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Spettacolo
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Notizie su
Walter Chiari
3
Nato a Verona il 2
marzo 1924, vero
nome Walter
Annichiarico, egli si
trasferisce presto
con la famiglia a
Milano, ove s’impiega e
contemporaneamen
te si dedica ad un’intensa attività
sportiva
4
(soprattutto,
pugilato: nel ‘39,
egli è campione
lombardo per la
categoria peso
piuma).
Inizia, nello stesso periodo, a lavorare
in teatro: la sua
prima partecipazione di
rilevo la ottiene nel
5
1946 grazie a
Marisa Maresca, che
lo inserisce nello
spettacolo "Se ti
bacia Lola": parte
da qui la carriera,
frenetica e fortunata, d’un
attore tra i più
peculiari dello spettacolo
nostrano.
6
Chiari è presente
nella rivista
("Gildo", 1950;
"Sogno di un
Walter", 1951;
"Tutto fa
Broadway", 1952; ecc.), nel musical
("Buonanotte,
Bettina", 1956; "Un mandarino per
Teo", 1960,
7
entrambe firmate
da Garinei
&Giovannini), nella
commedia brillante
("Luv" di M.
Schisgal, 1965; "La
strana coppia" di N. Simon, 1966; "Il
gufo e la gattina" di
B. Manoff, interpretato molte
volte), in
8
televisione ("La via
del successo",
1958; "Alta
pressione", 1962;
"Canzonissima",
nelle edizioni del ‘58
e del ‘68): nel cinema, dopo aver
esordito nel ‘47 in
"Vanità" di Giorgio Pàstina, egli si fa
notare ne
9
"L’inafferrabile 12"
(1950) di Mario
Mattoli e fornisce
prove eccellenti in
"Bellissima" (1951)
di Luchino Visconti,
"L’attico" (1962) di Gianni Puccini, "Il
giovedì" (1963) di
Dino Risi, "La rimpatriata" (1963)
di Damiano
10
Damiani, "Io, io,
io... e gli altri"
(1966) di
Alessandro Blasetti,
"Falstaff" (1966) di
Orson Welles.
Negli anni ‘70, anche a causa di
problemi personali,
le sue apparizioni si diradano e perdono
di qualità: dopo il
11
canto del cigno di
"Romance" (1986)
di Massimo
Mazzucco, resta ben
poco da ricordare.
Salvo, forse, la bella
ed esaustiva biografia TV che
Tatti Sanguineti gli
dedica nel 1986: "Storia di un altro
italiano" è una sorta
12
di commosso addio
ad un’idea di
televisione ormai
sparita, oltre che un
passaggio di
consegne fatto
sommessammente da un grande artista
della comicità a
coloro che seguiranno.
Muore a Milano il 20
13
dicembre 1991.
Walter Chiari:
appunti sulla
comicità
E' bellissima, la foto
di copertina de "Il sarchiapone e altre
storie" (Mondadori,
pp.190+videocassetta, L.32.000),
volume che
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ripropone - col
prezioso supporto
delle immagini - le
scenette più
gustose recitate da
Walter Chiari,
incastonandole nel racconto della sua
vita: l'attore vi
appare giovane (siamo nel 1956),
pimpante, quasi
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spavaldo, con
quella boccata di
fumo come gettata
in viso al mondo.
Non gli apparteneva
l'albagia,
intendiamoci, neppure la
strafottenza: l'aria
da eterno ragazzone però sì,
quel misto di
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simpatia e vitalità,
dinamismo e
sfrontatezza tipico
dell'eterno
immaturo
consapevole e
confesso, dello sciupafemmine
recidivo e
compiaciuto. Ripercorrere oggi la
sua carriera,
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rivisitare certi
numeri suoi - dal
mitico sarchiapone
al sommergibile,
dalla belva di
Chicago al bullo di
Gallarate - che han fatto la storia della
comicità in Italia,
vuol dire verificare quant'egli fosse
avanti per il suo
18
tempo, quanto il
suo magistero fosse
destinato a restar
lungamente
negletto, per
produrre solo molto
più tardi eredi riconoscibili: certo,
egli fu fra i primi a
riflettere su caratteri e
caratteristiche delle
19
nostre genti, a
punzecchiare le
classi medie con
una cattiveria per
l'epoca quasi
disturbante.
Varrà forse la pena di ricordare che
Chiari aveva pure
una sottile vena malinconica,
destinata ad
20
affiorare
segnatamente nelle
sue poche prove
cinematografiche di
rilievo: si pensi a
pellicole come "Il
giovedì" (1963) di Dino Risi, dov'egli
impersona un tipo
andante - direbbe Paolo Conte - che si
sforza
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penosamente
d'esser papà per un
giorno; o "La
rimpatriata" (1963)
di Damiano
Damiani, in cui è un
seduttore che organizza un
raduno di vecchi
amici di scorribande, ma si
trova a dover far i
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conti con un
fallimentare
bilancio
esistenziale; od
infine "Falstaff"
(1966) di Orson
Welles, ove incarna mirabilmente il
difficile personaggio
di Silence. Se si voglion però
cercare istantanee
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definitive, cavare
proverbi speciali, si
può ricorrere a due
film, "Bellissima"
(1951) di Luchino
Visconti e
"Romance" (1986) di Massimo
Mazzucco, che
contengono le sue migliori
interpretazioni: un
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bellimbusto
simpaticamente
spregevole che si
serve persino d'una
bimba per
raggiungere i suoi
scopi, nel primo; nell'altro, un
anziano padre che
si sforza disperatamente di
comunicare con un
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figlio sempre
trascurato, oramai
divenuto adulto.
In mezzo,
trentacinque anni
tumultuosi per
l'uomo e per l'artista, segnati
pure da una penosa
disavventura giudiziaria: e forse,
in filigrana, la
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mappa d'una
crescita, il
diagramma d'una
sofferta
maturazione
protrattasi per
decenni. Sfociata, infine, in quella che
Gadda chiamerebbe
la cognizione del dolore.
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