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Numero 52 – Marzo 2018 \ Newsletter di aggiornamento e approfondimento in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

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Numero 52 – Marzo 2018

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Newsletter di aggiornamento e approfondimento

in materia di immobili, ambiente, edilizia e urbanistica

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 2

    

Marzo 2018 – Chiuso in redazione il 9 marzo 2018

Sommario

Pagina

NEWS Immobili, condominio, edilizia e urbanistica, fisco, professione 4 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 27 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Immobili, condominio, edilizia e urbanistica, fisco, professione 30

APPROFONDIMENTI PROFESSIONE MEDIAZIONE UNILATERALE ATIPICA E DIRITTO ALLA PROVVIGIONE Le Sezioni Unite hanno riconosciuto che è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale), se una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni, puntualizzando che l'esercizio di tale attività, quando l'affare abbia a oggetto beni immobili o aziende - oppure qualora riguardi altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo - resta soggetto all'obbligo di iscrizione al ruolo previsto dall'art. 2 della legge 39/1989, sicché il suo svolgimento, in difetto di tale condizione, esclude, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione in capo al mediatore. Alberto Celeste, Il Sole 24ORE – Estratto da “Consulente Immobiliare, Edizione del 15 febbraio 2018, n. 1038 pag. 222-227 36 L’ESPERTO RISPONDE Immobili, condominio, edilizia e urbanistica, fisco, professione 42

 

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   Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A. Sede legale e amministrazione: Via Monte Rosa 91- 20149 Milano Redazione: Redazioni Editoriali Professionisti e Aziende – Direzione Publishing - Roma Comitato scientifico e Coordinamento Editoriale FIAIP: Centro Studi FIAIP – Delegato nazionale Marco Magaglio © 2017 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze.

 

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Mercato immobiliare e mutui Ristrutturare la casa rende fino al 10% nelle grandi città

Il recupero traina l’edilizia. Gli investimenti in riqualificazione sul patrimonio abitativo si confermano il motore del settore, rappresentando il 38% del valore degli interventi totali in costruzioni. In dieci anni il volume degli investimenti in manutenzione straordinaria è raddoppiato in termini reali, con oltre 46,5 miliardi di fatturato nel 2016, che si traducono in 700mila abitazioni ristrutturate. Questi sono alcuni dei dati evidenziati ieri a Milano da Scenari Immobiliari, in occasione della presentazione del secondo “Rapporto sul recupero edilizio in Italia e nuovi format digitali” redatto con Paspartu Italy. Numeri che parlano di ripresa se riferiti agli investimenti dei privati su singoli alloggi, ma che non incidono di fatto sul recupero di interi immobili e non hanno ricadute dirette, salvo qualche eccezione, sulla rigenerazione urbana. L’Ance prevede per quest’anno un aumento del 2,4% in termini reali degli investimenti in costruzioni. Per il comparto residenziale, in particolare, l’incremento degli investimenti reali si stima sia dell’1,7% in più rispetto al 2017, con la prosecuzione del trend positivo delle ristrutturazioni, che dovrebbero registrare un incremento dell’1,3% in termini reali. Un’analisi, quella dei costruttori, che tiene conto delle misure contenute nella legge di Bilancio del 2017, con il prolungamento e rafforzamento degli incentivi fiscali esistenti, a cui si dovranno aggiungere gli effetti derivanti dal sismabonus ed ecobonus finalizzati proprio al miglioramento delle condizioni di interi edifici, a partire dai condomini. La soluzione del recupero edilizio viene privilegiata da molti per la possibilità di sconto e di guadagno in termini di valore che offre una ristrutturazione personalizzata. Ecco quindi che dal rapporto di Scenari Immobiliari e Paspartu si evince che sul totale delle 560mila transazioni stimate per il 2017, sono state acquistate 130mila abitazioni da ristrutturare, ovvero il 23,2% del totale e in crescita del 36,8% rispetto ai dati del 2016. Il nuovo costituisce il 15% delle transazioni, in rialzo del 2,4% in un anno, mentre gli appartamenti già ristrutturati rappresentano 346mila compravendite, in aumento dello 0,9% sul 2016. Analizzando i diversi capoluoghi di provincia, a Milano il 12,7% delle transazioni è ricaduta su alloggi da ristrutturare, il 13% a Torino, il 17,4% a Roma, salendo fino al 30,1% a Napoli con motivazioni in questo caso da ricercare nella qualità dello stock a disposizione nel capoluogo campano, dove le nuove iniziative residenziali scarseggiano. Ma qual è il plusvalore di un’abitazione post recupero al netto dei costi sostenuti? «Ristrutturare conviene specie nelle città più grandi, dove lo stock a disposizione è più ampio e diversificato in termini di qualità. Nel 2018 – dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari – chi deciderà di comprare un immobile da ristrutturare otterrà un plusvalore che varia dall’1,6 al 10,4 % in più rispetto alla spesa effettuata. E al netto degli sconti fiscali che possono rappresentare un ulteriore venti per cento, ma diluiti nel tempo». Ristrutturare significa anche dare una risposta a una domanda sociale. Il recupero edilizio diventa infatti uno strumento utile per adeguare il patrimonio esistente, costituito al 65% da alloggi di dimensione superiore agli 80 metri quadrati, a fronte di un 60% di famiglie composte da al massimo due componenti.

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Per passare alla riqualificazione di interi edifici e quartieri la strada è però ancora lunga. Gli ultimi tragici eventi che hanno scosso il centro Italia hanno riacceso un faro sull’urgenza dell’adeguamento alle norme antisismiche di quegli edifici che ne sono sprovvisti, specie nelle zone più a rischio. In questa direzione si sono mossi il progetto Casa Italia, il bando per la riqualificazione delle periferie delle aree metropolitane e la legge sul contenimento del consumo del suolo. Ma la sfida della sostituzione edilizia non è ancora entrata nella cultura condivisa. «Politica e misure fiscali – commenta Flavio Monosilio, direttore del Centro studi dell’Ance – spingono verso una dimensione individualistica del mercato. Si sottolinea la convenienza nel comprare immobili vecchi e usati, da riqualificare anche con un interessante plusvalore, tralasciando il fatto che se non si interviene sull’intero immobile si continuerà ad avere un alloggio di qualità in un edificio che non ha le medesime performance». La proprietà frammentata è un’annosa questione italiana e l’Ance ha ribadito anche nella recente campagna elettorale «l’urgenza di un quadro normativo che imponga la questione dell’interesse pubblico per certe operazioni su edifici inadeguati, per incentivare la demolizione e ricostruzione che non può essere assorbita dalla sola rendita fondiaria». L’Ance chiede anche un’estensione dell’Ecobonus e del Sismabonus per interventi di sostituzione edilizia in zone a rischio terremoto, per edifici energivori e insicuri, abbattendo i costi e rendendo possibili importanti trasformazioni, anche aumentando la volumetria (ove possibile). Se l’obiettivo dell’agenda urbana nazionale resta quello di migliorare qualitativamente lo stock immobiliare, serve individuare una via, senza ulteriori vincoli burocratici, per incentivare un piano di recupero di qualità, riconoscendo l’interesse pubblico e la valenza sociale di un piano ambizioso. Magari anche con qualche progetto-pilota.

(Paola Pierotti, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Casa24”, 8 marzo 2018)

La casa diventa sempre più piccola

Pochi metri quadrati dotati di ogni comfort e curati nei minimi dettagli. Il nuovo filone immobiliare del microliving declina spazi piccoli da destinare a tutte quelle categorie che hanno necessità di un punto d’appoggio in città per lavoro, studio o per esigenze di turismo breve, coniugando design e buon gusto a costi che non siano proibitivi.

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Di esempi in Europa ce ne sono molti, migliorativi rispetto alle case anguste ideate a Hong Kong e che assomigliano più alla cabina dello Shuttle che agli “studio” parigini. Molti investitori puntano sul settore che basa la richiesta sulle esigenze delle nuove generazioni, che sempre più spesso vogliono vivere in affitto. I micro appartamenti, con una metratura massimo compresa fra i 30 e i 40 metri quadri di slp (superficie lorda di pavimento) stanno cominciando a prendere piede anche in Italia. «Le iniziative si concentrano soprattutto sul mercato milanese, ma sono già in progettazione nuovi sviluppi in altre importanti città italiane, soprattutto se sedi di importanti facoltà universitarie che attirano studenti da altre città e dall’estero» spiega Alessandro Ghisolfi, (…) di Abitareco. Secondo alcune indiscrezioni Investire Sgr avrebbe allo studio la realizzazione di un complesso con mini-appartamenti. Ben più ampio è il segmento all’estero. «In Germania sono stati realizzati oltre 25mila micro appartamenti - continua Ghisolfi -, e altre diverse migliaia sono in via di realizzazione per il 2018. Il governo federale tedesco ha approvato un piano di supporto per la realizzazione di questi edifici investendo oltre 120 milioni di euro negli ultimi due anni. Berlino, Francoforte, Amburgo sono le città nelle quali il mercato si sta sviluppando». Molto spesso all’estero, in città come Londra, Amsterdam o Berlino, coloro che affittano queste abitazioni sono disposti a fare una sorta di scambio fra la metratura (molto più ridotta rispetto agli standard) con una localizzazione in un quartiere che offra servizi e infrastrutture. «È per questo che iniziative di questo genere progettate in aree troppo anonime ai margini delle città rischiano di diventare dei flop per gli investitori» conclude Ghisolfi. I costi vanno di pari passo con la zona, ma sono resi contenuti dalla metratura ridotta. «All’interno degli stessi edifici sono spesso progettati degli spazi di condivisione per coloro che vi abitano, dalle sale comuni dove lavorare, alla lavanderia, sino alla zona pranzo con cucina comune - sottolinea Ghisolfi -. Gli affitti sono regolamentati a volte attraverso accordi con le autorità comunali locali e, comunque, si attestano sempre a valori inferiori rispetto al costo di un affitto per una stanza singola in un range compreso fra il 25 e il 50%. In città come Berlino o Amsterdam gli affitti medi sono di 400 euro al mese e generano dei rendimenti lordi annui compresi fra il 4,5 e il 5,5%». «In un mondo dove l’inquilino/proprietario è sempre più utente della casa, a partire dalla rivoluzione degli affitti brevi fino ai millennials che si spostano per motivi di lavoro o studio la casa ha finito per ridurre allo stretto necessario le sue dimensioni - dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari -. Oggi, secondo i dati Istat, una famiglia su tre è composta da una sola persona, che nel 2016 costituiscono il 31,6% per cento delle famiglie. Un dato che stravolge i consueti orientamenti del mercato residenziale italiano. La domanda nelle grandi città ricerca sempre di più spazi ristretti, compresi tra mono e bilocali, specie nelle zone centrali». Da New York a Seattle, fino a San Francisco, molti gli immobili che vanno dai 25 ai 37 metri quadri. E i mobili si adattano alla funzionalità richiesta. «Planair e Coima Image a Milano hanno realizzato svariati esempi di immobili di 30 mq, funzionali e con materiali innovativi ed elettrodomestici di classe A» dice Breglia. Lo stock residenziale italiano resta lontano da queste dimensioni, ma la domanda si converte. A Milano le abitazioni fino a 50 mq scambiate nel 2017 hanno superato il 14% del totale. Seguono Torino e Napoli con il 13 e 17,1%. A Roma l’11% degli acquirenti ha scelto il monolocale. (Paolo Dezza, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Il Sole24Ore.com-Casa24”, 1 marzo 2018)

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Casa, quattro vie per sostenere acquisto e mutuo

Giovani, persone con lavori precari o disoccupati: per le fasce deboli la casa di proprietà non è sempre un miraggio. Anche nel 2018 sono attivi diversi strumenti finanziari o agevolazioni per sostenere l’acquisto della prima casa. Primo fra tutti il fondo dell’Economia, che rilascia la garanzia statale per mutui fino a 250mila euro e che, dopo un avvio incerto, viaggia ora al ritmo di 100 domande al giorno. Questo strumento (gestito da Consap, la concessionaria pubblica di servizi assicurativi) rende più facile l’accesso al credito ai soggetti che non hanno solide garanzie finanziarie da presentare alle banche (oltre 170 quelle convenzionate), rilasciando garanzia a copertura di un massimo del 50% della quota capitale. Inoltre, le famiglie che nel corso di quest’anno dovessero essere in difficoltà nel pagare le rate del mutuo, potranno ripararsi sotto l’ombrello del fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa, istituito dalla legge 244/2007 e gestito sempre da Consap. Per situazioni particolari, quali la perdita di lavoro o l’insorgere di un’invalidità, si può chiedere la sospensione delle rate. L’Isee del nucleo familiare non deve superare i 30mila euro e il mutuo i 250mila euro; si possono saltare le rate per 18 mesi complessivi, divisi anche in due periodi. Durante la sospensione il fondo paga gli interessi alle banche, mentre il capitale sarà ripagato dal proprietario della casa allungando la durata del mutuo. Inoltre, l’Abi, l’associazione delle banche italiane, ha prorogato fino al prossimo 31 luglio l’accordo con le associazioni dei consumatori sulla sospensione della sola quota capitale dei finanziamenti concessi alle famiglie per l’acquisto di un’abitazione o dei crediti al consumo. Oltre al sostegno nei mutui per l’acquisto, quest’anno sono ancora attivi gli strumenti che possono dare una mano a diventare, nel giro di qualche anno, proprietario di casa a chi oggi non riesce a ottenere un finanziamento dalla banca o non ha risparmi sufficienti per pagare la parte del prezzo non coperta dal mutuo. Due sono le possibilità. Si può ricorrere al leasing immobiliare residenziale. Ad esempio, chi ha bisogno di una casa può chiedere a una banca o a una società di leasing di acquistare l’immobile o di farla costruire secondi i propri gusti. La società di leasing diventa proprietaria della casa e la mette a disposizione del cliente, il quale la abita pagando un canone mensile, semestrale o con la periodicità stabilita nel contratto di finanziamento. Alla fine del periodo di locazione previsto dal contratto, il cliente può acquistare l’alloggio pagando una rata di riscatto, che è superiore a quelle pagate periodicamente per utilizzarlo. Ma l’acquirente conosce il prezzo della casa fin dalla sottoscrizione del contratto di leasing. La legge di stabilità ̀per il 2016 ha concesso agevolazioni fiscali per le operazioni di leasing immobiliare per contratti relativi alle abitazioni principali (legge 208/2015, articolo 1, commi 82-83). Per incentivare il ricorso a questo strumento, ai futuri acquirenti delle abitazioni con un reddito non superiore a 55mila euro è concessa una detrazione dall’Irpef del 19% sia sui canoni annuii sia su quello finale di riscatto, per tutti i contratti stipulati fino al 2020. Per gli acquirenti con meno di 35 anni gli importi sui quali si applica la detrazione sono di 8milaeuro per i canoni e di 20mila euro per la rata finale; dai 35 anni in poi gli importi si dimezzano. Chi non riesce a ottenere un mutuo dalla banca può tentare di diventare proprietario di casa anche con il rent to buy (affitto con riscatto) disciplinato dal decreto legge 47/2014. Dal punto di vista sostanziale, il rent to buy è simile al leasing immobiliare residenziale: non si diventa subito proprietari ma dopo un periodo di locazione. A questo strumento si può ricorrere per alloggi sociali da destinare ad abitazione principale. Almeno sette anni di locazione devono trascorrere prima che l’inquilino possa chiedere di acquistare la casa dalla cooperativa o dall’impresa che l’ha costruita o ristrutturata. L’opzione deve essere esercitata entro il decimo anno. Non è previsto nessun incentivo fiscale per l’acquirente. Ma trattandosi di alloggi sociali, i prezzi dovrebbero essere più bassi di quelli di mercato poiché sono il risultato delle convenzioni che i costruttori sottoscrivono con le amministrazioni comunali sul cui territorio sono localizzati.

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FONDO DI GARANZIA PRIMA CASA Cos’è. Il fondo fornisce alle banche una garanzia sui mutui concessi per l’acquisto della prima casa. La garanzia copre il 50% del solo capitale di un mutuo non superiore a 250mila euro. Il mutuo non può essere impiegato per l’acquisto di abitazioni signorili, ville, palazzi e immobili di lusso Come funziona. Oltre ad agevolare l’acquisto, le garanzie possono essere concesse anche su mutui per interventi di ristrutturazione e di aumento dell'efficienza energetica Riferimenti. Sui siti di Consap (www.consap.it) e Abi (www.abi.it) la lista della banche convenzionate FONDO DI SOLIDARIETÀ PRIMA CASA Cos’è. Il fondo può aiutare a salvare la casa alle famiglie che hanno temporanee difficoltà nel pagamento delle rate del mutuo acceso per l’acquisto della prima casa a causa di una riduzione del reddito familiare Come funziona. Il fondo permette di sospendere le rate del mutuo nel caso in cui il suo beneficiario perda il lavoro, con contratto a tempo determinato o indeterminato o parasubordinato, o nel caso in cui muoia o diventi invalido. Il fondo interviene su mutui di importo non superiore a 250mila euro concessi a proprietari di immobili con un Isee non superiore a 30mila euro Riferimenti. La domanda di sospensione va indirizzata alla banca che ha erogato il mutuo, il fondo è gestito da Consap (www.consap.it) LEASING IMMOBILIARE RESIDENZIALE Cos’è. Il leasing immobiliare residenziale è uno strumento che consente fino al 31 dicembre 2020 di abitare una casa fin dal momento della sottoscrizione del contratto pagando un canone ma rinviando la decisione di acquisirla in proprietà Come funziona. L’acquisto della prima casa con un contratto di leasing immobiliare residenziale è favorito con agevolazioni fiscali. I soggetti con un reddito inferiore a 55mila euro e di età inferiore a 35 anni possono detrarre dall’Irpef il 19% sui canoni di leasing, entro il limite di 8mila euro l’anno, e sulla rata di riscatto finale per un importo non superiore a 20mila euro. Per chi ha oltre 35 anni queste cifre si dimezzano AFFITTO ABITAZIONE CON RISCATTO Cos’è. L’affitto con riscatto, noto anche come rent to buy, permette di diventare proprietari di una casa dopo averla abitata come inquilino per almeno sette anni Come funziona. L’opzione di acquisto deve essere esercitata entro 10 anni dall’inizio della locazione. L’affitto con riscatto deve riguardare la prima casa e il futuro acquirente e i familiari non devono possederne, sul territorio regionale, già una adeguata alle loro esigenze. Il prezzo di vendita dell’alloggio è stabilito tra il compratore e il venditore, ma non può superare l’importo stabilito nella convenzione che l’impresa costruttrice deve sottoscrivere con il Comune. Non ha incentivi fiscali LE SCADENZE 31 luglio 2018 Scade in questa data l’accordo Abi-consumatori per sospendere la sola quota di capitale nei mutui per l’acquisto della prima casa o credito al consumo 31 dicembre 2020 Data limite per stipulare contratti di leasing immobiliare per la prima casa e ottenere le detrazioni fiscali su canoni e rata finale di riscatto. Per i giovani sotto i 35 anni la detrazione è del 19% su 8mila euro massimo di canone e 20mila di riscatto. Importi dimezzati dai 35 anni in poi

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Dieci anni dal contratto Termine ultimo per esercitare l’opzione di riscatto presso il costruttore per alloggi locati con il rent to buy. L’opzione di riscatto può essere avviata dopo i primi sette anni di locazione (Raffaele Lungarella, Il Sole 24 ORE – Estratto da “Primo Piano”, 26 febbraio 2018)

Le ristrutturazioni tengono a galla il mercato dell’edilizia

Anche i dati Ance relativi al mercato dell’edilizia del 2017 confermano come siano ristrutturazioni e riqualificazioni a mantenere in vita il settore. L’associazione dei costruttori, nel suo osservatorio congiunturale (…), registra investimenti in nuova edilizia ancora negativi (-0,7%), mentre gli investimenti per la riqualificazione del patrimonio abitativo nel 2017 hanno continuato il loro trend positivo con un +0,5%. Il risultato deriva principalmente dalla proroga del potenziamento degli incentivi fiscali per le ristrutturazioni e l’efficienza energetica. In decisa crescita sono però anche il numero dei permessi di costruire aumentati dell’11,7% nei primi 6 mesi del 2017. Tanto che l’Osservatorio prevede la fine della recessione nelle costruzioni per il 2018, con un +2,4% in valori reali, trainato in particolare da nuove abitazioni (+3,7%) e, pur tra le difficoltà, dai lavori pubblici (+2,5%). Nel complesso, comunque, nel 2017 gli investimenti in costruzioni sono ancora fermi (-0,1%), nonostante i «cospicui stanziamenti» (+72%) messi in campo nel 2016 dal Governo per il settore delle opere pubbliche. «Questi sforzi – rileva l'Ance – sono stati azzerati dall’inefficienza della Pa» e, anche nel 2017 il settore dei lavori pubblici registra un netto calo (-3%) rispetto al 2016. La performance peggiore è quella dei Comuni, che nello scorso anno hanno ridotto la spesa per investimenti in opere pubbliche di circa 800 milioni, pari a -7,4%. L’Ance ha quindi calcolato che «per inefficienza della Pa» si perderanno nel biennio 2017-2018 6 miliardi di euro di previsioni di spesa. «Non siamo il Calimero del sistema industriale, il 95-97% dei materiali usati dalle nostre aziende sono prodotti in Italia e noi non delocalizziamo», ha commentato il presidente dell’Ance Gabriele Buia rispondendo a uno degli imprenditori partecipanti alla presentazione dei dati che sottolineava come (…) Carlo Calenda sia andato a Bruxelles per difendere i 500 posti di lavoro di Embraco che delocalizza in Slovacchia mentre «nessuno si muove quando noi dall’inizio della crisi abbiamo perso 600.000 posti di lavoro e 100mila». «Il nostro grande problema - ha sottolineato Buia – è che gli stanziamenti per lavori pubblici (rilevanti, diamo atto al governo uscente) non diventano investimenti, spesa effettiva, cantieri. Passano anni dagli stanziamenti ai cantieri, non si può andare avanti così». «Stiamo morendo di burocrazia – ha aggiunto - ma non vogliamo buttare il Codice appalti 2016 nel cestino. Chiediamo però al prossimo legislatore di sedersi a un tavolo insieme a noi per risolvere le molte problematiche ancora aperte nel Codice». Il settore è anche penalizzato da ritardi nei pagamenti che viaggiano ancora in media sui 100 giorni, a cui si aggiunge lo split payment che drena liquidità dalle imprese. «E poi c’è un sistema bancario che non ci è più amico come una volta. Serve – ha sollecitato Buia – una normativa che consenta finalmente di fare riqualificazione urbana, che consenta cioè la demolizione e ricostruzione». (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Il Sole24Ore.com-Casa24”, 21 febbraio 2018)

Immobiliare, Bankitalia: migliora la domanda, prezzi ancora inchiodati

Migliora la domanda sul mercato delle abitazioni in Italia nel quarto trimestre 2017 anche se i prezzi restano ancora inchiodati. Lo segnala la Banca d'Italia nel suo sondaggio congiunturale realizzato su un campione di 1.530 agenzie immobiliari. La quota di agenzie che ha venduto

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almeno un'abitazione (83,3%) è aumentata sia rispetto al sondaggio precedente (75,1%), sia nel confronto con lo stesso trimestre del 2016 (80,6%). Più accessibilità ai mutui Condizioni migliori anche per l'ampia accessibilità ai mutui da parte delle famiglie: solo il 15,4% degli agenti segnala alla Banca d'Italia la perdita di un mandato per la difficoltà di ottenere il mutuo da parte del potenziale acquirente. Si tratta della soglia minima da quando è nata la rilevazione, nel 2009. Pressioni sul ribasso dei prezzi Gli agenti coinvolti nel sondaggio di via Nazionale segnalano poi pressioni al ribasso sui prezzi: il saldo negativo tra la quota di operatori che segnala una crescita dei prezzi di vendita rispetto a quella che ne indica una diminuzione è peggiorato nel quarto trimestre 2017 a -23,8% da -21,9% alla fine del terzo trimestre. I giudizi sulla stabilità dei prezzi, tuttavia, restano prevalenti (67,8% del campione da 71,9% tre mesi prima). Le pressioni al ribasso sui prezzi si segnalano soprattutto nelle aree del Centro, a fronte di una tendenza favorevole nel Nord Ovest e nel Mezzogiorno. (Il Sole 24 ORE – Estratto da “Il Sole24Ore.com – Casa24”, 20 febbraio 2018)

Immobili: locazione e vendita Affitti brevi, successo al test di rendimento

Per qualcuno è diventata un’attività semi-professionale. Per altri è solo un modo di alleggerire il carico di imposte e spese legate alla casa, magari in attesa della vendita. Di certo, quello degli affitti brevi è uno dei trend più forti del momento sul mercato immobiliare. Tra opportunità di guadagno (a volte sovrastimate), proteste degli albergatori e interventi normativi da parte di Parlamento, Regioni e Comuni. Dietro il boom c’è internet, che facilita l’incontro tra domanda e offerta in un modo impensabile fino a pochi anni fa, unito all’aumento di abitazioni sfitte, inutilizzate o in vendita. Il portale Airbnb, ad esempio, ha visto crescere gli annunci pubblicati dagli 8.126 del 2011 ai 354mila dell’anno scorso; ancora più importante il trend di crescita rispetto al 2016: +53,9% su base annua. Non ci sono dati ufficiali, ma a fronte dei 2,8 milioni di case affittate con contratti “lunghi”, è probabile che una parte non trascurabile dei 5,4 milioni di case che le Finanze classificano come «a disposizione» siano locate per brevi periodi nell’anno. Del resto, secondo l’Istat nel periodo 2010-16 gli arrivi nelle strutture alberghiere sono cresciuti del 13,7%, mentre in quelle extra-alberghiere l’aumento è stato del 37,3 per cento. E anche se in quest’ultima categoria sono compresi tra l’altro case vacanze, bed and breakfast e campeggi, la tendenza è evidente. «C’è sicuramente interesse per gli affitti brevi, ma bisogna distinguere le diverse situazioni: in alcune zone non c’è richiesta da parte dei conduttori, in altre si punta su immobili urbani, in altre ancora sono stati valorizzati con questa formula immobili di pregio che rischiavano di restare inutilizzati», commenta Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. Spesso i proprietari sono in difficoltà nel capire quanto può rendere questa attività. «Gli incontri nelle nostre sedi territoriali sono molto partecipati – prosegue Spaziani Testa –. Arrivare a una stima del rendimento non è facile: si neutralizza il rischio di morosità dell’inquilino, ma bisogna ponderare con attenzione i periodi in cui l’immobile resta sfitto». La simulazione riportata in queste pagine, per quanto indicativa, offre un ordine di grandezza. Un alloggio di medie dimensioni in zona semicentrale a Milano, con un tasso di occupazione del 50% delle notti, può rendere – al netto di imposte spese – dai 6.400 ai 10.500 euro all’anno (a

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seconda di quanto il proprietario decida di usare il fai-da-te o di ricaricare alcune spese all’inquilino). Per avere un paragone con gli affitti “lunghi”, lo stesso appartamento può rendere 8.700 euro, considerando anche l’incidenza della morosità (si veda Il Sole 24 Ore del 20 novembre scorso). Attenzione, però: il report 2016 di Airbnb suggerisce cautela nel prevedere facili guadagni. Il tipico host italiano ha affittato la stanza o la casa per 23 giorni nell’anno e ha ricavato 2.200 euro. In generale, le occasioni più interessanti riguardano le zone turistiche, le città d’arte e i grandi centri. La gestione delle locazioni brevi impone di fare i conti anche con gli adempimenti burocratici. «L’altra faccia della medaglia – osserva il presidente di Confedilizia – sono le incertezze derivanti dalle normative regionali, soprattutto per chi viene incasellato dalla Regione, attraverso norme palesemente in contrasto con la Costituzione, come operatore professionale senza esserlo davvero». Anche su questo fronte – come in altri campi della sharing economy – la tecnologia corre più veloce della legge, che cerca di recuperare il terreno perduto dettando regole spesso contestate. Come l’obbligo di inserire negli annunci il Cir, codice identificativo, previsto dalla Lombardia. Nelle intenzioni della Regione, dovrebbe consentire tra l’altro ai Comuni di fare controlli, anche sul fronte Imu e Tasi, ma è duramente contestato da portali e proprietari. Secondo gli uffici regionali, a Milano, al momento le case vacanze iscritte sarebbero 2mila a fronte di 18-20mila operanti sul mercato. A livello nazionale, invece, è intervenuta la manovra di primavera del 2017, introducendo l’obbligo di ritenuta per gli intermediari, non applicata però da Airbnb, che ha fatto ricorso al Tar. In questo scenario si inseriscono anche le proteste degli albergatori, secondo i quali spesso la gestione di affitti brevi è un’attività economica a tutti gli effetti, che va disciplinata come tale. Così, mentre Airbnb sottolinea che in molti casi l’affitto ha aiutato i locatori a «integrare il reddito» o «mantenere la proprietà», il direttore generale di Federalberghi, Alessandro Nucara, replica che «il 58% degli annunci è pubblicato da persone che gestiscono più alloggi». Secondo gli albergatori si tratta anche di contrastare il rischio di evasione fiscale, che giudicano elevato, oltre a tutelare gli ospiti: «Mancano standard minimi di qualità. Servono nuove regole, ma anche più controlli perché è in gioco la sicurezza». (Cristiano Dell’Oste e Bianca Lucia Mazzei, Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 19 febbraio 2018) Immobili e condominio Amministratore, il gioco dell’oca dei requisiti

L‘articolo 71-bis disp. att. c.c. in tema di requisiti dell'amministratore così dispone: «Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio coloro: a) che hanno il godimento dei diritti civili; b) che non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; c) che non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione; d) che non sono interdetti o inabilitati; e) il cui nome non risulta annotato nell'elenco dei protesti cambiari;

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f) che hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado; g) che hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale. I requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma non sono necessari qualora l'amministratore sia nominato tra i condomini dello stabile. Possono svolgere l'incarico di amministratore di condominio anche società di cui al titolo V del libro V del codice. In tal caso, i requisiti devono essere posseduti dai soci illimitatamente responsabili, dagli amministratori e dai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi. La perdita dei requisiti di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma comporta la cessazione dall'incarico. In tale evenienza ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore A quanti hanno svolto attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, ` consentito lo svolgimento dell'attività di amministratore anche in mancanza dei requisiti di cui alle lettere f) e g) del primo comma. Resta salvo l'obbligo di formazione periodica». Per poter svolgere l'attività di amministratore di stabili devono ricorrere i requisiti prescritti dall'art. 71 bis disp. Att. c.c. Tra essi possono distinguersi le condizioni soggettive negative, date dalla mancata ricorrenza in capo all'amministratore di particolari condanne o misure di prevenzione da altre che si configurano come garanzia della professionalità dell'incaricato della gestione condominiale. Le prime, qualificabili come condizioni prescritte per l'attestazione dell'affidabilità del soggetto sono: il godimento dei diritti civili; l'assenza di condanne per delitti contro la pubblica amministrazione, l'amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio e per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni; l'assenza di misure di prevenzione, divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione. Infine l'amministratore non deve essere interdetto o inabilitato: anche se la norma non lo indica espressamente, occorre che lo stato di interdizione o di inabilitazione sia stato accertato in sede giudiziale e la relativa decisione sia divenuta definitiva. Per poter riprendere l'attività, lo stato di incapacità deve essere stato revocato giudizialmente. In questo gruppo si ritiene corretto far rientrare anche il caso dell'amministratore che è iscritto nel registro di chi ha subito protesti cambiari, anch'essa circostanza attestante la sua affidabilità. Il legislatore limita i casi in cui possono rilevare i protesti: sono indicati esclusivamente quelli attinenti alle cambiali e non anche altri titoli di credito. Sotto il profilo delle condizioni di professionalità, occorre che l'amministratore abbia conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado: qui è sufficiente la ricorrenza di questo titolo, anche se è stato conseguito presso un istituto scolastico che non insegna le materie specifiche attinenti alla gestione condominiale. Può trattarsi di un istituto per geometri ma può anche essere una qualsiasi altra scuola con indirizzo non attinente ai compiti che il mandatario dell'edificio deve svolgere. Da sempre si parla della professionalità dell'amministratore di condominio. La novella ha recepito le critiche nei confronti di chi esercita l'attività senza avere un titolo scolastico, richiedendone la sussistenza e la successiva specializzazione dato dall'aggiornamento periodico. La professionalità deve essere mantenuta nel tempo, con la partecipazione ad un corso di “addestramento” iniziale, seguito poi dalla formazione periodica nella materia di amministrazione condominiale. Si presume che la previsione di questi corsi successivi al diploma possano sopperire alle mancanze derivanti dall'aver frequentato una scuola secondaria di secondo grado che non ha attinenza alla professione di amministratore. L'aggiornamento periodico è prescritto per tutti gli amministratori, anche i diplomati in materie attinenti al condominio. Questi requisiti non sono necessari qualora l'amministratore è nominato tra i condomini dello stabile. Si ritiene che la mancata richiesta del requisito in simili casi sia dato dalla

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considerazione – implicita - che l'amministrazione del proprio edificio non è svolta a livello di attività lavorativa o professionale. Il riconoscimento della società di amministrazione di edifici è esplicitata dalla norma in esame. In caso di società, i requisiti fino ad ora analizzati devono sussistere in capo ai soci illimitatamente responsabili, agli amministratori e ai dipendenti incaricati di svolgere le funzioni di amministrazione dei condomini a favore dei quali la società presta i servizi. Com'è noto, inizialmente la giurisprudenza negava l'amministrazione condominiale alle società. Una prima apertura è stata effettuata nei confronti delle società di persone per poi prevedere l'estensione anche nei confronti delle società di capitali. La norma pare aver recepito quest'ultimo orientamento, laddove dispone che gli amministratori della società devono essere in possesso dei requisiti qui previsti, essendo un chiaro riferimento alle società di capitali. Poiché esercitano l'amministrazione condominiale, essi devono essere in possesso dei requisiti onde rispettare il rapporto fiduciario che lega la società al singolo edificio (Cass 11155/1994; Trib. Milano, 25settembre 2009; Cass. 1406/2007; Cass. n. 22840/2006) Occorre ricordare che la nuova Legge deontologica degli avvocati, L. 247/2012, “Disciplina della professione di avvocato” prevede in generale che “La professione di avvocato è incompatibile: a) con qualsiasi altra attività di lavoro autonomo svolta continuativamente o professionalmente, escluse quelle di carattere scientifico, letterario, artistico e culturale, e con l'esercizio dell'attività di notaio...”. In merito, il Consiglio Nazionale Forense, con il parere del 20 febbraio 2013 con cui ha effettuato la prima interpretazione della legge forense riformata, ha affermato che l'avvocato può essere amministratore del condominio in cui abita. Non solo. “L'attività di amministratore di condominio si riduce, alla fine, all'esercizio di un mandato con rappresentanza conferito da persone fisiche, in nome e per conto delle quali egli agisce e l'esecuzione di mandati, consistenti nel compimento di attività giuridica per conto ed (eventualmente) in nome altrui è esattamente uno dei possibili modi di svolgimento dell'attività professionale forense sicché la circostanza che essa sia svolta con continuità non aggiunge né toglie nulla alla sua legittimità di fondo quale espressione, appunto, di esercizio della professione”. Ciò in quanto la “riconducibilità dell'attività all'area del mandato e di quest'ultimo ad una modalità di esercizio della professione forense”” l'avvocato può pertanto svolgere anche solo l'attività di gestione condominiale. La Cassazione n. 9741/2013 ha ormai chiarito quando l'attività dell'amministratore di condomini è riconducibile a mandato e quando a contratto d'opera professionale: “per le attività professionali non protette svolte dal mandatario non professionista, l'art. 1709 c.c. non impone che il compenso sia determinato nella stessa misura prevista, per il professionista, dalle tariffe professionali. Inoltre, ai fini della determinazione del compenso del mandatario, il ricorso all'equità postula e soddisfa proprio l'esigenza di correlazione tra la prestazione ed il compenso, mentre è escluso che la disciplina del mandato sia riconducibile a quella del contratto d'opera, per il quale, invece, l'art. 2225 c.c. espressamente prevede che il corrispettivo sia determinato anche in considerazione del risultato ottenuto; ………ai fini della determinazione del compenso del mandatario il ricorso all'equità postula e soddisfa proprio l'esigenza di correlazione tra la prestazione e il compenso, correttamente escludendo che la disciplina del mandato sia riconducibile a quella del contratto d'opera, per il quale l'art. 2225 c.c. espressamente prevede che il corrispettivo sia determinato anche in considerazione del risultato ottenuto” e, soprattutto, ai fini che qui interessano, vi si legge che “nel contratto d'opera il prestatore sopporta il rischio del lavoro (rectius: dell'esecuzione dell'opera a regola d'arte ex art. 2224, primo comma, c.c.) ed i relativi costi, al contrario di quanto avviene nel mandato, che va eseguito con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1710, primo comma, c.c.) e con i mezzi somministrati dal mandante (art. 1719 c.c.)” La perdita dei requisiti che sopra abbiamo definito come condizioni di affidabilità (di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del primo comma della norma in esame) comporta la cessazione dell'incarico. In simile evenienza, ciascun condomino può convocare senza formalità l'assemblea per la nomina del nuovo amministratore.

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In via transitoria, per quanti hanno svolto l'attività di amministrazione di condominio per almeno un anno nell'arco dei tre anni precedenti alla data di entrata in vigore della presente disposizione, l'incarico di amministratore può essere assunto anche in assenza del titolo di studio della scuola secondaria di secondo grado e del corso di formazione iniziale. L'aggiornamento periodico è invece sempre richiesto. È prescritto l'obbligo di aggiornamento a tutto campo: il mandatario di edifici deve partecipare a corsi di formazione periodica. Non è prescritta alcuna scadenza temporale della specializzazione o una durata minima in termini di ore. Quest'obbligo non sussiste in capo al condomino amministratore del proprio stabile. (Anna Nicola, Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 2 marzo 2018)

Immobili e condominio: economia, fisco e agevolazioni Redditi Pf 2018: gli affitti brevi arrivano nel nuovo quadro LC

Il nuovo quadro LC del Modello Redditi Pf 2018 accoglie la recente disciplina sulle cosiddette locazioni brevi introdotta dall’articolo 4 del Dl 50/2017. Si ricorda, infatti, che a decorrere dal 1° giugno 2017 ai redditi derivanti da queste locazioni è possibile applicare un’imposta sostitutiva nella forma della cedolare secca del 21%. L’articolo 4 del Dl 50/2017 individua nelle locazioni brevi quei «contratti di locazione di immobili ad uso abitativo di durata non superiore a 30 giorni, ivi inclusi quelli che prevedono la prestazione dei servizi di fornitura di biancheria e di pulizia dei locali, stipulati da persone fisiche, al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, direttamente o tramite soggetti che esercitano attività di intermediazione immobiliare, ovvero soggetti che gestiscono portali telematici, mettendo in contatto persone in cerca di un immobile con persone che dispongono di unità immobiliari da locare». La stessa possibilità è stata estesa anche ai redditi derivanti dai contratti di sublocazione e dai contratti a titolo oneroso conclusi dal comodatario aventi ad oggetto il godimento dell’immobile da parte di terzi. Alla luce di quanto sopra, da quest’anno, tra i soggetti obbligati alla compilazione del nuovo quadro LC, rientrano anche le persone fisiche non titolari di partita Iva che locano a soggetti, anch’essi persone fisiche che agiscono al di fuori dell’attività di impresa, un’unità immobiliare a destinazione residenziale (classificate nelle categorie catastali da A1 a A11, ad esclusione di A10, e le relative pertinenze, nonché le singole stanze), per una durata inferiore a 30 giorni, e pertanto non soggetta a registrazione obbligatoria. Sono esclusi da tale disciplina i soggetti che esercitino un’attività commerciale anche se in modo occasionale, ossia quando i canoni di locazione percepiti sono redditi diversi ex articolo 67, comma 1 lettera h) del Tuir, piuttosto che redditi fondiari (o derivanti dalla sublocazione o dal contratto di comodato). L’opzione per la cedolare secca andrà espressa direttamente nel quadro RB del modello Redditi Pf in colonna 11, così come, nello stesso quadro, andranno indicati i redditi derivanti da detta tipologia di locazione, oltre agli altri (colonna 14). Qualora si proceda alla registrazione del contratto, l’opzione dovrà essere espressa anche in tale sede. La funzione del nuovo quadro LC, infatti, è proprio quella di liquidare l’imposta dovuta sui corrispettivi incassati dalle locazioni brevi, per i quali si è optato per l’imposta sostitutiva del 21% e dai canoni di locazioni per i quali si è optato per la cedolare secca al 21% o al 10%, ricomprendendo, quindi, tutti quei contratti per i quali il locatore ha scelto la cedolare secca.

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Ricordiamo, infine, che la circolare dell’agenzia delle Entrate 24/E/2017, sempre nell’ambito delle locazioni brevi, ha chiarito che: - la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali sono servizi che devono ritenersi strettamente funzionali alle esigenze abitative di breve periodo; -include tra i servizi di cui all’articolo 4 anche la fornitura di utenze, il wi-fi e l’aria condizionata; -il servizio di colazione o di fornitura pasti, invece, costituisce un servizio commerciale ed esclude l’applicabilità dell’imposta sostitutiva. (Paola Bonsignore e Pierpaolo Ceroli, Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 9 marzo 2018) La seconda-prima casa sfida il Fisco

La Cassazione apre probabilmente una nuova era nella storia dell’agevolazione per l’acquisto della «prima casa». La sentenza 2565/2018 proclama infatti, a chiare lettere, che la proprietà di una casa «non idonea» a uso abitativo non ostacola l’acquisto agevolato di un’altra abitazione (senza dover necessariamente alienare la casa «preposseduta»). Si consolida così l’orientamento inaugurato con la sentenza 18128/2009 e l’ordinanza 100/2010. Pertanto, quando la legge sull’agevolazione (la nota II-bis all’articolo 1, Tariffa parte I, allegata al Dpr 131/1986) dispone che non può comprare la «prima casa» il contribuente nella situazione di «prepossidenza» di un’altra casa, si dovrebbe interpretare tale normativa (secondo la Cassazione) come se dicesse che è impedito l’acquisto della «prima casa» al contribuente che abbia: nel medesimo Comune, la piena proprietà (o il diritto di uso, usufrutto o abitazione) di altra casa idonea all’uso abitativo; in qualsiasi parte del territorio nazionale, la piena o nuda proprietà (o il diritto di uso, usufrutto o abitazione) di altra casa, acquistata con l’agevolazione «prima casa». Il ragionamento della Cassazione è che quando la legge prescrive l’«impossidenza» di altre case nel medesimo Comune, tale situazione vi sarebbe anche nell’ipotesi di «possidenza» di case che non si prestino a essere atte all’uso abitativo del contribuente. Si aprono però almeno tre problemi. Il primo è che l’amministrazione non è mai stata d’accordo di dar rilievo alla pretesa inidoneità dell’abitazione preposseduta: con toni diversi, correlati alla legislazione tempo per tempo vigente, il Fisco ha espresso contrarietà a questo ragionamento nella risoluzione 86/E del 2010, nella circolare 1/E del 1994, nella risoluzione n. 311657 del 1989 e nella circolare 29/9/1449 del 1982. Il secondo problema è che la legge impone, per ottenere l’agevolazione «prima casa», che il contribuente dichiari, nell’atto di acquisto di essere in una situazione di «impossidenza»; e sanziona la dichiarazione mendace pretendendo l’imposta ordinaria e la pena pecuniaria pari al 30% della differenza tra l’imposta agevolata e l’imposta ordinaria: in soldoni, il 9,1% della base imponibile se l’atto è tassato con il registro (e, quindi, sulla rendita catastale moltiplicata per 126) oppure il 7,8% della base imponibile se l’atto è a Iva (e, quindi, sul prezzo della compravendita). Chi si fida a sfidare il fisco rischiando la contestazione della dichiarazione mendace? Il terzo problema è come tradurre in pratica il concetto di «inidoneità» della casa preposseduta: la Cassazione chiaramente dice che può trattarsi sia di una situazione oggettiva

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(e cioè attinente allo stato dell’immobile), sia di una situazione soggettiva (cioè inerente alle condizioni personali del contribuente). Inidonea potrebbe dunque essere una casa divenuta troppo piccola (per l’aumento del numero dei famigliari del contribuente in questione) o troppo grande (a causa della loro diminuzione); oppure, una abitazione prima tranquillamente utilizzabile ma che poi si renda inaccessibile (perché ubicata in un piano elevato non servito da un ascensore) a chi resti vittima di un incidente che ne comprometta la deambulazione; oppure, una casa posizionata in un luogo insalubre per il mutamento delle condizioni di salute del suo proprietario o che si renda inutilizzabile a causa della distanza dal suo luogo di studio o di lavoro; oppure, l’abitazione sulla quale il contribuente non abbia un diritto che non ne comporti «il potere di disporne come abitazione propria» (la Cassazione con sentenza 21289/2014 ha giudicato inidonea l’abitazione di cui il contribuente era comproprietario solo per il 5%); oppure una casa priva di impianti o servizi o resasi pericolante o fatiscente; eccetera. Insomma, si finisce per discutere (Cassazione 2278/2016) se sia idonea la casa in cui ogni bambino, di diverso sesso, non abbia la sua stanza.

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(Angelo Busani, Il Sole 24ORE – Estratto da “Norme e Tributi”, 6 marzo 2018)

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Cambio residenza, la forza maggiore salva dalle sanzioni

Chi compra la «prima casa» deve risiedere nel Comune ove è ubicata l’abitazione oggetto di acquisto o deve andarvi a risiedere entro 18 mesi dal rogito, obbligandosi espressamente in tal senso nell’atto di acquisto. In caso di inadempimento, vi è il recupero dell’imposta ordinaria e l’applicazione della sanzione del 30% della differenza tra l’imposta ordinaria e l’imposta agevolata (risoluzione 105/E del 2011; Cassazione, sentenze 10807/2012, 18378/2012,15959/2013). Spesso si pone però il tema se il contribuente possa esimersi dal pagamento della sanzione (Cassazione 2552/2003) o dal recupero dell’imposta ordinaria (risoluzione 35/E del 2002) al ricorrere di un evento di «forza maggiore» che impedisce il trasferimento della residenza: nel caso del terremoto in Umbria l’amministrazione riconobbe la ricorrenza della «forza maggiore» per il fatto che il contribuente non riuscì a trasferire la propria residenza nel Comune terremotato a causa del lesionamento di una grande quantità di edifici (risoluzione 35/E del 2002); e anche successivamente l’agenzia delle Entrate si è dimostrata disponibile a valutare la ricorrenza della «forza maggiore» (risoluzione 140/E del 2008) in presenza di un evento, successivo al contratto di acquisto, imprevedibile per il contribuente e non dipendente dal suo comportamento. La giurisprudenza di merito e legittimità ha ritenuto, in numerose occasioni, la ricorrenza del caso di «forza maggiore», teorizzandolo come l’evento sopravvenuto al contratto, non fronteggiabile dal contribuente, imprevedibile, inevitabile e non imputabile al contribuente stesso (si veda ad esempio Cassazione n. 17442/2013). Per un attimo, vale a dire per effetto della sentenza di Cassazione n. 2616 del 10 febbraio 2016 è parso che questa tendenza al riconoscimento della «forza maggiore» fosse stata smentita: in tale sentenza, infatti, è stato affermato che il contribuente, il quale non sia riuscito a trasferire la sua residenza, non può in alcun caso scusarsi adducendo ragioni di «forza maggiore»: qualora l’acquirente domandi l’agevolazione «prima casa», impegnandosi a stabilire la propria residenza nel territorio del Comune dove si trova l ’immobile acquistato nei 18 mesi successivi all’acquisto, «il trasferimento è onere che conforma un potere dell’acquirente e che va esercitato nel suindicato termine a pena di decadenza, sul decorso della quale nessuna rilevanza va riconosciuta ad impedimenti sopravvenuti, anche se non imputabili all’acquirente». In altre parole, la Cassazione ha sostenuto che se il legislatore avesse voluto dar rilievo a eventi di interruzione o di sospensione del termine di 18 mesi, l’avrebbe espressamente sancito. Senonché questa sentenza è rimasta isolata in quanto nella giurisprudenza successiva è stato nuovamente dato credito alla «giustificazione» discendente dalla «forza maggiore», senza tentennamenti, sia in sede di legittimità (Cassazione 8351/2016, 13148/2016, 13346/2016, 678/2017 e 6076/2017) che in sede di merito (Ctr Lombardia 14 aprile 2016, Ctr Lombardia 28 settembre 2016, Ctr Sicilia 2 dicembre 2016, Ctr Emilia-Romagna 2 gennaio 2017, Ctp Reggio Emilia 16 maggio 2017, Ctr Toscana 18 aprile 2017). (Angelo Busani, Il Sole 24ORE – Estratto da “Norme e Tributi”, 6 marzo 2018)

Prima casa, superficie sotto tiro

Il Fisco contesta l’agevolazione negli atti Iva precedenti il 13 dicembre 2014. Nel mirino del Fisco finisce la qualifica di lusso delle abitazioni acquistate come “prima casa” direttamente dal costruttore da parte di persone fisiche. Quello che si concentra sulle compravendite immobiliari è un filone accertativo consolidato, che negli ultimi tempi – stando alle segnalazioni arrivate al Sole 24 Ore – pare essersi arricchito di un nuovo profilo: la

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 19

negazione della qualifica di lusso in relazione atti stipulati fino al 13 dicembre 2014 (data di entrata in vigore del Dlgs 175/2014). I vantaggi, per i contribuenti persone fisiche che comprano una “prima casa”, sono i seguenti: -in caso di atti di trasferimento soggetti a imposta di registro, si applica l’aliquota del 2% (con il minimo di 1.000 euro), anziché quella del 9%, e le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna; -in caso di atti soggetti a Iva, si applica l’aliquota del 4% (anziché quella del 10% o del 22% a seconda dei casi) e l’imposta di registro fissa di 200 euro, oltre le imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro ciascuna. Il punto che qui interessa è che, oltre agli altri requisiti fissati dalla normativa per accedere alla “prima casa”, ne serve anche uno che è stato modificato di recente e in modo non contemporaneo per gli atti soggetti a registro e a Iva. Infatti, con la “vecchia” disciplina occorreva che l’abitazione non fosse qualificabile come di lusso in base ai criteri dettati dal Dm Lavori pubblici 2 agosto 1969; in base a quella “nuova”, invece, la casa non deve essere ricadere nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9. In particolare: -per gli atti soggetti a registro, la nozione catastale ha sostituito la “lussuosità” così come definita dal Dm 2 agosto 1969 a partire dal 1° gennaio 2014 (dall’entrata in vigore dell’articolo 10, comma 1, lettera a) del Dlgs 23/2011); -per gli atti soggetti a Iva, invece, il cambio è scattato solo a partire dal 13 dicembre 2014 (dall’entrata in vigore del Dlgs 175/2014). Il Dm Lavori pubblici del 2 agosto 1969 classifica, tra l’altro, all’articolo 6 come “di lusso” «le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a mq. 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)». Proprio con riferimento agli atti stipulati fino al 12 dicembre 2014 e relativi ad acquisti di abitazioni “prima casa” direttamente dai costruttori, gli uffici si soffermano spesso a controllare a tavolino innanzitutto la superficie degli immobili acquistati, ad esempio partendo dalla superficie che risulta in catasto. Se da questo controllo emerge che la superficie dell’immobile acquistato prima del 13 dicembre 2014 è superiore a 240 metri quadrati, il Fisco provvede all’immediata revoca dell’agevolazione “prima casa” per assenza dei requisiti necessari alla sua classificazione come “immobile non di lusso” e alla contestuale notifica di un atto in cui viene, conseguentemente, riliquidata la maggiore Iva calcolata secondo l’aliquota ordinaria del 22%, con l’irrogazione della sanzione pari al 30% della maggiore imposta. Generalmente, in questi casi non è ammesso l’accertamento con adesione. Ne consegue che, entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto, il contribuente è chiamato a difendersi, provando – anche magari in autotutela e/o in sede contenziosa – a spiegare le proprie ragioni e gli errori di calcolo della superficie in cui sarebbe incorso l’ufficio (ove possibile, naturalmente). In particolare, occorrerà dimostrare che la superficie utile dell’unità immobiliare acquistata è inferiore a 240 metri quadrati, così come calcolata da un perito che si attenga scrupolosamente ai criteri del Dm del 1969 (vigente all’epoca dell’atto di compravendita) e dal consolidato orientamento giurisprudenziale. In subordine, potrebbe essere utile censurare l’applicazione della sanzione perché irrogata in violazione del principio del favor rei, sancito dall’articolo 3, comma 3 del Dlgs 472/97. Pur riconoscendo che la nuova disciplina introdotta dal Dlgs 23/2011 ai fini dell’imposta di registro e dal Dlgs 175/2014 ai fini Iva, non ha applicazione retroattiva, la Cassazione ha stabilito che la stessa comporta l’applicazione del principio del favor rei in relazione alle sanzioni, dato che non può configurarsi il falso in relazione a una dichiarazione che attualmente l’ordinamento

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non considera più rilevante ai fini dell’applicazione del beneficio (tra le altre, Cassazione, sentenze 11621/2017 e 3357/2017). (Rosanna Acierno, Il Sole 24ORE – Estratto da “Norme e Tributi”, 5 marzo 2018)

Edilizia privata, bonus ristrutturazioni anche per l'intervento fai da te

«La detrazione delle spese per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, prevista dall'articolo 16-bis, Tuir, compete anche a chi esegue in proprio i lavori sull'immobile, limitatamente alle spese sostenute per l'acquisto dei materiali utilizzati». È quanto si legge sul quotidiano delle Entrate Fisco Oggi in risposta a un quesito pervenuto all'agenzia. «Si ricorda - dice ancora il giornale delle Entrate - che la legge di bilancio 2018 ha prorogato fino al 31 dicembre 2018 la misura potenziata della detrazione (50%, da calcolare su un importo massimo di 96.000 euro per unità immobiliare)». (Il Sole 24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 27 febbraio 2018) Professione Effetto privacy negli studi: costa di più tutelare i dati

Dai mille ai 1.500 euro l’anno: questo il costo della privacy per gli studi professionali di medie e piccole dimensioni. Esborso richiesto soprattutto quando ci si rivolge a un consulente esterno. Una spesa che peserà sempre di più sui bilanci, perché con l’operatività, a partire dal 25 maggio, del regolamento europeo, ci saranno almeno altri 500 euro l’anno da destinare alla gestione dei dati personali che transitano per gli studi professionali, a cominciare da quelli dei clienti. Aumentano, infatti, gli obblighi. Adempimenti mal digeriti dai professionisti, che finora hanno risposto principalmente in due modi: il fai da te, adottato in particolare negli studi legali, più versati agli aspetti giuridici della riservatezza; oppure ricorrendo a consulenze esterne, alle quali, di solito, si affida l’intero pacchetto-privacy: dalla predisposizione della modulistica alla vera e propria protezione dei dati. Ci sono poi studi che vanno più in là e stipulano una polizza per tutelarsi contro rischi particolari, come un atto di pirateria informatica con conseguente richiesta di riscatto per la restituzione dei dati trafugati. Oppure c’è chi, per non doversi occupare in prima persona delle misure di protezione, trasferisce i dati sulla “nuvola”, delegando al gestore la loro tutela. «Uno strumento - sottolinea Matteo Colombo, presidente di Asso Dpo, associazione di formazione e consulenza in materia di privacy - che sta prendendo sempre più piede. I gestori, come per esempio Google, vendono pacchetti per conformarsi al regolamento Ue trasferendo i dati sul cloud». È in atto una corsa contro il tempo perché, anche se le nuove norme europee sulla riservatezza si conoscono da quasi due anni, è in questi mesi che si sta affrontando il problema. «Abbiamo inviato di recente - spiega Marco Cuchel, presidente dell’Associazione nazionale commercialisti - una circolare a tutti gli iscritti per ricordare i nuovi obblighi e per segnalare un kit, disponibile grazie a una convenzione, con le misure per mettersi in linea con il regolamento e fare una valutazione ponderata dei rischi». È ancora Cuchel a spiegare i motivi dell’affanno: «La normativa sulla privacy è stata sempre vissuta dagli studi medio-piccoli come un fastidio, perché invasiva rispetto al lavoro quotidiano. È una legislazione nata per le grandi realtà e traslata senza graduazione sul resto dei professionisti».

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Ora, però, la prospettiva europea (regole uguali per tutti) e il giro di vite sulle sanzioni rende tutto più urgente. «Finora l’attenzione sulla privacy da parte di molti studi professionali - afferma Antonello Bevilacqua, componente dell’Organismo congressuale forense - non è stata massima. Anche perché le regole sulla riservatezza sono state vissute male: sono state varate senza sentire le categorie e hanno rivoluzionato il nostro lavoro. Se, però, la situazione fino a oggi è stata tollerata, nel futuro non lo sarà». Gli avvocati hanno in genere scelto il metodo fai-da-te. Il regolamento europeo, però, porta nuovi adempimenti e soprattutto un nuovo approccio: dal concetto di accountability a quello di privacy by design e privacy by default. Potrebbe, dunque, essere necessario rivolgersi all’esterno. È quanto solitamente fanno gli altri professionisti. «Chiamiamo in causa un consulente - aggiunge Cuchel - con un costo che, mediamente, è di 1.500 euro l’anno. Un esborso non di poco conto nel bilancio di uno studio medio-piccolo. E ora dovremo preventivare un aggravio di circa 500 euro». «È necessario mettersi nell’ottica che la privacy è un processo - commenta Colombo - e va affrontato secondo la cultura della compliance, consapevoli che il costo per un corretto trattamento dei dati alla fine si trasforma in un valore aggiunto per lo studio». Glossario Accountability: Principio di “responsabilizzazione”, cioè ogni azienda deve essere in grado di dimostrare la propria conformità al Gdpr. Dpia: Data protection impact assessment o valutazione d’impatto sulla protezione dei dati: consiste nella valutazione dei rischi derivanti dal trattamento di dati personali per i diritti e le libertà degli interessati nonché delle misure atte a mitigarli; obbligatoria quando si presume un rischio elevato. Data protection officer: (responsabile della protezione dei dati) nuovo organo indipendente di sorveglianza circa l’effettività del sistema realizzato dall’azienda per essere conforme al Gdpr; obbligatorio nei casi previsti dalla legge. Data breach: Qualsiasi violazione di sicurezza riguardante dati personali, come la distruzione, l’accesso, la modifica o la divulgazione non autorizzati dei dati, oppure la perdita degli stessi Dato personale: Qualsiasi informazione suscettibile di identificare un individuo. Gdpr: General data protection regulation ovvero il regolamento dell’Unione europea 2016/679 del 27 aprile 2016. Il regolamento diventerà operativo il 25 maggio prossimo in tutti i Paesi Ue, dopo due anni durante i quali è stato dato modo agli operatori di adeguarsi alle nuove regole. Il regolamento, che non ha bisogno di recepimento, manda in soffitta la direttiva 95/46/Ce, dalla quale hanno preso spunto le varie normative nazionali sulla privacy ora in vigore, compreso il codice italiano (il Dlgs 196/2003). Privacy by default: La protezione dei dati personali deve risultare come impostazione predefinita: vanno utilizzati solo i dati personali necessari allo specifico scopo legittimo perseguito e unicamente per il tempo essenziale allo scopo Privacy by design: Il profilo della protezione dei dati personali deve essere affrontato sin dalla fase di concepimento di nuovi progetti o processi, prodotti o servizi. Registro dei trattamenti: L’elencazione sistematica di tutti i trattamenti dei dati personali effettuati dall’azienda con indicazione dei principali elementi di dettaglio atti a identificarli Titolare del trattamento: L’azienda o l’ente pubblico che ha potere decisionale sull’uso dei dati personali di propria pertinenza

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 22

Manuale a misura di riservatezza in 14 punti

(Antonello Cherchi, Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 5 marzo 2018)

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Si parte dalla mappa delle informazioni

La legge sulla protezione dei dati personali si applica a tutti: grandi e piccole aziende, settore privato e ambito pubblico, associazioni e studi professionali. Il motivo è chiaro: nella società delle informazioni, il governo della loro corretta circolazione è compito di chiunque. Dunque, studi e associazioni professionali sono anch’essi catturati dalla rete a strascico del data protection. Quelli di grandi dimensioni o di profilo internazionale appaiono analoghi a imprese complesse. Più spesso, però, lo studio è composto da un titolare, coadiuvato da collaboratori e da un supporto amministrativo-segretariale: tutto ciò che non fa parte del processo professionale tipico viene esternalizzato per quanto necessario. Questa caratura organizzativa elementare rischia di andare in fibrillazione allorché affronta la conformità “alla privacy”; di converso, un corretto sistema di gestione delle informazioni non solo consolida la reputazione professionale, ma fa anche risparmiare tempo e denaro, grazie alla possibilità di avvalersi di dati corretti, pertinenti e sicuri. Il codice privacy e il regolamento Ue prevedono percorsi agevolati per le piccole imprese e per talune finalità perseguite dagli studi legali, come per le investigazioni difensive e l’esercizio del diritto di difesa. Nell’affrontare lo “scoglio privacy”, tocca al professionista, in primo luogo, riuscire a distinguere quando le informazioni sono gestite per esigenze proprie, con autonomia decisionale (cioè come “titolare del trattamento”), rispetto a situazioni in cui tale attività viene svolta per conto di un cliente (cioè come “responsabile”): l’operazione non è sempre agevole. Di certo, i dati personali dei propri dipendenti e collaboratori, come quelli dei clienti sono gestiti dal professionista in qualità di titolare del trattamento: riguardo a essi, infatti, il professionista decide le finalità d’uso, gli strumenti e le misure di sicurezza da adottare. «Responsabile» e «titolare» Al contrario, non sempre può risultare facile la determinazione del ruolo del professionista in merito alla gestione dei dati personali necessari per l’esecuzione dell’incarico ricevuto: il professionista agirà come “responsabile del trattamento”, per conto del cliente, quando quest’ultimo si troverà a impartire istruzioni sulla gestione dei dati mantenendo un proprio potere decisionale. In questo caso il professionista sarà vincolato a precisi obblighi contrattuali data protection, da formalizzare in un apposito atto giuridico. Se, invece, anche nella conduzione del mandato il professionista mantiene un’ampia autonomia nella gestione dei pertinenti dati personali, allora rivestirà il ruolo di titolare del trattamento e dovrà rispondere direttamente delle prescrizioni di legge. In proposito occorre sgombrare il campo da un equivoco alquanto diffuso: l’utilizzo dei dati personali da parte del singolo professionista, per esigenze dello studio professionale, non può essere considerato un uso per finalità personali, al quale non si applica la normativa sulla privacy (come nel caso di agende o rubriche). Sia nell’ambito della propria gestione organizzativa sia in quello della prestazione professionale, il professionista titolare del trattamento dovrà fornire l’informativa ai soggetti cui si riferiscono i dati personali che raccoglie e gestisce (dipendenti, collaboratori, visitatori, clienti). Analogamente, dovrà mettere in atto alcune procedure interne, ancorché semplici, per assicurare l’agevole risposta in caso di richiesta di accesso ai dati o di altre forme di esercizio dei diritti da parte degli interessati. Altro snodo fondamentale, è la discriminazione dei dati personali a più alto rischio (cosiddetti “sensibili” e “giudiziari”) dagli altri più “comuni”, in fase sia di archiviazione sia di loro circolazione, in modo da poter indirizzare adeguate risorse e protezioni laddove maggiormente necessario. Propedeutica, al riguardo, è l’attività di mappatura delle attività svolte in relazione ai dati personali gestiti e, in presenza di dati sensibili, l’evidenza documentale di tale rendicontazione (cioè il registro dei trattamenti, richiesto dal Gdpr). Con la piena applicazione di quest’ultimo eventuali data breach subiti dallo studio richiedono al titolare una serie di tempestivi e puntuali interventi per valutarne gli impatti, contenere gli

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 24

effetti e, se del caso, notificare al Garante e persino comunicare la violazione ai diretti interessati. Ma non sembri il tutto un apparato insostenibile per l’agile struttura dello studio professionale tipo. Il Gdpr tiene conto delle particolarità di organizzazioni “sotto-soglia”: ad esempio, il registro dei trattamenti non è dovuto per le organizzazioni con meno di 250 dipendenti e se non ci sono rischi; la notifica dei data breach non scatta se è improbabile il rischio per i soggetti interessati. Lo stesso legislatore promuove l’elaborazione di codici di condotta da parte di organizzazioni rappresentative di microimprese o Albi professionali, che tengano conto delle specificità dei trattamenti nei propri settori e delle esigenze di tali entità, in particolare calibrando gli obblighi in rapporto al potenziale rischio del trattamento per diritti e libertà degli individui. (Riccardo Imperiali e Rosario Imperiali, Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Diritto”, 5 marzo 2018)

Da maggio tagliola Ue sulla raccolta occulta

Si chiama General Data Protection Regulation, ma è meglio conosciuto come Gdpr. Entrerà in vigore il 25 maggio, senza possibilità di rinvii. E cambierà in modo importante il trattamento dei dati personali nei Paesi Ue, introducendo regole molto rigide che impatteranno sui sistemi di raccolta e profilazione conosciuti fino a oggi. Quello ottenuto dal garante europeo è un risultato storico, in chiave di tutela della privacy. Un regolamento che rischia di sbattere violentemente contro un sistema impresa che, a poco più di quattro mesi dall’entrata in vigore, fa ancora molta fatica ad allinearsi. E il rischio di incorrere in sanzioni diventa pesantissimo. Il Gdpr, infatti, è un regolamento. E i regolamenti non richiedono provvedimenti legislativi da parte degli stati membri. Per chi non applicherà le nuove regole imposte dal garante europeo sono previste sanzioni fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato annuale dell’azienda non in regola. Quello che succederà con l’entrata in vigore del nuovo dettame normativo riguarda innanzitutto la raccolta dei dati. Il sistema attuale è un po’ una giungla, e i dati personali sono alla mercé di società di marketing a pochi centesimi di euro. Dal 28 maggio la raccolta dei dati diventerà “esplicita”, ovvero potrà essere effettuata solo dopo un esplicito consenso da parte del consumatore. In altre parole: i siti che oggi prelevano i nostri dati (quindi le nostre abitudini) con una facilità disarmante, con il nuovo regolamento europeo non avranno più vita facile. «La diffusione capillare delle tecnologie digitali, attraverso social network e sensoristica IoT, è stato uno dei motivi principali che ha portato la Commissione Ue ad aggiornare la direttiva privacy sulla tutela dei dati personali tramite il General data protection regulation», ha commentato Carlo Vercellis del Politecnico di Milano. E ha aggiunto: «l’adozione del nuovo regolamento pone novità nell’impiego delle nuove opportunità offerte dai Big Data, soprattutto per la necessità di specificare, all’atto della raccolta dei dati personali, tutti gli ambiti per i quali essi verranno utilizzati». Secondo Vercellis, tuttavia, «mediante adeguati accorgimenti (pensiamo ad esempio all’impiego più diffuso di app mobile) le imprese riusciranno a utilizzare i Big Data anche nel quadro della Gdpr». Ma a che punto sono le aziende italiane? All’anno zero, in molti casi. Nonostante manchino esattamente 128 giorni all’entrata in vigore del regolamento, da una ricerca di TrendMicro che ha coinvolto anche l’Italia, il 64% del campione intervistato, ad esempio, non è a conoscenza che la data di nascita di un cliente è classificata come dato personale. Inoltre, il 42% non classificherebbe i database di e-mail come dati sensibili, il 32% non lo farebbe con gli indirizzi di domicilio e il 21% con l’indirizzo e-mail personale. Questi risultati indicano che le aziende non sono in realtà così preparate o al sicuro come credono di essere. (Il Sole 24ORE – Estratto da “Impresa e Territori”, 23 febbraio 2018)

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 25

Associazione Convegno di Confedilizia sui condhotel: un buon decreto ma servono

interpretazioni

Promosso, ma con necessità di interventi, quantomeno interpretativi. È questo il succo del Convegno (il primo in assoluto in argomento) che Confedilizia ha tenuto ieri a Roma, presso la Sala Einaudi, a proposito del nuovo istituto, il Condhotel, che dal 6 scorso con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è previsto faccia il proprio ingresso nel nostro ordinamento giuridico e ciò da quando entrerà in vigore – il prossimo 21 marzo – il Dpcm 13/2018 che ha istituito questa forma di utilizzazione degli immobili (ad uso misto, alberghiero ed abitativo, in attuazione dell’articolo 31 del Dl 133/2014 convertito in legge 164/2014) che già è prevista da diverse legislazioni straniere, specie del mondo anglosassone. Il Condhotel, in sostanza, è stato giudicato come un “istituto esigenziale”, che risponde cioè ad una specifica esigenza (quella, è stato detto, di consentire la riqualificazione delle strutture alberghiere), ma introducendo – allo scopo, appunto – un nuovo istituto, e non venendo incontro all'esigenza in parola nell'ambito di una normativa generale. Analogamente, il legislatore ha del resto provveduto per gli istituti del trust disabili, del patto marciano (forma di garanzia), del leasing immobiliare, del prestito vitalizio ipotecario e del rent to buy, istituti tutti – peraltro – che hanno finora avuto non certo un consistente sviluppo e tantomeno una diffusa applicazione. È poi stato osservato al Convegno di Confedilizia che quello della riqualificazione alberghiera è uno scopo importante (consentirà sostanzialmente agli albergatori che vogliono rinnovare la propria struttura di vendere unità del proprio immobile ricavandone un'entrata per provvedere ai necessari lavori di ristrutturazione), ma anche che le potenzialità del Condhotel al fine di una definitiva e consolidata ripresa saranno appieno sfruttate solo con una norma interpretativa di quanto – ad avviso di molti dei giuristi che sono intervenuti nella discussione svoltasi alla Sala Einaudi della Confedilizia in Roma, fra cui la dott. Caterina Garufi, magistrato – il Dpcm già prevede, e cioè che si possa intervenire anche su immobili che non siano già stati utilizzati con una specifica destinazione. Altre perplessità, con i relativi rimedi, sono emerse a proposito di specifiche precisazioni normative, in attesa della legislazione regionale integrativa e con particolare riferimento alla fattispecie di Condhotel che attiene all'accentramento di diversi appartamenti ubicati ad una distanza di non più di 200 metri dalla struttura alberghiera che farebbe da perno all'accentramento stesso. Altre osservazioni importanti in merito ai rapporti che nascono, a proposito del Condhotel, ove lo stesso si sviluppi nell'ambito di una struttura condominiale o comunque con rapporti di tipo condominiale. Infatti, è stato sottolineato – in una con l'evidenziazione che Confedilizia non è stata consultata né dalla Presidenza del Consiglio né dal Mibact, Ministero proponente, e ciò pur nell'ambito di una istruttoria durata per più di due anni – che molte norme condominiali sono inderogabili per dettato di legge e anche da volontà contrattuali diffuse. Tutto un “mondo” e un aspetto che non è minimamente previsto e regolato dalla normativa che ora è alla vigilia dell'entrata in vigore. Queste le conclusioni del Convegno Confedilizia e della discussione – moderate dal Presidente Spaziani Testa – che si è svolta successivamente alle relazioni degli avvocati Sforza Fogliani e Scalettaris. (Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 9 marzo 2018)

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 26

Confedilizia: nuovo governo consideri peso rilevante settore immobiliare

Le elezioni politiche hanno dato "il loro verdetto: un verdetto portatore di incertezza ma chiaro nell'indicazione dei rapporti di forza fra coalizioni e partiti". Lo afferma il Presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, in una nota. L'auspicio, aggiunge, è "che la maggioranza che verrà a formarsi consideri l'immobiliare per quello che è" ovvero "un unico settore costituito da tanti operatori: sviluppatori, costruttori, agenti immobiliari, produttori e fornitori di componenti e servizi, gestori, amministratori. Un settore di cui la politica deve finalmente comprendere il peso rilevantissimo sul Pil del nostro Paese". (Il Sole 24ORE – Estratto da “Il Sole 24 Ore Radiocor Plus”, 7 marzo 2018) Le dieci proposte del mondo immobiliare per il rilancio del settore

Confedilizia e le altre associazioni del mondo immobiliare (Fiaip, Finco, Confassociazioni, Aspesi, Adsi, Gesticond, Avi, Anbba, Assindatcolf, Assotrust e Ape) hanno presentato oggi le loro proposte perché vengano raccolte dal mondo politico in competizione elettorale. Le dieci idee, espresse in un manifesto, sono aperte a tutte le realtà del settore immobiliare che vorranno portare il proprio contributo alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo del real estate, alle forze politiche che si apprestano a guidare il Paese, perché la crescita del settore immobiliare si basi su un modello condiviso tra forze di maggioranza e di opposizione; ai cittadini, perché la stabilità sociale delle famiglie e del singolo proviene anche da una maggiore facilità di accesso al bene casa. «Occorrono - si legge nel manifesto - azioni forti finalizzate a rimuovere i vincoli normativi e fiscali che impediscono al settore immobiliare di svolgere quella funzione di motore di sviluppo dell'economia che da sempre lo ha caratterizzato. Ecco, in sintesi, le proposte: 1. Riduzione della pressione fiscale sul comparto immobiliare 2. Sviluppo e rilancio dell'investimento immobiliare da destinare alla locazione da parte di gestori professionali, imprese e privati 3. Estensione della cedolare secca a tutti i contratti di locazione 4. Garanzia per il locatore di rientrare in possesso dell'immobile in tempi certi 5. Liberalizzazione delle locazioni commerciali 6. Stabilizzazione degli incentivi per gli interventi di manutenzione, riqualificazione, fficientamento energetico e miglioramento sismico del patrimonio edilizio e semplificazione della normativa riguardante i titoli edilizi 7. Misure di stimolo e di sostegno alla rigenerazione urbana 8. Incentivi fiscali per le permute immobiliari 9. Sviluppo del turismo attraverso la proprietà immobiliare privata 10. Istituzione, all'interno del Governo, di una cabina di regia per lo sviluppo immobiliare, la casa e l'edilizia. (Il Sole 24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 15 febbraio 2018)

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 27

LEGGE E PRASSI

(G.U. 8 marzo 2018, n. 33)

DECRETO LEGISLATIVO 11 gennaio 2018, n. 9 Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige recanti modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 381, in materia di pianificazione urbanistica. (G.U. 16 febbraio 2018, n. 39) DECRETO LEGISLATIVO 11 gennaio 2018, n. 10 Norme di attuazione dello Statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige, recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 1988, n. 574, in materia di esercizio delle funzioni notarili in provincia di Bolzano. (G.U. 16 febbraio 2018, n. 39) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 8 novembre 2017 Approvazione delle variazioni ed integrazioni del programma di interventi finanziati con le risorse di cui all'art. 9, della legge 30 novembre 1998, n. 413, rifinanziate dall'art. 36, comma 2, della legge 1° agosto 2002, n. 166, per la realizzazione di opere infrastrutturali di ampliamento, ammodernamento e riqualificazione dei porti e approvazione della ripartizione delle risorse. (G.U. 19 febbraio 2018, n. 41) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva in favore del Ministero dello sviluppo economico degli immobili siti nel comune di Calitri, nell'ambito del progetto n. 39/40/COM/6064 «svincolo sulla viabilità Calitri SS 401 Ofantina». (G.U. 20 febbraio 2018, n. 42) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva in favore del Ministero dello sviluppo economico degli immobili siti nel comune di Calitri, nell'ambito del progetto n. 39/40/COM/6012 «opere di infrastrutturazione del nucleo industriale di Nerico». (G.U. 20 febbraio 2018, n. 42) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva in favore del Ministero dello sviluppo economico degli immobili siti nel comune di Calitri, nell'ambito del progetto n. 39/40/COM/6063 «strada di collegamento dell'abitato di Calitri SS 401 Ofantina». (G.U. 20 febbraio 2017, n. 42) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 28

Espropriazione definitiva in favore del Ministero dello sviluppo economico degli immobili siti nel comune di Rapone, nell'ambito del progetto n. 39/60/6069 «strada di collegamento tra l'abitato di Muro Lucano con la SS Ofantina e l'abitato di Rapone». (G.U. 20 febbraio 2018, n. 42) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva in favore del Ministero dello sviluppo economico degli immobili siti nel comune di Calitri, nell'ambito del progetto n. 39/40/6006 «opere di infrastrutturazione del nucleo industriale di Calitri». (G.U. 20 febbraio 2018, n. 42) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 17 gennaio 2018 Aggiornamento delle «Norme tecniche per le costruzioni». (G.U. 20 febbraio 2017, n. 42, S.O., n. 8) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA DECRETO 21 dicembre 2017 Individuazione degli enti beneficiari delle risorse relative al fondo di cui all'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, per interventi di messa in sicurezza e di adeguamento sismico degli edifici scolastici. (Decreto n. 1007). (G.U. 20 febbraio 2018, n. 42, S.O., n. 9) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Espunzione dall'elenco degli alloggi da alienare di talune unità abitative ubicate nel comune di Portogruaro (G.U. 21 febbraio 2018, n. 43) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile denominato «Villaggio della Pace», in Vicenza (G.U. 21 febbraio 2018, n. 43) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile denominato «Ex Deposito Materiali da Ponte», in Cremona. (G.U. 21 febbraio 2018, n. 43) MINISTERO DELLA DIFESA COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un immobile denominato «Ex Poligono di Tiro», in Tarvisio (G.U. 21 febbraio 2018, n. 43) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI DECRETO 14 febbraio 2018 Modifiche al decreto 2 ottobre 2008, recante: «Istituzione dell'area VTS e dell'autorità VTS dello Stretto di Messina». (G.U. 23 febbraio 2018, n. 45) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE COMUNICATO Passaggio dal demanio al patrimonio dello Stato di un ex casello idraulico, in Revere (G.U. 24 febbraio 2018, n. 46)

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 29

MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva, in favore del Ministero dello sviluppo economico, degli immobili siti nel Comune di Calitri nell'ambito del progetto n. 39/40/COM/6063 «Strada di collegamento dell'abitato di Calitri con la S.S. 401 Ofantina». (G.U. 28 febbraio 2018, n. 49) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva, in favore del Ministero dello sviluppo economico, degli immobili siti nel Comune di Muro Lucano nell'ambito del progetto n. 39/60/COM/6062 «Strada di collegamento dell'Area industriale di Baragiano con l'abitato di Muro Lucano». (G.U. 28 febbraio 2018, n. 49) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva, in favore del Ministero dello sviluppo economico, degli immobili siti nel Comune di Muro Lucano nell'ambito del progetto n. 39/60/COM/6057/02 «Strada di collegamento dell'abitato di Muro Lucano con la S.S. 401 Ofantina» 2° lotto. (G.U. 28 febbraio 2018, n. 49) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO COMUNICATO Espropriazione definitiva, in favore del Ministero dello sviluppo economico, degli immobili siti nel Comune di Muro Lucano nell'ambito del progetto n. 39/60/COM/6057/02 «Strada di collegamento dell'abitato di Muro Lucano con la S.S. 401 Ofantina» 2° lotto e revoca trasferimento delle particelle n. 351 e n. 446 del foglio 44 in agro del Comune di Muro Lucano. (G.U. 28 febbraio 2018, n. 49) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 22 gennaio 2018, n. 13 Regolamento recante la definizione delle condizioni di esercizio dei condhotel, nonché dei criteri e delle modalità per la rimozione del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale, ai sensi dell'articolo 31 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164. (G.U. 6 marzo 2018, n. 54)

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 30

GIURISPRUDENZA

Immobili: condominio Corte di Cassazione - Sentenza 5 marzo 2018, n. 4501

Lastrico solare, la natura condominiale può essere esclusa solo da titolo contrario “La natura condominiale del lastrico solare, affermata dall'art. 1117 cod. civ., può essere esclusa soltanto da uno specifico titolo in forma scritta, essendo irrilevante che il singolo condomino non abbia accesso diretto al lastrico, se questo riveste, anche a beneficio dell'unità immobiliare di quel condomino, la naturale funzione di copertura del fabbricato comune”. (Questo è il principio espresso dalla Corte di Cassazione con Ordinanza del 1 marzo 2018, n. 4906).

La vicenda. Una condomina aveva intentato azione avverso due comproprietarie al fine di accertare la condominialità del lastrico solare dell’edificio. L’attrice lamentava in particolare come le due convenute avessero realizzato una scala esterna con la quale avevano accesso esclusivo al lastrico solare sito sul palazzo. Le controparti, invece, si difendevano affermando la loro proprietà esclusiva del bene in forza di una intervenuta usucapione dovuta all’uso prolungato ed esclusivo dello stesso a far data dal 1980. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea, dichiarando il lastrico una parte condominiale e non di proprietà esclusiva delle sorelle convenute, rilevando come l’opposizione delle convenute all’accesso del manufatto da parte dell’attrice fosse di soli sei – sette anni anteriore al giudizio e che la costruzione della scala esterna – avvenuta nel 1980 – fosse comunque insufficiente per permettere loro di maturare l’usucapione. In ragione della soccombenza le sorelle agivano in grado d’appello impugnando la succitata sentenza. La Corte d’Appello, però, confermava la sentenza di prime cure osservando l’irrilevanza di quanto affermato dalle appellanti, ossia che l’attrice potesse accedere al lastrico solare solamente attraverso un edificio confinante al condominio e di proprietà della di lei sorella.

La Corte di Cassazione. Gli ermellini con la pronuncia (sentenza n. 4501 del 5 marzo 2015) rigettavano il ricorso delle sorelle ed evidenziavano che la previsione di cui all’art. 1117 c.c. riporta un elenco di beni, che notoriamente non è tassativo, i quali sono naturalmente di proprietà comune dei condomini in quanto asserviti per loro funzione e struttura alle esigenze dello stabile. La predetta norma, però, secondo Cassazione è una presunzione atipica nell’ordinamento italiano in quanto – a differenza delle altre – al fine di sconfessarla non è sufficiente una prova qualsiasi, ma come affermato dallo stesso articolo citato in precedenza, può essere superata dall’esistenza di un titolo contrario in forma scritta. Premesso quanto innanzi esposto, secondo gli Ermellini, le ricorrenti non potevano vantare alcun titolo di proprietà esclusiva della parte contesa e quindi questa era da considerarsi inevitabilmente condominiale, a prescindere dalle modalità di accesso allo stesso della condomina attrice. Quindi, la cassazione ha concluso per la condominialità del lastrico solare.

La revocazione della sentenza. Le ricorrenti sostenevano che la Cassazione avesse errato

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nella sentenza 4501/2015 nel non riconoscere la validità dell’eccezione di usucapione da loro promossa. A tal proposito, la Suprema Corte ha meglio precisato che come «la natura comune del lastrico discendeva dalla sua qualificazione come bene condominiale rientrando evidentemente tra quelli di cui all’art. 1117 c.c., ed in assenza di un titolo contrattuale che deponesse in maniera inequivoca in senso contrario». Difatti, secondo la Corte la condominialità del manufatto era da ricercarsi nella funzione di copertura dell’edificio e che per l’usucapione sarebbe stato necessario un atto di interversione nel possesso da parte delle sorelle ricorrenti, non essendo a tal fine sufficiente la mera costruzione di un accesso esclusivo al lastrico solare. Per le ragioni esposte, il ricorso è stato rigettato. (Maurizio Tarantino, Il Sole24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 6 marzo 2018)

Corte di Cassazione - Sentenza 16 ottobre 2017, n. 24318

Solaio privato che copre i box: il condominio non è comproprietario La sola circostanza che un solaio funga anche da copertura per il piano seminterrato, dove si trovano i box di alcuni condòmini, non comporta il diritto di comproprietà da parte di tutti i condòmini né, in assenza di divieti di natura contrattuale, vincoli di destinazione della stessa area. È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 24318 del 16 ottobre 2017. Nella fattispecie, i giudici supremi hanno respinto il ricorso proposto da un condominio nei confronti della proprietaria e della conduttrice di un'area scoperta di 600 mq, che funge da solaio per i locali interrati che ospitano alcuni box. Il condominio ritiene che l'utilizzo dell'area, adibita a deposito di merci e parcheggio di auto e autocarri, sia illegittimo così come sarebbero abusive tutte le opere realizzate sul solaio: rampa di accesso, tettoia in ferro e plastica, scaffalature in ferro. Inoltre - sostiene l'attore - l'uso dell'area contrasta con il regolamento edilizio comunale e provoca sollecitazioni alla struttura sottostante. In primo grado il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda del condominio, ritenendo illegittimo l'uso dell'area e condannando le società convenute a rimuovere le opere realizzate sul solaio, in quanto limitative del servizio e godimento collettivo. Nel successivo grado di giudizio, la Corte d'appello ha riformato la decisione ritenendo insussistente “il diritto di godimento collettivo ravvisato dal Tribunale sull'area in oggetto, trattandosi di area di proprietà esclusiva”. Una posizione, quest'ultima, condivisa dalla Suprema Corte, secondo cui “la sola circostanza che detta area costituisca anche copertura del piano seminterrato del fabbricato, nel quale si trovano alcuni box di proprietà dei condomini, non comporta il diritto di comproprietà del condominio né, in assenza di divieti di natura contrattuale, vincoli di destinazione dell'area stessa”. Osserva inoltre la Corte come “in mancanza di norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell'articolo 1122 c.c., non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare le parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune (ex plurimis, Cass. 27/10/2011, n. 22428)”. (Marco Panzarella - Matteo Rezzonico, Il Sole24ORE – Estratto da “Quotidiano del Condominio”, 1 marzo 2018)

Tribunale di Roma – Sentenza 8 gennaio 2018, n. 379

Niente ascensore se riduce troppo l'ampiezza delle scale condominiali È illegittima la realizzazione di un ascensore privato che riduce sensibilmente l’utilità del bene

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comune per gli altri condomini. Applicando tale principio di diritto, il Tribunale di Roma, con sentenza n. 379 dell’8 gennaio 2018, ha annullato la delibera con la quale l’assemblea aveva approvato i lavori per la realizzazione di un ascensore ad uso privato, che riduceva l’ampiezza delle scale condominiali ad 80 centimetri.

I fatti. Ad impugnare la sentenza erano stati i comproprietari di alcuni appartamenti, che si lamentavano del fatto che il progetto approvato fosse per loro fortemente penalizzante, appunto perché limitava l’utilizzo e di godimento della scala condominiale. Il Condominio si era difeso sostenendo la correttezza del progetto sul piano tecnico ed il fatto che i lavori erano stati approvati all’unanimità dei presenti. Infatti, i condomini attori si erano allontanati lasciando a verbale dichiarazione scritta in cui si opponevano ma “se il progetto e la relazione sono a norma non ci opponiamo”.

Ascensore troppo ingombrante. Il giudice capitolino ha accolto la domanda di annullamento esaminando la problematica principale e dirimente della vicenda, ossia la riduzione dell’ampiezza delle scale. In tema, è pacifica la giurisprudenza nell’affermare che “la condizione d’inservibilità del bene comune all’uso o al godimento anche di un solo condomini … è riscontrabile anche nel caso in cui l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene” (Cass. civ. n. 206392005, che ha ritenuto illegittima una delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garage, rendeva disagevole il transito delle autovetture).

Nel caso di specie, l’impatto dell’ascensore è “alquanto penalizzante” per tutti i condomini. Il restringimento delle scale, anche per il loro andamento circolare, renderebbe impossibile la svolta di oggetti particolarmente ingombranti, impedendone il transito. Il progetto approvato è dunque illegittimo in quanto lesivo di diritti soggettivi. Diverso sarebbe stato in caso di assenso dei titolari, che ben potrebbero accettare una diminuzione dei propri diritti sulle parti comuni, trattandosi di diritti disponibili.

Ecco le conclusioni del Tribunale di Roma: “se è certamente meritevole di attenta considerazione, in una prospettiva di uso più comodo dell’immobile per gli occupanti ed anche di valorizzazione economica dello stesso, ogni iniziativa che doti l’edificio di un ascensore, anche laddove ciò comporti l’accettazione di talune limitazioni nell’uso delle scale, il nostro ordinamento non conosce e tutela un diritto assoluto alla sua realizzazione, ossia un diritto destinato a prevalere in ogni caso sui contrapposti interessi, anch’essi meritevoli di considerazione e tutela. Il progetto deliberato (…) comporta, semplicemente, una compromissione eccessiva e, dunque, non giustificabile degli interessi degli attori e degli interventori ed è, per tale ragione, illegittimo”. (Il Sole24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 13 febbraio 2018)

Tribunale di Roma – Sentenza 10 gennaio 2018, n. 510

B&B in condominio, legittimo se non è vietato espressamente dal regolamento È consentito l’esercizio dell’attività di bed & breakfast in condominio se il regolamento contrattuale vieta espressamente solo l’attività di “locanda o pensione”.

Lo ha stabilito il Tribunale di Roma che, con la sentenza n. 510 del 10 gennaio 2018, torna ad affrontare il tema dell’esercizio di attività ricettive in condominio, soffermandosi sulla differenza tra attività di “locanda o pensione” e quella di bed & breakfast.

I fatti. Un appartamento in condominio, concesso dai proprietari in locazione, viene utilizzano per l’esercizio di attività di bed & breakfast. Il condominio, in persona dell’amministratore, si rivolge al giudice per far cessare tale attività, ritenendola contraria all’art. 6 del regolamento condominiale, di natura contrattuale, che vieta di “destinare qualsiasi unità immobiliare ad uso

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… di locanda o pensione”. I conduttori si oppongono in quanto, come risulta dal contratto di locazione, l’appartamento è utilizzato per l’attività di affittacamere di tre stanze, senza uso di cucina, ristorazione e servizio di prima colazione, sicché la sua destinazione, non essendo assimilabile a quella di locanda o pensione, non rientra nel divieto posto dal regolamento.

Il giudice della capitale ha sposato la tesi dei conduttori e respinto la domanda del condominio, condannandolo alla spese di giudizio.

Locanda, pensione e B&B non sono la stessa cosa. In effetti, nel caso di specie è risultato che l’appartamento era destinato all’esercizio di attività di bed & breakfast, attività ricettiva diversa da quelle di “locanda o pensione” vietate dal regolamento.

A differenza del B&B, la locanda e la pensione presuppongono, accanto alla messa a disposizione di una camera per l’alloggio, la prestazione di un servizio di ristorazione ben più ampio, esteso al pranzo o alla cena o ad entrambi e non limitato, invece, alla prima colazione. Di conseguenza, tali attività richiedono una dimensione organizzativa ed anche di personale più ampia del B&B, e anche una maggiore frequentazione dei locali da parte dei clienti ospiti.

I divieti all’uso degli appartamenti esclusivi sono di stretta interpretazione. Non è corretta la tesi del condominio, secondo la quale il divieto deve estendersi a tutte le attività ricettive, perché la ratio sarebbe quella di non consentire nel condominio l’accesso indiscriminato ad estranei. In realtà, spiega il Tribunale, la circostanza che il divieto posto dal regolamento sia limitato all’attività di “locanda o pensione” non consente di estendere tale divieto ad altre attività recettive diverse. Diverso sarebbe stato – sottolinea il giudice – se tra le attività vietate dal regolamento fosse stata menzionata quella di “affittacamere”, che è la sola a cui può essere assimilato il bed & breakfast.

Si applica il principio generale più volte affermato dalla Cassazione: “i divieti posti dal regolamento condominiale all’uso di beni esclusivi sono di stretta interpretazione e non sono suscettibili di applicazione né estensiva né analogica, in quanto concretanti limitazioni al diritto di proprietà che, in astratto, contempla a favore del suo titolare le facoltà di pieno e libero godimento del bene” (Cass. civ. n. 21307/2016). (Il Sole24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 12 febbraio 2018)

Immobili: vendita, locazione e mutuo Corte di Cassazione – Sentenza 26 febbraio 2018, n. 4508

Revocatoria, non rileva il contratto preliminare Nessuna chance al ricorso di legittimità proposto per ottenere la restituzione dell’immobile ceduto dall’impresa costruttrice poi fallita per il quale si era sottoscritto un preliminare e pagato il corrispettivo con possesso immediato nel bene. Intanto, l’acquirente promissario è consapevole dell’altruità del bene anche se è immesso nel possesso in virtù del preliminare e del pagamento del prezzo. Poi, la presuntiva conoscenza dello stato d’insolvenza dell’imprenditore dipende dalla scelta discrezionale del curatore che il giudice di legittimità, purché motivata, non può valutare. Così la Cassazione, n. 4508/2018.

Il 13 giugno 1997 una coppia acquista un immobile ma il 28 novembre fallisce l’impresa costruttrice e, previa revocatoria, il curatore ne intima la restituzione. Essi ricorrono con due motivi: c’è già stata l’immissione anticipata nel possesso, grazie ad un preliminare di compravendita sottoscritto nel 1994; la curatela non ha provato la conoscenza dello stato d’insolvenza della venditrice. L’altra parte resiste: il contratto preliminare non ha data certa; la conoscenza dello stato d’insolvenza emerge dai protesti elevati nei confronti della società poi fallita.

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Per i giudici di merito la compravendita non vale e l’immobile va restituito. La coppia ricorre in Cassazione ma invano. Secondo la Corte la revocatoria è stata correttamente attuata in base alla norma vigente «ratione temporis», anche se precedente rispetto alla riforma del Dl 35/2005. Inoltre:

Oggettivamente la revocatoria si valuta sempre a partire dalla data del rogito che è il solo a permettere il passaggio di proprietà e non conta la stipula precedente di un preliminare in quanto, nonostante il pagamento del prezzo e l’immissione anticipata nel possesso, il promissario acquirente è consapevole che il bene non è di sua proprietà fino al definitivo; soggettivamente la revocatoria va valutata rispetto all’effettiva conoscenza dell’acquirente dello stato di insolvenza dell’imprenditore poi fallito ed il giudice non entra nel merito del convincimento del curatore, anche se basato su presunzioni, purché adeguatamente motivate. (Ferruccio Bogetti e Gianni Rota, Il Sole24ORE – Estratto da “Quotidiano del Diritto”, 27 febbraio 2018)

Corte di cassazione – Sezione II penale – Sentenza 20 febbraio 2018, n. 8047

Vendita simulata, sequestro lecito La vendita di immobili mascherata da una cessione di quote sociali che comporta un’evasione di imposta superiore alla soglia penalmente rilevante configura il delitto di dichiarazione infedele: la sequenza di operazioni infatti, non consente di invocare la scriminante dell’abuso del diritto che deve caratterizzarsi per l’assenza di attività simulatorie e fraudolenti. A fornire questa interpretazione è la Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza n. 8047 depositata ieri. Nei confronti del presidente e del vice presidente del cda di una società, il Gip disponeva il sequestro per equivalente per il reato di dichiarazione infedele. La società aveva acquistato il 98% di una Sas titolare di un importante compendio immobiliare. Venivano poi ceduti i beni della società partecipata che era poi sciolta generando una cospicua minusvalenza che riduceva la plusvalenza generata dalla cessione degli immobili. L’agenzia contestava, in base al soppresso articolo 37 bis Dpr 600/73, la dissimulazione di una cessione immobiliare e accertava il conseguente maggior reddito disconoscendo la deducibilità della minusvalenza. Il Tribunale del riesame confermava la misura cautelare. Gli indagati ricorrevano per Cassazione, lamentando che il sequestro era fondato solo su una presunzione dell’Ufficio e in ogni caso, la minusvalenza era stata realmente realizzata. Al più poteva essere contestata un’operazione elusiva, priva di rilevanza penale. I giudici di legittimità, confermando la misura cautelare, hanno innanzitutto evidenziato che la presunzione tributaria non costituisce fonte di prova di un reato, ma assume valore valutabile dal giudice e può essere posta a fondamento del sequestro. La Corte ha poi ricordato che è ormai esclusa la rilevanza penale delle condotte di abuso del diritto. Tuttavia, per giurisprudenza consolidata tale esclusione ha un’applicazione residuale rispetto a comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa, previsti nel Dlgs 74/2000. Ne consegue che l’abuso è irrilevante quando i fatti integrino fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi. Nella specie, i giudici hanno escluso la sussistenza di un’operazione abusiva in quanto l’Agenzia l’aveva espressamente qualificata come “dissimulatoria”. La decisione deve far riflettere poiché seguendo tale interpretazione l'irrilevanza penale dei fatti elusivi voluta dal legislatore, rischia di non trovare quasi mai applicazione. Ogni operazione, infatti, censurabile come abusiva, si può tradurre in una simulazione. Nella vicenda poi l’Agenzia aveva contestato l’articolo 37 bis del dpr 600/73 relativo a condotte elusive. (Il Sole24ORE – Estratto da “Norme e Tributi”, 21 febbraio 2018)

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Corte di Cassazione – Sentenza, n. 3348/2018

Compravendita e vizi occulti No al vizio occulto per il degrado del solaio venuto fuori durante i lavori di ristrutturazione se l'immobile era vecchio, nel caso costruito prima degli anni '30. Irrilevante che non si vedessero a occhio nudo. L'acquirente doveva essere più diligente. (Il Sole24ORE – Estratto da “Quotidiano del Diritto”, 13 febbraio 2018)

Immobili e agevolazioni Corte di Cassazione – Sentenza n. 2565/2018

Sì al bonus "prima casa" se immobile già posseduto non è abitabile Il bonus "prima casa" spetta al soggetto che acquista una nuova casa pur avendo già un immobile che tuttavia non abbia le caratteristiche per essere qualificato come "abitazione". Lo chiarisce la Cassazione con la sent. n. 2565/2018. La Corte si è trovata alle prese con un contribuente a cui era stata negata l'agevolazione in quanto secondo le Entrate, dall'esame del D.P.R. 131/1986 emergeva chiaramente che il solo fatto di possedere altro immobile fosse condizione ostativa alla concessione dello sconto sul fronte dell'imposta del registro. I Supremi giudici hanno, invece, dato ragione al contribuente seguendo un orientamento costituzionalmente orientato. In base a quest'ultimo "la possidenza di una casa di abitazione costituisce ostacolo alla fruizione di agevolazioni fiscali per il successivo acquisto di un'altra casa ubicata nello stesso comune soltanto se la prima delle due case sia già idonea a soddisfare le esigenze abitative dell'interessato". Di qui il principio di diritto secondo cui in tema di agevolazioni prima casa l'idoneità della casa di abitazione pre-posseduta va valutata in senso oggettivo (effettiva inabitabilità), che in senso soggettivo (fabbricato inadeguato per dimensioni o caratteristiche qualitative), nel senso che "ricorre l'applicazione del beneficio anche all'ipotesi di disponibilità di un alloggio che non sia concretamente idoneo, per dimensioni e caratteristiche complessive, a soddisfare le esigenze abitative dell'interessato". (Il Sole24ORE – Estratto da “Tecnici24”, 1 marzo 2018)

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PROFESSIONE

Mediazione unilaterale atipica e diritto alla provvigione Alberto Celeste, Il Sole 24ORE – Estratto da “Consulente Immobiliare, Edizione del 15 febbraio 2018, n. 1038 pag. 222-227 Dirimendo un contrasto insorto all'interno del massimo consesso decidente e perimetrando i contorni dell'istituto rispetto ad altre tipologie negoziali simili, le Sezioni Unite hanno riconosciuto che è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale), se una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni, puntualizzando che l'esercizio di tale attività, quando l'affare abbia a oggetto beni immobili o aziende - oppure qualora riguardi altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo - resta soggetto all'obbligo di iscrizione al ruolo previsto dall'art. 2 della legge 39/1989, sicché il suo svolgimento, in difetto di tale condizione, esclude, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione in capo al mediatore. Gli orientamenti divergenti in sede di legittimità Con ordinanza interlocutoria n. 22558/2015, la II Sezione aveva sollecitato l'intervento delle Sezioni Unite, poiché si riscontravano due orientamenti divergenti in tema di mediazione atipica. Nello specifico, da un lato, si sosteneva che la disciplina di cui alla legge 39/1989 - e, in tempi più recenti, quella ricavabile dal D.Lgs. 59/2010 (“decreto Bersani-bis”) - non potesse essere applicata alla mediazione atipica, con particolare riferimento al procacciamento di affari per l’ontologica differenza tra le due figure, rinvenuta nella posizione di terzietà che assumeva il mediatore tipico, a differenza del rapporto che collega il procacciatore al cliente o preponente (Cass., Sez. III, sent. n. 7332 del 26 marzo 2009). Dall'altro, si era affermato che, ferma restando tale diversità, sarebbe stato pur sempre identificabile un nucleo comune alle due figure rappresentato dall’interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare, tale dunque da spiegare l’applicabilità della sanzione della perdita al diritto alla provvigione per difetto di iscrizione del mediatore nell’apposito ruolo di cui alla citata legge 39/1989 (Cass., Sez. III, sent. n. 762 del 16 gennaio 2014 e sent. n. 15473 del 14 luglio 2011). L’ordinanza remittente aveva quindi rilevato che le suddette opzioni ermeneutiche non fossero facilmente risolvibili in termini di scelta tra l'una e l'altra, in quanto tendevano a soddisfare finalità diverse, parimenti apprezzabili.

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Il più risalente indirizzo appariva sostanzialmente diretto a preservare la stretta interpretazione del dato normativo, al (non dichiarato, ma evidente) fine di non lasciare senza compenso un'attività che pur sempre era stata svolta, quanto meno a beneficio del preponente, mentre il più recente approdo interpretativo tendeva invece ad attrarre nell'orbita della mediazione tipica anche figure a essa eccentriche, per combattere la piaga dell'abusivismo, soprattutto da parte di persone moralmente e professionalmente inidonee (soprattutto Cass., Sez. I, sent. n. 13184 del 5 giugno 2007). Si osservava inoltre che l’individuazione della prevalenza degli interessi coinvolti dall'intervento normativo nelle ipotesi di procacciamento di affari incideva sull'applicazione analogica della disciplina di settore, con particolare riferimento alla tematica dell’invalidità del contratto di mediazione stipulato con un mediatore abusivo, che avrebbe impedito il sorgere del diritto al compenso, atteso che i propugnatori dell'esistenza di essa ne trovavano il fondamento nell'incapacità giuridica dell'intermediario o nella contrarietà del suo agire rispetto alla norma imperativa; secondo altro orientamento, invece, la mancata iscrizione avrebbe fatto soltanto venire meno il diritto a percepire la provvigione, mentre, sotto il vigore della legge 39/1989, la nullità del contratto doveva rinvenirsi solo ex art. 8, comma 2, nei casi di recidiva e conseguente applicazione dell'art. 2231 cod. civ. In questa prospettiva, si era rilevato che l'auspicato intervento regolatore delle Sezioni Unite avrebbe consentito di verificare se, nella sistematica della legge, prevalesse l'uno o l'altro degli indicati profili, con ricaduta sulla sussunzione o meno della figura del procacciatore di affari sotto la disciplina tipica del mediatore, in termini soprattutto contenitivi della libertà di azione del primo di non sottostare alle prescrizioni previste per il secondo. Il tutto senza sottovalutare che l’interpretazione nomofilattica sollecitata avrebbe potuto sciogliere i dubbi circa il pericolo di compressione del diritto del (libero) procacciatore di affari a ottenere il compenso - anche solo uno latere, per il lavoro svolto, come affermato in sede euro unitaria per l'agente di commercio rispetto al principio della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi - ex direttiva del Consiglio CEE 86/653/1986. L'ulteriore argomento per invocare un intervento chiarificatore da parte delle Sezioni Unite era stato rinvenuto nel progressivo stabilizzarsi, in sede di legittimità, di un indirizzo che negava al mediatore non iscritto nei ruoli - e quindi, per la ricordata estensione interpretativa, anche al procacciatore d’affari - l'azione di ingiustificato arricchimento, sulla base della ritenuta natura sanzionatoria della previsione di cui all'art. 8 della legge 39/1989, «soluzione, questa, conforme all'applicazione dei principi sul riscontro dei necessari presupposti dell'azione ex art. 2041 cod. civ., ma foriera di distorsioni applicative». La cornice di riferimento normativo Sul versante normativo, si rammenta che, ai sensi dell'art. 1754 cod. civ., è mediatore «colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza». Tale definizione deve essere coordinata con le previsioni contenute nella legge 39/1989: in particolare, l'art. 2 prevede, al comma 1, che presso ciascuna Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura è istituito un ruolo degli agenti di affari in mediazione, nel quale devono iscriversi coloro che svolgono o intendono svolgere l'attività di mediazione, «anche se esercitata in modo discontinuo od occasionale»; al comma 2, si stabilisce che il ruolo è distinto in tre sezioni: una per gli agenti immobiliari, una per gli agenti merceologici e una per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, salvo ulteriori distinzioni in relazione a specifiche attività di mediazione da stabilire con il regolamento di cui all'art. 11; si dettano, al comma 3, i requisiti per l'iscrizione nel detto ruolo; al comma 4, si prescrive che l'iscrizione al ruolo debba essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo, da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, «attività per la conclusione di affari relativi a immobili o aziende»; ai sensi dell'art. 6 di tale legge, poi, hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli.

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Il sistema previsto dalla legge 39/1989 è stato modificato dal D.Lgs. 59/2010, il quale, all'art. 73 - sotto la rubrica “Attività di intermediazione commerciale e di affari” - ha previsto, al comma 1, la soppressione del ruolo di cui all'art. 2 della legge 39/1989; ha disposto che le attività disciplinate da tale legge siano soggette a “segnalazione certificata di inizio di attività”, da presentare alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura per il tramite dello sportello unico del comune competente per territorio ai sensi dell'art. 19 della legge 241/1990, corredata delle autocertificazioni e delle certificazioni attestanti il possesso dei requisiti prescritti (comma 2); ha ulteriormente stabilito che la suddetta Camera di commercio verifichi il possesso dei requisiti e iscriva i relativi dati nel registro delle imprese, se l'attività è svolta in forma di impresa, oppure nel repertorio delle notizie economiche e amministrative (REA) previsto dall'art. 8 della legge 580/1993 e dall'art. 9 del D.P.R. 581/1995, e successive modificazioni, assegnando a essi la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività, distintamente previste dalla legge 39/1989 (comma 3); ha escluso l'applicabilità della nuova disciplina alle attività di agente d'affari non rientranti tra quelle disciplinate dalla legge 39/1989 (comma 4); ha disposto che le iscrizioni da esso previste per i soggetti diversi dalle imprese siano effettuate in un’apposita sezione del REA e abbiano effetto dichiarativo del possesso dei requisiti abilitanti all'esercizio della relativa attività professionale (comma 5); ha stabilito infine che, a ogni effetto di legge, i richiami al ruolo contenuti nella legge 39/1989 si intendono riferiti alle iscrizioni previste dal suddetto articolo nel registro delle imprese o nel repertorio delle notizie economiche e amministrative. L’iscrizione come presupposto del diritto al compenso Al riguardo, i giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che il D.Lgs. 59/2010 non ha fatto venire meno la preclusione alla corresponsione del corrispettivo per effetto della mancata iscrizione del mediatore al ruolo. Invero si è affermato che l'art. 73 citato ha soppresso il ruolo dei mediatori, previsto dall'art. 2 della legge 39/1989, ma non ha abrogato quest'ultima legge, prescrivendo invece che l'attività sia soggetta a dichiarazione di inizio di attività, da presentare alla Camera di commercio territorialmente competente, la quale, previa verifica dei requisiti autocertificati, iscrive i mediatori nel registro delle imprese, se esercitano l'attività in forma di impresa, e, altrimenti, nel repertorio delle notizie economiche e amministrative assegnando la qualifica di intermediario per le diverse tipologie di attività previste dalla legge 39/1989. Ne consegue che l'art. 6 della legge 39/1989, secondo cui «hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli», va interpretato nel senso che, anche per i rapporti di mediazione sottoposti alla normativa prevista dal D.Lgs. 59/2010, hanno diritto alla provvigione solo i mediatori che siano iscritti nei registri delle imprese o nei repertori tenuti dalla Camera di commercio (segnatamente Cass., Sez. III, sent. n. 16147 dell’8 luglio 2010). Gli stessi ermellini hanno altresì evidenziato che la riserva dello svolgimento dell'attività di mediazione solo a soggetti in possesso di determinati requisiti di idoneità tecnica e morale, nonché la previsione del rifiuto di ogni tutela al mediatore non iscritto nel ruolo si giustificano, nella discrezionale scelta del legislatore nazionale, in relazione alla peculiare importanza assunta dalla mediazione nello sviluppo dei traffici e all'esigenza, sempre più avvertita, di tutelare il generale interesse a un ordinato e corretto sviluppo di un'attività che spesso costituisce l'unico tramite per la conclusione degli affari. Si è altresì precisato - Cass., Sez. III, sent. n. 19066 del 5 settembre 2006 - che la legge 39/1989 non si pone in contrasto con il diritto comunitario là dove essa condiziona il sorgere del diritto al compenso all'iscrizione nei ruoli, secondo anche quanto ritenuto dalla Corte di giustizia con sent. 25 giugno 1992, in causa C-147/91, la quale ha statuito che la direttiva 67/43/CEE, concernente la realizzazione della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi per le attività non salariate relative al settore degli affari immobiliari, non impedisce allo Stato membro di riservare determinate attività rilevanti nel settore degli affari immobiliari alla persone autorizzate a esercitare la professione di agente immobiliare.

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 39

Comunque, a prescindere dalla sorte del contratto di mediazione, se cioè in relazione a esso sia predicabile la nullità (Cass., Sez. III, sent. n. 11247 del 18 luglio 2003; sent. n. 14076 del 1° ottobre 2002 e sent. n. 15849 del 15 dicembre 2000), oppure no (Cass., Sez. II, sent. n. 9380 del 27 giugno 2002), è certo che il soggetto che esercita attività di intermediazione, si tratti di persona fisica o di impresa collettiva, ha diritto alla provvigione soltanto se e in quanto sia iscritto nel ruolo, essendo la detta iscrizione elemento costitutivo della domanda. Il discrimen tra le diverse tipologie negoziali Dunque il mediatore è chi mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcune di esse da rapporti di collaborazione-dipendenza-rappresentanza; la sua attività si caratterizza per il fatto di essere imparziale rispetto alle parti messe in contatto e il diritto alla provvigione sorge, ex art. 1755 cod. civ., solo quando la conclusione dell'affare è il risultato del suo intervento; il medesimo diritto, peraltro, è subordinato all’iscrizione del mediatore nel ruolo degli agenti di affari di mediazione. Il procacciatore d'affari è invece un collaboratore occasionale, la cui attività promozionale è normalmente attuativa del rapporto intercorrente con il preponente, dal quale soltanto può pretendere il pagamento della provvigione; pertanto egli è un collaboratore della società preponente (o dell'agente di quest'ultima), che svolge un'attività, caratterizzata dall'assenza di subordinazione e dalla mancanza di stabilità, consistente nella segnalazione di potenziali clienti e nella raccolta di proposte di contratto o di ordini, senza intervenire nelle trattative per la conclusione dei contratti; il suo compito è limitato a mettere in contatto le parti su incarico di una di queste. Ne consegue che elemento comune alle suddette figure (mediatore e procacciatore d’affari) è la prestazione di un'attività di intermediazione diretta a favorire tra terzi la conclusione di un affare, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, mentre l'elemento distintivo consiste nel fatto che il mediatore è un soggetto imparziale e nel procacciamento di affari l'attività dell'intermediario è prestata esclusivamente nell'interesse di una delle parti (tra le altre, Cass., Sez. II, sent. n. 4422 del 24 febbraio 2009). Il mediatore si distingue dal procacciatore d’affari per l'imparzialità, che è requisito tipico del mediatore, e anche per il rapporto di collaborazione, che - assente secondo l'espresso dettato normativo nella mediazione (art. 1754 cod. civ.) - caratterizza il procacciatore d'affari, il quale, anche senza carattere di stabilità, agisce nell'esclusivo interesse del preponente, solitamente imprenditore, raccogliendo proposte di contratto od ordinazioni presso terzi e trasmettendogliele (Cass., Sez. III, sent. n. 12694 del 25 maggio 2010). Qualora invece il procacciatore d’affari operi stabilmente con un determinato preponente, la disciplina del rapporto risulta assimilabile piuttosto al rapporto di agenzia, con conseguente inoperatività del disposto di cui all'art. 6 della legge 39/1989 (in particolare, Cass., Sez. II, sent. n. 26370 del 20 dicembre 2016). Pertanto il mediatore e il procacciatore d'affari individuano due distinte figure negoziali - la prima tipica e la seconda atipica - che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale invece agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione. Proprio perché il procacciatore d'affari agisce in base a incarico di una parte, può ritenersi che la sua attività debba essere attratta nell'ambito della mediazione, sicché è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche a una soltanto delle parti interessate (mediazione unilaterale); tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni. Inoltre essa rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dall'art. 2, comma 4, della legge 39/1989, che per l'appunto disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione, stante la

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rilevanza, nell'atipicità, che assume il connotato della mediazione, alla quale si accompagna l'attività ulteriore in vista della conclusione dell'affare. La soluzione offerta dalle Sezioni Unite Premesso quanto sopra, le Sezioni Unite (sent. n. 19161 del 2 agosto 2017) hanno evidenziato che le posizioni contrarie all’estensione al procacciatore d'affari dell'obbligo di iscrizione, quale requisito essenziale per il sorgere del diritto alla corresponsione della provvigione, si fondano sulla natura eccezionale della disposizione di cui all'art. 6 della legge 39/1989 e quindi sull’applicabilità del complesso di previsioni in quella legge contenuta esclusivamente al caso della mediazione tipica. Si è infatti affermato (Cass., Sez. III, sent. n. 27729 del 16 dicembre 2005) che, poiché l'art. 1 della legge 39/1989 dispone che le norme da essa previste si applicano ai mediatori di cui al capo XI del libro III del codice civile (con eccezioni che qui non rilevano), la norma eccezionale, come tale non estensibile analogicamente, di cui all'art. 6 della stessa legge, in forza della quale hanno diritto alla provvigione soltanto coloro che sono iscritti nei ruoli, trova applicazione anche ai procacciatori solo nel caso in cui si ritenga che tale categoria sia in tutto e per tutto equiparabile a quella dei mediatori, ma non anche nel caso opposto di due distinte figure negoziali; mediazione e procacciamento d'affari - si sottolinea - individuano due distinte figure negoziali (la prima tipica e la seconda atipica) che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale invece agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione, sicché il secondo non è soggetto all'applicazione della norma eccezionale di cui al citato art. 6. Al contrario, si sostiene che le medesime ragioni che sottostanno alla previsione dell'obbligo di iscrizione del mediatore e alla configurazione di detta iscrizione quale condizione del diritto alla provvigione debbano trovare applicazione anche nelle ipotesi di mediazione atipica e quindi anche in quella del procacciatore d'affari, valorizzando il nucleo essenziale delle prestazioni svolte da mediatore e procacciatore d'affari, che consiste nello svolgimento dell'attività di mediazione. In questa prospettiva, si mette in luce che il codice qualifica come mediatore anche colui che ha ricevuto l'incarico di promuovere la conclusione dell'affare da una sola delle due parti (art. 1756 cod. civ.) o colui che ha avuto l'incarico da una delle due parti di rappresentarla negli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso con il suo intervento (art. 1761 cod. civ.). Il conferimento di un mandato, che si presume oneroso, non colloca l'attività svolta dall'incaricato al di fuori del perimetro della mediazione, sempre che ovviamente l'incarico abbia a oggetto la ricerca di un acquirente di un bene che il preponente intende alienare. Il supremo organo di nomofilachia ha ritenuto che debba essere privilegiato questo secondo orientamento. Invero l'art. 2, comma 4, della legge 39/1989 stabilisce che l'iscrizione al ruolo deve essere richiesta anche se l'attività viene esercitata in modo occasionale o discontinuo da coloro che svolgono, su mandato a titolo oneroso, attività per la conclusione di affari relativi a immobili o ad aziende; poiché nella nozione di mandato a titolo oneroso deve ritenersi rientri anche l'incarico conferito a un soggetto o a un'impresa finalizzato alla ricerca di altri soggetti interessati alla conclusione di un determinato affare, anche i procacciatori di affari, che su incarico di una parte svolgano l'attività di intermediazione per la conclusione di un affare concernente beni immobili o aziende, devono essere iscritti nel ruolo di cui alla legge 39/1989, con la conseguenza che la mancata iscrizione esclude il diritto alla provvigione. Ove si tenga conto che il comma 2 della medesima legge prevede che il ruolo degli agenti sia distinto in tre sezioni, una delle quali per gli agenti muniti di mandato a titolo oneroso, è agevole concludere - ad avviso del supremo consesso decidente - che l’occasionalità dell'attività svolta sulla base di mandato oneroso esonera dall’iscrizione dell'agente nella

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speciale sezione del ruolo solo nel caso in cui l'attività abbia a oggetto beni diversi dai beni immobili o dalle aziende. In sintesi, l'attività occasionale svolta dal mediatore tipico o atipico che si riferisca all’intermediazione in affari concernenti beni mobili non richiede l'iscrizione di cui all'art. 2 della legge 39/1989 (e ora all'art. 73 del D.Lgs. 59/2010); ove viceversa l'attività sia svolta a titolo professionale, deve ritenersi che qualsiasi forma assuma la mediazione e qualsiasi sia l'oggetto dell’intermediazione, quindi anche i beni mobili, il mediatore, tipico o atipico, è tenuto all'iscrizione nel ruolo (oggi nel registro delle imprese o nel repertorio delle attività economiche), con tutte le conseguenze che dalla mancanza di iscrizione derivano quanto al diritto alla provvigione.

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CASI PRATICI

Agevolazioni

GLI SGRAVI NON SPETTANO AL VECCHIO PROPRIETARIO

D. In occasione della vendita del mio appartamento, avvenuta il 18 settembre 2015, ho fatto inserire nel rogito l'impegno ad accollarmi le spese inerenti ai lavori di manutenzione straordinaria del lastrico solare condominiale (dovute a infiltrazione per vetustà dell'immobile) già deliberati dall'assemblea condominiale in data 29 luglio 2015. Soltanto a fine 2017 è stato presentato il preventivo di spesa con la ripartizione per quota millesimale e la serie delle rate mensili da versare per i lavori in questione, che inizieranno a maggio 2018. Pagando personalmente al condominio, a fine lavori posso richiedere la detrazione d'imposta a mio vantaggio? L'acquirente potrebbe correre il rischio di perdere l'agevolazione per incapienza Irpef. ----- R. La risposta è negativa. La detrazione del 50% per le spese di ristrutturazione compete al proprietario o al titolare di diritto reale di godimento sull’abitazione, ovvero anche al detentore del fabbricato: il familiare convivente o il comodatario o locatario, se il contratto è debitamente registrato (articolo 16-bis del Tuir, Dpr 917/1986, e articolo 1, comma 3, lettera b, n. 1-4 della legge 27 dicembre, n.205, di Bilancio per il 2018; si veda anche la guida al 50% su www.agenziaentrate.it). Nel caso del lettore l’appartamento è stato venduto nel 2015 e i lavori vengono pagati dal venditore nel 2018 (per impegno contrattuale preso con l’acquirente). Pertanto se le spese sono sostenute nel 2018 il venditore non ha nessun titolo per fruire della detrazione anche se sostiene direttamente le spese. Nel caso del lettore, l'acquirente potrebbe non sfruttare il bonus per incapienza Irpef. (Marco Zandonà, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

BONUS MOBILI, NON COMPETE PER OPERE FATTE NEL 2015/16

D. Avendo effettuato una ristrutturazione edilizia a cavallo tra il 2015 e il 2016 (la dichiarazione di chiusura lavori è di settembre 2016), ho ancora la possibilità di fruire del bonus mobili/elettrodomestici e del bonus verde nel 2018? ----- R. Il bonus verde compete mentre il bonus mobili no. L’articolo 1, commi 12-15 della legge 205/2017, di Bilancio 2018, prevede, solo per l’anno 2018, una detrazione Irpef del 36% su un totale di spese non superiore a 5mila euro per unità immobiliare, per le spese sostenute dai contribuenti per interventi di: sistemazione a verde di aree scoperte private di edifici esistenti, unità immobiliari, pertinenze, recinzioni, impianti di irrigazione e realizzazione di pozzi; realizzazione di giardini pensili e coperture a verde purché si collochino nell’ambito di un intervento straordinario di sistemazione a verde dell’unità immobiliare residenziale. Tra le

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FIAIP News24, numero 52 – Marzo 2018 43

spese che possono portarsi in detrazione sono incluse anche quelle di progettazione e manutenzione connesse all’esecuzione dei suddetti interventi. La detrazione, per un importo massimo di 1.800 euro, è condizionata all’utilizzo di strumenti di pagamento tracciabili (bonifici, carte di credito, assegni), a fronte di scontrini o fatture di acquisto con l’indicazione di ciò che si è acquistato ed è ripartita in 10 quote annuali di pari importo dall’anno in cui le spese sono state sostenute e nei successivi. La detrazione spetta anche per interventi su parti comuni esterne di edifici, fermo restando il limite dell’importo massimo di 5mila euro per unità immobiliare e spetta al singolo condomino nel limite della propria quota. Quindi le spese sostenute nel 2018 per il rifacimento del giardino rientrano tra quelle detraibili. Viceversa il bonus mobili non compete per gli interventi cui si applica il bonus verde (lavori non edili e sulla parte esterna del fabbricato). Il bonus mobili non può trovare applicazione nemmeno per le spese di arredo sostenute nel 2018 con riferimento agli interventi di ristrutturazione eseguiti tra il 2015-16. L’articolo 1, comma 3, numero 3, della legge 205/2017, proroga infatti di un anno, fino al 31 dicembre 2018, la detrazione al 50% per le spese relative all’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici di classe non inferiore ad A+ (A per i forni), connesse ai lavori di ristrutturazione edilizia iniziati a decorrere dal 1° gennaio 2017. Nel caso del lettore, essendo stati eseguiti i lavori edili nel 2015/2016, il bonus mobili non può trovare applicazione per le spese di arredo sostenute nel 2018. (Marco Zandonà, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

Condominio

SANATORIA PAGATA DA TUTTI I PROPRIETARI

D. Sono proprietaria di un appartamento al sesto piano e del lastrico solare sovrastante. In fase di sostituzione della guaina di impermeabilizzazione sul lastrico, il Comune ha rilevato che nel progetto depositato dal costruttore circa 30 anni fa è previsto un tetto a falde e non un lastrico. Non trovandosi la variante al progetto iniziale, chiede quindi di sanare la difformità con il pagamento degli oneri di costruzione per circa 6mila euro. Tale costo spetta in toto al proprietario attuale o va suddiviso tra i condòmini (che partecipano alle spese di rifacimento del lastrico per 2/3)? Il Comune che ha concesso l'abitabilità e il collaudo del condominio non ha alcuna responsabilità e può esigere tale pagamento? ----- R. Poiché dell’illecito edilizio del costruttore-venditore relativa all’edificio condominiale devono rispondere tutti i condòmini (in forza degli atti notarili di trasferimento), lo stesso avviene per la sanatoria. Si tenga presente che i poteri sanzionatori in materia edilizio-urbanistica sono imprescrittibili, con la conseguenza che, anche dopo 30 anni, il Comune può dar corso alla repressione degli illeciti, senza limiti di tempo. (Silvio Rezzonico, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

RICONOSCIMENTO SCRITTO PER IL NUOVO CONDOMINO

D. Considerato che, anche dopo la sottoscrizione del contratto di compravendita, il venditore rimane, lui solo, obbligato in prima persona per il pagamento dei contributi condominiali, fino a quando non trasmette all'amministratore copia autentica del titolo ablativo e che solo da questo momento l'alienante perde definitivamente lo status di condomino, che passa in capo all'acquirente, e può trovare applicazione la "solidarietà passiva" prevista dall'articolo 63, comma 4, delle disposizioni attuative del Codice civile, vorrei sapere se, in mancanza di tale adempimento da parte del venditore, l’amministratore informato dall’acquirente dell’avvenuta compravendita dell’immobile debba convocare all’assemblea anche l’acquirente stesso e, in

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caso affermativo, in che veste, in che modo e in che misura quest'ultimo potrà partecipare alle assemblee condominiali. ----- R. In passato, il condomino che cedesse la propria unità in condominio era tenuto a darne comunicazione all’amministrazione, ancorché tale obbligo risultasse da un regolamento assembleare e non da un regolamento contrattuale. Si riteneva infatti del tutto legittima l’imposizione dell’obbligo di comunicare all’amministratore i trasferimenti delle unità immobiliari facenti parte del fabbricato condominiale, essendo la norma finalizzata esclusivamente ad agevolare una più spedita e corretta gestione, senza incidere negativamente su alcun diritto dei condomini (Cassazione 21 agosto 2003, n. 12298).Si tenga però presente che la norma di cui al novellato articolo 63, ultimo comma, delle disposizioni per l'attuazione del Codice civile è norma inderogabile in base all’articolo 72, secondo cui «i regolamenti di condominio non possono derogare alle disposizioni dei precedenti articoli 63, 66, 67 e 69». Ne consegue che il riconoscimento del nuovo condomino – da parte dell’amministratore – deve avvenire in forma scritta e, dunque, il cessionario di cui non sia stato comunicato per iscritto il subentro non può in alcun modo essere considerato condomino. (Silvio Rezzonico, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

CONSUNTIVI, IL MANCATO OK È UN ATTO DI SFIDUCIA

D. Vorrei sapere quali problemi legali potrebbero derivare dalla decisione dell'assemblea di non approvare il bilancio consuntivo predisposto dall'amministratore. Preciso che, dopo insistenza dei condòmini, l'attuale amministratore ha convocato solo ora l'assemblea per l'approvazione del consuntivo per l'esercizio 2016, dopo un anno e mezzo dall'ultima; e ha inviato il modello 770 relativo all'esercizio 2016 senza l'approvazione del consuntivo 2016. ----- R. La mancata approvazione del bilancio consuntivo predisposto dall’amministratore rappresenta sostanzialmente un atto di sfiducia del suo operato nella gestione condominiale, e da ciò potrebbe conseguire la revoca e la sostituzione dell’amministratore. L’assemblea potrebbe anche decidere di nominare un revisore contabile ex articolo 1130-bis del Codice civile, figura introdotta dalla riforma del condominio, che possa verificare la situazione contabile e l’eventuale responsabilità dell’amministratore, in ogni caso in grave ritardo con il rendiconto. (Cesarina Vittoria Vegni, Il Sole 24ORE - Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

Immobili: locazione e vendita

ANCHE IL NUDO PROPRIETARIO PUÒ STIPULARE LA LOCAZIONE

D. Sono usufruttuario di un appartamento di cui è proprietaria mia moglie. In assenza di qualsiasi disaccordo, l'eventuale contratto di affitto può essere intestato a mia moglie, che diventerebbe anche beneficiaria del canone mensile? In questo caso è necessario un atto formale in cui l'usufruttuario autorizza l'affitto da parte della proprietaria? ----- R. Il rapporto che deriva dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, di modo che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione. Di

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conseguenza la legittimazione a stipulare il contratto di locazione per un immobile oggetto di usufrutto è configurabile anche in capo al nudo proprietario del bene (Cassazione 27021/2016). (Luca Stendardi, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)

AFFITTO DELL'«AREA NUDA» SENZA VINCOLI DI DURATA

D. Durata contratto di locazione terreno per uso deposito. Sono proprietario di un terreno in un'area industriale. Un’industria confinante mi ha chiesto di prendere in affitto una porzione del mio terreno, da destinare a deposito di container e occasionalmente a parcheggio di automezzi aziendali o vetture dei dipendenti. Con questo tipo di utilizzo è possibile fare un contratto della durata di 12 mesi, con eventuale rinnovo annuale, oppure si rientrerebbe nella normativa "usuale", con durata obbligatoria di sei anni più sei? ----- R. Occorrerebbe valutare il rapporto tra l’immobile industriale e il terreno da adibirsi a deposito di materiali, di mezzi ed altro e l’oggetto concreto della locazione. In ogni caso, in termini generali, secondo un orientamento giurisprudenziale, «la locazione di un'area nuda, per la quale le parti abbiano concordemente pattuito come uso esclusivo la costruzione di un edificio da destinare ad attività commerciale o industriale, è da ritenere soggetta alla disciplina vincolistica, mentre rimane sottratta a tale disciplina quando è accompagnata dalla concessione al locatario della facoltà di costruirvi impianti ed attrezzature, in quanto in tale ultimo caso, il contratto, pur presentando elementi prevalenti propri della locazione, non è soggetto alle norme vincolistiche dettate dalle leggi n. 1115 del 1971 e successive proroghe e dalla legge n. 382 del 1978, le quali, riguardando gli immobili adibiti ad uso abitativo e non abitativo non si applicano alle locazioni di aree nude» (Cassazione 17 gennaio 1986, n. 289). Nello stesso senso si è espresso il Tribunale di Napoli, 4 febbraio 1986, secondo cui «la locazione di una cosiddetta area nuda destinata a deposito, anche se collegata funzionalmente ad attività industriale, non ricade nella previsione di cui alla legge 392 del 1978».Alla stregua di tale giurisprudenza, quindi, nel caso del lettore non si applica l’articolo 27, comma 1, della legge 392/78, per il quale «la durata delle locazioni e sublocazioni di immobili urbani non può essere inferiore a sei anni se gli immobili sono adibiti ad una delle attività appresso indicate industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico (...)». E infatti, la locazione ha a oggetto un’area nuda per il deposito di container, di alcuni mezzi e attrezzi di lavoro vari (e non l’attività industriale vera e propria). (Matteo Rezzonico, Il Sole 24ORE – Estratto da “L’Esperto Risponde”, 5 marzo 2018)