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CITTÀ a partire dalla Missione Numero speciale - Ottobre 2015 LAICI MISSIONARI COMBONIANI - PALERMO “Vi invito tutti a pregare perché le persone e le istituzioni che respingono questi nostri fratelli chiedano perdono”. (Papa Francesco, 17.06.2015) Una PHOTO BY BORJA SUAREZ/REUTERS

Newsletter ottobre 2015

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cittàa partire dallaMiss ione

Numero specia le - Ottobre 2015Laici Missionari coMboniani - PaLerMo

“Vi invito tutti a pregare perché le persone e le istituzioni che respingono questi nostri

fratelli chiedano perdono”. (Papa Francesco, 17.06.2015)

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Photo by borja Suarez/reuterS

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Editorialedi Giulia di Martino

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Voci dal mondodi Domenico Guarino

Pag. 4

I numeri che condannano l’Europadi Alberto Biondo e Domenico Guarino

Pag. 5

Accoglieredi Giovanni di Mauro (Internazionale 1118)

Pag. 9

Fratture di sensodi Ester Russo

Pag. 11

I centri di accoglienzadi Alberto Biondo

Pag. 14

Italiani, per esempiodi Giuseppe Caliceti

Pag. 17

Racconti di UnoErri de Luca

Pag. 19

La redazione Alberto Biondo - Giulia Di Martino - Domenico Guarino

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Ottobre 20153Laici Missionari coMboniani

Palermo

L’estate infuocata e grondante di fatti non lascia il passo a niente di nuovo nel no-stro modo di stare dentro questa storia:

torniamo a parlare, dopo la pausa di agosto, di immigrazione e più in generale di tutto ciò che risveglia l’umanità profonda presente in tutte le persone, ma solo da poche liberata per la realizzazione di una vita più piena.

Le morti in mare e nei container dell’est non hanno conosciuto vacanza. Noi, come pic-cola comunità cristiana ministeriale e laica, vogliamo fare scelte liberanti, e quindi conti-nuiamo a gran voce a indicare le crepe della società in cui viviamo, dalle quali si affaccia-no volti respinti, non voluti, storie cariche di vita, storie destinate alla morte.

Da Calais a Ventimiglia, dall’Ungheria a Tra-pani, le frontiere europee sempre più infiam-mate danno la misura dell’assoluta imprepa-razione delle istituzioni comunitarie di fronte ad uno dei fenomeni umani più antichi: la migrazione. Ogni tentativo di arginare e sop-primere le spinte vitali che premono ai con-fini del nostro continente risulta infatti pre-tenzioso e meschino, perché si contrappone stupidamente alla natura stessa di una società globale sempre più meticcia e intrecciata.Nella guerra delle quote di ridistribuzione, facendoci largo fra razzismi di varie forme e nazionalità, fra pallide catalogazioni in profu-

ghi di serie A e di serie B, continuiamo quindi a indagare il fenomeno, e lo facciamo attra-verso un numero speciale dedicato al tema, con cui intendiamo inaugurare il nostro nuo-vo anno “liturgico”. Per immettere profondità all’analisi della situazione migratoria, ne par-liamo da diverse angolazioni, anche attraver-so il racconto delle ultime tragiche vicende delle scorse settimane.

Siamo all’interno di un processo di affinamen-to delle risorse in nostro possesso. A partire da questo mese inauguriamo una nuova veste grafica più essenziale ed efficace, con l’inten-to di arrivare dritti al cuore dei temi trattati, senza tanti fronzoli. A questo “restyling” si accompagna l’inserimento di piccoli accor-gimenti ipertestuali che rendono più agevole la fruizione degli articoli: cliccando sui titoli dell’indice è possibile infatti aprire diretta-mente il relativo articolo.

Sono piccoli dettagli di un progetto più am-pio il cui obbiettivo è una sempre maggiore conoscenza della realtà, per stare al fianco delle impoverite e degli impoveriti dei nostri giorni. Una conoscenza a cui arriviamo ac-quista valore quando i pensieri e le immagi-ni che formiamo vengono poi condivise con voi.

Buona lettura!

e d i t o r i a L edi Giulia Di Martino

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Ottobre 20154Laici Missionari coMboniani

Palermo

Il Messico chiede

giustizia per gli studenti scomparsi un anno fa, nella notte

tra il 26 e il 27 settembre 2014, a Iguala nello stato di Guerrero.

I genitori da mesi scendono in piazza per chiedere alle autorità di continuare

a indagare sul ruolo dell’esercito. Non ci si rassegna all’idea

che sono morti.

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Il 17 settembre c’è

stato un golpe militare a Ouagadougou, capitale

del Burkina Faso. Ma proprio quando la dittatura sembrava

risorta è arrivato il colpo di scena. L’uso della forza non ha pre-valso perché il paese è stato

scosso da un fremito d’indignazione

3

Voci daL mondo

Fish for cheapIl nuovo accordo che Dakar ha

siglato con l’Unione Europea rende furiosi i pescatori locali. L’arrivo delle

navi europee porterà ad un impoverimento del mare. “Prima sono venuti i russi e gli asiatici a saccheggiarci. Ora hanno riaperto il mare agli europei”. “Da quando sono arrivate le flotte

straniere, c’è sempre meno pesce”. “Dob-biamo smetterla di vendere le nostre

materie prime”

4

I sopravvissuti dei

tifoni sempre più violenti che si sono abbattuti sull’arci-

pelago delle Filippine hanno pre-sentato, insieme a diversi esponenti

della società civile una denuncia alla Commissione per i diritti umani (CHR) di Manila contro i grandi inquinatori, accusati di provo-

care cambiamenti clima-tici catastrofici.

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Ottobre 20155Laici Missionari coMboniani

Palermo

Sono più di 3 mila i morti che la fortezza Europa ha causato con le scelte securitarie messe in atto. Scelte che rendono i viaggi delle speranza di moltissimi uomini e don-ne una vera e propria ecatombe. I morti nel mediterraneo non si riescono più a contare e quello che fa più rabbia, è che neanche noi ci scandalizziamo di queste stragi gior-naliere che avvengono sotto i nostri occhi.

Sono donne, uomini e bambini che ogni giorno muoiono disperati in fondo al mare o investite da un’auto per scappare dai cen-tri di “non accoglienza”, oppure alle fron-tiere asfissiati dentro i camion. Ora sotto i riflettori ci sono le via di fuga balcaniche via terra, ma i viaggi e le stragi via mare continuano a verificarsi.Si moltiplicano i fili spinati, i muri, le recin-

di Alberto Biondo e Domenico Guarino

i numeri che condannano L’europa

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Ottobre 20156Laici Missionari coMboniani

Palermo

zioni. Il lungo viaggio di migliaia di perso-ne si trasforma in un vero e proprio percor-so di guerra.

La verità è che l’Europa non ha mai smes-so di costruire i muri. Oltre a quello famo-so che gli invasori spagnoli costruirono a Melilla (in territorio marocchino), ci sono i nuovi muri, tra cui ultimo in ordine di tempo è quello che il governo Ungherese ha deciso di issare (175 km) per bloccare il flusso di migranti soprattutto siriani che scappano dalla guerra. Ancora muri tra Grecia e Turchia e tra la Macedonia e la stessa Grecia, e ancora il muro tra Bulgaria e Turchia (160 km) costruito nel 2014.

Ma i muri ovviamente più inaccessibili sono quelli del nostro cuore, quei muri che impediscono di ribellarci alle condanne a morte per tantissime persone decise a ta-

volino da un gruppo di persone avide di denaro e potere, che si inventano leggi che limitano l’immigrazione solo per creare un vero e proprio business per un gruppo di multinazionali, società che si spartisco-no un mercato in netta crescita dopo l’11 settembre: nel 2009, era stimato in tutto il mondo a 450 miliardi di euro, in progres-sione del 10-12% ogni anno.

Nonostante i muri però il flusso migratorio non si può arrestare perché la gente non vuole morire di fame o sotto una bomba. Le persone partono con la consapevolezza di avere molte possibilità di finire abbando-nate nel deserto, torturate, umiliate, violen-tate in Libia o in qualche altra nazione di transito, oppure finire dimenticate da tutti in mare. La prova di questa tenacia è che per la prima volta a luglio si è superata la soglia di 100 mila arrivi in un solo mese

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Ottobre 20157Laici Missionari coMboniani

Palermo

(il numero di migranti rilevati alle frontiere dell’UE è stato di 107 500). Questo porta il numero di rilevamenti nel periodo gennaio-luglio a quasi 340.000, a fronte di 123.500 registrati nello stesso pe-riodo dello scorso anno e 280 000 in tutto il 2014.

I nostri politici continuano a riunirsi a Bru-xelles per trovare delle soluzioni a que-sta situazione, ma nonostante le continue riunioni fra i capi di stato non si riesce a trovare nessun accordo sostanziale, tranne che i paesi dell’est europeo non vogliono migranti (insieme all’Inghilterra e la Dani-marca).

La scia che continueranno a seguire i nostri leaders è quella dei soldi (sempre di più per blindare i confini e delegare ai paesi terzi i controlli di frontiera e la detenzione degli “irregolari”) e degli Hotspot (la Germania e la Francia fra tutte spingono l’Italia ad atti-vare immediatamente questi centri in cui i migranti saranno costretti a dare le impron-te digitali, in pratica bloccandoli sul nostro territorio).

L’ultimo consiglio “informale” dei capi di stato e di governo a Bruxelles, ha deciso di non “mettere mano” al regolamento di Dublino e quindi non permettere l’apertura dei canali umanitari, ma cosa ben più ver-gognosa, di trovare accordi con i paesi di partenze e/o di transito per rimpatri forzati.I governi sono ancora convinti che solo l’u-so della forza potrà rompere la cosiddetta «rete» degli scafisti che opera in Libia e

organizza i pericolosi attraversamenti. Pur-troppo ancora una volta si vuole dimenti-care che “oggi, chi intraprende un viaggio verso l’Europa vuole spostarsi. Se fosse libe-ro di farlo utilizzerebbe i voli che le com-pagnie aeree low-cost operano tra il Nord Africa e l’Europa. E non sono gli «schiavi-sti» o i «trafficanti» a impedire l’accesso a questo itinerario privo di pericoli” (Lettera aperta all’Unione europea (firmata da 548 do-centi e ricercatori di tutto il mondo). Bisogna “prendere atto che quest’onda di umanità disperata non si fermerà, si protrarrà per anni e cambierà profondamente la geopo-litica europea, la composizione sociale di interi territori e città” (Carlo Petrini su Re-pubblica de 25/09, la solidarietà dal basso).

L’estate è finita, il mare sarà sempre più vo-race e i numeri ci condannano. Non abbia-mo scusanti, non possiamo far finta di non sapere, per costruire un Europa altra c’è bi-sogno dell’impegno di tutti e tutte. È arriva-to il tempo di ripensare “un’aggregazione dal basso che si faccia carico di creare le condizioni per realizzare quell’accoglien-za che non può essere lasciata nelle mani di prefetti e sindaci proprio perché non pas-sa solo da strutture e numeri ma richiede una comunità accogliente”.

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Ottobre 20158Laici Missionari coMboniani

Palermo

“Non sarei sopravvissuto in Somalia. Sarei morto sia se mi fossi arruolato, sia se mi fossi rifiutato di farlo. Quando attraversai il deserto, due persone che viaggiavano con me morirono di sete. Mi pre-sero e mi portarono in prigione mentre cercavo di attraversare il confine con la Libia, presero tutto quel che avevo e cominciarono a trattarmi con un animale. Mangiavo una volta al giorno, di notte mi picchiavano come se fossi un pallone da calcio. Mettevano la mia testa in un secchio d’acqua e mi appendevano per le gambe. Volevo uccidermi. Sono stato fortunato, sono rimasto in prigione solo un anno. Ma alcuni, lì dentro, sono diventati pazzi, gridavano tutto il giorno. Uno di loro si

uccise bevendo ammoniaca. Ogni tanto qualcuno moriva, perché la prigione libica prima o poi ti uccide. Non pensavo sarei stato di nuovo imprigionato in Europa”. (A. 18 anni)

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Ottobre 20159Laici Missionari coMboniani

Palermo

Padre Efstratios Dimou è un prete ortodosso di 57 anni. Tutti lo chiamano Papa Stratis. Vive nel villaggio di Kalloni, sull’isola di Lesbo, in Grecia. “Ogni giorno arrivano tra le cento e le duecento persone”. Rifugiati che hanno bisogno di aiuto. Papa Stratis,

insieme a un gruppo di volontari, gli dà pane, acqua, latte, scarpe, vestiti, coperte, len-zuola. Dominique Mégard ha 66 anni. È un informatico in pensione e vive nel nord della Francia. Va tutti i giorni nell’accampamento di Calais con un paio di generatori elettrici, così i migranti che vivono lì possono ricaricare i loro telefoni e restare in contatto con le

di Giovanni de Mauro*

ac c o g L i e r e

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Ottobre 201510Laici Missionari coMboniani

Palermo

famiglie.

Sarah Morpurgo coordina a Londra The bike project, un gruppo di meccanici che ripara vecchie biciclette per i rifugiati che arrivano nella capitale britannica. Angeli-que e Onno Bos erano in vacanza a Lesbo con i quattro figli. La sera prima di tornare a casa, in Olanda, hanno deciso di cancel-lare il volo per restare ad aiutare i rifugiati che per tutta l’estate sono sbarcati sull’i-sola. Jaz O’Hara ha 25 anni e fa su e giù tra il Kent, dove vive, e Calais, in Francia. Porta gli aiuti che raccoglie tra i suoi amici su Facebook. Food not bombs è un gruppo di volontari che preparano da mangiare per le famiglie di migranti che arrivano a Bu-dapest: cucinano con gli ingredienti donati dai mercati della città.

Szeged è una città nel sud dell’Ungheria, al confine con Serbia e Romania. Decine di abitanti si sono organizzati per dare as-sistenza legale ai rifugiati di passaggio. Il gruppo si chiama MigSzol Szeged. Da mesi decine di volontari si danno il cambio per preparare da mangiare al Baobab di Roma, l’unico centro d’accoglienza in Europa ge-stito dagli stessi migranti.

Mareike Geiling e il suo fidanzato, Jonas Kakoschke, vivono a Berlino. Hanno lan-ciato un sito, Flüchtlinge willkommen, per mettere in contatto i migranti con i berline-si che vogliono ospitarli. Più di settecento persone hanno già deciso di aprire le loro case. Fethullah Üzümcüoğlu ha 24 anni, Esra Polat ne ha 20. Si sono appena sposati

e hanno deciso di usare tutti i soldi della lista di nozze per dare da mangiare ai ri-fugiati siriani di passaggio nella loro città, Kilis, nel sud della Turchia, al confine con la Siria. Nelle foto del loro matrimonio li si vede ancora vestiti a festa mentre servono da mangiare a una ila di persone. Quattro-mila in un pomeriggio.

In tutta Europa si moltiplicano le storie di comuni cittadini che decidono di accoglie-re i migranti e di aiutarli, di organizzarsi per fare quello che politici e governi dovrebbe-ro fare ma non fanno. Sono storie che non finiscono in prima pagina e non aprono i telegiornali, ma restituiscono un senso all’i-dea di Europa.

* Questo articolo è tratto dalla rivista setti-manale Internazionale numero 1118.

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Ottobre 201511Laici Missionari coMboniani

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Scelgo questo titolo per questo breve con-tributo che mi è stato chiesto di offrire perché credo profondamente che questa

sia una delle poche e possibili definizioni da utilizzare nel tentativo di definire gli accadi-menti di questo ultimo periodo, compreso questo mese di settembre che sta ormai per concludersi, così denso di iniziative parte-cipate e così altrettanto colmo di sofferenze collettive indicibili che in maniera differente hanno attraversato tutti noi, creando diso-rientamento, rabbia e alimentando talvolta un necessario desiderio di cambiamento e di trasformazione.

Non parlerò di numeri, non conterò i soprav-vissuti, i morti, i dispersi perché non c’è più

tempo, il tempo è vita per chi in questo mo-mento ha lasciato casa, salutato la propria fa-miglia o sta per iniziare il viaggio sfidando il terrore della morte, delle violenze e del buio. Ed è di questo che vorrei parlare e non del concetto di morte con cui ognuno farà i conti prima o tardi, ma della totale dissoluzione a cui abbiamo assistito del concetto di identità, di persona, di uomo.

Questo autunno è stato anticipato da migliaia di immagini che hanno circolato sul web e non solo, in maniera totalizzante, quasi as-sordante e non solo di bambini annientati, ma di intere famiglie distrutte: emozioni visi-bili e frammentate di uomini e donne partiti con un progetto migratorio che non aveva di

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Ottobre 201512Laici Missionari coMboniani

Palermo

certo potuto immaginare e includere in esso tanta violenza, tanta indifferenza e crudeltà. Di fronte a ciò, lo sgomento e l’angoscia col-lettiva hanno predominato, ma l’impotenza e i vissuti di debolezza non hanno avuto il sopravvento e già il 1 settembre, inorriditi dall’interruzione ingiusta di quelle esistenze umane ci ritrovavamo al Molo Puntone di Pa-lermo a dire basta a certe politiche, un’inizia-tiva che è stata un momento di preghiera ma anche di vicinanza e di coinvolgimento delle istituzioni, che sembrava inaugurare e antici-pare tanti momenti che poi avrebbero coin-volto tanti cittadini di questa città, commossi, arrabbiati, solidali. Più di tutte, la Marcia del-le donne e degli uomini scalzi, organizzata

il 10 settembre a Palermo, così come acca-deva l’11 Settembre in altre 61 città d’Italia, ha rappresentato per molti di noi una marcia per l’umanità, un terreno di negoziazione, un tentativo di ricontattare tracce di fratellan-za anche in chi è invisibile, è apparentemen-te indesiderabile, diverso da noi, un modo per gridare con un’unica voce il rispetto dei diritti all’esistenza, all’accoglienza, alla mo-bilità per tutti i popoli. Un esperimento uma-no di messa in comune delle differenze, un meticciato di risorse mosso da desideri di ri-baltamento delle politiche europee, sempre più securitarie, etnocentriche e globalizzate. L’immagine di Aylan Kurdi, il bimbo siriano di tre anni ha commosso anche chi sembra-

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Ottobre 201513Laici Missionari coMboniani

Palermo

va anestetizzato dai dolori delle guerre, del-le torture e delle cose che ancora non sono narrabili perché atroci, perché necessitano di spazi di cura che non siamo disposti sempre a offrire, perché la parola accoglienza include implicitamente spesso il concetto di dipen-denza, di subalternità, di assistenzialismo… quando si è fortunati. Siamo in guerra, una guerra silenziosa si sta giocando con armi impari contro i profughi attraverso la trasformazione del concetto di diritto, innalzando muri e barriere, trasfor-mando le frontiere da luoghi di passaggio a luoghi di blocco, di isolamento, di disu-manità e spietatezza. Il filo spinato diventa simbolo di questa violenza, di questa miopia egoista e brutale che non permette progetti di pace e di sicurezza per tutti.

Il giorno della marcia ha mobilitato energie ed è stato susseguito con perseveranza dai cosiddetti “giovedì in strada” a Piazza Verdi organizzati dai cittadini del gruppo di “Paler-mo senza Frontiere”, sulla scia dei movimen-ti e collettivi di “Milano senza frontiere”. Essi costituiscono iniziative importanti e occasio-ni di incontro con la strada, con i cittadini, con le persone tutte, per continuare a chie-dere con forza diritti per i migranti e un’Euro-pa senza muri, un’Europa che guardi sempre più ad una civiltà in cui i popoli possano con-siderare il mondo tutto come il proprio paese. Essa costituisce volontariamente un’esperien-za partecipativa non poco singolare, si guarda alla possibilità di convivere con le differenze, la necessità di evitare le semplificazioni. La tenacia e il rituale che viene periodicamente eseguito richiamano l’esperienza delle donne

di Plaza de Mayo, unite strette sempre una accanto all’altra senza lacrime e senza paura.Ciò mi ricorda molto “la possibilità di essere pietre nel deserto”, la necessità che sempre più oggi abbiamo di partecipare e pensare ed elaborare ciò che accade intorno a noi, attraverso dispositivi che sempre più sono co-munitari, di gruppo. Essi costituiscono, a mio avviso, le uniche modalità per produrre nuovi significati, abbattere le indifferenze e i muri psichici, per indurre lo sguardo di chi è cie-co e focalizzare sempre più l’attenzione sulla dimensione irriducibile dell’esistenza uma-na, ormai sempre più lontana da una visione antropocentrica e sempre più orientata verso profitti economico-finanziari.

Di fronte al disorientamento connesso alla clandestinizzazione di vite umane e alle paure collettive che narcotizzano, sembra necessario guardare sempre più ad un’ottica comunitaria, collettiva e di gruppo, che pos-sano rendere visibile ciò che visibile non è attraverso la condivisione e l’apertura, è ur-gente infatti produrre aree di visibilità, forse costruire interstizi permanenti, spazi in cui potere depositare ciò che in altri luoghi non può essere pensato, non viene visto, non può essere digerito e respinto, rigurgitato.

E si continua così a girare, a desiderare nuove identità sociali, a guardare nuovi orizzonti, a insistere con la “frontiera addosso” (Rastello, 2010).

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i centri di accogLienza

di Alberto Biondo

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Qual è l’Italia dei cen-tri di accoglienza? Quanto il nostro odio verso gli immigrati nasce da una cattiva informazio-ne? Purtroppo nella maggior parte dei centri, tutto farebbero tranne che garantire realmente i diritti degli ospiti e rispettare gli accordi prestabiliti.

Cie Cara Cpsa Cda Cas Sprar Hotspot Hub e chi più ne ha più ne metta. Sono tutte sigle che indicano i centri

della cosiddetta accoglienza in Italia e qui nella nostra Sicilia di questi centri non ne mancano di certo, anzi abbiamo dei prima-ti che ci invidiano in tanti.

La Sicilia è l’unica regione in cui sono pre-senti attualmente 2 Cie funzionanti (Milo a

Trapani e Pian del Lago a Caltanissetta), il Cara più grande d’Europa, fiore all’occhiel-lo dei nostri politici, Mineo, 2 Cpsa a Lam-pedusa e Pozzallo, Sprar in tutte le provin-cie, e soprattutto tantissimi Cas. In più ci sono 4 Hotspot.

Ma andiamo per ordine così da evitare la confusione.

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Ottobre 201515Laici Missionari coMboniani

Palermo

Gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezio-ne internazionale sono trattenuti nei cen-tri di identificazione ed espulsione (cie). A differenza degli altri centri qui sono reclusi e non possono liberamente uscire. Sono per lo più i cosiddetti migranti economici, quelli che l’Europa ha deciso di rispedire indietro perché reputa di serie B. Sono mol-ti magrebini (tunisini marocchini algerini) egiziani e nigeriani che vengono rispediti a casa, oppure viene dato loro un foglio di via per lasciare il territorio nazionale.Molti chiamano questi centri galere etni-che, perché le persone vengono rinchiuse senza un motivo valido.

Lo straniero che richiede la protezione in-ternazionale viene inviato nei centri di ac-coglienza per richiedenti asilo (cARA). A Mineo ci sono 4000 persone circa e gli enti gestori ricevono al giorno per ogni migran-te presente 35 euro, cioè 140 mila euro al giorno che fanno più di 4 milioni di euro al mese. Di questi ai migranti vanno solo 2,50 euro al giorno e il resto nei conti di cooperative che gestiscono Mineo e tanti altri centri che funzionano sempre con la stessa modalità.

Nell’ultimo anno, visto l’instabilità creata in Africa, nel Medio Oriente e in Asia con molte responsabilità dei paesi occidenta-li, il flusso migratorio è aumentato. Visti i numeri, lo stato italiano ha dato la possibi-lità a moltissime cooperative di creare dei cAs, centri di accoglienza straordinaria, in cui i migranti dovrebbero restare il tempo

necessario per capire se sono migranti che possiamo tenerci (rifugiati) oppure rispedire indietro (economici); ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare e quindi, in questo limbo, i migranti restano anche per 18 mesi in attesa di una audizione nella commis-sione territoriale che è l’organo che decide se un migrante ha i requisiti per lo status di rifugiato oppure no. In questo periodo i migranti hanno bisogno di soldi (o per finire di pagare il viaggio o per inviare soldi alle famiglie rimaste a casa) lasciandosi sfruttare dai proprietari terrieri (oggi l’agricoltura al sud è portata avanti da manodopera migrante a basso costo) oppu-re nei servizi domestici o agli anziani. Per le donne, situazione molto più complessa e delicata, la tratta è “dietro l’angolo”.I più indifesi e vulnerabili sono diventati utili e necessari a un sistema economico perverso.

In tutto questo non possiamo tralasciare i minori non accompagnati. Per minore stra-niero non accompagnato si intende il mino-renne che non ha cittadinanza italiana o di altri Stati dell’Unione europea. In tal caso si applicano le norme previste in generale dalla legge italiana in materia di assistenza e protezione dei minori. I minori stranieri non possono essere espulsi, tranne che per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato. In Sicilia (e in tutta Italia), sono nati tantissi-mi centri per minori anche perché alle coo-perative che gestiscono questi centri viene dato un rimborso che va dai 45 euro fino anche a 80/90 euro circa).

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Ottobre 201516Laici Missionari coMboniani

Palermo

Agrigento e provincia detengono il record con 42 centri per minori per un totale di 1300 minori circa……

Per ultimo parliamo degli sPRAR (sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), una rete di centri di “seconda accoglienza”: in principio non sarebbe finalizzato (come i Cda o i Cara) a un’assistenza immediata di chi arriva in Italia, ma all’integrazione con la società di soggetti già titolari di una for-ma di protezione internazionale. In tutte le provincie sono attivati progetti Sprar in cui i migranti dovrebbero fare scuo-la di italiano, partecipare a progetti di inse-rimento lavorativo come tirocini formativi e/o borse lavoro. Oggi però anche lo Sprar fa la prima accoglienza: dopo l’emergenza Nord Africa e l’aumento dei flussi migratori infatti il ministero dell’Interno ha comincia-to a trasferire i richiedenti asilo appena arri-vati direttamente nello Sprar, senza passare per i Cara sovraffollati.

Proprio per questo motivo l’Europa vuole gli hotsPot. Si tratta di centri già esistenti e attrezzati per identificare i migranti, che saranno ampliati. Le strutture permetteran-no di tenere in stato detentivo i migranti per un periodo di tempo limitato. Negli hotspot la polizia italiana sarà aiutata da alcuni funzionari delle agenzie europee Europol, Eurojust, Frontex ed Easo: gli agenti saran-no impiegati per identificare i migranti che vogliono presentare richiesta d’asilo. Le forze dell’ordine procederanno a regi-strare i dati personali dei richiedenti asi-lo, fotografarli e raccoglierne le impronte

digitali entro 48 ore dal loro arrivo, even-tualmente prorogabili a 72 al massimo. I migranti saranno trattenuti fino a identi-ficazione avvenuta. Nel caso rifiutino di essere registrati saranno trasferiti nei Cen-tri di identificazione ed espulsione (Cie), delle strutture detentive, in attesa di essere rimpatriati. In Sicilia sono stati identificati almeno 4 siti per gli Hotspot: Lampedusa, Porto Empedocle, Pozzallo e Catania dove già opera la polizia di frontiera europea Frontex.

Possiamo capire quindi, perché la mag-gior parte dei migranti non vuole restare in Italia, ma vorrebbe soltanto transitare per raggiungere i luoghi dove le condizioni di accoglienza sono migliori e la possibilità di trovare un piccolo lavoro è più concreta.

Infine non possiamo non menzionare i tanti corpi migranti senza nome tumulati nei ci-miteri siciliani. Giovani vite spezzate di cui siamo riusciti a cancellare anche l’identità. Palermo, Catania, Agrigento e tanti altri po-sti dove centinaia di tombe sono senza un nome e nemmeno un fiore.Questa realtà di morte prima del tempo, non solo ha concentrato l’attenzione sulle difficoltà di accoglienza, ma ha eviden-ziato, in alcuni casi, anche la negligenza istituzionale nel compiere con gli obblighi previsti per una sepoltura degna.

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Ottobre 201517Laici Missionari coMboniani

Palermo

itAliAni, PeR esemPio*

Giuseppe Caliceti

* “Italiani, per esempio” è il titolo del libro di Giuseppe Caliceti (Ed Feltrinelli) nel quale le frasi dei bambini sono accompagnate da storie, testimonianze e riflessioni dell’autore e dei suoi alunni.

Secondo me i bambini, se non sapeva-no che erano nati tutti in paesi diversi, era più

facile andare d'accordo. Anche da grandi.(Damian, 10 anni, Romania)

Loro sono persone italiane che il capo è un italiano.

Loro vogliono mandare via dall’Italia tutti gli uomini, le donne e i bambini non italiani. Oppure anche quelli come me che sono nata in Italia ma i miei genitori e dei miei fratelli e sorelle grandi no.

Loro sono contro tutti tranne loro.Loro si chiamano Lega Nord e sono contro il Sud,

l’Ovest e l’Est. (Naima, 11 anni, Marocco)

Io sono nata in Italia, a Montecchio, però mia mamma e mio papà sono albanesi e anche io allora sono albanese. Io ho fatto l’asilo qui, la scuola qui. Io vorrei chiedere al maestro

due cose. La prima cosa è questa: io sono italiana o albanese o tutti e due? La seconda: ma io sono immigrata o no?

(Vera, 11 anni, Albania)

Un bambino pensa che io ho la pelle così perché mi sono colorata con

un pennarello. E se io lavo la mia faccia bene, dopo divento bianca. Ma alla fine fanno tutti le domande. Dicono: “Perché non ti scancelli?”.

Dicono: “Di che colore è il tuo sangue?” Dicono: “Veh, ma tu fai la cacca nera?”. Dicono così perché sono piccoli, non sono cattivi. Loro

appena vedono la pelle un po’ nera pensano che tutto è nero, ma non è così. Io non mi arrabbio, perché a loro la maestra deve ancora insegnare

tutto, sono troppo piccoli. Poi io non ho mai visto una cacca bianca, nessuno la vede, non

esiste! (Ines, 9 anni, Repubblica Dominicana)

I bambini non sono migrati in Italia, sono portati, perché li portano i loro

genitori. Se era per me, io qui non ci venivo.(Sheela, 9 anni, Sri Lanka)

L’Italia e gli italiani visti dai bambini immigrati

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Ottobre 201518Laici Missionari coMboniani

Palermo

Le mamme dell’Italia trattano i figli un po’ da piccoli anche

se sono più grandi, invece io ho capito subito che dovevo arrangiarmi da sola.

(Olga, 11 anni, Togo)

Italiani sono brava gen-te, però per me delle volte sono un

po’ troppo agitati. Delle volte loro urlano troppo, per esempio quando fanno gol alla partita. Loro sono bravi a cantare, ma non tutti. Poi a scuola alcuni bambini italiani ti

vogliono baciare che tu non sai neppure chi sono.

(Sana, 6 anni, Albania)

Io dico sempre a mia mamma e anche a mio padre di imparare un po’

meglio l’italiano per non farmi fare brutte fi-gure, ma loro lavorano sempre e non imparano mai a parlare bene, per questo io delle volte mi

vergogno a andare in giro con loro. (Vera, 10 anni, Albania)

Io so fare il gentile perché mia mamma mi ha detto che se faccio il gentile

forse dopo dei signori e delle signore italiane ti aiutano di più.

(Roberto, 10 anni, Repubblica Dominicana)I ragazzi italiani per me si credono

i più furbi perché loro sono nati subito in Italia,hanno i genitori italiani, sono stati fortunati,

sono nati nel paese giusto. Perché hanno sempre il cellulare in mano. Perché hanno il piercing e i tatuaggi. Perché fumano già alle medie. Io non dico niente a loro, se loro sono

felici a credersi furbi cosa posso dire io? (Nassor, 12 anni, Senegal)

Se tu sei nata in un paese e dopo vieni a abi-tare in un paese lontano, come me, ti senti un po’ stra-

na, ti senti un po’ come se sei un neonato, perché tu sei già nato in Sri Lanka come sono nata io, però se vieni in Italia

sai camminare, ma non sai parlare italiano, poi devi cambia-re il modo di mangiare perché non trovi il nostro cibo.

(Sheela, 9 anni, Sri Lanka)

I lavori più leggeri sono degli italiani

perché sono arrivati prima in Italia.

(Isham, 8 anni, Marocco)

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Ottobre 201519Laici Missionari coMboniani

Palermo

Da giorni prima di vederlo il mare era un odoreUn sudore salato, ognuno immaginava di che forma .

Sarà una mezza luna coricata, sarà come il tappeto di preghiera,sarà come i capelli di mia madre.

Beviamo sulla spiaggia il tè dei berberi, cuciniamo le uova rubate a uccelli bianchi.Pescatori ci offrono pesci luminosi,

succhiamo la polpa da scheletri di spine trasparenti.L’anziano accanto al fuoco tratta con i mercanti

Il prezzo per salire sul mare di nessuno.

Notte di pazienza, il mare viaggia verso di noi,all’alba l’orizzonte affonda nella tasca delle onde.

Nel mucchio nostro con le donne in mezzoUn bambino muore in braccio alla madre.Sia la migliore sorte, una fine da grembo,

lo calano alle onde, un canto a bassa voce.Il mare avvolge in un rotolo di schiuma

La foglia caduta dall’albero degli uomini.

Vogliono rimandarci, chiedono dove stavo prima,quale posto lasciato alle spalle.

Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta,si offendono, per loro non è la seconda faccia.

Noi onoriamo la nuca, da dove si precipita il futuroche non sta davanti, ma arriva da dietro e scavalca.

Devi tornare a casa. Ne avessi una, restavo.Nemmeno gli assassini ci rivogliono.

Rimetteteci sopra la barca, scacciateci da uomini,non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso.

La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi,nostra patria è una barca, un guscio aperto.

Potete respingere, non riportare indietro,è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata.

Faremmo i servi, i figli che non fate, nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,

l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.Erri de Luca - “Solo andata, migrazioni e poesia” (Feltrinelli)

Racconti di uno (brano)