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Scuola universitaria professionale della Svizzera italianaDipartimento scienze aziendali e socialiCentro competenze tributarie

Novità fiscaliL’attualità del diritto tributario svizzero e internazionale

www.fisco.supsi.ch

N° 3 – Marzo 2012

Diritto tributario italiano Il riporto delle perdite alla luce delle modifiche introdotte dalla Manovra correttiva 2011 2

Diritto tributario internazionale e dell’UELa Svizzera all’esame del Global Forum in materia di trasparenza e scambio di informazioni 7 IVA e imposte indiretteLe tasse di bollo sui premi d’assicurazione 12

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PubblicazioniGli accordi fiscali sulla base del modello Rubik 24

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Nuovo regime di riporto delle perdite fiscali: dal limi-te temporale della riportabilità delle perdite al limite “quantitativo” di periodo dell’utilizzo delle stesse

1. PremessaLa disciplina del riporto delle perdite ai fini dell’Imposta sul Reddito delle Società (di seguito IRES) è stata modificata dal Decreto legge (di seguito D.L.) del 6 luglio 2011, n. 98 che all’articolo 23, comma 9 [1], tratta del nuovo regime di scom-puto delle perdite introducendo importanti modifiche sulla loro deducibilità dal reddito da un punto di vista temporale e quantitativo.

Il provvedimento normativo risponde alle esigenze delle im-prese che, come evidenziato dalla relazione governativa al D.L. n. 98/2011, “uscendo da una crisi economico/finanziaria senza pre-cedenti, si trovino ad avere ingenti volumi di perdite pregresse che potrebbero non essere utilizzabili nell’arco di un quinquennio”. Per questo è stato soppresso il limite temporale al riporto in avanti delle perdite realizzate dopo i primi tre esercizi, eliminando di fatto la distinzione tra perdite “illimitatamente riportabili”, per-ché realizzate nei primi tre periodi d’imposta e perdite utiliz-zabili in cinque esercizi poiché realizzate nei periodi successivi al primo triennio, che avrebbero potuto non essere utilizzate per effetto della congiuntura sfavorevole. Il novellato articolo 84 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (di seguito TUIR) dispone infatti che tutte le perdite realizzate in uno qualsiasi dei periodi d’imposta dalla data di inizio dell’attività potranno essere riportate in avanti sine die e quindi anche oltre il limite quinquennale precedentemente previsto.

Per rispondere invece alle esigenze di cassa dell’Erario e per rispettare nel contempo gli impegni presi con l’Unione euro-pea (di seguito UE), il legislatore ha invece introdotto un limi-te quantitativo alla deducibilità delle perdite ragguagliato al reddito prodotto, prevedendo che il reddito imponibile di un esercizio possa essere “diminuito” dell’ammontare delle per-dite realizzate negli esercizi precedenti soltanto fino al limite massimo dell’80% del reddito stesso. Tuttavia, per mitigare la restrizione introdotta dalla norma è previsto che il “limite alla deducibilità” si applica soltanto per l’“utilizzo” delle perdite rea-

lizzate nei periodi d’imposta successivi al primo triennio dall’i-nizio dell’attività, rimanendo così illimitato nel quantum l’utiliz-zo delle perdite realizzate nei primi tre anni.

Si tratta pertanto di una norma che, a fronte dell’introduzione del beneficio dell’incondizionata riportabilità delle perdite nel tempo ne ha viceversa limitato l’utilizzo nella misura non supe-riore all’80% dei redditi prodotti negli anni successivi. Si dilata così per le imprese il tempo di “riassorbimento” delle perdite con un effetto finanziario negativo seppur tuttavia controbi-lanciato dalla possibilità di “utilizzare” integralmente le perdite sine die. Riguardo a questo, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti rileva che l’assenza di limiti temporali alla ri-portabilità delle perdite “consentirà una più serena valutazione in ordine all’iscrivibilità delle correlate imposte differite attive che non sarà più vincolata al periodo quinquennale di recupero” [2].

La stessa relazione al D.L. n. 98/2011 evidenzia altresì che l’intervento normativo risponde anche ad “un’esigenza di sem-plificazione: 1) evitando di costringere le imprese a porre in essere operazioni straordinarie volte allo scopo di ottenere un «refresh» delle perdite che giungono a scadenza, operazioni che di fatto vanificano la limitazione temporale al riporto; 2) limitando complessi esercizi di valutazione della recuperabilità delle stesse ai fini dell’iscrizione e/o mantenimento delle relative imposte differite durante il processo di formazione del bilancio di esercizio”.

Alla luce delle premesse riportate scendiamo in dettaglio nell’analisi della normativa per puntualizzarne gli aspetti più rilevanti.

2. L’ambito soggettivo di applicazione della nuova disciplinaSotto il profilo soggettivo, la nuova disciplina riguarda esclusi-vamente i soggetti passivi IRES e dunque:

◆ le società di capitali residenti, ossia le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e di mutua assicurazione, le società europee e le società cooperative europee residenti nel ter-ritorio dello Stato, di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) TUIR;

Diritto tributario italianoIl riporto delle perdite alla luce delle modifiche introdotte dalla Manovra correttiva 2011

Giuseppe PizzorniDottore Commercialista in Milano

Manuela FredianiDottore Commercialista in Lucca

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◆ gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trusts, residenti nel territorio dello Stato, che hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali, di cui all’articolo 73, comma 1, lettera b) TUIR;

◆ le società e enti di ogni tipo, compresi i trusts, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Sta-to, che esercitano attività commerciali nel territorio dello Stato mediante una stabile organizzazione, di cui all’artico-lo 73, comma 1, lettera d) TUIR.

La nuova normativa non si applica invece alle perdite realizzate dagli enti non commerciali, che poiché “assimilati” alle perso-ne fisiche in quanto a tassazione del loro reddito complessivo, non sono interessati dalle nuove disposizioni e continuano a dedurre le perdite dai redditi d’impresa conseguiti nel periodo e, per la differenza, in quelli successivi, ma non oltre il quinto. Ciò deriva dal fatto che, il legislatore ha modificato il primo e il secondo comma dell’articolo 84 TUIR, lasciando immutato il regime fiscale delle perdite d’impresa previsto dall’articolo 8 TUIR che riguarda la determinazione del reddito complessivo delle persone fisiche (e dei soggetti a queste “assimilate”), ap-plicabile anche agli enti non commerciali, per effetto del rinvio contenuto nell’articolo 143, comma 2, TUIR.

Nessuna novità è dunque prevista per le perdite derivanti dall’esercizio di imprese commerciali individuali e dalla parteci-pazione in società in nome collettivo e in accomandita semplice in regime di contabilità ordinaria che restano anch’esse scom-putabili dai redditi d’impresa conseguiti nel periodo d’imposta

e, per la differenza, in quelli successivi, ma non oltre il quinto, per l’intero importo che trova capienza in essi. Rimane altresì immutato anche il trattamento delle perdite conseguite dalle imprese in regime di contabilità semplificata e dagli esercenti arti e professioni. Tali perdite non sono riportabili nei successivi periodi di imposta, ma restano compensabili nell’ambito del reddito complessivo, anche se composto da redditi di catego-ria diversa da quella dei redditi d’impresa, del soggetto che le consegue, sia esso un imprenditore individuale o un esercente arte o professione, o a cui vengono imputate per trasparenza, come nel caso di una partecipazione in una società in nome collettivo o in una società in accomandita semplice.

3. L’ambito oggettivo del nuovo regime di “utilizzo” delle perditeCome puntualizzato in precedenza il nuovo regime di dedu-cibilità delle perdite ha subìto una limitazione quantitativa ragguagliata all’ammontare del reddito prodotto negli esercizi successivi. Soltanto l’80% dell’ammontare del reddito prodotto nell’esercizio può essere “abbattuto” dalla perdita conseguita negli esercizi precedenti ad eccezione delle perdite dei primi tre esercizi che invece non subiscono alcuna restrizione. L’articolo 84, comma 1, TUIR, nella sua nuova versione stabilisce, infatti, che “la perdita di un periodo d’imposta [...] può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammontare”. Ne deriva che le perdite conseguite dalle imprese potranno essere utilizzate all’infinito, fino alla cessazione dell’azienda, senza il pericolo che una gestione sfortunata dell’impresa possa im-pedire la loro recuperabilità, ma nei limiti di una quota pre-stabilita del reddito, fissata appunto dal legislatore nell’80%. Pertanto, a titolo semplicemente esplicativo, se la perdita pregressa è pari a 1’000 e il reddito imponibile è pari a 500, la società dovrà in ogni caso dichiarare un reddito pari a 100 (20% di 500), poiché le perdite pregresse da scomputare in di-minuzione del reddito assoggettato a tassazione nell’esercizio non possono eccedere l’80% di 500 (cioè 400), con una residua perdita riportabile in avanti ed utilizzabile senza alcun limite di tempo, pari a 600 (1’000 meno 400). Per i soggetti sotto-posti ad aliquota ordinaria IRES (attualmente pari al 27.5%), l’introduzione di tale limite quantitativo al riporto in avanti delle perdite comporterà che nei periodi d’imposta successivi, pur in presenza di un reddito inferiore alle perdite pregresse, la tassazione sarà pari al 5.5% del reddito realizzato. In termini di aliquote d’imposta significa che il 20% del 27.5% (aliquota IRES in vigore) sarà comunque il prelievo fiscale a cui l’impresa sarà soggetta anche in presenza di perdite fiscali riportabili più che capienti. In simili circostanze, si verifica dunque un’anticipazio-ne della tassazione che sarà recuperata negli anni successivi per effetto della sancita scomputabilità delle perdite anche ol-tre il limite quinquennale precedentemente previsto.

Le perdite realizzate possono essere dedotte dal reddito com-plessivo dei periodi d’imposta successivi, seppure nel limite dell’80%, “per l’intero importo che trova capienza in tale ammon-tare”. Di fatto, permane immutato il principio per cui il contri-buente non ha la libertà di decidere il quantum della compensa-zione poiché il reddito realizzato in uno degli esercizi successivi

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a quello in perdita deve necessariamente essere abbattuto per intero. Ne consegue che il contribuente può scegliere se av-valersi del riporto della perdita o meno ma una volta optato per l’utilizzo della stessa si deve necessariamente compensare tutto il reddito realizzato nell’esercizio in cui viene esercitata detta facoltà.

Occorre segnalare che è rimasta invariata anche la previsio-ne normativa secondo cui la perdita potrà “essere computata in diminuzione del reddito complessivo in misura tale che l’imposta corrispondente al reddito imponibile risulti compensata da eventuali crediti di imposta, ritenute alla fonte a titolo di acconto, versamen-ti in acconto e dalle eccedenze di cui all’articolo 80” dello stesso TUIR. Tale disposizione risponde, come è noto, all’esigenza di evitare che l’imposta corrispondente al reddito imponibile, as-sunto al netto dell’intera perdita riportabile, sia insufficiente a compensare i suindicati crediti, ritenute ed eccedenze, deter-minando, quindi, un rapporto di credito del contribuente nei confronti dell’Erario o un incremento di quello preesistente.

Il nuovo limite quantitativo al riporto in avanti delle perdite non fa venir meno quindi la possibilità di scomputare le perdite pregresse anche in misura inferiore all’80% del reddito realiz-zato, nei casi in cui l’imposta dovuta sul restante 20% del red-dito non risulti sufficiente ad assorbire i detti crediti, ritenute, versamenti ed eccedenze.

Riguardo all’utilizzo delle perdite è ragionevole ritenere che la nuova disciplina, come evidenziato anche nella citata Circola-re n. 24/IR del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, influenzerà i criteri di pianificazione dell’utilizzo delle perdite da parte delle imprese; in assenza di prescrizioni normative in merito alla priorità di utilizzo, i sog-getti interessati troveranno infatti ora più conveniente scom-putare dapprima le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta, che possono abbattere integralmente i redditi dei periodi successivi, e poi quelle realizzate dal quarto periodo in poi poiché utilizzabili soltanto entro il limite dell’80% dei red-diti dei periodi successivi, essendo entrambe utilizzabili sine die. La questione dell’ordine di utilizzo delle due tipologie di perdi-te ha sollecitato qualche riflessione in dottrina [3]. Non essen-do espressamente stabilito dalla norma un ordine di utilizzo nell’ambito delle due tipologie di perdite, si ritiene che la so-cietà possa liberamente stabilire quale delle due utilizzare per

prima. Al limite, si potrebbe valutare l’opportunità di utilizzare anche entrambe le tipologie [4].

Riguardo invece all’utilizzo delle perdite realizzate prima dell’entrata in vigore del nuovo testo, rimandiamo la neces-saria riflessione nel paragrafo sottostante dedicato al regime cosiddetto “transitorio”, puntualizzando fin d’ora che sarebbe d’aiuto alle imprese poter applicare la nuova normativa an-che alle perdite realizzate prima del periodo in corso al 6 luglio 2011, data di entrata in vigore del D.L. n. 98/2011, per non “perdere” la possibilità di compensare le perdite conseguite proprio in periodi di conclamata crisi economica.

4. La decorrenza e il regime transitorio Riguardo alla decorrenza della nuova disciplina, il comma 6 dell’articolo 23 del D.L. n. 98/2011 stabilisce espressamente che “in deroga all’articolo 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal periodo di imposta in corso alla data di entrata in vigore del presente decre-to”. Fermo restando quindi che il nuovo regime di riporto in avanti delle perdite si applica dal periodo di imposta in corso al 6 luglio 2011, non risulta chiaro, dal testo del D.L., se il nuo-vo regime abbia ad oggetto anche le perdite pregresse, ossia quelle maturate prima del periodo in corso al 6 luglio 2011 e ancora utilizzabili alla data di efficacia delle nuove disposizioni.

Al riguardo, la relazione governativa al provvedimento affer-ma che, “in assenza di un regime transitorio, il riporto delle perdite maturate prima dell’entrata in vigore della modifica normativa deve avvenire secondo le disposizioni dell’articolo 84 ante modifica”. In tal senso sembra orientata anche la relazione tecnica secondo cui “le perdite pregresse maturate nei periodi d’imposta precedenti a quello in corso mantengono il trattamento fiscale secondo la norma-tiva originaria per quanto riguarda i cinque esercizi di utilizzabilità”.

Tuttavia, è ragionevole ritenere che una siffatta interpretazio-ne sia in contrasto con la finalità della norma laddove la stessa relazione governativa afferma che le nuove disposizioni sono state introdotte per andare incontro alle esigenze delle imprese che, “uscendo da una crisi economico/finanziaria senza precedenti, si trovino ad avere ingenti volumi di perdite pregresse che potrebbero non essere utilizzabili nell’arco di un quinquennio”. In tal senso, la Circolare n. 53/E del 6 dicembre 2011 dell’Agen-zia delle Entrate ha chiarito che il nuovo regime “è applicabile anche alle perdite maturate nei periodi d’imposta anteriori a quel-lo di entrata in vigore delle disposizioni in commento. Trattasi, per i soggetti con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare, delle perdite risultanti alla fine del periodo d’imposta 2010”. Formano oggetto della nuova disciplina di cui all’articolo 84 TUIR per-tanto le perdite risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni in commento.

5. Il riporto delle perdite per i soggetti che esercitano attività con redditi detassati o utili esentiColoro che fruiscono di regimi di detassazione parziale o tota-le del reddito o degli utili, hanno subìto con la legge “finanziaria

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2007” una “stretta” al regime del riporto delle perdite. In via di principio è stata riconosciuta l’irrilevanza delle perdite realiz-zate a fronte di agevolazioni fiscali nella stessa misura in cui sono esclusi da imposizione i redditi o gli utili ad esse correlati. In pratica, a titolo meramente esemplificativo, se un’impresa risulta agevolata per effetto di norme speciali che esonerano componenti positivi di conto economico oppure che detas-sano quote di utili d’esercizio in funzione del loro accantona-mento a riserva, le eventuali perdite da questa maturate non saranno rilevanti ai fini del riporto per la parte corrisponden-te al “beneficio fiscale”. Con la modifica introdotta dal D.L. n. 98/2011 tale principio non dovrebbe essere stato modifica-to poiché la nuova normativa modifica le modalità con cui le perdite devono essere riportate in termini di percentuale sul reddito conseguito e di riportabilità nel tempo delle stesse e non incide sulla determinazione dell’ammontare della perdita riportabile. Viceversa, la legge “finanziaria 2007” ha introdotto un “limite” proprio alla determinazione dell’ammontare della perdita riportabile imponendo di abbattere il quantum fiscal-mente rilevante della perdita maturata, in corrispondenza dei presupposti di detassazione del reddito o degli utili. Pertanto, una volta determinata la perdita, dedotta della quota corri-spondente alle componenti positive non tassate o alla quota di utili accantonata a riserva, la stessa potrà essere computata in diminuzione del reddito dei periodi di imposta successivi nella misura stabilita dal novellato articolo 84 TUIR, soggiacendo quindi al limite di utilizzo in misura non superiore all’80% dei redditi realizzati nei periodi di imposta successivi.

6. Il riporto delle perdite nei regimi opzionali della “trasparenza fiscale” e del “consolidato fiscale nazionale”Il nuovo regime di riporto delle perdite introdotto dal D.L. n. 98/2011 deve essere coordinato anche con le peculiari dispo-sizioni in tema di perdite relative ai regimi opzionali della tra-sparenza delle società di capitali e del consolidato nazionale. A tal fine, è necessario distinguere tra perdite conseguite pri-ma dell’esercizio dell’opzione e perdite conseguite in costanza di opzione.

6.1. Le perdite antecedenti all’esercizio dell’opzionePer entrambi i regimi di “trasparenza fiscale” e “consolidato fiscale nazionale” è disposto che le perdite relative ai periodi d’imposta antecedenti l’opzione possono essere utilizzate solo dalle società cui esse si riferiscono, senza possibilità alcuna di trasferimento delle stesse sui risultati dei soci che hanno op-tato per la “trasparenza fiscale” o sull’imponibile del gruppo del “consolidato fiscale nazionale”. In entrambi i casi quindi le per-dite non sono trasferibili al soggetto che materialmente as-solve l’imposta, nella figura del socio ovvero della società con-solidante, ma restano nella disponibilità del soggetto che le ha generate. Di conseguenza, per effetto del novellato articolo 84 TUIR, il socio che partecipa ad un regime fiscale di “gruppo”, sia esso la “trasparenza fiscale” o il “consolidato fiscale naziona-le”, potrà riportare tali perdite solo in diminuzione dei propri redditi e con il nuovo limite dell’80% e dovrà dunque in ogni caso attribuire al “gruppo” almeno il 20% del reddito realizzato anche in presenza di perdite fiscali precedenti [5].

Tali conclusioni che appaiono più intuitive per quanto attiene al regime del “consolidato fiscale” sono valide anche per il re-gime della “trasparenza fiscale” in quanto, le perdite pregresse realizzate dalla società partecipata trasparente prima dell’in-gresso nella “trasparenza fiscale” possono essere scomputate dal reddito della società partecipata anche durante la “traspa-renza fiscale” con i limiti previsti dal nuovo articolo 84 TUIR. Poiché la perdita pregressa della partecipata trasparente che eccede il suo reddito non può essere trasferita ai soci traspa-renti, ci sarà dunque un reddito che la partecipata trasparente dovrà trasferire ai soci trasparenti stessi pari appunto al 20% del reddito realizzato dalla società trasparente anche in pre-senza di perdite pregresse scomputabili dal suo reddito.

6.2. Le perdite conseguite in costanza dell’opzioneCon riferimento alle perdite conseguite nel periodo di effica-cia dell’opzione per il regime di “trasparenza fiscale” o di “con-solidato fiscale nazionale”, il nuovo limite quantitativo al ri-porto delle perdite non dovrebbe invece trovare applicazione se riferito all’anno di formazione delle perdite stesse in quanto appare logico presumere che permanga la possibilità di inte-grale compensazione intersoggettiva dei redditi e delle perdi-te dei diversi soggetti aderenti alle due tipologie di tassazione di “gruppo”. Per quanto attiene invece alla quota riportabile della perdita realizzata nell’esercizio perché non “compensa-ta” dal gruppo occorre una distinzione tra i suddetti regimi.

Nella “trasparenza fiscale” interessata al regime delle perdite previsto dall’articolo 84 TUIR, le perdite fiscali della parteci-pata trasparente relative ai periodi in cui è efficace l’opzione, “sono imputate ai soci […] entro il limite della propria quota di patri-monio netto contabile della società partecipata” e, secondo quan-to previsto dal Decreto Ministeriale (di seguito D.M.) del 23 aprile 2004 all’articolo 7, comma 2, la quota eccedente tale limite può essere scomputata dai redditi successivi seguendo la disciplina dettata dall’articolo 84 TUIR. Di conseguenza, la perdita eccedente il patrimonio netto potrà essere portata in deduzione dei redditi della partecipata trasparente senza limiti di tempo, ma nel limite dell’80% del reddito [6].

Nel regime di “consolidato fiscale nazionale”, il reddito di un periodo d’imposta viene determinato unitariamente in capo alla società “controllante” come somma algebrica dei redditi complessivi netti delle società aderenti al “gruppo”. Pertanto, il trasferimento dei risultati di periodo delle singole società controllate deve essere integrale e non può in nessun caso subire decurtazioni. Viceversa, poiché in capo alla società controllante si forma il reddito del gruppo, ad essa compete anche il riporto a nuovo della eventuale perdita risultante dal-la somma algebrica degli imponibili delle singole società par-tecipate. Il D.M. del 9 giugno 2004 con l’articolo 9, comma 2, prevede che le perdite risultanti dalla dichiarazione dei redditi del “consolidato fiscale” possono essere portate in diminu-zione del reddito complessivo globale del gruppo secondo le modalità dell’articolo 84 TUIR, pertanto senza limiti di tempo e per l’80% del reddito.

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7. Il coordinamento tra il nuovo regime di riporto delle perdite e le altre materie specificheIl nuovo regime di riporto delle perdite necessita di riflessioni circa il collegamento tra tale disciplina e le altre specifiche materie.

7.1. La trasformazioneNell’ambito delle operazioni di “trasformazione” una rifles-sione circa il regime del riporto delle perdite può riguardare l’ipotesi di trasformazione da società di capitali a società di persone, la cosiddetta “trasformazione omogenea regressi-va”. In quest’ambito, ai sensi della Risoluzione n. 60/E del 16 maggio 2005, le perdite realizzate dalla società di capitali nei periodi d’imposta antecedenti alla trasformazione continuano ad essere riportabili secondo le regole ordinariamente stabilite per i soggetti IRES secondo la disciplina dell’articolo 84 TUIR. Le perdite della trasformata società di persone, già società di capitali, non possono essere imputate ai soci ma devono re-stare in capo alla società di persone trasformata. Tali perdi-te potranno quindi essere scomputate dai redditi dei periodi d’imposta successivi alla trasformazione nei limiti dell’80% del reddito e senza limiti temporali all’utilizzo.

7.2. La liquidazionePer quanto concerne il regime fiscale delle perdite di società di capitali in liquidazione, è necessario riflettere sull’impatto che il novellato articolo 84 TUIR avrà in termini di recuperabilità della perdita pregressa considerato che le perdite conseguite nel periodo d’imposta precedente la liquidazione risultano uti-lizzabili senza limiti di tempo ma nel limite dell’80% del reddito prodotto. In particolare, l’articolo 182, comma 3, TUIR stabi-lisce che “le perdite di esercizio anteriori all’inizio della liquidazione non compensate nel corso di questa ai sensi dell’articolo 84 sono am-messe in diminuzione in sede di conguaglio”; si ritiene pertanto che la perdita residuante al termine della liquidazione dell’impresa dovrebbe rimanere definitivamente inutilizzata a causa del li-mite quantitativo al suo utilizzo parametrato al reddito.

Sarebbe opportuno un chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate con riferimento al riporto delle perdite in sede di con-guaglio finale.

7.3. Il termine di decadenza per l’accertamento delle perdite ri-portate in avantiL’eliminazione per i soggetti IRES del vincolo temporale al ri-porto in avanti delle perdite ripropone con maggior vigore la questione se il termine di decadenza per la rettifica delle per-dite debba farsi decorrere dal periodo d’imposta in cui essa è originariamente indicata in dichiarazione o da quello nel quale è presentata la dichiarazione in cui la perdita stessa è material-mente utilizzata.

Al riguardo, la Sentenza della Commissione Tributaria Regio-nale del Veneto del 12 giugno 2007, n. 18, ha ritenuto che non è possibile “scindere il momento dell’utilizzo della perdita da quello della sua indicazione” in dichiarazione, pena un’inammissibile di-latazione dei termini di decadenza per l’accertamento. La per-dita andrebbe accertata con riferimento al periodo d’imposta in cui è stata determinata ed indicata in dichiarazione quale ri-portabile e non nel periodo in cui è stata utilizzata. Pertanto, gli accertamenti sulla perdita dovrebbero essere effettuati entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichia-razione relativa al periodo in cui si è generata e con riferimento al periodo d’imposta chiuso in perdita.

Si noti, comunque, che la Corte di Cassazione, nella Sentenza del 23 giugno 2010, n. 15178, in merito alla possibilità di retti-ficare le quote di ammortamento in presenza di contestazioni relative ai criteri utilizzati dal contribuente all’atto dell’origi-naria iscrizione del bene in bilancio, ha ritenuto che, fermo restando l’impossibilità di contestare la deduzione di spese effettuate in periodi d’imposta per i quali è intervenuta la de-cadenza del termine di accertamento, è possibile “la regolariz-zazione dei calcoli per le quote di ammortamento dei periodi succes-sivi” ancora aperti ad accertamento. Nel caso in esame però, la Corte di Cassazione trattava la rettifica di un componente di reddito di competenza dell’esercizio accertato, mentre la perdita riportata non è un componente del reddito dell’eser-cizio nel quale viene utilizzata. Sul punto sarebbe opportuno un intervento specifico.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.borsaforex.it/wp-content/uploads/2010/12/soldi.jpg [23.03.2012]

http://www.diritto24.ilsole24ore.com/content/law24/sistemaSocieta/tributario/novita/2012/01/deduzione-delle-perdite-dal-reddito-dimpre-sa/_jcr_content/immagine/file [23.03.2012]

http://www.investireoggi.it/fisco/files/2011/12/riporto-perdite.jpg [23.03.2012]

[1] Il D.L. del 6 luglio 2011, n. 98 è stato convertito con modificazioni dalla Legge del 15 luglio 2011, n. 111.[2] Circolare n. 24/IR del 14 settembre 2011 dell’I-stituto di Ricerca del Consiglio dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.[3] Cfr. Assonime, Circolare n. 33 del 22 dicembre 2011; Gaiani Luca, in: Il Sole 24 Ore, 1. febbraio 2012. [4] Secondo quanto chiarito dai tecnici dell’Ammi-nistrazione finanziaria durante l’incontro annuale

“Telefisco” 2012, il novellato articolo 84 TUIR non stabilisce alcun ordine di priorità nell’utilizzo delle perdite.[5] Per quanto concerne invece il regime di traspa-renza di cui all’articolo 116 TUIR rubricato “opzione per la trasparenza fiscale delle società a ristretta base azionaria”, il trattamento delle perdite conseguite dai soci anteriormente all’esercizio in cui la parte-cipata assume la veste di società trasparente non soggiace al novellato articolo 84 TUIR in quanto in tal caso si tratta di perdite di soggetti dell’Im-

posta sul Reddito delle Persone Fisiche (IRPEF) il cui regime, come anticipato in premessa, non ha subìto variazioni per effetto del D.L. n. 98/2011.[6] Sul punto anche la Circolare n. 24/IR del Con-siglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, evidenzia come “nella fattispecie siamo infatti in presenza di perdite di periodo che nes-suna modifica hanno subìto per effetto dell’articolo 23, comma 9, D.L. n. 98/2011”.

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7Diritto tributario internazionale e dell’UELa Svizzera all’esame del Global Forum in ma-teria di trasparenza e scambio di informazioni

1. IntroduzioneNell’ultimo triennio il tema dei “paradisi fiscali” (rectius delle “giurisdizioni non cooperative”) ha assunto un ruolo dominan-te nelle agende delle organizzazioni internazionali. In segui-to alla crisi economica e ai noti scandali finanziari recenti, la Comunità internazionale degli Stati ha dichiarato guerra alle giurisdizioni ritrose alla disclosure in materia tributaria e ha im-plementato un piano strategico volto a diffondere il cosiddetto standard internazionale in materia di trasparenza e di scambio di informazioni.

In occasione del G20 svoltosi a Londra il 2 aprile 2009, i venti Grandi del mondo richiesero al Segretariato Generale dell’OC-SE un Rapporto aggiornato sulle giurisdizioni monitorate dal Global Forum in relazione allo stadio di implementazione dello standard internazionale in materia di trasparenza e scambio di informazioni. Nello stesso giorno, l’OCSE pubblicò una lista [1], che distingueva ottantaquattro Paesi nei seguenti quattro gruppi:

a) le giurisdizioni che hanno sostanzialmente implementato lo standard;

b) i “paradisi fiscali” che si sono impegnati, ma che non hanno ancora sostanzialmente implementato lo standard;

c) gli altri centri finanziari che si sono impegnati, ma che non hanno ancora sostanzialmente implementato lo standard; e

d) le giurisdizioni che non si sono impegnate ad implementa-re lo standard.

2. Lo standard internazionale in materia di trasparenza e scambio di informazioniLo standard internazionale è contenuto nell’articolo 26 del Mo-dello di Convenzione OCSE nella versione del 2005 e nel Model Agreement on Exchange of Information on Tax Matters del 2002, e dovrebbe opportunamente bilanciare la tutela della privacy e la necessità di ogni Stato di applicare correttamente la propria legislazione fiscale.

Al fine di inquadrare correttamente il contenuto dello standard, è opportuno esaminare brevemente il significato di “traspa-renza” e quello di “scambio di informazioni”.

Il termine “trasparenza” si riferisce alle regole derivanti dal tes-suto normativo e amministrativo di uno Stato e tiene conto della possibilità di un contribuente di beneficiare di accordi segreti o di qualsiasi altra forma di negoziazione dell’imposta con l’autorità fiscale (sia con riguardo all’aliquota che alla base imponibile). Così, un sistema fiscale è considerato trasparente se impone che i bilanci societari siano redatti secondo principi contabili generalmente accettati e che siano sottoposti a ve-rifica. La trasparenza, inoltre, richiede che le autorità abbiano accesso alle informazioni sull’identità dei beneficiari effettivi di ogni entità, oltre che l’accesso alle informazioni bancarie. In altre parole, la trasparenza si pone in un rapporto di stretta funzionalità con quello dello scambio di informazioni, atteso che queste ultime, per essere scambiate, presuppongono che prima siano disponibili e ottenibili dall’autorità competente dello Stato richiesto.

Lo “scambio di informazioni”, invece, si riferisce all’effettiva condivisione tra Stati delle informazioni, che sono state pre-viamente raccolte in base alla trasparenza. Esso è finalizzato alla corretta applicazione della normativa fiscale di uno Stato, oltre che a prevenire l’evasione.

Sulla base dei criteri della trasparenza e dello scambio di infor-mazioni sopra menzionati, lo standard internazionale è stato sviluppato e affinato nel contesto del Global Forum ed esige:

Sebastiano GarufiAvvocato fiscalista, Talenture Advisory SA, LuganoDottore di ricerca in diritto internazionale dell’economiaDocente di diritto tributario, Università Bocconi, Milano

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8 Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

a) lo scambio di informazioni su richiesta, quando esse siano “verosimilmente pertinenti” per applicare le disposizioni della convenzione o per l’amministrazione o l’applicazione delle leggi interne degli Stati contraenti;

b) l’assenza di qualsivoglia restrizione a tale scambio dovuta al segreto bancario, al requisito del cosiddetto “domestic tax interest” o alla clausola della “doppia incriminazione” (“dual cri-minality clause”);

c) la disponibilità di informazioni affidabili (con particolare ri-guardo alle informazioni bancarie e contabili, alla proprietà e all’identità dei beneficiari) e il potere di ottenere e fornire dette informazioni in risposta ad una specifica richiesta in modo tempestivo; e

d) la tutela dei diritti del contribuente e la protezione della confidenzialità dell’informazione scambiata.

Più nello specifico, le caratteristiche testé citate sono state più dettagliatamente identificate con dieci elementi essenziali, raggruppati nelle seguenti tre categorie [2]:

a) disponibilità dell’informazione;b) accesso all’informazione; ec) scambio di informazioni.

La prima esige che (i.e. la disponibilità dell’informazione):

◆ la giurisdizione consenta all’autorità competente di dispor-re di informazioni sull’assetto proprietario e sull’identità di qualsiasi ente e contratto (società e trust);

◆ sia assicurato che ogni entità e contratto osservino un ob-bligo di tenuta di scritture contabili affidabili; e

◆ l’informazione bancaria sia disponibile in relazione ad ogni correntista.

La seconda categoria richiede che (i.e. l’accesso all’informazione):

◆ le autorità competenti abbiano il potere di ottenere e for-nire le informazioni, che venissero richieste in base ad una convenzione, da parte di ogni soggetto che sia stabilito en-tro la sua giurisdizione e che disponga ovvero abbia il con-trollo di tali informazioni; e

◆ i diritti e la tutela dei soggetti nello Stato richiesto siano compatibili con lo scambio di informazioni effettivo.

Infine, l’ultimo gruppo di elementi richiede che (i.e. lo scambio di informazioni):

◆ i meccanismi di scambio di informazioni siano effettivi;◆ la rete di trattati per lo scambio di informazioni includa tut-

ti i cosiddetti “relevant partners”;◆ i meccanismi dello scambio contengano delle disposizioni

adeguate a garantire la confidenzialità dell’informazione ricevuta;

◆ detti meccanismi rispettino i diritti del contribuente e di terzi; e, da ultimo,

◆ l’informazione sia scambiata tempestivamente.

Al momento della pubblicazione della lista nera dell’OCSE nell’aprile 2009, lo standard si considerava implementato se lo Stato considerato avesse concluso un minimo di dodici accordi

internazionali sullo scambio di informazioni. Oggi, invece, det-to criterio è stato superato e la valutazione sull’effettiva imple-mentazione dello standard guarda sia all’identità dell’altro Stato contraente (i.e. i cosiddetti “relevant partners”), sia alla volontà della giurisdizione di continuare a concludere siffatti trattati.

3. Il processo di Peer ReviewIn occasione dell’importante riunione del Global Forum svolta-si in Messico nel settembre 2009, la Comunità internazionale degli Stati decise di stabilire un approfondito processo di Peer Review (revisione paritaria) per monitorare e valutare i pro-gressi compiuti nell’ambito della trasparenza e dello scambio di informazioni, e di individuare dei meccanismi volti ad acce-lerare la negoziazione e la conclusione di accordi per lo scam-bio di informazioni.

Attualmente il Global Forum comprende centocinque Stati e in-clude i membri del G20, tutti gli Stati aderenti all’OCSE, oltre che tutti i principali centri finanziari. Alcune importanti orga-nizzazioni internazionali vi prendono parte in qualità di osser-vatrici. Esso ha il compito di promuovere l’implementazione rapida ed effettiva dello standard internazionale per mezzo del procedimento di revisione paritaria, su cui si dirà a breve, e di-spone di un Segretariato all’interno del Centre for Tax Policy and Administration dell’OCSE, a cui sono affidati i compiti tecnici di definizione della metodologia e dei criteri di valutazione. Un Gruppo Direttivo (Steering Group) composto da quindici mem-bri dirige i lavori e interagisce tra i membri del Global Forum, e il Peer Review Group, composto da trenta membri, esegue il processo di esame degli Stati e ne adotta i Rapporti finali.

Il processo di revisione si compone di due fasi:

◆ la Fase 1 (che di norma è svolta in circa venti settimane) è volta a esaminare il contesto giuridico (legislazione interna e convenzioni internazionali) e la prassi vigente nello Stato sottoposto ad esame e a verificare se lo standard sia imple-mentato;

◆ la Fase 2 (che si svolge nell’arco di circa ventisei settima-ne), invece, mira a verificare l’applicazione dello standard in concreto e, dunque, sulla base dei dieci elementi sopra in-dividuati che compongono detto standard e riscontrati nella Fase 1, l’operatività nella pratica dello scambio di informa-zioni.

Il procedimento di reviewing è svolto da due esaminatori indi-pendenti, coordinati da un membro del Segretariato del Global Forum, i quali al termine di ciascuno stadio riassumono in un documento gli esiti del processo di verifica e indirizzano al-cune raccomandazioni per i miglioramenti e gli adeguamenti necessari. Detto documento è presentato dal Segretariato a tutti i trenta membri del Peer Review Group almeno cinque set-timane prima della riunione fissata per i commenti. La proce-dura di approvazione può avvenire in forma scritta o orale. In ogni caso, una volta approvato, il Rapporto degli esaminatori diviene il Rapporto definitivo del Peer Review Group e potrà es-sere trasmesso al Global Forum, per l’approvazione scritta da parte di quest’ultimo. Al fine di garantire la parità degli Sta-ti, il processo decisionale è fondato sul principio del “consenso

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meno uno”, in modo che il singolo Stato dissenziente non possa bloccare la decisione finale e l’approvazione del Rapporto. Se quest’ultimo si conclude con un giudizio negativo, la giurisdi-zione esaminata non potrà accedere alla fase successiva e do-vrà apportare le opportune modifiche legislative ai fini di una verifica successiva.

4. Il Rapporto della SvizzeraNel mese di giugno 2011 è stato pubblicato il Rapporto del Peer Review Group contenente i risultati della Fase 1 del pro-cesso di verifica della Svizzera [3]. La Confederazione elvetica ha conseguito dei miglioramenti significativi negli ultimi tre anni in materia di trasparenza e scambio di informazioni. A partire dalla ormai storica data del 13 marzo 2009, in cui la Svizzera ha ritirato la propria riserva all’articolo 26 del Model-lo di Convenzione OCSE, sono stati conclusi dei nuovi accor-di internazionali che consentono lo scambio di informazioni su richiesta, facendo breccia nel segreto bancario elvetico, da sempre impenetrabile.

L’analisi degli esperti, che si basa sulle norme vigenti nel mese di marzo 2011, si compone di più parti. Dapprima delinea le caratteristiche principali del sistema giuridico elvetico, con particolare riguardo al diritto societario e al diritto tributario. Successivamente l’esame si concentra sulla verifica dell’imple-mentazione dello standard internazionale, alla luce degli ele-menti di cui esso si compone e di cui si è detto in precedenza.

Più nello specifico, con riferimento alla disponibilità delle in-formazioni, il Rapporto rileva che la legislazione elvetica non consente pienamente l’identificazione dei beneficiari finali di talune entità societarie, atteso che il diritto societario ammet-te la costituzione di società con azioni al portatore. Inoltre, malgrado esista un obbligo di iscrizione al Registro di Com-mercio pressoché generalizzato in capo a qualsiasi entità che eserciti un’attività commerciale, le succursali di società estere non sono tenute in sede di iscrizione a fornire informazioni sulla composizione della compagine proprietaria, ancorché tale obbligo possa essere previsto nello Stato estero ove ha sede la casa madre.

Nessun rimprovero, invece, è mosso in relazione all’obbligo di tenuta di scritture contabili affidabili e di identificazione dei beneficiari dei conti bancari, in ottemperanza alla legislazione sull’antiriciclaggio. In relazione a tali due elementi, pertanto, lo

standard internazionale può considerarsi implementato, ma gli esperti auspicano la pronta adozione di misure di identifica-zione dei proprietari degli eventuali conti anonimi ancora oggi esistenti, seppure ormai proibiti ed in via di estinzione.

Con riguardo al secondo elemento che compone lo standard internazionale (i.e. l’accesso all’informazione), a giudizio degli esperti lo standard può considerarsi implementato, sebbene si-ano richiesti dei miglioramenti. Il potere dell’Amministrazione federale delle contribuzioni (di seguito AFC) di accedere alle informazioni oggetto di scambio internazionale si applica uni-camente alle fattispecie che ricadono nelle disposizioni delle nuove convenzioni internazionali concluse dopo il 1. ottobre 2010. Solo in questi trattati, infatti, la formulazione dell’arti-colo 26 è conforme all’attuale versione del Modello OCSE e in virtù del primato del diritto internazionale sul diritto interno è possibile derogare al segreto bancario per scambiare infor-mazioni con lo Stato richiedente. Le convenzioni precedenti alla predetta data, invece, non ammettono lo scambio (salve le ipotesi di frode, su cui non ci si soffermerà in questa sede) e, dunque, a giudizio del Global Forum, diventa indispensabile intavolare dei nuovi negoziati per adeguarle allo standard. A tal proposito giova evidenziare brevemente che le nuove conven-zioni contro le doppie imposizioni prevedono espressamente l’impossibilità di declinare una richiesta di scambio di informa-zioni eccependo allo Stato richiedente l’esistenza del segreto bancario. Analogamente, non è possibile opporre l’obbligo di confidenzialità nel quadro dell’Accordo sulla fiscalità del ri-sparmio con l’UE e in quello anti-frode.

Perplessità da parte degli esperti si registrano anche con rife-rimento alla tutela dei diritti dei contribuenti. L’Ordinanza del Consiglio federale del 1. settembre 2010 sull’assistenza am-ministrativa, infatti, prevede, inter alia, l’obbligo per l’Autorità elvetica di notificare all’interessato l’avvenuta ricezione di una richiesta di informazioni dall’estero e disciplina la possibilità di presentare eventuale ricorso. Sempre a parere degli esami-natori indipendenti, un siffatto grado di tutela dei diritti dei contribuenti rischierebbe di ritardare il flusso internazionale di dati, in quanto il ricorso dell’interessato produrrebbe un ef-fetto sospensivo sullo scambio. Sembra, quindi, che l’esigenza delle amministrazioni estere di ottenere i dati richiesti entro breve si senta quasi minata dalla proverbiale efficienza elvetica nel portare a termine gli iter procedimentali interni a tutela del diritto dei singoli. Anche in questo caso, dunque, gli esperti del Global Forum esigono dei miglioramenti.

Quanto all’ultimo elemento che compone lo standard (i.e. lo scambio di informazioni), i verificatori ne ritengono ineccepi-bile l’implementazione con riferimento alla confidenzialità di trattamento dell’informazione scambiata, alla tutela del con-tribuente e alla tempestività dello scambio. Si richiedono, tut-tavia, da un lato, un’intensificazione del network di trattati con i “relevant partners”, e dall’altro un decisivo miglioramento dei meccanismi di scambio di informazione. Con specifico riguar-do a quest’ultimo aspetto, infatti, lo standard non si considera adeguato, in quanto gli obblighi di identificazione del contri-buente e del detentore dell’informazione oggetto di scambio previsti dalla normativa elvetica per dar seguito ad una richie-sta internazionale sembrerebbero troppo stringenti.

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10 Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

5. Considerazioni conclusiveMalgrado l’indubbia importanza che i principi di trasparenza e scambio di informazioni rivestono nell’ambito del diritto in-ternazionale tributario e malgrado questi sembrino essere di-venuti dei veri e propri valori fiscali etici in seno alla comunità internazionale, esistono alcune perplessità sulle modalità con cui si sta imponendo la loro diffusione.

In primo luogo, non bisogna dimenticare che non esiste un principio di diritto internazionale che impone un obbligo di co-operazione in capo agli Stati in ambito tributario. Il diritto in-ternazionale consuetudinario, infatti, non consente agli Stati di interferire nella reciproca sfera territoriale, salvo che non vi sia comune accordo in tal senso. Analogamente, gli Stati non pos-sono accertare o riscuotere i propri crediti tributari in giurisdi-zioni estere, a meno che non vi sia il consenso dell’altro Stato.

Così, in assenza di un obbligo di diritto internazionale (cosid-detto “hard law”), gli Stati più ricchi e più influenti sono ricor-si alla forte pressione politica e a quelli che nell’ordinamento internazionale vengono chiamati strumenti di “soft law”. Liste nere e Rapporti di organizzazioni internazionali, pur se privi di efficacia giuridicamente vincolante, hanno un alto valore politico e favoriscono il conseguimento di obiettivi precisi: lo Stato che non si adegua allo standard è relegato in una lista di “cattivi” e mette la propria reputazione a rischio.

Pertanto, in mancanza di meccanismi giuridicamente vin-colanti, la scelta dello strumento della revisione paritaria per pretendere il rispetto dello standard internazionale non è certo casuale. Il processo di Peer Review non ha carattere giurisdi-zionale, ma si basa su un sistema di sorveglianza multilaterale. Esso, infatti, consiste nell’analisi e nella valutazione sistematica di uno Stato ad opera di altri Stati ed è volto ad indurre lo Stato esaminato ad adeguare il proprio comportamento alle regole e ai principi stabiliti dagli altri Stati o dall’organizzazione in-ternazionale in questione. L’esame è eseguito periodicamente da alcuni Stati identificati come esaminatori sulla base di un sistema a rotazione. Tuttavia, il meccanismo avrebbe un punto di debolezza principale. Gli esaminatori non dovrebbero essere influenzati da interessi nazionali, ma poiché essi agiscono in realtà come rappresentanti ufficiali dei loro Stati, rischiano di compromettere la credibilità dello strumento. In questo senso, non si può fare a meno di notare che in seno al Global Forum vi è una preminenza di Stati membri dell’OCSE e di noti cen-tri finanziari (specie nella ripartizione delle cariche direttive) a scapito, per esempio, dei Paesi in via di sviluppo, dei Paesi dell’ex Unione Sovietica o del Medio-Oriente.

La pubblicità dei risultati del processo di valutazione e l’ampia eco che questi hanno sulla stampa internazionale inducono lo Stato “inadempiente” ad assumere un comportamento “vir-tuoso”, adeguandosi così ai valori “comuni”.

È, inoltre, possibile notare che malgrado le regole e le procedu-re di verifica del Global Forum mirino a garantire un trattamen-to paritario degli Stati, i risultati del processo valutativo dei pari conduce, invero, a risultati “diseguali”. Tutto il progetto, in-fatti, poggia su un falso bilateralismo per la seguente ragione:

un trattato che prevede lo scambio di informazioni dovrebbe essere un “contratto”, ai cui sensi le parti accettano di stabilire obbligazioni reciproche a fronte delle quali avranno mutui be-nefici. Se si considerano, da un lato, le giurisdizioni a fiscalità elevata e, dall’altro, le giurisdizioni non cooperative, è evidente che non sussiste un interesse reciproco a scambiare le infor-mazioni. Un “paradiso fiscale” non solo, con tutta probabilità, non ritrarrà alcuna utilità dal rivolgere una richiesta di infor-mazioni all’altro Stato contraente, ma dovrà anche necessa-riamente assecondare le richieste delle giurisdizioni più “rile-vanti” per evitare di essere relegato in una lista nera.

Un aspetto che sembra non ricevere adeguata e approfondi-ta attenzione da parte del Global Forum è il tema della tutela dei contribuenti. Sebbene lo standard contempli la protezio-ne dei dati e la confidenzialità delle informazioni scambiate, non è sufficientemente affrontata la questione di come ac-cordare tale tutela in concreto. L’attuale strumento di scam-bio contemplato dallo standard stabilisce obblighi reciproci per le (e nel solo interesse delle) autorità competenti, mentre al contribuente non è consentito opporsi. È indicativo a questo proposito il “rimprovero” mosso alla Confederazione elvetica nel Rapporto, atteso che a giudizio dei pari la tutela accorda-ta ai contribuenti ai quali si chiedono le informazioni (e di cui nei documenti ufficiali del Global Forum nulla si dice nel detta-glio) sarebbe quasi eccessiva. Se si considera che gli obblighi di raccolta, conservazione e trasmissione dei dati oggetto di scambio internazionale gravano di fatto sui contribuenti, che dovranno poi fornirli alle proprie autorità competenti affinché queste possano procedere allo scambio, un (seppur minimo) coinvolgimento del settore privato in seno al Global Forum sa-rebbe forse stato opportuno.

In conclusione al presente contributo, vorrei richiamare un interessante e recente studio condotto dal professor Jason C. Sharman [4], che descrive i suoi tentativi di costituire dei vei-coli societari anonimi e di aprire poi un conto bancario per tali entità in ventidue giurisdizioni, senza mai fornire documen-ti di identità. Dei cinquantaquattro professionisti contattati dall’Autore per l’esperimento, quarantacinque hanno risposto presentando un’offerta alle sue richieste. Di questi, ben dicias-sette hanno proposto di costituire un veicolo societario ano-nimo. Tredici di essi erano stabiliti in Stati membri dell’OCSE, mentre soltanto quattro negli Stati tradizionalmente defini-

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[1] La lista è disponibile al seguente link: http://www.oecd.org/dataoecd/38/14/42497950.pdf [23.03.2012].[2] Per maggiori approfondimenti si veda il più recente Progress Report del Global Forum del 15 di-cembre 2011, disponibile al seguente link: http://www.oecd.org/dataoecd/32/45/43757434.pdf [23.03.2012].

[3] Il relativo Rapporto del Peer Review Group sulla Svizzera è disponibile integralmente al se-guente link: http://www.keepeek.com/Digital- Asset-Management/oecd/taxation/global-fo-rum-on-transparency-and-exchange-of-infor-mation-for-tax-purposes-peer-reviews-switzer-land-2011_9789264114661-en [23.03.2012].[4] Sharman Jason C., Shopping for Anonymous

Shell Companies: An Audit Study of Anonymity and Crime in the International Financial System, in: Journal of Economic Perspective, volume n. 24, 4/2010, pagine 127-140.

ti “tax havens”. L’apertura di un conto bancario per un veicolo anonimo si è, invece, rivelata molto più ardua. Le risposte a tale richiesta, sempre senza fornire documenti, sono state positive soltanto in cinque casi.

La ricerca condotta dimostra che il grado di aderenza allo standard internazionale riscontrato nello studio è significa-tivamente basso. È vero che attualmente i lavori del Global Forum sono volti ad accertare il grado di adesione allo standard da parte di tutti gli Stati e si attenderà la fine dei lavori per valutarlo in concreto. Eppure, la ricerca del professor Jason C. Sharman dimostrerebbe che, nella pratica, isolette e centri offshore hanno standard di trasparenza societaria e divulga-zione dei dati molto più rigorosi dei maggiori Stati membri dell’OCSE, e cioè Regno Unito e Stati Uniti.

Elenco delle fonti fotografiche:http://www.conviva-plus.ch/images/content/Schweiz.jpg [23.03.2012]

http://topnews.in/law/files/oecd-71018283-small.jpg [23.03.2012]

http://www.danielestulin.com/wp-content/uploads/crisis_mundial.jpg [23.03.2012]

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12 IVA e imposte indiretteLe tasse di bollo sui premi d’assicurazione

L’agevolazione fiscale nell’ambito della previdenza in-dividuale è ancorata nella Costituzione federale. Negli ultimi tempi però, il privilegio fiscale è stato continua-mente messo in questione se non addirittura parzial-mente “smantellato”

1. IntroduzioneLe tasse di bollo federali sono tributi riscossi dalla Confede-razione su determinate operazioni nell’ambito della circola-zione giuridica. Tre sono i tipi di tasse di bollo:

◆ la tassa d’emissione, che colpisce l’emissione di titoli di partecipazione svizzeri come, ad esempio, azioni, obbli-gazioni o titoli del mercato monetario,

◆ la tassa di negoziazione sulla compravendita di titoli sviz-zeri ed esteri, e

◆ la tassa sui premi di determinate assicurazioni.

La tassa sui premi d’assicurazione ha per oggetto i paga-menti di premi per l’assicurazione di responsabilità civile, l’assicurazione contro l’incendio, l’assicurazione casco e l’as-sicurazione economia domestica. La tassa è calcolata sul premio d’assicurazione e ammonta di regola al 5%.

In questo breve contributo si cercherà di fornire una visio-ne generale sulle tasse di bollo riscosse sui premi di assicu-razione, tenendo in considerazione anche la Circolare n. 33 dell’AFC del 4 febbraio 2011.

2. La tassa di bollo sui premi d’assicurazione vitaL’articolo 132 della Costituzione federale (di seguito Cost.) prevede la competenza della Confederazione in materia di riscossione delle tasse di bollo, anche se tale tassa viene menzionata esplicitamente sulle ricevute dei premi di assi-curazione. Fino al 1973 i premi dell’assicurazione sulla vita erano già soggetti alla tassa di bollo. Nel quadro della revi-sione globale della Legge federale sulle tasse di bollo (di se-guito LTB), nel 1973 i premi dell’assicurazione vita sono stati esentati dall’imposta, affinché la previdenza privata (3° pila-stro) beneficiasse di agevolazioni fiscali così come richiesto

espressamente alla Confederazione nell’articolo 111 capo-verso 4 Cost.

Nella sessione autunnale 1997, in relazione con la revisione dell’imposizione delle imprese, il Parlamento ha deciso di reintrodurre la tassa di bollo su assicurazioni a premio unico. La tassa di bollo sui premi per l’assicurazione sulla vita riscat-tabile viene riscossa su assicurazioni con inizio contrattuale dopo il 31 marzo 1998 e ammonta al 2.5%.

3. I punti salientiQui di seguito sono riassunti brevemente gli aspetti più im-portanti della tassa di bollo su assicurazioni vita.

◆ La tassa di bollo viene riscossa su assicurazioni vita riscat-tabili. Sono considerate assicurazioni sulla vita riscattabi-li, ai sensi della LTB, le assicurazioni per le quali è certa la realizzazione dell’evento assicurato. Tra queste rientrano segnatamente le assicurazioni miste, assicurazioni legate a fondi d’investimento, assicurazioni legate ad un indice, assicurazioni vita intera in caso di decesso, rendite vitalizie con rimborso dei premi come pure le assicurazioni vita con tenuta separata di conto/deposito (i cosiddetti “insurance wrapper”). È irrilevante se il contratto è stato stipulato in franchi svizzeri oppure in valuta estera. Sono assoggettate alla tassa di bollo le assicurazioni a premio unico, ma anche determinate assicurazioni finanziate a premi periodici.

◆ Non soggiacciono alla tassa i pagamenti di premi per assi-curazioni sulla vita non riscattabili o riscattabili con paga-mento periodico dei premi. Secondo la LTB sono conside-

Matthias BlättlerResponsabile previdenzaindividuale e collettiva presso Vaudoise Assicurazioni (Regione Ticino)Dipl. in fondi d’investimento IAF

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13Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

rate a pagamento periodico dei premi le assicurazioni che durante la durata complessiva del contratto sono finanzia-te con premi annui essenzialmente dello stesso importo. Tra queste rientrano anche:

- le assicurazioni i cui premi crescono regolarmente,- le assicurazioni con premi indicizzati,- le assicurazioni per le quali il più elevato dei premi annui

convenuto per i primi cinque anni della durata del con-tratto supera il più basso di non oltre il 20%,

- le assicurazioni vita intera con pagamento dei premi ridotto.

In particolare non vi è pagamento periodico dei premi se:

- la durata contrattuale è inferiore a cinque anni, oppure- nonostante il pagamento periodico dei premi convenu-

to contrattualmente, nei primi cinque anni di durata del contratto non sono pagati i relativi premi annui, eccetto che (i) l’obbligo di pagare i premi si estingue a causa di morte o invalidità della persona assicurata, (ii) il valore della liquidazione (valore di riscatto comprese tutte le partecipazioni alle eccedenze) sia inferiore alla somma dei premi pagati.

◆ Non sono soggette alla tassa di bollo:- le assicurazioni del 2° pilastro,- del 3° pilastro A,- di contraenti domiciliati all’estero (ad eccezione del

Principato del Liechtenstein [1]).

◆ Per l’assoggettamento alla tassa di bollo il contraente deve avere il proprio domicilio o la propria dimora permanente oppure la propria sede legale o statutaria in Svizzera o nel Principato del Liechtenstein.

◆ La tassa di bollo subentra anche quando viene concluso un contratto d’assicurazione con un assicuratore domiciliato all’estero. In conformità alla LTB il contraente, con domici-lio o propria dimora in Svizzera, sottostà alla tassa di bollo. Egli deve versare l’imposta nell’ambito di un’autodichiara-zione all’AFC.

Nel caso in cui, nel corso della durata assicurativa, si dovessero manifestare delle modifiche o aggiunte al contratto assicura-tivo è fondamentale tenere in considerazione quanto segue:

◆ per quanto riguarda i premi per soluzioni previdenziali ri-scattabili occorre distinguere tra premi periodici e premi facoltativi o flessibili il cui pagamento non può essere sol-lecitato dall’assicuratore; di conseguenza i premi flessibili nell’ottica della LTB sono considerati dei premi unici. I premi periodici vanno versati periodicamente e secondo i piani nel corso dell’intera durata del contratto. Sussiste un pre-mio unico se il premio è versato in una sola volta alla con-clusione dell’assicurazione. Sono considerati premi unici anche quei premi versati nel corso della durata del contrat-to, che non corrispondono chiaramente a premi periodici e secondo i piani [2]. Ciò significa che i versamenti integrativi nel pilastro 3B soggiacciono sempre alla tassa di bollo.

In relazione alle modifiche contrattuali inerenti la scadenza e l’estinzione dell’assicurazione, se la prestazione assicurata vie-ne utilizzata quale premio unico per il finanziamento di una nuova soluzione assicurativa, occorre versare la tassa di bollo. È irrilevante se la prestazione assicurata venga accreditata, compensata o versata.

Se l’assicurazione viene “trasformata” prima della scadenza contrattuale, trasferendo il valore d’imputazione in una nuova assicurazione sulla vita riscattabile, tale valore è assoggettato alla tassa di bollo, in particolare nei seguenti casi quale premio unico:

◆ modifica del tipo di rischio;◆ trasformazione dell’assicurazione di capitale in un’assicu-

razione di rendite;◆ trasformazione dell’assicurazione di rendite in un’assicura-

zione di capitale;◆ cambiamento della persona assicurata.

Nel caso in cui un contratto di previdenza vincolata (pilastro 3A) è sciolto, a condizione che siano soddisfatte le premesse in virtù dell’articolo 3 dell’Ordinanza sulla legittimazione alle de-duzioni fiscali per i contributi a forme di previdenza riconosciu-te (OPP 3), per un versamento della prestazione di vecchiaia, e continuato sotto forma di un nuovo contratto d’assicurazione nell’ambito della previdenza libera (pilastro 3B), il valore d’im-putazione viene apportato nella nuova assicurazione come premio unico. Si tratta di due differenti contratti d’assicurazio-ne e per la nuova soluzione è considerato quale premio unico in base alla regolamentazione sulla tassa di bollo.

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14 Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

(*) eccetto quando l’assicurazione è conclusa da un contraen-te domiciliato all’estero

5. ConclusioneNel dicembre 2009 fu depositata al Consiglio degli Stati una mozione per la soppressione graduale della tassa di bollo, mo-tivata dal fatto che la tassa è un grosso svantaggio in termini di competitività della piazza finanziaria svizzera, che non frena solo il settore finanziario, bensì l’intera economia nazionale [3]. Per quanto concerne la tassa di bollo sui premi di assicura-zione non era posta in primo piano la soppressione integrale, bensì una riforma mirata.

L’AFC ha valutato la soppressione della tassa e ha pubblicato uno studio in cui le differenti tasse di bollo sono state giudicate in funzione delle loro ripercussioni sull’attrattiva della piazza finanziaria e sull’efficienza. Lo studio indica, tramite due va-rianti, il modo e i tempi entro cui le tasse di bollo potrebbero essere soppresse e il controfinanziamento delle relative per-dite di gettito. Per dovere di cronaca va considerato che dal 2002 le entrate annue della Confederazione a titolo di tassa di bollo variano dai 2.6 ai 3 miliardi di franchi, di cui oltre la metà è fornita dalla tassa di negoziazione; il resto è generato pres-soché in egual misura dalle altre tasse.

Per maggiori informazioni:AFC, Tasse di bollo sui premi di assicurazione, Circolare n. 33, Berna, 4 feb-braio 2011, in:http://www.estv.admin.ch/bundessteuer/dokumentation/00242/ 00380/index.html?lang=it&download=NHzLpZig7t,lnp6I0NTU042l2Z6ln1ah2oZn4Z2qZpnO2Yuq2Z6gpJCDeHx4gGym162dpYbUzd,Gpd6emK2Oz9aGodetmqaN19XI2IdvoaCUZ,s- [23.03.2012]

Elenco delle fonti fotografiche:http://w w w.vorsorgeexper ten.ch/uploads/pics/geld_5_02. jpg [23.03.2012]

http://www.handelszeitung.ch/sites/handelszeitung.ch/files/imageca-che/content-leadimage/lead_image/bundeshaus_0.jpg [23.03.2012]

[1] In base al Trattato d’unione doganale tra la Svizzera e il Principato del Liechtenstein, quest’ul-timo Stato va considerato come Svizzera ai sensi della LTB. Ciò significa che per quanto riguarda la tassa di bollo il Principato del Liechtenstein è equiparato alla Svizzera.[2] Per esempio premio annuo previsto, versa-menti integrativi, incorporamento di premi di ri-sparmio.

[3] Si veda la mozione n. 09.4108 del 9 dicembre 2009, Soppressione graduale della tassa di bollo e creazione di posti di lavoro, in: http://www.parla-ment.ch/i/suche/pagine/geschaefte.aspx?gesch_id=20094108 [23.03.2012].

4. Una panoramica relativa alla tassa di bollo sui premi di assicurazioni sulla vita

Assicurazione sulla vita

Previdenza professionale LPP

Nessuna tassadi bollo

(art. 22 lett. a LTB)

Previdenzavincolata 3A

Nessuna tassadi bollo

(art. 22 lett. a LTB)

Finanziatatramite premio

periodico o premio unico

Nessuna tassadi bollo

(art. 22 lett. a LTB)

Finanziatatramite premi

periodici(art. 26b OTB)

Nessuna tassadi bollo

(art. 22 lett. a LTB)

Finanziata tramitepremio unico

Soggetta alla tassadi bollo (*)

(art. 21 LTB)

Senza valoredi riscatto

Con valoredi riscatto

(art. 26 OTB)

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15Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario svizzeroI trasferimenti di proprietà a carattere economico e l’imposta sugli utili immobiliari

Sentenza della Camera di diritto tributario, del 7 aprile 2010, nu-mero d’incarto 80.2009.113, in:RtiD II-2010 n. 10t

Sentenza del Tribunale federale, del 28 aprile 2011, numero 2C_420/2010

Articoli 124 capoverso 1 LT e 12 capoverso 2 lettera a LAID – Imposta sugli utili immobiliari, trasferimento imponibile, aliena-zione economica, atto di compravendita non iscritto a Registro fondiario, vendita di appartamenti con contratti di appalto

1. Considerazioni introduttiveL’articolo 124 capoverso 1 della Legge tributaria del Cantone Ticino (di seguito LT), riprendendo i principi espressi dall’arti-colo 12 capoverso 2 lettera a della Legge federale sull’armo-nizzazione delle imposte dirette dei Cantoni e dei Comuni (di seguito LAID), assoggetta all’imposta sugli utili immobiliari sia il “trasferimento di proprietà immobiliari” sia “qualsiasi negozio giuridico i cui effetti, riguardo al potere di disporre del fondo, sono parificati, economicamente, a quelli di un trasferimento di proprietà”.

In definitiva, il concetto di trasferimento deve essere inteso in senso economico e non civilistico. Perché vi sia un “trasferi-mento imponibile” ai sensi dell’articolo 124 LT basta infatti un’a-lienazione di fatto del potere di disporre dell’immobile, che si realizzerà anche quando il proprietario originario mantiene formalmente la proprietà, ma trasferisce durevolmente i suoi diritti di proprietario a un terzo, il quale subentra in tal modo nella sua posizione.

I casi più noti di alienazioni economiche sono i cosiddetti “ne-gozi a catena” – nei quali il potere di disporre di un fondo su-bisce una serie di trasferimenti, dal punto di vista economico, prima che la proprietà sia trasferita a un terzo, dal punto di vista civilistico – e le cessioni dei pacchetti azionari. In en-trambi i casi non viene imposto unicamente il trasferimento di proprietà dal proprietario civilistico originario al proprietario civilistico attuale, ma vengono assoggettati all’imposta anche i passaggi intermedi, vale a dire da colui (persona fisica o per-sona giuridica) che cede, per esempio, il suo diritto di compera

o il suo pacchetto azionario al proprietario civilistico finale di questa catena.

I “negozi a catena” sono tipicamente rappresentati dalle cessio-ni del diritto di compera o di prelazione. Ma non solo. In una recente sentenza del 7 aprile 2010, confermata dal Tribunale federale il 28 aprile 2011, la Camera di diritto tributario del Tri-bunale d’appello del Cantone Ticino (di seguito CDT) ha avuto modo di occuparsi di un particolare atto pubblico, intitolato “compravendita immobiliare” ma mai inoltrato all’Ufficio dei re-gistri per l’iscrizione, in base al quale la proprietaria originaria di un immobile, dopo averlo trasformato in proprietà per piani, cedeva tutte le neo costituite unità ad un terzo, attribuendo a quest’ultimo la facoltà di rinnovare gli appartamenti e di com-mercializzarli.

2. La fattispecie sotto esameCome visto, tramite la conclusione del citato contratto di “compravendita immobiliare”, il contribuente si era assicurato la facoltà di rinnovare e commercializzare le unità di proprietà per piani (di seguito PPP), mentre la proprietaria (originaria) del palazzo si era impegnata ad accettare gli acquirenti da lui proposti, mediante la sottoscrizione dei necessari atti pubblici e delle necessarie procure. Nel contratto veniva quindi espres-samente specificato che i ricavi ottenuti con le singole com-pravendite degli appartamenti avrebbero dovuto essere ver-

Rocco FilippiniAvvocato, Master of Advanced Studies SUPSI in Tax LawVicecancelliere della Camera di diritto tributario del Tribunale d’appello del Cantone Ticino

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16 Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

sati a titolo di acconto alla proprietaria (originaria), alla quale doveva essere pagato l’intero prezzo pattuito nel primo con-tratto di “compravendita immobiliare” entro poco più di un anno.

La decisione di assoggettare all’imposta sugli utili immobilia-ri la proprietaria (originaria), in relazione alla conclusione del primo contratto di “compravendita immobiliare” mai inoltrato all’Ufficio dei registri, non è stata contestata ed è conseguen-temente passata in giudicato. Oggetto di litigio è invece stata la decisione di assoggettare all’imposta anche il contribuente, in relazione alle successive vendite delle singole unità di PPP.

Il contribuente contestava di avere funto da alienante econo-mico, di avere cioè potuto disporre autonomamente dell’im-mobile in favore di terzi, sottolineando in particolare che tutti gli acquirenti delle singole unità di PPP non avevano mai inteso concludere con lui alcun rapporto giuridico se non quello ge-nerato dal contratto di appalto (in relazione ai lavori di rinnovo dei singoli appartamenti), tanto è vero che i relativi atti nota-rili di compravendita erano stati sottoscritti dalla proprietaria (originaria).

Di parere avverso era invece l’autorità di tassazione, secondo cui l’alienante civile (la proprietaria originaria del fondo) non coincideva con l’alienante economico (il contribuente), per cui si giustificava di assoggettare anche quest’ultimo all’imposta sugli utili immobiliari.

3. L’esistenza di un trasferimento economicoCome osservato dalla CDT e successivamente confermato dal Tribunale federale, con la conclusione del primo contratto di “compravendita immobiliare”, la proprietaria (originaria) ha di fat-to lasciato al contribuente ogni prerogativa di un proprietario, garantendosi da subito il pagamento del prezzo convenuto entro poco più di un anno.

Dal suo tenore risultava infatti in modo chiaro che il contri-buente non agiva solo quale appaltatore, ma soprattutto po-teva disporre economicamente dell’immobile siccome poteva esigere che i singoli appartamenti fossero venduti agli acqui-renti da lui proposti. Poco importa invece che il contratto di “compravendita immobiliare” non sia mai stato inoltrato all’Uf-ficio dei registri per l’iscrizione: visti i poteri di cui usufruiva, il contribuente era di fatto subentrato nella posizione della

proprietaria (originaria), assumendone durevolmente i diritti ed agiva di conseguenza non solo quale appaltatore ma anche quale alienante economico delle unità di PPP.

Ad una diversa conclusione non conduceva neppure la tesi se-condo cui il contribuente non avrebbe conseguito alcun utile immobiliare, essendosi limitato a rivendere gli appartamenti allo stesso prezzo di acquisto, con la sola aggiunta dell’onora-rio per il contratto di appalto stipulato con i singoli compratori. Dall’esame dei relativi contratti risultava infatti che le opere di rinnovamento eseguite nei singoli appartamenti venduti giu-stificavano solo una parte dell’importo qualificato quale con-troprestazione per l’appalto.

4.La commisurazione dell’utile immobiliareAssodata l’esistenza di un’alienazione economica soggetta all’imposta sugli utili immobiliari, occorreva ancora quantifi-carla, chiedendosi in particolare se l’utile imponibile andava stabilito in virtù del solo ricavo originato dalla vendita im-mobiliare oppure sommando anche la mercede percepita dal contribuente per le vere e proprie prestazioni di appaltatore.

A tale proposito, decisivo è stato il rinvio alla giurisprudenza nota come “prassi del computo globale (Zusammenrechnungspra-xis)”, sviluppata dal Tribunale federale nell’ambito delle imposte di mutazione. Come sottolineato dalla CDT e dalla stessa Cor-te federale, per poter applicare questa prassi anche nell’ambi-to dell’imposta sugli utili immobiliari, occorrono tre condizioni cumulative:

◆ una stretta interdipendenza tra l’alienazione del fondo e il contratto d’appalto, nel senso che un contratto non sareb-be stato concluso senza l’altro;

◆ il negozio deve equivalere nel suo complesso alla vendita di un edificio concluso (chiavi in mano);

◆ l’identità (economica e giuridica) fra alienante e appaltatore.

Con la conclusione del primo “contratto di compravendita”, come visto, il contribuente è di fatto subentrato nella posizione della proprietaria originaria, agendo di conseguenza quale alienan-te economico dei singoli appartamenti. Tale constatazione era di tutta evidenza sufficiente per ammettere che vi fosse iden-tità tra venditore e appaltatore. Assodate anche le prime due condizioni, peraltro nemmeno contestate dal contribuente, nulla si opponeva pertanto all’applicazione nei suoi confronti della prassi del computo globale. L’utile imponibile è stato così determinato sommando al prezzo del terreno anche il valore dell’appalto.

Elenco delle fonti fotografiche:http://cmspics.onoffice.de/gold01/Image/Immobilien%20Ratgeber/Im-mobilienratgeber.jpg [23.03.2012]

http://content.scout24.ch/CmsWeb/Thumbnail.ashx?image=/CmsIma-ges/9273.jpg&width=475 [23.03.2012]

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17Rassegna di giurisprudenza di diritto tributario italianoDeducibilità dei componenti negativi di reddito derivanti da operazioni intercorse con soggetti localizzati in paradisi fiscali

Sentenza della Cassazione, sezione quinta, 23 febbraio 2010, n. 4272; sentenza della Cassazione, sezione quinta, 29 dicembre 2010, n. 26298; sentenza della Commissione tributaria regiona-le del Veneto, 16 dicembre 2010, n. 76; sentenza della Commis-sione tributaria provinciale di Milano, 20 dicembre 2010, n. 338; sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, 1. dicembre 2010, n. 357; sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, 13 aprile 2011, n. 144; sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, 22 giugno 2010, n. 5; sentenza della Commissione tributaria provinciale di Trevi-so, 3 giugno 2010, n. 58

L’ordinamento tributario italiano disciplina una previsione nor-mativa in guisa della quale i componenti negativi di reddito derivanti da operazioni (acquisti di beni e/o forniture di ser-vizi) intercorse con imprese e professionisti localizzati in pa-radisi fiscali (tra cui la Svizzera) sono, in principio, indeducibili dal reddito imponibile dell’impresa italiana che ne sostiene i relativi costi. Resta tuttavia salva la possibilità, per l’impresa residente in Italia, di dimostrare, alternativamente, il contenu-to commerciale dell’attività svolta dal fornitore estero oppure che le operazioni, avendo avuto concreta esecuzione, hanno altresì risposto ad un effettivo interesse economico dell’im-presa residente in Italia. Fornendo anche solamente una delle due predette prove, l’impresa italiana può sottrarsi dagli effetti negativi conseguenti all’applicazione della normativa in com-mento e, pertanto, dedurre i componenti negativi di reddito sostenuti, configurandosi, in tal modo le due prove, alla stre-gua di vere e proprie circostanze esimenti.

Sul significato e sul ruolo da attribuirsi alle due circostanze esi-menti, si è sviluppata una giurisprudenza, talvolta contraddit-toria, che di seguito si illustra.

In primo luogo, si deve segnalare la innovativa (rispetto ad interpretazioni precedenti), e non favorevole ai contribuenti, posizione assunta dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale si deve escludere la ricorrenza di un esercizio di un’at-tività commerciale effettiva in capo a quelle società estere che, localizzate in paradisi fiscali, assolvono, nell’ambito di gruppi multinazionali, la funzione di mera “piattaforma acquisti”. In particolare, la Suprema Corte, nella sentenza n. 4272 del 23

febbraio 2010, ha affrontato il caso di una società italiana alla quale era stata contestata la deducibilità dei costi dalla stessa sostenuti per l’acquisto di beni ad essa ceduti da una società collegata residente in Svizzera, per il fatto che questa, a sua volta, acquistava i medesimi beni da un’altra società collegata, residente in Belgio. L’Agenzia riteneva che tale ultima società fosse l’effettiva produttrice dei beni e, pertanto, riteneva quella svizzera una società meramente interposta. L’importanza di tale pronuncia risiede nel fatto che, in essa, i Giudici di legit-timità non hanno ritenuto idonee a vincere la presunzione di indeducibilità dei componenti negativi di reddito le prove of-ferte dalla società italiana circa l’esistenza di quella svizzera, negando in tal modo la ricorrenza nella specie della prima esi-mente ovvero “lo svolgimento di una attività commerciale effettiva”. Per la Cassazione, infatti, tali prove erano sì in grado di “provare l’esistenza – che peraltro non risulta mai negata dal giudice di appel-lo – della società svizzera”, ma non di dimostrare l’esercizio da parte della stessa “di una vera e propria attività economica in or-dine alle operazioni esposte nella documentazione afferente i costi in contestazione”; si tratta di elementi ai quali è possibile attribuire valore solo “formale” e quindi coerenti con la “funzione carta-cea” di tale società. Si legge, inoltre, nella suddetta pronuncia: “Su tale «questione centrale» il giudice di appello – all’esito all’affer-mata analisi anche della «gigantesca documentazione» prodotta dalla contribuente – ha (in sintesi) affermato di non comprendere («non si comprende») «la funzione reale» della società svizzera ed ha, per-tanto, ritenuto che la stessa abbia svolto una funzione «meramente cartacea» […]. La «disponibilità di ampi locali», l’«esistenza di numerosi dipendenti», la «disponibilità di utenze varie», l’«utilizzo di forniture varie» come la «stipulazione di contratti di distribuzione infragruppo» (in forza dei quali la società [OMISSIS] «veniva nominata unico distri-butore dei prodotti […] per l’Europa»), infatti, costituiscono elementi idonei solo a provare l’esistenza – che, peraltro, non risulta mai nega-ta dal giudice di appello – della società svizzera ma non l’esercizio, da parte di questa, di una vera e propria attività economica in ordine alle operazioni esposte nella documentazione afferente i costi in conte-stazione; al pari, risultano del tutto irrilevanti gli ulteriori due elementi («realizzazione di un elevato fatturato»; «conseguimento di rilevanti perdite») indicati dalla ricorrente trattandosi di dati cui è possibile at-tribuire valore solo «formale», quindi coerenti con la «funzione carta-cea», perché […] meramente documentativa di quella «funzione»”.

Roberto FranzèProfessore aggregato di Diritto tributario nell’Università della Valle d’Aosta

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18 Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

Così ragionando, la Corte ha interpretato il contenuto dell’esi-mente basata sull’effettivo svolgimento di un’attività commer-ciale da parte dell’operatore estero in un senso relativamente ampio: a tal fine, non sarebbe sufficiente la dimostrazione dell’effettività del soggetto estero, bensì è richiesta anche la dimostrazione che il soggetto estero sia in grado di svolgere effettivamente quella specifica attività che genera quel com-ponente negativo di reddito oggetto di valutazione. Ne con-segue che una società estera localizzata in un paradiso fiscale, pur esistente ed operativa, può nondimeno non essere con-siderata tale – ai fini della normativa in commento – se non è in grado di fornire, o non fornisce effettivamente, i beni e servizi dai quali generano i componenti negativi in questio-ne. In estrema sintesi, la Corte non sembra apprezzare, come un’effettiva attività commerciale, l’attività di intermediazione, svolta da una “piattaforma acquisti”.

In altre pronunce (anche successive), la Cassazione ha preferito non affrontare il problema della deducibilità dei costi in esame sotto il profilo sostanziale, limitandosi a vagliare il solo profilo della corretta ripartizione dell’onere probatorio. Il riferimento è alla sentenza n. 26298 del 29 dicembre 2010, nella quale si ribadisce il principio secondo cui spetta al contribuente dimo-strare l’esistenza delle condizioni per cui non sarebbe applica-bile il divieto di deducibilità dei costi derivanti da operazioni con soggetti (imprese e professionisti) localizzati in paradisi fiscali. Ed infatti la Corte ribadisce che “la disposizione di legge citata, nonostante le successive modifiche intervenute, è rimasta im-mutata quanto al fondamentale divieto di deduzione di questo genere di spese; ed al conseguente onere (peraltro positivamente sancito: «quando le imprese residenti in Italia forniscano la prova») della parte privata di provare, nel proprio interesse, la sussistenza delle condizio-ni per cui il divieto può essere derogato. Pertanto, all’amministrazione finanziaria è sufficiente invocare il divieto legale di deduzione, mentre spetta al contribuente dimostrare l’esistenza delle condizioni per cui esso non sarebbe applicabile al proprio caso. D’altra parte, l’onere di provare la deducibilità di un costo spetta all’impresa, secondo consoli-data giurisprudenza, anche quando la deduzione non è vietata in linea di principio (Cass. Sent. nn. 3305/2009, 4218/2006, 21474/2004, 11240/2002, 16198/2001, 12330/2001, 11514/2001)”.

Passando, invece, in rassegna la giurisprudenza di merito, si deve rilevare la mancanza di un orientamento univoco e co-stante: si tratta, infatti, di giurisprudenza oscillante da cui ap-pare difficile ricavare chiare linee guida sulle quali orientare il comportamento dei contribuenti.

Per esempio, nella sentenza del 16 dicembre 2010, n. 76, la Commissione tributaria regionale del Veneto ha escluso che la contribuente avesse dato prove sufficienti dello svolgimento di un’attività economica effettiva da parte delle società non

residenti, rigettando il ricorso. Nel caso esaminato la società affermava la deducibilità di costi aziendali derivanti dal paga-mento, in favore di due società aventi sede nell’isola di Man, di somme costituite da provvigioni di agenti che hanno però materialmente operato in due Stati diversi (Grecia ed Irlanda) mediante società colà localizzate. Inoltre, le società beneficia-rie dei pagamenti e quelle che materialmente hanno erogato i servizi erano fra loro collegate da un rapporto rispettiva-mente di agenzia le prime e di subagenzia le seconde. Ebbe-ne, la Commissione tributaria regionale adita ha ritenuto che “il punto decisivo della controversia è […] quello della effettività delle operazioni sottostanti […], verifica però da compiere non in astratto (come pretenderebbe la difesa della ricorrente) ma con esclusivo rife-rimento proprio al soggetto che ha beneficiato dei pagamenti. Invero la Società appellante ha molto insistito sul fatto che i servizi prestati dagli agenti in suo favore sono stati effettivi e cioè che questi effet-tivamente abbiano promosso la vendita del marchio in quelle nazioni. Ma questo non è sufficiente poiché non basta che quanto pagato sia la contropartita di qualche cosa che effettivamente è stato prestato. Occorre che vi sia coincidenza fra il soggetto che ha ricevuto il pa-gamento ed il soggetto che quella prestazione erogò. Diversamente si verifica uno sdoppiamento: da un lato un soggetto che fornisce un determinato servizio in un certo luogo con una sua organizzazione di mezzi e, dall’altro, un soggetto del tutto avulso da tale concreta realtà che realizza il profitto di tale cessione accreditandosi della effettività di quella attività in un luogo diverso e favorevolmente improntato dal punto di vista tributario. Certo si può obiettare che le società greca ed irlandese materiali erogatori del servizio altro non sono che delle «emanazioni» di quelle aventi sede nell’isola di Man e che l’esistenza di un vincolo giuridico fra la società titolare del rapporto di agenzia e quella titolare del rapporto di subagenzia giustifichi e renda lecita tale pratica. Non è superfluo osservare che dagli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza è risultato che le due società aventi sede nell’isola altro non sono che dei «gusci vuoti» prive di qualunque contenuto aziendale fatta esclusione che per un fax”.

Favorevole al contribuente è, invece, la Commissione tributa-ria provinciale di Milano che, nella sentenza n. 338 del 20 di-cembre 2010, ha accolto il ricorso del contribuente e dichiarato illegittimo l’accertamento, in quanto ha ritenuto sufficienti le prove fornite a dimostrazione dell’effettivo interesse econo-mico derivante dall’operare con società non residenti. Si legge in detta sentenza che “in ordine alla documentazione prodotta in atti da parte ricorrente si rileva che l’analisi della stessa ha consen-tito a questa Commissione di ritenere fondata la dimostrazione di parte ricorrente della esistenza dei presupposti per la deduzione dei costi sostenuti nei confronti dei fornitori aventi sede in Hong Kong. Il convincimento di questa Commissione risulta, inoltre, rinforzato per il fatto che parte ricorrente in via aggiuntiva, e non alternativa, pro-duce adeguata documentazione in base alla quale viene dimostrata la sussistenza dell’effettivo interesse economico sottostante la scelta di acquistare i propri prodotti dai fornitori aventi sede a Hong Kong, pro-ducendo una analisi comparativa riguardante un significativo campio-ne selezionato, nella quale, tenuto conto di tutti i costi compresi quelli connessi ai trasporti ed accessori, il costo dei prodotti risulta media-mente inferiore del 51% rispetto al costo unitario che sarebbe gravato sulla ricorrente ove avesse acquistato i medesimi prodotti presso for-nitori nazionali. Tale analisi non viene contestata dall’Ufficio e nel caso non fosse stata ritenuta esaustiva dall’Ufficio medesimo, ben poteva questi estendere la richiesta di una analisi ad altri prodotti”.

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19Novità fiscali / n.03 / marzo 2012

Molto interessante sotto questo aspetto si rivela anche un’altra sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano, e segnatamente la n. 357 del 1. dicembre 2010, in cui i Giudici hanno, dapprima, analizzato la ricorrenza della seconda esi-mente e cioè la sussistenza dell’effettivo interesse economico (“la società ricorrente ha fornito la prova delle fatture fornitore, bolle doganali e il pagamento di quanto acquistato. La veridicità di tale operazione economica dipendeva dal fatto che il prodotto acquistato dalla società italiana presso la società consorella malese, era molto richiesto dai clienti italiani, e la stessa ha evidenziato, fra le altre cose, che non esistevano altri fornitori italiani o esteri di tale prodotto. Quindi parte ricorrente ha dimostrato la concreta esecuzione del-le operazioni commerciali intraprese. L’effettivo interesse economico alle operazioni poste in essere nel periodo, 1. maggio 2004 – 30 aprile 2005, con fornitore residente in un Paese black list, è stato illu-strato e documentato. Con quanto prodotto, parte ricorrente ha dato prova della sussistenza dell’esimente in relazione alle operazioni poste in essere con un paese a fiscalità privilegiata”) e, successivamente, la sussistenza della prima esimente data dallo svolgimento di un’effettiva attività commerciale nel paradiso fiscale (“I docu-menti, riguardanti quest’ultima, depositati con nota di deposito, cor-rispondono a quelli elencati nella C.M. 29/E del 23 maggio 2003. A titolo esemplificativo, la stessa ha allegato copia del contratto di af-fitto dell’immobile, bollette di utenze telefoniche ed elettriche, copia del bilancio della società stessa che è stato certificato dalla società di revisione De.To., contratto di lavoro, assicurazione per il fabbricato e i dipendenti e quant’altro di simile. Ha prodotto documenti, in lingua inglese, che dimostrano l’esistenza di uffici, della fabbrica, del magaz-zino merci, del personale e di tutti i costi sostenuti per la produzione del Gr. Alla stregua di quanto sopra, l’operazione contestata dall’uffi-cio, effettivamente risponde ad una logica d’impresa”).

Gli stessi principi sono stati poi affermati, sempre dalla Com-missione tributaria provinciale di Milano, nella sentenza n. 144 del 13 aprile 2011, secondo cui “per il punto di rilievo che riguar-da […] la disciplina della deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti delocalizzati nei Paesi cosiddetti «black list», l’ufficio ha ripreso a tassazione, gli importi degli acquisti fatti in quei Paesi. A giudizio del Collegio giudicante, parte ricorrente con l’ampia documentazione prodotta, ha documentato, fornendo la prova che le operazioni di natura commerciale poste in essere con altri soggetti economici, rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione. A giudizio di questo Giudice, il comma 1 dell’articolo 110 del D.P.R. n. 917/86 è stato rispettato in modo pieno dalla ricorrente stessa. La società nella propria difesa ha documentato la correttezza del proprio operato, per ogni singola società localizzata in paesi diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, o loca-lizzate in Stati dell’Unione o dello Spazio economico europeo inclusi nella lista di cui al citato decreto”.

Nella stessa direzione favorevole al contribuente si muove an-che la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche n. 5 del 22 giugno 2010 che rigetta l’appello dell’Uffi-cio in quanto “la società, in sede di ricorso, ha ampiamente dimo-strato che ha perseguito un effettivo interesse economico, precisando qual è l’oggetto dell’impresa, le peculiarità delle proprie produzioni, la tipologia dei clienti fornitori che richiedono prodotti con specifici componenti, da loro stessi testati ed omologati, da reperire obbli-gatoriamente su ben determinati Paesi”. Il collegio giudicante ha

infatti osservato che “nella libera determinazione dell’impresa di ricercare i fornitori più idonei ai propri fini commerciali, fino a quando le operazioni siano svolte a condizioni di mercato ed effettivamente svolte, non può avere fondamento il divieto alla deduzione dei relativi oneri. Sussiste sempre un effettivo interesse economico dell’impresa quando pone in essere un’operazione in grado di produrre profitto, nell’ambito della specifica natura dell’attività esercitata, a prescin-dere dalla dimostrata maggiore convenienza. Un’operazione com-merciale, non palesemente in perdita, se effettivamente compiuta, è più che idonea ad integrare il requisito richiesto dall’Amministrazio-ne finanziaria”; nel caso concreto, la società ha analiticamente spiegato i motivi economici sottesi all’effettuazione di date scelte economiche “che appartengono all’esclusivo diritto di scelta imprenditoriale della società, operante sulla base di una dimostrata convenienza economica” e “che la documentazione doganale e le re-lative scritture contabili, confermano l’avvenuta concreta esecuzione delle operazioni”.

Al contrario, la Commissione tributaria provinciale di Treviso nella sentenza n. 58 del 3 giugno 2010 ha ritenuto non as-solto l’onere probatorio gravante sul contribuente. In questo caso, infatti, dopo aver rilevato che ai sensi della normativa in analisi “l’ impresa nazionale deve quindi essere in grado di dimostrare, con certificazioni credibili, che l’operatore residente nel paese a bassa fiscalità operi realmente, oppure, fattura per fatture, sia dimostrata la reale importazione di merce (packaging list, lettera di vettura, do-cumentazione doganale etc.) e l’interesse economico di operare con residenti in paesi inclusi nella black-list (confronto di listini, margini ottenibili etc.)”, la Commissione tributaria provinciale di Trevi-so ha rigettato il ricorso del contribuente in quanto “l’opera-tore nazionale avrebbe dovuto presentare documentazione idonea a comprovare la concreta esecuzione delle operazioni commerciali ma tale documentazione non appare sia stata totalmente presentata in sede di contradditorio e nemmeno viene presentata in questa sede venendo a mancare a questo giudizio ogni e qualsivoglia possibilità di disamina. Se in subordine doveva essere in questa sede provata la reale esecuzione delle operazioni commerciali, non vengono esibite né le fatture né i documenti più sopra citati”.

Elenco delle fonti fotografiche:http://i.res.24o.it/images2010/SoleOnLine5/_Immagini/Notizie/Ita-lia/2011/09/evasione-ansa-258.jpg?uuid=5d49444c-d552-11e0-8b26-6d7d7e831176 [23.03.2012]

http://www.fiscooggi.it/files/immagini_articoli/u7/scontrini.jpg [23.03.2012]

http://imagesdotcom.ilsole24ore.com/images2010/SoleOnLine5/_Im-magini/Norme%20e%20Tributi/2010/10/paradisi-fiscali-1-672.jpg [23.03.2012]

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Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (Prima Sezione), procedimento C-310/09, del 15 settembre 2011, in:http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:62009CJ0310:IT:HTML [23.03.2012]

Libera circolazione dei capitali – Trattamento fiscale dei divi-dendi – Normativa nazionale che conferisce un credito d’impo-sta per i dividendi distribuiti dalle controllate residenti di una società controllante – Diniego del credito d’imposta per i divi-dendi distribuiti dalle controllate non residenti – Ridistribuzione dei dividendi da parte della società controllante ai propri azioni-sti – Imputazione del credito d’imposta sull’anticipo d’imposta dovuto dalla società controllante all’atto della ridistribuzione – Rifiuto di rimborsare l’anticipo versato dalla società control-lante – Arricchimento senza causa – Prove richieste riguardo all’imposizione delle controllate non residenti

1. IntroduzioneLa sentenza riguarda una domanda di pronuncia pregiudizia-le proposta alla Corte di giustizia delle Comunità europee (di seguito Corte) da parte del Conseil d’État (Francia). La doman-da verte sull’interpretazione degli articoli 49 e 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (di seguito TFUE) ed è stata presentata nell’ambito di una controversia fiscale tra il Ministre du Budget, des Comptes publics et de la Fonction publi-que (di seguito Ministro del bilancio) e la Accor SA in merito alla domanda presentata da quest’ultima diretta ad ottene-re il rimborso dell’anticipo di imposta versato per gli esercizi 1999–2001.

2. Causa principale e questioni pregiudizialiDalla decisione di rinvio risulta che la Accor SA, società con sede in Francia, ha percepito, dal 1998 al 2000, dividendi ver-sati dalle sue controllate stabilite in altri Stati membri e che, all’atto della ridistribuzione di tali dividendi, essa ha versato, in applicazione dell’articolo 146, n. 2, del Code général des impôts (di seguito CGI), in combinato disposto con gli articoli 158-bis e 223-sexies CGI, un anticipo d’imposta che, per gli eser-cizi 1999–2001, ammontava rispettivamente a 323’279’053, 359’183’404 e 341’261’380 franchi francesi.

Con reclamo introdotto in data 21 dicembre 2001, la Accor SA ha domandato il rimborso di tale anticipo d’imposta, dedu-cendo l’incompatibilità di tali disposizioni del CGI con il diritto comunitario. Poiché tale domanda è stata respinta, detta so-cietà ha adito il Tribunal administratif de Versailles, il quale, con sentenza del 21 dicembre 2006, ha accolto integralmente la sua domanda.

Il ricorso presentato dal Ministro del bilancio avverso tale sen-tenza è stato respinto dalla Cour administrative d’appel de Ver-sailles con sentenza del 20 maggio 2008, ragion per cui detto Ministro ricorreva in cassazione dinanzi al Conseil d’État.

Il Conseil d’État ha constatato che dalle disposizioni dell’artico-lo 216 CGI risulta che una società controllante francese non è soggetta all’imposta sulle società per i dividendi che per-cepisce da proprie controllate, a prescindere dal luogo in cui hanno sede dette controllate. Inoltre, in applicazione delle di-sposizioni dell’articolo 223-sexies CGI, quando ridistribuisce tali dividendi ai propri azionisti, detta società è tenuta a versare a tale titolo un anticipo d’imposta, indipendentemente dalla provenienza dei dividendi che le sono stati distribuiti e che ha successivamente ridistribuito. Pertanto il meccanismo dell’an-ticipo d’imposta, di per sé, non pregiudicherebbe né la libertà di stabilimento né la libera circolazione dei capitali.

L’importo del credito d’imposta di cui la società controllante beneficia, ai sensi dell’articolo 158-bis CGI [1], per i dividen-di distribuiti da una delle sue controllate stabilita in Francia viene detratto, in forza dell’articolo 146, n. 2 CGI, dall’importo dell’anticipo dovuto all’atto della ridistribuzione di tali dividen-

Rassegna di giurisprudenza di diritto dell’UEIl regime fiscale francese contro la doppia imposizione economica dei dividendi è compatibile con il diritto comunitario?

Sabina RigozziAssistente SUPSI

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di agli azionisti. Orbene, le disposizioni dell’articolo 158-bis CGI ostano alla concessione a una società controllante di un credi-to d’imposta per i dividendi provenienti da controllate stabilite in un altro Stato membro e, di conseguenza, a qualunque im-putazione sull’importo dell’anticipo d’imposta dovuto allorché tale società controllante ridistribuisce tali dividendi.

Alla luce di tali fatti, il Conseil d’État ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

1a) se gli articoli 63 e 49 TFUE debbano essere interpretati nel senso che ostano ad un regime fiscale diretto all’eliminazio-ne della doppia imposizione economica dei dividendi, che:

◆ consente ad una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridistribuzione ai propri azionisti dei dividendi percepiti dalle proprie controllate, il credito d’imposta collegato al percepimento dei suddetti divi-dendi se questi provengono da una controllata stabilita in Francia,

◆ ma nega tale possibilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una controllata stabilita in un altro Sta-to membro;

1b) in caso di soluzione negativa alla questione di cui al pun-to 1a), se i suddetti articoli debbano essere interpretati nel senso che nondimeno essi ostano ad un siffatto regime, poiché, tenuto conto del pagamento dell’anticipo d’imposta, l’importo dei dividendi che la società controllante ha perce-pito dalle sue controllate e ridistribuito ai propri azionisti è diverso a seconda che le controllate siano stabilite in Francia o in un altro Stato membro, di modo che il suddetto regi-me presenterebbe per gli azionisti un effetto di dissuasione dall’effettuare investimenti in tale società controllante;

2) in caso di soluzione affermativa alla prima questione, poi-ché l’amministrazione sarebbe tenuta a restituire le som-me percepite sulla base del suddetto regime in quanto percepite in violazione del diritto comunitario, se il diritto comunitario osti:

◆ a che l’amministrazione, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguenza l’arricchimento senza giusta causa di tale società, possa opporsi al rimborso delle somme pagate dalla società controllante e,

◆ in caso di risposta negativa, a che l’amministrazione, adducendo che la somma versata dalla società con-trollante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene semplicemente imputata all’insieme delle somme che possono essere ridistribui-te ai suoi azionisti, possa opporsi al rimborso alla socie-tà della suddetta somma;

3) tenuto conto della soluzione che verrà data alle prime due questioni, se i principi comunitari di equivalenza e di effetti-vità ostino a che il rimborso sia subordinato alla condizione che la società controllante fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi all’aliquota d’imposta ef-

fettivamente applicata e all’importo dell’imposta effetti-vamente versato per gli utili realizzati dalle sue controllate stabilite in Stati membri diversi dalla Francia, mentre per le controllate stabilite in Francia i documenti giustificativi, noti all’amministrazione, non sono richiesti.

3.Sulle questioni pregiudiziali

3.1. Sulla prima questioneLa Corte ha dapprima constatato che, nonostante il punto 1b) della prima questione sia stato sollevato solo in caso di solu-zione negativa alla questione di cui al punto 1a), occorre risol-vere congiuntamente i due punti della prima questione.

3.1.1. Sulla libertà di stabilimentoLa Corte ha rilevato che, qualunque sia la procedura adottata per prevenire o attenuare l’imposizione a catena o la doppia imposizione economica, le libertà di circolazione garantite dal Trattato ostano a che uno Stato membro riservi ai dividendi di origine estera un trattamento meno favorevole rispetto a quello riservato ai dividendi di origine nazionale, a meno che questa differenza di trattamento riguardi situazioni non og-gettivamente comparabili o sia giustificata da motivi impera-tivi di interesse generale.

I giudici comunitari hanno quindi constatato che la normativa in oggetto instaura una differenza di trattamento tra i divi-dendi distribuiti da una controllata residente e quelli distribuiti da una controllata non residente. Infatti, per i dividendi prove-nienti dalle controllate non residenti, la normativa controversa nella causa principale non consente di sgravare l’imposizione adottata a livello della controllata distributrice, mentre i divi-dendi percepiti tanto dalle controllate residenti quanto dalle controllate non residenti sono, all’atto della loro ridistribuzio-ne, assoggettati all’anticipo d’imposta. Di conseguenza, per quanto riguarda i dividendi percepiti dalle controllate residenti, quando essi venivano distribuiti, il credito d’imposta s’imputa-va all’anticipo dovuto, senza che detto anticipo diminuisse la massa distribuibile dei dividendi.

Inoltre, rispetto ad una disciplina fiscale volta a prevenire o ad attenuare l’imposizione degli utili distribuiti, la situazione di una società controllante che percepisce dividendi di origi-ne estera è analoga a quella di una società controllante che percepisce dividendi di origine nazionale dal momento che, in entrambi i casi, gli utili realizzati possono, in linea di principio, essere oggetto di un’imposizione a catena. Tenuto conto del trattamento svantaggioso riservato ai dividendi percepiti da una controllata stabilita in un altro Stato membro rispetto a quello cui sono assoggettati i dividendi percepiti da una con-trollata residente, una società controllante potrebbe essere dissuasa dall’esercitare le proprie attività tramite società con-trollate stabilite in altri Stati membri.

Il governo francese, pur ammettendo l’esistenza di una diffe-renza di trattamento tra i dividendi versati da una controlla-ta stabilita in Francia e i dividendi versati da una controllata

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stabilita in un altro Stato membro, ha ritenuto tuttavia che tale differenza di trattamento non costituisca una restrizione in capo alla società controllante. Tale governo ha rilevato che l’attivazione del credito d’imposta scaturisce da un’autonoma decisione degli organi competenti di una società controllante e non dalla normativa controversa nella causa principale, in quanto sarebbe la decisione di tale società controllante di ridi-stribuire i dividendi versati da una controllata francese a ren-dere il credito d’imposta, collegato ai dividendi in questione, imputabile sull’anticipo. Gli azionisti non residenti potrebbero, in base alle convenzioni relative alla prevenzione della doppia imposizione, concluse dalla Repubblica francese con tutti gli Stati membri dell’UE, ottenere il rimborso dell’anticipo effet-tuato dalla società controllante distributrice dei dividendi, in maniera tale che la normativa controversa nella causa prin-cipale non pregiudichi la loro situazione. Per quanto attiene agli azionisti residenti della società controllante distributrice, il governo francese ha ritenuto che tale differenza di trattamen-to riguarderebbe, in ogni caso, un movimento di capitali me-ramente interno tra una società controllante francese e i suoi azionisti francesi, che non presenta elementi di internaziona-lità e non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’UE.

Questi argomenti non sono stati accolti dalla Corte poiché, in primo luogo, se è vero che il credito d’imposta afferente ai di-videndi distribuiti da controllate residenti può essere utilizzato soltanto quando la società controllante decide di ridistribuire tali dividendi, tanto la differenza di trattamento in funzione del luogo di stabilimento della controllata distributrice dei dividen-di, quanto la possibilità di imputare l’eventuale credito d’impo-sta sull’anticipo dovuto all’atto della ridistribuzione di detti divi-dendi derivano direttamente dalla normativa francese oggetto della causa. In secondo luogo, benché la normativa controversa nella causa principale non produca effetti sulla situazione degli azionisti non residenti, la circostanza che tale normativa possa costituire un ostacolo alla raccolta di capitali da parte di una società controllante presso azionisti residenti è sufficiente per confermare il carattere restrittivo delle disposizioni della citata normativa. Infatti, la circostanza che azionisti residenti possa-no essere dissuasi dall’acquisire partecipazioni in una società controllante di società controllate non residenti, può a sua vol-ta dissuadere tale società controllante dall’esercitare le proprie attività tramite tali società controllate non residenti.

La Corte ha quindi constatato che una siffatta situazione, pre-sentando un collegamento con gli scambi intracomunitari,

può ricadere nell’ambito delle disposizioni del Trattato relative alle libertà fondamentali e quindi le disposizioni del CGI in og-getto configurano una restrizione in linea di principio vietata dalle disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimen-to. (consid. 62)

Risulta dalla giurisprudenza della Corte che una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo se giustificata da motivi imperativi di interesse generale. Tuttavia, né il giu-dice del rinvio, né le parti hanno fatto riferimento ad elementi idonei a giustificare la citata restrizione. La Corte ha pertanto dichiarato che l’articolo 49 TFUE osta a una tale normativa. (consid. 63)

3.1.2. Sulla libera circolazione dei capitaliI giudici hanno poi osservato che la differenza di trattamen-to operata dalla normativa controversa nella causa principale costituisce una restrizione anche alla libera circolazione dei capitali vietata dall’articolo 63 TFUE. La Corte ha quindi risolto la prima questione dichiarando che gli articoli 49 e 63 TFUE ostano a una normativa di uno Stato membro diretta all’elimi-nazione della doppia imposizione economica dei dividendi che consente a una società controllante di imputare sull’anticipo d’imposta, che essa è tenuta a versare al momento della ridi-stribuzione, ai propri azionisti, dei dividendi percepiti dalle pro-prie controllate, il credito d’imposta collegato al percepimento dei suddetti dividendi a monte, se questi provengono da una controllata stabilita in tale Stato membro, ma nega tale possi-bilità nel caso in cui tali dividendi provengano da una control-lata stabilita in un altro Stato membro. (consid. 69)

3.2. Sulla seconda questioneLa Corte ha dapprima ricordato che il diritto di ottenere il rim-borso delle somme riscosse da uno Stato membro in violazio-ne di norme del diritto dell’UE costituisce la conseguenza e il complemento dei diritti attribuiti ai soggetti dell’ordinamento dal diritto dell’UE. Lo Stato membro è quindi tenuto, in linea di principio, a rimborsare i tributi riscossi in violazione del di-ritto dell’UE. La Corte ha poi sostenuto che il diritto dell’UE non osta a che un ordinamento giuridico nazionale neghi la restituzione di tasse indebitamente percepite in presenza di circostanze tali da poter causare un arricchimento senza giu-sta causa degli aventi diritto. Tuttavia la Corte ha sottolineato che, poiché costituisce una limitazione di un diritto soggettivo fondato sull’ordinamento giuridico dell’UE, un siffatto dinie-go di rimborso deve essere interpretato restrittivamente. In tal senso, il diniego è possibile solamente nell’ipotesi in cui un tributo indebito sia stato direttamente traslato dalla persona tenuta al pagamento del tributo su altri soggetti, e ciò non è il caso per il regime fiscale in oggetto.

Di conseguenza la Corte ha risolto la seconda questione di-chiarando che il diritto dell’UE osta a che uno Stato membro neghi il rimborso delle somme pagate dalla società control-lante, adducendo che tale rimborso avrebbe per conseguen-za l’arricchimento senza giusta causa di tale società, o che la somma versata dalla società controllante non rappresenta per quest’ultima un onere contabile o fiscale, ma viene imputata

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sull’insieme delle somme che possono essere ridistribuite ai suoi azionisti. (consid. 76)3.3. Sulla terza questioneLa Corte ha dapprima dichiarato che è compito dei giudici de-gli Stati membri garantire la tutela giurisdizionale dei diritti di cui i soggetti dell’ordinamento sono titolari in forza del dirit-to dell’UE. Pertanto, in mancanza di una disciplina dell’UE in materia, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le mo-dalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai cittadini in forza delle norme del diritto dell’UE, purché dette modalità, da un lato, non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna (principio di equivalenza) né, dall’altro, rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’UE (principio di effettività).

La Corte ha quindi osservato che le autorità tributarie di uno Stato membro hanno il diritto di esigere dal contribuente le prove a loro avviso necessarie per valutare se siano soddisfat-ti i presupposti per la concessione di un’agevolazione fiscale prevista dalla normativa in questione e, di conseguenza, se si debba o no concedere tale agevolazione.

La Accor SA ha osservato che il sistema del credito d’imposta è fondato sul solo assoggettamento della controllata distribu-trice all’imposta sulle società, senza alcun riguardo al carico di imposta effettivamente pagato, dal momento che il credito d’imposta sarebbe sempre pari al 50% dei dividendi distribuiti. Di conseguenza, sarebbe sufficiente provare che la controllata distributrice è stata assoggettata all’imposta sulle società nel proprio Stato membro di stabilimento.

Il governo francese e il governo del Regno Unito hanno invece ritenuto che, per porre rimedio all’asserito impatto discrimina-torio del regime, occorrerebbe applicare un credito d’imposta il cui importo permettesse di neutralizzare l’imposta pagata nello Stato membro di stabilimento della controllata e che do-vrebbe quindi essere calcolato in funzione dell’importo di que-sta imposta.

La Corte ha quindi decretato che spetta al giudice del rinvio, competente in via esclusiva ad interpretare le norme del suo ordinamento, stabilire in quale misura il regime di cui trattasi nella causa principale si fondi su una stretta corrispondenza tra l’importo dell’imposta pagata sugli utili alla base della di-stribuzione dei dividendi e l’importo del credito d’imposta.

I giudici comunitari hanno poi precisato che, se è vero che il diritto dell’UE impone a uno Stato membro l’obbligo di con-cedere un trattamento equivalente ai dividendi versati a resi-denti da parte di società non residenti, tuttavia il diritto in pa-rola non impone agli Stati membri l’obbligo di avvantaggiare

i contribuenti che abbiano investito in società estere rispetto a quelli che abbiano investito in società nazionali. (consid. 87)

La Corte ha constatato che per quanto riguarda il regime in questione, se la Francia dovesse attribuire ai beneficiari di di-videndi provenienti da una società stabilita in un altro Stato membro un credito d’imposta che rappresenti sempre la metà dell’importo di tali dividendi (pari al livello d’imposta a cui le controllate, se fossero stabilite in Francia, sarebbero assog-gettate a monte), come ha chiesto la Accor SA, ciò sarebbe equivalente a concedere a tali dividendi un trattamento più favorevole di quello di cui beneficiano i dividendi provenien-ti dalla Francia, qualora l’aliquota d’imposta a cui la società distributrice di tali dividendi è assoggettata nel suo Stato di stabilimento fosse inferiore all’aliquota d’imposta applicata in Francia. Pertanto non è sufficiente provare che la società di-stributrice, nel proprio Stato membro di stabilimento, sia stata gravata dall’imposta sugli utili alla base dei dividendi distribuiti, senza fornire le informazioni relative alla natura e all’aliquota dell’imposta applicata effettivamente su tali utili. In tali circo-stanze, la Corte ha dichiarato che gli oneri amministrativi, e segnatamente il fatto che l’amministrazione tributaria nazio-nale richieda informazioni riguardanti l’imposta effettivamen-te applicata sugli utili della società distributrice di dividendi nel suo Stato di stabilimento, non possono essere considerati eccessivi, né possono violare i principi di equivalenza e di ef-fettività. (consid. 93)

Per tali motivi, la Corte ha risolto la terza questione dichia-rando che i principi di equivalenza e di effettività non osta-no a che il rimborso alla società controllante sia subordinato alla condizione che la stessa fornisca gli elementi che sono in suo esclusivo possesso, relativi all’aliquota d’imposta effetti-vamente applicata e all’importo dell’imposta effettivamente versato in ragione degli utili realizzati dalle sue controllate sta-bilite in altri Stati membri mentre, per le controllate stabilite in Francia, questi stessi elementi, noti all’amministrazione, non sono richiesti. La produzione di tali elementi tuttavia può es-sere richiesta solo a condizione che non risulti praticamente impossibile o eccessivamente difficile fornire la prova del pa-gamento dell’imposta da parte delle controllate stabilite in al-tri Stati membri, tenuto conto in particolare delle disposizioni della normativa di detti Stati membri sulla prevenzione della doppia imposizione e sulla registrazione dell’imposta sulle so-cietà che deve essere assolta, nonché sulla conservazione dei documenti amministrativi. (consid. 102)

Elenco delle fonti fotografiche:http://degruben.com/wp-content/themes/foliotastic/img _resi-ze/timthumb.php?src=/wp-content/uploads/20 02/06/accor23.jpg&w=620&h=290&zc=1 [23.03.2012]

http://www.parishotelsnet.com/images/paris.jpg [23.03.2012]

http://www.mpv.org/mpv/download/CORTEEUROPEA/corte-di-giusti-zia-europea.jpg [23.03.2012]

[1] Ai sensi dell’articolo 158-bis CGI, nella sua ver-sione in vigore durante le annualità fiscali oggetto della causa principale: “I percettori di dividendi distri-buiti da società francesi dispongono a questo titolo di un reddito costituito da:

a) le somme ricevute dalla società;b) un credito d’imposta rappresentato da un credito nei

confronti del Tesoro.Tale credito d’imposta è pari alla metà delle somme effettivamente versate dalla società. Esso può esse-

re usato solo se il reddito è compreso nell’imponibile dell’imposta sul reddito dovuta dal beneficiario. Esso è accettato in pagamento di tale imposta. Esso è rimbor-sato alle persone fisiche qualora il suo importo ecceda quello dell’imposta da esse dovuta”.

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Di prossima pubblicazione un’edizione speciale della rivista Novità fiscali

Le crescenti pressioni internazionali sulla Svizzera, perché ac-consenta ad uno scambio automatico di informazioni banca-rie, potranno essere contrastate con l’introduzione di un’im-posta alla fonte prelevata in forma anonima e versata agli Stati di residenza dei clienti delle banche svizzere?

Il dibattito intorno agli accordi ispirati al cosiddetto modello Rubik, già sottoscritti con Germania e Regno Unito ed at-tualmente all’esame dei governi di altri Paesi, è acceso e molti sono gli interrogativi aperti.

Il Centro di competenze tributarie della SUPSI, che da un paio d’anni diffonde la rivista elettronica Novità fiscali, nell’intento di informare tempestivamente sui più importanti sviluppi nella normativa e nella prassi che concernono la fiscalità nazionale ed internazionale, in collaborazione con la Rivista ticinese di diritto (RtiD), propone un’edizione speciale interamente dedi-cata agli accordi fiscali sulla base del modello Rubik.

Di seguito viene riportata la prefazione del Dottor Andrea Pe-droli, docente di diritto tributario USI e SUPSI.

E così la Svizzera ha varcato il suo Rubicone. Anzi, il suo Rubikone. D’ora in poi, nulla sarà più come primaC’era una volta un Paese che difendeva gelosamente il diritto alla riservatezza dei clienti delle sue banche; che tutelava con le sue leggi anche il diritto dei contribuenti di sottrarsi alla vo-racità fiscale dei rispettivi Stati di residenza; che distingueva i casi di evasione fiscale in sottrazione d’imposta e frode, per circoscrivere a questi ultimi la propria disponibilità a collabora-re ai fini del perseguimento dei reati tributari.

“Il segreto bancario non è negoziabile”. Fiero della propria indi-pendenza e consapevole delle prerogative della sovranità sta-tale, il Paese riteneva che le rivendicazioni degli altri Stati, che miravano ad uno scambio d’informazioni finalizzato all’impo-sizione dei capitali depositati nelle sue banche, non meritasse-ro neppure di divenire oggetto di discussione.

Di fatto, qualche concessione col trascorrere degli anni era pur stata fatta. Si pensi solo agli Accordi Bilaterali II con l’UE, con-clusi nel 2004. Praticamente, il segreto bancario ne era uscito dimezzato, per l’adozione di un ampio scambio d’informazio-ni su domanda: salvaguardata la distinzione fra sottrazione d’imposta e frode fiscale nell’ambito delle imposte dirette, la stessa era stata invece sacrificata in tutto il settore delle im-poste indirette (IVA, accise, dazi doganali); a ciò si aggiungeva l’introduzione della ritenuta d’imposta sugli interessi versati a persone fisiche residenti negli Stati membri dell’UE. Poi era arrivato il fatidico venerdì 13 marzo 2009, quando il Governo aveva revocato la riserva all’articolo 26 del Modello di con-venzione fiscale dell’OCSE ed annunciato di essere disposto a concedere agli Stati, con cui era in vigore una convenzione per prevenire le doppie imposizioni, uno scambio d’informazioni su domanda che non dipendeva più dall’esistenza non solo di una frode fiscale ma anche di una semplice sottrazione d’im-posta.

“Il segreto bancario svizzero è mantenuto”. Annunciando la svolta del 13 marzo 2009, il Consiglio federale faceva il bilancio della situazione in termini più che rassicuranti.

Ma intorno al Paese del segreto bancario l’insofferenza conti-nuava a crescere. Gli Stati, i cui cittadini erano clienti delle ban-che svizzere, affrontavano crisi finanziarie senza precedenti e reclamavano a voce sempre più alta uno scambio automatico

PubblicazioniGli accordi fiscali sulla base del modello Rubik

Samuele VorpeDocente–ricercatoreSUPSI

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d’informazioni. Dal loro punto di vista, era la loro sovranità che doveva essere tutelata nei confronti di uno Stato le cui leggi proteggevano gli evasori fiscali. E, per raggiungere i loro scopi, erano disposti a servirsi di mezzi anche estremi. Per entrare in possesso di informazioni bancarie, ci fu chi diede avvio a pro-cedimenti giudiziari contro banche svizzere e loro impiegati e perfino chi acquistò dati protetti dal segreto, che erano stati rubati da collaboratori degli stessi istituti di credito.

E ci avviciniamo così alle rive del Rubikone. Le autorità politi-che hanno cominciato a parlare con crescente intensità di una strategia del denaro pulito (Weissgeldstrategie), partendo dal presupposto che non sia nell’interesse della Svizzera attirare capitali non sottoposti all’imposizione negli Stati esteri, in con-siderazione dei rischi legali cui ci si espone. L’obiettivo poteva essere raggiunto, in particolare, negoziando bilateralmente l’introduzione di un’imposta liberatoria sui redditi dei capita-li dei clienti esteri delle banche, preferibilmente affiancata ad una sanatoria per le imposte non pagate in precedenza.

I primi due accordi della nuova era sono stati sottoscritti nell’autunno del 2011. Il Governo svizzero si è detto soddi-sfatto, per essere riuscito a tutelare “la sfera privata dei clienti bancari”, pur garantendo “il soddisfacimento delle pretese fi-scali giustificate” delle autorità tedesche e britanniche.“Il dado è tratto”, disse Giulio Cesare, al momento di passare il Rubicone. La Svizzera può far propria oggi questa frase pro-verbiale, pensando peraltro a un “dado” particolare, cioè ad un cubo le cui sei facce sono composte ciascuna da nove quadrati di sei colori differenti. Sempre che i parlamenti degli Stati con-traenti approvino gli accordi e che l’UE non vi si opponga, il se-greto bancario svizzero muterà per sempre la sua fisionomia. Anzi, si farà fatica a riconoscerlo. Nei confronti del fisco dei Pa-esi di residenza dei clienti delle banche svizzere, si trasformerà in uno schermo che proteggerà i nomi ma non il contenuto dei conti. Per garantire ai clienti che non comunicheranno i loro nomi alle autorità finanziarie dei rispettivi Stati di residenza, le banche si trasformeranno addirittura in una sorta di suc-cursali degli uffici fiscali di questi ultimi. Pur di non incontrare i funzionari dell’apparato di accertamento dei rispettivi Paesi, coloro che hanno conti in Svizzera dovranno essere disposti a vedere i loro consulenti vestire i panni degli esattori d’imposta. Quanto la strategia del denaro pulito sarà pagante, dipenderà da diversi fattori, solo in parte prevedibili.

Sono molte le incognite cui va incontro chi varca il Rubicone/Rubikone. La Svizzera ha avuto l’indiscutibile audacia di an-nunciare un drastico cambiamento di rotta, rinunciando ad offrire ai clienti delle sue banche quell’ambiguo valore aggiun-to che era in molti casi rappresentato dall’esenzione fiscale di fatto dei capitali qui depositati. Fra le numerose questioni che tale svolta solleva ce n’è una in particolare, che riguarda la sempre più accentuata difformità nel contenuto del segreto bancario per i contribuenti svizzeri e per quelli stranieri. Già dopo l’annuncio del memorabile venerdì 13, solo i clienti stra-nieri erano stati esposti al rischio che la loro documentazione bancaria fosse inviata alle autorità finanziarie dei loro Stati di residenza, in caso di una domanda di assistenza amministra-tiva; ora, passato il Rubikone, gli istituti di credito diventano addirittura esattori per conto di questi Stati, rinunciando in-

vece a svolgere questo compito proprio nell’interesse del fisco elvetico. L’implementazione del modello Rubik all’interno della Svizzera non sarebbe invece il miglior veicolo promozionale nei confronti degli ancora esitanti Stati esteri?

I contributi che vengono qui presentati, raccolti per encomia-bile iniziativa di Samuele Vorpe e redatti da autori qualificati e competenti, permettono di gettare uno sguardo al nuovo sce-nario che si sta dischiudendo sotto i nostri occhi, rispondendo ad alcune delle numerosissime domande che l’era Rubik, come ogni innovazione importante, porta con sé.

La pubblicazione segna fra l’altro un ulteriore progresso nel-la collaborazione fra il Centro di competenze tributarie della SUPSI e la Rivista ticinese di diritto (RtiD).

Per maggiori informazioni:Prospetto dell’edizione speciale della rivista “Gli accordi fiscali sulla base del modello Rubik”:http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/Speciale_Novi-ta_Fiscali-cartolina.pdf [23.03.2012]

Elenco delle fonti fotografiche:http://w w w.indire. it/immagini/immag/tstsbe/ts1300v3-74.jpg [23.03.2012]

http://www.tecnografica.info/ilcubo.ilbello.com/immagini/cubo_di_ru-bik.jpg [23.03.2012]

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Iscrizioni e informazioni:http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/DSAS_Mandato.pdf

Nuovi oneri per gli intermediari finanziari per la verifica degli adem-pimenti fiscali dei clientiApprofondimento delle possibili implicazioni concrete della “Weissgeldstrategie” e della estensione ai reati fiscali del campo di applicazione della lotta al riciclaggio di denaro a seguito della modifica delle raccomandazioni del GAFIData: giovedì 26 aprile 2012, ore 14.00-17.30

Iscrizioni e informazioni:http://www.fisco.supsi.ch/Content/main/uploaded/pdf/DSAS_Weissgeldstrategie.pdf

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La Direttiva europea sugli interessi e i canoniDurata: 4 ore, Calendario: 20 aprile 2012, Termine d’iscrizione: 18 aprile 2012

Il principio di non discriminazione in ambito europeoDurata: 6 ore, Calendario: 27 aprile 2012, Termine d’iscrizione: 25 aprile 2012

Iscrizioni e informazioni:http://www.supsi.ch/default/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/J-00/modulo_4/Iscrizio-ne_singoli_corsi_4.pdf

Introduzione al diritto fiscale statunitenseDurata: 12 ore, Calendario: 28 aprile 2012, Termine d’iscrizione: 26 aprile 2012

Iscrizioni e informazioni:http://www.supsi.ch/default/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/J-00/modulo_5/Iscrizio-ne_singoli_corsi_5.pdf

La Direttiva europea sull’IVADurata: 4 ore, Calendario: 20 aprile 2012, Termine d’iscrizione: 18 aprile 2012

Il risparmio dei dazi nelle operazioni di commercio internazionaleDurata: 8 ore, Calendario: 21 aprile 2012, Termine d’iscrizione: 19 aprile 2012

Iscrizioni e informazioni:http://www.supsi.ch/default/dms/fc/docs/prodotti/tax-law/J-00/modulo_6/Iscrizio-ne_singoli_corsi_6.pdf

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