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Non c'è niente di male

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Sara Lucchi, romance psicologico. La vita di Chiara è in apparenza perfetta, benessere economico e famiglia sembrano costituirne le colonne portanti, ma la realtà è diversa: dentro di lei si scatena un turbine di frustranti pensieri che svela durante conversazioni virtuali intrattenute con Diego, il convivete di un’amica conosciuto a una cena. Tutto ha inizio per gioco, per ingannare il tempo che cammina pigramente per chi, come Chiara, si trova sempre da solo anche nell'accudire il figlio di appena dieci mesi. Sullo sfondo di un’idilliaca collina milanese prima e della stessa afosa città dopo, si snoda la vicenda di una giovane donna distrutta dalle sofferenze del passato che hanno ferito profondamente la sua voglia di vivere. Il torpore in cui da anni si è adagiata viene scosso da un messaggio anonimo, il primo indelicato approccio di Diego che tenta, quasi per sfida, di entrare in contatto con lei. Dopo quell’episodio, ha inizio uno scambio di e-mail inviate di nascosto, che trasci

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In uscita il 30/9/2015 (14,50 euro)

Versione ebook in uscita tra fine ottobre e inizio novembre 2015

(3,99 euro)

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SARA LUCCHI

NON C’È NIENTE DI MALE

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NON C’È NIENTE DI MALE Copyright © 2014 Zerounoundici Edizioni

ISBN: 978-88-6307-914-2 Copertina: Immagine Shutterstock.com

Prima edizione Settembre 2015 Stampato da

Logo srl Borgoricco – Padova

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Ad Andrea A Elisabetta

Grazie,

perché per toccare le stelle si ha bisogno di qualcuno che ti sollevi…

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1 “Partire per un mese con un bambino piccolo, da dove si comincia? Bisogna pensare a tutto: pappe, medicinali, creme, vestiti, vestiti, vesti-ti; se c’è freddo bisogna essere pronti. E se rigurgita? Meglio avere un bel po’ di cambi”, pensò tra sé. “Dovrò anche preparare le mie di cose, ci vorranno molte borse e sarà bene portarsi parecchi giochi per intrat-tenere Michelangelo. Chissà se è stata la scelta giusta prenotare per così tanto tempo. In città c’è un caldo torrido da settimane, mi sembra di impazzire; sì, ho fatto bene, o no?”. Come sempre la sua testa era intasata di pensieri di ogni tipo. Oltre a quelli prettamente pragmatici, tipici di una neomamma alle prese con le prime vacanze insieme al bambino, ve ne erano tanti altri, pesanti, te-nebrosi; da sempre le stancavano la mente, rimbalzavano concertando con mille ansie come una pallina dentro a un flipper. A volte credeva di aver corso un’intera maratona quando arrivava la sera, invece era stata sola con loro, come spesso accadeva, facendovisi risucchiare come in un vortice molesto che le toglieva qualsiasi energia. A parte forse le ultime settimane, in cui le cose parevano gradualmente migliorare, il bambino era sempre stato agitato, con pianti continui e notti insonni; le sembrava di aver perso dieci anni in quei dieci mesi in cui lo aveva cresciuto, praticamente da sola. Emanuele stava pochissi-mo a casa con loro, era un broker finanziario e come tale era totalmente assorbito dal lavoro, messo a rischio da una crisi economica nazionale che perdurava da un paio d’anni. Erano benestanti, anzi, molto più che benestanti, ma tutti gli agi che si concedevano comportavano un sacrifi-cio e l’enorme quantità di tempo che Emanuele trascorreva fuori casa ne costituiva il prezzo. Erano giovani, trent’anni lei e trentasei lui, vi-vevano in un moderno appartamento in un prestigioso quartiere milane-se e coltivavano tanti sogni e progetti da realizzare, viaggi da compiere, avventure da vivere. O meglio, lui ne aveva. Quando ne parlava imma-

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ginando di fare la valigia per trasferirsi in Giappone lei taceva, taceva e ascoltava e intanto, come sempre, pensava rumorosamente ai risvolti che una cosa simile avrebbe potuto comportare, spaventandosi enor-memente fino a sperare che la passione del marito per l’estero svanisse col tempo. Stavano insieme, sempre meno bene, sempre più per prassi, ma stavano insieme. Si tolleravano, non credevano nemmeno più di amarsi, anche se a volte ancora se lo dicevano: ormai era diventata più un’abitudine che una sincera dichiarazione. Avevano vissuto una lunga e sofferta storia e quando si condividono certe esperienze drammatiche ci si trova legati, anche se non lo si vuole; gli ultimi anni avevano mes-so a dura prova la loro serenità e, anche se ora non esistevano motivi per cui preoccuparsi, le ferite in lei erano ancora molto fresche e san-guinavano, ma non se ne rendeva conto. Viveva come un automa, as-sorbita dalle cure del piccolo e dalle faccende domestiche che aveva deciso di non affidare a una governante finché fosse rimasta senza lavo-ro, pur potendo permetterselo tranquillamente. “Una donna in gamba agisce così”, avrebbe detto sua madre, per cui si faceva travolgere dalle infinite commissioni che una casa grande richiede, senza concedersi aiuti. “Eccoci arrivati, un’ora di macchina per il paese e altri dieci minuti per il villaggio, Emanuele verrà pochissimo a trovarci” rifletté Chiara dialogando con se stessa, “come potrebbe fare altrimenti? Non c’è tan-ta strada, ma sufficiente per non averne voglia la sera dopo dieci ore di lavoro. Lo faccio per Michelangelo, qui starà al fresco, ne godrà tan-tissimo. Già mi manca il mio appartamento, lo adoro! Ci abbiamo messo sei anni a ultimarlo come volevamo. O meglio, ci ho messo sei anni: quella casa rispecchia più me che noi, lui nemmeno si accorge se le pareti cambiano colore o se arriva un mobile nuovo... Beh, è un uomo d’affari, come potrebbe?”. Continuò il confronto con le sue paranoie: “Dio, perché mi lamento sempre? Posso fare ciò che voglio proprio grazie a lui, ai suoi guadagni, lavora e fatica tanto per darci una vita da favola. Non riesco a sopportare quando faccio così, sembro mia madre, una lagna continua; devo migliorarmi se non voglio che anche mio figlio si riduca in questo patetico modo”. «Per qualsiasi cosa basta chiedere, la lavanderia è in fondo a questa stradina, è sufficiente chiamare l’addetto che provvederà a lavare, stira-

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re e riconsegnarle i capi entro una giornata. Il ristorante è sempre aperto e hanno della carne ottima, conviene approfittarne. Se avete bisogno telefonatemi o contattate la reception, lavoro qui in giro ma arrivo subi-to se serve». L’organizzazione del villaggio aveva messo a disposizione dei tuttofare esperti del luogo, uno ogni tre ospiti, anche perché potesse-ro consigliare sentieri e camminate per i boschi facendo da guida, all’occorrenza. Il referente di Chiara era un uomo di mezza età straor-dinariamente energico e giovanile, pieno di entusiasmo per il suo lavo-ro, che spaziava dal giardiniere al veterinario, secondo necessità. Il vero uomo di montagna che se la cava da solo, ma soprattutto, che è ancora felice di lavorare. “Alla sua età tanti sono già spenti e annoiati” rifletté Chiara; solo per quell’incontro aveva l’impressione di essere su un pia-neta alieno del quale per ora diffidava. L’atmosfera era quasi fiabesca, quel posto era un ricercato ed esclusivo Eden per pochi eletti: case di legno col proprio giardino, viali sassosi che serpeggiavano ordinati, il lago con le anatre e l’immancabile ponti-cello, la piscina, la palestra, la piazzetta comune con diversi chioschi che vendevano abbigliamento, gadget, alimentari e facevano servizio bar. Oltre al ristorante, dove veniva servito ogni tipo di menù, era stato allestito in cima a una collina un punto di ristorazione per le colazioni e il brunch, attorno a cui lavorava lo staff alberghiero che accoglieva i clienti in una scenografica tenda pavimentata. Dal soffitto pendevano vasi enormi con fiori di ogni sorta: emanavano una dolce fragranza che si abbracciava al profumo del caffè macinato e delle brioche appena sfornate, pietanze semplici nobilitate dall’eleganza delle tavole minu-ziosamente curate e dalla musica che dava al tutto un’aria da sogno. Ovviamente poi c’erano alberi, alberi ovunque, un intero bosco tutt’intorno che ispirava insieme un senso di pace e solitudine. L’idea era quella di un rifugio in cui disintossicarsi dal caos frenetico della cit-tà senza dover rinunciare ai comfort con cui alcuni fortunati avevano arricchito la propria vita rendendola facile e invidiabile. Chiara aveva letto che circa il quaranta per cento della popolazione italiana fa uso di sonniferi e le era sembrata un’enorme contraddizione, vista la frenesia e il ritmo incalzante che dominava la vita dei più, una quotidianità sfi-brante che in teoria ti stende completamente quando arriva la sera. Lei era lì per il bambino, ma in tanti avevano trovato in quello spazio mon-tano un efficace tranquillante per scrollarsi di dosso la nevrosi cittadina.

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“Burocrazia compilata, presentazioni fatte, borse disfatte. Giorno uno. E ora?” Il silenzio di quel posto, rigorosamente rispettato dagli ospiti entro gli orari stabiliti dal regolamento, costituiva per Chiara un portone spalan-cato dal quale uscivano con violenza i pensieri di sempre, uno dopo l’altro o anche due insieme, una mandria impazzita che le spaccava la testa. Non era abituata a non fare niente, a casa c’era sempre qualcosa con cui poteva tenersi impegnata, ma lì non era permesso stancarsi: in vacanza ci si riposa, concetto che non le apparteneva. Improvvisamente realizzò che Michelangelo stava dormendo da più di un’ora; accadeva molto raramente, forse l’aria fresca e leggera lo aveva aiutato a distendersi, o era stato il viaggio a stancarlo. In ogni caso lei era libera, non aveva nemmeno i libri per studiare e si sentì sollevata. Decise di prendere un po’ di sole e di distendersi in quella strana situa-zione in cui non si trovava da tempo: dedicarsi a se stessa.

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2 La strada per raggiungerli era piacevole da percorrere, le montagne, l’assenza di traffico, un’insolita quiete che per una volta Emanuele si godeva. Poi ritornò in sé e diede un’occhiata al cellulare: il segnale c’era ancora e ne fu rassicurato. Abbassò il finestrino e si accese una sigaretta; aveva perso il conto di quante ne aveva consumate quel gior-no, ma prima di sorbirsi l’ennesima predica di Chiara sul fumare intor-no al bambino voleva farne scorta, così il palato gli avrebbe ricordato il sapore del tabacco fino a sera, quando avrebbe trovato una scusa per allontanarsi a coltivare il suo vizio. Un vizio, forse l’unico svago che si concedeva durante le faticose giornate in azienda e lei gli rendeva com-plicato goderselo, nemmeno fosse il problema più grande che avevano. Chiara era intransigente su moltissimi aspetti della loro vita, a volte lui si sentiva sotto esame quando tornava a casa la sera, pur avendo la con-sapevolezza di aver lavorato tanto per la sua famiglia. Era attratto in modo incredibile da sua moglie, ma era più il ricordo di lei che amava che non la donna che era diventata, e quando si rendeva conto che le due figure non coincidevano più si sentiva stanco, apatico e aveva vo-glia di fumare. In qualche modo averli portati laggiù era stato un espe-diente per potersi riposare la sera senza doversi confrontare con tutto quello; se pensava alla vacanza che aveva prenotato per fine agosto, spiaggia, mare, sole, con lei e il bambino, provava tutto tranne che una sensazione di relax. Chissà come erano arrivati a un tale punto, forse avrebbe potuto fare di più per aiutarla, ma che importanza aveva ormai? Le cose stavano così e in quel momento non aveva la forza né la voglia di cambiarle: da troppo tempo si erano consolidate in quel modo, sem-brava impossibile dare una svolta al loro rapporto e comunque non a-vrebbe potuto farlo da solo, in quel tentativo aveva già fallito misera-mente.

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Vederla prepararsi per uscire la sera restava affascinante, la maternità sembrava non averla quasi toccata se non per qualche smagliatura che la rendeva ancora più vera. Il gusto nel vestire era impeccabile e quan-do completava il rituale con un paio di scarpe col tacco e una spruzzata di profumo, la magia era fatta. A tutto avrebbe potuto rinunciare tranne che ad assistere a quella trasformazione in cui le angosce di Chiara ve-nivano nascoste da un abito attillato che ne esaltava le curve, rendendo-la apparentemente sicura di sé e invincibile. Gli sembrava di riavere la sua amata in quel fugace istante, motivo per cui si sentiva sedotto da un’illusione di cui conosceva il trucco, ma alla cui presentazione cerca-va di non mancare mai. Appena arrivato ed era di nuovo in macchina; la festa paesana era fa-mosa nella zona, ottimo cibo e jazz nelle piazze, era distrutto dalla set-timana che aveva appena affrontato ma non avrebbe rinunciato alla mu-sica, lo aiutava a evadere, a rilassarsi. Voleva godersi la serata, così, da buon stratega, come sono gli uomini d’affari, si stampò un sorriso sulle labbra e dimenticò le sigarette in fondo alla tasca, archiviò i possibili argomenti che lo avrebbero fatto discutere con sua moglie, le avvolse la vita e si addentrarono per le antiche vie del borgo spingendo il passeg-gino, un valido alleato per far calmare il piccolo. Il paese era affollato, c’erano persone a ogni angolo, bar e ristoranti avevano allestito tavoli e banconi sulla strada, artisti e musicisti si esibivano ovunque, un’insolita movida animava il piccolo e silenzioso paesotto che si accendeva come un petardo in quella nottata. Sembrava impossibile trovare un posto per mangiare quando Chiara ri-conobbe una donna seduta nel giardino di una piccola pizzeria. Il prag-matismo costituiva certamente una delle sue più grandi qualità, era un’organizzatrice nata che avrebbe potuto gestire e risolvere qualsiasi tipo di situazione, da quel punto di vista. «Aspettatemi qui, torno subito». La vide avvicinarsi alla sua conoscente, non sentiva cosa si stavano di-cendo ma il balletto sembrava sempre lo stesso: baci e abbracci, qual-che complimento falsamente rifiutato, sciocche risate e quattro chiac-chiere. Guardando quella scena pensò che le donne sanno essere delle grandissime diplomatiche: si dimenano con eleganza in incontri-scontri, convenienti o inevitabili, che allestiscono come piacevoli o addirittura ambiti. Aveva l’attitudine di osservare ogni situazione dandone una de-

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finizione poetica e analitica allo stesso tempo; era stato il lavoro a ren-derlo così o aveva trovato un impiego adatto a lui? Quale dei due aves-se definito l’altro rimaneva un mistero, uno dei pochi sui quali non ave-va mai indagato. In un attimo si ritrovarono a condividere un tavolo con Silvia e Diego, una soluzione accettabile visto l’affollamento di quella sera. «Silvia è mia amica dai tempi della palestra, l’abbiamo frequentata in-sieme per anni», esordì Chiara iniziando a presentare le parti. L’accezione del termine “amica” ha molte sfaccettature, pensò Ema-nuele, cambia significato in base alla situazione, ma dato che avevano bisogno di sedersi, gli andava più che bene che una ragazza che sem-brava così ordinaria come Silvia fosse amica di sua moglie. Era una donna che non passava inosservata, alta, con lunghi capelli castani, di media corporatura, con un grande seno e gli occhi azzurri, forse troppo sporgenti, un naso importante, ma tutto sommato in armonia con il re-sto, una bocca carnosa e la pelle delicata, come di porcellana. Pareva avesse più o meno l’età di Chiara, forse l’aveva anche detto, ma era at-tento alla musica che suonavano dall’altra parte della strada per dare troppo peso alle sue parole. Era un aspetto del carattere del marito che Chiara non sopportava: disdegnava le persone che non riteneva alla propria altezza e spesso lei si sentiva tra quelle. «Lui è Diego, il mio compagno, siamo venuti per goderci un po’ di mu-sica e visitare il paese, erano anni che desideravo passare da queste par-ti». “Banale, banalissima” continuava a pensare Emanuele mentre guarda-va quella chiassosa donna fingendo di ascoltarla. “Come si fa a stare con una persona del genere se non per un po’ di sesso?”. Chiara gli sedeva di fronte e si sentiva in forte imbarazzo perché nel suo sguardo leggeva il disprezzo che aveva per la sua amica; Silvia era una persona estremamente egocentrica, era innegabile, parlava di sé in maniera spudorata, manipolando un’intera serata per concentrarla sulle proprie parole. Era ridicola nella sua gestualità quasi teatrale, ma a Chiara era sempre piaciuta, forse perché la faceva ridere e la portava lontana dallo stile pomposo degli amici che Emanuele le aveva imposto di frequentare negli ultimi anni: persone importanti e ricche che parla-vano esclusivamente di soldi, dentro e fuori gli uffici. Quella era invece una ragazza semplice, faceva la commessa in un negozio di abbiglia-mento e si godeva il tempo con gli amici uscendo la sera dopo il lavoro;

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aveva una vita normale, senza ossessioni né tormenti, senza dover di-mostrare nulla a nessuno, cosa che a Chiara mancava da sempre. Diego, al contrario, era silenzioso, evidentemente si era adeguato a farsi da parte quando iniziava il “Silvia show”; dopo tre anni di convivenza aveva imparato a stare dietro le quinte quando lei si esibiva. Era un ra-gazzo molto affascinante, non particolarmente muscoloso ma in ottima forma, con grandi e profondi occhi neri, di quelli che penetrano fulmi-neamente, capelli scuri leggermente mossi, un po’ di barba ben curata, piuttosto alto e con bellissime braccia. Chissà come ma Chiara notò le sue braccia, sembravano forti, sicure, e pensò che fossero un buono strumento dato che era fisioterapista. «Che lavoro fai?», intervenne Diego cercando di coinvolgere Emanue-le. Essendo stato interpellato così direttamente sapeva di non poter più evi-tare la conversazione e rinunciò temporaneamente al jazz. Amava par-lare di sé e dei suoi successi, lo faceva in maniera garbata, elegante, po-teva sembrare anche modesto e umile, ma era solo più astuto di Silvia, si vantava esattamente come faceva lei anche se ascoltandolo non se ne aveva la percezione. Le pizze erano nei piatti e Michelangelo ancora dormicchiava, ma Chiara sapeva che il sonno stava per interrompersi; cominciò a tagliare velocemente una fetta per potersela godere al meglio, finché ne aveva la possibilità. Le presentazioni erano quasi ultimate, risultava difficile far scorrere la conversazione, Silvia ridacchiava continuamente inter-rompendo chi stava parlando per citare episodi simili a quelli racconta-ti, ma ovviamente più divertenti, che aveva vissuto come protagonista nelle situazioni più assurde. Quando interruppe Emanuele, Chiara ne godette silenziosamente, perché era l’atteggiamento che più di tutti lui detestava e avrebbe dovuto tollerarlo per non tradire l’aria professionale che cercava sempre di mantenere. Si divertì a guardare i muscoli del suo viso tirarsi in un sorriso forzato per mantenere la facciata ipocrita che lo aveva aiutato in più occasioni ad avere successo. Improvvisamente, la domanda fatidica toccò proprio a Chiara e fu Die-go a farla: «E tu? Cosa fai nella vita?». Il quesito che più di tutti la mandava in crisi, non perché non avesse una risposta da dare, ne aveva troppe e non si rispecchiava in nessuna di es-se. “Cosa potrei rispondere?” Pensò. “Sono studentessa di giurispru-denza, laureata in filosofia, un’ex insegnante d’asilo, una mamma, una

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moglie… Cosa?”. Ormai da anni si poneva quella domanda pratica-mente ogni giorno e, anche se aveva tentato di darvi risposta intrapren-dendo strade diverse, ancora non sapeva come compilare, su un modulo immaginario, quel campo che tanto la disorientava. «Chiara cerca se stessa a tempo pieno, vero amore?». Come al solito il sarcasmo pungente di Emanuele aveva centrato il ber-saglio, distruggendolo. Sarebbe stato onesto se avesse almeno evitato l’epiteto “amore”, purtroppo però, nella loro relazione l’onestà dei sen-timenti non esisteva più. Una simile risposta lasciò persino Silvia senza parole, ma Chiara era la moglie di un uomo d’affari, faceva buon viso a cattivo gioco mante-nendo la calma; mentalmente fece un lungo sospiro, poi rise a quella sottospecie di battuta. «Sì, a parte questo sto studiando legge, ho interrotto quasi subito per la gravidanza, ma sto pensando di riprendere presto». «Stavi studiando filosofia quando ci siamo conosciute o sbaglio?» le chiese Silvia. «Mi sono laureata un paio di anni fa, poi mi sono iscritta a giurispru-denza». «Sprechi la tua vita sui libri! Se avessi un portafoglio come il tuo passe-rei le mie giornate tra lo shopping e l’estetista!». «Già lo fai, tesoro», intervenne Diego, «credo che spendere il proprio tempo per cercare se stessi sia il modo migliore per impiegarlo». Forse era stato detto per pungolare Silvia, ma Chiara ebbe l’impressione che Diego avesse schiaffeggiato col guanto suo marito e gli sorrise per gratitudine. Lui le strizzò un occhio e la guardò tenera-mente, come se avesse capito che si sentiva sola, terribilmente sola. Emanuele non aveva colto la provocazione, era uscito dalla chiacchie-rata rifugiandosi nell’assolo del contrabbassista che suonava di fronte alla pizzeria. Non sentì nemmeno Michelangelo piangere, o lo ignorò volutamente, e Chiara si congedò; “facendo un giro col passeggino po-trebbe riacquistare il sonno” sperò dentro di sé. Silvia si unì a lei così, ogni illusione che il piccolo potesse riaddormentarsi svanì immediata-mente. «Il tuo bambino è splendido, anche a me piacerebbe tanto farne uno». Rimase sorpresa da quella dichiarazione, pensava che Silvia non si sa-rebbe mai legata a tal punto da diventare madre, ma a volte non si co-

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nosce nemmeno la persona con cui si divide il letto, figurarsi una com-pagna di pilates. «Diego non ne ha alcuna intenzione, ma so essere convincente: alla fine riuscirò a ottenere anche questo da lui, gli uomini fanno tutto ciò che vogliamo, se sappiamo farli ballare bene». Eccola di nuovo, la ragazza sfrontata che piaceva a Chiara. Ogni volta che Michelangelo accasciava la testa vinto dal sonno, lei ricominciava a parlare con quel tono acuto a volte un po’ irritante che la distingueva da chiunque altro. «Hai detto che siete qui in vacanza, giusto? Dov’è che alloggiate?». «Michelangelo non si riaddormenta, sarà meglio portarlo a casa. Silvia vorrebbe venire a vedere il villaggio». Emanuele sembrava scocciato dal dover interrompere la sua serata, si concedeva di uscire per divertimento così raramente che l’idea di rien-trare lo faceva sentire un adolescente col coprifuoco. «Andate avanti voi, vi raggiungiamo tra poco, cosa ne dici Diego?». Avrebbe voluto ringraziarlo per la scappatoia che gli aveva appena of-ferto: andare con loro avrebbe significato sorbirsi chiacchiere sull’arredamento, su quanto fosse incantevole il posto, per poi finire i-nesorabilmente a progettare quando prenotare per l’estate successiva, discorsi inutili dato che non si sarebbe mai potuto permettere un mo-numento al lusso come quello. Silvia non faceva altro che seguire e imi-tare la persona che l’affascinava di più ed era evidente che si sentiva attratta e minacciata da Chiara: lo spettacolo che aveva inscenato du-rante la cena era stato ancora più plateale del solito, un’apparenza die-tro cui nascondere la propria semplicità. Anche se come alternativa aveva la noiosa compagnia di Emanuele, Diego decise di restare e bere la birra che aveva appena ordinato, era rigenerante. «Deve essere un paradiso poter avere tutto questo, più che un camping sembra un club privato, non mi stupirei se con la casa dessero in dota-zione anche un massaggiatore personale. Tuo marito ne fa di soldi e non è per niente male, anche se, perdonami, sembra proprio uno snob!». Aveva assolutamente colto nel segno, ma Chiara aveva permesso a una tale sensazione di arrivare al suo conscio, non avrebbe osato appoggiare

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Silvia apertamente per aver detto una grandissima verità: “Una buona moglie apprezza il marito e lo difende sempre”, un altro sacro insegna-mento di sua madre. Emanuele era molto affascinante, con quel sorriso incorniciato da mar-cate fossette e gli occhi che giocavano sul contrasto tra il nero delle ci-glia e il verde dell’iride. Da un po’ non era conquistata dalla sua bellez-za, eppure lo vedeva tutti i giorni: forse era quello il problema, lo vede-va e basta, non lo guardava da tempo e non si sentiva affatto in paradiso nella sua condizione. Dopo aver messo a letto il bambino, offrì a Silvia un bicchiere di Fran-ciacorta. Si sedettero in giardino ad aspettare, godendosi una brezza a tratti quasi autunnale che scendeva dalla collina. Poter indossare una maglia calda in piena estate costituiva un lusso, era il segnale di essere lontani dalla gente comune che sfoggia infradito e canottiera, capi che i ricchi mettono in valigia d’inverno. “Che assurdità questa esigenza di distinguersi comportandosi al contrario” rifletté; a volte le sembrava di cadere a testa in giù nella tana del Bianconiglio, un disorientamento del quale, però, non poteva disfarsi, vista la società elitaria di cui Emanuele ambiva ardentemente far parte e nella quale la stava trascinando come una bambola stanca. «Riesci mai a goderti una serata senza essere interrotto dal lavoro?». Emanuele aveva continuamente il cellulare in mano, mandava email, controllava la borsa, faceva telefonate. Non se ne rendeva più conto; la sera e la notte sono i momenti più importanti per un broker la cui vita è morbosamente intrecciata con la propria professione. «Non avere intorno nessuno che mi dia pensieri è già una pace, questo è semplicemente lavoro». «Già, ti capisco». Della sua risposta Emanuele fu interessato, dato il carattere introverso non gli capitava facilmente di trovarsi in un dialogo confidenziale con un’altra persona, Diego poi era un perfetto estraneo. «Non ne posso più di vivere certe situazioni». Una riflessione fatta ad alta voce, fatta al vento mentre chattava con un collega, comunque fatta davanti a Diego, un interlocutore che non ave-va guardato in faccia nemmeno durante le misere parole che si erano scambiati; non seppe neppure lui perché permise a quella dichiarazione di evadere, era intima e personale. Probabilmente era più facile essere

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se stessi e lasciarsi andare con uno sconosciuto, uno del cui giudizio non ci si interessa, come al confessionale, dove è quasi rassicurante li-berare le parole e parlare delle proprie colpe dietro la protezione di una grata o, forse, era talmente esasperato dalla situazione che viveva che doveva sfiatare, per non esplodere. Dalla solita analisi a cui era dedito venne distratto dall’ennesima mail e si ammutolì nuovamente.

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3 Ritorno a casa, un semplice e modesto appartamento in una zona ano-nima di Milano, un buco di settanta metri quadrati con un minuscolo giardino privato a cui si accedeva dalla porta finestra della cucina. L’avevano affittato tre anni prima, quando erano andati a convivere, una decisione che sempre più spesso Diego si domandava come avesse potuto prendere. “Dopo essere stati sull’Olimpo è difficile rincasare nella terra dei qua-lunque, qui non succede mai nulla di veramente eccitante” pensò con sconforto Silvia guardandosi intorno, mentre si metteva la crema sul viso. Le piaceva fingere di vivere come una dea, giocare a essere amica di Chiara la faceva sentire importante, una di loro, ma lo sguardo squa-lificante di Emanuele non aveva fatto altro che riportarla alla sua realtà, dove per potersi permettere un bel vestito, e comunque mai bello come quelli di Chiara, doveva aspettare le svendite e risparmiare per mesi. E ora Chiara aveva anche un figlio, ma avrebbe potuto farlo anche lei. “Non serve essere ricca per concepirlo” si disse, “basta tirare i fili giusti col proprio uomo e portarlo a volerlo anche lui o almeno, a non ostacolare questo progetto”. Indossata la lingerie adatta, un provocante completino nero che manifestava con poca eleganza la sua bellezza, messo un po’ di rossetto e sfoderato un sorriso seducente, Silvia uscì dal bagno e raggiunse Diego in camera; stava caricando un video su Facebook, appena la vide si eccitò, era intrigante e a letto sapeva come muoversi. Aveva voglia di fare sesso, cominciò ad accarezzarle il collo e le scoprì il seno, era grosso e rotondo, accattivante, qualunque uomo ne sarebbe impazzito. Mentre lei gli salì in braccio, lui cercò un preser-vativo nel cassetto del comodino. «Non farmi incazzare, fai il bravo, dai…». «Vuoi davvero tornare sull’argomento?».

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Silvia si ritrasse dall’abbraccio e si coprì gelosamente, come per ripic-ca. Quando capì che non avrebbe vinto nemmeno quella sera, si irrigidì completamente, quasi offesa e umiliata per non essere stata capace di conquistare la volontà di Diego con il suo corpo, quel corpo che in tante occasioni aveva interceduto per lei. «Se non hai intenzione di fare un figlio non avrai niente da me, ne ab-biamo già parlato». «Non puoi ricattarmi in questo modo, non ha senso!». Tanto era brava a parlare a vanvera, quanto si ammutoliva nelle discus-sioni serie e inscenava un broncio infantile con cui uccideva qualsiasi possibilità di confronto. Diego si alzò e uscì dalla stanza sbattendo la porta, per l’ennesima sera. Andò in giardino a fumare: Silvia lo faceva imbestialire, aveva bisogno di scaricarsi. Dopo la prima sigaretta si sentì meglio, ma era non ancora calmo per rientrare. Se ne accese un’altra e guardò in alto, sperando, da bravo sognatore, di scorgere qualche luce, ma una metropoli come Mi-lano offusca il cielo e non concede alle stelle di parlare a chi le insegue. Quasi ridendo del suo tentativo, cercò in tasca il cellulare per poter pas-sare il tempo e si ricordò di averlo dimenticato sul letto. Non sarebbe tornato in camera con lei, avrebbe potuto pensare che fosse pentito e in effetti lo era, non per la discussione, ma di essere andato a stare con una donna tanto ottusa. Il tablet era in cucina, lo prese e si collegò a internet per ultimare il video che stava guardando. Silvia aveva effettuato l’accesso a Facebook, andò a curiosare nella vaga speranza di scoprire qualcosa di interessante sulla propria compagna. Mentre scorreva la ba-checa apparve la notifica di un messaggio che istintivamente aprì: - Ciao Silvia, mi sono accorta di non avere più il tuo numero, intanto ti lascio il mio, quello che hai è vecchio e alla fine stasera mi sono dimen-ticata di dartelo; se poi valuterai di venire qui l’estate prossima ti mette-rò in contatto con l’agenzia. Grazie della compagnia e delle risate, spe-ro di riuscire a raggiungerti in palestra prima o poi! Un bacione… Chia-ra Restò bloccato a leggere e rileggere quel nome, Chiara. Non sapeva co-sa gli stesse provocando, cosa gli facesse provare, cominciò a pensare a lei; c’era stato solo uno scambio di sguardi, durato una frazione di se-condo, ma probabilmente era stata l’intesa più profonda che avesse avu-

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to con una donna negli ultimi anni, lo aveva colpito. Stuzzicato da quel pensiero si dimenticò di Silvia e andò a recuperare il cellulare in came-ra. Fortunatamente lei dormiva; copiò il numero e si sedette in giardino per la terza, ma non ultima sigaretta. Aveva voglia di fare qualcosa, for-se perché era arrabbiato, o perché era ancora eccitato e la scollatura di Chiara lo aveva intrattenuto durante la cena, forse perché il suo modo di parlare era diverso da quello di chiunque altro avesse conosciuto, intri-gante, intelligente; aveva anche una gran voglia di dare una lezione a quel maleducato di suo marito che lo aveva ignorato tutta la sera. Deci-se di mandarle un messaggio, di scriverle qualcosa che non avrebbe mai scritto se fosse stato in sé, qualcosa di spinto e proibito, restando ov-viamente anonimo. Non pensò che avrebbe capito che era lui, che a-vrebbe potuto scoprirlo, non pensò a niente, aveva voglia di farlo e lo fece: - Sei una donna bellissima, stanotte vorrei sedurti e scopare con te.

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4 Erano solo tre giorni che stavano lì, ma Michelangelo sembrava averne già tratto beneficio: il raffreddore e la tosse secca erano diminuiti e la notte dormiva molto meglio, un vantaggio per tutti. Chiara raggiunse Emanuele in veranda, stava lavorando e gli versò un bicchiere di vino. Avrebbe fatto l’ennesimo tentativo per ritrovarsi con suo marito ma, nonostante si armasse sempre delle migliori intenzioni, lui riusciva a smorzarla con un’occhiataccia o evitandola completamente. Ballavano quella farsa da prima che nascesse il bambino. Era una donna molto particolare, una bellezza raffinata, che colpisce: i ricci capelli ramati le cadevano sulle spalle, la pelle era vellutata, sembrava rispecchiasse la nobiltà con cui si muoveva, le forme del suo corpo si insinuavano in una figura longilinea e uno sguardo ipnotico rapiva l’attenzione, diffi-cilmente si potevano dimenticare quei grandi occhi scuri, così interro-gativi e complessi, profondi. Si avvicinò a Emanuele, cercando nel suo cuore il sentimento che un tempo l’aveva condotta da lui, lo baciò sulla testa accarezzandogli un orecchio. «Tesoro…» sussurrò, «perché non vieni a letto con me, ti aiuto e rilas-sarti, sarai stanco». Lui non staccò gli occhi dal computer. «Vai pure, finisco qui poi ti raggiungo, ho proprio bisogno di dormire». Le aveva risposto in modo così distratto e sbrigativo che Chiara si sentì male, anche se, in realtà, l’idea di fare l’amore con lui l’appesantiva. Andavano a letto insieme una o due volte al mese, quasi per dovere, fa-cevano sesso stancamente, annoiati e in modo apatico; si chiedeva che senso avesse rimanere insieme in quel modo, ma la storia che li legava era nata tanti anni prima, ed era come spinta dal ricordo di come erano stati, da quello che avevano vissuto, dall’amore che avevano avuto e in

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qualche modo sperava di recuperarlo, di tornare indietro e di superare l’aridità del presente. Rientrò avvilita e si infilò sotto le coperte, ma non aveva sonno, era scossa, non sapeva come muoversi nella sua vita, si sentiva oppressa e le si chiusero la gola e lo stomaco. Prese il cellulare per evadere da quel turbine e scrisse via Messenger a Silvia: aveva dimenticato di lasciarle il suo nuovo numero e sarebbe stata contenta di rivederla, la faceva ri-dere. “Che vita eccitante che ha” immaginò, “libera, frivola, mi piacerebbe essere al suo posto, almeno per un giorno. Ora starà seducendo il suo compagno, scommetto che riuscirà a fargli fare ciò che vuole; le donne come lei non vengono rifiutate in camera da letto”. Chiara invece non si sentiva apprezzata da tanto, non si ricordava nemmeno cosa si prova a essere amate con trasporto. “Chissà dove sbaglio con Emanuele” si disse, “dovrei impegnarmi di più, dovrei essere solare, dargli serenità, se la merita, fa tanto per noi… Cercherò di fare meglio”. All’improvviso le arrivò un messaggio. “Strano” pensò, “chi potrà mai essere a quest’ora? Qualche pubblicità” concluse, “o sarà la risposta di Silvia”. Lesse il testo e rimase turbata. “Che razza di scherzo è?”. Avevano sicuramente sbagliato, probabilmente qualcuno intento in uno sfacciato corteggiamento aveva digitato male il numero. Decise di non fare niente e aspettare, se si fosse davvero trattato di un errore se ne sa-rebbero accorti presto e avrebbero rimediato. Dopo venti minuti, quan-do per lei il tutto era già stato risolto e archiviato, il cellulare si illuminò nuovamente e quando vide che era arrivato un altro messaggio si agitò, ma era anche curiosa di svelare il mistero. - Il tuo decolté mi ha fatto letteralmente impazzire, vorrei poterlo am-mirare di nuovo. Si sentì infiammare tutta dentro e pensò che Emanuele stava giocando con lei e le aveva mandato quei messaggi con un’altra scheda, ma quando si accorse che era sotto la doccia realizzò che non era possibile e si sentì una stupida anche solo per averci sperato. Chi poteva averla vista? Di gente ce n’era davvero tanta in giro ma nes-suno aveva il suo numero, l’aveva cambiato da poco e ancora non ave-va informato nemmeno tutti i suoi contatti. In un attimo capì e le salì un

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brivido lungo la schiena: solo una persona poteva essere l’autore di quei messaggi. Contrariamente a come agiva di solito, rispose: - Diego? Restò con il cellulare in mano divertita da quella cosa, voleva proprio vedere come se la sarebbe cavata dopo essere stato individuato, si a-spettava delle scuse o una battuta per chiudere la conversazione, ma lui la sorprese: - Sei intelligente quanto bella, mi piaci ancora di più. - Per testare l’intelligenza avresti dovuto creare un po’ più di mistero, ti sei fatto scoprire troppo facilmente. - Forse avevo voglia di farmi trovare. Si sentì di nuovo infiammare, le si chiuse ancora di più lo stomaco e le scappò un sorriso. Poi emerse il senso del dovere, si ricompose e scris-se: - Ti sembrano messaggi da mandare? Sei un cafone! Forse non l’hai no-tato ma sono amica di Silvia e se non la smetti immediatamente le giro tutto. Inviò senza pensarci due volte e restò in trepidante attesa di quello che pensava sarebbe davvero stato l’ultimo messaggio, per vedere l’effetto della sua minaccia. Emanuele arrivò in camera, si mise a letto, le augurò la buonanotte e si girò su un fianco: in meno di dieci minuti era già addormentato. Chiara sospirò, non perché fosse meravigliata da tanto calore, ma per delusa rassegnazione. Riprese a guardare il cellulare: c’era un messaggio. “Leggo e dormo anche io” rifletté, “domani sarà una giornata lunga, dovrebbe piovere tutto il giorno e stare in casa col bambino sarà impe-gnativo, si innervosisce quando cambia il tempo”. - Sei amica di Silvia quanto lo sei di me, solo che insieme potremmo stare davvero bene, ci divertiremmo parecchio.

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Cosa intendeva dire? Divertici parecchio? Ma chi credeva che fosse? Decise di rispondergli per chiarire quel punto, non le andava che si pen-sassero certe cose di lei. - Non so che idea ti sei fatto ma, credimi, non otterrai nulla, nemmeno tra un milione di anni, per cui ti faccio risparmiare tempo e la chiudo qui. - Questa è una sfida e a me piacciono molto, soprattutto quando c’è di mezzo una donna come te. Quelle parole la fecero sentire apprezzata, ambita e le piacque molto come sensazione. “Una donna come te” ripeté mentalmente. “Perché” si chiese, “io co-me sono? La moglie di un pezzo grosso, probabilmente solo questo”. Si sentiva di aver combinato un macello dietro l’altro nella vita e credeva che ciò che la rendeva interessante fosse unicamente l’uomo che aveva sposato. Decise però di non ribattere e di mettersi a dormire, non a-vrebbe dato corda a quel gioco, appoggiò il cellulare sul comodino e si addormentò con un sorriso divertito sulle labbra. Dopo dieci mesi aveva imparato a dormire con un occhio solo e non ci metteva molto a svegliarsi ai richiami del bambino, anche se avveniva-no nel cuore della notte; il padre invece sonnecchiava beatamente quasi cullato dal pianto di Michelangelo. Si alzò e gli infilò il ciuccio in boc-ca, gli bastava quello per riprendere immediatamente il sonno, peccato che la stessa cosa non accadesse a lei, ci metteva sempre almeno mezz’ora per tornare da Morfeo e il russare di Emanuele non l’aiutava. Prese il cellulare per guardare l’ora e vide un messaggio; improvvisa-mente si ricordò e si svegliò ancora di più. - Se non rispondi mi fai venire ancora più voglia di arrivare a te, non sono uno che cede facilmente. Ti lascio la mia mail, mi piacerebbe scriverti per conoscerti meglio, non c’è niente di male, aspetto… Quel messaggio era tenero per la sua spontaneità, pensò che una rispo-sta se la meritasse.

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- Sono lusingata dalle tue parole ma sono sposata e ho un figlio, cosa ti aspetti che possa accadere? Guarda la ragazza che hai accanto, trova in lei quello che stai cercando in me, poi starai meglio. Ti auguro ogni be-ne. Gentile, informale e personalizzato allo stesso tempo, un bel mix, era soddisfatta. Aveva fatto la cosa giusta, allontanarlo spingendolo verso di lei, era stata corretta. Aspettò una risposta ma non arrivò, era tardi, probabilmente Diego sta-va dormendo da ore, cercò di farlo anche lei ma lo sguardo continuava a cadere sul monitor del telefono nella speranza di vederlo illuminare. “Solo per curiosità” si diceva. Non arrivò nessun messaggio e alla fine prese sonno.

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5 Le sei. Sentì la portiera dell’auto chiudersi e riconobbe lo stile di Ema-nuele, se ne stava andando; lo avrebbe rivisto solo sette giorni più tardi e ne fu quasi sollevata. Michelangelo si svegliò e la giornata iniziò, pioveva, tutto da manuale. La mattinata trascorse abbastanza bene, lo staff del villaggio aveva or-ganizzato animazioni per i bambini nel locale palestra e c’erano baby sitter per i più piccoli, per dare relax alle madri. In tante sfruttavano quel servizio, ma Chiara non se lo concedeva, non si faceva mai aiutare nella cura del bambino. Sua madre aveva accudito lei e le sue sorelle da sola, era rimasta vedova quando le figlie erano ancora ragazzine, ma era riuscita a crescerle e a mantenerle esclusivamente con le proprie forze; di fronte a un tale esempio Chiara non aveva avuto il coraggio di assu-mere una tata che la potesse aiutare, cosa che una donna con le sue pos-sibilità economiche normalmente fa. La palestra offriva comunque spazi adeguati e giochi, creava un’occasione per parlare con qualche adulto che riusciva a intavolare conversazioni più articolate e interessanti di una ripetitiva lallazione. Tra un cambio di pannolino e una chiacchiera il pensiero andava ai messaggi della notte precedente: si erano interrotti bruscamente dopo il suo ultimo comunicato e cominciava a rattristarsene. Forse aveva usato un tono troppo duro, forse aveva offeso Diego; in fondo, cosa le aveva fatto di male? Era stato intrepido a scrivere quelle parole, per niente ga-lante, era vero, ma in un certo modo dolce e lei lo aveva liquidato con brutalità. Le dispiacque e gli scrisse: - Sei arrabbiato? Pranzo al ristorante, minestrina per il bambino e una vellutata per lei, visto il tempo autunnale era il piatto ideale, caffè e ritorno al bungalow

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anche se, viste le dimensioni e il lusso, chiamarlo così era quasi iperbo-lico. Michelangelo, dopo tante lacrime, si arrese al sonno e Chiara cad-de stravolta sul letto. Tornò a interpellare il cellulare sperando che E-manuele l’avesse cercata, invano, nemmeno un messaggio. Si sentì tremendamente sola, esiliata dal marito perché non sopportava la loro opprimente convivenza e la pioggia rifletteva la storia di quel matrimo-nio, piena di lacrime e amarezza; era molesta, batteva sul tetto e sem-brava volesse bucarlo. Si percepiva come un puntino insignificante in un universo sconfinato, le piombarono addosso i ricordi delle ingiusti-zie della sua vita, le sofferenze che la erano venuta a trovare più e più volte: suo padre, Tommaso… «Già, Tommy» sussurrò; le scese quasi una lacrima e si obbligò a non pensarci, tornò a guardare il cellulare per distrarsi e rilesse quei messaggi. Le scappò un altro sorriso; le piaceva sentirsi così leggera anche se per pochi secondi, gli ultimi anni erano stati pesanti, non aveva avuto un attimo di vera tranquillità, sarebbe sta-to bello prolungare la brezza che la sollevava dalle sue preoccupazioni. Fu proprio mentre quelle le lasciarono uno spazio tutto suo che si sor-prese a fare una cosa tanto lontana da lei: A: Diego Benelli Da: Chiara Ferrari Oggetto: Visto che non rispondi ai messaggi… … Forse sei davvero in collera con me, mi dispiace. Invio.

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6 L’ultimo paziente della mattinata era un rugbista infortunato durante una partita, un lavoro dei più energici vista la massa muscolare da trat-tare. Mentre gli raccontava di una ragazza che si era fatta trovare nello spogliatoio per sedurlo, Diego pensava ai messaggi che aveva mandato a Chiara: era stato davvero un coglione, che figura da misero aveva fat-to? Chissà cosa pensava adesso, forse che era penoso e forse aveva ra-gione. Era davvero bella, l’idea di aver avuto a che fare con lei per scambiarsi qualche parola lo faceva trasalire e solo per quello ne era valsa la pena. Lei gli aveva mandato quei due messaggi finali a cui non aveva avuto il coraggio di rispondere, era stata delicata, corretta, mentre il tono dei suoi era stato tutt’altro che ricercato. Erano su due piani diversi, come negarlo, non solo per via dei soldi; Chiara non avrebbe mai nemmeno considerato un cretino che si era scoperto in maniera tanto scontata, che sfigato che era stato. Finita la seduta, una meritata pausa per far riprendere le braccia e le mani, una boccata d’aria e l’agognata sigaretta. L’icona di Gmail se-gnava una notifica, era lei. Lesse e rilesse quelle parole, incredulo: ave-va colto la sua provocazione, si era esposta, perché? La domanda perse immediatamente peso, lei era lì, in qualche modo voleva che lui la cer-casse ancora, non aveva alcuna importanza il motivo. Le avrebbe volu-to scrivere che non era assolutamente arrabbiato anzi, era lusingato del-la sua risposta, felice. Memore però dell’ultimo gesto compiuto per i-stinto, si fermò e rifletté su cosa avrebbe potuto dire, su come gestire la situazione. Mise il cellulare in tasca, spense la sigaretta e rientrò per continuare a lavorare, ma nella sua testa Chiara si fece ancora più pre-sente di prima.

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Si sentiva così sciocca, cosa le era passato per la mente quando aveva inviato quelle parole? “Per due complimenti mi sono lasciata andare come una scema” si disse, “che umiliazione, se lo sapesse Emanuele mi compatirebbe più di quanto già non fa”. La pioggia era cessata e un sole caldo e inaspettato aveva preso il suo posto. Mentre passeggiava con Michelangelo accoccolato nel magico passeggino, si rimproverava mentalmente con la consueta severità a cui sottoponeva ogni sua mossa; dentro di lei continuava a piovere. Si sarebbe incontrata con un’amica venuta a visitare il paese, l’avrebbe raggiunta al ristorante centrale, caratteristico per il bersò in metallo che troneggiava dal centro di un curatissimo giardino in cui erano sparsi ta-volini in ferro battuto coordinati da poltroncine in puro shabby chic style. Paola era già seduta, ordinarono e si intrattenerono con futili chiacchiere per passare il tempo. Intanto pensava e ripensava a quei messaggi, si vergognò di desiderare di riceverne uno, uno soltanto, per sorridere ancora. Mentre sorseggiava il caffè, il cellulare le vibrò nella borsa. Non poteva sapere che era Diego, erano diverse ore che non si faceva sentire ed era assai improbabile che fosse lui, ma qualcosa la spinse a credere il con-trario. Lasciò Michelangelo con la sua ospite e si assentò per andare in bagno, o meglio, per rifugiarsi a verificare la sua speranza. Si alzò con calma, raccolse la borsa e si diresse con apparente tranquillità ai servizi, chiuse la porta e prese il cellulare: era lui, finalmente. . Forse ho solo capito come convincerti a ballare con me. Il solito imbarazzo e la solita emozione, il solito sorriso. Cosa avrebbe dovuto fare? Sicuramente chiudere quegli scambi, all’istante; anche se era certa fosse la cosa giusta, ancora una volta si colse a fare l’esatto contrario, gli rispose: . Sei molto audace, senza dubbio, ma non ballo così facilmente, anche se per un po’ potrei decidere di fartelo credere. . Per quel poco, mi sentirei onorato di farti girare con me, sei così bel-la…

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Le tremarono le mani, da tempo non le venivano rivolte simili attenzio-ni, da tempo non si sentiva così desiderata, probabilmente era patetica, ma non le importava. Uscì dal bagno e si guardò allo specchio: era dav-vero bella? Sì, lo era, lo vedeva anche lei, ora più di prima, perché si sentiva brillare. Era una sensazione passeggera, non avrebbe permesso ulteriore seguito alle mail e una volta finito il tutto sarebbe svanito an-che il senso di benessere che le parole di Diego avevano portato; adesso però ci si voleva aggrappare. Tornò al tavolo e la chiacchierata proseguì; si sentiva energica e piena di vita, come se fosse dopata, voleva correre per sentire che era vero, che una tale energia scorreva realmente in lei ed era una vita che non la sentiva agitarsi nel sangue. Michelangelo si mise a strillare e lo cullò dolcemente; che meraviglia il suo bambino, non sentendo in quell’istante la fatica riuscì a gustarne la bellezza e lo annusò sperando di catturare l’essenza del momento. Fine anteprima.Continua...