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Viktoria Mullova ha studiato alla Scuola Centrale di Musica e poi al Conservatorio di Mosca e ha imposto il suo straordinario talento all’attenzione internazionale vincendo nel 1980 il primo premio al Concorso Sibe- lius di Helsinki e nel 1982 la Medaglia d’oro al Concorso Tchaikovsky. Nel 1983, con una fuga rocambolesca, abbandona l’Unione Sovietica e da allora suona in tutto il mondo nelle più prestigiose orchestre, con i più ce- lebri direttori ed è ospite di rinomati festival internazionali. Famosa per la sua versatilità musicale, ha esplora- to con sempre rinnovata curiosità tutto il repertorio per violino, dal barocco alla musica contemporanea, dalla world fusion alla musica sperimentale. L’avventura di Viktoria Mullova nella musica contemporanea inizia nel 2000 con l’album Through the Looking Glass nel quale compaiono brani di world, jazz e pop music arrangiati per lei da Matthew Barley. L’esplorazione è proseguita con il progetto The Peasant Girl con l’ensemble di Mat- thew Barley, costruito intorno a musiche di diversa provenienza, con radici nel classico, nel gypsy e nel jazz. Il più recente Stradivarius in Rio, invece, è ispirato alla sonorità brasiliana e in particolare ai compositori Antônio Carlos Jobim, Caetano Veloso e Cláudio Nucci. Ha tenuto concerti nelle più prestigiose sale europee, dalla Southbank di Londra alla Konzerthaus di Vienna, dall’Auditorium del Louvre di Parigi al Musikfest di Brema. Suona lo Stradivari Julius Falk del 1723 e un Guadagnini. Katia Labèque, musicista molto apprezzata per il virtuosismo e la grande comunicativa dei suoi concerti e per la sua formazione, ha integrato gli studi tradizionali con le lezioni della mamma Ada Cecchi, allieva di Marguerite Long. Spirito anticonformista, Katia presenta un repertorio eclettico che spazia da Bach all’avanguardia contemporanea. In duo con la sorella Marielle, ha costruito una importante carriera internazionale. Insieme sono state invitate dalle più prestigiose orchestre, tra cui i Berliner Philharmoniker, le Orchestre Sinfoniche di Boston, Chicago e Cleveland, la Leipzig Gewandhaus Orchestra, la London Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic Orchestra, l’Orchestra Filarmonica della Scala, la Philadelphia Orchestra, i Wiener Philharmoniker. Hanno partecipato, tra gli altri, ai Festival di Berlino, di Blossom, di Lucerna, di Ravinia, al Tanglewood Music Festival, al Festival di Pasqua a Salisburgo e sono state ospiti alla Hollywood Bowl e ai Proms di Londra. Katia e Marielle hanno fondato la KML Recordings e istituito la Fondazione KML (www.fondazionekml.com) il cui scopo è la ricerca e lo sviluppo del repertorio per duo pianistico. Oltre al duo con la sorella Marielle, nel 2001 Katia Labèque ha formato un nuovo duo con la violinista Viktoria Mullova, incontrando un grande successo di pubblico e di critica: insieme hanno suonato alla Carnegie Hall di New York, al Musikverein di Vienna, alla Musikhalle di Amburgo, alla Philharmonie di Monaco di Baviera e ancora a Lucerna, Parigi, Belgrado, Atene, Roma, Firenze, Londra. PROSSIMI APPUNTAMENTI Lunedì 24 Ottobre 2016 Aula Bianchi, ore 21 Scuola Normale Superiore BEATRICE RANA Lezione propedeutica al concerto del 25 ottobre Ingresso libero Martedì 25 Ottobre 2016 Teatro Verdi, ore 21 BEATRICE RANA| pianoforte BACH BIOGRAFIE della i concerti ottobre 2016 | giugno 2017 206° anniversario del decreto di fondazione della Scuola Normale Superiore VIKTORIA MULLOVA | violino KATIA LABÈQUE | pianoforte PROKOF’EV, SCHUMANN TAKEMITSU, PÄRT, RAVEL MARTEDÌ 18 OTTOBRE 2016 Teatro Verdi, Pisa ore 21

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Page 1: notedisala 18 ottobre 2 - SNS · In duo con la sorella Marielle, ha costruito una importante carriera ... Suo modello ideale fu soprattutto il classicismo di Haydn e Mozart, specie

Viktoria Mullova ha studiato alla Scuola Centrale di Musica e poi al Conservatorio di Mosca e ha imposto il suo straordinario talento all’attenzione internazionale vincendo nel 1980 il primo premio al Concorso Sibe-lius di Helsinki e nel 1982 la Medaglia d’oro al Concorso Tchaikovsky. Nel 1983, con una fuga rocambolesca, abbandona l’Unione Sovietica e da allora suona in tutto il mondo nelle più prestigiose orchestre, con i più ce-lebri direttori ed è ospite di rinomati festival internazionali. Famosa per la sua versatilità musicale, ha esplora-to con sempre rinnovata curiosità tutto il repertorio per violino, dal barocco alla musica contemporanea, dalla world fusion alla musica sperimentale. L’avventura di Viktoria Mullova nella musica contemporanea inizia nel 2000 con l’album Through the Looking Glass nel quale compaiono brani di world, jazz e pop music arrangiati per lei da Matthew Barley. L’esplorazione è proseguita con il progetto The Peasant Girl con l’ensemble di Mat-thew Barley, costruito intorno a musiche di diversa provenienza, con radici nel classico, nel gypsy e nel jazz. Il più recente Stradivarius in Rio, invece, è ispirato alla sonorità brasiliana e in particolare ai compositori Antônio Carlos Jobim, Caetano Veloso e Cláudio Nucci. Ha tenuto concerti nelle più prestigiose sale europee, dalla Southbank di Londra alla Konzerthaus di Vienna, dall’Auditorium del Louvre di Parigi al Musikfest di Brema. Suona lo Stradivari Julius Falk del 1723 e un Guadagnini.

Katia Labèque, musicista molto apprezzata per il virtuosismo e la grande comunicativa dei suoi concerti e per la sua formazione, ha integrato gli studi tradizionali con le lezioni della mamma Ada Cecchi, allieva di Marguerite Long. Spirito anticonformista, Katia presenta un repertorio eclettico che spazia da Bach all’avanguardia contemporanea. In duo con la sorella Marielle, ha costruito una importante carriera internazionale. Insieme sono state invitate dalle più prestigiose orchestre, tra cui i Berliner Philharmoniker, le Orchestre Sinfoniche di Boston, Chicago e Cleveland, la Leipzig Gewandhaus Orchestra, la London Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic Orchestra, l’Orchestra Filarmonica della Scala, la Philadelphia Orchestra, i Wiener Philharmoniker. Hanno partecipato, tra gli altri, ai Festival di Berlino, di Blossom, di Lucerna, di Ravinia, al Tanglewood Music Festival, al Festival di Pasqua a Salisburgo e sono state ospiti alla Hollywood Bowl e ai Proms di Londra. Katia e Marielle hanno fondato la KML Recordings e istituito la Fondazione KML (www.fondazionekml.com) il cui scopo è la ricerca e lo sviluppo del repertorio per duo pianistico.Oltre al duo con la sorella Marielle, nel 2001 Katia Labèque ha formato un nuovo duo con la violinista Viktoria Mullova, incontrando un grande successo di pubblico e di critica: insieme hanno suonato alla Carnegie Hall di New York, al Musikverein di Vienna, alla Musikhalle di Amburgo, alla Philharmonie di Monaco di Baviera e ancora a Lucerna, Parigi, Belgrado, Atene, Roma, Firenze, Londra.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Lunedì 24 Ottobre 2016Aula Bianchi, ore 21 Scuola Normale SuperioreBEATRICE RANALezione propedeutica al concerto del 25 ottobreIngresso libero

Martedì 25 Ottobre 2016 Teatro Verdi, ore 21BEATRICE RANA| pianoforteBACH

BIOGRAFIE

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Viktoria Mullova ha studiato alla Scuola Centrale di Musica e poi al Conservatorio di Mosca e ha imposto il suo straordinario talento all’attenzione internazionale vincendo nel 1980 il primo premio al Concorso Sibe-lius di Helsinki e nel 1982 la Medaglia d’oro al Concorso Tchaikovsky. Nel 1983, con una fuga rocambolesca, abbandona l’Unione Sovietica e da allora suona in tutto il mondo nelle più prestigiose orchestre, con i più ce-lebri direttori ed è ospite di rinomati festival internazionali. Famosa per la sua versatilità musicale, ha esplora-to con sempre rinnovata curiosità tutto il repertorio per violino, dal barocco alla musica contemporanea, dalla world fusion alla musica sperimentale. L’avventura di Viktoria Mullova nella musica contemporanea inizia nel 2000 con l’album Through the Looking Glass nel quale compaiono brani di Through the Looking Glass nel quale compaiono brani di Through the Looking Glass world, jazz e jazz e jazz pop music arrangiati per lei da Matthew Barley. L’esplorazione è proseguita con il progetto The Peasant Girl con l’ensemble di Mat-thew Barley, costruito intorno a musiche di diversa provenienza, con radici nel classico, nel gypsy e nel gypsy e nel gypsy jazz. Il più recente Stradivarius in Rio, invece, è ispirato alla sonorità brasiliana e in particolare ai compositori Antônio Carlos Jobim, Caetano Veloso e Cláudio Nucci. Ha tenuto concerti nelle più prestigiose sale europee, dalla Southbank di Londra alla Konzerthaus di Vienna, dall’Auditorium del Louvre di Parigi al Musikfest di Brema. Suona lo Stradivari Julius Falk del 1723 e un Guadagnini.

Katia Labèque, musicista molto apprezzata per il virtuosismo e la grande comunicativa dei suoi concerti e per la sua formazione, ha integrato gli studi tradizionali con le lezioni della mamma Ada Cecchi, allieva di Marguerite Long. Spirito anticonformista, Katia presenta un repertorio eclettico che spazia da Bach all’avanguardia contemporanea. In duo con la sorella Marielle, ha costruito una importante carriera internazionale. Insieme sono state invitate dalle più prestigiose orchestre, tra cui i Berliner Philharmoniker, le Orchestre Sinfoniche di Boston, Chicago e Cleveland, la Leipzig Gewandhaus Orchestra, la London Symphony Orchestra, la Los Angeles Philharmonic Orchestra, l’Orchestra Filarmonica della Scala, la Philadelphia Orchestra, i Wiener Philharmoniker. Hanno partecipato, tra gli altri, ai Festival di Berlino, di Blossom, di Lucerna, di Ravinia, al Tanglewood Music Festival, al Festival di Pasqua a Salisburgo e sono state ospiti alla Hollywood Bowl e ai Proms di Londra. Katia e Marielle hanno fondato la KML Recordings e istituito la Fondazione KML (www.fondazionekml.com) il cui scopo è la ricerca e lo sviluppo del repertorio per duo pianistico.Oltre al duo con la sorella Marielle, nel 2001 Katia Labèque ha formato un nuovo duo con la violinista Viktoria Mullova, incontrando un grande successo di pubblico e di critica: insieme hanno suonato alla Carnegie Hall di New York, al Musikverein di Vienna, alla Musikhalle di Amburgo, alla Philharmonie di Monaco di Baviera e ancora a Lucerna, Parigi, Belgrado, Atene, Roma, Firenze, Londra.

PROSSIMI APPUNTAMENTI

Lunedì 24 Ottobre 2016Aula Bianchi, ore 21 Scuola Normale SuperioreBEATRICE RANALezione propedeutica al concerto del 25 ottobreIngresso libero

Martedì 25 Ottobre 2016 Teatro Verdi, ore 21BEATRICE RANA| pianoforteBACH

BIOGRAFIE

206° anniversario del decreto di fondazione della Scuola Normale SuperioreVIKTORIA MULLOVA | violino

KATIA LABÈQUE | pianofortePROKOF’EV, SCHUMANNTAKEMITSU, PÄRT, RAVEL

MARTEDÌ18 OTTOBRE 2016 Teatro Verdi, Pisaore 21

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NOTE ILLUSTRATIVE

PROGRAMMA

SERGEJ SERGEEVIČ PROKOF’EV (Sonzovka, Ekaterinoslav, 1891 – Mosca, 1953)Sonata in re maggiore per violino solo, op. 115

ROBERT SCHUMANN (Zwickau, 1810 – Endenich, 1856) Sonata per violino e pianoforte n. 1 in la minore, op. 105

* * *

TŌRU TAKEMITSU (Tokyo, 1930 – 1996)Distance de Fée, per violino e pianoforte

ARVO PÄRT (Paide, 1935)Fratres, per violino e pianoforte

MAURICE RAVEL (Ciboure, 1875 – Parigi, 1937)Sonata per violino e pianoforte n. 2 in sol maggiore

Una pratica didattica diffusa in Urss consisteva nel mettere insieme parecchi violinisti, dai dieci ai trenta, perché suonassero all’unisono le Sonate e le Partite per violino solo di Johann Sebastian Bach. Quando a Sergej Prokof’ev capitò di ascoltare una di queste esecuzioni, ne restò talmente impressionato che si mise subito a comporre una Sonata adatta per essere fatta da un violinista solo o da un gruppo, indifferentemente. Ma nella forma del pezzo non si ispirò tanto a Bach. Suo modello ideale fu soprattutto il classicismo di Haydn e Mozart, specie nel primo movimento in forma-sonata e nel secondo, tema con variazioni; e poi nella scrittura lineare, schietta, priva di troppe complicazioni tecniche. Ciò si accordava ai dettami estetici del Realismo socialista, al quale ogni artista sovietico doveva sottomettersi, secondo cui la musica doveva rifuggire il Modernismo, non rinunziare alla melodia, essere d’indole positiva, facile da comprendere, in modo tale da giovare alla coscienza politica e sociale degli ascoltatori. Così il «Moderato» d’apertura ha un aspetto sano e giocondo, l’«Andante dolce» fonda le sue variazioni sulla rico-noscibilità di un motivo mite, forse di provenienza popolare. Solo il finale, «Con brio», ritrova a momenti il tratto sulfureo caratteristico del Prokof’ev più originale. Pare, tuttavia, che quest’opera non sia mai stata udita in pubblico, vivente l’autore. Una delle cause è che, mentre vi si applicava (tra il 1947 e il ’48), Prokof’ev fu accusato dalla cen-sura governativa di essere “formalista” al pari di altri compositori sovietici, tra cui Šostakovič: imputazione che non significava nulla di preciso se non che, per qualche oscura ragione, Stalin e i suoi scagnozzi ne avevano messo sotto osservazione il lavoro. E non importava che fino a un attimo prima quello stesso lavoro fosse stato pubblicamente lodato e premiato, da allora in avanti, e chissà per quanto, si cambiava registro. Quel che un tempo era buono, non lo era più; e i compositori temevano addirittura per la propria vita. Quindi la Sonata op. 115 restò silente, anche perché Prokof’ev non si riprese mai completamente da quella batosta e nel giro di poco, il 5 marzo 1953, lo stesso giorno di Stalin, morì. E pur essendo stata edita dall’autore nel ’52, per la prima esecuzione della Sonata passò altro tempo: Ruggiero Ricci la suonò a Mosca nel 1959.

L’ultimo impiego di Robert Schumann fu a Düsserldorf come Direttore dei concerti. Incarico assunto nel set-tembre 1850 che di lì a pochi mesi il compositore già pensava di lasciare perché né la città, né i musicisti a lui sottoposti apprezzavano la qualità del suo lavoro. Congedo, poi, Schumann dovette prenderlo per forza al principio del ’54, quando a seguito del tentato suicidio nel Reno venne internato nel manicomio di Endenich fino alla morte avvenuta nel 1856. A Düsserldorf, comunque, la sua creatività non risentì affatto del clima sfavorevole, e neppure vi incise negativamente il progressivo affievolirsi delle forze che gli procurava annebbiamenti cognitivi, difficoltà di linguaggio e un sibilo fisso negli orecchi. Infatti, quasi gemelle, nell’autunno del 1851 nascono le due Sonate per violino e pianoforte op. 105 e op. 121. L’op. 105 in la minore è di proporzioni meno ambiziose della sorella (definita dall’autore «Grosse Sonate»), ma non meno meditata. Tutto il materiale tematico ha origine, per espansione e varia-zione, da cellule intervallari minute, come in Bach, nel tardo Beethoven, e poi in Brahms e Schönberg. L’architettura, perciò, risulta sintetica e solida – anche perché il ripresentarsi del tema del primo tempo nel terzo crea una forma ad anello tesa a saldare idealmente la fine con l’inizio. Le melodie rifuggono profili simmetrici, d’impronta classi-cheggiante, preferendo piuttosto un’irregolarità di enunciazione che le assimila alla libertà del discorso in prosa, ciò che allora stava sperimentando pure Wagner nel suo teatro. Complessa e volubile è la rete di relazioni armoniche fra le sezioni. In ogni movimento il dialogo tra violino e piano si intreccia serrato, talvolta contrappuntistico, come nel terzo tempo, segno di quanto Schumann si fosse applicato allo studio del contrappunto di Bach e l’avesse assi-milato. Nel movimento d’apertura, «Mit leidenschaftlichem Ausdruck» («Con espressione appassionata») si riversa la turbolenza spirituale, volta verso l’assoluto e al contempo riversa in se stessa, che contraddistingue l’ispirazione schumanniana fin dagli esordi. L’«Allegretto» successivo è un intermezzo rasserenato, quasi una canzone, cui segue il «Lebhaft» conclusivo («Vivace») che l’autore desiderava venisse suonato in «tono riottoso, rude».

Toru Takemitsu è stato il primo compositore giapponese a ottenere notorietà in Occidente. Ne decretò la fortu-na Igor Stravinskij quando nel 1958, in visita a Tokyo, ascoltò per caso il Requiem per archi: così tanto gli piacque che raccomandò il suo nome ad alcuni committenti statunitensi. Poi anche il cinema vi ha contribuito, giacché della sua collaborazione come autore di colonne sonore si sono serviti cineasti come Hiroshi Teshigahara, Akira Kurosawa, Nagisa Ōshima. E se al principio della carriera l’autodidatta Takemitsu detestava tutto quanto sapesse di giapponese (mentre adorava Debussy e Messiaen), con il tempo le tradizioni musicali autoctone gli diverranno sempre più care, al punto che da fine anni Sessanta propugnerà una poetica zen di comunione totale con l’esistente sintetizzata dall’idea del “nuotare nell’oceano che non ha né Oriente né Occidente”. Distance de fée («Distanza di fata», 1951) è tra le prime composizioni di Takemitsu: ventenne, nel suo immaginario musicale ancora non risuonavano altro che armonie sospese, ritmi fluttuanti, frasi allusive, finezze timbriche di marca francese, impressionista e simbolista - ci vorrà qualche tempo perché Toru smetta di crogiolarsi soltanto in suggestioni primo-novecentesche e si imponga di mettersi in pari con l’avanguardia europea e americana. La pagina si ispira a versi di Shuzo Takiguchi che descrivono alberi, nuvole, brezze, selve dove può trovarsi la fata del titolo, spiritello di natura.

Delle voci della contemporaneità musicale, quella di Arvo Pärt è tra le più ascoltate. Molti considerano il com-positore estone da tempo residente a Berlino al pari di un guru, le cui partiture ascetiche, immobili e arcaizzanti riescono a condurre l’ascoltatore verso oasi di beatitudine contemplativa. Il suo misticismo estatico si basa sul prin-cipio costruttivo della “tintinnabulazione” - dal latino tintinnabulum, campanello, sonaglio. Vale a dire, secondo la definizione del compositore, «un’area nella quale qualche volta vago quando sono alla ricerca di risposte per la

mia vita, la mia musica, il mio lavoro. Qui io sono solo con il silenzio». E chiarisce meglio, tecnicamente: «Ho sco-perto che una singola nota ben suonata è abbastanza. Questa sola nota, o un istante di silenzio, mi confortano. Io costruisco con i materiali più primitivi, con la triade, con una tonalità specifica. Le tre note di una triade sono come campane». Dunque accordi di tre note stanno a fondamento del mondo sonoro di Pärt, da qualcuno definito mini-malista, e di sicuro ascrivibile alla temperie New Age. Ne sono tratti tipici temi ridotti all’osso, la scarsa escursione dinamica, flussi di note pressappoco costanti che tuttavia producono un’impressione di staticità. Tali caratteristiche si trovano anche in Fratres, composizione del 1977 che Pärt ha trascritto per vari organici; la versione per violino e piano, pensata per Gidon Kremer, è di tre anni dopo. Vi domina il principio della variazione: gli accordi iniziali del violino, da cui germina tutto il pezzo, sono riproposti diverse volte, ma mai identici perché riempiti da altri accordi, e allargati, invertiti, sciolti in melodie, spostati su note differenti. Cosicché tra fissità e movimento non sembra esservi alcuna differenza.

A una Sonata per violino e pianoforte, abbandonata dopo il primo movimento, Maurice Ravel si dedicò verso i vent’anni, nel 1897, da studente al Conservatorio di Parigi nella classe di Gabriel Fauré. Un’altra, condotta in fondo dopo una lunga gestazione trascorsa fra ripensamenti, crisi depressive e altri lavori inframezzati, vide la luce esattamente tre decenni dopo. È un capolavoro di oreficeria. Desiderio di scriverla gli era venuto ascoltando a Parigi le due Sonate di Béla Bartók; gliela avrebbe dovuta suonare la diletta Hélène Jourdan-Morhange, che suggerì di-verse soluzioni violinistiche da adottare e ne è appunto la dedicataria. Solo che nei quattro anni che Ravel impiegò per dar forma alla Sonata, la violinista intanto aveva detto addio alla carriera per problemi di salute. Cosicché la première parigina del 30 maggio 1927 Ravel, al piano, la condivise con George Enescu, musicista dai mille talenti (pianista, compositore, direttore, didatta, oltre che violinista) con cui già aveva battezzato l’altra Sonata tolta subito dalla circolazione. Di questa seconda, però, pare che Enescu detestasse il secondo tempo, il «Blues» modellato sulla musica afroamericana tanto di moda nella Parigi di quell’epoca. Fra pianoforte e violino la Sonata non cerca alcuna integrazione: d’altronde Ravel era convinto che strumenti così dissimili non potessero fondersi in alcun modo. Perciò viene accentuato lo squilibrio tra le parti, la loro indipendenza, tanto che sembrano spesso procedere per conto proprio, l’una indifferente all’altra. Ovviamente non è così. Entrambe si bilanciano in negativo, raggiungendo paradossalmente un’intesa compiuta: acida, angolosa, perfetta. Un modernismo di misura classicheggiante. È uno dei tanti prodigi dell’“orologiaio” Ravel, maestro di artifici. Per esempio l’orditura polifonica irta di lattee dissonanze dell’«Allegretto», primo movimento, fa procedere i due strumenti su binari paralleli che si incrociano di rado; ciono-nostante i discorsi discordanti di entrambi suonano, insieme, logici, limpidi, naturali, pur essendo del tutto artefatti. Una volta Ravel raccontò che il carattere pastorale di questa pagina (nella quale si può riconoscere l’imitazione del chiocciare di una gallinella) gli era stato ispirato dalla nostalgia della campagna francese mentre attraversava la Manica. Già s’è detto dell’origine del «Blues» canagliesco a metà Sonata, simile a un dandy che ostenta provocatoria-mente sguaiataggine. Infine arriva il «Perpetuum mobile» con il violino che fugge rapidissimo, senza mai prender fiato, e il pianoforte che ne punteggia la corsa con parecchie citazioni dai due movimenti precedenti.

Gregorio Moppi