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Newsletter Forche Caudine

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Agosto 2014

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FORCHE CAUDINE Associazione dei Romani

d’origine molisana

Notiziario dell’associazione edito dal 1989

Giampiero Castellotti

presidente

Donato Iannone vicepresidente

Gabriele Di Nucci segretario

Gianluigi Ciamarra

Giovanni Scacciavillani presidenti onorari

Fabio Scacciavillani

presidente com. scientifico

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Supplemento al sito www.forchecaudine.com

testata giornalistica registrata il 30 maggio 2008 (n. 221) presso il Tribunale di Roma (già registrato il 9/1/90, n. 5 come periodico cartaceo).

Direttore: Giampiero Castellotti

WWW.FORCHECAUDINE.IT [email protected]

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La Newsletter di Forche Caudine raggiunge 6.018 persone (30% Roma, 30% Molise,

20% resto d’Italia, 20% estero).

Inoltre numerose associazioni la inoltrano ai propri soci.

Per cancellazioni, anche in riferimento

alla legge sulla privacy: [email protected].

La collaborazione è gratuita. “Forche Caudine”

è realizzato per passione e senza fini di lucro.

La foto di copertina è di Tiziano Primerano

EDITORIALE

Un “dentino” per una nuova era?

Questo mese di luglio ha donato al Molise non solo il viaggio del Papa, che ha praticamente monopolizzato l’attenzione mediatica locale per settimane.

C’è un’altra notizia che avrebbe meritato il massimo sforzo divulgativo da parte di tutti gli organismi preposti alla promozione della nostra regione d’origine: la scoperta della prima traccia umana nel sito paleolitico di Isernia, rinvenuto casualmente nel 1978 a seguito degli scavi per la costruzione della superstrada Napoli-Vasto.

E’ stato, infatti, trovato un dente da latte di un bambino vissuto 600 mila anni fa appartenente al ceppo dell’Homo heidelbergensis, antenato dell'Uomo di Neanderthal.

Si tratta – scusate se è poco – del resto umano più antico mai trovato in Italia.

Una scoperta sensazione annunciata dalla Direzione regionale Beni culturali e paesaggistici. A 36 anni di distanza dal ritrovamento del sito “La Pineta”, uno dei più antichi d’Europa, ricchissimo di reperti faunistici e litici (soprattutto felci) preistorici, si può finalmente parlare a ragione di “Homo aeserniensis”. Anzi, di “Puer aeserniensis”.

Mentre per decenni la promozione turistica regionale ha puntato, spesso, su fattori di terz’ordine, talvolta sfidando la concorrenza diretta di regioni ben più organizzate, il “Puer aeserniensis” rappresenta oggi un unicum europeo che se opportunamente valorizzato potrebbe incarnare un’occasione straordinaria di promozione.

Tra l’altro ricadrebbe su target culturalmente medio-alti, in grado di garantire ricadute importanti per l’intero territorio.

Se questo straordinario patrimonio fosse altrove avrebbe già avuto la più degna utilizzazione. Da noi, invece, è finito in tv perché sui reperti, causa la fatiscenza della copertura, ci pioveva dentro.

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RAGIONANDO

Una violenza soffocante

di UMBERTO BERARDO professore

Le guerre, la fame, un'immigrazione lasciata in

mano a scafisti senza scrupoli, i conflitti sociali e familiari stanno riempiendo di vittime questo nostro pianeta. Purtroppo non si tratta di episodi isolati o relativi solo alla nostra epoca, perché la storia ne è piena. Non so perché taluni omicidi colpiscano ed impressionino particolarmente l'opinione pubblica, mentre altri riescano ad essere dimenticati nel giro di pochissimo tempo. Un omicidio passionale riempie le prime pagine dei giornali da giorni, mentre le atrocità della guerra civile in Iraq magari assumono un profilo ed un impatto meno forti. Qualcuno dirà che nei primi gioca l'efferatezza dell'esecuzione; altri sosterranno che un episodio più vicino nello spazio ferisce più in profondità la nostra sensibilità. Francamente la brutalità delle scene di violenza sulla persona mi blocca lo stomaco e mi fa stare molto male in ogni caso. Se la seguo in televisione durante il pranzo o la cena, non riesco a proseguire il pasto. Quando poi i mass media inzuppano il pane nella malvagità degli esseri umani cercando, con la diffusione dei particolari, di captare non l'interesse, ma gli istinti più bassi del lettore o dello spettatore, siamo all'incoscienza ed all'irresponsabilità di chi non solo tende a mettere in primo piano sempre gli aspetti negativi della società, ma ne accentua irrazionalmente i dettagli amplificandone i rischi di diffusione perfino per imitazione. Così il negativo finisce per diventare o almeno per essere rappresentato come l'elemento fondamentale della collettività. La bontà, la positività delle relazioni amichevoli, la solidarietà, la capacità di condivisione con l'altro, il comportamento pacifico e non violento, il volontariato, la gratuità dell'aiuto al prossimo, la grandezza del dono sembrano ormai valori e sistemi esistenziali che non hanno più accesso alla comunicazione.

▲ Umberto Berardo nella “sua” Duronia (Campobasso)

Se seminiamo intorno a noi violenza a livello ideologico, politico, perfino religioso, se presentiamo ogni giorno esempi di soprusi, di soluzione violenta di conflitti attraverso la fotografia, la cinematografia e perfino nella pubblicità, come facciamo poi a meravigliarci del modo in cui gira il mondo? Abbiamo bisogno di fare una riflessione profonda sul male che ci circonda, sulle cause che lo determinano e sulla possibilità che abbiamo di porvi rimedio. Figure come Gesù Cristo, uomini dello stampo di Gandhi o Martin Luther King o letterati quali Lev Tolstoj hanno vissuto ed educato l'umanità alla non violenza ed all'amore. Purtroppo il nostro sistema esistenziale non segue più tali principi di vita ed i conseguenti valori che dovrebbero costituirne i fondamenti. Troppi cattivi maestri sono saliti in cattedra ed hanno spazzato via dall'educazione, dalla comunicazione e dalla storia qualità fondamentali della persona quali il rispetto sacrale della vita propria come dell'altro, la condivisione dei beni, l'onestà nel comportamento, la sincerità nei rapporti, la fedeltà nell'amore, la lealtà nell'amicizia, il rispetto dei diritti fondamentali del singolo come della intera collettività. Quando succede questo nella storia l'etica si spegne e la condizione umana pone "l'io" al di sopra del "noi" naufragando nella malvagità frutto di feticci come il dominio sull'altro, la ricchezza, il denaro, il prestigio, il potere, l'apparire. Abbiamo allora una necessità fondamentale che è quella di elaborare e ridare regole valide e condivise alla nostra convivenza per le quali poi dobbiamo attivarci per farne il fondamento di vita attraverso processi e strategie educativi.

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OSSERVATORIO

E se eliminassimo il Molise?

di VINCENZO MUSACCHIO docente di diritto penale - presidente Corea

I Consigli regionali costano alla collettività circa un

miliardo di euro (un miliardo e 95 milioni per l’esattezza). Neppure la tanto discussa casta dei deputati arriva a tanto: nel 2012 la spesa certificata di Montecitorio non ha superato il miliardo. Il Molise costa ai molisani 11 milioni di euro. Dove finiscono tutti questi soldi? La fantasia dei politici quando si tratta di sperpero di denari pubblici non ha limiti. Ci sono le spese di rappresentanza dei Presidenti, i gruppi consiliari, il personale addetto al Consiglio e alla Giunta. E ancora consulenze, convegni e incarichi esterni. Altri soldi, ogni anno, vengono messi a bilancio per il mantenimento e l’adeguamento delle varie sedi di rappresentanza. E poi c’è il relativo parco auto. I consiglieri regionali sparsi nel Paese sono 1.110 (945 sono invece i deputati e senatori), a cui vanno aggiunti gli assessori esterni. In alcuni casi anche i benefit dei consiglieri regionali riescono a superare quelli previsti per i parlamentari. La diaria, cioè l’assegno mensile destinato agli eletti per far fronte alle spese di vitto e alloggio nella città dove ha sede l’assemblea, la dice tutta. Mentre i ‘poveri’ deputati se la cavano con 3.500 euro al mese, a diversi consiglieri regionali sul territorio va molto meglio. Il Molise, riconosce ai suoi eletti una diaria minima di ben 4.500 euro netti al mese, esentasse, oltre lo stipendio ed il famigerato articolo 7. E poi tanti altri vantaggi. Ecco gli aspetti a sostegno della proposta di eliminazione del Molise forniti dalla massima autorità contabile regionale. Partiamo dal bilancio del 2013. Condanne per 5 milioni di euro. Restituzioni di 50 euro per ogni famiglia molisana. "Solo nel 2013, sono state emesse condanne per euro 5.219429.52, ingiustamente sottratti alla comunità molisana, che potranno essere utilizzati per soddisfare esigenze dei cittadini del Molise in questo momento in grave difficoltà". Sulla veridicità del bilancio, l'organo di controllo così si esprime: "Troppo spesso, il legislatore della Regione Molise non pondera adeguatamente il vincolo finanziario, limitandosi ad una dichiarazione di assenza di oneri, con il rinvio ai mezzi finanziari a disposizione (clausola di neutralità), ovvero senza quantificare quelli pur dichiarati; nonché rinviando direttamente o implicitamente alla Giunta e agli apparati amministrativi la determinazione degli oneri e della loro eventuale copertura (delibera del 22 ottobre 2013 della Sezione regionale di controllo per il Molise)".

Sulla sanità manco a parlarne. La Corte dei Conti, e non io, afferma: "L'obiettivo dell'equilibrio economico è ancora molto lontano, mentre la Regione Molise 'presenta uno squilibrio di cassa e di competenza fino al 31 dicembre 2012 complessivamente valutato, da ultimo nella riunione del 31 gennaio 2014, in 334 milioni di euro”. Sui costi della politica, la situazione è a dir poco aberrante. Sempre l'organo contabile regionale afferma: "L'auspicio è che si dia intanto il buon esempio con una significativa riduzione dei cosiddetti costi della politica, spostando i mezzi finanziari così recuperati per spese di investimento ed il rilancio della occupazione(…)”. Il settore consulenze ed incarichi non è da meno. Ancora la Corte dei Conti a ritenere disdicevole l'utilizzazione di denaro pubblico di una importante azienda speciale regionale (Molise Acque ndr), per il pagamento a spese dell'ente di un pranzo, presentato come una 'conviviale aziendale', riservata a tutto il personale interno". "Ma anche nella gestione in sé del personale si denotano cedimenti verso l'illegalità in relazione alla corresponsione di incentivi a pioggia, compensi, indennità speciali ed emolumenti non dovuti senza alcun collegamento all'effettivo svolgimento delle particolari mansioni che li giustificano o con il raggiungimento degli obiettivi, che spesso non sono stati nemmeno posti. Di particolare rilievo è risultata la vicenda della determinazione e liquidazione del trattamento economico e delle correlate indennità a favore del Direttore Generale di importante Azienda regionale. Un fenomeno molto generalizzato, a causa di scarsi controlli, è costituito dal mancato rispetto dell'orario di servizio da parte di personale di varie amministrazioni. "L'aspetto ancora più degradante è stato rappresentato da casi di appropriazione di danaro pubblico, nonché casi di concussione nei confronti di contribuenti da parte di dipendente dell'Agenzia delle Entrate". Finora la mancata attivazione delle procedure per la dismissione delle società partecipate, per la cessazione delle gestioni anomale dei servizi pubblici locali e per la messa in liquidazione delle società strumentali o di servizi caratterizzate da gestioni antieconomiche. La spesa per le 155 partecipazioni funzionanti in Molise (di cui 69 Consorzi, 3 fondazioni e 83 società) è di 9 miliardi di euro. La mancata previsione di vincoli al debito delle società partecipate può, inoltre, aver favorito forme di abuso dello strumento societario per ricorrere a finanziamenti non consentiti alle amministrazioni di riferimento. Consuntivo di 50 anni di autonomia regionale: “Il bilancio non risulta positivo, almeno sotto il profilo finanziario”. Può bastare tutto questo a suffragare le tesi di Rizzo sul Corriere della Sera? Allora come uscirne? La nostra idea è semplicissima e prevede un’articolazione territoriale completamente rivoluzionata rispetto a quella attuale spazzando via le Province e le Regioni. Il tutto dovrebbe ruotare su due livelli: lo Stato centrale e i Comuni uniti tra loro da tradizioni e culture simili (sistema questo peraltro già in uso in passato nella nostra Italia).

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GENS

Argentina, la bancarotta infinita

di FABIO SCACCIAVILLANI economista

L’agonizzante economia argentina vive da anni

in rassegnata attesa di un colpo di grazia. Può concretizzarsi come shock sui prezzi delle derrate agricole, ulteriore tracollo del peso, fallimento di una banca, rivolta di piazza contro i prezzi alle stelle e i salari rasoterra. Il pollice verso della Corte Suprema degli Usa contro le autorità argentine, non rappresenta un nuovo default per il semplice fatto che il paese è già fallito. La giustizia americana ha imposto all’Argentina il pagamento a un gruppo di creditori (che non aveva aderito al piano di ristrutturazione dopo il 2001) di 1,3 miliardi di dollari, un ammontare trascurabile in una situazione normale, ma che l’Argentina avrà problemi a racimolare, insieme ad altri 10 miliardi di dollari a creditori che potrebbero adire la stessa via legale. In realtà la popolazione sta già subendo da anni le conseguenze del fallimento economico nella vita quotidiana cercando di sottrarsi alla repressione economica e alla povertà esacerbata dall’inflazione fuori controllo. Il governo, dal canto suo, tra plateali imbrogli sul calcolo dell’inflazione e del Pil, espropri alle società straniere, appropriazione delle riserve della banca centrale, politica fiscale assurdamente espansiva (a beneficio delle proprie clientele) finanziata da stampa di moneta e controlli sui movimenti di valuta cerca di sfuggire al destino tipico dei predecessori: la fuga ignominosa di fronte alle turbe inferocite. Per qualche anno, dopo il crollo della currency board – che aveva permesso al governo argentino di indebitarsi impunemente e che si era dunque trasformata nel grimaldello di una rapina di massa – l’impennata dei prezzi agricoli internazionali aveva tenuto a galla il relitto del sistema economico. Poi, esaurita la manna della crescita impetuosa cinese, le falle hanno ricominciato ad allargarsi ed imbarcare acqua. Agli effetti pratici un governo che costringe i cittadini a detenere solo carta straccia fresca di zecca, proibendo la conversione dei pesos in dollari, ha già di fatto dichiarato bancarotta. L’economia devastata sopravvive grazie alle esportazioni agroalimentari e poco altro (di lecito).

◄ Fabio Scacciavillani

Per non collassare del tutto l’Argentina dovrebbe attrarre capitali stranieri, ma non esiste investitore sano di mente disposto a rischiare. Difficile prevedere come reagirà la “Presidenta” peronista Kirchner – a parte le tirate contro l’estorsione e gli avvoltoi di cui ha infarcito il discorso stralunato a reti unificate ad una nazione allo sbando. In prima battuta sfoggerà un atteggiamento di sfida, dichiarando (minacciando?) formalmente di non poter onorare la rata su tutto il debito in valuta, nella speranza di sottrarsi alle maglie della giustizia americana alzando il livello ed estendendo il fronte dello scontro. Ma alla rodomontata da Sansone in gonnella sono in pochi ad abboccare, per cui giocoforza la vera strategia è il negoziato sottobanco per cercare di rimandare l’appuntamento con il destino. Del resto attorno all’Argentina è da tempo steso un cordone sanitario per impedire il contagio finanziario. Il Fmi ha giudicato trascurabili le conseguenze di un tracollo a Baires per il resto dell’America Latina. Per quanto pecchi di ottimismo circa gli effetti di breve periodo, questa valutazione è condivisa dai grandi operatori finanziari. Oltre alle conseguenze immediate la sentenza Usa fissa un precedente storico. Finora un governo truffaldino aveva vita facilissima. Rifiutava di pagare il dovuto e ristrutturava il debito, vale a dire restituiva solo parte del malloppo. Chi osava sottrarsi al ricatto subiva l’esproprio totale. La bordata yanqui non abbatte le mura dell’immunità che proteggono la licenza di furto sovrano, ma apre una breccia. Da oggi ogni banca, ogni fondo, ogni autorità di mercato al mondo è sottoposta all’obbligo di eseguire i termini della sentenza della corte di New York su ogni centesimo riconducibile allo Stato argentino. Un monito brutale anche agli esaltati che hanno inneggiato per anni al “modello argentino”, al ripudio del debito pubblico italiano, al sanfedismo bungalirista condito di fantasie su una fantomatica lex monetae che garantirebbe l’autoassoluzione eterna.

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ARCHIBUGIO

CHI BOMBARDA GAZA

di GIAMPIERO CASTELLOTTI giornalista

Le notizie provenienti da Gaza, striscia di terra lunga 40

chilometri e larga dieci, con un milione e 700mila abitanti, un "mattatoio umano", non possono essere liquidate né con equidistanti dichiarazioni di rito, né con i tentativi di individuare responsabilità politiche. E né, peggio ancora, con faziose scelte di campo verso una o l'altra parte in conflitto. L'ennesimo massacro imposto "dall'alto" su una popolazione innocente, lo stillicidio di vittime effettuato con l'ipocrisia di svuotare preventivamente le abitazioni civili e di effettuare attacchi paradossalmente "chirurgici" in una zona tra le più densamente popolate del mondo, la belligeranza incessante che banalizza e degrada il valore delle vite umane - persino di quelle dei bambini - nella fredda conta quotidiana dei morti, deve indurre le coscienze a dire fermamente e indiscutibilmente basta. Il rifiuto delle logiche di morte può essere calato in una dimensione etica, politica, civile e, per chi ci crede, religiosa. E - per quanto il termine sembri desueto - in un impegno pacifista. Perché ciò che sta avvenendo in Medioriente è l'effetto di un attivismo bellico che non si limita a cruente operazioni militari come a Gaza, ma è incarnato in interessi economici che toccano congiuntamente le multinazionali degli armamenti e delle tecnologie di morte (l'unico business che non conosce crisi) e i principali governi occidentali. Passando per capacità di lobbies, cooperazione tra Stati nel settore della difesa, nella formazione e nell'addestramento del personale, nella ricerca e nello sviluppo industriale, negli accordi per manovre militari congiunte. La distanza tra il sangue delle vittime inconsapevoli e il denaro, se è assai vicina nel rapporto causa ed effetto, è nel contempo lontana nella logica dell'uomo pensante. L'Italia non è esente da tali responsabilità. Il nostro Paese è il maggiore fornitore europeo di sistemi militari ad Israele per un valore di oltre 472 milioni di euro nel 2012. Secondo un rapporto del quotidiano israeliano "Ha'aretz", nello stesso anno il valore totale delle esportazioni israeliane di armi è stato pari a sette miliardi di dollari. Antonio Mazzeo, giornalista impegnato sui temi della pace, ha diffuso un dato emblematico: in Israele sarebbero 6.784 gli imprenditori che si occupano di esportazione di armi. Il più delle volte gli accordi commerciali servono a mantenere attive le produzioni, risolvendosi in veri e propri interscambi. Ad esempio, nel luglio 2012 s'è registrata una delle più importanti operazioni commerciali di materiale bellico tra Italia e Israele: se l'Alenia Aermacchi, società di Finmeccanica, ha formalizzato la vendita di trenta "M-346" al Paese ebraico attraverso un accordo che ha incluso velivoli, motori, manutenzione, logistica, simulatori e addestramento per un giro d'affari dell'intera commessa intorno al miliardo di dollari, nel contempo Tel Aviv ha imposto alle forze armate italiane l'acquisto di due velivoli prodotti dalle aziende Israel Aerospace Industries ed Elta Systems, per un valore complessivo di circa 800 milioni di dollari.

Dietro a questi accordi c'è un lavoro diplomatico costante che riesce anche a "forzare" i limiti normativi. Ad esempio, nonostante la legge italiana n. 185 del 1990 vieti le vendite a Paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni dei diritti umani, la legge 94 del 17 maggio 2005, con voto quasi unanime del Parlamento italiano, ha ratificato uno storico accordo di cooperazione tra Italia e Israele nel settore militare e della difesa. Della lunga lista di incontri tra rappresentanti istituzionali dei due Paesi possiamo ricordare velocemente quelli del 2009 tra il ministro della difesa La Russa, l'omologo israeliano Barak e il premier Netanyahu e del 2011 tra i comandi dell'Aeronautica militare italiana e dell'Israel Air Force. Tra le visite ufficiali quella del luglio 2010 di Ashkenazi, Capo delle forze armate israeliane, a Roma, ricambiata nel dicembre 2010 a Tel Aviv da quella del generale Camporini, Capo di Stato maggiore italiano. Nel 2012 è venuto in Italia il generale Nehushtan, comandante delle forze aeree israeliane, che ha visitato i reparti di volo di Pratica, Lecce e Grosseto. Da non dimenticare le tante esercitazioni militari congiunte, a furia di bombe e missili a guida di precisione, da quella in Sardegna nel 2012, presenti forze aeree tedesche e olandesi, a quella nel deserto del Negev, a cui hanno partecipato anche velivoli dell'Aeronautica militare italiana, fino alle due presso Haifa, presenti gli incursori di La Spezia, alla cui vigilia il generale Norkin dell'Aeronautica israeliana rese noto che Tel Aviv aveva avviato la sperimentazione di "nuove procedure per abbreviare la durata delle future guerre" e "accrescere di dieci volte il numero di obiettivi da individuare e distruggere". Se oggi a bombardare Gaza c'è Israele, non può essere insomma ignorata la complicità dell'industria bellica internazionale. Gli "F15" e gli "F16" sono forniti a Israele dagli Usa, i sottomarini "Dolphin" sono di produzione tedesca, mentre i caccia italiani "M-346" Alenia Aermacchi costituiscono solo una minima quota della "cooperazione militare italo-israeliana", istituzionalizzata dalla legge n. 94 del 17 maggio 2005 e rafforzata da vertici e da esercitazioni congiunte che è, appunto, utile ricordare. Gli interessi dell'industria bellica vanno quindi posti al centro dell'attuale crisi mediorientale. Tuttavia non si possono ignorare le altre questioni, da quelle storiche, con le responsabilità europee, al ruolo di Netanyahu preoccupato dalle cronache politiche dei Paesi limitrofi (a cominciare dall'Egitto), e di Hamas, che ha rotto la linea di relativa moderazione, fino ai venti fondamentalisti: in particolare preoccupano le cronache del "Califfato" in Iraq, con le bandiere dell'Isis presenti ai funerali a Gaza. Questo intreccio conferma come la crisi palestinese non si possa risolvere con le prove di forza, che favoriscono soltanto l'industria bellica e i suoi ramificati interessi. La soluzione, come giustamente indica Sergio Romano dalle pagine del Corriere della Sera, non può che essere un compromesso tra le posizioni estreme di ciascuna delle due parti.

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INIZIATIVA PER LA PACE A GAZA

Da Campobasso il no alle bombe

Un sit-in in piazza del municipio per dire no alla violenza a Gaza.

Tra i promotori anche “Forche Caudine”.

di ANTONELLA CIFELLI

Un vasto raggruppamento di associazioni, dal mondo

cattolico a quello sindacale e politico, ha promosso a Campobasso una manifestazione per dire no ai bombardamenti di Gaza. L’iniziativa, nel cui comitato organizzatore ha aderito anche “Forche Caudine”, ha prodotto un documento che riportiamo di seguito. “In Medio oriente e soprattutto nella striscia di Gaza si vivono ore drammatiche sulle quali la nostra indifferenza sarebbe complicità. Siamo ancora una volta di fronte ad un rigurgito di fondamentalismo, figlio di interessi economici, imperialistici ed ideologici. Un conflitto come quello mediorientale è sicuramente frutto di un'organizzazione della società che alcuni studiosi definiscono verticale e che prevede una struttura sociale gerarchica segnata dalla selezione, dall'esclusione, dal sopruso, dalla guerra. Si tratta di un'aggregazione che evidentemente genera conflitti ed emargina il "diverso", non sentito più nel valore e nella dignità di persona, ma percepito come "lo straniero" o peggio ancora "il nemico". Ecco allora le muraglie di separazione, antiche come quella cinese o il muro di Berlino, o più recenti tra Messico e Usa o tra Israele e Cisgiordania. Una logica alternativa è la costruzione di una società orizzontale fondata sul riconoscimento della dignità di ogni persona umana a livello mondiale e sui diritti fondamentali da riconoscere ad ognuno che poi sono quelli della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Allora, oltre alla necessità di una conoscenza adeguata dei termini di ogni evento o problema esistenti in Medio Oriente, abbiamo il dovere di un impegno personale di natura civile e politica che sia in grado di impedire la strumentalizzazione dell'altro o addirittura il suo annientamento. È chiaro a tutti, ci auguriamo, che la costruzione di quella che abbiamo chiamato la società orizzontale prevede valori portanti che sono anzitutto la libertà di autodeterminazione, la giustizia sociale e la democrazia partecipativa che forse da nessuna parte del mondo siamo riusciti ancora a costruire pienamente, nonostante il cammino della civiltà umana sia stato tanto lungo. È un cammino difficile, ma l'unico che può portarci alla pacifica convivenza soprattutto tra etnie diverse. Per raggiungere tale obiettivo abbiamo la necessità di superare i modelli culturali della separazione, dell'esclusione e dell'eliminazione che indirizzano evidentemente nella direzione opposta. Ciò che sta avvenendo in questi giorni in Palestina è assolutamente condannabile ed inaccettabile, perché la violenza distrugge beni, uccide persone, rinfocola desideri di vendetta, ma soprattutto annulla l'amore come fondamento dell'esistenza e dei rapporti umani.

Rispetto ai conflitti armati in Medio Oriente ed alle loro conseguenze, occorre capire gli eventi e giudicare le responsabilità politiche individuabili e collettive nell'assurda colonizzazione plurisecolare dell'area, nell'aggressività israeliana, nella carenza di unità di azione delle componenti politiche del movimento palestinese, ma soprattutto nell'incapacità di governance internazionale degli organismi mondiali come l'Onu ed ancora nella mentalità neocolonialista delle principali potenze mondiali, compresi alcuni Stati dell'Ue. Al di là dello scontro tra Israeliani e Palestinesi e della conflittualità interna ai due popoli, tutti abbiamo il dovere e la responsabilità di un impegno culturale e politico in grado di tracciare le linee di un superamento dell'attuale situazione per delineare ipotesi di soluzione ai problemi mediorientali. Intanto chiediamo che si ponga fine immediatamente ad ogni azione di violenza e di guerra da parte di tutti. Pretendiamo da cittadini non violenti che l'Italia smetta di costruire e vendere armi o altri strumenti bellici, inviati anche in questi giorni proprio per il conflitto in questione, che ovviamente riaccendono in modo più violento i teatri di guerra, per esprimersi con una delibera parlamentare a favore dell'immediata cessazione delle ostilità. Reclamiamo che l'Onu e l'Ue rompano il silenzio o le posizioni equivoche ed interessate per dichiararsi contro il lancio di missili e le sproporzionate azioni di violenza disumane tenute in questi giorni da Israele nei suoi attacchi alla striscia di Gaza. Sollecitiamo tutti i pacifisti ad esporre in maniera permanente la bandiera della pace presso le loro abitazioni per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla questione medio orientale al fine di riprendere un tenace sforzo diplomatico per la sua soluzione dopo l'ennesimo fallimento del segretario di stato americano, John Kerry che ancora una volta si è infranto sui pericolosi scogli della politica israeliana. Invitiamo tutti ad una mobilitazione perché si fermino immediatamente vendette, rappresaglie, raid, lanci di razzi e si operi per giungere ad una pace in grado di riconoscere il rispetto dei diritti del popolo palestinese e di quello israeliano ed ovviamente della loro pacifica convivenza.

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LA NOTIZIA

La visita del Papa in Molise Grande successo per l’evento che ha posto la regione al centro del mondo

di TONY PALLADINO

Forte richiamo di Papa Francesco alla dignità della persona e del lavoro. Nel corso della sua visita in Molise, il Papa ha invitato a "rompere gli schemi" perché se "non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti". E soprattutto s'è soffermato sul tema della disoccupazione: "Non avere lavoro non è solo non avere mangiare per vivere. Il problema è non portare il pane a casa: questo toglie la dignità - ha detto il Pontefice a braccio, parlando davanti ad una folla immensa di persone che oltre ad occupare tutta l'ex area dello stadio Romagnoli, ha praticamente paralizzato Campobasso. L'ultimo Pontefice a recarsi in questa piccola regione era stato Giovanni Paolo II, due volte, nel 1983 a Termoli e nel 1995 a Campobasso e Agnone. Il Pontefice, giunto nel capoluogo molisano con circa dieci minuti di anticipo sul programma, è stato accolto tra gli altri dall'arcivescovo di Campobasso-Bojano, Giancarlo Maria Bregantini, dal presidente della regione Paolo Di Laura Frattura e dal sindaco della città, Antonio Battista. Una folla enorme ha calorosamente applaudito l'arrivo di Francesco.

La chiesa di Castepetroso, in provincia di Isernia,

dove il Papa ha incontrato i giovani d’Abruzzo e Molise

"Oggi vorrei unire la mia voce a quella di tanti lavoratori e imprenditori di questo territorio nel chiedere che possa attuarsi anche qui un patto per il lavoro - ha detto il Papa. "Ho visto che nel Molise - ha aggiunto - si sta cercando di rispondere al dramma della disoccupazione mettendo insieme le forze in modo costruttivo. Tanti posti di lavoro potrebbero essere recuperati attraverso una strategia concordata con le autorità nazionali, un 'patto per il lavoro' che sappia cogliere le opportunità offerte dalle normative nazionali ed europee. Vi incoraggio ad andare avanti su questa strada, che può portare buoni frutti qui come anche in altre regioni". Ed ancora: "Un'altra sfida è emersa dalla voce della mamma operaia, che ha parlato anche a nome della sua famiglia: il marito, il bambino piccolo e il bambino in grembo. Il suo è un appello per il lavoro e nello stesso tempo per la famiglia. Grazie di questa testimonianza! In effetti, si tratta di cercare di conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia. Questo è un punto 'critico', un punto che ci permette di discernere, di valutare la qualità umana del sistema economico in cui ci troviamo". Il Pontefice s'è soffermato quindi sulla questione della domenica lavorativa, "che non interessa solo i credenti, ma interessa tutti, come scelta etica" ha detto il Papa, che ha aggiunto: "La domanda è: a che cosa vogliamo dare priorità?

La domenica libera dal lavoro - eccettuati i servizi necessari - sta ad affermare che la priorità non è all'economico, ma all'umano, al gratuito, alle relazioni non commerciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con la comunità. Forse - ha concluso - è giunto il momento di domandarci se quella di lavorare alla domenica è una vera libertà". Quindi: "Quando vengono da me a confessarsi io chiedo loro 'tu giochi con i tuoi bambini?'. E loro mi rispondono: 'come padre?'. Bisogna giocare con i bambini, bisogna perdere tempo con loro. Stiamo perdendo questa saggezza. La situazione economica ci spinge a questo. Per favore, bisogna perdere tempo con i propri bambini". E' l'appello accorato del Papa. "È necessario porre la dignità della persona umana al centro di ogni prospettiva e di ogni azione. Gli altri interessi, anche se legittimi, sono secondari". "Questa è la libertà che, con la grazia di Dio, sperimentiamo nella comunità cristiana, quando ci mettiamo al servizio gli uni degli altri". "Servirci - ha spiegato a braccio il Papa - gli uni gli altri senza partiti, senza gelosie e senza chiacchiere". Il suo intervento nell'aula magna dell'università di Campobasso l'ha concluso con queste parole: "Vorrei dirvi che mi ha colpito il fatto che mi abbiate donato un dipinto che rappresenta proprio una 'maternità'. Maternità comporta travaglio, ma il travaglio del parto è orientato alla vita, è pieno di speranza. Allora non solo vi ringrazio per questo dono, ma vi ringrazio ancora di più per la testimonianza che esso contiene: quella di un travaglio pieno di speranza". ►►►

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Il Papa incontrando i molisani ha confermato tutto il suo carismo: Campobasso è stata una città letteralmente paralizzata. Nell'ateneo, il Papa ha ricevuto i saluti di un agricoltore e di un'operaia della Fiat. "La mia visita in Molise - ha detto Francesco - comincia da questo incontro con il mondo del lavoro, ma il luogo in cui ci troviamo è l'Università. E questo è significativo: esprime l'importanza della ricerca e della formazione anche per rispondere alle nuove complesse domande che l'attuale crisi economica pone, sul piano locale, nazionale e internazionale. Lo testimoniava poco fa il giovane agricoltore con la sua scelta di fare il corso di laurea in agraria e di lavorare la terra "per vocazione". Un buon percorso formativo non offre facili soluzioni, ma aiuta ad avere uno sguardo più aperto e più creativo per valorizzare meglio le risorse del territorio". La scelta del Molise quale nuova tappa italiana, dopo quella sarda e quella calabrese, è apparsa a molti rivoluzionaria perché pone al centro ulteriori marginalità. Una terra semplice, umile, fuori dai grandi flussi economici e turistici, a forte vocazione rurale. La regione che, in rapporto ai residenti, ha paga il più alto prezzo all'emigrazione, con quasi un milione di oriundi molisani sparsi per il mondo. Non a caso una nutrita delegazione di molisani che vivono in Argentina era presente alla visita a Campobasso con un proprio striscione. "Una terra sfruttata che non può dare vita è peccato - ha detto ancora il Papa in una terra dove l'agricoltura è ancora una risorsa primaria. "Una delle più grandi sfide della nostra epoca: convertirci ad uno sviluppo che sappia rispettare il creato. Condivido pienamente ciò che è stato detto sul custodire la terra, perché dia frutto senza essere sfruttata - ha detto ancora Francesco.

"Questa è una delle più grandi sfide della nostra epoca: convertirci ad uno sviluppo che sappia rispettare il creato. Io vedo l'America, mia patria pure, vedo tante foreste spogliate, che diventano terra che non si può coltivare, che non può dare vita: il nostro peccato è sfruttare la terra. Non lasciare che dia frutto". Un non vedente dalla nascita, Luigi, 60 anni, ha letto un brano delle Scritture in Braille durante la messa. "La testimonianza della carità è la via maestra dell'evangelizzazione - ha detto ancora il Papa durante la messa. "In questo la Chiesa - ha affermato - è sempre stata 'in prima linea', presenza materna e fraterna che condivide le difficoltà e le fragilità della gente". Così, "la comunità cristiana cerca di infondere nella società quel 'supplemento d'anima' che consente di guardare oltre e di sperare". Ha quindi incoraggiato a diffondere "dappertutto la cultura della solidarietà". "La prima Lettura ci ha ricordato le caratteristiche della sapienza divina, che libera dal male e dall'oppressione quanti si pongono al servizio del Signore. Egli, infatti, non è neutrale, ma con la sua sapienza sta dalla parte delle persone fragili, discriminate e oppresse che si abbandonano fiduciose a Lui. Questa esperienza di Giacobbe e di Giuseppe, narrata nell'Antico Testamento, fa emergere due aspetti essenziali della vita della Chiesa: è un popolo che serve Dio ed è un popolo che vive nella libertà donata da Lui". Così Papa Francesco nell'omelia. Significativi i gesti del Papa. Ha salutato una rappresentanza di ammalati, ha pranzato con i poveri assistiti dalla Caritas diocesana, nella "Casa degli Angeli" di Campobasso, inaugurando così la nuova struttura caritativa della diocesi, alla presenza anche di molti immigrati.

Il menù ha incluso piatti tipici molisani, come i cavatelli, la caponata, pollo e patate al forno, ma anche il mate, il tè argentino. Poi tra i carcerati ad Isernia e con i giovani a Castelpetroso. Monsignor Bregantini ha manifestato tutta la gioia per l’evento, da lui strenuamente voluto. “È un dono bellissimo che ha voluto fare a tutti noi sulla scia di quanto ci aveva promesso Benedetto XVI. Un regalo a un’Italia minore, magari dimenticata – ha dichiarato l’arcivescovo. “Il Molise è tappa papale perché è un’area del sud umile di stampo rurale di grandi valori, terra ideale da cui inviare un messaggio all’Italia e alla Chiesa globale – ha continuato Bregantini. “Da una fede più rafforzata verrà fuori la speranza sul futuro: chi ha speranza investe, chi investe nel lavoro. Più una comunità ha fede più riesce a progettare, meno fede ha più si rassegna. Papa Francesco ci spinge a questo”.

E ancora: “È necessario abbandonare l’egoismo la permalosità e alimentare la pratica della fiducia. La politica e deve essere consapevole dei propri doveri e avere un grande senso di responsabilità”. ■

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IL COMMENTO

MA PERCHE’ FRANCESCO HA SCELTO UNA TERRA DI “POVERI CRISTIANI”?

di GIUSEPPE TABASSO giornalista

Ogni decisione papale di lasciare la Santa Sede

per compiere un viaggio apostolico extra moenia è carica di significati storici e di motivazioni di tipo religioso, pastorale, politico, simbolico e perfino sentimentale, com'è stata ad esempio la visita che Papa Francesco compì in settembre a Cagliari al santuario della Madonna di Bonaria da cui deriva il nome della sua città natale, Buenos Aires. In Terra Santa la sua recente missione ha avuto una straordinaria valenza e ha prodotto un immediato risultato storico con l'abbraccio in Vaticano tra l'israeliano Peres e il palestinese Abu Mazen. Né meno forti e intuibili sono state le spinte che in precedenza hanno indotto il Papa a recarsi a Lampedusa, quindi ad Assisi - l'emblematica Assisi - e infine, il 21 giugno scorso, nella martoriata Calabria da dove è partita contro le mafie una scomunica "attesa da un secolo" (parole di un coraggioso magistrato come Nicola Gratteri, autore di Acqua santissima). Ma in Molise? Perché il Molise? E perché, ad esempio, in Molise prima che in Abruzzo? Come interpretare questa scelta nei riguardi della più irrilevante regione italiana che egli ha voluto anteporre a tante altre non meno significative in termini di cattolicità? E' un quesito che, non solo da molisano, mi sono posto dal momento in cui è stato dato l'annuncio di questo viaggio del tutto inatteso in una regione abituata ad esser messa regolarmente in coda. Ma si sa che da questo Pontefice "rivoluzionario" c'è ormai da attendersi numerose altre novità e sorprese.

▲ Papa Francesco a Campobasso

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Papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio, è uno che parla chiaro, rimette in circolo parole che sembravano fuori corso e va alla carne e al sangue del messaggio cristiano; spedisce all'inferno schiavisti e corrotti; denuncia un sistema economico "ingiusto alla radice"; esorta ad ascoltare "il grido dei poveri"; scrive ai leader economici del mondo riuniti a Davos che "non si possono tollerare le migliaia di persone che muoiono ogni giorno di fame"; festeggia il suo 77esimo compleanno con tre barboni; esecra lusso e fasto; usa auto utilitarie; scatena una bufera sul mega attico del cardinale Bertone e bacchetta chi in Vaticano ha organizzato un costoso "evento per vip" in occasione della canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII. Dopo otto mesi di pontificato, la prestigiosa rivista americana Time ha proclamato Bergoglio "uomo dell'anno". E' uno dei tanti segnali di apprezzamento per la statura di questo Papa che va ben oltre certi riconoscimenti mediatici. Poco prima di morire lo scorso aprile, il grande medioevalista francese Jaques Le Goff, autore di un fondamentale lavoro su San Francesco d'Assisi (Laterza, 2000), dichiarò in un'intervista che nell'azione del nuovo Papa vedeva diversi elementi di continuità con l'autore de "Il Cantico delle Creature". ►►►

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►►► "Se c'è un elemento comune a San Francesco e a Papa Bergoglio - affermò - è proprio la lotta contro il denaro e la difesa dei poveri. Anche oggi assistiamo a una revisione degli atteggiamenti nei confronti del denaro, solo che non si tratta più di una reazione a una novità, come nel XIII secolo, ma di una reazione a una crisi, quella che ha travolto l'economia all'inizio del XXI secolo. Papa Francesco è il papa della crisi. Probabilmente una parte dei cardinali che l'hanno eletto hanno visto in lui l'uomo capace di aiutare la Chiesa e la società a superare questa fase del mondo capitalista. La modernità di Papa Francesco, come quella del santo d'Assisi, nasce dalla volontà di lottare contro la materializzazione della società". In Italia destò scalpore la telefonata che Bergoglio fece a Eugenio Scalfari per invitarlo a un incontro dopo che il fondatore di "Repubblica" gli aveva posto alcune domande "da non credente interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù". Il "grande vecchio" del nostro giornalismo aveva infatti manifestato la sua ammirazione verso il Papa, spiegando questa deferenza col fatto che "egli vuole una Chiesa povera che predichi il valore della povertà". "Per duemila anni - scriveva Scalfari - la Chiesa ha parlato, ha deciso, ha agito come istituzione: non c'è mai stato un papa che abbia inalberato il vessillo della povertà, non c'è mai stato un papa che non abbia gestito il potere, che non abbia difeso, rafforzato, amato il potere, non c'è mai stato un papa che abbia sentito come proprio il pensiero e il comportamento del poverello di Assisi."

Una delle più belle foto scattate nel corso della visita di Papa Francesco in Molise, pubblicata dal Quotidiano del Molise ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

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Qui tuttavia Scalfari è incorso in una distrazione storica, perché un Papa che abbia, come egli affermava, "inalberato il vessillo della povertà" c'è stato. Mi riferisco ovviamente a Celestino Vº, il cui famoso "gran rifiuto" riguardava proprio le lusinghe del Potere e la Chiesa come istituzione. E sarebbe in proposito quanto mai attuale una rilettura (e magari una riproposta teatrale) de L'avventura di un povero cristiano, l'ultima, straordinaria opera che Ignazio Silone dedicò a Pietro Angelerio da Morrone. Nell'umile frate eremita elevato al soglio pontificio nel 1294, il grande scrittore abruzzese (che si definiva "cristiano post-risorgimentale e post-marxista") ravvisò appunto il simbolo e la virtù di chi antepone la coscienza al potere, e fu per questo defenestrato dall'ultimo irriducibile assertore della teocrazía medioevale, Bonifacio VIIIº. Azzardo dunque l'ipotesi che proprio queste considerazioni possano essere riconducibili a una motivazione profonda e "identitaria", tale da aver ispirato la decisione papale di mettere piede nella terra che ha dato natali a "poveri cristiani". Questo nostro piccolo Molise visto come luogo consono e congeniale alla lotta di Francesco contro la materializzazione della società. Giuseppe Tabasso (Campobasso, 1926), giornalista Rai, ha seguito da cronista 13 viaggi papali all'estero.

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OPINIONI

La lezione di Papa Francesco

di ROSSANA CALISTRI

Quest’epoca stravagante che ribalta la tradizione e non trova una nuova via, sembra non risparmiare neanche il mondo cattolico, che vive in questi anni vere e profonde trasformazioni. La presenza, anche se informale, di due Papi viventi che indirizzano la Chiesa. Papa Francesco, che riceve lettere di omosessuali feriti dalla condanna della Chiesa, o da persone che hanno visto fallire il proprio matrimonio e scelgono il divorzio come proseguo per la propria vita, ma che vorrebbero anche continuare un percorso di fede. Riceve lettere e apre con il dialogo. Poi finalmente l’affermazione più importante di Bergoglio, nell’omelia del 30 marzo: "Chi siamo noi per chiudere le porte?”. E ancora “Chi siamo noi per porre impedimenti?". Insomma, questo Papa argentino che non nega accoglienza a nessuno, che sceglie di toccare i temi più fragili della nostra società come la scuola, che cerca gli ultimi come compagni di vita e forse rende umana la dimensione divina. Il dubbio contro le certezze della fede. La possibilità di riflettere e aprirsi comunque alle miserie e le difficoltà di tutti gli esseri umani. Un Papa che sembra rivoluzionare i dogmi ecclesiastici, che parla e cerca il rapporto fisico con la gente e sceglie parole di vicinanza. Che si scandalizza alla risposta delle segreterie telefoniche nelle parrocchie. Afferma in un’intervista al quotidiano "La Repubblica" del 13 maggio: “Come si può essere vicino alla gente se non si ascoltano nemmeno al telefono?”. Francesco condanna i pastori affaristi, vanitosi e orgogliosi, che fanno opere e svolgono attività per soldi o per interessi economici o per il proprio rendiconto. In tanto "buio" di questo periodo, finalmente una rivoluzione di luce, un soffio di umanesimo. E ben venga se arriva dalla Chiesa o dai movimenti e dai pensieri della gente. Abbiamo bisogno di umiltà e di rigore per ricostruire una società più umana e pulita. ■

Con Papa Bergoglio abbiamo tifato Argentina

di SILVIO ROSSI Jorge Mario Bergoglio è il primo gesuita innalzato al soglio pontificio. Tra i vari ordini che costituiscono l’organizzazione della chiesa cattolica, la Compagnia di Gesù, fondata da Ignazio da Loyola nel 1534, si contraddistingue per la particolare attenzione agli aspetti educativi e pastorali. La Compagnia è particolarmente attenta al progresso spirituale e alla ricerca scientifica, il principale centro di studio è l’Università Gregoriana. Papa Bergoglio, fedele alla dottrina dei gesuiti è attento, in ogni suo discorso, a dispensare pillole di saggezza. Perché l’aspetto più interessante del pontefice è il suo spirito da divulgatore, che esercita con la leggerezza del maestro elementare, che facendosi voler bene dai suoi alunni, sa che ha la possibilità di rendere più efficace la spiegazione. E proprio come un maestro elementare, papa Francesco si fa ricordare più per il suo aspetto mite, la gentilezza, il rispetto che dona ai suoi interlocutori che per i messaggi che lancia, ma che non vanno sottovalutati. Il rapporto tra il contenuto dei messaggi e la forma con cui questi vengono esternati è un aspetto che comunque riguarda più gli studiosi che i fedeli. Per la maggior parte del popolo cattolico (o stancamente cattolico, la moltitudine di persone che non si recano regolarmente in chiesa, ma che sono battezzate, si definiscono cristiani, e sono presenti nelle occasioni speciali, come nel caso dei viaggi pastorali) il nuovo papa è amato per l’empatica che genera, perché rappresenta ciò che molti si attendono dal proprio parroco. Questa forma di amore spontaneo, che ha contagiato molte persone, a Roma come a Campobasso, tende a esternarsi in una grande partecipazione, con manifestazioni di affetto e stima plateali. Nell’occasione della visita pastorale a Campobasso, l’esempio più visibile, e certamente più simpatico, di questo modo di esternare le proprie emozioni è rappresentato da un lenzuolo appeso a una finestra con scritto “Francè noi tifiamo Argentina”. Due sono gli aspetti da evidenziare del messaggio scritto sul telo bianco: la confidenzialità del nome (con qualche altro papa sarebbe stata improbabile l’apocope), e la dichiarazione di passione sportiva, indirizzata nei confronti della squadra del pontefice, che la stessa sera avrebbe poi vinto il confronto contro il Belgio, resa certamente facilitata dalla prematura uscita dal mondiale della squadra italiana. In ogni caso, questo semplice gesto ha dimostrato come l’esempio, la semplicità dei modi, la voglia di farsi voler bene del papa argentino riescono a coinvolgere emotivamente i fedeli meglio di cento prediche. ■

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FOCUS

Dal Molise un messaggio al Papa: “Solo se amata e rispettata, la terra,

come un giardino, produrrà pane per tutti”

di SIMONETTA D’ONOFRIO

Chi semina bene raccoglie buoni frutti, proverbio

appropriato per evidenziare come il lavoro nei campi venga premiato se fatto con amore e dedizione. Con questo si può sintetizzare il messaggio veicolato a Papa Francesco, nella recente visita a Campobasso, durante la lettura di Gabriele Maglierie. Nell’aula magna dell’università del Molise, alla presenza del rettore, Gianmaria Palmieri, il giovane agricoltore di Riccia, che ha intrapreso lo stesso mestiere dei genitori, emozionato ha affermato che non c’è cosa più bella del mestiere di agricoltore, antico e che permette di far vivere tante persone: “[…] noi desideriamo che giunga a tutti i giovani la passione di restare sulla terra, studiare, imparare per la terra. Vogliamo essere contadini per Vocazione non per Costrizione”. Lo ha fatto capire chiaramente Gabriele, laureato in scienze agrarie all’Università degli Studi del Molise (Unimol) e imprenditore agricolo nel suo Paese, si deve utilizzare la massima professionalità, acquisire maggiore conoscenza e condividerla, affinché si possa trarre un vantaggio per tutti gli agricoltori, mettendola a disposizione in un sistema della “terra”, allo scopo di diventare un patrimonio per tutti”. Un’innovazione, quindi, che non deve essere vista come un tentativo estemporaneo, ma come una filosofia di lavoro per chiunque si adoperi a coltivare la terra. Ciò significa, essere in grado di captare tutte le soluzioni innovative e migliorative rispetto alle pratiche in uso, in grado di generare un valore aggiunto alle normali lavorazioni di routine. Pone un’attenzione particolare Gabriele sulla particolarità dei prodotti, si considera un protettore di un tesoro dal valore inestimabile e dice: “Ma proprio perché siamo i custodi, auspichiamo la attenta custodia della “tipicità” dei nostri prodotti: il nostro latte con formaggi, mozzarelle e fiordilatte; le nostre carni e i nostri salumi; le nostre uve con i nostri vini; le nostre olive con il nostro olio; i nostri grani con le nostre paste, pani e dolci, i nostri frutti ed i nostri semi, ricuperati e rivalorizzati! Rimane fondamentale per il giovane imprenditore agricolo unirsi per far promuovere i prodotti molisani, anche tramite associazione di categoria capaci di compiere un'operazione economica di comune interesse: “Desideriamo perciò che questa custodia sia fatta di tutele serie, tramite consorzi e marchi ufficialmente riconosciuti. Perché solo se amata e rispettata “come un giardino” la terra produrrà pane per tutti”

Di tutto rilievo è stato la parte del discorso del giovane agricoltore indirizzandosi sul procedimento di vendita dei beni della campagna, con un commercio equo e solidale o commercio equo, proprio chi ha nel dna una amorevolezza per i suoi prodotti e per la tutela del territorio. In particolare Maglierie rivendica una dignità del lavoro agricolo. Lo dice chiaramente a Papa Francesco: “Grazie alla sua visita nel mondo rurale molisano, noi desideriamo che giunga a tutti i giovani la passione di restare sulla terra, studiare, imparare per la terra. Vogliamo essere contadini per Vocazione non per Costrizione. Perché solo se amata e rispettata “come un giardino” la terra produrrà pane per tutti”. In conclusione se dovessi esprimere il momento più commovente durante la recente visita del Papa in Molise, non avrei dubbi a dire che è rappresentato dal testo letto nell’Università del Molise dal neo imprenditore agricolo di Riccia. Sebbene non venga ricordato spesso dai media, è evidente che la “terra libera il lavoro”, anche per una piccola ma laboriosa regione come il Molise. Non dimentichiamolo! ■

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LA LETTERA

DA UN CONTADINO MOLISANO

A PAPA FRANCESCO

di GIORGIO SCARLATO contadino di Guglionesi (Campobasso)

Santo Padre, esternando la mia non facile decisione di

scrivere questa lettera, Le porto testimonianza e saluti di noi tanti “cafoni” agricoli e delle nostre famiglie dalla dignità calpestata, da sempre gli “inascoltati” e bistrattati da tutti, politici e non. Faccio parte di un comitato spontaneo agricolo “Uniti per non morire”. Sono un coltivatore diretto, o meglio, un contadino. Sento il dovere, moralmente parlando, di cercare, in qualche modo, di far arrivare la voce ormai flebile, mia e di tanti come me, che avvertono in un modo latente, ovattato, lento ma costante, la morte di questa nostra agricoltura da decenni in crisi, oggi quasi irreversibile, dovuta alla superficialità, al disinteressamento, all’essere da sempre “pedina di scambio” per il vile denaro e che ora tanti “cavallini di Troia”, sponsorizzati da leggi comunitarie ad hoc, stanno cercando di disintegrarla a vantaggio di quella globalizzata e senza scrupoli che “altri” ci stanno imponendo piano piano, in modo silente. Prezzi di vendita al ribasso e svalutati rispetto a trenta anni fa, costi di produzione in progressivo aumento, mercati poco trasparenti, stretta creditizia, agropirateria, mancanza di misure reali di sostegno al settore, etc. definiscono il quadro chiaro della nostra situazione agricola del nostro Paese. Senza accorgercene siamo diventati sudditi, schiavi della terra da difendere da quel “sistema” che interessa solo il profitto. Il problema dell’ambiente e dell’agricoltura ecocompatibile, oggi ancor di più, è il fulcro sia per il presente che per il futuro della specie umana. E si deve tenerne conto. E’ la nostra unica ancora di salvezza. In occasione della Sua visita in Molise a nome di tutti gli agricoltori molisani un giovane corregionale, laureato in Agraria, ha offerto la sua testimonianza. Tra i vari argomenti, il sistema “innovativo” di semina su sodo, che nonostante tutto, si cerca di propagandare anche in Molise, regione meravigliosa con un territorio ricco di biodiversità. Quella biodiversità, anche mondiale, che oggi sembra essere ristretta in poche ed inquietanti mani di chi la sta utilizzando male. I “favorevoli”, i conoscitori progressisti dicono che è un modo, la necessità di rilanciare l’agricoltura sotto il segno dell’innovazione e della eco-sostenibilità vista nell’ottica delle tecnologie e delle conoscenze; che può essere una soluzione economicamente vantaggiosa circa i tempi di lavoro, i consumi di carburante, l’inquinamento ambientale.

Su quest’ultimo punto rimango perplesso perché l’unica cosa, il punto di fondamentale importanza che nel concetto di semina su sodo viene bypassato (volutamente?) o addirittura ignorato dagli “addetti ai lavori” è “l’agente chimico”: l’uso indispensabile del gliphosato, principio attivo di questo diserbante, ed il suo metabolita Ampa che rappresentano il 50% di riuscita della semina su sodo e che non se ne può fare a meno. L’innovazione può essere economicamente valida ma sbagliata al vero problema che nessuno dei sostenitori dice del principio attivo di questo erbicida: che è il fattore più importante della distruzione della biodiversità; dell’inibizione alle varie colture agrarie, tutte, all’assorbimento di microelementi; della crescita di piante infestanti ormai diventate potenti “macchine da guerra” che “colonizzano” aggressivamente sempre più territori (pare che, da stime del 2011, alcune erbe infestanti resistenti al gliphosato, come Kochia e Amaranto, abbiano resi incoltivabili 5,6 milioni di ettari di mais, soia e cotone negli Usa); delle gravi malattie, tante, causate alla razza umana. Santità, nella “Sua” Argentina , un nome su tutti svetta per l’impegno ambientale: Sofia Gatica. Una donna che insieme ad altre 16 madri argentine prosegue tuttora e mira a bandire del tutto l’uso del gliphosato nella nazione. Queste donne hanno organizzato incontri e conferenze per avvertire il pubblico sui pericoli di questo erbicida. La signora Gatica, vincitrice del Goldman Environmental Prize 2012, uno dei principali riconoscimenti mondiali per l’impegno ambientale, ha detto: “Quello che è successo a noi avviene in altri posti. Non è solo una lotta per il nostro quartiere, ma anche per tutti gli altri luoghi, perché in altri luoghi ci sono altre persone che si trovano in condizioni anche peggiori delle nostre. Hanno bisogno del nostro aiuto e noi dobbiamo aiutarle a capire i loro diritti”. Mentre in Argentina ne hanno vietato/limitato l’uso in Italia, lo promuoviamo anche se in modo indiretto? ►►►

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►►► Santità, non si mettono in dubbio l’esperienza, la professionalità e la ricerca applicata in materia di semina su sodo ma si nutrono forti criticità sugli aspetti agronomici e pedologici visti sotto l’ottica di tutela della biodiversità e della difesa della salute umana come alimentazione buona, sana e sostenibile. Il rapporto cardine tra ambiente-salute e tra agricoltura-cibo-salute deve essere convinzione assoluta! Ovviamente si deve parlare di una forma di agricoltura responsabile atta a tutelare la salute delle persone, delle specie vegetali ed animali. Fondamentale è, allora, il ragionamento sull’agricoltura pulita dove si può fare molto per la prevenzione delle malattie e per la salute non solo delle attuali generazioni, ma anche di quelle future. Si vuole che si sostituisca la nostra ricca biodiversità con lo standard globalizzato come già successo in altri Paesi di Oltreoceano? Questo “agente chimico” viene usato sia in campo agricolo (terreni incolti, frutteti, vigneti, oliveti, semina su sodo) che negli spazi urbani (argini delle strade, dei marciapiedi ed incolti siano essi di proprietà comunali, provinciali, nazionali, strade ferrate, etc.). Viene finanche irrorato in pre-raccolto (pre-harvest) sul grano duro in Canada e Nord Dakota (Usa)! Pratica molto diffusa che consiste nell’essiccamento artificioso del grano in campo per portare così a maturazione le derrate trattate. I chicchi diventano sterili, non germineranno più. E i residui significativi di tale principio attivo? Cosa ci dicono “i tecnici” a tal proposito? Vorrei vedere “quelle persone” se utilizzerebbero mai per il consumo alimentare, magari delle proprie famiglie, derrate che hanno subito tale trattamento! Mangiamo anche o forse soprattutto quel “tipo” di grano? Con quali riscontri negativi? Nessun “esperto” lo dice in modo esplicito o lo vuol dire; perché? Perché i nostri enti pubblici nazionali, regionali, la nostra locale università non analizzano il residuo di tale agente chimico o addirittura non compiono studi di routine? Non si può ancora barattare la vita di tanti con l’arricchimento di pochi!!! Così, come sta già succedendo nel mondo, storia insegna, a rimetterci saranno sempre i contadini da una parte, come da sempre una mucca da mungere, ossia un dente dell’ingranaggio da usare per poter far funzionare “il loro sistema”; e, dall’altra, i consumatori “non acculturati” su ciò che mangiano o meglio: su quello che “altri” fanno mangiare. Siano essi indiani, argentini nicaraguensi, italiani, francesi, statunitensi. E quando si parla di Ogm, di semi brevettati da multinazionali, i “futuristici innovativi” semi RR (Roundup Ready) sono in stretta correlazione col gliphosato essendo il partner essenziale. Mi torna in mente la frase degli anni Settanta detta da Henry Kissinger, il Segretario di Stato americano: “Controllate il petrolio e controllerete le nazioni. Controllate il cibo e controllerete i popoli”.

Questa frase, ancora attuale, porta alla conclusione che nel modo in cui si tratta il cibo, in cui si fa la programmazione agricola, c’è un modo anomalo di rapportarsi con la democrazia. L’agricoltura, quella vera, deve ritornare ad occupare quel ruolo primario che merita di diritto perché l’agricoltura è bene comune, è rispetto per l’ambiente, è tutela del territorio e, non per ultimo, il diritto alla salute delle persone, delle generazioni future e dei popoli di tutto il mondo che non si compra, lo si fa insieme. Santità, invochi la benedizione del Signore sulle tante famiglie contadine, che in silenzio soffrono, le “senza voci” da sempre, e sul mondo agricolo, quello vero. Ne abbiamo davvero bisogno. Illumini le menti, tocchi le coscienze, infiammi i cuori di chi ha il potere di decidere, di chi fa ricerca; per tutelare davvero il pianeta Terra, per preservarlo e non per danneggiarlo. Con ogni migliore augurio a Sua Santità, cordialmente Non si può ancora barattare la vita di tanti con l’arricchimento di pochi!!! Così, come sta già succedendo nel mondo, storia insegna, a rimetterci saranno sempre i contadini da una parte, come da sempre una mucca da mungere, ossia un dente dell’ingranaggio da usare per poter far funzionare “il loro sistema”; e, dall’altra, i consumatori “non acculturati” su ciò che mangiano o meglio: su quello che “altri” fanno mangiare. Siano essi indiani, argentini nicaraguensi, italiani, francesi, statunitensi. E quando si parla di Ogm, di semi brevettati da multinazionali, i “futuristici innovativi” semi RR (Roundup Ready) sono in stretta correlazione col gliphosato essendo il partner essenziale. Mi torna in mente la frase degli anni Settanta detta da Henry Kissinger, il Segretario di Stato americano: “Controllate il petrolio e controllerete le nazioni. Controllate il cibo e controllerete i popoli”. Questa frase, ancora attuale, porta alla conclusione che nel modo in cui si tratta il cibo, in cui si fa la programmazione agricola, c’è un modo anomalo di rapportarsi con la democrazia. L’agricoltura, quella vera, deve ritornare ad occupare quel ruolo primario che merita di diritto perché l’agricoltura è bene comune, è rispetto per l’ambiente, è tutela del territorio e, non per ultimo, il diritto alla salute delle persone, delle generazioni future e dei popoli di tutto il mondo che non si compra, lo si fa insieme. Santità, invochi la benedizione del Signore sulle tante famiglie contadine, che in silenzio soffrono, le “senza voci” da sempre, e sul mondo agricolo, quello vero. Ne abbiamo davvero bisogno. Illumini le menti, tocchi le coscienze, infiammi i cuori di chi ha il potere di decidere, di chi fa ricerca; per tutelare davvero il pianeta Terra, per preservarlo e non per danneggiarlo. Con ogni migliore augurio a Sua Santità, cordialmente. ■

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L’INTERVISTA

Monsignor Bregantini: “Il Molise? Valorizzi l’ambiente incontaminato”

di SILVIO ROSSI

Incontriamo monsignor Giancarlo Brigantini, arcivescovo della diocesi di Campobasso-Bojano, nella chiesa di Santa Maria del Monte, davanti al Castello Monforte a Campobasso. Giunto al piazzale, con anticipo rispetto l’inizio della funzione, il vescovo s’intrattiene con alcuni dei presenti, col tono cordiale da parroco di campagna. Al più formale “monsignore” preferisce “padre Giancarlo”. Perché lui, nonostante i riconoscimenti ricevuti sia dall’istituzione ecclesiastica sia dai suoi fedeli, ha mantenuto lo spirito semplice del pastore che fatica ogni giorno per governare il suo gregge. E proprio questa semplicità, che lo avvicina al modo d’essere del Santo Padre, ha cementato una stima reciproca. Si comprende, quindi, perché il Santo Padre ha affidato proprio a Bregantini il compito (e l’onore) di scrivere le riflessioni che hanno accompagnato l’ultima via crucis. Dopo la cerimonia, nella sagrestia della chiesa, ci ha accolto per rispondere ad alcune domande. D. Lei prima di venire in Molise è stato in Calabria. In cosa le due realtà coincidono e differiscono? R. Di uguale c’è che sono molto simili nella storia, sono realtà di emigrazione, di povertà, di fatica e di dignità. Di diverso c’è la presenza della ndrangheta, che qui non esiste. C’è una “zona grigia”, una coscienza che è un po’ intorpidita, talvolta non si ha il coraggio di esporsi, però non c’è la violenza che c’è in Calabria, li la mafia è devastante. D. Come ha detto anche Papa Francesco, quando è andato in visita pastorale a Rossano. R. È vero, non si può paragonare: qui la vita è più tranquilla. Il Molise, dall’ultimo censimento, è la regione che ha meno inquinamento e meno criminalità di tutta Italia. Dovrebbe essere una spinta per tutte le nostre realtà turistiche a valorizzare tale dono. Questo però è il nostro limite: non siamo ancora capaci di fare di queste opportunità tutta una serie di vantaggi reali.

D. Cosa c’è di diverso tra la comunità di un paese, che vive a fianco del parroco, e un gruppo di cristiani che provengono da tutti gli angoli del mondo? R. Non c’è molta differenza. La chiesa cattolica è sempre la stessa, al di la della questione geografica. D. Nella sua omelia ha parlato di San Tommaso, che ha creduto in Gesù fin quando è stato messo davanti a un qualcosa che era più grande di lui. Lei si è mai trovato davanti a una prova così grande da metterla in difficoltà? R. Sì, sì … molte volte. Tante volte come nella vita di tutti la fede vacilla, la fede fa fatica, deve essere riempita di nuovi contenuti. Ed è un momento molto amaro, perché non ti aspetti certe cose, perché “proprio a me”, ma guarda un po’ cosa mi succede, ma che devo fare. D. Ed è legato anche al dolore di cui parlava lei? R. Anche le normali esperienze del dolore nostro. D. Lei ha fatto più volte riferimento ai migranti che vengono in Italia scappando da guerre, da povertà. In Italia però ci sono persone che fanno difficoltà, a volte per difficoltà più comprensibili, a volte per egoismo. Quanto gli italiani hanno dimenticato la loro storia di emigranti? R. Eh, qui dovrete essere voi ad aiutarci, col discorso dell’emigrazione vissuta ieri, i racconti dei nonni, anche mio nonno è stato emigrato nelle miniere dell’America del nord. Attraverso quei ricordi dobbiamo dire: ieri i nostri nonni hanno sofferto, anche noi dobbiamo capire la sofferenza di oggi. Non vengono per fare turismo, vengono disperati, perché chi affronta un mare così tremendo, attraverso queste condizioni che ci hanno descritto, anche tra torture e privazioni, tutto questo chiede di essere capaci di capire, di aprirci. Dimenticare è il vero peccato dell’uomo, e non dimenticare è il dono più grande che Dio ci possa fare, per fare memoria che tutto ciò che ho non è mia conquista, ma dono gratuito, perché se è dono lo devo condividere, se è conquista lo tengo, e più lo tengo più lo sciupo. Questa esperienza ci chiede di cambiare, l’immigrazione ci fa sentire più vera la forza dell’emigrazione, i drammi di ieri devono aiutare a capire i drammi di oggi. È chiaro che questo richiede una politica non avventata, intelligente, strategica, organizzativa, capace di compenetrare le esigenze di un popolo e le attese di chi ci arriva. Però un conto è alzare una barriera come ha fatto Israele, popolo che si crede sicuro con i muri, poi ha visto tre ragazzi per un autostop uccisi, e si sono vendicati con un’altra uccisione. Allora non è vero che i muri salvano, è il cuore che li salva. Se utilizzo i cuori, e li organizzo in modo tale da dire: Dio ci ha fatti tutti figli suoi, e perciò tutti fratelli, non è il muro che risolve il problema, ma la riconoscenza dei doni, la riconciliazione tra fratelli, e la condivisione dello stesso pane, e quindi l’uso saggio della stessa terra, questo è il cammino da intraprendere. Uscendo dalla sagrestia un fedele va incontro a Padre Giancarlo chiedendo di salutare il “prossimo Papa”. Sui suoi occhi leggiamo un po’ d’imbarazzo, misto alla gioia di vedere i propri fedeli soddisfatti per il lavoro che sta svolgendo. ■

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SPECIALE

Consiglio dei molisani nel mondo:

per il Molise una grande chance

S’è svolta in Molise a luglio la riunione delle associazioni molisane. Numerosi delegati da tutto il mondo. Per l’Italia presente “Forche Caudine”.

Non solo nostalgie, ma tante proposte…

di SILVIO ROSSI

“Il Consiglio dei molisani nel mondo è stata un’opportunità importante in un momento particolare e delicato come quello che stiamo vivendo, ed è compito nostro sfruttarlo per costruire in questa piccola regione una crescita mirata allo sviluppo dell’economia. Ambasciatori del popolo molisano, residenti in Italia e all’estero sono stati chiamati a mettere in comune le peculiarità e le conoscenze acquisite durante la loro esperienza di vita lontano dalla regione, per fare uno sforzo di apertura e d’internazionalizzazione per il Molise”. Lo ha dichiarato Simonetta D’Onofrio, delegata a rappresentare l’Italia per conto dell’associazione “Forche Caudine”, con sede centrale nella Capitale e presieduta dal dottor Giampiero Castellotti, la quale favorisce da oltre venticinque anni molteplici attività nella rete dei corregionali presenti in tutto il mondo, stimolando la partecipazione degli stessi alla vita associativa, rafforzando i processi di valorizzazione sociale, culturale, collaborando le istituzioni pubbliche. “La tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico e architettonico sono le uniche leve che possano dare realmente un segnale di crescita economica in questa piccola regione, dove ancora oggi le generazioni più giovani, più acculturate e professionalizzate del passato stanno pagando un prezzo altissimo, costrette ancora nell’era del digitale a emigrare verso l’estero. Spingere sull’utilizzo delle nuove tecnologie, affinché le testimonianze dei molisani possano diventare un patrimonio per tutti, rimane fondamentale per non disperdere e per ridare una grande influenza all’emigrazione, per farli diventare cittadini attivi, anche se distanti dalla loro terra natia. Iniziative in questo senso si vanno fortunatamente moltiplicando, sia sul versante più consolidato dell’emigrazione italiana sia su quella in particolare delle tradizioni molisane. Ma non è sufficiente. Un percorso difficile di cambiamento da attuare è indispensabile e inevitabile per questa terra. Voltare le spalle al progetto ‘Grande Molise’, significa non volere attuare il rilancio per un paese che ha bisogno di crescita.

In primis – sottolinea l’incaricata a rappresentare l’Italia nel convegno – il Molise ha bisogno di premiare le vere eccellenze sparse per il mondo, da Sidney a New York. Non mancano le professionalità di valore assoluto made in Molise. Basti prendere come esempio due molisani, cui proprio il 28 giugno, la Rai, il Tg2 gli ha dedicato uno spazio sullo storico settimanale di approfondimento «Dossier» condotto dalla giornalista Maria Concetta Mattei. Emoziona vedere un marchio riconosciuto oltremanica, «Flavour of Italy», scuola di cucina italiana, creata e diretta da molisani, Marco Giannantonio e Maurizio Mastrangelo. Un’idea semplice, come creare un’italian school cooking, presente da oltre 10 anni, affermata e capace di realizzare anche tanti posti di lavoro.

Simonetta D’Onofrio. ►►►

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

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Due molisani, Marco e Maurizio, originari rispettivamente di Ripalimosani e Campobasso che con la loro idea promuovono la cultura della nostra regione e quella italiana, guadagnandosi la buona reputazione nel campo commerciale di riferimento, premiati nel 2012 anche con il globo tricolore, prestigioso premio internazionale. Esempi come questi sono numerosi”, ha asserito D’Onofrio durante il dibattito. “Scrivere le migrazioni, quindi, per conoscerle meglio, raccogliere queste straordinarie testimonianze di vita e trasmetterle, farle diventare patrimonio comune. I governi passati avevano dichiarato di aver fatto molto per l’emigrazione, ma di fatto gli investimenti strutturali non sono stati all’altezza delle loro intenzioni. Ben 22 anni sono trascorsi dall’articolo «Allarme figli? Esagerati», pubblicato sul quotidiano La Repubblica (29 gennaio 1992, a cura di Alessandra Longo). Raccontava il pericolo dell’identità della regione Molise. Emergeva dal convegno tenuto dal Cnr un dato chiaro e inconfutabile, secondo la ricerca del Ceris (Centro ricerche sociali e dalla Caritas), il rischio di estinzione nella regione Molise era particolarmente alto, in particolar modo per i comuni di Capracotta, Castelverrino, Chiauci, Civitanova del Sannio e Vastogirardi. Fu definita in quell’articolo «terra ingrata, i giovani se ne vanno, solo i vecchi rimangono. Inesorabile invecchiamento». Veniva menzionato il territorio della diocesi di Trivento, una superficie di 1139,49 chilometri quadrati, a cavallo tra Molise e Abruzzi, con 40 Comuni e ben tre province. Ciò che ne derivava era una descrizione di una zona depressa, di emigrazione, diminuita in trent’anni del 40 per cento, definita come un’area che raggiungeva «il primato nel primato». Una specie rara, in via d’estinzione. Ma il Molise è un’altra cosa. Nei prossimi mesi c’è in ballo il cruciale appuntamento con l’Expo. Certo si tratta di un’opportunità straordinaria per dare finalmente voce anche al Molise. Rimane essenziale fare sistema. Non si può capire solo dai numeri il Molise, anche se ancora oggi testimoniano l’emorragia della migrazione. Un progetto di marketing territoriale confezionato come se fosse un bel vestito potrebbe essere la giusta strada, sostiene la dott.ssa D’Onofrio, per la promozione della piccola “Svizzera del Sud”, dove l’obiettivo primario è quello di mettere in rete, percorsi turistici, luoghi, e risorse per far conoscere le nostre eccellenze a quanti, prima, durante e dopo «Milano Expo 2015», verranno su questo territorio. Registrare, ad esempio, in questa fase, il brand ‘Molisani nel mondo’, identificabile per i prodotti, le idee brillanti e quant’altro possa incidere nella riqualificazione dell’intera regione, concorrerà a dare al pubblico un segnale riconoscibile e indelebile. Anche il Molise può guardare al futuro. In conclusione – afferma la rappresentante dei Molisani emigrati in Italia – la politica attuale chiamata a governare in questa regione del Sud, deve essere in sincronia con tutto ciò, è una grande occasione anche per loro. Ora si deve dimostrare, molisani nel mondo e non solo”. ■

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Marcelo Carrara (Argentina): “figli” della propria regione

D. Marcelo Carrara, dall’Argentina. Argentina dove? R. Mar del Plata. D. Tu sei nato lì? R. Sì, sono nato a Mar del Plata, ma mia mamma è nata qui a Castel del Giudice, provincia di Isernia, nel 1947. Poi è emigrata nel 1951. D. Quindi proprio da bambina… R. Si, bambinissima. È stata portata giù dai nonni. D. Per cui la lingua italiana tu l’hai imparata dai nonni, nel senso, anche tua madre lo parlava “da emigrante”. R. Sì, lei ha fatto tutte le scuole in Argentina, ma in casa si parlava ovviamente italiano, e anche io ho imparato in casa, con i nonni materni, e ovviamente mia madre, che lo continua a parlare. D. In Argentina comunque la comunità italiana è una delle più grandi. R. Esatto, c’è una comunità molto grande, con calabresi, siciliani, piemontesi, veneti, ci incontriamo tutti e l’italiano è un modo anche per confrontarci. D. C’è rivalità tra le comunità regionali? R. Sì, c’è. Perché tutti gli argentini sono figli della propria regione, per cui questo ci porta a fare un po’ di concorrenza, si scherza su quello che lavora di più, o che alla festa porta più gente, si scherza sempre. Ci sono molti marchigiani anche nella mia città, allora tutti vogliono che la festa del patrono sia quella che porta più gente, la processione più bella, i fuochi più spettacolari. D. E c’è anche rivalità calcistica italiana, o per il calcio siete argentini, e fate il tifo per le squadre argentine. R. Esatto, è diverso dal Canada o dagli Stati Uniti, per esempio io dell’Italia non ho una squadra. A me piace molto il calcio, ma in Italia non tifo per una squadra particolare. D. Invece dovresti, magari per tifare Roma.. R. Lo devo dire, quella che ho una simpatia maggiore è la Roma, non so perché, forse da quando c’era Batistuta… D. Anche se la Roma ha avuto in genere più giocatori brasiliani che argentini, a differenza della Lazio. R. Si, può darsi. Comunque non so perché, ma dai tempi di Batistuta mi è rimasto un affetto particolare, e ovviamente siamo molto legati anche al Napoli, dal tempo di Maradona, però in Argentina non è come in Canada o negli Stati uniti, che trovi i club di Juve o Milan. Noi no, io infatti tifo per il Boca Junior. D. Che fu la squadra di Maratona. R. Sì, è la più bella squadra del mondo. D. E non è di Mar del Plata. R. Infatti, è di Buenos Aires, ma è stato fondato dagli italiani, c’è una storia bellissima, infatti è una squadra molto legata alla comunità italiana. Pensa che il primo nome del Boca Junior era “Figli dell’Italia”.

MOLI-ARGENTINO. Marcelo Carrara ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

D. E con gli altri molisani come vi vedete? R. Noi lavoriamo nella comunità molisana, a Mar del Plata abbiamo due associazioni: una si chiama “Collettività mafaldese molisana”, che ha una presenza molto forte di persone che provengono da Mafalda, e l’altra associazione si chiama “Unione regionale del Molise”, che provengono per la maggior parte da Duronia e Frosolone. Sono i tre comuni più rappresentati a Mar del Plata, io sono di Castel del Giudice, che siamo stati sempre tre famiglie. In conclusione – afferma la rappresentante dei Molisani emigrati in Italia – la politica attuale chiamata a governare in questa regione del Sud, deve essere in sincronia con tutto ciò, è una grande occasione anche per loro. Ora si deve dimostrare, molisani nel mondo e non solo”. ■

UN MILIONE DI ABITANTI. Mar del Plata

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Riccardo Di Fabio (Australia): il maestro di sartoria

D. Iniziamo dalle generalità. R. Riccardo Di Fabio, vivo ad Adelaide, in Australia D. Da quale paese del Molise provieni, quando sei andato in Australia e come ti sei ambientato? R. Sono nato a Castellino del Biferno, nel settembre 1945, poi nel ’57 ci trasferimmo a Petrella Tifernina, poi da Petrella nel ’62 partimmo per l’Australia, dove abito nella città di Adelaide, nel sud. È una bellissima città. D. In Australia hai sempre vissuto ad Adelaide? R. Si, anche se ogni tanto ho visitato altre città, ma come vacanza, sono stato sempre residente ad Adelaide. D. Tu ad Adelaide fai il sarto. È un mestiere che hai imparato in Italia prima di partire? R. Sì, a Petrella, sotto il maestro Ovidio Fratangelo, ho fatto l’apprendistato quattro anni, poi all’età di 17 anni con la famiglia ci siamo trasferiti in Australia perché avendo una sorella sposata lì, in Adelaide, l’abbiamo raggiunta. Dall’inizio ho fatto il sarto. Mio fratello era già li, sarto anche lui, Luigi, purtroppo non è più con noi, e abbiamo messo assieme una sartoria nel centro di Adelaide. Dal ’71 che siamo presenti. D. Sartoria “italiana”. In genere nel mondo le sartorie italiane sono rinomate, hanno buone clientele. R. Esatto, posso dire che anche da noi è così. I nostri clienti sono per la maggior parte professionisti, iniziando da giudici, governatori. D. Per quanto riguarda invece l’attività associazionistica, di volontariato che svolgi per i molisani, come è nata? R. Prima di fondare l’associazione molisana, che è nata nel 2005, io sono stato sempre impegnato negli altri clubs, come il club italiano, poi diventato centro italiano di coordinamento, che è il posto dove diamo assistenza agli anziani italiani. Però la mia prima esperienza è stata far parte di un club calcistico, gli azzurri di Adelaide. D. La passione per lo sport ti porta anche a fare il commentatore sportivo per una radio locale. R. È vero. In una radio italiana di Adelaide, ogni lunedì sera trasmetto insieme ad altri due colleghi. Il titolo della trasmissione nasce dai nostri nomi. Io mi chiamo Riccardo, gli altri Rocco e Gery, allora io ho dato il nome “Ricky, Rocky and Gery”, e dovunque andiamo per Adelaide ormai ci riconoscono.

Dante Ricchiuti (Argentina): l’avvocato che ‘s’è fatto da solo’

D. Dante Ricchiuti, proveniente da Carovilli. R. Veramente, non sono nato a Carovilli, ma in provincia di Buenos Aires, in Argentina. D. Un italoargentino di seconda generazione R. Si, però la Carlona, mia nonna, è venuta in Argentina proprio quando sono nato io, e con lei ho imparato moltissimo della cultura contadina molisana attraverso le sue parole. Perché mia nonna non sapeva né leggere né scrivere… D. Quindi è proprio il caso della tradizione che si riporta oralmente R. Si, veramente. D. Però poi in Argentina ti sei anche affermato. Sei una persona che ha studiato, ha un certo livello sociale. R. Grazie a Dio, dai 14 anni ho potuto lavorare e studiare. Ho conseguito la laurea di avvocato quando avevo 23 anni, e ne ho in questo momento 64, e veramente l’Argentina mia ha dato un’educazione a livello universitario. D. Come hai vissuto invece gli anni più difficili dell’Argentina, dal ’76, durante la dittatura di Videla? R. Vedi, io mi sono laureato nell’anno 1972, tra il 1973 e il ‘76 è stato un periodo molto convulso. Dopo dal ’76 c’è stata una dittatura propriamente orribile, che Dio voglia che non si ripeta mai più, sono state uccise almeno trentamila persone, D. E tu hai ricordato un sacerdote italiano, anzi molisano, nel discorso. R. Certo, padre Giuseppe Tedeschi ha fatto opere meravigliose, e soprattutto in un luogo che è difficile arrivare, perché sono baracche, dove la gente che ci abita non ha la possibilità neanche di avere un rubinetto per portare l’acqua, e veramente tutti sono disperati, emarginati, e anche immigrati di altri paesi vicini. D. Quindi la tua storia ha avuto momenti difficili, momenti più lieti, domani però sarà un momento speciale per te. R. Beh, certo. La scelta che hanno fatto, di poter fare una preghiera davanti a Papa Francesco, veramente è un orgoglio e mi trovo commosso. Vedo che la voce non sta bene, ma credo che domani tornerà, preghiamo Dio e anche il nostro Francesco, che è una persona semplice. Si può fare il paragone con questo molisano bravissimo che è stato padre Giuseppe Tedeschi. D. Per un italiano d’Argentina, Papa Francesco che è italoargentino, vale doppio? R. È un orgoglio doppio, ma vedi che Papa Bergoglio ha preso l’eredità italiana, che è quella della produzione del lavoro, perché ha fatto anche in Argentina un’opera con i più deboli, vicino ai sofferenti. D. Cosa che sta facendo anche ora, sconvolgendo un pochino l’organizzazione del Vaticano… R. Pensare agli emarginati e lasciare gli uomini di potere non è facile, e questo papa porta la chiesa aperta a tutto il mondo.

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

Alcune considerazioni sui lavori

di ARMANDO TRAINI presidente del Sodalizio “Abruzzese-Molisano” del Veneto

A distanza di qualche giorno dal Consiglio dei molisani nel mondo, riporto alcune considerazioni, che non ho esposto in sede dei lavori per mia carenza di prenotazione, nella veste di Presidente del Sodalizio “Abruzzese-Molisano” del Veneto (già di Padova).

Italici nel mondo Come accennato da un relatore, l’on. Narducci, e riscontrabile dai molisani presenti in questo consiglio, nel mondo c’è ricerca di italiano come lingua e patrimonio culturale. In tempi non lontani un istituto bancario veneto ha finanziato per tre anni consecutivi un corso di lingua italiana presso più università del sud America. Oltre a quanti si avvicinano all’italiano per attività imprenditoriali e/o commerciali, non sono da sottovalutare le ricerche degli italici, da intendere gli italiani residenti in madre patria e all’estero di prima o successive generazioni alla ricerca di riflessioni e testimonianze sull’importanza della lingua e del patrimonio legato alla loro terra d’origine. Pionieri della diffusione della lingua italiana sono gli Istituti di cultura italiana sparsi in tutti i continenti.

Programma del Consiglio molisani nel mondo Gli interventi pianificati hanno trovato puntuale riscontro, buona accoglienza da parte dei convenuti e hanno avuto una direzione professionale garbata e attenta. Forse, ma non è un appunto, in queste circostanze può capitare, se ce ne fosse stata, qualche sovrapposizione che ha contribuito ad aumentare la conoscenza dei soggetti istituzionali. Più spazio alle associazioni presenti? Credo che tutte hanno fatto un intervento idoneo alle proprie aspettative e ai loro interessi.

Proposta di legge regionale “Interventi della Regione per l’emigrazione” Piano triennale regionale degli interventi a favore dei Molisani nel Mondo anni 2014 / 2016. L’iniziativa per riunire in un unico provvedimento i contenuti di tre leggi regionali sui molisani nel mondo è, al modesto avviso del sottoscritto, meritevole di appoggio e collaborazione. I due documenti sono stati illustrati egregiamente da quotati relatori. Una preventiva conoscenza dei documenti poteva contribuire a sviluppare più dialogo. Allora il tempo aveva limitazioni; ora il tempo ci aiuterà a riflettere su queste proposte per meglio assorbirle e per dare eventuali e possibili suggerimenti. A proposito della proposta di legge in parola mi sia concessa un’indicazione sulla composizione del Consiglio: -l’art. 12 Consiglio dei molisani nel mondo propone al punto c) 21 rappresentanti (7 Sudamerica, 6 Nordamerica, 4 Australia, 4 Europa) e 9 ai punti seguenti

rappresentanti (1 Unioncamere, 1 Unimolise, 1 scuola, 2 sindaci, 1 sindacati, 1 patronati locali, 1 servizio molisani n. m., 1 associazioni nazionali) per un totale di trenta componenti); . nella considerazione che nei nove ipotizzati rappresentanti è emerso scarso interesse per gli specifici interesse dei molisani nel mondo; . valutando la composizione dei trenta rappresentanti idonea per sviluppare ricerche e finalità di comune interesse; . ritenendo equa la ripartizione dei ventuno rappresentanti nei vari continenti. Alla luce di quanto esposto in sintesi e con riserva di ulteriori indicazioni, avanzo la proposta di aumentare da uno a tre i rappresentanti delle associazioni presenti nel territorio nazionale con riduzione dei rappresentanti delle categorie che hanno dimostrato scarso interesse per i molisani nel mondo. A proposito del piano triennale regionale a favore dei molisani nel mondo anni 2014/2016, in presenza di un finanziamento sensibilizzo una ripartizione per progetti da realizzare dalle associazioni iscritte all’Albo regionale (con l’indicazione per tempo debito, in caso di accoglimento, dell’onere concedibile) e una ripartizione per le spese di funzionamento, come gli affitti della sede locale, spese di corrispondenza informatica, postale, di propaganda per tenere uniti i corregionali molisani e per diffondere le risorse della terra d’origine in aggiunta a quella, se fatta, delle strutture governative. Ci si considera ambasciatori all’estero, che svolgiamo a titolo gratuito e onorifico (a volte con fondi personali), per farlo bene abbiamo necessità di risorse appropriate.

Informazione A volte le associazioni soffrono di carenza di informazione e di risposte alle richiesta avanzate, anche se non possono essere accolte per motivi vari. Un segno di risposta è un contatto diretto con la Regione che fa sempre piacere. Nei territori di accoglienza, almeno in quello del rappresentato Sodalizio, il contatto epistolare difficilmente viene a mancare, anzi la risposta è collaborativa per i suggerimenti forniti. Sarebbe bene che l’Albo regionale venga aggiornato periodicamente; si propone la scadenza triennale.

Suggerimento Non perché l’erba del vicino è sempre più verde, mi sia permesso di avanzare un suggerimento (premetto che non conosco le tematiche trattate nei precedenti Consigli): sarebbe opportuno per valorizzare l’opera dei consiglieri nel mondo, di farli incontrare, nei futuri Consigli, con i residenti operatori imprenditoriali, commerciali, turistici, culturali e, perché non, religiosi perché possano riportare e diffondere nei territori di accoglienza quanto di meglio offre il Molise. Così fa, a semplice titolo di esempio, la Regione del Veneto nelle riunioni annuali dei veneti nel mondo.

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

L’assessore Michele Petraroia:

“Puntare sulle nuove generazioni”

Nostra intervista con l’assessore che ha la delega dei molisani nel mondo

di SILVIO ROSSI

Vicepresidente della Regione Molise, con la delega ai molisani nel mondo, Michele Petraroia è stato il vero “Deus ex machina” dell’evento legato alle comunità regionali presenti all’estero. Dal 1994 fa parte della Consulta regionale dei molisani nel mondo, rappresenta quindi la memoria storica delle assemblee sul tema, ha rappresentato la Regione in numerosi viaggi negli Usa, in Canada, Venezuela, Svizzera, Germania, Belgio e negli orfanotrofi della Bosnia-Erzegovina. Durante le due giornate dei lavori è stato sempre presente, attento alle proposte di tutti gli intervenuti, ma mai invadente. Ha instaurato con i delegati innanzi tutto un rapporto di fiducia umana e stima reciproca. Gli abbiamo rivolto alcune domande, per comprendere come intende affrontare le questioni che vengono sollevate dal Consiglio.

ASSESSORE. Michele Petraroia --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

D. Una domanda al politico. Fino a poco tempo fa c’era una giunta diversa, quindi i rapporti con le comunità molisane nel mondo erano curati dal centrodestra. Oggi è compito del centrosinistra. Che differenza c’è rispetto al tema dei corregionali fuori dal territorio? R. Mah, io vorrei parlare più da molisano, da amministratore, da figura che ha passato una vita all’interno della Cgil e che è stato anche componente delle varie consulte dei molisani nel mondo fin dalla metà degli anni novanta. È chiaro che l’approccio è diverso, nel senso che il centrodestra che ha amministrato ininterrottamente il Molise per dodici anni ha dato un certo rilievo ai legami con le comunità all’estero, attraverso anche visite che l’allora presidente Iorio fece direttamente in Argentina, in Australia, e accogliendo una nostra proposta, partecipando al centenario della strage dei minatori di Monongah, negli Usa, il 6 dicembre 2007. Però è evidente che i legami con le nostre federazioni e associazioni all’estero non possono rimanere sporadici, nel senso che per quanto siano significativi alcuni momenti anche di presenza delle massime istituzioni regionali in visita presso quei paesi, c’è bisogno di dare una strutturazione dei legami. Lo dico anche sulla base dell’esperienza che ho avuto modo di registrare nel tempo, anche come segretario generale della Cgil, che per il tramite della rete dei patronati dell’Inca, insieme a quelli di Cisl, Uil e Acli sono diffusi in tutto il mondo, dove svolgono un’attività di assistenza e di vicinanza alle comunità all’estero. D. A proposito di assistenza. Stamattina ho sentito un’esortazione, una richiesta di aiuto da parte della comunità venezuelana. Il tema è inserito anche nel programma dei lavori. In questo periodo in cui anche le regioni e gli altri enti territoriali italiani soffrono la crisi e hanno pochi fondi, come è possibile rispondere a tali richieste di aiuto? R. È chiaro che su grandi temi non dobbiamo alimentare aspettative illusorie, perché sarebbe ingiusto. Allo stesso tempo neanche ci dobbiamo nascondere dietro la difficoltà di carattere economico e avere quest’alibi per non occuparci di tali temi. Riallacciandomi alla precedente domanda stavo dicendo che innanzitutto serve una nuova normativa, per questo abbiamo presentato una proposta di legge regionale, che deve andare a inquadrare i rapporti non solo coi molisani all’estero, ma anche delle comunità molisane in Italia. Poi ci vuole il cuore, ci vuole il rispetto, ci vuole il convincimento che siamo parte dello stesso ceppo, della stessa radice, e che quindi abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di aiutarci vicendevolmente. ►►►

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

►►► È vero che siamo in sofferenza, perché siamo una piccola regione e paghiamo lo scotto della globalizzazione, e della crisi finanziaria che dal 2008 ha rimesso in discussione tutte le certezze delle economie più avanzate. Ed è vero che le nostre comunità e associazioni, specie in America Latina, manifestano analoga sofferenza. Ma, nello specifico, il Venezuela oggi è la punta dove la sofferenza è più acuta. Se mettiamo però al primo posto il cuore, può darsi che riusciamo, anche come Regione Molise, a farci portatori di un progetto che coinvolga il governo italiano, l’Unione europea, attraverso anche un partenariato. Interventi in cui alcune azioni possono essere modeste, come l’assistenza sanitaria o altro, ma inseriti in una cooperazione che a livello nazionale e comunitario sia sostenuta con finanziamenti pubblici. Non abbiamo soldi, ma l’intelligenza. E all’interno di reti strutturate, dove ci sono consigli dei molisani nel mondo, dove c’è una legge, dove c’è un piano triennale, dove periodicamente ci sono riunioni, anche di concerto col ministero degli Esteri, e che coordina con la Cgie, con la nostra delegazione parlamentare, e perché no, coinvolgendo anche il parlamento europeo possiamo trovare soluzioni. Non parlarne perché siamo pieni di guai rischia di diventare un alibi assolutamente ingiusto. D. I ragazzi che fanno parte del Consiglio dei giovani, e che vengono uniti con gli altri componenti, li vede motivati, partecipi all’iniziativa? R. Questa è la cosa che mi entusiasma di più e mi da maggiore sicurezza, rispetto alla strada che abbiamo imboccato. Dobbiamo superare la fase in cui l’associazionismo dei molisani nel mondo era costituita prevalentemente da emigrati di prima generazione, e si riunivano tra di loro un po’ per la nostalgia, per mantenere tradizioni antiche, per ritrovarsi rispetto a riti religiosi. Dobbiamo passare ad una fase diversa di internazionalizzazione, dove il ‘made in Italy’, la cultura, la lingua, le iniziative, lo sport, il sociale, possono rappresentare un’opportunità. Vedo questo entusiasmo negli oriundi anche di terza e quarta generazione, che hanno scelto di imparare la lingua italiana, di occuparsi del Molise, e attraverso il Molise hanno riscoperto l’Italia. Sono degli ambasciatori a cui possiamo consegnare una parte della nostra progettualità. L’altro elemento di cambiamento che noi, giunta di centrosinistra vogliamo determinare, è passare dall’idea che si possano tenere i rapporti con le associazioni all’estero con micro finanziamenti di carattere nostalgico, che parlano a una generazione che ormai ha fatto il suo tempo, nel bene e nel male, con grande rispetto per le storie e il vissuto personale anche di sofferenza di quelle generazioni, e cominciare a dialogare con quella parte di italiani nel mondo che hanno l’opportunità di aiutare il Molise.

Faccio l’esempio di alcuni imprenditori di Toronto che si sono tassati con cinquemila dollari a testa, hanno contattato una delle migliori registe del nord America, che è venuta a loro spese in Molise, ha realizzato un documentario di un’ora, e adesso quel documentario viene trasmesso nelle maggiori reti televisive nordamericane. Ce lo hanno regalato, è un’opportunità. Questa è solo una delle iniziative che i nostri concittadini fanno per noi. Basta semplicemente chiederlo e ringraziarli, perché alcuni di loro hanno questa possibilità. Se riuscissimo a raccordarci con alcuni di questi operatori economici, ma anche accademici, per esempio il rappresentante della Texas Instruments dell’Europa era un ingegnere di Bonefro che viveva a Dallas, ma si possono fare molti esempi, da Robert de Niro a Toquinho, persone che nei loro contesti sono emblemi di successo. Una parte di questi interlocutori potrebbero trovare interesse, se lo vogliono, di volgere lo sguardo verso il Molise. D. Però dovrebbe essere il Molise, come regione, ad essere più accattivante, a volte. Forse per anni la politica ha trascurato questo aspetto? R. Bisogna fare un salto culturale. Io non voglio esprimere un giudizio negativo rispetto alla qualità delle attenzioni della precedente amministrazione di centrodestra aveva nella questione. D. Non intendevo solo della giunta, il problema mi sembra più generale, forse tutta una generazione che ha affrontato il tema in maniera “nostalgica”. R. Erano scelte. Andare a Buenos Aires, a Toronto, anziché a New York o Francoforte, e magari con la sagra e con le musiche di una volta, con spaghetti e tarantella. Si deve cominciare invece ad essere un interlocutore in economia globale, dove l’internazionalizzazione ci deve vedere tutti protagonisti, e dove dobbiamo rappresentare un’opportunità per loro dal punto di vista del cuore, non dal punto di vista della materialità. Perché un manager internazionale, un professore universitario, un attore che ha una platea mondiale, qui ci può tornare non per soldi, ma per amore della terra dei suoi avi. Se riuscissimo a fare questo salto per noi la ricaduta sarebbe estremamente interessante in termini di opportunità. ■

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

Franco Narducci: “Tanti emigrati per le tasse hanno venduto le case”

Nostra intervista con l’ex parlamentare originario di Santa Maria del Molise

di SIMONETTA D’ONOFRIO

Tra i partecipanti al Consiglio abbiamo apprezzato l’intervento dell’On. Franco Narducci, in passato parlamentare eletto nelle liste degli italiani all’estero, attualmente Presidente dell’Unione Nazionale delle Associazioni degli Italiani all’estero, è certamente una delle persone che meglio può rappresentare la complessità dei temi legati all’emigrazione. Emigrato egli stesso, è uno di quei molisani che ha portato alto il nome della nostra regione, e che si è contraddistinto sia in ambito professionale, che nella sua attività politica, che lo ha portato a ricoprire ruoli di responsabilità nella commissione esteri.

D. Iniziamo con le presentazioni? R. Sono Franco Narducci, nato a Santa Maria del Molise e residente a Zurigo, in Svizzera. D. Da quanto tempo lei vive a Zurigo? R. Sono a Zurigo dal 1970, subito dopo gli studi, ero giovanissimo. Dopo gli studi e il militare sono capitato in Svizzera per caso, ho trovato un’opportunità di lavoro, in modo casuale, in un ufficio di ingegneria, e sono rimasto. Mi sono sempre occupato dell’Italia, perché chiaramente andando in Svizzera a 24 anni, la mia formazione, la mia cultura, i miei valori sono quelli del nostro Paese, e della nostra regione, il Molise, che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. D. E durante l’esperienza in Svizzera ha avuto la possibilità di essere eletto nella circoscrizione europea per gli italiani all’estero. R. Sì, sono stato eletto nel 2006 nella Camera dei deputati, sono stato il primo eletto nella lista Unione Prodi, rieletto nel 2008, e quindi ho avuto questa esperienza parlamentare, nella scorsa legislatura sono stato per cinque anni vicepresidente della Commissione Esteri. Mi sono occupato quindi di politica estera, cercando di legare sempre il mondo degli italiani all’estero anche alle scelte di politica estera e alla valorizzazione di questo grande network che l’Italia ha nel mondo. D. In questo lavoro ha potuto fare il confronto su come con l’estero si confronta il Molise rispetto alle altre regioni? R. Assolutamente sì, anche perché ho provato varie volte ad aiutare il Molise in momenti importantissimi, per esempio l’ho portata come regione ospite alla Fiera del Turismo nel Sangallo, che è molto importante, perché ci sono centinaia di migliaia di svizzeri e tedeschi che vengono ogni anno come turisti in Italia. D. Secondo lei, il Molise, cosa ha in particolare da offrire che non hanno molte altre regioni? R. Innanzi tutto ha da offrire una dimensione umana che è difficile trovare dalle altre parti, e che in ogni caso bisogna continuare a difendere, a promuovere, perché altrimenti anche in Molise determinati valori rischiano di scomparire, per questioni che stanno nelle cifre, nel passaggio del cambiamento. Ha da offrire quindi dei paesaggi bellissimi, campi fioriti straordinari, mare e monti, foreste e querceti che sono straordinari, oltre a una ricchezza legata al mondo alimentare che pochi conoscono e che è rimasta quasi incontaminata e fedele alla sua vocazione storica, proprio essendo il Molise una regione a basso flusso turistico. ►►►

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SPECIALE – CONSIGLIO DEI MOLISANI NEL MONDO

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D. Però, proprio sull’aspetto storico, sembra che poco si sia riuscito a valorizzarlo. Un esempio è il Museo del Paleolitico di Isernia, che potrebbe essere importantissimo per quanto riguarda la particolarità del ritrovamento, invece sembra quasi in semiabbandono. R. Sì, ci sono due considerazioni da fare, al museo del paleolitico di Isernia è venuta la tv Cnn. Se però lei parla con molti molisani non sanno nemmeno che esiste, o comunque lo considerano quasi un fastidio. Quindi c’è da una parte questo retaggio antico dei molisani molto provinciali, il non voler uscire da un determinato provincialismo, e dall’altra ci sono anche delle ragioni reali, pragmatiche. Il Molise è difficilmente raggiungibile, se pensiamo che uno arriva a Roma, la capitale d’Italia, e poi per venire in Molise il viaggio è qualcosa che in un mondo civile è difficilmente affrontabile oggigiorno. Già la collocazione del treno che si trova a quasi un chilometro dalla testa della stazione, in fondo al “binario degli ultimi”, lo chiamo io, con treni antiquatissimi e ritardi straordinari. D. Sul fronte del turismo, la presenza di molti molisani all’estero, non rappresenta paradossalmente un limite, perché localmente si pensa più a loro che a offrire servizi per potenziali turisti che potrebbero venire per apprezzare le bellezze della regione, senza avere un legame iniziale? R. Sarebbe già tanto se si riuscisse a promuovere il turismo tra gli oltre seicentomila molisani all’estero, il che assolutamente non è così, anzi per ragioni oggettive, Imu, tassazioni varie, molti molisani all’estero hanno venduto le case che avevano qui, e oramai non ci vengono più. Fortunatamente questi sono stati rimpiazzati da italiani di altre regioni, in particolare dalla metropoli vicine, Roma e Napoli. Io credo che bisogna fare prima di tutto un progetto-programma di valorizzazione di ciò che il Molise ha da offrire. Questo non esiste, esiste solo sui dépliant, e ora ci si sta muovendo per esempio con gli hotel di prossimità, che sono inseriti sui circuiti.

D. Volendo fare un confronto con le altre regioni, a quale modello dovrebbe ispirarsi il Molise per incrementare il suo flusso turistico? R. Io penso che uno dei modelli vincenti potrebbe essere, per il fatto che hanno caratteristiche comuni, non ci sono grandi città, il mare tutto sommato abbiamo pochi chilometri di costa, è quello dell’Umbria e marchigiano, oltre ovviamente al Trentino che è un modello a cui tutti dovrebbero ispirarsi. Perché le Marche hanno avuto un grande sviluppo, basti pensare al turismo religioso, cosa che non siamo riusciti a fare noi, e penso che il Molise debba perseguire una via di sviluppo sostenibile, cioè compatibile con le proprie caratteristiche, di regione estremamente montuosa, collinare, con tante caratteristiche che sono una bellezza, basti vedere Cammina Molise, e il successo che riscuote non soltanto in Molise, ma all’estero. Quindi questi sono i modelli, il turismo degli itinerari tematici, dove all’interno riesci a inserire bellezze paesaggistiche, patrimonio alimentare, e patrimonio artistico e culturale. Poi però bisogna strutturarlo in modo più professionale, noi non possiamo più vivere di sagre, il Molise è diventato il paese delle sagre che non producono né sviluppo né reddito. Basta con queste sagre, basto con i soldi pubblici in queste cose, bisogna avere un progetto più ambizioso che punti a sfruttare in modo integrato quelle che sono le nostre potenzialità. ■

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CULTURA Doppia intervista a due noti artisti che onorano il nostro Molise

Leonardo Pappone

Leonardo Pappone, in arte Leopapp, è un autodidatta. La pittura l’ha sempre avuta nel sangue, ma le necessità della vita lo hanno allontanato dalla tavolozza per molti anni. Il lavoro che lo ha visto cambiare spesso città, non ha permesso all’artista nato nel 1958 a Montefalcone di Val Fortore, nel beneventano, di continuare la passione che ha continuato a covare inespressa per circa trent’anni. E come tutte le passioni inespresse, una volta che questa trova nuovo impulso, esplode quasi a voler recuperare il tempo perduto. Nel giro di pochi anni Leopapp ha prodotto decine di opere, principalmente divise in due filoni. Da un lato racconta la realtà cittadina vista da vicino, sublimando e idealizzando le grida di dolore presenti sui murales urbani. Città che invece in un’altra sezione della mostra vengono viste da lontano, col disegno dello skyline urbano più noto nel mondo occidentale, quello della Grande Mela. D. Iniziamo con una breve presentazione. R. Mi chiamo Leonardo Pappone, nella vita reale faccio tutt’altro rispetto al pittore, questa è un’attività che è sorta in maniera non solo molto spontanea, ma che quasi non c’era più l’idea di farla D. Da quanto tempo dipingi? R. Ho ripreso a dipingere da un paio d’anni, dopo trent’anni diciamo di buio, dal punto di vista pittorico. C’erano altre esigenze nella vita reale che non mi hanno consentito questo. Però la pittura, quando uno ha passione, riesce fuori. E’ riemerso tale filone, che poi dal contatto con l’amico e la persona appassionata, siamo passati alla prima mostra personale. D. Quindi hai già realizzato mostre personali? R. Si l’anno scorso la prima mostra, presso Artes Contemporanea qui a Campobasso, ce ne sono state altre in giro per l’Italia, il tutto in maniera spontanea, facendo leva soltanto su me stesso, e sull’entusiasmo di qualche amico. Questo entusiasmo sta proseguendo e ha trovato sul proprio cammino molti amici. L’anno scorso c’è stata una mostra importante a Roma proprio con l’apporto di Forche Caudine, nell’ambito della rassegna Molise è un’altra storia. Quello è stato un grande lancio. D. E’ stata una manifestazione che ha attirato molte persone. In che location erano le tue opere? R. Erano nella sede della Cna. Poi sono stato a Bologna, ora il ritorno a Campobasso, presso Molise Cultura, che fornisce prestigio all’esposizione

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Domenico Fratianni

Domenico Fratianni è un artista puro. Ha insegnato Disegno e Storia dell’Arte e ha frequentato i corsi di Tecnica dell’incisione presso l’Istituto del Libro di Urbino, diventando uno dei maggiori interpreti dell’arte incisoria in Italia. Insegna “Laboratorio di Tecniche di Creazione Artistica” all’Università del Molise, ha realizzato decine di mostre in Italia e all’estero. La mostra presso Molise Cultura, a Campobasso, racconta, in un continuum quasi cronografico, cinquanta anni di attività pittorica e incisoria del maestro nato a Montagano nel 1938. La parete destinata ai lavori incisori, in bianco e nero, spicca rispetto al resto delle opere, caratterizzate da colori forti, con una chiara prevalenza di rosso e nero, tratti decisi, quasi calcati, un uso sapiente e quasi allegorico dell’autoritratto. I protagonisti dei suoi quadri spesso somigliano a Fratianni, e quando non lo ricordano nei tratti somatici, rubano qualcosa dell’autore nello sguardo. Si può affermare che ogni quadro della mostra rappresenta l’artista, nel momento in cui l’ha dipinto. Nel mostrarci le sue opere l’autore si è dimostrato innamorato del suo lavoro, contento di poter divulgarlo anche tramite le nostre parole. Più che un’intervista è stata una chiacchierata cordiale: D. Lei nasce in Molise? R. Nasco a Montagano. D. Ed è sempre vissuto in Molise? R. Sì, sempre qui, ma sono anche cittadino del mondo, perché spesso vado in giro per il mondo. Infatti tante mostre le ho fatte anche fuori, a Roma in maniera particolare. Però ho parenti disseminati per il mondo. D. Ci troviamo qui durante il Consiglio dei molisani nel mondo, per cui la sua esperienza è perfettamente in tema. R. Neanche a farlo apposta. Uno dei miei amici più cari, che si trova in America, è Giose Rimanelli, lo scrittore di Casacalenda, l’autore di “Tiro al piccione”. D. Questa mostra raccoglie le opere di cinquanta anni di attività. Come si è evoluto il suo modo di dipingere nel tempo? R. Questa è una domanda che significa tanto, perché uno o nasce pittore, o non lo diventa, nel senso che da piccolo io ho dipinto, i miei mi facevano dipingere sulle pareti. Quindi dipingevo gli accadimenti della vita.

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CULTURA

Leonardo Pappone

D. Già solamente come nome. R. Esattamente. Inoltre la mostra è stata curata dal professor Lorenzo Canova, uomo di fama internazionale, il quale mi ha voluto sostenere in questa iniziativa anche con un testo critico. D. Puoi illustrarci il tema della mostra? R. La mostra è una bi-sezione. Ci sono scene di città viste a distanza. E poi ci sono scene murali, quasi fosse una forma di street art, che si vanno a combinare in queste due visioni di città una a distanza e l’altra quasi “faccia al muro”, dove si colgono forse le cose più vere di ciò che avviene nella vita. D. Nella sezione di scene murali si legge un forte riferimento alla pop art. Quali gli ispiratori? R. Andy Warhol, che è stato il maestro della Pop Art in genere, ma anche la street art e la minimal art. Cerco di essere poco rappresentativo a livello di immagine e di dare più un discorso di fantasia a quello che uno può immaginare dentro. Sto poi sviluppando molto anche un discorso legato al sociale, e anche a quelle istanze ecologiche e di cultura che oggi servono. D. Stavo notando che la maggior parte delle scritte e dei simboli sono decisamente orientate a livello sociale, specie sui temi pacifisti. R. Esatto, sono abbastanza orientati perché viviamo in un mondo che sembra abbastanza facile, mentre è molto complicato, laddove l’aspetto globale, interessa tutti. Sono frasi o slogan rivolti a non far uso di droga, ripudiare la guerra, superare forme di razzismo e di violenza che sono dei messaggi universali. Quando ho organizzato la mostra non sapevo della visita del Papa a Campobasso, credo che questi messaggi di pace e fratellanza siano stati il miglior modo per accoglierlo. D. In questi messaggi lanciati nei quadri, utilizzi prevalentemente la lingua inglese. Rispetto alle stesse frasi scritte in italiano c’è un alone diverso, un’astrazione rispetto al valore preciso della parola. Come mai hai usato l’inglese, c’è un significato preciso? R. C’è un discorso di standard. Cercare di comunicare anche al di là della territorialità, proprio perché abbiamo una visione del mondo abbastanza piccola, o almeno ci proviamo. Le lingue diventano mescolanze e forse l’inglese rappresenta di più uno standard universale. Poi l’uso dell’inglese rappresenta non solo un linguaggio universale, ma la speranza di poter raggiungere New York e poter fare una mostra lì. D. Sarebbe il tuo sogno? R. Chiamiamola velleità, insomma. D. Quanto costa, oltre al tempo, per chi come te non è un artista professionista, realizzare una mostra? R. Diciamo che costa, però se una cosa viene fatta con passione, perché per me, questa di poter incontrare gente, poter condividere con gli altri quello che io sento, o quello che riesco a poter esprimere, mi da un grande appagamento. Quindi non ha prezzo. È chiaro che se lo dovessi fare per un discorso di costi e benefici forse non varrebbe la pena. Invece ci metto entusiasmo, e man mano mi arricchisco di quelli che sono i rapporti che creo in questo. Mi va bene così. ■

Domenico Fratianni

D. Nel tempo, però, un artista sperimenta tecniche… R. Sì, sì. Tutto va portato avanti con grande professionalità, difatti ho frequentato l’Accademia a Urbino, ho puntualizzato l’aspetto incisorio proprio alla Casa del Libro sempre a Urbino. Poi in chiave pittorica ho “cantato” il Molise e l’uomo. D. Questa è una mostra molto complessa, sono più di 150 opere. Quali sono le più significative, a cui l’autore è più legato? C’è un “figlio prediletto”? R. No, no. Io ho fatto un cammino, come si può notare guardando i quadri, in cui vorrei cantare proprio questo: la continuità d’azione. È come se ci fosse, e mi auguro che si veda, una sorta di percorso dove ti porto a far capire che un’opera fa da appoggio alla successiva, quindi sceglierne una mi sembrerebbe tradire l’altra. D. Guardando i quadri, a parte le opere incisorie che sono ovviamente in bianco e nero, si nota una prevalenza di colore rosso. Ha un significato particolare? R. Amo questo colore. Questa è una domanda è particolare, è un colore che… La mia è una pittura carnale, passionale, io sono un’espressionista, tendo all’espressione carnale delle cose. Quindi al sangue, alla terra, ecco da dove viene il rosso, che è prevalente, che ha una funzione dinamica, strutturale, proprio di sangue. D. La preparazione di questa mostra è stata impegnativa, hai già programmato prossimi obiettivi? R. Noi siamo qui, stiamo ospitando i molisani nel mondo, ecco, sono venuti dei rappresentanti dal Canada, e vorrebbero portare la mostra in Canada. Che questo avvenga oggi, domani non so, però questa è un’iniziativa stimolante. ■

(interviste a cura di Silvio Rossi)

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MOLISANI A ROMA

Carmela Mugnano, di premio in premio

di OSCAR DE LENA

Carmela Mugnano, la scrittrice termolese residente a Roma, è tra i vincitori del Concorso letterario "Crueza de ma" (mulattiera di mare) in onore di Fabrizio De Andrè. “Crêuza de mä” (il cui nome originale è “Creuza de mä, 1984”) è l'undicesimo album registrato in studio di Fabrizio De André. Realizzato in collaborazione con Mauro Pagani, l’album è interamente cantato in genovese, la lingua della Repubblica di Genova, tuttora viva, che è stata per molti secoli una delle lingue più usate per la navigazione e gli scambi commerciali nel Bacino del Mediterraneo. Un importante progetto culturale, civico e didattico è stato recentemente realizzato dal Comune di Pietracatella nel nome dell’indimenticato Fabrizio De André, e ha dato vita, tra l’altro, al Concorso letterario nazionale “Creuza de Mä”, che ha riscosso una notevole partecipazione da molte regioni italiane. Abbiamo incontrato la scrittrice e poetessa termolese Maria Carmela Mugnano, la quale è risultata 2ª classificata della sezione poesia/adulti con “Il Sogno di Margherita”, poesia-ballata apprezzata dalla giuria e dal pubblico per il suo stile molto vicino alle canzoni di De André. A premiare Maria Carmela, la cantante e moglie di Fabrizio de Andrè, Dori Ghezzi che ha avuto parole di elogio e di complimenti per la nostra scrittrice e poetessa termolese. O : Abbiamo letto il testo del “Il Sogno di Margherita” e ti facciamo i complimenti. Tu sei nota ai lettori per altri successi letterari e poetici, ma so che tenevi molto al Concorso “Creuza de mä”… Come hai vissuto questo Premio dedicato a De Andrè? MARIA CARMELA : E’ vero, il Concorso mi ha molto coinvolta. Tanti della mia generazione sono cresciuti a pane e canzoni di De André. E’ stato un onore ricevere questo riconoscimento, ma devo dire che l’accoglienza calorosa della cittadinanza di Pietracatella e la commozione che si è creata intorno alla mia poesia sono già stati per me un premio importante. O : … E non è finita! Ho letto che una tua lirica edita è risultata 1ª classificata al Concorso Controcorrente 2014 nella sezione Edizioni Varie, e prossimamente sarai premiata a Rimini. MARIA CARMELA: Anche questa è stata una grande soddisfazione, e, con gioia, vorrei dedicare “Attesa sul lago”, vincitrice di Controcorrente a tutti gli amici e ai lettori. O : Tutto fa pensare che ti stai concentrando sulla poesia… MARIA CARMELA: A dire il vero in questo momento ho anche altri progetti che riguardano il teatro, e cioè il tour che vorrei realizzare con attori in giro per il Molise con i Personaggi-monologhi de “La Sorgente del Mare”. E poi, sempre per il teatro, ho curato la riduzione del mio primo romanzo “L’Isola di cristallo” che mi ha fatto conoscere a tante persone. Ma questi sono grandi progetti. La poesia è solo una parte di quello che scrivo, ma molto importante, perché nel breve mette in circolo energie creative, incontri e occasioni che fanno fiorire un po’ tutti gli aspetti della mia scrittura. Non mi riferisco solo agli eventuali riconoscimenti ufficiali, ma anche ai risvolti umani che sono la parte più vera del successo. O: Bene, allora ti facciamo tanti auguri perché il pubblico, molisano e non, continui ad apprezzare le tue opere! MARIA CARMELA: Grazie, e felice estate a tutti!

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IL MOLISE CHE CI PIACE

Le iniziative dei prossimi giorni

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A Casacalenda la XII edizione

La dodicesima edizione di MoliseCinema si svolgerà dal 5 al 10 agosto 2014 a Casacalenda (Campobasso). Quattro le sezioni competitive: - corti internazionali - corti italiani - documentari - opere prime e seconde E inoltre: una retrospettiva su Flavio Bucci, concerti, incontri ed eventi speciali. Il festival intende promuovere le più recenti e innovative produzioni del cinema italiano e internazionale, privilegiando i giovani autori e i nuovi linguaggi, con particolare attenzione ai cortometraggi e ai documentari. “Molisecinema” vuole affermare il diritto al cinema dei piccoli paesi italiani e con il festival vuole anche promuovere la riapertura delle sale cinematografica nelle aree interne.

IL PERSONAGGIO

Flavio Bucci, l'attore come cattedrale

di RAFFAELE RIVIECCIO

L'attore è come un'architettura, come un palazzo, come una Casa che di volta in volta ospita il personaggio da interpretare. Spesso lo avvolge in confortevoli mura che ne rispecchiano al meglio le caratteristiche, altre volte invece il personaggio deve adattarsi agli ambienti, agli arredamenti che l'attore gli offre. Magari inizialmente il personaggio è in difficoltà, entra in reazione, vorrebbe fuggire da quella Casa ma poi, se resiste, trova gli stimoli per arricchire la propria personalità, il proprio carattere. E noi pubblico, visitatori di questi edifici, di questi appartamenti, apprezziamo di più i personaggi che si accomodano in quelle abitazioni che li fasciano a pelle, mimeticamente, oppure i personaggi che hanno dovuto mutare la loro anima, forse arricchendola, adattandosi alle inedite geometrie esistenziali che li ospitano? Insomma, fuor di metafora, è sempre la stessa antitesi tra attore creativo, espressionista ed attore realistico, stanislavskijiano. E Flavio Bucci come si colloca all'interno di questa dialettica? Il suo edificio è un'accogliente dimora o un duro giaciglio tra spoglie pareti? La sua fisiognomica ardita come una cattedrale gotica o come la Sagrada Familia, farebbero pendere per la seconda possibilità. Un volto eccentrico, eccezionale, espressivo e suggestivo, quasi scolpito nel duro legno o forgiato nel metallo. Lontanissimo dall'adattabilità di certi attori dal viso comune e proprio per questo rappresentativo di una area mediocritas. E si badi bene, area e non aurea. E' il viso invece quasi martiriale di Bucci a possedere l'aurea, un carisma magnetico nei confronti dello spettatore. La recitazione sghemba e convulsa in Ligabue; lo stalker metafisico ne La proprietà non è più un furto; il santo blasfemo ne Il Marchese del Grillo; il molisano e borbonico Ingravallo in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana; solo per citare alcune interpretazioni, sono film in cui Bucci lavora sul personaggio distorcendo, mettendone a tensione, fino a quasi lacerarli, i tratti caratteriali e la mappa somatica che li copre come un mutante Sindone. In altrettanti altri film però, Bucci decide di assecondare con grande realismo se non severità il personaggio, lavorando per sottrazione, eliminando ogni artificio recitativo se non strettamente necessario. E' un Bucci realistico, "narrativo". Pensiamo, ad esempio, al partigiano "intimista" in Uomini e no, al sacerdote inspirato in Don Luigi Sturzo oppure, più recentemente, al mimetico Franco Evangelisti ne Il Divo, in cui definisce con grande precisione un ruolo seppur grottesco. Ritornando alla metafora, Flavio Bucci, come pochi grandi attori, è Palazzo, Reggia, e può decidere, di volta in volta, come ospitare i personaggi che esplora. Talvolta aderendovi con il puntiglio ed il rigore del Metodo, altre volte con l'invenzione, l'antirealismo o l'iperrealismo dell'attore all'italiana, non interpretando il personaggio ma costruendolo, facendolo esplodere in modo imprevedibile. Flavio Bucci è moderno ed antico, arcaico, al tempo stesso. La sua recitazione, assolutamente personale e non accomunabile a nessun altro attore, reca echi di antichi riti pagani, delle tarante, di un'antropologia meridionale preunitaria, anti illuminista. Sono queste le stanze più buie della "reggia bucciana", quelle in cui il personaggio assorbe le risonanze più profonde, anche inquietanti ma che hanno reso Flavio Bucci uno degli attori più originali ed affascinanti degli ultimi decenni. E a un artista di questo spessore MoliseCinema non poteva non rendere omaggio nella “sua” Casacalenda. (MoliseCinema)

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LIBRI

Il nuovo lavoro di Antonio Sisto

L’autore ha effettuato una ricerca tra gli artigiani della sua Guglionesi

di ODL

Dopo una minuziosa raccolta di foto, aneddoti e interviste

ad alcuni vecchi artigiani di Guglionesi, lo scrittore Antonio Sisto si appresta a pubblicare il suo ultimo libro che a giorni arriverà nelle librerie, dal titolo: "Mestieri in parole - Utopie di oggi realtà di ieri " Trattasi di una documentatissima raccolta di tutti i mestieri che fino ad alcuni decenni fa erano presenti in tutti i paesi del nostro Molise e che oggi, l'industrializzazione e lo sviluppo delle nuove tecnologie hanno completamente cancellato. Questo libro vuole essere un omaggio a tutte quelle persone che per anni sono state le economie trainanti dei nostri paesi e un viaggio a ritroso nella memoria per poter tramandare ai nostri giovani come si viveva fino a non molti anni fa, quali erano i mestieri che animavano i nostri paesi, la durezza dei lavori della generazione che ci ha preceduto. Il tutto è arricchito con una raccolta di vocaboli dialettali tipici dei mestieri descritti che altrimenti sarebbero finiti nel dimenticatoio. Molto interessanti da leggere sono anche le numerose interviste alle persone anziane del paese che hanno ancora vive, nella memoria, i lavori svolti durante la loro vita e i sacrifici affrontati per portare avanti dignitosamente le loro famiglie. Ecco come l'autore presenta il suo libro: “A prima vista, specialmente per i più giovani, le notizie sui mestieri e sulle professioni che incontrerete in questa introduzione potrebbero sembrare una banale raccolta che dicepoco o niente. Chi ha i capelli grigi come i miei, soffermandosi attentamente, vi troverà un qualcosa di familiare e la mente non potrà fare a meno di rimettersi in moto. Inevitabilmente sarà proiettato, a ritroso, in un tempo non troppo lontano che lo porterà a ricordare il passato e a confrontarlo con il presente. Queste attività, quasi tutte manuali, per alcune generazioni hanno animato la vita sociale, culturale e soprattutto economica di Guglionesi (Campobasso). Ingegnosi artigiani locali, per molti lustri, hanno ricevuto e trasmesso conoscenze ed esperienze mettendole a disposizione di chiunque sentisse la necessità d’uscire dalla miseria e di riappropriarsi della propria dignità. Ad oggi, questi lavori, salvo qualche eccezione, sono letteralmente scomparsi, cancellati e divorati da un progresso sempre più irrefrenabile e incontrollabile. Alcuni sono ancora praticati con metodi, attrezzature, materiali e sistemi diversi e, in pochissimi casi, in ambito domestico per uso esclusivamente familiare. La profonda crisi economica degli ultimi anni, paradossalmente, ha dato una grossa mano per una loro progressiva riscoperta.

La copertina del libro di Sisto ------------------------------------------------------------------------ Stili di vita consolidati, improntati al consumismo e all’effimera arte dell’apparenza, scontati ai nostri tempi, sono stati rimessi in forte discussione. Tante famiglie e molti giovani, per necessità e curiosità, hanno preso coscienza e si sono avvicinati a tanti lavori artigianali e manuali”.

Collegiata di Guglionesi (Campobasso)

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LIBRI

La storia di Provvidenti (Cb)

Un libro di Giovannino De Vito omaggia il più piccolo borgo molisano. L’autore, oggi 90enne, è stato a lungo

primario all’ospedale di Termoli

di OSCAR DI LENA

Lo scorso 3 luglio è stato presentato a Termoli,

l’interessantissimo libro del dottor Giovannino De Vito dal titolo: “Provvidenti – note di storia antica e contemporanea”. L’autore del libro è stato a lungo ex primario del Reparto di Patologia Clinica presso l’ospedale di Termoli ed è stato sempre un autorevole studioso degli avvenimenti storici che hanno interessato la nostra regione e, in modo particolare quelli dell’area centro molisana. Socio decano dell’Associazione Archeoclub di Termoli, il dott.or De Vito ha spento le sue prime 90 candeline qualche settimana fa ed è stato uno dei soci fondatori dell’Archeoclub locale che il prossimo anno festeggerà i quaranta anni dalla sua fondazione, forse l’associazione più longeva tra quelle esistenti oggi a Termoli. Il libro, giunto alla sua terza ristampa, si diversifica da quelli precedenti perché è stato stampato nella doppia versione italiano-inglese per poter essere inviato ai tanti corregionali residenti in America e in Canada interessati agli avvenimenti storici della nostra regione. Nel libro non si parla solo di Provvidenti, questo piccolo centro del nostro Molise (solo 130 abitanti all’ultimo censimento) paese natio del dottore De Vito e del quale paese lui è stato anche sindaco per sette anni, ma si trattano anche importantissimi avvenimenti storici di rilevanza nazionale. Tra questi citiamo la dettagliata descrizione che l’autore fa della presenza di Annibale nell’antica città di Geronium (città oggi scomparsa) sita nei pressi di Casacalenda e dove lo stratega cartaginese vi rimase per diversi mesi (dall’autunno dell’anno 217 a.C. alla primavera inoltrata del 216 a.C.) e la Battaglia di Canne che, nei libri di storia viene indicata nei pressi del fiume Ofanto, ma che in realtà, secondo il dottor De Vito che per anni ha studiato tale avvenimento, si svolse nell’area oggi interessata dalla diga di Occhito sul fiume Fortore. Numerosi i soci dell’Archeoclub e gli amici del dottor De Vito presenti alla manifestazione che ha visto la presenza di Franca Sciarretta, socia dell’associazione e valente attrice locale, leggere alcuni capitoli estratti dal libro. La presentazione è stata arricchita con la proiezione di numerose diapositive collegate al contenuto dei diversi capitoli del libro. In conclusione della suggestiva cerimonia è stato fatto dono al dottor De Vito una targa ricordo con la seguente dicitura: Al dott. Giovannino De Vito per la sua lunga militanza nell’Associazione dell’Archeoclub e per aver valorizzato, con le sue ricerche, il patrimonio storico-archeologico del nostro territorio - i soci - Termoli 3 luglio 2014

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L’ARTICOLO DEL MESE

Pozzi radioattivi, paura in Molise

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In questo numero pubblichiamo questo interessante pezzo apparso su “Ambiente & Ambienti” il 24 luglio.

di ANTONIETTA RUOTO

“L’Italia è un paese pieno di cavuti, ma i cavuti che ci stanno a Cercemaggiore sono i più pericolosi”. Tradotto dal linguaggio pittoresco, un misto di dialetto e italiano di Antonio Di Pietro, ex magistrato del pool Mani Pulite, e già presidente dell’Italia dei Valori significa che l’Italia è piena di pozzi, ma quelli che sono in Molise e a Cercemaggiore in particolare sono i più pericolosi. Perché si tratta di pozzi radioattivi. Una radioattività dieci volte superiore ai valori di fondo e attestata dai rilievi condotti dai tecnici dell’Ispra, l’Istituto superiore per la ricerca ambientale.

UNA STORIA LUNGA

CINQUANT’ANNI

Nei pozzi scavati dall’Eni nei primissimi anni ’60 in contrada Capoiaccio di Cercemaggiore, ad una ventina di chilometri da Campobasso è presente materiale radioattivo; si esclude però che si tratti di scorie industriali. I rilievi comunque hanno confermato la presenza di benzene e diclorometano nel terreno circostante. A dicembre scorso, Di Pietro presentò un esposto in cui chiedeva di conoscere cosa era realmente accaduto in contrada Capoiaccio dai primi anni ’60 fino al 1970, quando da quei pozzi profondi tre chilometri prima la Montedison e poi la Selm estrassero petrolio. E cosa è stato versato negli anni successivi, fino al 1989, quando l’apertura dei pozzi fu sigillata con una colata di cemento.

A preoccupare i cittadini di Cercemaggiore, riuniti in assemblea nella sala del Comune, è soprattutto il numero di morti per tumore avvenuti negli ultimi anni nella zona. Cosa nascondono dunque i pozzi di Capoiaccio? E soprattutto cosa è stato versato in quei pozzi da camion che giungevano di notte? Scene che sono state viste e ricordate da Salvatore Ciocca, consigliere regionale e presidente della Commissione Ambiente alla Regione. Ricordi nitidi di mezzi “ che arrivavano soprattutto al tramonto e scaricavano qualcosa”. Secondo alcuni rapporti quei mezzi arrivavano anche da Porto Marghera. Un mistero che attende da cinquant’anni di essere risolto.

DI PIETRO ALZA LA VOCE

«Ora e soltanto dopo il mio esposto gli organismi competenti si stanno “spintaneamente” interessando». Calca la voce sul termine che ha coniato Di Pietro e raccoglie il consenso dell’assemblea. «Ho presentato l’esposto perché ci sono stati i morti, quattro dei sei che lavoravano per l’azienda petrolifera nella zona. Le indagini ora devono andare avanti perché bisogna capire quali sostanze mettono in pericolo la salute del territorio.

L’ipotesi di reato è quella di disastro ambientale con aggravante di morti e disastro del territorio. Il disastro ambientale – sottolinea Di Pietro – è un reato con effetto permanente e per questo tipo di criminali sono previsti 15 anni di reclusione». Raccoglie gli applausi dell’assemblea Di Pietro. Ad ascoltarlo nella sala strapiena di gente c’è anche Nicola Felice, uno dei promotori del comitato di cittadini. Sua madre è morta a causa di un tumore. « Nella zona dei pozzi io ci ho giocato con gli amici per anni – dice – si sapeva che era contaminata, ma evidentemente non si capiva bene il rischio a cui eravamo sottoposti. Una volta mamma ha anche portato pomodori e patate a far analizzare, ma è risultato tutto in regola». L’episodio fa rivivere una scena di Gomorra. Peccato però che questo non è un film. ■

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L’INCHIESTA

Ogm: è conciliabile con lo sviluppo sostenibile?

Analisi che comprende i rischi di un’agricoltura che non vogliamo…

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di ERIKA ZANNINO esperta in cooperazione internazionale originaria di Roccaravindola (Isernia)

Secondo la Direttiva EU 2001/18/CE 2

la definizione di Ogm è la seguente : “Organismo diverso da essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene con l’allevamento e/o con la ricombinazione genetica naturale”. Partendo da questa definizione generale, è consono ricordare l’utilizzo di Ogm con le biotecnologie innovative, che vedono tecniche di ingegneria genetica per identificare, isolare e trasferire artificialmente un gene dal patrimonio genetico di un organismo a quello di un altro essere. Da qui l’uso di tre tecniche specifiche: - Ricombinazione acido nucleico; - Introduzione diretta di un organismo di materiale ereditabile; - Fusione cellulare. Ma per comprendere come si è arrivati a manipolare geneticamente un organismo è fondamentale ricordare le tappe storiche.

CINQUE TAPPE

Abbiamo cinque tappe essenziali che portano alla maturazione di questo complesso processo: - 1953: Crick, Watson e Wilkins scoprono la doppia elica del Dna; - 1973: primo esperimento Dna ricombinante; - 1982: primo biofarmaco sul mercato (insulina); - 1983: prima pianta Ogm; - 1994: primi prodotti a disposizione dei consumatori (pomodori); - 1996: prima autorizzazione in Usa per coltura transgenica (soia RR); Nelle biotecnologie innovative, ossia sostenibili, gli Ogm vanno a inserirsi in tutti i processi industriali, alimentari e agricoli. Fino a che punto è una giusta innovazione?

Per entrare nello specifico possiamo iniziare a parlare delle destinazioni degli Ogm. In primis viene inserita in processi di alimentazione umana come il cibo. In più l’Ogm è destinato all’alimentazione animale come i mangimi. E infine, e non per ordine, per la produzione di biocarburanti. Per chiarire le idee su come si strutturano gli Ogm è giusto riportare le tre generazioni su cui si sono sviluppati e come, in pratica, sono entrati nella nostra vita quotidiana. - La prima generazione vede la modificazione genetica degli input essenziali alla coltivazione della pianta ad una maggiore resistenza ai patogeni e resistenti agli erbicidi, glifosato e glifosinato. Inoltre autoproduce il Bacillius Thuringiensis. E’ un batterio sporigeno che vive nel terreno. Quando viene ingerito mediante vegetali contaminati, il batterio sporula nell'ospite liberando tossine dette tossine Bt o delta-endotossine - innocue per gli esseri umani - che danneggiano il tratto digerente delle larve di Ditteri come le zanzare o causando nei bruchi di molti Lepidotteri una malattia paralitica. Esempi di organismi geneticamente modificati di prima generazione sono mais, soia, colza RR, cotone e mais BT.

- La seconda generazione prevede la modifica delle piante con caratteristiche di innovazione sia di prodotto che di processo, finalizzate a potenziare la quantità del valore nutrizionale o caratteristiche aggiuntive (maturazione ritardata, più antiossidanti) come il famoso “Golden Rice”, riso arricchito dibetacarotene ossia provitamina A, ideato per ridurre le carenze alimentari soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Questo valore aggiunto dietetico-nutrizionale è stato introdotto in vari prodotti alimentari come pomodori arricchiti con sostanze antitumorali (licopene) o come, ad esempio, varietà di soia con diverse concentrazioni di estrogeni vegetali. In questo caso notiamo come l’alimento assume sembianze di farmaco tale da essere chiamato alimento-farmaco. Questa generazione, a differenza della prima, altera il mercato economico internazionale. - La terza generazione prevede l’inserimento di una componente del tutto nuova, per modificarne la composizione organolettica. Si crea il farmaco-alimento introducendo nei vegetali delle caratteristiche espresse dai vaccini. L’esempio è la lattuga o la patata utilizzata per vaccini contro il colera. Questi prodotti per il momento non sono disponibili per il consumo. Ciò altera molto il mercato. Cioè si verificano modifiche organolettiche e qualitative degli alimenti, nonché la destinazione alternativa rispetto all’uso alimentare (farmaci-alimenti, agro-carburanti). Si finisce per alterare anche la concorrenza, causando shock macroeconomici che generano un’impennata dei prezzi e ne alimentano la scarsità. Se volessimo conoscere le previsione per il futuro è utile dare un’occhiata ai seguenti dati. ►►

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La produzione di soia, mais e frumento Ogm nel 2012 è al 56% per il Food (cibo), al 38 % per il Feed (alimentazione animale) e al 2% per il Biofuel (biocarburanti). Secondo stime attendibile, nel 2050 avremo: Food 30%, Feed 60% e Biofuel 10%. Le stime Fao affermano che nel 2050 la popolazione mondiale crescerà del 30% arrivando a 9 miliardi di persone. Ciò implicherà l’aumento della produzione alimentare del 70%, influenzando in modo determinante la domanda alimentare. E’ questa la motivazione che spinge le multinazionali a produrre Ogm? Sicuramente è influenzante. Secondo il Rapporto Isaa 2013, 18 milioni di agricoltori hanno piantato colture biotecnologiche in 27 Paesi del mondo. Si registra un aumento del 3% della superficie mondiale destinata a questi prodotti.

PERCHE’ GLI OGM

Se ci dovessimo chiedere il perché sono nati gli Ogm, andiamo incontro a svariati fattori. I punti: - il problema “fame nel mondo” è al primo posto; - la robustezza del vegetale ai virus grazie all’inserimento della pianta della sequenza del genoma virale che le garantisce resistenza anche verso altri virus; - riduzione dell’uso di pesticidi per colture RR, ed uso insetticidi per colture BT; - aumento qualità nutrizionale; - aumento della produzione e delle rese (Soia BRA: -1,8% 2003-2007 rispetto a 1980-2002); - eesistenza a siccità e salinità e variazioni di temperatura.

I VARI OGM

Gli Ogm vengono divisi in categorie come batteri, colture, alberi, mammiferi e pesci, che a loro volta vengono utilizzati in ulteriori processi. Nello specifico i batteri GM sono organismi monocellulari modificati per agire come fattori chimici nei processi di produzione di additivi alimentari e sostanze chimiche. Le colture GM sono soia RR, mais BT, cotone, golden-rice, colza, pomodori, patate e prodotti esotici.

Gli alberi GM modificano e/o migliorano la struttura del legno e del ciclo produttivo, resistenti a erbicidi, immagazzinando i gas responsabili del cambiamento climatico. I mammiferi GM sono resistenti alle malattie e più produttivi. I pesci GM hanno un gene anti-congelamento. Entriamo nel dettaglio delle materie prime alimentari che sono manipolate geneticamente, e ci soffermiamo sulla destinazione degli Ogm nel Food. Il mais BT ha il 75,9% della produzione e il 68,3% del consumo che dipende da cinque paesi (USA, CHN, BRA, EU, ARG). Le principali destinazioni sono la produzione di bioetanolo (40% della produzione Usa e 15% della produzione mondiale) e di bioplastiche. Nell’alimentazione umana è presente in: salse al pesto, olio e amido (addensante dei budini per consistenza, gelatine e gelati), farina, lievito (in pane e pizza), sorbitolo e sciroppo di glucosio nelle gomme da masticare, condimenti preconfezionati, fiocchi di cereali, malto per lavorazione della birra, amido nella maionese e altre salse, alimenti per neonati come omogeneizzati, polenta e popcorn. La soia RR (86,6% della produzione e 77,6% del consumo) dipende da quattro paesi (EU, BRA, ARG, CHN) attualmente la coltura GM più coltivata al mondo! Dove la troviamo nell’alimentazione? Si riscontra in farina di soia, latte di soia, gelati, ravioli e tortellini (indicata in etichetta come “proteina vegetale”) emulsionante nella cioccolata, snack, budini e piatti pronti. La colza (86% di produzione e 95,2% di consumo) dipende da quattro paesi (EU, CHN, CAN, IND). La maggior parte della produzione di olio di colza è utilizzato in biodiesel e per le farine inerente all’alimentazione animale. Il cotone BT ha il 74,8% della produzione e il 75,2% dell’export dipendono da quattro paesi (USA, IND, AUS, BRA).

La destinazione principale è l’industria tessile con un forte impatto ambientale e sociale. Si ricorda il dramma silente verificatosi in India dove migliaia di contadini (circa 200.000) si sono suicidati nello stato di Maharashtra. I semi di cotone BT sono più costosi delle sementi tradizionali (circa 22 euro contro 2.5 euro al chilo) generando sementi sterili che non possono essere ripiantati. Quindi ogni anno devono essere riacquistati i semi per coltivare. Seguito tutto ciò da un apporto maggiore di fertilizzanti e pesticidi. Il circolo è vizioso! Impossibile riprendere la coltivazione a sementi tradizionali. Il Golden-rice produce beta-carotene (vitamina A) ed è promosso come coltura che può prevenire la cecità per bambini che soffrono da deficienza di vitamina A. Secondo Greenpeace per prevenzione l’assunzione deve essere di almeno 3 chili al dì (adulto 9 chili). Questo può creare dipendenza per i Paesi in via di sviluppo. I protagonisti di questi nuovi prodotti sono fondamentalmente sei multinazionali che controllano il 90% del mercato delle sementi e sono riunite nella “Confederazione delle multinazionali dell’agrochimica” [Croplife International]. Nel 2011 il mercato delle sementi aveva un valore di 24,5 miliardi di $ (15,5 GM e 18,8 no GM), ma le stime per il 2016 crescono e sono volte ad arrivare a 39,9 miliardi di $ divise in 20,2 GM e 19,7 no GM. Il valore del mercato dei semi è in aumento sostanziale. Ma dove sono distribuiti? Vi è una concentrazione in aree produttive come Usa, Argentina e Brasile con la precisione di 76,3% di ettari coltivati. Nel continente americano l’86,7% delle superfici viene abitualmente coltivata a Ogm e i paesi produttori sono Usa, Argentina, Brasile, Canada, Paraguay, Uruguay. Nel continente asiatico il 10,3% delle superfici sono coltivate a Ogm e i paesi produttori sono India, Cina e Pakistan. Nel 2012 si è investito a Ogm il 12,3% delle terre arabili e sempre nello stesso anno 17,3 milioni di agricoltori hanno coltivato sementi geneticamente modificate, vale a dire l’1,3% della popolazione agricola attiva. ►►

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Dal 1997 al 2010 la superficie coltivata ad Ogm è aumentata dell’87%. Questi sono dati che scuotono l’attenzione dei consumatori, agricoltori, e produttori di tutto il mondo abituati a pensare che ciò sia normale e che non provochi danni alla salute. Pertanto un organismo manipolato non è sostenibile. Perché non rispetta i parametri della sostenibilità ossia economico, sociale e ambientale.

IN EUROPA

L’area delle biotech in Europa è aumentata del 15% tra 2012 e 2013. La Spagna svetta con un record di 136.962 ettari di mais biotech (+18% dal 2012). Ci sono poi Romania, Portogallo, Repubblica Ceca e Slovacchia. Secondo la normativa internazionale gli Ogm sono considerati una varietà vegetale secondo tre precise convenzioni. La prima è la convenzione Upov (1961) che afferma i diritti sulle varietà vegetali; nel 1978 è stata fatta la III Convenzione Upov stabilendo i requisiti per l’accesso alla tutela dell’innovazione come: novità, distinzione, uniformità e stabilità. Poi la IV Convenzione Upov del 1991, che afferma che il brevetto è tutela dei diritti del costitutore e che quest’ultimo diritto è esteso anche al materiale raccolto. Inoltre l’agricoltore, grazie a questa convenzione, non può vendere o scambiare le sementi. Nel 1994 è stato varato l’Accordo Trips [Accordo sui diritti di proprietà intellettuale] visto come tappa fondamentale. Con tale accordo la varietà vegetale è protetta tramite brevetti o efficace sistema sui generis. I materiali brevettati non possono essere utilizzati neanche per finalità di ricerca scientifica, e gli Stati, non possono escludere la brevettabilità perché non prevista nei loro ordinamenti. Seguendo i riferimenti internazionali è giusto menzionare i fondamentali passaggi che vedono l’attuazione del processo fino ai giorni nostri.

La Convenzione quadro sulla biodiversità è un trattato internazionale del 1992, a cui hanno partecipato 193 Paesi. Il fine è stato quello di tutelare la biodiversità, un giusto ed equo ridimensionamento dei benefici, e l’uso sostenibile delle sue componenti. La Convenzione di Cartagena del 2000 ha introdotto la protezione della biodiversità dai rischi derivanti dall’uso degli Ogm. Nel 2004 ha avuto luogo la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti con l’obiettivo di eliminare o diminuire l’uso di alcune sostanze nocive (POPs). Inoltre è stata stabilita la definizione delle sostanze interessate e delle norme relative alla produzione, importazione ed esportazione dei POPs. Nella normativa comunitaria, invece, abbiamo prevalentemente due approcci relativi ad Ue e Usa. Il principio di “sostanziale equivalenza” è quello che appartiene agli Usa. Riprendiamo la definizione ufficiale: “Se non esistono oggettive differenze organolettiche, nutrizionali e di composizione chimica per i prodotti ottenuti dalle moderne tecnologie, non è necessario adottare standards di sicurezza alimentare diversi da quelli impiegati per gli alimenti tradizionali”. [OECD, 1986] Come valutare la “sostanziale equivalenza”? Bisogna analizzare le caratteristiche del prodotto tradizionale, valutando così il criterio utilizzato, per l’ottenimento delle variazioni del nuovo prodotto.

Inoltre bisogna tenere conto dei potenziali effetti collaterali, attribuiti alle modifiche, e studiare le caratteristiche della parte modificata del nuovo alimento. Tra le conseguenze, si nota come si abbia una categoria solo per gli Ogm. Il prodotto viene definito “Gras” ossia generalmente riconosciuto come sicuro; inoltre, non è prevista la richiesta di autorizzazione di vendita all’Fda per nuovo Ogm e non vi è etichettatura specifica. In Europa, invece, vige il “principio di precauzione”. Ha sostanziali differenze con il precedente principio. La definizione del principio: “Laddove vi siano minacce di danni seri o irreversibili, la mancanza di certezze scientifiche non può costituire un motivo per ritardare l’adozione di misure efficaci in termini di costi, volti a prevenire il degrado ambientale”. [art.174 trattato CE] Ma cosa porta all’adozione del principio? La constatazione che è impossibile ottenere un livello di protezione previsto o desiderato. La normativa di riferimento in Italia prevede, secondo la Dir. 1998/44, la protezione giuridica e di brevettabilità [D. lg 2006/3], secondo la Dir. 2001/18 la definizione di tecniche per l’ottenimento di Ogm (questione del rilascio ambientale) . Inoltre secondo il D. Lg 2003/224 Reg. 2003/1829 si ha l’immissione sul mercato di alimenti e mangimi costituiti Ogm. Il Reg. 2003/1830, invece, prevede la tracciabilità attraverso l’etichettatura con una soglia dello 0,9%. Secondo il Reg. 2007/834 si ha una “presenza accidentale” dello 0,9% anche per i prodotti biologici. Ma come ci possiamo tutelare? Grazie all’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, il consumatore può tutelarsi, poiché l’Efsa ha il compito di verificare la validità dei test effettuati dalle aziende europee. Ma gli Ogm sono sostenibili? Cosa intendiamo per sviluppo sostenibile? Riprendiamo la definizione: “Sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri bisogni”. [Rapporto Brundtland, 1987] ►►

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Il concetto di sostenibilità ha seguito varie tappe storiche ricche di convenzioni e rapporti che hanno dato il via allo sviluppo sostenibile. Per curiosità e coerenza si vogliono citare le più importanti conferenze tenutesi a livello internazionale. Nel 1972 ha avuto luogo la Conferenza sull’ambiente umano di Stoccolma dove ha avuto inizio il percorso culturale e politico relativo allo sviluppo sostenibile. Nel 1987 è stata istituita dall’Onu la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo presieduta dall’allora premier norvegese Harlem Brundtland a cui dobbiamo l’attuale definizione di “Sviluppo sostenibile”. Nel 1992 a Rio de Janeiro s'è svolta la Conferenza Onu su ambiente e sviluppo dove sono stati creati due strumenti strategici: Agenda 21 Locale e Convenzione quadro sui cambiamenti climatici. Lo strumento attuativo della Convenzione è il Protocollo di Kyoto che verrà sottoscritto nel 1997. Nel 2004 è stata definita la Convenzione di Stoccolma con il compito di limitare l'inquinamento causato da inquinanti organici persistenti (POP). Essa definisce le sostanze interessate, nonché le norme relative alla produzione, importazione ed esportazione di tali sostanze. A livello europeo si sottoscrivono le tappe fondamentali a partire dal V e VI Piano di azione ambientale europeo (1992, 2002). Nel 2000 è stato istituito il Consiglio europeo di Lisbona e nel 2001 il Consiglio europeo di Goteborg. Il Regolamento (Ce) Reach n. 1907/2006 ha lo scopo principale di migliorare la conoscenza dei pericoli derivanti da sostanze chimiche già esistenti e nuove (introdotte sul mercato prima e dopo settembre 1981) e nel contempo mantenere e rafforzare la competitività e le capacità innovative dell’industria chimica europea. Il VI Programma quadro è stato in vigore dal 2002 al 2006. Il VII Programma ha abbracciato il periodo 2006/2013. Ha previsto il quadro generale di riferimento delle attività dell’Ue nel settore della scienza, dalla ricerca e dall’innovazione dal 2002 al 2006.

L’obiettivo: creare uno spazio europeo della ricerca (SER) e migliorare l’integrazione e il coordinamento della ricerca in Europa. La sostenibilità ambientale deve rispettare tre dimensioni sostanziali: economica, ambientale e sociale. Tutto questo processo di cui abbiamo parlato sino ad ora rispetta queste dimensioni? Per quanto riguarda la dimensione della sostenibilità ambientale sappiamo che vi è inquinamento poiché l’Ogm richiede quantità elevate di erbicidi, fungicidi, insetticidi e diserbanti agrochimici. Inoltre, vi è perdita di biodiversità poiché il 90% degli ortaggi censiti nel 1900 sono scomparsi, si è avuta una moria degli insetti (api: ogni anno moria 30% colonie) e infine si hanno più attacchi nei campi no Ogm. Per non dimenticare la contaminazione delle “aree free” Ogm tramite vento e insetti. Alcune multinazionali affermano che la zona tampone può essere sufficiente porla a 10 metri per dividere le colture GM da quelle no GM. Purtroppo è dimostrato che i pollini di colza, ad esempio, si spingono a distanza maggiore di 3 km. In ultima istanza poniamo la distruzione chimica della microfauna del suolo. E’ evidente che secondo la dimensione ambientale l’Ogm non sia sostenibile. Nella dimensione economica si evince come il calo delle vendite e l’aumento dei prezzi delle sementi ha provocato la non sostenibilità. Ad esempio tra il 1995 e il 2011 i costi medi per acro in Usa per l’acquisto di sementi è aumentato del 259% per la soia e del 325% per il mais. Secondo l’Usda nel 2011 rispetto al 2008 i prezzi sono aumentati per la soia +67,4%, per il mais + 40,2% e il cotone +109,7%.

In ultima istanza si nota come la destinazione dei terreni a culture alternative è aumentata rispetto a quelle alimentari. Anche qui non si ha sostenibilità. Infine la dimensione sociale. Cosa cambia in particolare? La vita dei contadini viene messe a dura prova, sia perché si vanno a perdere le conoscenze tradizionali e sia perché si crea un legame di dipendenza dalle multinazionali (diritto di proprietà dei brevetti). Come se non bastasse si è registrato un aumento del tasso dei suicidi (caso India) e un cambiamento dei rapporti di fiducia tra i contadini. Ci sono poi dubbi per la salute, l’incertezza nel nuovo prodotto geneticamente modificato di cui non si hanno notizie certe ma la presenza di allergie, o la resistenza agli antibiotici può modificare il regime alimentare comune. Chiediamoci allora se è una giusta innovazione questa. O se perlomeno in campo alimentare, il rapporto salute/innovazione ha un giusto resoconto. I rischi per la salute e la dipendenza costante a multinazionali delle sementi non provoca sostenibilità, ma suicidi. L’agricoltura è messa a dura prova e i terreni sono privi delle “vecchie comunità locali”. Per l’utilizzo in altri settori come il campo della diagnostica e/o cura della salute, sono determinanti, efficaci e alcuni poco impattanti (grazie all’utilizzo della componente biologica come nei biosensori). E’ opportuno tenersi informati e aggiornati sulla questione Ogm, per capirne meglio e sperimentare le giuste conseguenze per il nostro pianeta e la popolazione mondiale.

PER SAPERNE DI PIU’

- www.isaaa.org http://europa.eu/legislation_summaries/energy/european_energy_policy/i23022_it.htm - www.treccani.it - www.un.org - www.cartografareilpresente.org EFSA: Safety and nutritional assessment of GM plants and derived food and feed: the role of animal feeding trials. ■

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DULCIS IN FUNDO

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