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Nel modulo 3 si intende evidenziare le caratteristiche

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Nel modulo 3 si intende evidenziare le caratteristiche fondamentali dei principali stati infiammatori a carattere acuto e fornire, sulla base delle più recenti evidenze sperimentali in materia, le indicazioni generali per il trattamento farmacologico di ognuno di essi.

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Normalmente in medicina generale si distinguono un percorso diagnostico-terapeutico per il dolore la cui causa è nota e verosimilmente reversibile (in genere si tratta di dolore acuto) e un percorso per il dolore cronico che può avere una durata prevedibile, come nel caso di molte patologie neoplastiche, o per il quale si deve prevedere un decorso ricorrente o francamente cronico per lunghi periodi, anche tutta la vita, del sistema osteo-muscolare o il dolore neuropatico e la cefalea.

I più comuni casi di riscontro quotidiano sono relativi a patologie acute di carattere doloroso come le infiammazioni delle vie aeree, gli stati febbrili, i traumi dei tessuti molli e le altre patologie con preponderante componente dolorosa e infiammatoria.

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Le infezioni dell’apparato respiratorio interessano sia le basse sia le alte vie aeree. Poiché l’eziologia dell’infiammazione delle vie respiratorie può avere cause diverse, si rende necessario identificare subito quei pazienti che possono sviluppare complicanze e per i quali è previsto un trattamento con antibiotici.

Il trattamento con antibiotici è raccomandato, infatti, solo in casi specifici di patologia batterica o con segni o sintomi suggestivi di complicanze gravi o di rischi di complicanze per malattie pregresse (cardiache, polmonari, renali, epatiche, neuromuscolari).

Tachipnea, dispnea e incapacità di deglutire sono tutti segni di un’imminente perdita della pervietà delle vie aeree. Anche in questo, come in molti altri ambiti, prevale tra i medici la tendenza ad adottare un approccio di tipo empirico, basato sulla conoscenza del paziente, sulla sua storia clinica e sull’obiettività. Su questi presupposti si fondano anche i criteri di scelta delle prescrizioni farmacologiche.

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Per il trattamento della sintomatologia algica e infiammatoria i FANS sono considerati farmaci d’elezione nella scelta della terapia.

Ketoprofene sale di lisina costituisce, per questa classe di farmaci, il principio attivo maggiormente utilizzato nella flogosi delle vie aeree. Grazie alle sue caratteristiche riesce infatti a raggiungere una concentrazione maggiore nei tessuti e nei fluidi respiratori piuttosto che a livello plasmatico, come dimostrato da Lapicque et al., che ne hanno calcolato la concentrazione nel tessuto tonsillare di 15 pazienti sottoposti a una singola iniezione intramuscolare (100 mg).

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Ricerche sperimentali condotte da De Lorenzi et al. hanno rivelato l’efficacia di ketoprofene sale di lisina rispetto a nimesulide nel trattamento della flogosi delle vie respiratorie.

Lo studio clinico in doppio cieco prevedeva la somministrazione di ketoprofene sale di lisina (80 mg tid) e nimesulide (100 mg bid) a un gruppo di 120 pazienti randomizzati con affezioni flogistiche delle vie superiori per un arco di tempo massimo di 7 giorni.

I pazienti trattati con ketoprofene sale di lisina hanno mostrato in misura maggiore, rispetto ai soggetti trattati con nimesulide, una riduzione ≥60% degli elementi principali dell’affezione flogistica, la triade infiammatoria dolore, edema e iperemia.

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Nell’adulto un’attenta anamnesi del paziente, un’approfondita visita e le analisi cliniche portano solitamente a identificare la causa di uno stato. La febbre è una delle più frequenti manifestazioni di malattie e compare in numerosissime affezioni, tra loro estremamente differenti per natura e gravità.

Il meccanismo fisiopatologico della febbre può essere costituito dall’abnorme aumento della produzione di calore o dalla riduzione della dispersione del calore prodotto.

Le prostaglandine, in particolare della serie E, sono coinvolte nel determinare lo stato febbrile. In seguito a infezioni la loro concentrazione nel liquido cerebrospinale aumenta e c’è evidenza che l’aumento di temperatura generato da agenti endogeni inducenti febbre, come IL-1, sia mediato dalle PGE2.

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L’azione antipiretica dei FANS è dovuta almeno parzialmente all’inibizione della sintesi della PGE2 a livello dell’ipotalamo.

I FANS riportano a livello normale il set point ipotalamico. Quando la temperatura aumenta, si attivano i meccanismi di regolazione per ridurre la temperatura corporea (dilatazione dei vasi superficiali, sudorazione ecc.).

Agendo a livello ipotalamico i FANS, quindi, riportano a livelli fisiologici la temperatura corporea in caso di iperpiressia, mentre non hanno alcun effetto sulla regolazione della temperatura quando questa è nella norma.

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Un recente studio clinico condotto su un gruppo di 316 bambini con febbre di età compresa tra i 6 mesi e i 12 anni ha messo in evidenza l’effetto terapeutico antipiretico di ketoprofene in misura maggiore rispetto a paracetamolo.

I pazienti sono stati randomizzati e sottoposti alla somministrazione di una dose singola di ketoprofene o paracetamolo per via orale. È stata effettuata una misurazione della temperatura timpanica dal momento della somministrazione del farmaco a intervalli di tempo regolari nelle successive 4 ore.

Il fine è stato quello di rilevare in maniera quantitativa il raggiungimento di una temperatura corporea <37,8 °C e il tempo di insorgenza dell’effetto antipiretico.

I risultati ottenuti hanno evidenziato un’azione antipiretica significativamente maggiore (p <0,001) di ketoprofene in termini di manifestazione e durata dell’effetto stesso.

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Un altro studio ha coinvolto 301 pazienti di età compresa tra 1 e 14 anni che sono stati condotti al Pronto Soccorso segnalando uno stato febbrile di grado elevato, con temperatura ≥38 °C e necessità di terapia antipiretica.

I soggetti sono stati randomizzati all’assunzione di ibuprofene, ketoprofene o paracetamolo. La registrazione della temperatura timpanica è stata effettuata a 30, 60 e 120 minuti dalla somministrazione del farmaco e ancora dopo 4 e 6 ore.

La riduzione della temperatura indotta dai tre farmaci è risultata pressoché la stessa fino d 1 ora dall’assunzione, per poi manifestarsi in maniera significativa nei pazienti randomizzati a ketoprofene, con uno scarto di temperatura che persisteva sino a 4 e 6 ore successive alla somministrazione.

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La maggiore efficacia e la rapidità d’azione di ketoprofene rispetto ad altri FANS nel controllo della febbre sono state messe in evidenza da uno studio comparativo effettuato su 64 bambini affetti da stato febbrile.

Ketoprofene è risultato più incisivo rispetto a ibuprofene e naprossene in termini di velocità di comparsa e durata dell’effetto stesso.

La ricerca è stata utile ai fini della pubblicazione delle linee guida per l’utilizzo dei FANS in età pediatrica.

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I traumi dei tessuti molli come tendinite, borsite e sindrome della cuffia dei rotatori rappresentano un problema di grande importanza sia per il coinvolgimento degli aspetti funzionali sia per la necessità del soggetto di ritornare rapidamente a una normale vita quotidiana.

Il dolore provocato da tendinite e borsite può essere molto forte e cronicizzarsi, trasformandosi in un problema di grave entità.

La terapia di questi disturbi varia dall’adottare le misure di emergenza come il raffreddamento (è raccomandabile l’utilizzo del ghiaccio per 10-15 minuti 2 o 3 volte al giorno nel caso di tendinite o borsite) all’utilizzo di FANS con durata e dosaggio in relazione all’entità del danno diagnosticato.

In questo quadro clinico è anche rilevante la velocità di induzione dell’effetto antalgico del farmaco nella riduzione dello stato di dolore provocato dal trauma.

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Uno studio clinico in doppio cieco comparativo a placebo è stato effettuato per la valutazione di efficacia e tollerabilità di ketoprofene sale di lisina in formulazione in bustine per uso orale (80 mg tid) in 120 pazienti con affezioni flogistiche dell’apparato muscolo-scheletrico (reumatismo extra-articolare, periartrite della spalla, tendinite, borsiti ecc).

I risultati ottenuti hanno mostrato una riduzione significativa della sensibilità dolorosa già a 30 minuti dalla somministrazione sottolineando così l’efficacia del farmaco nei pazienti affetti da tali patologie.

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In uno studio controllato in doppio cieco condotto su 165 pazienti con traumi sportivi, ketoprofene (50 mg tid) si è dimostrato superiore a ibuprofene (600 mg bid) sia in termini di più rapida comparsa dell’effetto antalgico dopo la prima dose, sia considerando la percentuale di pazienti che presentavano una riduzione del dolore ≥50% rispetto al basale a parità di eventi avversi (p ≤0,05).

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Indipendentemente dal successo o dalla tecnica adottata, ogni intervento chirurgico provoca un danno dei tessuti e il rilascio di potenti mediatori dell’infiammazione.

L’intervento chirurgico condotto in anestesia generale o con tecnica di anestesia loco-regionale è considerato una condizione di stress e, per prevenire le complicanze e aumentare la qualità del controllo post-operatorio, è cresciuto l’interesse sulla vigilanza dei pazienti in fase post-operatoria.

Senza trattamento antalgico, infatti, l’input sensoriale proveniente dai tessuti lesi sovrastimola il midollo spinale e provoca un successivo potenziamento delle risposte (sensibilizzazione centrale). I recettori del dolore situati alla periferia diventano anch’essi più sensibili dopo una lesione (sensibilizzazione periferica).

Da ciò la necessità di intervenire nel dolore post-chirurgico con trattamenti farmacologici mirati e a rapido inizio di azione.

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Gli analgesici oppiacei sono un’opzione importante nel trattamento farmacologico del dolore post-operatorio specialmente per gli interventi chirurgici più importanti e che provocano dolore grave.

Negli interventi di chirurgia ortopedica la durata del dolore di grado moderato-severo è in genere non inferiore a 5-7 giorni, in relazione alle caratteristiche dell’intervento stesso e alle condizioni generali del paziente, e può protrarsi con stati dolorosi di entità minore per periodi più lunghi.

L’impiego concomitante di FANS e oppiacei spesso permette di ottenere un’analgesia più efficace rispetto all’impiego dell’uno o dell’altro farmaco in monoterapia.

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Uno studio comparativo ha dimostrato l’efficacia della somministrazione di ketoprofene(100 mg bid) e diclofenac (75 mg bid) per 3 giorni di trattamento.

L’effetto analgesico si è manifestato entro 15-30 minuti dalla somministrazione, con esordio più rapido per ketoprofene rispetto a diclofenac.

La percentuale di pazienti nei quali si è manifestata una riduzione dello stato doloroso nei primi 20 minuti è stata del 92% nel braccio ketoprofene e dell’84% nel braccio diclofenac.

Lo studio ha inoltre dimostrato che la durata dell’effetto antalgico di ketoprofene (12 ore) è maggiore rispetto a diclofenac; ciò pertanto ha ridotto la necessità di dosi supplementari di oppiacei.

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Gli oppioidi sono oggi considerati il modello farmacologico di riferimento per il dolore di grado severo. Studi comparativi hanno tuttavia messo in luce l’efficacia di ketoprofenerispetto a molecole standard di riferimento come petidina o morfina nel trattamento del dolore post-chirurgico in alcuni tipi di intervento.

Uno studio comparativo in doppio cieco condotto su 59 pazienti che avevano subito interventi chirurgici dolorosi particolarmente comuni (artrolisi del ginocchio, legamentoplastica, chirurgia del tunnel carpale o del piede) ha evidenziato una maggiore efficacia di ketoprofene (67% di pazienti liberi da dolore) rispetto all’oppioide petidina(63%) e una durata dell’effetto analgesico maggiore (9,2 vs 8,0 ore).

Nella procedura di chirurgia carpale l’effetto antalgico di ketoprofene è stato ancora più evidente in termini di durata (10 vs 8 ore).

Ketoprofene agisce, dunque, più attraverso il suo effetto analgesico a livello centrale che attraverso l’azione antinfiammatoria; il rischio di effetti collaterali è ridotto e non induce depressione respiratoria e dipendenza come l’oppioide.

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In un altro studio clinico in doppio cieco 161 soggetti sottoposti a intervento chirurgico sono stati randomizzati alla somministrazione di ketoprofene in dose singola (50 o 150 mg) o in alternativa a ricevere in associazione codeina (60 mg) e paracetamolo (650 mg) in dose singola allo scopo di valutare efficacia e sicurezza dei farmaci impiegati nel trattamento.

Alla sesta ora dalla somministrazione ketoprofene è risultato maggiormente efficace in termini di velocità di comparsa dell’effetto antalgico e durata dello stesso rispetto alla terapia combinata paracetamolo/codeina.

Inoltre nel braccio ketoprofene l’insorgenza di effetti avversi come stanchezza o sonnolenza è stata significativamente minore (p ≤0,05) rispetto agli effetti collaterali riscontrati nei pazienti trattati con paracetamolo/codeina.

I risultati indicano che ketoprofene presenta una maggiore sicurezza a entrambi i dosaggi testati.

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Le prostaglandine svolgono ruoli diversi nei processi di calcificazione ossea ed è quindi raccomandabile che il farmaco utilizzato nella terapia post-chirurgica non interferisca con i processi riparativi.

Il trattamento farmacologico del dolore post-operatorio, specie in ambito ortopedico, deve prevedere l’utilizzo di farmaci che possano evitare la formazione di calcificazioni periprotesiche e ridurre il rischio di osteopenia da prolungata immobilizzazione.

Come è stato dimostrato da diversi studi sperimentali, l’utilizzo di ketoprofene non interferisce con i processi riparativi del tessuto osseo.

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Il dolore lombosacrale (low back pain o lumbago) è oggi una patologia molto comune, la cui eziologia è ancora poco conosciuta.

La lombalgia viene considerata come la più frequente condizione di disabilità fisica nella popolazione lavorativa e come un’importante causa di consumo di farmaci. Sebbene tale patologia sia un problema che si verifica maggiormente in età adulta, ad oggi la letteratura ne riporta innumerevoli casi anche in età pediatrica e giovanile, con un ricorso alle cure mediche tuttavia molto meno diffuso.

La diagnostica clinica comprende come di consueto l’anamnesi, l’ispezione (deambulazione, movimenti ecc.) la palpazione (apofisi, muscoli lunghi del dorso, punti mialgici principali, borsa del trocantere e trocantere).

Una parte fondamentale della diagnostica delle lombalgie è rappresentata dalla diagnostica per immagini, cominciando dalla radiografia convenzionale.

In tale contesto è importante la diagnosi precoce in pazienti che possono sviluppare una patologia cronico-degenerativa (chronic low back pain) per stabilire un approccio farmacologico idoneo a evitare tale progressione.

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I principali fattori di rischio sono rappresentati dall’avanzare dell’età e da fattori predisponenti che, nei casi di cedimento dei dischi lombari, inducono compressione nervosa con compromissione ischiatica e lombosciatalgia.

Relativamente al trattamento farmacologico, la terapia, affiancata dalle procedure di riabilitazione, prevede la riduzione della sintomatologia, in primo luogo del dolore e della contrattura muscolare.

Il paziente con lombalgia nell’immediatezza deve quindi essere curato dal punto di vista algologico nell’attesa di completare l’iter diagnostico e la programmazione dell’eventuale terapia causale.

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L’impiego dei FANS è altamente efficace nella lombalgia acuta e cronica e in tale quadro generale ketoprofene è stato testato verso indometacina in pazienti affetti da dolore acuto e verso diclofenac in soggetti con diagnosi di lombalgia cronica.

Tali studi prevedevano una valutazione della velocità di comparsa dell’effetto antalgico e del numero di pazienti liberi da dolore nella prima settimana di trattamento.

Nel primo caso lo studio clinico è stato effettuato su 115 pazienti randomizzati a ricevere ketoprofene e indometacina: i dati riportati hanno evidenziato una maggiore percentuale di soggetti responder all’effetto analgesico di ketoprofene rispetto a indometacina (61% vs 46,9%) già alla prima ora dalla somministrazione e una maggiore durata d’azione di ketoprofene.

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In uno studio comparativo volto a valutare l’impiego di ketoprofene e diclofenac nella lombalgia cronica, 155 pazienti randomizzati hanno ricevuto ketoprofene (150 mg/die) o diclofenac (75 mg/die).

Per i primi si è verificato in misura maggiore un miglioramento della sintomatologia globale con sollievo dal dolore, aumento della mobilità e riduzione della rigidità, dimostrando una superiorità di ketoprofene verso diclofenac (71,4% vs 62,36% dei pazienti responder al trattamento a 7 giorni dalla somministrazione).

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L’eziologia delle infezioni delle basse e delle alte vie aeree può essere di varia origine e il quadro sintomatico per queste patologie è quasi sempre di natura infiammatoria.

Agendo a livello ipotalamico, i FANS riportano a livelli fisiologici la temperatura corporea quando questa è al di sopra della norma (iperpiressia), mentre non hanno alcun effetto sulla regolazione della temperatura quando questa è nella norma.

Ketoprofene è il farmaco d’elezione per il trattamento del dolore acuto di natura traumatica per favorire il ritorno del paziente a svolgere le normali attività della vita quotidiana.

Nel dolore post-operatorio l’impiego concomitante di FANS e oppiacei spesso permette di ottenere un’analgesia più efficace rispetto all’impiego dell’uno o dell’altro farmaco in monoterapia e riduce gli effetti collaterali specifici delle due classi di farmaci.

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