentita dallo stessomilite Cesare Treddenti cheil 29 agosto 1945 aveva af-fermato al Giudice Istruttoredi essere stato incaricatoquell’8 marzo del ’44 “d’ac-compagnare a Marchiroloun borghese” che non cono-sceva e che si sarebbe poi ri-velato la vittima.Tutti dunque sapevano maresisi conto dell’assassiniogratuito ed incarcerati ave-vano pensato bene, con stra-vaganti dichiarazioni di cor-rere ai ripari, prendendo le

Due indicazionidella viaprincipale diCugliateFabiasco:quella del 1945lo segnala come"Martire dellaLibertà"; la più recente lo liquida comeun anonimo "P. Pagliolico".

Sabato 22 ottobre 2011 l’Aned di Bologna, con lap resenza di Franco Varini, ex deportato a Flossenburg eDachau, ha accompagnato una delegazione di studenti einsegnanti delle Classi V dell’Istituto superiore LauraBassi di Bologna all’ex campo di Fossoli di Carpi. Dopo una esauriente presentazione e visita al campo,sotto la guida di Maria, nipote di Odoardo Focherini edi altri volontari, Franco Varini, nella baraccar i c o s t ruita, ha raccontato ai ragazzi la sua esperienza erivolto un vibrante appello, molto apprezzato dai ragazzistessi, a non dimenticare quei tragici avvenimenti e ado p e r a re per un mondo più giusto, pacifico e senzasopraffazioni legate alla razza, alla religione, all’odiopolitico. Ancora più apprezzabile il fatto che studenti einsegnanti abbiano svolto questa visita nel loro giornol i b e ro e quindi per intima convinzione, non solo percompito scolastico.

Studenti e insegnantidi Bologna in visita aFlossenbürg e Dachau