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1 Magda Minotti ... NON SOLO ROSA DI NATALE ... Frequente, pur se a volte isolata nel grigiore del sottobosco invernale, questa pianta mostra tutto il suo fascino con appariscenti fiori dagli stami d’oro. Sbocciano solo nella stagione fredda, quando le ore di luce sono poche e, in contrapposizione alla morte della natura, divengono il simbolo della vita che continua... Sono i fiori dell’elleboro, la Rosa di Natale (1) della tradizione cristiana: ...“perché i suoi fiori bianchi dalle antere dorate sbocciano d’inverno da dicembre in poi, quasi a simboleggiare con i loro colori l’alba del solstizio invernale e l’oro del sole nuovo, del sole “bambino”, destinato a crescere sull’orizzonte. Sull’elleboro natalizio non poteva non fiorire una leggenda cristiana Si racconta sulla scia dei Vangeli che i Magi erano arrivati ai primi di gennaio alla grotta di Betlemme portando i doni destinati al Salvatore annunciato dalla cometa. Nei dintorni della grotta vi era una pastorella che, vedendo quei magnifici doni, l’oro abbagliante e i profumati aromi, si disperò perché non aveva nulla da offrirgli; e già stava piangendo quando vide sbocciare tra la neve alcuni fiori bianchi dalle antere dorate: erano le rose di Natale, che lei poté donare al Bambin Gesù ”. da “Florario, miti leggende e simboli di fiori e piante” di A. Cattabiani – Ed. Oscar Saggi Mondadori- pag.319 Ma se la tradizione vuole che l’elleboro nato nelle vicinanze della grotta del Salvatore rappresenti, quale simbolo della vita e del sole “bambino” destinato a crescere, il fiore sacro a Dio, la farmacopea non solo popolare, lo considera il fiore di una pianta tutta tossica che un tempo, pur se creduta una panacea (2) poteva essere letale. Non è casuale che l’etimologia della parola elleboro si rifaccia al greco elleboros, il cui significato è: far morire e nutrimento... Il riferimento alla sua potenza venefica è evidente. Ed ecco che questi fiori, la cui prorompente ma raffinata bellezza nascondono, soprattutto nel rizoma e nelle radici, un’indiscussa tossicità della pianta, simboleggiano anche la calunnia. Se l’elleboro era impiegato fin dall’antichità, fu dal medioevo che cominciò ad essere usato in tutta Europa anche come veleno vero e proprio, o come ingrediente per fatture ed esorcismi. Interessante leggerne l’uso nelle ricette e pozioni riportate nel “Ricettario delle streghe” (Ediz. Mediterranee 2003) dal tossicologo e clinico medico Enrico Malizia che le ha studiate, dando per ciascuna di esse una spiegazione scientifica sugli effetti di ogni ingrediente. L’elleboro compare Nella Pozione e filtro leggendario di Circe per trasformare uomini in porci (pag. 110), nel “Filtro medioevale per trasformare uomini in bestie(pag.111), od in altre ricette quale ingrediente per frenare tentazioni e lussuria. Ma, secondo Marsilio Ficino (1435-1499) filosofo, umanista ed astrologo, il magico elleboro aveva un potere unico: serviva a mantenere i giovani più a lungo giovani, ed era utile anche ai vecchi per ringiovanire. Qualche decennio dopo, lo svizzero Paracelso (1493- 1541), astrologo ed alchimista, laureatosi in medicina a Ferrara, andò oltre e si servì delle foglie dell'Elleboro per la preparazione di un... "elisir di lunga vita", leggendaria pozione in grado di garantire immortalità. Non c’è, ovviamente, alcuna prova che Paracelso sia riuscito nel suo intento

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Magda Minotti

... NON SOLO ROSA DI NATALE ...

Frequente, pur se a volte isolata nel grigiore del sottobosco invernale, questa pianta

mostra tutto il suo fascino con appariscenti fiori dagli stami d’oro. Sbocciano solo nella stagione fredda, quando le ore di luce sono poche e, in contrapposizione alla morte della natura, divengono il simbolo della vita che continua... Sono i fiori dell’elleboro, la Rosa di Natale (1) della tradizione cristiana:

...“perché i suoi fiori bianchi dalle antere dorate sbocciano d’inverno da dicembre in poi, quasi a simboleggiare con i loro colori l’alba del solstizio invernale e l’oro del sole nuovo, del sole “bambino”, destinato a crescere sull’orizzonte. Sull’elleboro natalizio non poteva non fiorire una leggenda cristiana Si racconta sulla scia dei Vangeli che i Magi erano arrivati ai primi di gennaio alla grotta di Betlemme portando i doni destinati al Salvatore annunciato dalla cometa. Nei dintorni della grotta vi era una pastorella che, vedendo quei magnifici doni, l’oro abbagliante e i profumati aromi, si disperò perché non aveva nulla da offrirgli; e già stava piangendo quando vide sbocciare tra la neve alcuni fiori bianchi dalle antere dorate: erano le rose di Natale, che lei poté donare al Bambin Gesù ”. da “Florario, miti leggende e simboli di fiori e piante” di A. Cattabiani – Ed. Oscar Saggi Mondadori- pag.319 Ma se la tradizione vuole che l’elleboro nato nelle vicinanze della grotta del Salvatore

rappresenti, quale simbolo della vita e del sole “bambino” destinato a crescere, il fiore sacro a Dio, la farmacopea non solo popolare, lo considera il fiore di una pianta tutta tossica che un tempo, pur se creduta una panacea (2) poteva essere letale. Non è casuale che l’etimologia della parola elleboro si rifaccia al greco elleboros, il cui significato è: far morire e nutrimento... Il riferimento alla sua potenza venefica è evidente. Ed ecco che questi fiori, la cui prorompente ma raffinata bellezza nascondono, soprattutto nel rizoma e nelle radici, un’indiscussa tossicità della pianta, simboleggiano anche la calunnia. Se l’elleboro era impiegato fin dall’antichità, fu dal medioevo che cominciò ad essere usato in tutta Europa anche come veleno vero e proprio, o come ingrediente per fatture ed esorcismi. Interessante leggerne l’uso nelle ricette e pozioni riportate nel “Ricettario delle streghe” (Ediz. Mediterranee 2003) dal tossicologo e clinico medico Enrico Malizia che le ha studiate, dando per ciascuna di esse una spiegazione scientifica sugli effetti di ogni ingrediente. L’elleboro compare Nella Pozione e filtro leggendario di Circe per trasformare uomini in porci (pag. 110), nel “Filtro medioevale per trasformare uomini in bestie” (pag.111), od in altre ricette quale ingrediente per frenare tentazioni e lussuria. Ma, secondo Marsilio Ficino (1435-1499) filosofo, umanista ed astrologo, il magico elleboro aveva un potere unico: serviva a mantenere i giovani più a lungo giovani, ed era utile anche ai vecchi per ringiovanire. Qualche decennio dopo, lo svizzero Paracelso (1493- 1541), astrologo ed alchimista, laureatosi in medicina a Ferrara, andò oltre e si servì delle foglie dell'Elleboro per la preparazione di un... "elisir di lunga vita", leggendaria pozione in grado di garantire immortalità. Non c’è, ovviamente, alcuna prova che Paracelso sia riuscito nel suo intento

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ma si sa solo che il suo elisir, famoso e diffuso, consisteva nella somministrazione, in piccole quantità, del cardioattivo contenuto nell’elleboro. Pare che utilizzasse l’elleboro per fare addirittura l’unguento con cui le streghe si spalmavano per volare ai sabba. Ma se queste “fantastiche potenzialità” attribuite in passato all’elleboro ci fanno sorridere, ce n’è una reale che senz’altro conosciamo tutti: quella irritante delle mucose. Ricordate la starnutina usata a carnevale? Si tratta della polvere del rizoma d’elleboro, l’Helleborus niger che, in tedesco, è detto “radice nera da starnuto” e che, ancor oggi, si può comprare in bustine.

Tenuto da sempre in gran considerazione per vantate proprietà medicinali, l’elleboro, fin dall’antichità era un rimedio prescritto sia come purgante (3), sia per curare alcuni scompensi cardiaci. Inoltre, era considerato un vero toccasana per la facoltà di far guarire dalle malattie neurologiche e soprattutto dalla pazzia (4). Queste caratteristiche sono presenti anche nella letteratura, soprattutto in quella del passato. Ed ecco che le sue proprietà purgative e la sua capacità di sanare il cervello, sono ricordate da François Rabelais in:

“ Gargantua e Pantagruele ” (1542) - Libro primo, Capitolo XXIII-: “....Come egualmente Gargantua fu educato da Ponocrate con disciplina tale che non perdeva un'ora del giorno. Quando Ponocrate conobbe la maniera sbagliata di vivere di Gargantua, deliberò d'istruirlo nelle lettere in modo diverso: ma pei primi giorni tollerò l'antico andamento considerando che la natura non sopporta mutazioni repentine senza grave malanno. Per meglio cominciar l'opera sua supplicò un sapiente medico di quel tempo, nominato Teodoro, che studiasse il possibile per rimettere Gargantua su miglior via. Egli lo purgò, secondo le regole, con elleboro d'Anticira. Con tal medicina lo guarì dal disordine e dai vizi del cervello, e parimenti gli fe' dimenticare tutto ciò che aveva imparato sotto gli antichi precettori, come già usava Timoteo per quei discepoli che erano stati istruiti da altri musici”.

Si passa alla sola pazzia con la poesia di Pietro Gori: L’Elleboro da “L’Amore per i Fiori” Ed. A. Salani, Firenze, 1882

La mia mente vacilla e l'intelletto

s'oscura; abbi tu, o fior, di me pietà, appresta alle mie labbra il succo eletto

che nelle foglie tue celato sta. e con la cantica che Vincenzo Monti scrisse nel 1831 per ricordare il matematico e letterato bergamasco Mascheroni. Il poeta, nei versi riportati, si riferisce a quanto accadeva nel senato (passa il tempo ma le cose non cambiano!) dove ci sarebbe stato bisogno di elleboro e di scongiuri per far rinsavire quanti vi erano riuniti.

In morte di Lorenzo Mascheroni (Mascheroniana)

.......... Tal s’allaccia in senato la zimarra,

che d’elleboro ha d’uopo e d’esorcismo; ..........

Quest’espressione si rifà ad antichi modi di dire greci:

“ se taluno era pazzo, aveva d’uopo di elleboro” oppure: “ bisognava mandarlo per l’elleboro ad Anticira”.

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Infine, ecco la tragedia pastorale scritta in versi da Gabriele D’annunzio nel 1903, “La figlia di Iorio”

atto II-scena I

Aligi vòlto alla vecchia che dorme: ”Anna Onna, su svegliati, su lèvati

e vammi in cerca dell'Elleboro nero, che il senno renda a questa creatura”

Se l’elleboro era usato dalla medicina che si rivolgeva alla salute ed al benessere delle persone, ed ora è stato bandito, la medicina veterinaria, scienza che si occupa della salute e del benessere degli animali, lo usava ed oggi lo usa ancora soprattutto come violento purgante. Fino all’inizio del secondo dopoguerra, nella nostra civiltà contadina la famiglia doveva essere autosufficiente e se il valore dato ai prodotti della terra e alle derrate era enorme, lo era ancor di più quello dato agli animali che fornivano non solo la forza lavoro (erano chiamati la industrie di flât), ma anche cibo, pellame, lana... La morte di una mucca o di un maiale sarebbe stata una disgrazia inimmaginabile e quindi si doveva avere un occhio di vero riguardo per la salute degli animali. E l’elleboro o, meglio i suoi vari tipi, erano utilizzati per curarne alcune malattie come il mal dell’erba, che provocava un abnorme gonfiore al ventre e l’impossibilità di ruminare, il carbonchio ed il mal rossino che falcidiavano i bovini, ma soprattutto i suini. In questi casi, nelle campagne di più regioni d’Italia, i contadini, fatto un piccolo foro nel padiglione auricolare della bestia malata, vi inserivano un bastoncino ricavato dal rizoma di elleboro. Poi le preghiere, spesso dette in un latinorom, lingua usata dal sacerdote in chiesa, che avrebbero favorito ulteriormente la guarigione e, se era così, quel forellino in cui era stato introdotto l’elleboro, si sarebbe trasformato in un foro che poteva raggiungere ben due centimetri. Vorrei, a questo proposito, riportare una testimonianza avuta dal signor Giovanni che viveva con la famiglia contadina nella periferia sud di Udine.

Siamo negli anni ‘50-‘55 del secolo scorso e Giovanni Gremese, ormai giovanotto ed apprendista macellaio, continua a portare il latte delle mucche allevate dalla famiglia alle suore dell’Immacolata, il cui convento si trova ancora in via Padre Scrosoppi a Udine. Quella mattina confida a suor Ceciliana cui consegna quotidianamente il latte, d’essere molto preoccupato perché il maiale che stanno allevando è affetto dal mal rossin ed il veterinario non ha dato speranze. Se l’animale fosse morto, le ricadute negative sull’economia della famiglia sarebbero state notevoli, una vera disgrazia. La suora ascolta attentamente le parole cariche di ansia, poi si allontana dicendo a Giovanni di aspettarla. L’attesa gli sembra interminabile, poi finalmente, la religiosa ricompare tenendo in mano un pezzetto di carta che avvolge un bastoncino di cui non ha mai voluto dire la natura. Parlandogli a voce bassa come se se svelasse un segreto, gli raccomanda di inserire quel legnetto in una vena di un padiglione auricolare del maiale malato e già dato per morto dal veterinario. Giovanni sa solo che il sottile bastoncino, è ricavato (radice, gambo?) da una pianta di cui la religiosa non volle mai rivelare il nome: era stato conservato in un luogo “segreto” e tale doveva essere anche il dono e la sua natura. Ricorda benissimo che la suora non pregò nemmeno sommessamente, né lo invitò a farlo per favorire la riuscita di quell’intervento sul maiale. Gli raccomandò solo di aver fiducia e di aspettare con pazienza qualche giorno.

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Così fu, e dove fu inserito quel pezzettino di pianta misteriosa, s’era formato un foro di un paio di centimetri ed il maiale, perfettamente guarito, arrivò al momento della macellazione con un peso di ben due quintali. Immaginate la sorpresa del veterinario che doveva certificare la salute dell’animale.

Si presume che quel bastoncino miracoloso sia stato ricavato dal rizoma dell’elleboro e si pensa che la suora, trentina come tutte le consorelle, aveva portato con sé quella pianta che, anche nella sua regione, era ritenuta un rimedio efficace per le malattie degli animali e non solo. È curioso che tutto questo sia avvenuto in gran segreto. Forse la religiosa non voleva far sapere a nessuno che, nonostante i voti, era ancora legata alla conoscenza acquisita dalle tradizioni in cui la religiosità popolare andava a braccetto con superstizione, un pizzico di magia e pregiudizio Mi pare interessante trascrivere quanto riportava sugli ellebori Valentino Ostermann nel III capitolo (Agricoltura usi, credenze, pregiudizi e superstizioni relative alle piante riguardante

anche le piante), de “La Vita in Friuli - usi, costumi, credenze popolari”, pubblicato nel 1894. Accanto ai vari nomi, che localmente erano dati agli ellebori, furono annotate teorie e pratiche popolari “nostrane” che attribuivano a quelle piante le stesse proprietà date loro in altre società non solo italiane, a volte lontane geograficamente che, con queste tradizioni, pur nella diversità, si accomunavano.

...Ed ora farò seguire una specie di lessico di alcune piante più note fra

popolani per virtù sognate, per credenze superstiziose o per altri pregiudizj a cui si collegano...

Ardile (5) -Elleboro = Helleborus viridis L. — La radice tagliata in pallottoline si adopera per inserirla nei cauteri praticati ai bovini. Un decotto di ardile somministrato ai pazzi credesi ne calmi le furia. (pag.177) Cimirich o varali = Elleboro bianco = Veratrum album L. — È nota come pianta velenosa; dicesi che gli animali la distinguono dall'odore e non la mangiano; ma se per accidente la inghiottiscono assieme ad altre erbe, produce loro vomiti e scariche violente; il bestiame minuto anche ne soccombe. La sua radice triturata assieme a quella del giusquiamo si applica sulle gambe per i forti dolori reumatici e sciatici; talvolta la si adopera imprudentemente per rimedio contro la pazzia. (pag.187) Cuchs, lebrò = Elleboro nero = Elleborus niger L. La sua radice è usata come quella del Cimirìch, qual vescicatorio nei dolori reumatici. È nota come velenosa- (pag. 190)

Rimanendo a casa nostra, ecco cosa scrive, tra le due guerre del secolo scorso,

Alfredo Lazzarini nella sua interessantissima ricerca: “Le piante e le loro virtù nelle credenze popolari”:

...ancora si ricorre, specialmente nelle campagne, alle antiche abitudini, agli antichi lattovari, alle vecchie ricette di secoli addietro. E nel confezionamento di queste, parte considerevole hanno le piante e le miscele ed i preparati, che da quelle si,ritraggono....(Ce Fastu ? 1932 n° 3-4, pag.62)

...I reumatismi si curano con gli impacchi di radici triturate di Cimirìc (Elleboro bianco o Veratro)... “Ce fastu?” 1932 e n° 5-6, pag. 121:

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Al giorno d’oggi l’elleboro è una pianta quasi sconosciuta, come del resto lo sono i suoi fiori dimenticati anche quali simbolo della Natività, sostituiti dalla Poinsettia, dalle brattee quasi sempre rosso vivo, nota a tutti come Stella di Natale (6). Originaria del Messico, fu introdotta negli Stati Uniti, dove divenne la pianta da regalare a Natale. E questa moda, come altre legate a questa ricorrenza sacra, è arrivata da noi sostituendosi e sradicando molte delle nostre tradizioni legate alla nascita del Redentore. NOTE:

(1) = Dell’elleboro esistono circa trenta specie di cui una decina spontanee (Elleboro verde, bianco, nero, ecc.) sul nostro territorio. Quello nero, detto così dal colore del suo rizoma, è la bellissima Rosa di Natale che può raggiungere un altezza di trenta - quaranta centimetri. La pianta porta da uno a tre grandi fiori con cinque petali bianchi o rosati, che ricordano i fiori della rosa canina ed hanno un diametro da tre ad otto centimetri. Già i boccioli hanno un fascino particolare, che aumenta alla loro completa apertura, in una fioritura che si protrae per molte settimane. (2) = Qui vorrei ricordare santa Ildegarda di Bingen (1098-1179), benedettina tedesca dal sapere eclettico che, nel 2012, papa Benedetto XVI ha dichiarato dottore della Chiesa. Nel suo “Il libro delle creature-differenze sottili delle nature diverse-“ (versione italiana Carocci editore 2011), passa in rassegna i regni della natura che hanno in comune l’essere creature. Ne nasce l’immenso ricettario dove tutto ha la sua utilità per il benessere dell’uomo. Nel libro I, 28) (pag. 77) afferma che “l’uomo in cui si producono umori cattivi e mortali, al punto di far ribollire una delle sue membra e provocare un’eruzione cutanea, mangi sempre dell’elleboro e migliorerà”. Ma i benefici della pianta (libro I che riguarda i vegetali- pagg. 121 e 132- ) sono anche quelli per guarire dalla gotta, dal mal di stomaco, dall’itterizia, dalle febbri e dalla pazzia. (3) = Pausania (110-180 d.C.), nella sua Perigesi della Grecia, scrive che i Cirresi, durante l’assedio di Atene, dovettero ritirarsi da quell’impresa a causa di una fortissima e continua dissenteria che li colpì. Era l’effetto della grande quantità di rizomi di elleboro che Solone, uno dei sette sapienti della Grecia, fece gettare nel fiume Plisto di cui essi bevevano l’acqua. E, ignari di ciò, continuavano a bere...

Nel medioevo i bimbi erano usualmente purgati con infuso di elleboro nero o verde che, se somministrato in dosi eccessive, ne provocavano la morte. (4) = Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), nella sua Historia naturalis, parla spesso dell’elleboro, da lui chiamato melamponio dal nome di Melampo, il pastore dalle virtù profetiche le cui pecore mangiando quella pianta, davano il latte che guarì le tre figlie di Preto, re di Tirinto ed Antea, Lisippa, Ifinoe e Ifianassa, colpite da pazzia per una maledizione divina.

E per curarsi da tale malattia, ecco un consiglio del poeta latino Orazio (65- 8 a.C) che consigliava di recarsi sull'isola di Anticira- in realtà, Anticira era la città della Focide - nel golfo di Corinto, a 20 km da Delfi, in cui l’elleboro cresceva copiosamente e dove molti malati vi soggiornavano per curarsi.

Anche Ercole, l’eroe della mitologia greca, rinsavì con l’elleboro dopo che, fatto impazzire per punizione dalla dea Era, uccise senza rendersene conto, la moglie Megara e i figli.

Ora, facendo un salto in avanti nel tempo, vorrei ricordare il medico e naturalista senese Pietro Andrea Mattioli che, dal 1542 al 1555, visse a Gorizia come medico condotto. In questa città, oltre alla sua professione, si dedicò anche alla traduzione del più importante trattato di botanica medica dell’antichità, il De Materia Medica di Discoride, medico greco del I sec. d.C. A questo trattato egli aggiunse i suoi Discorsi e Commenti che riguardavano anche l’elleboro e la sua azione farmacologica e tossica. In particolare il Mattioli, studiando anche il veratro cui erano attribuiti gli effetti dell’elleboro: “mise sull’avviso medici e pazienti del suo tempo, specificando giustamente che gli effetti sulla psiche erano propri solo dell’elleboro nero: finalmente i medici del XV e XVI secolo abbandonarono il veratro come psicofarmaco”. (da http://www.summagallicana.it/lessico/e/elleboro.htm) (5) = Il Dizionario Botanico Giulio Andrea Pirona (1862) riporta:

...Fino dal 1854 io pubblicava una serie di Voci colle quali il popolo in Friuli denomina

alcuni esseri dei due regni organici della natura. Ora trovo opportune di riprodurre quella parte di Vocabulario friulano che spetta al solo regno vegetabile, e che da quel tempo in poi ho potuto aumentare con un numero rilevante di voci, e ripurgare da alcune mende. Se grande è il

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novero delle piante che costituiscono la Flora della nostra bella provincia, è poi breve il novero di quelle cui il popolo della campagna ha dato un nome: ma la cognizione di questi nomi è un guadagno per chi ha già studiato, ed un gradino per chi comincia a studiare la nostra Flora...

Elleboro , Nocca: Helleborus viridis Lin. Comune principalmente nell’alto Friuli. Se ne adopera la radice tagliata in pallottoline per inserirla nei cauteri praticati ai bovini. Lepro , Lebro. Ranuncolcee: Elleboro nero, Erba nocca- Helleborus niger Lin. Ha il fiore bianco-roseo, e trovasi soltanto nelle regioni subalpine; rarissimo nei monti d’oriente del Torre. V. Ardile

Il Nuovo Vocabolario Pirona del 1935, riedizione aggiornata del Pirona del 1871 per opera di Giulio Andrea Pirona , Ercole Carletti, e Giovanni Battista Corgnali, riporta: Ardile , Radîle, Radigle sf. T. bot.= Elleboro: helleborus viridis L. Pianta officinale. Lin. Com. spec.te nell’alto Friuli. Se ne adopera la radice tagliata in pallottoline per inserirla nei cauteri praticati ai bovini.- Altri n. Frari, lepro (Gort) Ardile s.f. t.bot = anche varali, capelàn, (N. Pirona)I cfr qui Lèvri- GemonaI (Tric.)= ranunculus Ficaria (Cost.) Cfr. radile e qui Ardigle Foranc sm t.bot. = erba nocca ,elleboro nero: Helleborus niger L.: nei boschi e luoghi ombrosi, su terreno calcareo e spec.dolomitico, nelle regioni montana e subalpina. Anche lepro, lepro neri, lebro (Gort).La frutta Cucs. Cfr Ardile (6) = I fiori veri e propri, piccoli e gialli, sono raccolti tra le brattee che possono essere non solo rosse, ma ance rosa o bianche.